Storia della meccanica quantistica

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Storia della
meccanica quantistica
Prof. Daniele Ippolito
Liceo Scientifico “Amedeo di Savoia” di Pistoia
La quantizzazione della luce
La quantizzazione della materia
La nuova meccanica quantistica
La quantizzazione della luce
Nel Seicento e nel Settecento si sono confrontate due teorie
sulla natura della luce: la teoria corpuscolare (Newton) e
quella ondulatoria (Huygens), entrambe capaci di
interpretare alcuni fenomeni.
Ad inizio Ottocento, con gli esperimenti di Young e di Fresnel,
si è affermata la teoria ondulatoria.
In seguito, Maxwell ha previsto che la luce dovesse essere
un’onda elettromagnetica.
Successivamente, altri esperimenti hanno messo in evidenza
una natura più complessa.
1859
Gustav Kirchhoff elabora il concetto di corpo
nero: un corpo cavo con un foro minuscolo che
assorbe perfettamente qualunque radiazione.
Le pareti interne, se riscaldate,
possono emettere radiazione
attraverso il foro.
Studiando la radiazione emessa ad una data temperatura, è
possibile risalire alle lunghezze d’onda della radiazione
all’interno della cavità.
Kirchhoff pone il problema del corpo nero: studiare, a qualsiasi
temperatura, la distribuzione dell’intensità emessa al variare
della lunghezza d’onda della radiazione.
1893
Wilhelm Wien scopre che la lunghezza d’onda
max, a cui l’intensità di radiazione emessa è
massima, e la temperatura T sono
inversamente proporzionali.
Nel 1896 elabora una
legge, detta legge di
spostamento, che
descrive la
distribuzione
dell’intensità della
radiazione emessa al
variare di  e di T.
1900
Dopo una lunga controversia sulla validità
sperimentale della legge di Wein, Heinrich Rubens
e Ferdinand Kurlbaum verificano che la legge di
distribuzione di Wein non è adatta a descrivere i
risultati sperimentali ad alte temperature e ad
elevate lunghezze d’onda.
1900
Max Planck elabora una nuova legge sulla
distribuzione del corpo nero che si adatta bene ai
dati sperimentali.
Immagina le pareti del corpo nero come un
insieme di oscillatori di frequenze differenti, che
si attivano a seconda della temperatura.
Quando gli oscillatori interagiscono con la radiazione,
assorbono o emettono pacchetti di energia multipli di una
certa quantità, proporzionale alla loro frequenza .
È l’ipotesi della quantizzazione dell’energia scambiata dagli
oscillatori.
L’ipotesi di Planck è in contrasto con la fisica classica,
secondo cui un oscillatore potrebbe emettere o assorbire
energie di qualunque valore.
La distribuzione dell’intensità della radiazione emessa è data
da:
1905
Albert Einstein riprende lo studio di Planck ma va
oltre.
Avanza l’ipotesi che sia quantizzata non solo
l’energia scambiata dagli oscillatori del corpo
nero ma anche l’energia della radiazione stessa.
È l’ipotesi della quantizzazione dell’energia del campo
elettromagnetico (e quindi della luce).
Un quanto di luce avrebbe un’energia
Per quasi vent’anni nessuno crede all’ipotesi di Einstein.
Con la sua ipotesi, Einstein spiega l’effetto fotoelettrico,
osservato nel 1887 da Hertz.
Quando un metallo viene irradiato con della luce, è possibile
estrarre da esso elettroni se la frequenza della radiazione è
superiore ad un certo valore.
Per Einstein, ciò avviene quando l’energia della radiazione,
E = h è superiore al lavoro di estrazione dell’elettrone dal
metallo.
1923
Arthur Compton invia raggi X verso bersagli di
diversi elementi.
Per alcuni elementi, i raggi X vengono deviati,
urtando elettroni del bersaglio.
La frequenza dei raggi X diffusi
risulta essere minore di quella dei
raggi incidenti.
Misurando la quantità di moto e
l’energia degli elettroni colpiti,
l’unica spiegazione è che la
radiazione sia quantizzata.
L’esistenza del quanto di luce di Einstein, ossia del fotone, è
finalmente verificata.
La quantizzazione della
materia
Il dibattito sulla natura della materia ha origini filosofiche
antichissime e vede da una parte gli atomisti (Democrito) e
dall’altra i sostenitori della continuità della materia e
dell’assenza del vuoto (Aristotele).
Nell’Ottocento, Maxwell e Boltzmann hanno applicato la teoria
atomica per lo studio statistico delle proprietà dei gas,
ottenendo risultati in accordo con i dati sperimentali.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, nuovi studi
hanno portato all’affermazione definitiva della teoria
atomica.
1895
Wilhelm Röntgen scopre i raggi X: facendo
passare una corrente elettrica ad alta tensione
in un tubo di vetro in cui è fatto il vuoto, una
radiazione sconosciuta illumina uno schermo.
Ponendo una mano su una lastra esposta ai
raggi X, si può evidenziare il contorno delle
ossa.
I raggi X possono trasformare un gas in un
conduttore.
1896
Joseph John Thomson interpreta i raggi X
come radiazione elettromagnetica.
1897
Studia i raggi catodici, ossia i raggi che vanno da un catodo
ad un anodo, soggetti ad una certa d.d.p., in un tubo con aria
molto rarefatta.
Interpreta i raggi catodici come
corpuscoli di carica negativa. È la
scoperta dell’elettrone.
1897
In un celebre esperimento,
Thomson misura il rapporto
e/m tra la carica e la massa
dell’elettrone.
1903
Thomson propone un modello
atomico “a panettone”: gli
elettroni sono immaginati
come
particelle
negative
immerse in una materia
positiva uniforme.
1909
Rutherford, Geiger ed Ernest
Marsden bombardano un foglio
d’oro con particelle  (nuclei di
elio).
La
maggior
parte
delle
particelle procedono diritte o
vengono deflesse di pochi
gradi;
alcune
tuttavia
subiscono
deviazioni
considerevoli.
Tali
deviazioni
sono
incompatibili con il modello
atomico di Thomson.
1911
Rutherford spiega la
deviazione delle particelle
con un altro modello
atomico.
Ipotizza la presenza di un nucleo di carica positiva, in cui è
concentrata la maggior parte della massa atomica,
circondato da elettroni.
Gli elettroni si muoverebbero di moto
circolare uniforme attorno al nucleo,
analogamente a come i pianeti ruotano
attorno al Sole. Si parla di “modello
planetario”.
Il modello atomico di Rutherford non tiene conto, tuttavia, del
fatto che una particella carica accelerata irradia energia.
Un elettrone collasserebbe sul nucleo in un tempo molto
piccolo.
1912
Niels Bohr inventa il concetto di stati stazionari:
gli elettroni sono confinati su orbite in cui non
possono emettere né assorbire energia.
Sono permesse soltanto le orbite il cui momento
angolare L = mrv è multiplo di h/2:
Di conseguenza, per l’elettrone dell’atomo di
idrogeno, i livelli energetici possibili sono:
con
E0 = - 13,6 eV è l’energia dello stato
fondamentale
Una rappresentazione delle orbite elettroniche permesse
nell’atomo di idrogeno secondo Bohr:
Il modello di Bohr prevede la quantizzazione dell’energia e
del momento angolare dell’elettrone.
Quando un elettrone
assorbe energia (un fotone),
può saltare ad un’orbita più
elevata.
Successivamente,
emettendo energia, può
transitare ad un’orbita
inferiore.
Gli spettri atomici che si possono osservare irradiando un
atomo sono dovuti alle energie che un elettrone cede quando
transita verso orbite inferiori. La frequenza  della lunghezza
d’onda osservata è data da:
Con questa teoria, Bohr riesce ad interpretare le serie di righe
spettrali dell’atomo di idrogeno osservate, separatamente, da
Balmer, Lyman e Paschen.
Per atomi più complessi, a partire dall’elio, l’accordo tra teoria
ed esperimento non è così buono.
1913
Arnold Sommerfeld integra il modello di Bohr.
Prevede la possibilità che l’elettrone percorra
orbite ellittiche, oltre che circolari.
Oltre al numero quantico principale n, introduce il numero
quantico orbitale l, che può assumere valori interi da 0 ad n-1.
Introduce
anche
il
numero
quantico magnetico m, che può
assumere valori interi da –n ad n,
per spiegare l’effetto Zeeman,
ossia la separazione delle righe
spettrali sotto l’azione di un campo
magnetico esterno.
Il modello atomico di Sommerfeld riesce a spiegare molti
risultati sperimentali non previsti da quello di Bohr. Lo stesso
Bohr ne riconosce la validità.
1914
James Franck e Gustav Hertz misurano la
corrente tra elettrodi immersi in un gas di
mercurio, in funzione della d.d.p. V tra essi.
La corrente ha dei cambiamenti
netti ad intervalli di 4,9 V.
Quando l’energia di un elettrone è un
multiplo di 4,9 eV, esso produce un
salto energetico tra due livelli del
mercurio, così la sua energia si smorza.
È una conferma del modello di Bohr.
1923
Wolfgang Pauli introduce un quarto numero
quantico, inizialmente detto “bivalenza”, per
spiegare le restrizioni al numero di elettroni
presenti in ogni “guscio” di energia.
Enuncia il principio di esclusione: due elettroni non possono
avere quattro numeri quantici tutti uguali.
1925
Samuel Goudsmit e George Uhlenbeck
interpretano la bivalenza come una
proprietà intrinseca dell’elettrone, a cui
danno il nome di spin.
Un elettrone può avere spin “up” o spin “down” a seconda che
ruoti in verso orario o antiorario attorno al nucleo atomico.
Il concetto di spin, a differenza dei primi tre numeri atomici, non
è interpretabile in termini classici.
Si avverte l’esigenza
complessiva.
di
una
nuova
teoria
quantistica
1923
Louis De Broglie avanza l’ipotesi del dualismo
onda-particella: non solo ai fotoni ma a tutte le
particelle è associata un’onda.
Gli elettroni possono percorrere orbite le cui lunghezze siano
multiple della loro lunghezza d’onda.
1927
Clinton Davisson e Lester Germer scoprono
la diffrazione degli elettroni: l’ipotesi di De
Broglie è verificata.
Le lunghezze d’onda degli elettroni misurate sono in accordo con
quelle previste da De Broglie.
La nuova meccanica
quantistica
1925
Werner Heisenberg cerca di definire una nuova
teoria complessiva con la quale spiegare tutti i
risultati sperimentali.
Parte dalla separazione in fisica tra grandezze
osservabili e grandezze che non lo sono.
L’orbita di un elettrone non è osservabile, pertanto abbandona
la rappresentazione di elettroni in rotazione attorno ad un
nucleo.
Le frequenze di transizione mn tra due
livelli di energie Em ed En, possono
essere rappresentate da una tabella
del tipo:
11 12  1n
21 22  2n




m1 m2  mn
Heisenberg immagina l’elettrone come un oscillatore di cui si
può osservare la posizione q e la quantità di moto p e associa
alle due osservabili altre due tabelle.
La teoria di Heisenberg regge solo se si ammette che pq sia
diverso da qp.
1925
Max Born, con l’aiuto del matematico Pascual
Jordan, riconosce nelle tabelle di Heisenberg
uno strumento matematico ancora poco
conosciuto dai fisici: le matrici.
La teoria di Heisenberg deve prevedere che:
h
pq
qp
i I
2

dove i è un numero immaginario e I è la matrice
identità.
Pauli, adottando la nuova teoria, riesce a calcolare tutto lo
spettro dell’idrogeno, riproducendo i dati sperimentali.
1925
Paul Dirac elabora indipendentemente una
teoria simile a quella di Heisenberg, Born e
Jordan, giungendo alle stesse conclusioni.
Riesce a precedere gli altri tre di qualche giorno nella
pubblicazione dei suoi risultati.

1926
Erwin Schrödinger propone un modello
differente dalla meccanica delle matrici.
Rifacendosi a De Broglie, poiché ad ogni
particella è associata un’onda, introduce una
funzione d’onda 
Tale funzione deve soddisfare l’equazione d’onda:
Born interpreta |(x)|2 come la densità di probabilità che un
elettrone si trovi in un certo punto ad un dato istante.
Schrödinger non condivide tale interpretazione.
Due teorie per la meccanica quantistica si confrontano:
1) La meccanica delle matrici di Heisenberg-Born-Jordan e
Dirac, basata sulle particelle e sul concetto di discontinuità;
2) La meccanica ondulatoria di Schrödinger, basata sulle
onde e la continuità.
Entrambe le teorie riproducono bene gli spettri sperimentali
ma si rifanno a due concezioni differenti.
La meccanica delle matrici è una teoria radicalmente nuova
rispetto alla fisica classica; la meccanica ondulatoria si
concilia meglio con la vecchia fisica.
Einstein si schiera con il modello di Schrödinger e respinge
l’interpretazione probabilistica di Born.
1927
Heisenberg enuncia il principio di indeterminazione:
In ogni misura della posizione e della quantità di moto di una
particella, il prodotto dell'incertezza sulla posizione e di quella
sulla quantità di moto non può mai essere inferiore ad una
certa quantità.
Il principio di Heisenberg, insieme alla meccanica delle matrici,
costituisce un modello teorico della meccanica quantistica,
detto interpretazione di Copenhagen.
Einstein contesta questo risultato.
Negli anni successivi, Bohr ed Einstein si scontrano più volte
sui risultati della meccanica quantistica.
Per Bohr, la meccanica quantistica è un modello completo. La
fisica può dare solo uno studio approssimato della realtà:
“È sbagliato pensare che compito della fisica sia scoprire
com'è fatta la natura. La fisica ha per oggetto ciò che
possiamo dire sulla natura”.
Per Einstein, invece, la meccanica quantistica è soltanto una
prima teoria, che andrà integrata con una teoria complessiva,
in grado di descrivere la realtà:
“Persisto a credere alla possibilità di un modello della realtà:
vale a dire, di una teoria che rappresenti gli eventi stessi e
non soltanto le probabilità del loro verificarsi”.
1935
Schrödinger si schiera con Einstein ed enuncia il paradosso
del gatto:
Immaginiamo un gatto in una
stanza dove c'è un contatore
Geiger
contenente
una
sostanza radioattiva che, in
un certo intervallo di tempo,
ha una probabilità ½ di
decadere e ½ di non
decadere.
Se avviene il decadimento, si aziona un martello che rompe
una fiala di veleno che uccide il gatto. Se non avviene, il gatto
resta vivo.
Stando alla meccanica quantistica, l'unico modo di verificare
se il gatto sia vivo o morto è di fare una misurazione.
Fintanto che la misurazione non avviene, il gatto è sia vivo che
morto, contro il senso comune, che dice che esso deve essere
vivo o morto.
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