1 63a SETTIMANA MUSICALE SENESE 7-15 LUGLIO 2006 ACCADEMIA MUSICALE CHIGIANA SIENA 2 FONDAZIONE ACCADEMIA MUSICALE CHIGIANA ONLUS SIENA Vice Presidente VITTORIO CARNESECCHI Direttore artistico ALDO BENNICI Direttore amministrativo LAURO MARIANI Consiglio di amministrazione FRANCESCO AGNELLO Ministero Beni e Attività Culturali MARCO BAGLIONI Ministero Affari Esteri ALDO BENNICI Direttore artistico GIOVANNI BUCCIANTI Ministero Beni e Attività Culturali GIOVANNI CARLI BALLOLA Fondazione Monte dei Paschi di Siena (Musicologo) VITTORIO CARNESECCHI Società Esecutori Pie Disposizioni GISELDA DE BONIS Ministero Istruzione, Università e Ricerca scientifica VINCENZO DE VIVO Fondazione Monte dei Paschi di Siena (Musicologo) MARIO NALDINI Comune di Siena SANDRO NANNINI Università degli Studi di Siena MARCO PARLANGELI Provveditore Fondazione Monte dei Paschi di Siena ALESSANDRO PIAZZINI Comune di Siena PIER PAOLO POGGIONI Amministrazione Provinciale di Siena ROBERTO SALADINI Comune di Siena CARLO SASSI Regione Toscana Censori LUCIANO CIMBOLINI Ministero Economia e Finanze FABRIZIO PAGLINO Ministero Beni e Attività Culturali VITALIANA VITALE Ministero Beni e Attività Culturali Consulente musicologico GUIDO BURCHI Capo servizio attività didattiche e artistiche CARLA BELLINI Capo servizio segreteria amministrativa MARIA ROSARIA COPPOLA 3 Sommario 7 9 12 15 17 31 33 35 61 67 69 89 95 97 109 113 117 119 123 Vittorio Carnesecchi Prefazione Aldo Bennici Introduzione Programma generale 7 luglio Myung-Whun Chung / Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI Daniele Spini Ravel e Šostakovič Gli interpreti 8-9 luglio Giorgio Battistelli Les Cenci (I Cenci) Ivanka Stoianova Giorgio Battistelli: della musica-teatro Georges Lavaudant “Ici on enterre la paternité” Argomento Testo Gli interpreti 10 luglio Jurij Temirkanov Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo Francesco Ermini Polacci Itinerari russi, da Rimskij-Korsakov a Stravinskij Gli interpreti 11 luglio Paul Lewis Premio Internazionale “Accademia Musicale Chigiana” Guido Burchi Beethoven, Sonata in sol magg. op. 79 Giovanni Carli Ballola Beethoven, Sonata in si bem. magg. op. 106 “Für das Hammerklavier” L’interprete 4 125 127 147 149 217 229 233 241 249 253 258 264 275 277 12 luglio Antonio Vivaldi L’Atenaide Frédéric Delaméa gli affetti... gelosi Trama dell’opera Il libretto Gli interpreti L’Atenaide di Antonio Vivaldi ossia 13 e 14 luglio Giuliano Carmignola / Orchestra da Camera di Mantova Salvatore Accardo / Orchestra da Camera Italiana Giovanni Carli Ballola Mozart violinista Gli interpreti 15 luglio Gianluigi Gelmetti / Orchestra della Toscana Coro da Camera di Praga Giovanni Carli Ballola Il Requiem di Mozart Testo Gli interpreti Gli artisti dell’“Estate Musicale Chigiana” e della “Settimana Musicale Senese” Gli autori e i brani eseguiti nell’“Estate Musicale Chigiana” e nella “Settimana Musicale Senese” Con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali 5 Il Conte Guido Chigi Saracini in un medaglione di Emilio Gallori. 6 7 VITTORIO CARNESECCHI Vicepresidente dell’Accademia Musicale Chigiana a Settimana Musicale Senese festeggia quest’anno la sessantatreesima edizione, confermandosi fra i festival più antichi e prestigiosi d’Italia. Il Conte Guido Chigi Saracini ne ideò infatti la prima realizzazione nel 1939, individuando quelle nette linee culturali che hanno caratterizzato fin dall’inizio questa importante manifestazione. Accanto ai necessari ammodernamenti apportati dai diversi direttori artistici che si sono succeduti, la Settimana Musicale Senese ha mantenuto tuttavia ben salda l’impronta che le diede l’illustre Fondatore. Certamente è rimasto vivo l’interesse rispettivamente per la musica antica e quella contemporanea, che hanno sempre costituito i due poli di attrazione dei programmi del festival, senza dimenticare i grandi concerti sinfonici e le esibizioni di solisti di fama internazionale, spesso coinvolti anche nei Corsi di perfezionamento dell’Accademia stessa. Pur nella moltitudine di manifestazioni simili che ai nostri giorni si possono trovare dovunque numerose, il Festival senese seguita a distinguersi per una sua forte personalità ed un sicuro equilibrio culturale. Non si può non notare anche lo stretto legame che la Settimana Musicale ha con la città di Siena. Alcuni dei suoi incomparabili monumenti sono infatti adoperati per ospitare le manifestazioni che acquisiscono così una suggestione e una festosità che esaltano il loro valore. Auguro quindi a questa edizione lo stesso successo che ha caratterizzato tutta la lunga vita del festival. L 8 9 ALDO BENNICI Direttore Artistico dell’Accademia Musicale Chigiana l teatro musicale di ieri e quello di oggi costituiscono il cardine principale della Settimana Musicale Senese 2006. È ormai una consuetudine della programmazione, che stavolta ha individuato fra i dimenticati tesori del passato L’Atenaide di Antonio Vivaldi, dramma per musica con parole di Apostolo Zeno scritto nel 1729: L’Atenaide viene riproposta in esecuzione integrale, in forma di concerto, grazie alle cure interpretative e musicologiche di Andrea Marcon, che guida l’Orchestra Barocca di Venezia – formazione da lui stesso fondata, oggi fra i migliori complessi specializzati nella prassi esecutiva barocca – e un cast autorevole di voci che schiera Ruth Rosique, Romina Basso, Laura Rizzetto, Franziska Gottwald, Cristina Baggio, Bartolo Musil e Mark Tucker. Progettata e messa in cantiere da più di un anno e mezzo, la realizzazione di quest’opera si propone come evento di grande significato, anche perché si ricollega idealmente alla storia dell’Accademia Musicale Chigiana, a quel 1939 che vide partire proprio da qui – promotori il Conte Guido Chigi Saracini e Alfredo Casella – la grande riscoperta italiana di Vivaldi e della sua musica. L’incursione nel teatro musicale del nostro tempo viene invece offerta dalla proposta de Les Cenci di Giorgio Battistelli, in prima esecuzione italiana e in forma scenica. Uno spettacolo ideato per collocarsi in una dimensione internazionale, dal momento che viene realizzato anche in coproduzione con il Théâtre de l’Odéon di Parigi. Da sempre Battistelli indaga le possibilità espressive della drammaturgia teatrale per musica e Les Cenci (creata per l’Almeida Opera di Londra nel 1997), rappresenta uno dei suoi contributi più interessanti nel genere: “teatro di musica” – per dirla con le parole dello stesso Battistelli – tratto dall’omonima tragedia di Antonin Artaud a sua volta ispirata alle fosche vicende della famiglia Cenci e della sua più nota rappresentante, la nobile Beatrice, morta decapitata e vittima degli orrori del suo stesso casato. Lo spettacolo ha la regia di Georges Lavaudant e vede sul podio dell’Orchestra della Toscana Luca Pfaff, già paladino della riscoperta della Ville Morte di Nadia Boulanger dell’anno passato. Ma la 63esima Settimana Musicale Senese vuole celebrare anche due protagonisti della cultura musicale, ricordati nella ricorrenza delle loro nascite: nel 2006 cade difatti il duecentocinquantesimo anniversario della nascita di Mozart, ma pure il centenario di quella di Dmitrij Šostakovič, voce altrettan- I 10 to importante. Proprio con il nome di Šostakovič si apre la Settimana Musicale, con un concerto che vede il ritorno sempre gradito a Siena dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai guidata dalla brillante bacchetta di Myung-Whun Chung: accanto alle due raffinate suites orchestrali dal balletto Daphnis et Chloé di Ravel, di Šostakovič ascolteremo la Sinfonia n. 5, pagina fra le sue più note ed accattivanti. Appartiene alla cultura squisitamente russa di Šostakovič Yurij Temirkanov, fra i direttori d’orchestra più carismatici di oggi, eccezionale virtuoso che giunge a Siena guidando quella formidabile legione di musicisti che è l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, della quale è direttore stabile da lunghi anni: per quello che è certo un concerto di spiccato valore internazionale, Temirkanov e la filarmonica sanpietroburghese propongono alcune fra le più seducenti pagine di Rimskij-Korsakov nonché un’indiscutibile pietra miliare della musica moderna come La Sagra della Primavera di Stravinskij. Tornando agli omaggi, Mozart viene onorato con un trittico di appuntamenti ravvicinati e carichi di significati. Da una parte, l’incursione nel mondo accattivante dei suoi lavori per violino e orchestra (i cinque Concerti, ma pure il più raro Concertone per due violini), affidata ad ensemble orchestrali nostrani di particolar pregio come l’Orchestra da Camera di Mantova e l’Orchestra da Camera Italiana con, rispettivamente, Giuliano Carmignola e Salvatore Accardo, entrambi presenti nel doppio ruolo di solista e direttore. Dall’altra, il Requiem, che da sempre è la partitura più rappresentativa di Mozart: lo propone, a suggello della Settimana, Gianluigi Gelmetti, confidando sulle qualificate forze professionali dell’Orchestra della Toscana, del Coro da Camera di Praga e di un quartetto di solisti che include anche Laura Polverelli e Juan Francisco Gatell. Infine, la Settimana Musicale torna ad ospitare il Premio Internazionale Chigiana. A ricevere il Premio è quest’anno il pianista inglese Paul Lewis, formatosi sotto la guida del suo mentore Alfred Brendel, vincitore di numerosi premi internazionali, e che a Siena, nella suggestiva Sala del Mappamondo di Palazzo Pubblico, si presenta con un programma per intero dedicato a Beethoven. Il Premio Internazionale Chigiana è un riconoscimento in piena sintonia con la filosofia della nostra Istituzione, da sempre fucina di qualificati talenti musicali: qui hanno studiato Luca Pfaff e Laura Polverelli, qui Salvatore Accardo e Giuliano Carmignola sono stati allievi e oggi sono maestri, così come qui Myung-Whun Chung e Yurij Temirkanov hanno tenuto per anni i loro corsi. Tutti nomi oggi protagonisti di questa 63esima Settimana Musicale Senese. 11 Il Palazzo Chigi Saracini, sede dell’Accademia Musicale Chigiana. 12 63a SETTIMANA MUSICALE SENESE Luglio 2006 7 venerdì Piazza Jacopo della Quercia ore 21,15 ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI MYUNG-WHUN CHUNG direttore Ravel La Valse; Ma mère l’Oye / Šostakovič Sinfonia n. 5 in re min. op. 47 8 sabato ore 21,15 9 domenica ore 18 Teatro dei Rozzi GIORGIO BATTISTELLI LES CENCI Teatro di musica da Antonin Artaud Adattamento del testo di Giorgio Battistelli Prima esecuzione italiana ORCHESTRA DELLA TOSCANA LUCA PFAFF direttore GEORGES LAVAUDANT regia In collaborazione col Théâtre de l’Odéon di Parigi 10 lunedì ORCHESTRA FILARMONICA DI SAN PIETROBURGO JURIJ TEMIRKANOV direttore Rimskij-Korsakov La grande Pasqua russa, ouverture op. 36 / Suite da Il gallo d’oro Stravinskij La sagra della Primavera Piazza Jacopo della Quercia ore 21,15 11 martedì Palazzo Pubblico Sala del Mappamondo ore 19 Premio Internazionale “Accademia Musicale Chigiana” 2006 (25ª edizione) PAUL LEWIS pianoforte Beethoven Sonata in sol magg. op. 79 / Sonata in si bem. magg. op. 106 “für das Hammerklavier” 13 12 mercoledì Chiesa di Sant’Agostino ore 20,30 ANTONIO VIVALDI L’ATENAIDE Dramma per musica in tre atti su libretto di Apostolo Zeno (in forma di concerto) Ruth Rosique Lopez soprano / Romina Basso mezzosoprano / Laura Rizzetto mezzosoprano / Franziska Gottwald mezzosoprano / Cristina Baggio soprano / Bartolo Musil baritono / Mark Tucker tenore ORCHESTRA BAROCCA DI VENEZIA ANDREA MARCON direttore 13 giovedì ORCHESTRA DA CAMERA DI MANTOVA GIULIANO CARMIGNOLA violinista e direttore Mozart Concerti in re magg. K. 211, in si bem. magg. K. 207, in re magg. K. 218 per violino e orchestra Chiesa di Sant’Agostino ore 21,15 14 venerdì Chiesa di Sant’Agostino ore 21,15 15 sabato Chiesa di Sant’Agostino ore 21,15 ORCHESTRA DA CAMERA ITALIANA SALVATORE ACCARDO violinista e direttore Mozart Concerto in sol magg. K. 216 per violino e orchestra / Concertone in do magg. K. 190 per due violini e orchestra / Concerto in la magg. K. 219 per violino e orchestra ORCHESTRA DELLA TOSCANA GIANLUIGI GELMETTI direttore Coro da Camera di Praga Pavel Vanek maestro del coro Anna Rita Taliento soprano / Laura Polverelli mezzosoprano / Juan Francisco Gatell tenore / Alessandro Guerzoni basso Mozart Requiem K. 626 per soli, coro e orchestra Concerto offerto alla cittadinanza dalla Banca Monte dei Paschi di Siena 14 15 Myung-Whun Chung. 16 Venerdì 7 luglio Piazza Jacopo della Quercia ore 21,15 Myung-Whun Chung direttore Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI MAURICE RAVEL Ciboure, Bassi Pirenei 1875 – Parigi 1937 La Valse Poema coreografico Ma mère l’Oye Cinque Pezzi infantili per orchestra Pavane de la Belle au bois dormante (Pavana della bella addormentata nel bosco) (Lent) Petit Poucet (Pollicino) (Très modéré) Laideronnette, Impératrice des Pagodes (Laideronnette, imperatrice delle pagode) (Mouvement de Marche) Les entretiens de la Belle et de la Bête (I dialoghi della Bella e della Bestia) (Mouvement de Valse très modéré) Le jardin féerique (Il giardino fatato) (Lent et grave) DMITRIJ DMITREVIČ ŠOSTAKOVIČ Pietroburgo 1906 – Mosca 1975 Sinfonia n. 5 in re minore op. 47 Moderato Allegretto Largo Allegro non troppo 17 RAVEL E ŠOSTAKOVIČ DANIELE SPINI La Valse un poema sinfonico ispirato agli Strauss e al valzer viennese Ravel aveva cominciato a pensare già nel 1906: “un grande valzer, una sorta di omaggio alla memoria del grande Strauss, non Richard, l’altro, Johann”, scrisse a un amico. “Conoscete la mia intensa simpatia per questi ritmi adorabili. E quanto stimi la gioia di vivere espressa dalla danza…”. Johann Strauss junior era morto da sette anni soltanto, Francesco Giuseppe regnava tranquillamente sul suo impero, popolato da sudditi che appartenevano a cinque religioni diverse, parlavano un numero ancora maggiore di lingue e usavano due differenti alfabeti, il mondo a tutto pensava fuor che a una possibile fine di tutto l’equilibrio politico e sociale che aveva dato all’Europa decenni di pace e una fioritura culturale senza eguali. Presto però Ravel virò verso un’altra identità storica del valzer, rendendo omaggio a Schubert con le Valses nobles et sentimentales del 1911. Il progetto sembrò rinascere nel 1914 (dopo che l’“altro” Strauss, Richard, aveva già innalzato al valzer dei suoi omonimi un monumento nel Rosenkavalier), con un titolo quanto mai significativo: Wien, Vienna. Troppo facile per noi oggi segnalarne la scarsa tempestività: il 28 giugno di quell’anno le pistolettate di Sarajevo aprirono per l’Europa e il mondo un capitolo storico in cui ci sarebbe stato ben poco posto per omaggi al valzer viennese. Ravel andò al fronte, a fare l’autista di ambulanze: si ammalò gravemente, cadde in una profonda depressione. Furono per lui anni aridi, sostanzialmente infecondi. Il ritorno alla composizione avvenne nel 1919, con il Tombeau de Couperin, dedicato a sette amici caduti in guerra. Subito dopo, dietro un suggerimento dell’impresario dei Ballets Russes Sergej Djagilev, toccò a La Valse, “poema coreografico”, terminato nel 1920. Il vecchio progetto rinasceva con ben altre premesse. La Vienna dei valzer non c’era più; o se c’era, poteva apparire come il monumento postumo di se stessa. Così Ravel delimita l’evocazione storico-sociale, pur chiarissima (l’indicazione di tempo al principio dell’opera è “Mouv[emen]t de Valse viennoise”: precisa prescrizione stilistica anche per l’esecutore; e il tema principale evoca comunque la melodia di un valzer di Johann Strauss junior, O A 18 Maurice Ravel in una caricatura di Aline Fruhauf. 19 schöner Mai), in un contesto armonicamente e timbricamente deformato, quasi a prendere le distanze dall’oggetto stesso della sua ricognizione. L’orchestra è ricchissima di colori: legni a tre, quattro corni, tre trombe, tre tromboni e tuba, due arpe e percussioni, contro un gruppo d’archi curiosamente limitato, almeno nelle indicazioni in partitura (sei primi violini, sei secondi, quattro viole, quattro violoncelli, due contrabbassi). Questo il “programma”, steso da Ravel stesso: “Nuvole turbinose lasciano intravedere a tratti alcune coppie che danzano il valzer. Le nuvole poco a poco si dissipano: si scorge una sala immensa, popolata da una folla volteggiante. Al fortissimo risplende la luce dei lampadari. Una corte imperiale, intorno al 1855”. Una traccia che a noi oggi (che forse abbiamo in mente più Carnet di ballo di Duvivier che non i Ballets Russes di Djagilev) sembra più cinematografica (ma allora il cinema non aveva né parole né musica) che non coreografica, e men che meno riferibile a un poema sinfonico secondo l’uso romantico. Domina comunque l’idea di un precisarsi progressivo dell’immagine, fino a un culmine sonoro e visivo dato dal fortissimo abbinato al bagliore dei lampadari: tant’è vero che l’ambientazione logistica e cronologica (“una corte imperiale, intorno al 1855” è data al lettore-ascoltatore soltanto alla fine; come se solo alla fine, appunto, si rivelasse a che cosa la musica abbia voluto alludere finora. Così procede la musica, che prende l’avvio nelle zone più gravi dell’orchestra, dipanandosi lungo un tessuto ritmico dapprima indistinto, poi sempre più decisamente identificato con lo schema metrico del valzer viennese, fino a esplodere in una autentica frenesia motoria nel vorticoso susseguirsi delle figurazioni. Ironia ed eleganza si incontrano in un gioco intellettuale che lascia emergere più i fattori ritmici e timbrici che non quelli melodici, quasi negando all’ascoltatore l’espressione esplicita di quella stessa nostalgia che un omaggio al valzer viennese scritto all’indomani della catastrofe poteva promettergli. Ravel dedicò La Valse a Misia Sert, sorella del suo grande amico Cipa Godebski e protagonista fra le più influenti della mondanità culturale e artistica parigina. Proprio in casa di Misia Sert, però, la nuova composizione aveva incontrato uno smacco non facile da dimenticare, quando nel febbraio 1920, presenti Igor Stravinskij e un giovanissimo Francis Poulenc, Ravel, insieme con la pianista Marcelle Meyer aveva fatto ascoltare a Djagilev La Valse (che ancora si chiamava Wien) nella versione per due pianoforti. “Caro Ravel, è un capolavoro, ma non è un balletto”, aveva sentenziato l’impresario. Ravel se ne andò in silenzio con la sua musica sotto- Gioventù viennese che balla il valzer nella prima metà dell’Ottocento. 20 21 braccio, interrompendo per sempre ogni rapporto con Djagilev. Ribattezzata La Valse, la partitura fu eseguita in concerto il 12 dicembre 1920 da Camille Chevillard, con l’Orchestre Lamoureux. In palcoscenico ci arrivò nel 1926, ad Anversa: ma fu soprattutto a Parigi, grazie a Ida Rubinstein, che La Valse si affermò anche come balletto, dal 1929 in poi. Frontespizio illustrato dei Racconti di Mamma Oca. 22 Ma mère l’Oye Come La Valse, la suite sinfonica Ma mère l’Oye è il risultato di una gestazione piuttosto lunga, in cui si intrecciano il pianoforte, l’orchestra, la danza e la famiglia Godebski. L’atto di nascita risale al 1908, quando Ravel, ospite di Cipa Godebski nella sua residenza di campagna, La Frangette, decise di scrivere una serie di pezzi infantili per pianoforte a quattro mani, dedicandola ai bambini del suo amico, Mimi e Jean Godebski, ai quali era solito la sera raccontare fiabe come quelle contenute nella celebre raccolta pubblicata nel 1697 da Charles Perrault, Contes de ma mère l’Oye (Racconti di Mamma Oca, dal nome della contadina che si suppone autrice dei racconti, la stessa Mother Goose di tante filastrocche e fiabe inglesi). Le Cinq pièces enfantines di Ravel si ispiravano alle fiabe della Bella addormentata nel bosco, appunto di Perrault, di Pollicino (ancora Perrault, citato in epigrafe: “Credeva di trovare facilmente il cammino per mezzo del pane che aveva seminato ovunque fosse passato; ma fu ben stupito non riuscendo a ritrovarne una sola briciola: erano venuti gli uccelli e avevano mangiato tutto”), di Laideronnette (la principessa Bruttina servita da cento piccole statuine di porcellana cinese - pagodes - nel racconto Il serpente verde di M.me D’Aulnoy, una “rivale” di Perrault: “Si spogliò e si mise nel bagno. Immediatamente pagode e pagodine si misero a cantare e suonare strumenti: alcune avevano tiorbe fatte con gusci di noce, altre viole fatte con gusci di mandorla; poiché bisognava pure che gli strumenti fossero proporzionati alla loro statura”), della Bella e della Bestia che fanno conversazione nel racconto di M.me Leprince de Beaumont, altra narratrice di fiabe, stavolta del Settecento (“‘Quando penso al vostro buon cuore, non mi sembrate così brutto.’ - ‘Oh! sì, signora! ho un buon cuore, ma sono un mostro.’ - ‘Vi sono molti uomini più mostruosi di voi.’ - ‘Se avessi un po’ di spirito vi farei un gran complimento per ringraziarvi, ma non sono che una bestia.’ …… ‘Bella, volete essere mia moglie?’ - ‘No, Bestia!...’ …… ‘Muoio contento poiché ho il piacere di rivedervi ancora una volta.’ - ‘No, cara Bestia, non morrete: vivrete per divenire mio sposo!...’ La Bestia era scomparsa ed ella non vide ai suoi piedi che un Principe più bello dell’Amore che la ringraziava per aver posto fine al suo incantesimo”), e genericamente alle Fate nel cui giardino si conclude l’itinerario fantastico proposto ai due bimbi. Con abilità stupefacente Ravel riuscì a sintetizzare un’intuizione poetica di eccezionale sottigliezza e una ricerca stilistica raffinatissima nella scrittura semplicizzata all’estremo di un quattromani infantile, dato che era sua intenzione che gli interpreti della prima esecuzione fossero i bambini stessi, che all’epoca avevano rispettiva- 23 Due illustrazioni ottocentesche per la fiaba di Pollicino. 24 mente nove e sette anni. Con indicibile sollievo della piccola Mimie (che in età adulta ricordò l’episodio in una pagina autobiografica) gli esecutori furono scelti altrimenti. Si trattò pur sempre di interpreti in erba: a presentare al pubblico Ma mère l’Oye il 20 aprile 1910 alla Salle Gaveau, nel corso del primo concerto della neonata Société Musicale Indépendante, furono la quattordicenne Geneviève Durony e l’appena undicenne Jeanne Leleu. Una collocazione ben seriosa per una suite ufficialmente ad usum infantium: di fatto Ravel aveva sentito questa esigenza di miniaturizzazione come una di quelle sfide in cui la sua ispirazione trovava sempre l’esca migliore. Dalle linee terse e scorrevoli della Belle au bois dormant alla narrazione asettica ma favolosa di Petit Poucet all’incredibile virtuosismo stilistico delle cineserie di Laideronnette, al valzer sospeso e misuratissimo de La Belle et la Bête, fino all’apoteosi rapidissima del conclusivo Jardin féerique è proprio l’autolimitazione quasi feroce dei mezzi a stimolare di più l’abilità di quell’orologiaio magico che sembra sempre essersi nascosto dietro i mezzi sorrisi enigmatici di Ravel. A far trapassare anche Ma mère l’Oye dal pianoforte all’orchestra fu Jacques Rouch, il direttore del Théâtre des Arts, in cerca di una partitura di balletto tutta francese in grado di competere con i Ballets Russes di Djagilev. Ravel orchestrò i cinque pezzi di Ma mère l’Oye aggiungendovi un preludio, una sesta scena e quattro interludi, adattando questa sostanza musicale a un canovaccio che incorniciava l’azione tra due quadri riferiti alla favola della Bella addormentata e collocati rispettivamente al principio e alla fine. In questa forma Ma mère l’Oye andò in scena il 28 gennaio 1912 con la coreografia di Jeanne Hugard e la direzione di Gabriel Grovlez. In seguito Ravel preferì ricondurre anche questa versione all’articolazione originale in cinque movimenti, estraendone la suite che si esegue di solito in concerto, e che ripete l’organizzazione limpidissima della pagina infantile rivestendola però dei colori fantasmagorici di cui era capace un mago dell’orchestrazione come lui: una dilatazione nello spazio sonoro che senza violentare la semplicità dell’originale ne porta in luce le grandi potenzialità che vi stavano in certo senso annidate. Sinfonia n. 5 in re minore op. 47 Passare da Ravel a Šostakovič significa affrontare due mondi abbastanza distanti tra loro: cronologicamente, geograficamente, culturalmente. Ravel ci ha portato in una Parigi ribollente di novità in tutti i campi della cultura, dalla letteratura alle arti figurative, dal teatro alla danza. Con la Quinta sinfonia di Šostakovič siamo nel 1937, in un momento fra i più duri per la cultura sovietica, costretta 25 a fare i conti da vicino, e assai concretamente, con la pesante ingerenza del potere nelle cose della cultura e dell’arte. Dmitrij Šostakovič ha trentun anni. Ha alle spalle una giovinezza tumultuosa, vulcanica, che lo ha caratterizzato come uno dei protagonisti più precoci e vivaci di un’avanguardia incendiaria quale quella che ha animato la Russia negli anni Venti. E da principio questa vocazione rivoluzionaria ha convissuto felicemente con il quadro di novità e di sperimentazione vissuto dall’Urss nel primo periodo della sua storia, estendendo alla cultura e all’arte gli entusiasmi e le aspirazioni della Rivoluzione d’Ottobre. Ne è stato documento folgorante nel 1930 Il naso, da Gogol’. Ma poi, con il consolidarsi del regime staliniano, la situazione è peggiorata decisamente, e Šostakovič è incorso in un infortunio che potrebbe costargli caro. Nel 1936 ha portato in scena un’opera, Una lady Macbeth del distretto di Mzensk. È una storia cruda, di passioni animalesche, di degradazione, di violenza psicologica e fisica, sullo sfondo di una Russia contadina ottusa e priva di ideali, raccontata da una musica Dmitrij Šostakovič. 26 Monumento ai caduti di Leningrado. 27 aspra, incalzante, esplosiva: uno dei capolavori del teatro musicale del Novecento, accolto lì per lì da grande successo. Ma anche Stalin è andato a vederla, e improvvisamente per Šostakovič le cose si sono messe male: il dittatore ha abbandonato ostentatamente il teatro, indignato di fronte a un’opera che sembra mettere in crisi i valori morali di una Russia austera e patriarcale, con la quale il regime intende mostrarsi in continuità. Poco dopo la “Pravda” l’ha stroncata, definendola “Caos, anziché musica”. È il tempo delle purghe, che coinvolgono e travolgono tanto gli oppositori politici di Stalin quanto gli intellettuali e gli artisti che sembrano distaccarsi dai canoni del regime. L’accusa è quella, poco men che infamante in quel clima, di “formalismo”. Šostakovič ha appena composto la sua Quarta sinfonia: un’opera grandiosa, animata, innovativa fino a rischiare di apparire provocatoria. Di fronte a questo minaccioso segnale da parte del potere opta per la prudenza: ritira la partitura, quando già sono cominciate le prove della prima esecuzione (dovrà aspettare fino al 1961, per poterla ascoltare), e cerca rapidamente di rifarsi un’immagine con un’altra sinfonia, la Quinta, in qualche modo più tranquilla e positiva. Otterrà il suo scopo, riscuotendo un grande successo senza pagare lo scotto che si sarebbe potuto temere. La nuova sinfonia nasce nel 1937, fra aprile e luglio. Šostakovič imposta l’opera su uno schema abbastanza tradizionale, articolato in quattro movimenti ma sovvertendo la successione canonica di quelli centrali (piazzando cioè lo scherzo, o ciò che ne fa le veci, prima del tempo lento), e la mantiene entro limiti di durata accettabili, senza dilatarne la forma come ha fatto con la Quarta. Il tema principale del Moderato iniziale scorre su intervalli ampi, ed è costruito come un canone. Il secondo è più cantabile, sempre secondo tradizione. Segue uno sviluppo drammaticissimo, che impegna tutte le sezioni dell’orchestra in elaborazioni serrate, conflittuali, portando le sonorità degli ottoni a culmini quasi violenti, disegnando un clima decisamente tragico. Il movimento si chiude in un clima sospeso, con il canto del violino solo che muore contro le scale cromatiche della celesta. Forse una citazione, certo un ricordo di un analogo episodio in Mahler, come testimonia il ricordo di Edison Denisov, il più celebre allievo di Šostakovič: “Diceva di aver sentito sei o sette volte di fila Il canto della terra di Mahler, quando era a letto ammalato, fino a impararlo a memoria. Già prima […] lo avevo sentito affermare che l’ultimo tempo del Canto della terra era il pezzo più geniale mai scritto in tutta la storia della musica […]. Scherzava sul fatto che Mahler avesse rappresentato l’eternità con il timbro della celesta”. L’Allegretto successivo ci riporta ancora a Mahler, con le sue movenze di danza oscillanti fra spensieratezza e sarcasmo. Il Largo si propone come una delle 28 Una caricatura di Dmitrij Šostakovič. 29 pagine più intense di Šostakovič, segnata da una cantabilità pura, elementare. Nel finale, Allegro non troppo, è evidente l’ambizione di disegnare una risoluzione in positivo della drammaticità che ha segnato i tempi precedenti, confermando come l’argomento della sinfonia sia “lo sviluppo della personalità umana”, come avverte Šostakovič stesso, che così chiarisce le sue intenzioni: “Al centro della composizione, concepita liricamente dal principio alla fine, ho posto un uomo e tutta la sua esperienza; il Finale risolve in ottimismo e gioia di vivere gli impulsi e la tensione tragica del primo movimento. Presentata da Šostakovič stesso con il sottotitolo “Risposta pratica di un compositore a una giusta critica”, la Quinta sinfonia fu eseguita per la prima volta il 21 novembre 1937 a Leningrado nel ventesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, sotto la direzione di Evgenij Mravinskij. Il regime ammise che l’opera era consona all’estetica del Realismo Socialista e Šostakovič fu riabilitato. Il successo fu comunque entusiastico, da parte di un pubblico eccezionalmente commosso. Se gli ambienti ufficiali riconobbero nel lavoro e nelle linee programmatiche esposte da Šostakovič un’adesione (sincera o meno che potesse essere) a un ottimismo celebrativo ormai obbligatorio, forse questo itinerario affermativo può esser letto invece come epilogo positivo dello scontro con una condizione culturale e politica angosciante quale Šostakovič stava vivendo così come il paese intero, che con quest’opera volle identificarsi immediatamente. Più tardi, quando l’Urss e il mondo erano molto cambiati, Šostakovič precisò meglio il significato del suo finale e dell’intera sinfonia: “Mi sembra chiaro che cosa accada davvero nella Quinta. Il giubilo è forzato, indotto da una costrizione, proprio come nel Boris Godunov. È come se qualcuno ti battesse con un bastone e intanto ti ripetesse ‘Devi giubilare, devi giubilare…’. Ti rialzi tremando, con le ossa rotte, e riprendi il cammino borbottando ‘Dobbiamo giubilare, dobbiamo giubilare”. Così anziché prodotto ossequioso di una retorica reazionaria e celebrativa, la Quinta ci si presenta oggi come il frutto pregevole e geniale e originale di una prima maturità creativa di Šostakovič: per le scoperte evocazioni del vissuto che fanno di lui il primo vero - e consapevole - epigono di Gustav Mahler, come per le estroversioni ritmiche e foniche che lo identificano a ogni effetto tra i protagonisti più forti e caratterizzati delle inquietudini e dell’ansia di ricerca del secolo scorso; per l’immediatezza comunicativa delle sue ansie espressive come per la solidità poderosa di un impianto compositivo complesso, degno e consapevole erede del maggior sinfonismo ottocentesco europeo; per l’assunzione di formule melodiche e ritmiche chiaramente ispirate alla tradizione russa come per la ric- 30 chezza delle suggestioni culturali. Quanto e con quali conseguenze il conflitto di Šostakovič con il potere politico e culturale abbia influito sulle sue scelte artistiche, resta difficile da stabilire, anche alla luce di quanto è stato lasciato scritto da lui stesso a questo proposito. Certamente oggi Šostakovič, ben lungi dall’apparirci un rètore un po’ opportunista, se non cinico addirittura, come per molto tempo lo ha etichettato parte della cultura occidentale, ci si rivela anche e proprio con le sue ambiguità (oppositore ossequente, modernista e conservatore) come uno dei testimoni più autentici del disagio proprio di ogni artista del Novecento. Stalin in un ritratto del 1934. 31 MYUNG-WHUN CHUNG Ha iniziato la carriera musicale come pianista, debuttando all’età di sette anni con la Seoul Philharmonic. Nel 1974 ha vinto il secondo premio al Concorso pianistico Čajkovskij di Mosca. Completati gli studi musicali alla Juilliard School di New York, nel 1978 è divenuto Assistente e poi Direttore associato di Carlo Maria Giulini alla Los Angeles Philharmonic. Direttore musicale all’Orchestra della Radio di Saarbrücken dal 1984 al 1990, Direttore ospite principale del Teatro Comunale di Firenze dal 1987 al 1992, Direttore musicale all’Opéra di Parigi dal 1989 al 1994, è dal 1997 Direttore principale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Nel 2000 ha assunto inoltre la Direzione musicale dell’Orchestre Philharmonique de Radio France. Ha diretto le più prestigiose orchestre europee e statunitensi, fra cui i Berliner Philharmoniker, il Concertgebouw di Amsterdam, la London Symphony, l’Orchestra Filarmonica della Scala, i Wiener Philharmonique, la Chicago Symphony e la New York Philharmonic. Artista esclusivo della Deutsche Grammophon dal 1990, le sue numerose produzioni hanno spesso ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti dalla critica musicale. Le sue recenti incisioni includono una serie dedicata a Dvořák realizzata con i Wiener Philharmoniker ed una serie di musica sacra con l’Orchestra di Santa Cecilia. Fra i riconoscimenti alla sua attività artistica si ricordano il Premio Abbiati e il Premio Arturo Toscanini in Italia, il titolo di “Artista dell’anno” nel 1991 attribuitogli dall’Associazione dei Teatri francesi, la “Legion d’Onore” nel 1992 da parte del Governo francese per il contributo dato all’Opéra di Parigi, l’attribuzione per tre volte del Premio “Victoire de la Musique”. Nel 2002 è stato nominato Accademico Onorario dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Parallelamente alla sua attività musicale, è impegnato in iniziative di carattere umanitario e di salvaguardia dell’ambiente. Dal 1992 è Ambasciatore per il “Drug Control Program” alle Nazioni Unite (UNDCP). Nel dicembre 1995 è stato nominato “Man of the Year” dall’UNESCO e nel 1996 il Governo della Corea gli ha conferito il “Kumkuan”, il più importante riconoscimento in campo culturale. Attualmente ha l’incarico di Ambasciatore onorario per la Cultura per la Corea, il primo nella storia del Governo del suo Paese. Myung-Whun Chung nel 1995 e 1996 ha tenuto il corso di Direzione d’orchestra presso l’Accademia Chigiana dove peraltro nel 1976 fu allievo di Franco Ferrara. ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI Le origini dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai risalgono al 1931, quando a Torino fu fondato il primo complesso sinfonico dell’Ente radiofonico pubblico a cui si aggiunsero successivamente le Orchestre di Roma, Milano e Napoli. Nel corso degli anni, alla guida delle varie compagini orchestrali si sono succeduti tutti i principali direttori del momento, da Vittorio Gui a Wilhelm Furtwängler, da Herbert von Karajan ad Antonio Guarnieri, da Igor Stravinskij a Leopold Stokowski, Sergiu Celibidache, Carlo Maria Giulini, Mario Rossi, Lorin Maazel, Thomas Schippers, Zubin Mehta, Wolfgang Sawallisch. Con le quattro orchestre si presentarono al pubblico nelle prime prove importanti Claudio Abbado, Riccardo Chailly, Riccardo Muti e Giuseppe Sinopoli. Nel 1994 le quattro orchestre furono riunite a Torino. La nuova istituzione sinfonica della Rai fu ufficialmente tenuta a battesimo da Georges Prêtre e 32 da Giuseppe Sinopoli. Da allora all’organico originario si sono aggiunti molti fra i migliori strumentisti delle ultime generazioni. Dal 1996 al 2001 Eliahu Inbal è stato Direttore onorario dell’Orchestra. Dal settembre 2001 Rafael Frühbeck de Burgos è Direttore principale. Jeffrey Tate è stato Primo direttore ospite dal 1998 al 2002, assumendo quindi il titolo di Direttore onorario. Dal settembre 2003 Gianandrea Noseda è Primo direttore ospite. Altre presenze significative sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai sono state quelle di Carlo Maria Giulini, Wolfgang Sawallisch, Mstislav Rostropovič, Myung-Whun Chung, Riccardo Chailly, Lorin Maazel, Zubin Mehta, Yuri Ahronovitch, Marek Janowski, Dmitrij Kitaenko, Aleksandr Lazarev, Valerij Gergiev, Gerd Albrecht, Yutaka Sado, Mikko Franck. L’Orchestra tiene a Torino regolari stagioni, affiancandovi spesso cicli primaverili o speciali: fra questi fortunatissimo quello dedicato alle sinfonie di Beethoven dirette da Rafael Frühbeck de Burgos nel giugno 2004. Dal febbraio 2004 si svolge a Torino il ciclo “Rai NuovaMusica”: una rassegna dedicata alla produzione contemporanea che presenta in concerti sinfonici e da camera prime esecuzioni assolute, molte delle quali di opere composte su commissione, o per l’Italia. l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai suona anche molto spesso in concerti sinfonici e da camera nelle principali città e nei festival più importanti d’Italia. Abituali ormai le sue presenze a Torino Settembre Musica, alla Biennale di Venezia e alle Settimane Musicali Internazionali di Stresa. Numerosi e prestigiosi anche gli impegni all’estero: fra questi le tournées in Giappone, Germania, Inghilterra, Irlanda, Francia, Spagna, Canarie, Sud America, Svizzera, Austria, Grecia ed exJugoslavia e l’invito a suonare il 26 agosto 2006 nel concerto conclusivo del Festival di Salisburgo. L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai ha inoltre preso parte a eventi particolarmente significativi, come la Conferenza Intergovernativa dell’Unione Europea svoltasi a Torino, l’omaggio per il Giubileo Sacerdotale di Giovanni Paolo II in piazza San Pietro a Roma, il Concerto di Solidarietà con la Città di Torino per la ricostruzione della Cappella del Guarini, i concerti per la Festa della Repubblica (in molte edizioni dal 1997 a oggi) e il Capodanno 2000 nella piazza del Quirinale, tutte manifestazioni trasmesse in diretta televisiva. Altro tradizionale appuntamento è il Concerto di Natale ad Assisi nella Basilica Superiore di San Francesco. Il 3 e 4 giugno del 2000, in diretta su RaiUno e in mondovisione, l’Orchestra è stata protagonista dell’evento televisivo “Traviata à Paris”, con la direzione di Zubin Mehta. Questa produzione della Rai ha conseguito nel 2001 l’Emmy Award per il miglior spettacolo musicale dell’anno e il Prix Italia come miglior programma televisivo nella categoria dello spettacolo. Il 27 gennaio 2001 l’Orchestra ha aperto ufficialmente in diretta televisiva su RaiTre le celebrazioni per il centenario della morte di Giuseppe Verdi, eseguendo nella Cattedrale di Parma la Messa da Requiem sotto la direzione di Valerij Gergiev. Il 23 ottobre 2005 Rafael Frühbeck de Burgos e l’Orchestra hanno eseguito il concerto di riapertura del restaurato Auditorium “Domenico Scarlatti” di Napoli della Rai. Tutti i concerti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai sono trasmessi da Radio3. Molti sono ripresi anche in televisione e trasmessi da RaiTre. L’Orchestra svolge una ricca attività discografica, specialmente in campo contemporaneo. Dai suoi concerti dal vivo sono spesso ricavati CD e DVD. 33 Giorgio Battistelli. 34 Sabato 8 luglio, ore 21,15 Domenica 9 luglio, ore 18 Teatro dei Rozzi GIORGIO BATTISTELLI Albano Laziale 1953 Les Cenci (I Cenci) Teatro di musica da Antonin Artaud Adattamento del testo di Giorgio Battistelli Editore Casa Ricordi - BMG Prima esecuzione italiana Luca Pfaff direttore Orchestra della Toscana Georges Lavaudant regia Jean-Pierre Vergier costumi Personaggi e interpreti Cenci André Wilms attore Lucrétia Dany Kogan attrice Béatrice Astrid Bas attrice Orsino Gilles Arbona attore BH Service (Ferrara) live electronics Alvise Vidolin e Davide Tiso regia del suono Allestimento scenico del Théâtre de l’Odéon di Parigi Rémi Vidal direttore di scena / Xavier Baron elettricista / Jennifer Ribière sarta / Silvie Cailler truccatrice In collaborazione con il Théâtre de l’Odéon di Parigi L’opera è trasmessa in diretta dalla RAI - Radio3 35 GIORGIO BATTISTELLI: DELLA MUSICA-TEATRO IVANKA STOIANOVA utore di una ventina di opere destinate alla scena musicale, di numerosi pezzi per orchestra e per diverse formazioni da camera, Giorgio Battistelli si impone come il maestro italiano della musica–teatro. Infatti le sue opere sceniche – Experimentum mundi, Jules Verne, Keplers Traum, Teorema o Richard III – ma anche i suoi lavori per orchestra come Anarca, La fattoria del vento, Il y a un firmament o After thought / about a tragedy o i suoi pezzi di musica da camera come Anima, Comme un opéra fabuleux, Psychopompos o Uno e trino – elaborano, con mezzi diversi e in contesti diversi, una teatralità musicale a diverse dimensioni. Destinati che siano alla scena o non, i lavori di Giorgio Battistelli possiedono sempre una dimensione teatrale: visti o semplicemente ascoltati, essi sono già teatro per le orecchie, teatro che attraverso la molteplicità delle sue suggestioni incita all’esplorazione di universi immaginari sempre aperti. Contrariamente a Mauricio Kagel degli anni 1960–70, con il suo interesse esclusivo per la materia suono–gesto, o a Georges Aperghis che lavora soprattutto su un terreno astratto; contrariamente ad Hans–Werner Henze, sempre fedele alla narrativa unidirezionale del libretto o a Luigi Nono, fortemente attratto dal messaggio ideologico esplicito o dalla spazializzazione interiorizzata della “tragedia dell’ascolto”, Battistelli cerca il più delle volte l’embricatura densa di molteplici narrazioni lineari – strategia più vicina a quella di Luciano Berio – e l’elaborazione di strutture narrative multidimensionali: sempre sottomesse all’intenzionalità soggiacente del pensiero sinfonico – cioè della “drammaturgia del suono” (Battistelli) – e sempre esplorabili in diverse direzioni. Per questo i suoi lavori destinati alla scena si staccano definitivamente dall’unidimensionalità della scrittura figurativa tratta dall’esperienza dell’avanguardia degli anni ’60 ma anche dall’osservazione autocompiaciuta della materia sonora divenuta la definizione stessa di un buon numero delle attuali ricerche scientifico–musicali. Per essere sempre alla ricerca di sistemi pluridimensionali aperti: cioè adatti ad integrare esperienze imprevedibili di natura fortemente divergente ed estranee a tutti gli schemi formali preesistenti. Le prime opere teatrali di Battistelli – Omaggio a Pulcinella (1975), opera di teatro acustico napoletano, Experimentum mundi A 36 (1981), musica “immaginistica” e Linzer Stahloper (1982), teatro musicale – rivelano, con mezzi molto diversi e risultati musicali e scenici non confrontabili, lo stesso radicamento “terreno”: lo spettacolo musico–teatrale è un’elaborazione artistica di un’esperienza vissuta quotidianamente. Il teatro musicale infatti oggettiva e afferra immediatamente il parlare del dialetto napoletano in Omaggio a Pulcinella, il lavoro ritmato di diciassette artigiani di paese in Experimentum mundi, il funzionamento di un’officina con i suoi sessantacinque operai meccanici e metallurgici nella Linzer Stahloper. Per riflettere, decontestualizzandolo, ma anche per aprirsi a nuove forme d’espressione musicale, ciò che si manifesta oggettivamente nel vissuto quotidiano. Scegliendo la via della sperimentazione con la vita reale, il compositore si pone un compito ambizioso: dare al passato o alla quotidianità banale un’importanza attuale, mettere in evidenza l’ampiezza del presente e proporre – all’interprete e allo spettatore – occasioni propizie per afferrare il presente in quanto divenire, aiutarlo a vedere l’immediatezza del suo vissuto quotidiano sotto l’aspetto di un “futuro autentico”.1 Strumentista–percussionista, Battistelli è estremamente sensibile al gesto–produttore di suono e alla sua teatralità esplicita. Ma anche alla teatralità vocale. Successore diretto di Luciano Berio (pensiamo a Visage, Sequenza III, Circles, Recital for Cathy e alle opere sceniche), Battistelli cerca di elaborare il proprio stile di scrittura vocale. Le sue opere Aphrodite (1983), “monodramma di costumi antichi”, Ascolto di Rembrandt (1991) per voce, piccola orchestra e nastro magnetico tratta da due quadri di Rembrandt e da due poesie di Guido Ceronetti, oltre a Frau Frankenstein (1993) “monodramma del Prometeo” moderno tratto dal romanzo nero di Mary Shelley Frankenstein o il moderno Prometeo, mettono in evidenza l’illimitatezza dell’esplorazione dell’espressività vocale. Direttamente ispirato dal “romanzo di modi antichi” Aphrodite (1896) di Pierre Louÿs, 2 l’opera di Battistelli Aphrodite (1983), “monodramma di costumi antichi” per attrice, flauti, arpa e tre percussionisti, rinuncia totalmente ai princìpi dell’opera letteraria. Per 1 2 E. Bloch, Experimentum mundi, Payot, Paris, 1981, p. 86-87. P. Louÿs (1870-1925) è anche l’autore delle Chansons de Bilitis (1895) (musicate nel 1897-98 da Claude Debussy) che furono presentate all’origine come una scoperta della letteratura ellenistica, provocando, con questo, un vero scandalo nell’ambiente filologico. Molto vicino alla sensibilità di Gabriele D’Annunzio - con l’estetismo e l’erotismo esacerbati, la deliberata provocazione contro il moralismo e l’ipocrisia, il gusto marcato per un’antichità ideale, ecc. Pierre Louÿs fu molto apprezzato da D’Annunzio per il suo romanzo Aphrodite. 37 diventare teatro sperimentale in monologo: ricerca sulla voce e sui colori – vocali–strumentali – della sensualità. Sopprimendo completamente la narrazione cronologica del romanzo e riducendo i suoi personaggi alla sola protagonista – Chrysis, doppio umano della dea Afrodite – Battistelli inventa un’anamorfosi dell’opera letteraria, un monodramma–oscillogramma dell’erotismo, come se seguisse l’apologia della sensualità che Pierre Louÿs scrive nella prefazione del suo libro: “[…] La sensualità è la condizione misteriosa, ma necessaria e creatrice, dello sviluppo intellettuale. Coloro che non hanno sentito fino al limite, sia per amarle, sia per maledirle, le esigenze della carne sono proprio per questo incapaci di comprendere tutta l’estensione dell’esigenza dello spirito”. 3 Fortemente attratto fin dalla giovinezza dal romanzo di Louÿs, Battistelli scopre, nel pasticcio erudito della civiltà alessandrina, nella molteplicità dei caratteri (pseudo–antico, esotico, liberty), nella costruzione del romanzo con il suo erotismo ed estetismo decadente, nel tipo di immaginario, nei colori e nei sapori sensuali di Louÿs, un aspetto quasi postmoderno. E la sua apologia musico–teatrale della sensualità – “il genio dei popoli”, citato da Pierre Louÿs – diviene esplorazione estremamente raffinata della vocalità in un genere ambiguo, esitando in modo particolarmente attraente fra il teatro di prosa (la protagonista è un’attrice e non una cantante) e il teatro lirico. La evidenziazione sonora della relazione eros–musica passa necessariamente attraverso la frammentazione, attraverso lo spezzettamento, attraverso le interruzioni inattese del testo, attraverso le emissioni vocali prive di significato linguistico, ma ricche di emozione, attraverso l’espressività fonica averbale, traducendo direttamente la sensualità in suono. Il prolungarsi dello stesso tipo di ricerca di espressività vocale si può osservare in Ascolto di Rembrandt (1991) per voce, piccola orchestra e nastro magnetico ispirata a due noti quadri del pittore – l’incisione Donna seminuda (1658) e il ritratto a olio Il filosofo (1631) – ma anche a due poesie di Guido Ceronetti nate dall’osservazione di queste due opere di Rembrandt.4 Anch’essa destinata ad un’attrice–cantante, Ascolto di Rembrandt allarga considerevolmente la ricerca vocale insistendo sempre sulla corporeità fisica del suono che diventa fondamento drammaturgico dell’opera. Contrariamente al monologo quasi sistematicamente mantenuto da Chrysis in Aph- 3 4 P. Louÿs, Aphrodite, Tallandier Ed., Paris, 1896, p. XI. G. Ceronetti, Nudo di matura donna seduta accanto una stufa, Il filosofo di Rembrandt in Compassioni e disperazioni, Einaudi, Milano, 1987. 38 rodite, il monodramma vocale Ascolto di Rembrandt si gioca continuamente fra più personaggi: prima di tutto fra i due protagonisti, il vecchio filosofo e la donna seminuda che si asciuga. Ma anche fra questi personaggi e la voce dell’osservatore–pittore Rembrandt; o quella dell’osservatore–poeta Ceronetti; o ancora quella dell’osservatore–compositore Battistelli. All’ascolto del mistero di Rembrandt, divenuto ai nostri occhi “come una formula esoterica che si può comprendere grazie all’ascolto dei personaggi, fantasmi, simboli e emblemi che vivono come prigionieri di un altro mondo”,5 la parte vocale dell’opera di Battistelli diviene il ricettacolo magico di tutte le voci, di tutte le emissioni vocali atte a trasmettere l’emozione del contatto diretto – tattile, visivo, auditivo, sensuale – con la “luce auricolare”6 presente nell’universo misterioso di Rembrandt. Il rapporto fra le due opere di Rembrandt e i due testi poetici all’interno della “drammaturgia invisibile”7 ma udibile dell’opera di Battistelli, conferma una delle caratteristiche primigenie della sua ricerca di compositore: la necessità di inventare universi immaginari molteplici, densi di materie divergenti esplorabili in molteplici direzioni, proponendo agli ascoltatori–spettatori numerosi punti di proiezione dell’immaginario e, perciò, di numerose istanze di identificazione. Frau Frankenstein (1993), “monodramma del Prometeo moderno” su testo di Battistelli dal romanzo nero Frankenstein o il moderno Prometeo (1816) di Mary Shelley,8 è il secondo monodramma di Battistelli destinato a un protagonista, attore o attrice secondo le circostanze. E se Aphrodita, dal romanzo di Pierre Louÿs, diventa una radiografia vocale–strumentale della sensualità, Frau Frankenstein esplora “le sfere impure della fantasia e della psiche” (Battistelli). Scritto per rispondere a una famosa sfida lanciata da Lord Byron durante una serata memorabile che riuniva alcuni amici fra i quali Shelley e sua moglie Mary, il romanzo Frankenstein o il moderno Prometeo racconta la storia inquietante dello scienziato Victor Frankenstein che costruisce con parti di cadaveri “la creatura”: un essere terrificante capace di sentire, pensare, parlare e che perseguita il suo creatore fino al Polo Nord, diventando l’angelo 5 G. Battistelli, “Théâtre de la mémoire”, in Ascolto di Rembrandt, XLIII Premio Italia, Urbino/Pesaro, 1991, RAI. 6 G. Battistelli, Ibid. 7 G. Battistelli, Ibid. 8 Mary Wollstonecraft (1797-1851), moglie del celebre poeta romantico inglese P.B. Shelley, ha solo 19 anni all’epoca in cui scrive suo romanzo divenuto celebre. 39 della morte per tutta la famiglia Frankenstein. Effettivamente il romanzo di Mary Shelley “non è una storia fantastica o un racconto di fantascienza, ma qualcosa di più serio, di più ermetico, di più filosofico” (Battistelli). È anche una parabola nera sulla ricerca scientifica irresponsabile che porta alla catastrofe: il dio, genio del fuoco, creatore dell’uomo e rapitore del fuoco, Prometeo, appare qui nella sua versione “nera”. È lo scienziato ossessionato che consacra la sua vita e la sua ricerca al bene, ma crea ineluttabilmente del male. La protagonista dell’opera è la voce umana: quella della narratrice Mary Shelley che descrive la sua esperienza di scrittura e che esterna “le pulsioni dei propri incubi”, amplificati e inseriti nel contesto sonoro dal gruppo strumentale e dallo sviluppo spaziale. È il suono della globalità – cioè la materia vocale–strumentale rappresentata – che assume interamente la funzione drammaturgica. I comportamenti vocali senza significato – suono soffiato, bisbigliato, gridato, pianto, ecc. – i tremoli e i glissando degli archi, le irruzioni violente e gli intrecci misteriosi delle percussioni, le brusche esplosioni degli ottoni, i silenzi carichi di tensione, ecc. – sono fra gli efficaci procedimenti destinati a immergerci nel mondo fuori dal tempo del globo d’orrore fatto dalle paure più cupe della nostra natura profonda. L’elaborazione di una moltitudine di elementi, in Battistelli sempre al servizio dell’espressione, corrisponde alla sua ricerca permanente di un lingua nuova, originale, carica di affetti ed essenzialmente disparata che detiene tutte le possibilità di linguaggio. E se la sperimentazione con le emissioni vocali in Aphrodita segue sistematicamente la guida immaginaria monologica ispirata al romanzo di Pierre Louÿs, se Ascolto di Rembrandt apre lo spazio intertestuale navigando fra due quadri di Rembrandt e due poesie di Ceronetti sulla base di una complementarietà dei messaggi,9 le opere di teatro musicale come la “fantasia da camera” Jules Verne (1984–85) o la “rappresentazione del corpo e della memoria” Combattimento di Ettore e Achille (1988–89) sono dei veri viaggi immaginari nella memoria o all’interno di se stessi attraverso una moltitudine di spazi letterari e musicali divergenti. La “fantasia musico–teatrale” Jules Verne , scritta per il celebre gruppo di percussionisti Le Cercle (J.–P. Drouet, G. Sylvestre e W. Coquillat), è liberamente ispirato a tre romanzi di Jules Verne: Viaggio al centro della terra, Ventimila leghe sotto i mari e Cinque settimane in pallone, appartenenti alla serie dei Viaggi straordinari. La “rappresentazione del 9 Un po’ alla maniera di L. Nono ne La terra è la compagna, su due poesie di C. Pavese. 40 corpo e della memoria” Combattimento di Ettore e Achille10 effettua il viaggio di Ettore e Achille nella memoria del tempo attraverso frammenti di testi di Omero, Tirso de Molina, Goethe, Schiller, Shakespeare, J. Du Bellay, Racine, Stazio, Quintus, Monti, Leopardi, Foscolo, Chiabrera, Ariosto, Catullo, Ronsard e Valéry in inglese, spagnolo, francese, tedesco, italiano… La moltiplicazione dei percorsi narrativi all’interno dell’opera di teatro musicale significa infatti spazializzazione e mobilizzazione dall’interno della narratività piatta a una dimensione. Nel contesto degli spettacoli musico–teatrali di Battistelli, la sequenza narrativa orientata non è soppressa ma molto spesso moltiplicata, messa in relazione con altri percorsi narrativi organizzati. La sovrapposizione e l’interazione di questi diversi livelli di narrazione rendono possibili i viaggi immaginari fra diversi livelli di discorso, i continui cambiamenti di livelli compositivi, generatori – inevitabilmente – di interpretazioni diverse nel momento dell’ascolto–lettura. Le opere musico–teatrali di Battistelli dove si fondono diversi percorsi narrativi si definiscono molto spesso come “teatro della memoria”;11 non racconto storico, ma racconto o insieme di racconti di fantasia, luoghi onirici aperti dove ribolle l’immaginario. La dimensione acronica, configurazionale sottomette qui la dimensione cronologica delle sequenze direzionali. I molteplici racconti – racconti di finzione – in Battistelli si dispiegano in altezza e in profondità “esplorando a 360°” (Battistelli), “in drammaturgia in dimensione sferica”,12 divenendo teatri–“globi”.13 È questa neces- 10 Si pensa, certamente, alla celebre Rappresentazione di Anima e di Corpo (1600) del compositore romano E. Cavalieri (1550-1602), considerata un oratorio nello “stile rappresentativo” che imita il più possibile il ritmo e la melopea del testo. E anche al celeberrimo Combattimento di Tancredi e Clorinda (1624), cantata drammatica di Monteverdi (1567-1643) appartenente all’Ottavo Libro di madrigali guerrieri e amorosi. Nemico della purezza, Battistelli a proposito del suo Combat d’Hector et Achille dice che è un “intruglio di testi”. Cfr. “Au pays de la Magie…” / Entretien de Fr. Mallet avec G. Battistelli, in Impressions d’Afrique, Programma dell’Opéra du Rhin, Strasbourg, 2001, p. 11. 11 Ispirandosi a Robert Fludd, Ars memoriae (1617-1619). Cfr. G. Battistelli, Globe Théâtre (1990). R. Fludd (1574-1637), medico inglese, rosacroce e filosofo mistico del Kent; contemporaneo di Shakespeare, successore di Paracelso, autore di numerose opere di teosofia, filosofia e matematica. 12 G. Battistelli a proposito del Combattimento di Ettore e Achille, in Musica 89 / DNA, Programme du festival international des musiques aujourd’hui, Strasbourg, 1989, p. 28. 13 Si pensa, certamente, al Globe Theatre di Shakespeare. Cfr. F. Yates, L’art de la mémoire, Gallimard, Paris, 1975. 41 sità di rappresentare vari riferimenti culturali che impone una tecnica della citazione specifica: non orizzontale e diacronica, che gioca con l’opposizione dei linguaggi individuali, ma verticale, spaziale e in movimento, esplorando rapidamente tutte le dimensioni spazio–temporali in un movimento vertiginoso di sintesi e di ibridazioni illimitate. La decontestualizzazione in Experimentum mundi e in Linzer Stahloper, l’esplorazione della intertestualità letterario–pittorica in Ascolto di Rembrandt, i viaggi immaginari attraverso testi diversi in Jules Verne e Combattimento di Ettore e Achille, ma, più ancora, le fantasie oniriche – l’opera da camera Kelpers Traum (1989–90) e il “balletto di fine secolo” per danzatore e strumenti antichi Globe Théâtre (1990) – testimoniano un processo globalizzante di sintesi fondato soprattutto su una concezione dinamica dello spazio. Perfettamente cosciente della forza suggestiva degli effetti di spazializzazione in musica – e più ancora nell’ambito del teatro musicale – Battistelli inventa spazi musico–teatrali flessibili, estranei a ogni fissità metrica, pronti ad aderire ai molteplici cambiamenti delle trasformazioni materiali. Il modo spaziale diventa così teso e generatore di tensione come è quello del tempo musicale non metrico. Gli spettacoli di teatro immaginario in Battistelli si allontanano definitivamente dalla semplice concezione del tempo–contenitore o dello spazio–contenente. Nel suo “teatro della memoria” o racconto–finzione lo spazio–tempo diventa flessibile, elastico, “morbido come un mollusco”, secondo l’espressione di Einstein, variabile secondo il movimento e le densità delle materie in trasformazione. L’“opera da camera” Keplers Traum (1989–90) su libretto del compositore da Somnium o Nachträglisches Werk über die Lunar–Astronomie (1609) di Giovanni Keplero, si inserisce perfettamente nella linea del “viaggio immaginario” o del “teatro–fantasia”. Un po’ alla maniera di Jules Verne, Keplers Traum utilizza un intreccio narrativo composto da Battistelli ispirandosi al magnifico romanzo di fantascienza del XVII secolo Somnium di Keplero e a elementi biografici della vita del celebre astronomo. 14 A questa doppia narrazione frammentaria, sperimentata già in Jules Verne, 14 Rifiutata nel 1593 dagli accademici dell’Università di Tübingen a causa delle sue affermazioni copernicane, G. Keplero (1571-1630) rielabora la sua dissertazione sotto forma di romanzo fantastico dal titolo Somnium o opera postuma sulla geografia lunare (1609). Al racconto apparentemente fantastico di colui che osserva la terra dalla luna, Keplero aggiunge 223 note esplicative che decrivono i fenomeni celesti sempre secondo un modello implicitamente copernicano. 42 Battistelli aggiunge “lo sguardo dall’esterno”:15 le immagini della terra, divenute possibili, anche in tempo reale, grazie allo sviluppo della tecnologia moderna. Al sogno di Keplero si aggiunge quello di Battistelli. Lo spettacolo musico–teatrale che manipola con facilità una moltitudine di mezzi (musica vocale–strumentale, testi, comportamenti scenici, video e proiezioni mobili) annulla – come nel sogno – ogni distanza temporale e spaziale per immergerci nel sogno risvegliato dove ciascuno trova dei punti di appiglio per il proprio immaginario. Keplers Traum riproduce coscientemente il funzionamento del sogno diurno: il desiderio di viaggio immaginario, di apertura che annulla ogni forza centripeta strettamente razionalista, riunisce elementi disparati a dispetto di ogni cronologia storica per metterle in ordine in un nuovo insieme, fantasioso e reale al tempo stesso. Nei confronti dei ricordi – di Keplero con la sua ricerca scientifica, di sua madre Katharina e delle accuse di stregoneria, nei confronti del Demone–Keplero, nei confronti del mondo reale dell’attuale aeronautica spaziale – lo spettacolo onirico di Battistelli ha un po’ lo stesso rapporto che hanno “quei palazzi barocchi di Roma nei confronti delle rovine dell’antichità: pietra da taglio e colonne sono servite come materiale per costruire forme moderne”.16 Gli spettacoli visionari del teatro musicale in Battistelli, modellando universi fantastici con riferimenti del passato, si propongono di metterci nel cuore della realtà di oggi. Il sogno o l’ipotesi scientifica di Keplero, così come “la stregoneria” di sua madre Katharina o il racconto del Demone, si rivelano perfettamente contemporanei ai satelliti, ai radar e ai calcolatori. La simultaneità delle dimensioni temporali – del passato, del presente, del futuro – nei mondi immaginari impone una concezione sferica del tempo musico–teatrale, del “tempo–globo”. Condensando riferimenti storici e integrando il reale decontestualizzato, il compositore – Magister ludi – gioca con la presenza del passato, la presenza del presente e la presenza del futuro.17 Ma, contrariamente all’orientamento mistico di 15 “Comme un paysage”, enunciò E. Bloch in Experimentum mundi. Ma un paesaggio “a n dimensioni” (Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Mille plateaux, Ed. de Minuit, Paris, 1980), è più flessibile, mobile, scherzosa con le curvature dello spazio sonoro-visivo dello spettacolo molteplice. 16 S. Freud a proposito del sogno diurno. Cfr. S. Freud, Die Traumdeutung (1900), in Gesammelte Werke, II-III, S. 496. 17 Questa “messa in presenza” fa pensare, certamente, alla filosofia del tempo di Sant’Agostino (354-430): “Ci sono tre tempi, passato, presente, futuro, ma – per essere precisi – si può forse dire: ci sono tre tempi, il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Questi tre tempi sono nell’anima, jnon li vedo altrove. Il presente del passato è il ricor- 43 Sant’Agostino, contrariamente anche alla dimensione interiore, soggettiva dell’impiego del sogno nell’ottica freudiana, il procedimento di Battistelli è fondamentalmente “tellurico”, “terrestre”, “hic et nunc”: i suoi viaggi immaginari attraverso lo spazio e il tempo a n dimensioni ci riportano sistematicamente al reale quotidiano di ciascuno. E se la visione sferica del tempo in Zimmermann,18 legata strettamente alla sua tecnica compositiva pluralista con le sue citazioni, collages e montaggi, è stata considerata dallo stesso compositore come “conseguenza dell’estensione del pensiero seriale”,19 la concezione globalizzante del tempo in Battistelli corrisponde naturalmente alle particolarità della nostra epoca: ciascuno di noi ha la possibilità reale di essere in contatto diretto e simultaneo con epoche storiche, aree geografiche e strati culturali lontani e diversi. Il “balletto di fine secolo” Globe theatre(1990), per un danzatore e strumenti antichi (flauti, tiorba, liuto, chitarra barocca, viola da gamba e percussioni) fa pensare necessariamente al Globe Theatre di Shakespeare a Londra con i suoi riferimenti all’arte della memoria.20 L’opera rinuncia completamente alla parola per modellare uno spazio musico–teatrale unicamente con i comportamenti gestuali del danzatore e con le “immagini sonore” (Battistelli), immagini deformate – si pensa agli orologi di Dalì – di musica del Rinascimento o barocca. L’opera è ispirata all’inizio al teatro della memoria di R. Fludd: 21 un teatro ermetico, con una costruzione simbolica particolare e una distribuzione specifica per gli interpreti che dà la possibilità all’ascoltatore di mettersi sempre nel punto ideale, al centro mobile, per la lettura di questa “storia del mondo”. Il danzatore–protagonista in Battistelli è “l’iniziato” (Battistelli) che, senza parole, cerca di esternare la memorie e l’esperienza, la presenza del ricordo e la presenza dell’osservazione immediata. “È, forse, Fludd? O Shakespeare? Dunque intellettuale, a suo modo mago, alchimista o rosacroce, che prova a impegnarsi veramente nella via della conoscenza” (Battistelli).22 Oppure lo stesso compodo, il presente del presente è la contemplazione (l’esperienza, l’intuizione) e il presente del futuro è l’attesa”. Cfr. Aurelius Augustinus, 13 Bücher Bekenntnisse (Confessiones), Werke, Abt. 3, Band 1, Paderborn, 1964, S. 312. 18 Cfr. B.A. Zimmermann, Intervall und Zeit, Aufsätze und Schriften zum Werk, a cura di Ch. Bitter, Schott, Mainz, 1974. Cfr. anche C. Dahlhaus, “Kugelgestalt der Zeit, Zu B. A. Zimmermanns Musikphilosophie”, in Musik und Bildung N. 10 (1978), Schott, Mainz, S. 633. 19 Cfr. B.A. Zimmermann, Intervall und Zeit, S. 36. 20 Cfr. F. Yates, L’art de la mémoire, Gallimard, Paris, 1975. 21 Cfr. F. Yates, L’art de la mémoire, Gallimard, Paris, 1975. 22 G. Battistelli in Alte neue Musik, Westfälisches Musikfest 1990, WDR, Köln, S. 35. 44 sitore, deciso di finirla con la narrazione unidimensionale per appropriarsi dello spazio–tempo sferico attraverso figure modellate in corso d’opera. I frammenti trasformati – le “immagini” deformate nel ricordo – di lavori di diversi compositori (K.F. Abel, R. de Visée, S.L. Weiss, J. Dowland, F. Geminiani, M. Blavet, F.A. Philidor o A. Corelli), emergono continuamente sulla superficie del tappeto sonoro – del “tessuto strumentale astratto”, dice Battistelli, – la cui funzione è di mettere in evidenza la distanza che separa i frammenti sonori del passato fra di loro e in rapporto al mondo sonoro attuale. Concepito effettivamente come “teatro della memoria”, Globe theatre di Battistelli non cerca la ri–costituzione filologica di musiche del passato con la nostalgia inevitabile di partiture “alla maniera di”; né il pastiche alla moda postmoderna neobarocca che annulla ogni distanza dalle tecniche compositive di altri tempi. La forma sferica dello spazio–tempo riunisce passato (citazioni di frammenti, strumenti antichi), presente (evoluzione concreta gestuale–sonora) e futuro (linguaggio compositivo aperto) e permette di annullare – almeno nell’ambito dell’estetica – il principio della finitezza. Nel momento in cui il tempo diventa continuità di passato–presente–avvenire, la categoria del finito si trova necessariamente abolita. Nel momento in cui la direzione temporale diventa reversibile – l’oscillazione permanente nelle immagini sonore del passato spezzettato e l’idioma musicale contemporaneo di Battistelli ne è la dimostrazione udibile – non esiste infatti un punto finale. La narrazione lineare teleologica cede il posto preponderante all’esteriorizzazione pluridimensionale attraverso le forme mobili delle materie. Commissione della WDR di Colonia nel quadro di un progetto di “Musica visiva”, Begleitmusik zu einer Dichtspielszene (1994) per 12 musicisti e 6 scene ad libitum è pensata come “nastro sonoro” preliminare allo spettacolo, o piuttosto come teatro sonoro destinato a “accompagnare” la scena “poetico–ludica” del teatro musicale. Il titolo fa riferimento alla celebre Begleitmusik zu einer Lichtspielszene Op. 34 (1929–30) per orchestra di Schönberg, scritta su commissione di un editore musicale che aveva sollecitato diversi compositori a “fare come se componessero per il cinema”.23 L’opera di Giorgio Battistelli cerca di sviluppare musicalmente, senza utilizzare testo parlato o cantato, 6 temi, 6 “stazioni”. Naturalmente Battistelli scrive come se componesse per il teatro: musica–teatro. Un po’ alla maniera di Schönberg quando compose una piccola sinfonia dodecafonica in tre movimenti che si susseguono 23 Cfr. R. Leibowitz, Schönberg, Solfèges, Seuil, Paris, p. 117. 45 senza interruzione – Drohende Gefahr, Angst, Katastrophe – Battistelli costruisce la sua Begleitmusik per 12 musicisti in 6 scene ad libitum; 6 scene i cui titoli suggeriscono l’universo psicologico dell’azione e la cui realizzazione concreta è affidata interamente al regista: 1. Dialogo fra un pensatore ed un poeta; 2. Ascolto del mondo interiore; 3. Combattimento; 4. Colpi d’amore e colpi di morte; 5. L’espressività delle lacrime; 6. Il linguaggio e i gesti del silenzio. L’organico dell’orchestra di Battistelli comprende – oltre ai consueti strumenti acustici (clarinetto, fagotto, corno, trombone, tuba, archi) – una quantità considerevole di strumenti a percussione fra i quali alcune macchine scenico–sonore come la macchina del vento, la macchina della pioggia, la lastra metallica per il tuono, l’arenaiuolo, la raganella, la sega da falegname ecc. Priva totalmente di testo – ad eccezione dei titoli delle scene – l’opera di Battistelli sollecita una scrittura drammaturgica volontariamente aperta alle invenzioni teatrali più diverse. Contrariamente ai film muti divenuti recentemente fonte d’ispirazione per una moltitudine di “musiche di accompagnamento”, il “film sonoro” della Begleitmusik di Battistelli ispira realizzazioni visive sempre aperte. È la sua “musica–teatro” – veramente “immaginistica” – che sollecita le invenzioni visive di scene poetiche sempre da reinventare. I “globi–teatri” di Battistelli possono dunque perfettamente fare a meno della parola che impone naturalmente l’enunciazione lineare. Pensiamo a Globe théâtre, a Begleitmusik, ma anche alla “parabola in musica” Teorema (1991–92) su testo di H.–W. Henze e G. Battistelli dal romanzo e dal film di P.P. Pasolini. Idioma molteplice e polivalente della sensibilità e dell’intelligenza, la scrittura musicale di Battistelli poggia prima di tutto sulla drammaturgia del suono, sull’espressività delle strutture sonore–gestuali che, per esprimere – e anche per raccontare storie cariche di senso e rivelare una problematica complessa, filosofica o psicanalitica – bastano a se stesse.24 Il romanzo di Pasolini sopprime del tutto il discorso diretto e il dialogo: le sole battute pronunciate dai personaggi sono i testi dei telegrammi che annunciano all’inizio l’arrivo e alla fine della prima parte la partenza dell’ospite–straniero, questo personaggio misterioso che sconvolge in modo tragico la vita dell’agiata famiglia milanese. La “parabola musicale” di Battistelli rinuncia dunque alla parola ma anche alla vocalità . Il racconto spezzato dell’incontro con lo straniero e le conseguenze di questo incontro per ciascun 24 “Presenza spogliata di significato e che costituisce pertanto una rivelazione” scriveva Pasolini. Cfr. Teorema, Garzanti, Milano, 1968. 46 membro della famiglia borghese, si svolgono in musica gestuale: sonora, cioè strumentale, attraverso i cantanti solisti e l’orchestra di 25 musicisti, e visiva, cioè corporea, attraverso il comportamento scenico dei sei attori. Privati di voce cantata, i sei protagonisti sono dotati di voce strumentale: violoncello per il padre Paolo, violino per la madre Lucia, arpa per la figlia Odetta, clarinetto basso per il figlio Pietro, sintetizzatore per la cameriera Emilia e due strumenti extra–europei – gli strumenti iraniani a percussione daf e zarf – per lo straniero. Il personaggio centrale, il centro in cui convergono le aspirazioni segrete, non confessate di tutti i membri della famiglia, è l’ospite, lo straniero, l’assolutamente altro, l’Altrui.25 L’invitato “dall’aria straniera non solo a causa della sua statura ma anche del fatto che non c’è niente di mediocre o di volgare in lui” (Henze–Battistelli). “Egli è, insomma, di una condizione misteriosa. La sua singolarità dipende, in fondo, dalla sua bellezza” (Pasolini).26 E nell’opera di Battistelli, proprio come in Pasolini, tutti i membri della famiglia si rivelano equidistanti – come nella parabola matematica – nei confronti del “centro”: lo Straniero, l’altro. Perfettamente “uguali per il loro amore segreto”27 e per i loro giochi di seduzione all’inizio, perfettamente uguali per la forza autodistruttrice nel fallimento omicida alla fine. Teorema di Pasolini ma anche di Battistelli dimostrano, con mezzi diversi, la stessa legge immutabile che regola “la grande famiglia che ignora tutto dell’amore”.28 Nella condizione di questa ignoranza fondamentale “ciò che conta è ciò che è e ciò che è è ciò che appare. Questa apparenza è stranamente geometrica a dispetto della sua irregolarità. Ciascun punto si trova esattamente a una certa distanza di un altro. Ancora bisogna misurare questa distanza”.29 Sempre attratto dall’immagine, dall’immaginario, dall’“immaginistico”, Battistelli, si è spesso ispirato ai capolavori della settima arte. Così Prova d’orchestra (1995), “6 scene musicali di fine secolo”, su libretto del compositore da Federico Fellini,30 è la seconda opera scenica di Battistelli ispirata da un grande cineasta. Sta di fatto che Prova d’orchestra (1978) di Fellini è una delle dimostra- 25 Cfr. E. Levinas, Totalité et infini, Essai sur l’extériorité, Kluwer Academic, M. Nijhoff, 1971, Biblio Essais, 1990; Le temps et l’autre, Quadrige, PUF, 1989. 26 P.P. Pasolini, Teorema. 27 P.P. Pasolini, Teorema. 28 Ibid. 29 Ibid. 30 Traduzione e versione ritmica francese di Sophie de Castel. 47 zioni più eclatanti del fatto che il maestro italiano – con Stanley Kubrick, forse – è il più grande uomo di spettacolo del cinema contemporaneo. Il “documentario lirico”31 di Fellini, destinato alla televisione, diventa per il maestro di spettacolo musicale Battistelli il punto di partenza per l’elaborazione “operistica” – nelle condizioni attuali e un po’ alla maniera di Fellini – “dell’angoscia, di tutta la disperazione di un italiano d’oggi che vive nel suo paese”.32 L’opera di Battistelli amplifica l’aspetto etico essenziale per il film, rimpiazzando coscientemente il regionalismo dialettale felliniano – quest’ultimo molto spiritoso e perspicace – con il cosmopolitismo dell’orchestra internazionale contemporanea. Il proposito di Battistelli oltrepassa ampiamente le frontiere dei paesi per approdare ad una problematica attuale fondamentale: dell’orchestra, della musica, dell’arte, della società.33 Oggetto culturale specifico, prodotto dell’Occidente, l’orchestra sinfonica diviene un simbolo carico di significati: microcosmo del mondo occidentale, cosmopolita ma chiuso; incapace di comunicare veramente con altre culture, esterne alla sua tradizione rituale immobile; sottomesso alle pressioni esterne insontenibili e dilaniato da tensioni interne distruttrici. Alla problematica etica felliniana Battistelli aggiunge, scrivendo di nuovo i dialoghi – ma sempre alla maniera di Fellini –, un livello supplementare essenziale per lui:34 il rapporto conflittuale nella musica contemporanea portato nel cuore stesso della musica.35 Dopo tutto la situazione della musica contemporanea all’interno del mondo dell’orchestra non è paragonabile a quella dell’orchestra nel mondo, o a quella del mondo occidentale nel mondo? Le “6 scene musicali di fine secolo” ritrovano il tono felliniano dell’interrogarsi sui problemi essenziali del giorno d’oggi. 31 F. Fellini, in “Répétition d’orchestre, Entretien avec F. Fellini”, di M. Ciment, in Federico, Dossier Positif, Ed. Rivages, Paris, 1988, p. 113. 32 F. Fellini a proposito di Prova d’orchestra. Ibid., p. 113. 33 Ricordiamo che secondo la filosofia della musica-utopia di E. Bloch, cara a Battistelli, la musica prefigura gli sconvolgimenti sociali. Cfr. E. Bloch, Das Prinzip Hoffnung, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1959; Geist der Utopie, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1964. 34 La molteplicità dei livelli è uno degli aspetti essenziali del realismo di Fellini: così Intervista (1987) implica la sovrapposizione di tre livelli, quello del resoconto, quello dei ricordi e quello di America di Kafka. 35 “[...] È il compositore che non ha scritto correttamente. / Con la musica contemporanea, è sempre la stessa storia. / Ed ecco i compositori d’avanguardia attuali, che sanno tutto di Marx, di Hegel, di Freud, di Adorno, di Lacan [...] ma non sanno niente della tecnica degli strumenti! / E poi ce ne sono troppi di questi compositori [...]”. Cfr. G. Battistelli, Prova d’orchestra. 48 Contrariamente alla maggior parte delle opere sceniche di Battistelli che poggiano sulla molteplicità dei percorsi narrativi rappresentati, la drammaturgia di Prova d’orchestra cerca “la fusione di narrazione e di frammenti della realtà” (Battistelli), di soggetto e monologhi narrativi e di svolte imprevedibili affidate al caso. E se le opere anteriori di Battistelli sperimentano soprattutto la composizione della molteplicità – teatro della memoria da esplorare –, Prova d’orchestra è fondata su una struttura drammaturgica propriamente musicale che comunica la sua energia alla narrazione del libretto. Il montaggio e la disposizione spazio–temporale di simboli carichi di senso o di comportamenti emblematici apparentemente disordinati poggiano su una drammaturgia di ordine sinfonico che agisce in quanto forza dinamica generatrice di un’opera–totalità. Erede della grande tradizione sinfonica del sistema tonale del classicismo, Battistelli inventa – nel contesto della scrittura operistica attuale – le strategie seduttrici di un nuovo sinfonismo. Esse poggiano inevitabilmente sulla delimitazione dei campi semantici individualizzati, sul contrasto degli opposti e sui passaggi continui, sulle interazioni e sulle fusioni nelle condizioni di un’“impurità” o “androginia” musicale generalizzata. I rapporti a distanza di componenti similari, il gioco dell’apparizione–scomparsa, la precarietà dei caratteri musicali, il nomadismo continuo del linguaggio musicale sostenuto sempre dalla drammaturgia del suono che mira all’abolizione di ogni inerzia della percezione, sono fra i procedimenti che individuano la strategia seduttrice del compositore: la sua arte di fare opera contemporanea con i mezzi del sinfonismo reinventato.36 Sempre attratto dalla forza drammaturgica del grande sinfonismo, Battistelli sottomette spesso lo spettacolo musico–teatrale, e più ancora dopo Prova, alle forze organizzatrici ispirate dalla tradizione sinfonica: si tratta di una costante nella ricerca compositiva di Battistelli che comprende l’organizzazione di una moltitudine di materiali, di stili e di riferimenti culturali in un’enunciazione coerente che agisce sempre sull’ascoltatore attraverso la forza della “drammaturgia del suono” (Battistelli). Die Entdeckung der Langsamkeit ( La scoperta della lentezza) (1996), teatro musicale in cinque scene su libretto di Michael Klügl dal romanzo omonimo di Sten Nadolny, è fra gli esempi più espliciti di una sinfonizzazione dell’opera musico–teatrale per cantanti solisti, orchestra e cori sulla scena e su nastro magnetico. I cinque quadri de La scoperta della 36 Ricordiamo che per il Fellini di Intervista, per esempio, ma anche di Prova d’orchestra, l’intervista era l’arte di fare del cinema con altri mezzi. Cfr. il suo Fellini par Fellini, Calmann-Lévy, Paris, 1984. 49 lentezza intitolati, nell’ordine, Preludio in due tempi, Studio, Ricercare, Perpetuum mobile e Molto lento, rimandano alle forme classiche che hanno dato prova, attraverso le varie epoche, dell’efficacia della loro drammaturgia sonora.37 Queste forme stabili nella storia rendono possibile e mettono in evidenza una sperimentazione estremamente inventiva del tempo, concetto filosofico fondamentale e, contemporaneamente, argomento sempre capitale nel lavoro di Battistelli. Il teatro di musica I Cenci (1997),38 ispirato alla tragedia di Antonin Artaud,39 con testo di Battistelli e Nick Ward dalla versione inglese di David Perry, che si dà a Siena in versione francese, è certamente – e questo non solo a causa della traduzione inglese del testo e della prova straordinaria degli attori alla prima rappresentazione assoluta a Londra – l’opera più shakespeariana di Battistelli prima di Riccardo III. Riprendendo la trama narrativa dell’inquietante tragedia in quattro atti e dieci quadri di Artaud che riscrive, ricordandolo, da una parte la tragedia cinque atti The Cenci (1819) di Shelley ispirata a un manoscritto redatto quattro giorni dopo il supplizio della giovane Beatrice Cenci. La tragedia di Artaud Les Cenci è stata recitata al Théâtre des Folies–Wagram a Parigi con la sua regia e con lui stesso nella parte del protagonista, con la musica di Roger Désormière e le scene e i costumi di Blthus nel maggio 1935 (ha avuto diciassette rappresentazioni con una risonanza non trascurabile). L’opera di Battistelli è una nuova riscrittura, condensata e adattata al molteplice teatro musicale, basata su protagonisti–attori e di un gruppo strumentale ma anche di immagini proiettate e di elettronica dal vivo. Il teatro di musica di Battistelli è incentrato attorno al sinistro personaggio del ricchissimo e perverso tiranno Francesco Cenci, divenuto per Artaud un personaggio esemplare che preannuncia aspetti essenziali del suo futuro “teatro della crudeltà”. Dopo le esperienze con la vocalità non operistica in Aphrodita, Ascolto di Rembrandt, Frau Frankenstein, Battistelli 37 Ricordiamo che il ricorso alle forme della tradizione classica permette a Schönberg e a Berg di costruire ampie forme nel contesto atonale (Cfr. Die Erwartung e Die Glückliche Hand di Schönberg, Wozzeck di Berg). 38 Commisione dell’Almeida Opera, l’opera è stata rappresentata per la prima volta l’11 luglio 1997 a Londra, con la direzione di David Parry e con la regia di Nick Ward, con le immagini di Studio Azzurro e l’elettronica dal vivo del Centro Tempo Reale. Nel ruolo di Francesco Cenci, il notevole attore shakespeariano Jan McDiarmid. 39 A. Artaud, Les Cenci, in Œuvres complètes, vol. IV, Gallimard, Paris, 1978, pp. 147-210. 50 rinuncia qui totalmente alla voce cantata per riavvicinarsi precisamente alla concezione di Artaud del “teatro e il suo doppio”, del “teatro della crudeltà” in quanto “linguaggio nello spazio, linguaggi di suoni, di grida, di luci, di onomatopee […]”.40 Le scene molto concise che si susseguono senza interruzione sono momenti sinfonici individualizzati carichi di tensione espressiva e contagiosa. Sono delle “stazioni” – ritratti, incontri, situazioni – un po’ secondo il modello espressionista,41 che creano un carattere, un personaggio, un sentimento, un’atmosfera, portando inesorabilmente verso il tragico epilogo. “Scaturisce in questo palazzo qualcosa di cui il padre Cenci è l’anima e l’esito”, scriveva Artaud nelle sue note.42 Tutte le emissioni vocali – dal sussurro alla declamazione, dal parlato al grido, dai suoni–rumori gutturali alle risa e ai pianti – partecipano, a fianco delle parti strumentali molto flessibili, divenute oscillogrammi delle emozioni, a questo teatro di musica che rinuncia a ogni vocalità operistica. Le scene sinfoniche di Battistelli creano nella continuità – per mezzo dell’orchestra e della voce parlata – queste atmosfere invadenti e inquietanti che fanno risuonare in ciascuno le corde oscure della psiche. L’opera può essere letta come interpretazione o riscrittura della tragedia di Artaud e della sua estetica del teatro della crudeltà, il cui solo esempio realizzato in maniera veramente musicale, con la partecipazione dello stesso Artaud, resta la trasmissione radiofonica proibita Pour en finir avec le jugement de Dieu (1949). Sperimentatore instancabile nell’ambito del teatro musicale, Battistelli non trascura la sua versione di teatro per le orecchie, la versione destinata alla radio. La sua “azione radiofonica” Giacomo mio, salviamoci! (1997–98), per voce narrante,43 orchestra, strumenti solisti, coro e dispositivo video su un testo di Vittorio Sermonti, composta in occasione del bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi (1798–1837), è costruita intorno al mito letterario e soprattutto biografico dello scrittore. L’opera di Battistelli si articola intorno a una “conferenza”, relativamente tradizionale, tenuta da un professore di un “accademismo” un po’ dubbio. A partire e intorno 40 A. Artaud, “Le Théâtre de la cruauté (Premier manifeste)”, in Œuvres complètes, vol. IV, p. 87. 41 Ricordiamo Die Erwartung e Die glückliche Hand di Schönberg, che seguono l’esempio del dramma Il cammino verso Damasco di Strindberg, ma anche di Passaggio di Berio-Sanguineti. Ma l’opera di Battistelli inventa la propria strategia drammaturgica ispirata da Shakespeare e Artaud. 42 A. Artaud, Les Cenci, Note riguardo ai personnaggi, Œuvres complètes, vol. IV, Gallimard, Paris, 1978, p. 269. 43 “Voce docente”, precisa il compositore: voce dotta, voce che insegna. 51 al filo conduttore della voce parlata, la musica di Battistelli tesse una trama sonora estremamente ricca e flessibile: essa decompone, dilata e contrae le parole, inventa la loro trasmutazione in figure ritmiche variate, lega sezioni differenziate dove coabitano sonorità soavi o drammatiche, sempre fortemente espressive, dell’orchestra “tradizionale”, i suoni “artificiali” prodotti dal campionatore, i suoni “concreti” e quotidiani prodotti dagli strumentisti–solisti e delle voci tenute o ritmate di un coro invisibile. Il “teatro sinfonico dell’ascolto” dà l’impressione di un’anamorfosi musicale sognata della vita e dell’opera di Leopardi che propone all’ascoltatore attento e curioso una moltitudine di possibilità di entrare nell’universo unico del disperato poeta–filosofo. La fine degli anni 90 è segnata in Battistelli da un nuovo ritorno verso Pasolini. Il balletto in otto scene Il fiore delle Mille una notte (1998–99) è già il terzo omaggio di Battistelli al cineasta e scrittore Pier Paolo Pasolini. Dopo lo spettacolo musico–teatrale, la “parabola in musica” Teorema (1992) per orchestra, sei attori e narratore, libero adattamento di Battistelli del film e del romanzo omonimi di Pasolini, dopo Teta veleta,44 Omaggio a Pasolini (1995) per orchestra d’archi e percussioni, Battistelli ritrova – dopo Globe theatre (1990), sempre in collaborazione con il coreografo Virgilio Sieni45 – il genere del balletto: rivisto e corretto, certamente, nel contesto della danza contemporanea, con dispositivo video e secondo la necessità imperiosa per Battistelli di una trasmutazione in musica–gesti–immagini della sensualità pasoliniana in quanto “dichiarazione di amore alla vita”.46 La celebre “trilogia della vita” di Pasolini, costituita dai tre film Il Decamerone (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Le mille e una notte (1974), richiama il diritto dell’uomo alla gioia e celebra il godimento e il mostrarsi dei corpi in mezzo a una teatralizzazione della sessualità rappresentata nella sua totale libertà. È per mezzo dell’orchestra – con strumenti gravi (fiati e archi) molto più numerosi degli strumenti acuti e con 45 strumenti a percussione suonati da tre musicisti – che Battistelli cerca di creare un gesto musicale differente ma tanto forte quanto quello che viene presentato visivamente sulla scena. La drammaturgia spezzata dei frammentari racconti di Pasolini si trasforma nel 44 “Teta veleta” è il soprannome affettuoso dato da Pasolini alla sua amica di sempre Laura Betti. 45 L’opera è stata rappresentata per la prima volta a Modena nel febbraio 1999 dalla compagnia di Virgilio Sieni con un dispositivo video di Grazia Toderi. 46 Pier Paolo Pasolini. Materiale informativo distribuito al Festival di Cannes, maggio 1974. 52 balletto di Battistelli in un mosaico di frammenti gestuali, in un album o collage di immagini e di gesti – ripresi o ispirati dal film – sostenuti dalla trascrizione sinfonica ricca e colorata dell’universo immaginario e dell’approccio cinematografico pasoliniano. Alla fine degli anni 90, sempre attratto dai viaggi degli esploratori, Battistelli si volge naturalmente verso Impressions d’Afrique (1999–2000) non è un’opera nel senso tradizionale del termine, certamente, ma melodramma con testo parlato su un libretto di Georges Lavaudant e Daniel Loayza, elaborato liberamente dai testi di Raymond Roussel (Impressions d’Afrique, Locus solus, Comment j’ai écrit certains de mes livres), ma anche da frammenti di testi di Blake, Dickens, Morgenstern, Rabelais, Saba, Tasso. I nove protagonisti – Roussel, l’infermiera, il re Talou, il suo primo ministro Rao e i naufraghi (ad eccezione dell’attrice tragica Adinolfa, soprano, che canta le Stanze di Tasso e Racine) – non sono cantanti d’opera ma attori che recitano il loro testo integrandolo nella drammaturgia formale propriamente musicale. Il compositore privilegia il testo parlato, non cantato, cosicché si intendano molto distintamente le parole, la pronuncia corretta con il suo ritmo specifico e con il suo colore fonico. “La chiarezza mi assillava, con il gioco sul timbro della voce degli attori, così importante quanto quello con i cantanti” (Battistelli).47 Un ruolo considerevole è attribuito al coro di uomini: i componenti recitano così individualmente sulla scena, cosa che rappresenta un gesto compositivo completamente iconoclasta rispetto alla tradizione dell’opera. Fortemente attratto dalla drammaturgia non narrativa della serata di gala che ricorda la successione dei numeri del circo, il compositore decide di dare la parola direttamente allo scrittore: Roussel diventa una specie di conferenziere–protagonista del “teatro in musica” che spiega agli ascoltatori le tappe del suo cammino di scrittore di fiaschi ripetuti, facendo vivere intorno a lui quella enorme macchina dei sogni o cassa di risonanza per i sogni e la realtà confusi. Concepiti liberamente sulla base d’Impressions d’Afrique di Roussel, l’opera di Battistelli compone la scena musico–teatrale ad immagine di uno spazio mentale molteplice in cui lo scrittore agisce in quanto interprete della sua opera: rinchiuso nel suo universo immaginario, circondato dai suoi naufraghi e dai suoi africani inventati, partecipe delle loro gioie e 47 G. Battistelli, “Au pays de la Magie…” / Entretien de Fr. Mallet avec G. Battistelli, Programma di Impressions d’Afrique, Opéra du Rhin, Strasbourg, 2001, p. 11. 53 della loro disperazione. La partitura, molto densa, utilizza tutta la tavolozza strumentale dell’orchestra, con diversi livelli e diversi strati, senza cercare alcuna stilizzazione delle musiche africane o etniche. La stranezza sonora deriva piuttosto dall’alchimia dei timbri nell’orchestra, dalla fusione dei rumori–suoni parlati e strumentali, così come dei suoni trasformati, campionati, con l’aiuto del sintetizzatore e della spazializzazione. L’opera di Battistelli segue la prima idea di Roussel: le sue Impressions d’Afrique non hanno niente di folklorico ma nascono da un’immaginazione straripante, utilizzando con enorme fantasia creativa tutte le figure dello stile dell’opera e del melodramma. La ricerca compositiva di Battistelli dell’ultimo decennio è nettamente segnato dall’amplificazione dei processi del sinfonismo, fattori di coerenza e di intensa tensione musicale–drammaturgica. Non si tratta, certo, unicamente di addensamento del tessuto orchestrale – esplicito in Riccardo III, per esempio – ma prima di tutto e soprattutto di strategie compositive fondate sui grandi contrasti e sui gesti formali direzionali, sull’equilibrio di ampi elementi compositivi, sull’interazione a distanza e sulle simmetrie organizzatrici, sulla teleologia narrativa propriamente musicale. Le “visioni musicali” Auf den Marmorklippen (2001), dal romanzo omonimo di Ernst Jünger con libretto di G. Van Straten e del compositore, è la seconda opera di Battistelli ispirata da Jünger, dopo Anarca, Hommage à E. Jünger (1988–89) per orchestra e percussionista–recitante che legge il testo di Jünger. Le nove scene non sono concepite come un racconto rappresentato sulla scena ma come una successione di spazi scenici molteplici – acustici e visivi – o come una serie di poemi sinfonici che utilizzano i mezzi vocali, strumentali e visivi. Allo stesso tempo esse svolgono funzioni precise nell’insieme dell’opera in quanto totalità sinfonica coerente. La prima scena Il ricordo svolge la funzione di prologo. Le scene II. Festa primaverile, III. Eremo, V. Belovar e VII. Il principe di Sunmyra agiscono come esposizione dei diversi universi, luoghi e personaggi. Le scene IV. L’invasione del Förster, VI. Köppelsbleek e VIII. Lotta formano un immenso crescendo nella drammaturgia “acustico–visiva” (Battistelli), conducendo inesorabilmente verso la tragica conclusione. Infine l’ultima scena, la IX. La fuga a Alta Plana, gioca il ruolo di Post scriptum o Coda di questo teatro musicale della memoria che sposa la strategia formale del sinfonismo. Il racconto visionario di Jünger che descrive il deplorevole declino di una grande civiltà e l’ascesa irresistibile di un mondo di orrori senza limite, personificato dall’Oberföster, doppio di Hitler, propone la distanziazione oggettivante in conformità ai precetti di Jünger di “non partecipazione alla bassezza” (“Nichtbeteiligung am 54 Niedrigen”).48 Le “visioni musicali” molteplici di Battistelli, con la loro azione diretta sulla sensibilità dello spettatore, superano necessariamente la distanza: esse non sono da osservare come paesaggi lontani ma da vivere in maniera intensa sul proprio corpo, cosa che spinge a rimetterle in questo e alla presa di posizione. The Embalmer (L’imbalsamatore) (2001–2002), “monodramma giocoso da camera” su testo di Renzo Rosso per attore e gruppo strumentale con live electronics rinnova le ricerche dei monologhi Aphrodita, Ascolto di Rembrandt, Frau Frankenstein, amplificando “la risonanza” strumentale del testo con i mezzi dell’elettronica dal vivo. La storia grottesca dell’imbalsamatore, Alexei Miskin, obbligato a sostituirsi al cadavere di Vladimir Ili_ nel celebre mausoleo della Piazza Rossa, ricorda la densità dei monologhi degli atti unici di Strindberg (ricordiamo, per esempio, il suo monologo estremamente conciso La più forte), ma anche tutta la tradizione classica russa da Gogol’ a Šostakovič cimentandosi con il grottesco letterario o musicale (ricordiamo l’opera Il naso di Šostakovič o anche il graffiante Dittatore di Chaplin). Tutte le inflessioni, tutti i rumori–suoni della voce parlata sono integrati nel contesto strumentale fino alla massima intensità dell’espressione. Perché “paradossalmente – afferma Battistelli – io credo che un musicista di oggi debba mettere in parallelo il pensiero di John Cage sul rumore (e quindi sul silenzio) e quello di Šostakovič rivolto verso l’intensità dell’espressione”.49 Ossessionato dal personaggio del tiranno (si pensi a Auf der Marmorklippen o a L’imbalsamatore) e alla ricerca di un soggetto di risonanza sociale nelle condizioni attuali, Battistelli trova nel celebre romanzo di Gabriel Garcia Marquez la trama necessaria per la sua opera omonima con libretto di G. Kuppel in sei scene El otono del patriarca (2003). Il personaggio principale del tiranno non ha riferimenti politici precisi, è il simbolo di una condizione umana e sociale che non è necessariamente legata alla storia dei paesi dell’America Latina. L’opera di Battistelli cerca così di trasmettere il carattere fortemente simbolico, ermetico e soprattutto surrealista e grottesco – attraverso la presenza di “doppi”, del soprano in orchestra, della voce dei ricordi, ecc. – del pensiero di Garcia Marquez. “El otono del patriarca è la parabola della mia tecnica di scrittura, il sigillo di un linguaggio che mi ha portato 48 S.H. Schwik, Nachwort in E. Jünger - Auf den Marmorklippen, Ullstein, Berlin, 1998, S. 144. 49 G. Battistelli, “Au pays de la Magie…”, in Impressions d’Afrique, Programma dell’Opéra du Rhin, Strasbourg, 2001, p. 14. 55 Monumento al Papa Clemente VIII. Statua di Beatrice Cenci scolpita da Harriet Hosmer (University of Missouri, St. Louis). 56 ad adottare, anche in questo caso, i più diversi stili” (Battistelli). 50 L’opera può essere definita in qualche modo come psicodramma musicale complesso e mette in evidenza l’immensità delle forze distruttrici che stanno dentro il tiranno ma che non sono del tutto estranee ai lati oscuri della psiche di ciascuno. Le sei parti formano delle “stazioni” musicali e sceniche, dai componenti formali individualizzati sottoposti alla corrente direzionale del pensiero sinfonico. La ricerca di una sinfonizzazione dell’opera è ancora più esplicita in Richard III (2004), “dramma per musica” in due atti su libretto di I. Burton dalla tragedia storica di Shakespeare. Sono effettivamente la densità e la complessità estreme del tessuto sinfonico, così come la ricchezza delle parti vocali modellate secondo gli intensi movimenti degli affetti, che fanno di questo “dramma per musica” di Battistelli la sua opera più tragica, la più densa e la più crudele, in conformità con la cupa tragedia di Shakespeare e con la concezione di un teatro della crudeltà musicale ispirato ad Artaud e realizzata con i molteplici mezzi di un compositore di oggigiorno. E se il mostruoso tiranno Cenci è un ruolo parlato, il personaggio di Riccardo III è un cantante, un baritono, la cui parte utilizza tutto il ventaglio delle espressioni vocali per esprimere nei minimi dettagli i movimenti dell’anima dell’esemplare criminale. La scalata dei suoi orribili crimini esige precisamente il massimo aumento della tensione che i mezzi della composizione sinfonica rendono possibile così come una presenza scenica shakespeariana dell’attore diventato anche cantante. La stessa denominazione “dramma per musica” insiste sull’aspetto teatrale della musica: il dramma è al servizio della musica. È la musica con il suo impatto sinfonico, immensa cassa di risonanza, intorno e con testo che ci sommerge per farci veramente sentire corporalmente la mostruosità della forza distruttrice del male. *** Il percorso delle opere per il teatro musicale di Battistelli – dalla commedia dell’arte di Pulcinella al “dramma per musica” shakespeariano Richard III – permette di constatare la reinvenzione – ogni volta in maniera diversa – del nuovo genere del “teatro di musica” integrando le nuove tecnologie (del live electronics, della spazializzazione, dell’immagine). “Teatro acustico”, “musica immaginistica”, “romanzo di costumi antichi”, “monodramma”, “fantasia 50 G. Battistelli, El Otono del patriarca, foglio promozionale, BMG Ricordi, Milano. 57 da camera”, “opera da camera”, “balletto di fine secolo”, “parabola in musica”, “scene musicali”, “opera”, “dramma per musica”, i sottotitoli degli spettacoli musicali di Battistelli esplorano “a 360 gradi” tutte le possibilità di utilizzazione della voce e degli strumenti e tutte le possibilità della drammaturgia musicale-scenica, andando dalla narratività relativamente convenzionale alla soppressione totale della teleleogia lineare, al progresso del “teatro-globo”. Effettivamente per Battistelli la musica si definisce sempre in uno spazio teatrale aperto adatto ad accogliere una moltitudine infinita di materiali e di suggestioni disparati per inventare ogni volta un nuovo utensile di comunicazione musico-teatrale piuttosto inedito nella sua maniera di cortocircuitare le forme teatrali e musicali stabilite. Fedele alla sua profonda convinzione di una reale possibilità di interazione di strategie teoricamente opposte – tradizionale/di avanguardia, narrativa / non narrativa, sinfonica / teatrale, semplicità / complessità, purezza / impurità stilistica, ecc. Battistelli inventa sempre di nuovo “viaggi straordinari” proponendo all’ascoltatore-spettatore numerose istanze di identificazione. Un po’ nella linea di Henze, Berio e Ligeti,51 Battistelli difende l’impurità del linguaggio e la molteplicità degli stili: “Sono affascinato dalla impurità, non dalla purezza di uno stile. Perché credo che il linguaggio oggi sia qualcosa di impuro. Si ha bisogno di questa sovrapposizione di segni, di questa sovrapposizione di contenuti, che possono essere letti in modi differenti” (Battistelli).52 Ad un attento ascolto delle esperienze umane – dalla più obiettiva, esposta in piena luce nell’esercizio di un mestiere (Experimentum mundi, Prova d’orchestra) alla più soggettiva che si gioca nell’ossessivo e oscuro mondo della psiche (Frau Frankenstein, I Cenci) o in relazione all’altro (Teorema, Richard III), le opere di Battistelli ci trasportano nel reale dei viaggi straordinari nel suono – immagine – testo – comportamento gestuale. I suoi “teatri della memoria” in cui lo spazio musicale-scenico esprime il lavoro dell’“orecchio in quanto organo della comprensione e dell’intelligenza” (Battistelli), 53 sollecitano generosamente – attraverso la loro 51 Ricordiamo che Henze difende da sempre, ispirandosi a Pablo Neruda, “la musica impura”; Ligeti preferisce “il gusto contaminato alla purezza delle strutture. Quanto a Berio, la maggior parte delle sue opere sono la dimostrazione della molteplicità stilistica sempre “impura”. 52 Citato da W. Gruhn. Cfr. W. Gruhn, “Wie aber ist es, wenn wir die Stille messen?”, nel programma del Bremmer Theater Die Entdeckung der Langsamkeit, Bremen, 1997, p. 15. 53 G. Battistelli, “Théâtre de la mémoire”, in Ascolto di Rembrandt, XLIII Premio Italia, RAI, 1991. 58 distillazione sintetica e globalizzante di stili e riferimenti culturali – tutte le nostre capacità di sensibilità e di intelletto e, perciò, si aprono a interpretazioni senza limite (ricordiamo Globe-Theatre, Begleitmusik). Amante da sempre di Shakespeare – anche per la sua capacità fenomenale di pensare all’attore e allo spettatore con le loro interpretazioni divergenti – Battistelli cerca di costruire il suo ascoltatore modello,54 di cultura mista, “creola” (Battistelli). E se per lui scrivere un’opera destinata alla scena è effettivamente un “affare di cosmologia”,55 di costruzione di un mondo, la sua attitudine di compositore a porsi di fronte all’ascoltatore – il suo rapporto non simmetrico all’altro – è anche ricerca costruttrice. Perché comporre è anche far vedere e capire al di là della parola e della voce cantata; è costruire esperienze di trasformazione per noi partecipanti-spettatori; inventare stratagemmi non per annetterci e sottometterci ma per sollecitare il nostro immaginario dentro di noi. Al suo spettatore modello, invitato alla ricerca di una risposta individuale, secondo i precetti di Fellini, Battistelli propone di vedere-capire una moltitudine di esperienze “come paesaggio” (E. Bloch): paesaggio paragonabile a quello della terra vista dalla luna (Keplers Traum), o a quello della psiche nera presente in ciascuno (I Cenci, Richard III), o ancora a quello della vita sociale e della psicologia dell’orchestra viste da Fellini e riviste da Battistelli. Tutto questo per permettere all’ascoltatore-modello di uscire dall’oscurità del suo presente, di rivelarsi a se stesso e di trovare la propria dimensione autentica. Perché le musiche-teatri di Battistelli sono sempre a “mille piani”: i livelli si incrociano, si embricano, si parassitano, si nutrono gli uni degli altri, comunicando fra di loro con una serie di passerelle e facendo oscillare l’opera e lo spettatore da un’epoca all’altra, da un luogo a un altro. Alla posizione regale del “Re in ascolto” e alla seria attitudine della “tragedia dell’ascolto”56 la musica teatro di Battistelli oppone uno stato d’animo giovanile e vitalistico, vivo e allegro, che accompagna l’ascolto positivo, curioso, esploratore dei “viaggi straordinari”. Invitandoci a decifrare l’universo dei suoi racconti-finzione ancorati saldamente alla materialità e alla drammaturgia del suono, Battistelli apre il nostro ascolto a “tutte le forme di polisemia, di sopradeterminazioni, di sovrapposizioni”.57 Perché egli è incontesta- 54 Cfr. U. Eco, “Construire le lecteur”, in Apostille au Nom de la rose, Grasset, Paris, 1985, p. 54-62. 55 Ibid., p. 26. 56 Ricordiamo l’”azione musicale in due parti” Un Re in ascolto (197983) di L. Berio e Prometeo / Tragedia dell’ascolto di L. Nono. 57 Cfr. R. Barthes, “Ecoute”, in L’obvie et l’obtus, Seuil, Paris, 1982, p. 229. 59 bilmente un visionario e un sognatore nella musica-teatro. Ci invita a riconsiderare l’opera, il teatro musicale, la musica in generale, per scoprirli ciascuna volta come una nuova terra, come una specie di “Eldorado dell’immaginazione”,58 sollecitando ciascuno – interprete o ascoltatore-spettatore – a fare qualcosa con la propria immaginazione, con la propria fantasia. La sua musica-teatro in ascolto dell’esperienza della vita ci trasporta generosamente nei viaggi straordinari lontani nello spazio e del tempo, nei viaggi che esplorano la società in cui viviamo, ma anche nei viaggi sconvolgenti “all’interno di noi stessi”: una prova iniziatica per l’immaginazione dalla quale si ritorna sempre eroe del proprio immaginario. Alla lettura ascolto della musica-teatro di Battistelli, l’ascoltatore, musicista o no, resta affascinato dalla ricchezza sempre vitalizzante dei suoi viaggi immaginari. Perché egli sa giocare magistralmente – come il Magister ludi di Experimentum mundi – con la tradizione operistica, con i materiali divergenti, con i riferimenti culturali, con gli universi stilistici di ogni natura. Con la gioia ludica e contagiosa del bambino curioso che si meraviglia sempre alla scoperta di mondi nuovi. Con l’allegria intelligente e seduttrice del grande artista che sa sempre stupirsi e stupire gli altri proponendo generosamente un’esperienza estetica unica: “una sorta di creazione totale dove all’uomo non resta che riprendere il suo posto fra il sogno e gli avvenimenti”.59 (Traduzione dal francese di Guido Burchi) 58 G. Battistelli a propostito di Impressions d’Afrique di R. Roussel, in Impressions d’Afrique, Programma dell’Opéra du Rhin, Strasbourg, 2001, p.15. 59 A. Artaud, “Le théâtre de la cruauté (Premier manifeste) “, in Œuvres complètes, vol. IV, p. 90. 60 Bozzetto di Jean-Pierre Vergier per il costume di Lucrétia. 61 “ICI ON ENTERRE LA PATERNITÉ”* GEORGES LAVAUDANT es Cenci, così come Artaud li ha lasciati scritti, non sono che una traccia. Quella di un progetto che rimase in cartellone per sole 17 rappresentazioni. Dell’opera stessa come Artaud l’aveva sognata proprio per il palcoscenico, con le scene di Balthus, noi non possiamo farcene che una pallida idea. Quindi Giorgio Battistelli ha usato il testo di Artaud come ha voluto, cioè come un materiale. La trama è semplificata; la parola, rarefatta. E la linea generale appare tanto più nettamente: è quella di una marcia verso il nulla che è anche quella di una corruzione – quella della crudeltà per cui si usa la vita per estirpare le proprie radici. Artaud aveva sottotitolato il suo dramma “il crepuscolo della famiglia”. Il vecchio Cenci ha infatti scelto lo spazio famigliare come teatro delle sue spaventose operazioni. A questo spazio, ciò che si chiama la cerchia della famiglia, Cenci ha deciso di imprimere un doppio movimento di distruzione che è contraddittorio solo in apparenza. Della cerchia famigliare Cenci fa un nodo, stretto con tale intensità che esso diventa quasi un buco nero; mentre tutto in lui impone una chiusura assoluta, lo apre da un altro lato a un impensabile Difuori. Cenci, in effetti, rinchiude la famiglia su di sé, la taglia fuori dal resto del mondo in virtù dell’“autorità naturale di un padre”, garantita dal potere di quell’altro Padre che è il Papa. Il pater familias si appoggia qui sulla legge per trattenere i suoi parenti nell’ambito di uno spazio sempre più stretto e per così dire strozzato, attorno al quale egli si aggira come un predatore. Ma Cenci non è un semplice sequestratore perverso che si accontenti di tenere le sue vittime sotto chiave a sua disposizione mentre egli circola liberamente di fuori. Lui stesso è membro di questa famiglia di cui prepara il crepuscolo; la gabbia in cui la tiene prigioniera è anzitutto la sua, si tiene rinchiuso con essa, o piuttosto contro di essa, del tutto contro di essa. “Scaturisce in questo palazzo” annota Artaud nei suoi appunti, “qualche cosa di cui il vecchio Cenci è l’anima e l’esito” (IV, 269). Di fatto, la sola “uscita” che si offre all’evasione passa attraverso questo centro che è Cenci stesso (“Forategli la L * Dal manoscritto de Les Cenci. A. Artaud, Oeuvres Complètes, T. IV, Paris, Gallimard, 1978, p. 342. 62 testa”, dirà Béatrice agli assassini), il quale si comporta come un demiurgo o un dio che riassorbirà in sé la propria creazione. Una specie di Kronos, se si vuole, che divora la sua progenitura per non cedere il posto a un successore, o più profondamente per sfuggire al potere del tempo stesso e mantenere lo stato di innocenza anteriore non solo al crimine ma all’idea stessa di legalità (“Per me – egli dice – non c’è più né avvenire né passato e dunque nessun possibile pentimento”). È anche notevole che questo divorare la famiglia non fa secondo Cenci che riprendere e amplificare l’essenza famigliare nella sua verità: “non ci possono essere rapporti umani fra esseri che non sono nati se non per sostituirsi l’uno all’altro e che ardono dalla voglia di divorarsi”. Sotto la copertura della legge, ciò che regna dunque nella casa Cenci è la sospensione di ogni legge che non sia quella del padrone, la quale spinge all’estremo la legge dell’odio della famiglia stessa. Legge che non si esita d’altronde a identificare completamente con la volontà autonoma e sovrana del padre Cenci, poiché egli stesso le è sottomesso come a un potere personale: “obbedisco alla mia legge che non mi dà le vertigini; e tanto peggio per chi è afferrato e per chi precipita nell’abisso che io sono divenuto”. Quali sono dunque le motivazioni di Cenci? Esse sono oscure, impenetrabili. Disumane. Qui non si tratta di psicologia. Cenci è un mostro, cioè a dire, secondo l’antico senso latino della parola, un prodigio, un essere in cui si ritrovano e si affrontano sotto forma atroce e manifesta forze che restano di solito dissimulate. Si crede una leggenda. Non è di un semplice fatto diverso che Cenci pretende essere l’autore; i suoi crimini portano più lontano (sempre che il termine “crimine” sia ancora adatto, poiché il vecchio proclama: “Io mi considero e sono una forza della natura. Per me non c’è né vita né morte, né Dio né incesto, né pentimento né crimine”). Il tessuto sociale è come una rete nella quale Cenci non vuole più essere preso e che egli vuole metodicamente squarciare, maglia a maglia, cominciando da quei legami che si possono definire “di sangue”: una volta ancora “nessun rapporto umano è possibile”. O se vogliamo, Cenci aspira all’assoluto. Detto in altri termini, a realizzare la condizione di ciò che non è legato a niente, di ciò che si è staccato da questo nodo alienante che ogni relazione è. Artaud stesso scriverà in Ci-gît, qualche anno più tardi: “Io, Antonin Artaud, io sono mio figlio, mio padre, mia madre, e me stesso” (citato da Jacques Derrida in “La parole soufflée”, L’Ecriture et la différence, Parigi, Seuil, 1967, p.285; si noterà che Artaud, contrariamente a Cenci, non si dà della figlia). Uno stato di natura, dunque. Quello di una forza libera e puramente per sé. È così logico che per realizzare questa natura, Cenci 63 se la prende con la famiglia come istituzione sociale. Ed è ancora più interessante constatare che nello stesso tempo è il carattere “naturale” dei legami famigliari che è ugualmente contestato. Poiché se Cenci è una “forza della natura” per la quale non esiste incesto, bisogna allora comprendere che la “natura” così come egli la intende è selvaggiamente – infinitamente – al di là della natura “umana” così come la definisce in particolare il tabù dell’incesto e che questa natura assoluta non può in effetti essere raggiunta e affermata concretamente se non attraverso la via degli atti “contro natura”. La natura esacerbata, assolutamente al di fuori della legge e del legame, di cui Cenci prepara la venuta ha così bisogno, come un predatore della propria vittima, della natura nel senso in cui l’intende la società. Ne ha bisogno per distruggerla e conquistare così la propria realtà. In mancanza di ciò, essa non sarebbe se non vana pretesa, fanfaronata verbale – o “mito”, nel senso più debole del termine. Oppure Cenci vuol essere un mito in senso forte: “io stesso, seguendo in questo la malevolenza generale, mi sono messo talvolta a considerare il mito che ero diventato. Io sono pronto a realizzare la mia leggenda”. Questo bisogno di una vittima o di un alimento è come l’ultimo filo che congiunge Cenci al mondo. Che questo si rompa – ciò che avviene da quando “il peggio è accaduto” –, e il mostro, il suo destino alla fine compiuto, potrà sparire. Ma importa che sia conservata la memoria di questo destino. Al criminale leggendario, necessitano ugualmente dei testimoni, che potranno attestare che ormai il suo mito ha preso bellamente corpo. Anche il vecchio Cenci, prima di abusare della figlia, deve organizzare un banchetto per annunciare trionfalmente la morte dei suoi figli. Celebrando questa morte in una sorta di Eucarestia blasfema, Cenci sottolinea nello stesso tempo il suo orrore della famiglia come istituzione puramente (cioè troppo) umana, cellula sociale intrappolata in una rete di scambi (in particolare matrimoniali) e lascia esplodere davanti ad un pubblico di padri la propria gioia di non essere più carico di eredi suscettibili di allacciare (come si dice) delle alleanze con altri lignaggi. Gioia tanto più raggiante in quanto non è stato lui a farli scannare: questa pena gliela ha risparmiata un altro Padre ancora, Dio stesso, si è fatto suo complice ed è sembrato dargli ragione. Ma al di là di questo orrore e di questa gioia, è importante vedere che Cenci è il regista e l’interprete di una scena che egli recita davanti ai testimoni che egli stesso si è scelto e conformemente al programma che egli aveva annunciato: “Ciò che distingue i misfatti della vita da quelli del teatro è che nella vita si fa di più e si parla di meno, nel teatro si parla molto per poi fare una piccola cosa. Ebbene, io ristabilirò l’equilibrio e lo 64 ristabilirò a detrimento della vita” (dunque, a beneficio del teatro come sovra-vita o sovra-natura). Questa scena, che per sua necessità è come l’ultimo legame che egli intrattiene con la necessità, è anche un gesto di rottura, poiché questi testimoni sono apertamente sfidati, costretti al silenzio, poi cacciati. Ed è là che l’invito di Cenci prende tutto il suo senso: i convitati non sono solo chiamati ad essere testimoni della mostruosità del loro ospite, ma anche della viltà del proprio silenzio, in quanto essi sono “tutti padri”; detto altrimenti, essi sono presi a testimoni del fatto che non oseranno mai testimoniare. Avendo così invitato, poi reinviato la società alla propria ipocrisia, Cenci può infine predisporsi ad uscire del tutto dalla condizione umana per una doppia trasgressione di cui egli è attore (l’incesto), poi preda passiva (il parricidio) e l’autore-materiale. Che mondo è dunque quello in cui il Papa protegge un Cenci e in cui “Dio” stesso previene le sue promesse dando corpo alle proprie intenzioni? Senza dubbio quello che Artaud voleva lasciare intravvedere al suo pubblico: uno scatenarsi convulso di intensità entro cui si allontanano e si dissolvono tutte le maschere dell’umano – il grande Difuori, il grande Pericolo che è il regno della Crudeltà e che non è a nostra immagine; un “mondo”, come lo definisce Béatrice andando al supplizio, che “ha sempre vissuto sotto il segno dell’ingiustizia”. C’è da credere ad Artaud quando scrive “tutto ciò che è nell’amore, nel crimine, nella guerra, o nella follia, bisogna che il teatro ce lo renda, se vuole ritrovare la sua necessità. […] È perché, di fronte a personaggi famosi, a crimini atroci, ad abnegazioni sovrumane, noi cercheremo di concentrare uno spettacolo che, senza ricorrere alle immagini sfuocate dei vecchi Miti, si rivela capace di estrarre le forze che si agitano in essi. In una parola, noi crediamo che ci siano, in ciò che definiamo poesia, delle forze vive e che l’immagine di un crimine presentato nelle vesti teatrali necessarie è per lo spirito qualche cosa di infinitamente più temibile di quello stesso crimine compiuto” (“Le Théâtre et la cruauté”, in Le Théâtre et son double, IV, 83). Queste “forze vive” sono probabilmente ciò che ha spinto Battistelli a comporre la sua opera, concentrando la loro intensità nella grana stessa delle voci, trattate qui in maniera così particolare. Poiché per un ultimo paradosso, la violenza e l’oscenità della favola dei Cenci non è mai stata mostrata come tale da Artaud, per il quale la scena non è che l’“immagine” di atti assenti e come censurati. Dopo tutto, anche visibili, essi non farebbero d’altronde che prendere il posto delle “forze” irrappresentabili. È così attraverso la parola e la musica, in esse, negli spazi interiori scavati da Battistelli, che tutto avanza e che le “forze” latenti fanno sentire il loro 65 passaggio – deformanti, inquietanti, disumane, sconvolgenti i rapporti del vicino e del lontano, dell’immenso e dell’intimo. Ma queste “forze” il pubblico parigino del 1935 non poté o non volle captarle. In fondo, il padre Cenci, a causa del suo crimine, alla fine non si sarà assicurato nessuna altra posterità diretta che quella di sua figlia (ma cos’altro si sarebbe potuto augurare?). Béatrice – la sua vittima, ma anche un po’, per un ultimo eccesso di orrore, la sua simile. Come Edipo incestuoso e parricida, come Antigone implacabile e degna figlia di suo padre, andando al supplizio nel fiore della gioventù in un mondo che “arde, incerto tra il male e il bene”. Béatrice che, facendo piantare un chiodo nel cranio del vecchio Cenci, contribuì alla sua opera portando a termine “il crepuscolo della famiglia” e che morì temendo “che la morte non mi insegni che ho finito per rassomigliargli”. (Traduzione dal francese di Guido Burchi) Georges Lavaudant. 66 La chiesa di San Pietro in Montorio nella cartina di Roma incisa da Giuseppe Vasi del 1765. 67 ARGOMENTO A Roma nel settembre 1598, Francesco Cenci viene assassinato. Dopo le indagini e la confessione di un complice, nel gennaio 1599 sono arrestati come mandanti la giovane figlia Beatrice, due fratelli di lei e la seconda moglie del Cenci. Nonostante l’omicidio, gli accusati riscuotevano la benevolenza dei cittadini, in quanto tutti i romani conoscevano la malvagità e la crudele violenza dell’assassinato. I suoi familiari erano stati da lui vessati con ogni sorta di cattiverie (prigionia, fame, percosse, violenza carnale). Tutti erano d’accordo che Francesco Cenci aveva avuto ciò che si meritava. Dopo la cattura e lunghe torture, i colpevoli vengono processati e condannati a morte dal Papa Clemente VIII. Il giorno 11 settembre 1599, nella Piazza di Ponte Sant’Angelo a Roma, l’esecuzione ebbe luogo di fronte ad una folla enorme. Il supplizio fu dei più terribili. Tuttavia il cadavere di Beatrice, ricoperto di rose bianche, fu trasportato in processione notturna nella Chiesa di San Pietro in Montorio sul Gianicolo e venne sepolto sotto l’altare con la testa posata su un vassoio d’argento. Guido Reni, Beatrice Cenci (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini. Archivio Fotografico Soprintendenza Speciale Polo Museale Romano). Il Ponte Sant’Angelo. 68 69 TESTO 70 SCÈNE 1 Monologue de Cenci. Cenci Peuh... un meurtre n’est pas une affaire. Pour qui dispose de la vie des âmes, qu’est-ce après tout que la perte d’un corps? “Donnez au pape votre terre située au-delà du Pincio et il passe l’éponge sur vos péchés”, me disent-ils. Peste! le tiers de mes possessions! pour lui, et puis, la guerre! Oui, je me vois fort bien faisant la guerre à la papauté. Ce pape est trop ami des richesses. Et de nos jours il est trop facile pour un puissant de la terre de couvrir ses crimes avec ses deniers. Pour moi il n’y a plus ni avenir ni passé, et donc aucun repentir possible. Je ne m’occupe plus que de bien raffiner sur mes crimes. Un beau chef-d’œuvre noir, c’est le seul héritage qu’il importe encore de laisser. Je serais un enfant, en effet, si l’on ne pouvait croire que je suis un vrai monstre; car tous les crimes que j’imagine, tu sais que je peux les réaliser. Car moi, le vieux comte Cenci, encore solide dans sa mince carcasse, il m’arrive plus d’une fois en rêve de m’identifier avec le destin. C’est là l’explication de mes vices, et de cette pente naturelle de haine où mes proches sont ceux qui me gênent le plus. Je me crois, et je suis, une force de la nature. Pour moi, il n’y a ni vie, ni mort, ni dieu, ni inceste, ni repentir, ni crime. J’obéis à ma loi qui ne me donne pas le vertige; et tant pis pour qui est happé et qui sombre dans le gouffre que je suis devenu. Je cherche et je fais le mal par destination et par principe. Je ne saurais résister aux forces qui brûlent de se ruer en moi. Ce qui distingue les forfaits de la vie de ceux du théâtre, c’est que dans la vie on fait plus et on dit moins, et qu’au théâtre on parle beaucoup pour faire une toute petite chose. Eh bien, moi, je rétablirai l’équilibre et je le rétablirai au détriment de la vie. J’élaguerai dans mon abondante famille. Deux fils là-bas, une femme ici. Quant à ma fille, oui, je l’élague aussi, mais par d’autres voies! Le mal après tout ne va pas sans jouissance. Je torturerai l’âme en profitant du corps, ce soir à minuit. Et quand ce sera fait autant qu’homme vivant peut le faire, qu’on vienne accuser mon cabotinage et mon goût du théâtre si on le peut. Je veux dire, si on l’ose. Air, je te confie mes pensées. SCÈNE 2 Béatrice et Orsino au clair de lune. Béatrice C’était ici, la même lune que ce soir dévalait les pentes du Pincio. Vous vous souvenez du lieu où nous eûmes notre première conversation? 71 SCENA PRIMA Monologo di Cenci Cenci Puah… un omicidio non è una gran cosa. Per chi dispone della vita delle anime, che cos’è dopo tutto la perdita di un corpo? “Date al Papa il vostro terreno al di là del Pincio ed egli darà un colpo di spugna sui vostri peccati”, mi dissero. Maledizione! Un terzo delle mie proprietà! Per lui, e poi la guerra! Sì, mi vedo benissimo a fare la guerra al papato. Questo Papa è troppo amico delle ricchezze. E ai nostri giorni è troppo facile per un potente della terra coprire i suoi crimini con il denaro. Per me non c’è più né avvenire né passato e quindi nessun pentimento possibile. Non mi preoccupo d’altro se non di raffinare i miei crimini. Un bel capolavoro nero, questa è la sola eredità che mi importa ancora di lasciare. Sarei un bambino, infatti, se non si potesse credere che sono un vero mostro poiché; tutti i crimini che immagino, tu sai che io posso realizzarli. Io, il vecchio Conte Cenci, ancora saldo sulla mia esile carcassa, sogno più di una volta di identificarmi con il destino. Ecco la spiegazione dei miei vizi e di questa inclinazione naturale all’odio in cui i miei parenti sono quelli che più mi ostacolano. Io mi considero e sono una forza della natura. Per me non c’è né vita, né morte, né Dio, né incesto, né pentimento, né crimine. Obbedisco alla mia legge che non mi dà le vertigini; e tanto peggio per chi è afferrato e per chi precipita nell’abisso che io sono divenuto. Cerco e faccio il male per destino e per principio. Non saprei resistere alle forze che non vedono l’ora di scagliarsi dentro di me. Ciò che distingue i misfatti della vita da quelli del teatro è che nella vita si fa di più e si parla di meno, nel teatro si parla molto per poi fare una piccola cosa. Ebbene, io ristabilirò l’equilibrio e lo ristabilirò a detrimento della vita. Sfronderò la mia abbondante famiglia. Due figli laggiù, una moglie qui. Quanto a mia figlia, sì, sfronderò anche lei, ma per altre vie. Il male dopo tutto non è disgiunto dal godimento. Torturerò l’anima approfittando del corpo, questa sera a mezzanotte. E quando ciò sarà fatto così come un uomo mortale lo può fare, che qualcuno mi venga ad accusare del mio esibizionismo se gli riesce. Voglio dire, se l’osa. Aria, ti confido i miei pensieri. SCENA SECONDA Béatrice e Orsino al chiaro di luna Béatrice È stato qui, la stessa luna che stasera scendeva per i pendii del Pincio. Vi ricordate del luogo dove noi avemmo la nostra prima conversazione? 72 Orsino Je me rappelle: vous disiez que vous m’aimiez alors. Béatrice Vous êtes prêtre, ne me parlez pas d’amour. Orsino Qu’importent mes vœux puisque je vous retrouve; il n’y pas d’église qui puisse lutter contre mon propre cœur. Béatrice Ce n’est pas l’église ni votre cœur qui nous séparent, Orsino, mais le destin. Orsino Quel destin? Béatrice Mon père. Voilà mon mauvais destin. Orsino Votre père? Béatrice À cause de lui, je ne suis plus faite pour les amours humaines. Mes amours ne valent que pour la mort. Orsino Je vais me battre, Béatrice. Béatrice Orsino, il y a quelque chose de plus qu’un homme qui va et vient dans ces murailles de misère, et me force, moi, à rester. L’amour, pour moi, n’a plus les vertus de la souffrance. Le devoir est mon seul amour. Orsino L’air est infect ici. Confessez, confessez-vous; il faut un sacrement insigne pour exorciser toutes ces folies. Béatrice Il n’y a pas de sacrement pour lutter contre la cruauté qui m’oppresse. Il faut agir. Cette nuit, mon père donne une fête somptueuse, Orsino; il a reçu d’heureuses nouvelles de Salamanque de mes frères qui sont là-bas; c’est par cette démonstration extérieure d’amour qu’il se joue de sa haine secrète. Grands dieux, qu’un tel père puisse être le mien! Tous mes parents les Cenci seront là, avec toute la haute noblesse de Rome. Il nous a fait dire, à ma 73 Orsino Me ne ricordo: dicevate che mi amavate allora. Béatrice Voi siete un sacerdote, non mi parlate di amore. Orsino Che importano i miei voti dal momento che vi ritrovo; non esiste chiesa che possa lottare contro il mio cuore. Béatrice Non è né la chiesa né il vostro cuore che ci separano, Orsino, ma il destino. Orsino Quale destino? Béatrice Mio padre. Ecco il mio malvagio destino. Orsino Vostro padre? Béatrice Per causa sua io non sono più fatta per gli amori umani. I miei amori non valgono che per la morte. Orsino Io vado a battermi, Béatrice. Béatrice Orsino, c’è qualche cosa di più di un uomo che va e viene dalle sue mura di miseria e mi costringe, me, a restare. L’amore, per me, non ha più le virtù della sofferenza. Il dovere è il mio solo amore. Orsino L’aria è infetta qui. Confessate, confessatevi; è necessario un glorioso sacramento per esorcizzare tutte queste pazzie. Béatrice Non esiste sacramento per lottare contro la crudeltà che mi opprime. Bisogna agire. Questa notte mio padre dà una festa sontuosa, Orsino; egli ha ricevuto buone notizie da Salamanca dai miei fratelli che sono laggiù; è con questa dimostrazione di amore esteriore che si prende gioco del suo odio segreto. Grandi dei, che un tale padre debba essere il mio! Tutti i miei parenti della famiglia Cenci saranno là, con tutta la grande nobiltà di Roma. Ci ha fatto dire, a 74 mère et à moi, de nous parer de nos plus beaux atours de fête. Pauvre dame! Elle attend de là quelque heureux soulagement à ses sombres pensées; moi, rien. Orsino Béatrice! Béatrice À souper, nous reparlerons de mon cœur, jusque-là, adieu. SCÈNE 3 Cenci, Béatrice et Lucrétia. Le banquet. Cenci Mes chers amis, la solitude est mauvaise conseillère. Trop longtemps, j’ai vécu loin de vous. Plus d’un, je le sais, m’a cru mort; et je dirai même s’est réjoui de ma mort, moi-même, suivant en cela la malveillance générale, je me suis pris parfois à considérer le mythe que j’étais devenu. Je suis prêt à réaliser ma légende. Voyez, tâtez ces os et dites-moi s’ils sont faits pour vivre de silence et de recueillement. Dieu m’a surabondamment exaucé. Tenez, Béatrice, lisez ces lettres à votre mère. Et que l’on dise après cela que le ciel n’est pas avec moi. (Béatrice hésite) Tiens, prends, et regarde ce que j’ai fait pour tes frères. (L’œil provocant du vieux Cenci fait lentement le tour de la salle) Eh bien quoi, vous refusez de comprendre: mes fils désobéissants et rebelles sont morts. Morts, dissipés, finis, vous entendez? Béatrice Ce n’est pas vrai. Ouvrez les yeux, petite mère. Menteur... On ne brave pas impunément la justice de Dieu. (Lucrétia s’affale dans les bras de Béatrice et on l’emporte) Cenci Le premier est mort emplâtré sous les décombres d’une église. Ah! L’autre a péri de la main d’un jaloux; pendant que leur rival à tous deux faisait l’amour avec leur belle. Venez donc me dire après cela que la providence n’est pas avec moi. Je bois à la perdition de ma famille. S’il y a un dieu, que la malédiction efficace d’un père les arrache tous du trône de Dieu. (Béatrice revient) Béatrice Par grâce, ne vous en allez pas, nobles hôtes. Vous êtes pères. Ne nous laissez pas avec cette bête sauvage, ou je ne pourrai plus voir une tête blanche sans éprouver le désir de blasphémer la paternité. 75 mia madre e a me, di adornarci per la festa con i nostri abiti più sfarzosi. Povera donna! Essa attende di là qualche felice sollievo ai suoi cupi pensieri; io, niente. Orsino Béatrice! Béatrice A cena riparleremo del mio cuore; fino ad allora addio. SCENA TERZA Cenci, Béatrice e Lucrétia. Il banchetto. Cenci Miei cari amici, la solitudine è una cattiva consigliera. Troppo a lungo ho vissuto lontano da voi. Più di uno, lo so, mi ha creduto morto; e dirò anche che si è rallegrato della mia morte; io stesso, seguendo in questo la malevolenza generale, mi sono ritrovato talvolta a considerare il mito che ero diventato. Io sono pronto a realizzare la mia leggenda. Guardate, tastate queste ossa e ditemi se sono fatte per vivere di silenzio e di raccoglimento. Dio mi ha esaudito in sovrabbondanza. Tenete, Béatrice, leggete queste lettere a vostra madre. E che non si dica dopo che il cielo non è con me. (Béatrice esita) Tieni, prendi, e guarda cosa ho fatto per i tuoi fratelli. (Lo sguardo provocante del vecchio Cenci fa lentamente il giro della stanza) Ebbene, che fate, vi rifiutate di comprendere; i miei figli disobbedienti e ribelli sono morti. Morti, distrutti, finiti, capite? Béatrice Non è vero. Aprite gli occhi, cara madre. Bugiardo... Non si sfida impunemente la giustizia di Dio. (Lucrétia si lascia cadere fra le braccia di Béatrice e viene portata via) Cenci Il primo è morto sfracellato sotto le macerie di una chiesa. Ah! L’altro è perito per mano di un geloso, mentre il loro rivale faceva l’amore con le loro belle. Venitemi ora a dire, dopo questo, che la provvidenza non è con me. Io bevo alla perdizione della mia famiglia. Se c’è un dio, che la maledizione efficace di un padre li strappi tutti dal trono di Dio. (Béatrice ritorna) Béatrice Per gentilezza, non ve ne andate, nobili ospiti. Voi siete padri. Non ci lasciate con questa bestia selvaggia, altrimenti non potrò più vedere una testa canuta senza provare il desiderio di bestemmiare la paternità. 76 Cenci Elle dit vrai: vous êtes tous pères. C’est pourquoi je vous conseille de songer aux vôtres, avant d’ouvrir la bouche sur ce qui vient de se passer ici. Maintenant, dehors tout le monde, je veux rester seul avec celle-ci. SCÈNE 4 Béatrice et Cenci sont seuls. Cenci (agité) Béatrice. Béatrice (émue) Mon père. Retire-toi de moi homme impie. Je n’oublierai jamais que tu fus mon père, mais disparais. À ce prix, je pourrai peut-être te pardonner. Cenci Ton père a soif, Béatrice. Ne donneras-tu pas à boire à ton père? (Béatrice lui remplit un grand verre de vin. Il touche ses cheveux. Béatrice réagit violemment) Ah! Vipère, je connais un charme qui te rendra douce et apprivoisée. (Affolée, Béatrice s’en va) Laisse. Laisse; le charme opère. Désormais elle ne peut m’échapper. SCÈNE 5 Béatrice et Lucrétia. Un lit. Béatrice C’est lui. J’entends son pas sur l’escalier. N’est-ce pas sa main sur la porte? Depuis hier, je le sens partout. Oh! ce pas qui remplit les murailles. Son pas. Aide-nous, mère. Je suis lasse enfin de lutter. Sa face épouvantable s’éclaire. Je dois le haïr mais... son image vivante est en moi comme un crime que je porterais. (Tout d’un coup, elle se met à pleurer) J’aime mieux mourir que de lui céder. Lucrétia Lui céder? Béatrice La monstruosité qui mûrit en lui. Lucrétia Mais enfin qu’a-t-il pu oser? 77 Cenci Essa dice il vero: voi siete tutti padri. Per questo vi consiglio di pensare bene ai vostri figli prima di aprire la bocca su ciò che sta succedendo qui. Ora, fuori tutti; voglio restare solo con lei. SCENA QUARTA Béatrice e Cenci sono soli. Cenci (agitato) Béatrice. Béatrice (turbata) Padre mio. Allontanati da me uomo empio. Non dimenticherò mai che tu sei stato mio padre, ma scompari. A questo prezzo forse potrò perdonarti. Cenci Tuo padre ha sete, Béatrice. Non darai tu da bere a tuo padre? (Béatrice gli riempie un grande bicchiere di vino. Egli le tocca i capelli. Béatrice reagisce violentemente) Ah! Vipera, conosco un incantesimo che ti renderà dolce e mansueta. (Sconvolta, Béatrice se ne va) Lascia. Lascia pure che l’incantesimo operi. Ormai essa non può più sfuggirmi. SCENA QUINTA Béatrice e Lucrétia. Un letto. Béatrice È lui. Sento i suoi passi sulla scala. Non è la sua mano sulla porta? Da ieri, lo sento dappertutto. Oh! I suoi passi che riempiono le mura. I suoi passi. Aiutaci, madre. Sono ormai stanca di lottare. La sua faccia spaventosa appare. Io lo devo odiare ma… la sua immagine vivente è in me come un crimine che io debba portare. (D’un tratto si mette a piangere) Preferisco morire che cedergli. Lucrétia Cedergli? Béatrice La mostruosità che matura in lui. Lucrétia Ma infine che cosa ha potuto osare? 78 Béatrice Est-il une chose qu’il ne puisse oser? Tout ce que j’ai supporté n’est rien à côté de ce qu’il s’apprête à me faire. Et tu sais que je n’ai pas protesté mais maintenant... maintenant... (Cenci entre. Il aperçoit Béatrice) Cenci (comme en prenant une décision) Ah! ah! (Béatrice s’accroupit) Vous pouvez rester, Béatrice. La nuit dernière, vous osiez me regarder en face. (Béatrice tente de s’esquiver) Eh bien! (La prenant) Qu’est-ce-que vous attendez? Lucrétia Par grâce! Cenci Vous m’avez trop bien pénétré pour que je puisse encore avoir honte de ce que je pense. Lucrétia Par grâce, mon cher époux, elle défaille. Non! ne la torturez pas. Cenci À ta place, la vieille. Ta vue me rappelle certaines amours sordides qui ont gâché mes plus belles années. Je hais les femmes comme vous. (Béatrice s’en va) SCÈNE 6 Cenci et Lucrétia Lucrétia Vous souffrez? Cenci Oui, la famille, voilà où je suis blessé. Lucrétia (Avec compassion) Hélas! Chacune de vos paroles nouvelles est comme un coup que vous nous portez. Cenci Et après! c’est la famille qui a tout vicié. Lucrétia Après? seule la famille t’aura permis de donner la mesure de ta cruauté! sans la famille, qu’est-ce-que tu serais? 79 Béatrice C’è una cosa che egli non possa osare? Tutto ciò che io ho sopportato non è niente in confronto a ciò che si appresta a farmi. E tu sai che io non ho protestato ma ora… ora (Entra Cenci. Scorge Béatrice) Cenci (come prendendo una decisione) Ah! ah! (Béatrice si accovaccia) Voi potete restare, Béatrice. L’ultima notte avete osato guardarmi in faccia (Béatrice tenta di sfuggire) Eh, bene! (Prendendola) Cos’è che vi aspettate? Lucrétia Per misericordia! Cenci Voi avete penetrato troppo bene i miei pensieri perché io possa ancora avere vergogna di ciò che penso. Lucrétia Per misericordia, mio caro sposo, essa viene meno. No! Non la torturate! Cenci Sta’ al tuo posto, vecchia. La tua vista mi ricorda certi sordidi amori che hanno rovinato i miei anni più belli. Odio le donne come voi. (Béatrice esce) SCENA SESTA Cenci e Lucrétia Lucrétia Soffrite? Cenci Sì, la famiglia, ecco dove mi fa male. Lucrétia (con compassione) Ahimè! Ogni vostra nuova parola è come un colpo che ci date. Cenci E con questo! È la famiglia che ha reso tutto viziato. Lucrétia E poi? Soltanto la famiglia ti avrà permesso di dare la misura della tua crudeltà! Senza la famiglia, cosa saresti? 80 Cenci Pas de rapports humains possibles entre des êtres qui ne sont nés que pour se substituer l’un à l’autre et qui brûlent de se dévorer. Lucrétia Mon dieu! Cenci Au diable ton dieu! Lucrétia Mais avec des paroles pareilles, il n’y a plus de société. Cenci La famille à qui je commande et que j’ai faite est ma seule société. La tyrannie est la seule arme qui me reste pour lutter contre la guerre que vous tramez. Lucrétia Il n’y a de guerre que dans ta tête, Cenci. Cenci Menteuse! Lucrétia J’étouffe. Cenci Ne vous en prenez qu’à vous-même de l’atmosphère que vous respirez. Seule votre imagination sacrilège a créé l’atmosphère dont vous souffrez. (Lucrétia s’en va) SCÈNE 7 Monologue de Cenci. Cenci (calme et méditatif) Et toi, et toi, et toi, nuit, toi qui grandis tout, entre là avec les formes démesurées de tous les crimes qu’on imagine. Tu ne peux me chasser de moi puisque l’acte que je porte est plus grand que toi. (Il suit Béatrice pour la violer, entre-temps Lucrétia est seule et se regarde dans un miroir) 81 Cenci Non ci possono essere rapporti umani fra esseri che non sono nati se non per sostituirsi l’uno all’altro e che ardono dalla voglia di divorarsi. Lucrétia Mio Dio! Cenci Al diavolo il tuo Dio! Lucrétia Ma con parole simili non esiste più la società. Cenci La famiglia che io comando e che io ho fatto è la mia sola società. La tirannia è la sola arma che mi resta per lottare contro la guerra che voi tramate. Lucrétia Non c’è guerra se non nella tua testa, Cenci. Cenci Bugiarda! Lucrétia Soffoco. Cenci Non prendetevela che con voi stessa per l’atmosfera che respirate. Soltanto la vostra immaginazione sacrilega ha creato l’atmosfera di cui soffrite. (Lucrétia esce) SCENA SETTIMA Monologo di Cenci. Cenci (calmo et meditativo) E tu, e tu, e tu, notte, tu che ingrandisci tutto, entra là con le forme smisurate di tutti i crimini che si possano immaginare. Tu non mi puoi cacciare da me stesso perché l’azione che compio è più grande di te. (Egli segue Béatrice per violentarla, mentre Lucrétia resta sola e si guarda in uno specchio) 82 SCÈNE 8 Lucrétia, le miroir, Béatrice. Lucrétia Tais-toi vieille femme! (Béatrice entre. Elle est bouleversée) Béatrice Aidez-moi... protégez-moi... quelque peu... Qu’il ne puisse plus m’approcher... Lucrétia Qui? Béatrice Mon père! Lucrétia Qu’a-t-il fait?... J’ai peur de comprendre! Béatrice Il faut vous décider à comprendre que le pire est réalisé. Lucrétia Le pire? Béatrice Cenci, mon père, m’a polluée. Il m’a prise de force, poussée à l’enfer, un tourbillon. Lucrétia (se faisant le signe de la croix) Mon Dieu! Mon Dieu! Mon Dieu! Béatrice Tout est atteint. Tout. Le corps est sale, mais c’est l’âme qui est polluée. Il n’y a plus une parcelle de moi-même où je puisse me réfugier. Mon seul crime, c’est d’être née. C’est là qu’éclate la fatalité. (Elle se jette aux pieds de Lucrétia, comme Marie Madeleine au pied de la croix) Dis-moi, mère, toi qui le sais, si toutes les familles sont pareilles... car alors je pourrai m’absoudre de l’injustice d’être née. Lucrétia Je t’en supplie, Béatrice, souffre: j’essaierai de te consoler. Mais reviens à toi, je perds pied quand tu déraisonnes. Si tu ne peux rentrer en toi-même, je croirai que nous sommes tous possédés. 83 SCENA OTTAVA Lucrétia, lo specchio, Béatrice. Lucrétia Taci vecchia donna! (Béatrice entra. È sconvolta) Béatrice Aiutatemi... proteggetemi... un po’... Che egli non possa più avvicinarsi a me... Lucrétia Chi? Béatrice Mio padre! Lucrétia Che ti ha fatto?... Ho paura di capire! Béatrice Dovete decidervi a capire che il peggio è accaduto. Lucrétia Il peggio? Béatrice Cenci, mio padre, mi ha macchiata. Mi ha preso con la forza, spinta all’inferno, un turbine. Lucrétia (facendosi il segno della croce) Mio Dio! Mio Dio! Mio Dio! Béatrice Tutto è colpito. Tutto. Il corpo è sporco, ma è l’anima che è macchiata. Non c’è più una briciola di me stessa dove io mi possa rifugiare. Il mio solo crimine è di essere nata. È là che scatta la fatalità. (Si getta ai piedi di Lucrétia, come Maria Maddalena ai piedi della croce) Dimmi, madre, tu che lo sai, se tutte le famiglie sono simili… perché allora mi potrei assolvere dell’ingiustizia di essere nata. Lucrétia Ti supplico, Béatrice, soffri: io proverò a consolarti. Ma ritorna in te, io mi sento perduta quando tu sragioni. Se non puoi ritornare in te, io crederò che noi siamo tutte possedute. 84 Béatrice D’étranges confusions de bien et de mal. Quand j’étais petite, il y a un rêve qui toutes les nuits me revenait. Je suis nue dans une grande chambre et une bête, comme il y en a dans les rêves, n’arrête pas de respirer. Je veux fuir, dissimulant ma nudité, une porte s’ouvre... j’ai faim et soif... je ne suis pas seule. Avec la bête qui respire à côté, combien de bêtes... affamées à mes pieds? Retrouver la lumière; la lumière va me rassasier. Or la bête qui se colle à moi me pourchasse de cave en cave. Et la sentant sur moi, je constate que ma faim n’est pas seule obstinée. Et c’est quand je sens que mes forces sont sur le point de m’abandonner que chaque fois, je m’éveille d’un trait. Que ne puis-je croire que j’ai rêvé, et qu’une porte où l’on va frapper en s’ouvrant viendra me redire qu’il est temps de me réveiller. Béatrice et Lucrétia Laissez les assassins commettre leur crime secret. SCÈNE 9 Cenci et Lucrétia. Cenci Où se cache-t-elle, dis? Où se cache-t-elle? Désir, fureur, amour, je ne sais pas... mais je brûle. J’ai faim d’elle... Va me la chercher. (Lucrétia entre avec le vin) Lucrétia Assez... assez... assez... de l’air. Assez. Je veux vivre. Nous ne sommes pas nés pour être suppliciés. Assez... Cenci Et moi? Peux-tu me dire pourquoi je suis né? Lucrétia Repens-toi. Repens-toi. (Lucrétia s’en va. Cenci boit un verre de vin) Cenci Me repentir? Le repentir est dans la main de dieu. C’est à lui à regretter mon acte. Pourquoi m’a-t-il rendu père d’un être que tout m’invite à désirer? Que ceux qui accusent mon crime accusent d’abord la fatalité. Qui donc peut encore oser nous parler de liberté. Il y a en moi comme un démon désigné pour venger les offenses d’un monde. Désormais, il n’est pas de destin qui m’empêche d’exécuter ce que j’ai rêvé. (Cenci disparait dans l’ombre) 85 Béatrice Strane confusioni di bene e di male. Quando ero piccola, c’era un sogno che mi ritornava tutte le notti. Io sono nuda in una grande camera e una bestia, come ce ne sono nei sogni, non smette di respirare. Voglio fuggire, coprendo la mia nudità, una porta si apre… ho fame e sete… non sono sola. Con la bestia che respira accanto, quante bestie… affamate ai miei piedi? Ritrovare la luce; la luce sta per saziarmi. Dunque, la bestia che si attacca a me mi dà la caccia di sotterraneo in sotterraneo. E sentendola sopra di me, mi accorgo che la mia fame non è la sola ad essere ostinata. Ed è quando sento che le mie forze sono sul punto di abbandonarmi che tutte le volte mi sveglio di colpo. Che io non possa credere di aver sognato e che una porta dove si va a bussare aprendosi verrà a ridirmi che è il momento di risvegliarmi. Béatrice e Lucrétia Lasciate che gli assassini commettano il loro crimine segreto. SCENA NONA Cenci e Lucrétia. Cenci Dove si nasconde, dimmelo? Dove si nasconde? Desiderio, furore, amore, non lo so… ma io brucio. Ho fame di lei… Vammela a cercare. (Lucrétia entra col vino) Lucrétia Basta... basta... basta... aria. Basta. Voglio vivere. Non siamo nati per essere torturati. Basta… Cenci E io? Mi puoi dire perché sono nato? Lucrétia Pentiti. Pentiti. (Lucrétia esce. Cenci beve un bicchiere di vino) Cenci Pentirmi? Il pentimento è la mano di Dio. Sta a lui dolersi della mia azione. Perché mi ha fatto padre di un essere che tutto mi invita a desiderare? Coloro che accusano il mio crimine accusino prima la fatalità. Chi dunque può ancora osare di parlarci di libertà. C’è in me come un demone designato a vendicare le offese del mondo. Ormai non c’è destino che mi impedisca di eseguire ciò che ho sognato. (Cenci scompare nell’ombra) 86 SCÈNE 10 Béatrice et Lucrétia. Béatrice Crois-tu qu’il dort? Lucrétia J’ai mis un narcotique dans son breuvage. (Alors que Béatrice et Lucrétia retournent dans l’ombre, une incantation) Vous prétendez donner la mort et vous avez peur d’un vieillard qui rêve et discute avec ses remords. Allez, allez-y! creusez-lui la tête. SCÈNE 11 Lucrétia et Béatrice, la prison. Lucrétia Écoute! la plainte éternelle. Le pape veut que nous confessions… or, il est temps de songer à la pénitence... Béatrice Pénitence? j’accepte le crime, mais je nie la culpabilité. Laisse-moi te dire qu’il n’est pas bon que le pape s’unisse avec les pères contre les familles qu’ils ont créées. Mon âme est déformée par la vie, je la renvoie à dieu, brûlant tout pour rallumer la création. Lucrétia Béatrice, que la mort te soit douce. Béatrice Je meurs et je n’ai pas choisi. Tomber dans la terre funèbre où l’on crie sans cesse après soi. Le monde qui m’échappe ne me survivra pas. Belle, je n’ai pas goûté à ma beauté. Lucrétia Riche, je n’ai que faire d’une abondance qui insulte à la pauvreté. Béatrice Mes yeux, sur quel affreux spectacle en mourant vous vous ouvrez. Qui pourra m’assurer que, là-bas, je ne retrouverai pas mon père. Seul mon père de... de... de... dedans… père… père… Père… 87 SCENA DECIMA Béatrice e Lucrétia. Béatrice Credi che dorma? Lucrétia Ho messo un narcotico nella sua bevanda. (Mentre Béatrice e Lucrétia ritornano nell’ombra, l’incantesimo di una voce dice:) Voi pretendete di dare la morte e avete paura di un vegliardo che sogna e discute con i suoi rimorsi. Andate, andate! Forategli la testa. SCENA UNDICESIMA Lucrétia e Béatrice, la prigione. Lucrétia Ascolta! Il pianto eterno. Il Papa vuole che noi confessiamo… ora è tempo di pensare al castigo... Béatrice Castigo? Accetto il crimine, ma nego la colpevolezza. Lascia che io ti dica che non è bene che il Papa si unisca ai padri contro le famiglie che essi hanno creato. La mia anima è stata deformata dalla vita, la rinvio a Dio, infiammando tutto per riaccendere la creazione. Lucrétia Béatrice, che la morte ti sia dolce. Béatrice Muoio e non ho scelto. Cadere nella terra funebre dove si grida senza tregua contro se stessi. Il mondo che mi sfugge non mi sopravviverà. Bella, io non ho gustato la mia bellezza. Lucrétia Ricca, io non so che farmene di un’abbondanza che insulta la povertà. Béatrice Occhi miei, su quale orribile spettacolo morendo voi vi aprite. Chi potrà assicurarmi che laggiù non ritroverò mio padre. Solo mio padre di… di… di… di dentro… padre… padre … Padre… Caravaggio, Giuditta e Oloferne (Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica in Palazzo Barberini). 88 89 GIORGIO BATTISTELLI Nasce ad Albano Laziale il 25 aprile 1953. Si diploma in composizione nel 1978 con Giancarlo Bizzi al Conservatorio A. Casella dell’Aquila, studiando contemporaneamente storia della musica con Claudio Annibaldi e pianoforte con Antonello Neri. Nel 1974 è tra i fondatori del Gruppo di Ricerca e Sperimentazione Musicale “Edgar Varèse” e del Gruppo Strumentale “Beat 72” di Roma. Nel 1975 frequenta a Colonia i seminari di composizione di Karlheinz Stockhausen e Mauricio Kagel; nel 1978-79 segue a Parigi i corsi di tecnica e interpretazione nel teatro musicale contemporaneo con Jean Pierre Drouet e Gaston Sylvestre. Prime composizioni: Uno e trino per un percussionista (1975); Comme un opéra fabuleux per un percussionista (1979); Il racconto di Monsieur B per orchestra (1980). Si afferma come uno dei più interessanti compositori della sua generazione. Nel 1983 ottiene una borsa di studio presso gli studi radiofonici di BadenBaden. Nel 1985-86 risiede a Berlino su invito del Deutscher Akademischer Austauschdienst; nel 1986 inizia la sua collaborazione con Casa Ricordi, attuale editrice delle sue partiture. Riceve il premio SIAE per la musica (1990). Fra i suoi lavori di teatro musicale segnaliamo: Experimentum mundi, opera di musica immaginistica su testi tratti dall’Encyclopédie (1981), che ha avuto ad oggi più di duecento rappresentazioni nel mondo; Aphrodite, monodramma di costumi antichi (1983); Jules Verne, fantasia da camera in forma di spettacolo su testi del compositore (1987); Le combat d’Hector et d’Achille, représentation de corps et de mémoire per due musici oratori (Strasburgo, Festival Musica 1989); Globe Theatre, Ballet zur Jahrtausendwende su coreografie di Virgilio Sieni (1990). Fra le opere strumentali: Anarca per orchestra (1988-89). Nel 1993 è chiamato da Hans Werner Henze quale suo successore alla guida del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, dove è direttore artistico fino al 1996. Si intensifica la sua produzione teatrale: Teorema, parabola in musica (libero adattamento da Pier Paolo Pasolini), prima rappresentazione assoluta al Teatro Comunale di Firenze al 53° Maggio Musicale Fiorentino (1992); Frau Frankenstein, monodramma del Prometeo moderno su testo proprio da Mary Shelley (1993); Prova d’orchestra, sei scene musicali di fine secolo su testo proprio liberamente tratto dal film di Federico Fellini (1994-95). In campo vocale: Ascolto di Rembrandt su testo di Guido Ceronetti; Paz Music su testi di Octavio Paz (1993-94). In ambito strumentale segnaliamo Il y a un firmament per orchestra da camera (1991). Dal 1996 al 2002 è Direttore Artistico dell’Orchestra della Toscana. Ancora per il teatro musicale Battistelli compone: The Cenci, teatro di musica da Antonin Artaud (Londra, Almeida Opera; 1997); La scoperta della lentezza, teatro di musica in cinque scene dal romanzo di Sten Nadolny (Brema 1997); Giacomo mio, salviamoci! su testo di Vittorio Sermonti per voce docente e orchestra (1998); Il fiore delle mille e una notte, balletto in otto scene da Pier Paolo Pasolini (Modena 1999); e Impressions d’Afrique, teatro di musica da Raymond Roussel (63° Maggio Musicale Fiorentino, 2000). Mentre in campo strumentale segnaliamo: Orazi e Curiazi per due percussionistsi (Beijng Concert Hall 1996); Etüde per orchestra (Berlino 2000). Infine Tre voci su testo di Giorgio van Straten (Sagra Musicale Umbra 1996), che unisce voce recitante ed elettronica all’organico strumentale. Tra i lavori più rappresentativi di questo periodo rientrano: Auf den Mar- 90 morklippen (2001), visioni musicali dal romanzo di Ernst Jünger, The Embalmer (2002) su testo di Renzo Rosso, L’autunno del Patriarca composto nel 2004, Meandri (2004), composizione sinfonica commissionata dall’Orchestra Filarmonica del Teatro alla Scala, Riccardo III, opera tratta dalla tragedia di Shakespeare, su libretto di Ian Burton. Attualmente ricopre i seguenti incarichi: Direttore Artistico della Società Aquilana dei Concerti (2000-2005), Direttore Artistico dell’Accademia Filarmonica Romana (dal 2005), Direttore della Biennale Musica di Venezia (dal 2004), Composer-in-residence dell’Opera di Anversa (dal 2005). LUCA PFAFF Luca Pfaff, direttore d’orchestra francese di origine svizzera, è nato a Lugano. Dopo la maturità classica ha studiato pianoforte con Bruno Canino e composizione con Franco Donatoni al Conservatorio G. Verdi di Milano. Si è diplomato in direzione d’orchestra con Hans Swarowsky a Vienna e all’Accademia di S. Cecilia di Roma con Franco Ferrara del quale ha seguito i corsi di perfezionamento all’Accademia Musicale Chigiana di Siena. Dirige regolarmente orchestre di grande prestigio quali le orchestre Nazionali di Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, Argentina e Messico, le Filarmoniche di Londra, Oslo, Bergen, Stoccolma, Helsinki, Rotterdam e Montecarlo, la Tonhalle di Zurigo, la Monnaie di Bruxelles, la Gulbenkian di Lisbona, le principali orchestre radiofoniche europee, l’Ensemble Intercontemporain, la London Sinfonietta ed é ospite di numerosi festival internazionali. Dal 1987 al 1996 è stato direttore stabile dell’Orchestra Sinfonica del Reno e dell’Opera di Strasburgo; contemporaneamente, dal 1990 al 1994 è stato direttore dell’Ensemble Carme di Milano, con il quale ha svolto un’intensa attività concertistica in Italia e all’estero. Dal 2001 é primo direttore ospite dell’Opera di Anversa. Luca Pfaff. 91 Le sue affinità eccezionali ed il suo impegno per la diffusione della musica del Novecento lo collocano tra le personalità di spicco del mondo musicale internazionale (si cita ad esempio il film girato da Artè: “Luca Pfaff musicien éuropéen”). Ha diretto numerose prime assolute di compositori di primo piano come Battistelli, Berio, Donatoni, Dusapin, Fedele, Huber, Maderna, Rihm, Scelsi, Schnittke, Xenakis ecc. È stato consulente artistico di vari festival. Ha registrato numerosi CD che spaziano da Mozart a Donatoni, fra i quali due dedicati a Bartók con l’Orchestra Nazionale della RAI che hanno riscontrato un notevole successo nella stampa internazionale. Recentemente ad Anversa ha diretto la prima assoluta di Riccardo III di G. Battistelli (regia Robert Carsen), é stato in Giappone con l’Orchestra della Toscana ed in Francia e Belgio con l’Orchestra Nazionale Spagnola e con l’Orchestra Gulbenkian di Lisbona. Ha tenuto dei Corsi di perfezionamento di direzione d’orchestra alle Università di Vienna e di Graz, al Conservatorio Superiore di Parigi, all’Accademia delle Belle Arti di Madrid ed a Lisbona. ORCHESTRA DELLA TOSCANA Si è formata a Firenze nel 1980 per iniziativa della Regione Toscana, della Provincia e del Comune di Firenze. Nel 1983, durante la direzione artistica di Luciano Berio, è diventata Istituzione Concertistica Orchestrale per riconoscimento del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Attualmente la direzione artistica è affidata ad Aldo Bennici, uno dei padri fondatori dell’ORT. Composta da 45 musicisti, che si suddividono anche in agili formazioni cameristiche, l’Orchestra realizza le prove e i concerti, distribuiti poi in tutta la Toscana, nello storico Teatro Verdi, situato nel centro di Firenze. Le esecuzioni fiorentine sono trasmesse su territorio nazionale da Radiorai Tre. Interprete duttile di un ampio repertorio che dalla musica barocca arriva fino ai compositori contemporanei, l’Orchestra riserva ampio spazio a Haydn, Mozart, tutto il Beethoven sinfonico, larga parte del barocco strumentale, con una particolare attenzione alla letteratura meno eseguita. Accanto ai grandi capolavori sinfonico-corali si aggiungono i Lieder di Mahler, le pagine corali di Brahms, parte del sinfonismo dell’Ottocento con una posizione di privilegio per Rossini. Una precisa vocazione per il Novecento storico, insieme a una singolare sensibilità per la musica d’oggi, caratterizzano la formazione toscana nel panorama musicale italiano. Ospite delle più importanti società di concerti italiane, si è esibita con grande successo al Teatro alla Scala di Milano, al Maggio Musicale Fiorentino, al Comunale di Bologna, al Carlo Felice di Genova, all’Auditorium “G. Agnelli” del Lingotto di Torino, all’Accademia di S. Cecilia di Roma, alla Settimana Musicale Senese, al Ravenna Festival, al Rossini Opera Festival e alla Biennale di Venezia. Numerose le sue apparizioni all’estero a partire dal 1992: Germania, Giappone, Salisburgo, Cannes, Buenos Aires, San Paolo, Montevideo, Strasburgo, New York, Edimburgo, Madrid e Hong Kong, a Tokyo per la rassegna “Italia-Giappone 2001-2002”. Tra i prestigiosi musicisti che hanno collaborato con l’ORT citiamo: Salvatore Accardo, Martha Argerich, Rudolf Barshai, Bruno Bartoletti, Yuri Bashmet, Luciano Berio, Frans Brüggen, Mario Brunello, Sylvain Cambreling, Myung-Whun Chung, Alicia De Larrocha, Gabriele Ferro, Eliot Fisk, 92 Rafael Frübeck de Burgos, Gianandrea Gavazzeni, Gianluigi Gelmetti, Natalia Gutman, Daniel Harding, Eliahu Inbal, Ton Koopman, Gidon Kremer, Yo-Yo Ma, Gustav Kuhn, Alexander Lonquich, Andrea Lucchesini, Peter Maag, Peter Maxwell Davies, Mischa Maisky, Sabine Meyer, Midori, Shlomo Mintz, Viktoria Mullova, Roger Norrington, Esa Pekka Salonen, Hansjoerg Schellenberger, Heinrich Schiff, Vladimir Spivakov, Uto Ughi, Maxim Vengerov. La discografia comprende musiche di Schubert e di Cherubini con Donato Renzetti (Europa Musica), Pierino e il lupo e L’Histoire de Babar con Paolo Poli e Alessandro Pinzauti (Caroman), Cavalleria rusticana con Bruno Bartoletti (Foné), Il barbiere di Siviglia con Gianluigi Gelmetti (EMI Classics), Omaggio a Mina e Orfeo cantando tolse di Adriano Guarnieri con Pietro Borgonovo (Ricordi) e lo Stabat Mater di Rossini con Gianluigi Gelmetti (Agorà), Tancredi con Gianluigi Gelmetti (Foné), Holy Sea con Butch Morris (Splasc-h), Richard Galliano e I Solisti dell’Ort (Dreyfus), Le Congiurate di Schubert con Gérard Korsten per la regia di Denis Krief, Concertone con Stefano Bollani (Blue Label). Georges Lavaudant Dopo venti anni di attività col Teatro di Grenoble, poi co-direttore del Centre Dramatique National des Alpes (a partire dal 1976) e della Maison de la Culture de Grenoble (nel 1981), Georges Lavaudant diventa co-direttore del TNP nel 1986. La sua prima regia al TNP nel 1987 fu Le Régent de Jean-Christophe Bailly. Lavaudant proseguiva infatti il lavoro già iniziato dagli inizi degli anni ’70 a Grenoble: presentare autori classici alternandoli con autori contemporanei. Testi di Denis Roche (Louve basse), Pierre Bourgeade (Palazzo Mentale), Jean-Christophe Bailly (del quale ha diretto due altri lavori (Les Cépheïdes e Pandora), Michel Deutsch (Féroé, la nuit...), Le Clézio (Pawana) e, dopo alcuni anni, suoi propri lavori: Veracruz, Les Iris, Terra Incognita, Ulysse/Matériaux, inframezzati con il teatro di Shakespeare, de Musset, Cechov, Brecht, Labiche, Pirandello, Genet. Le sue regie, realizzate principalmente a Grenoble fino al 1986, poi a Villeurbanne fino al 1996, sono state messe in scena anche alla Comédie Française (Lorenzaccio, Le Balcon, Hamlet), all’Opéra di Parigi (Roméo et Juliette di Gounod), all’Opéra di Lione (Il ratto dal serraglio di Mozart, Malcolm di Gérard Maimone, Rodrigue et Chimène di Debussy) e, all’estero, in Messico (Le Balcon, Pawana), a Montevideo (Isidore Ducasse/Fragments), a Bhopal (Phèdre), a Hanoi (Woyzeck), a San Pietroburgo (Reflets). Nel 1995 e 1996, ha realizzato Lumières (I) “Près des ruines” et Lumières (II) “Sous les arbres”, spettacoli concepiti da Jean-Christophe Bailly, Michel Deutsch, Jean-François Duroure e da lui stesso. Ha diretto sulle scene la compagnia del Teatro Malij di San Pietroburgo nell’adattamento russo di Lumières: Reflets présentata all’Odéon nel 1997. Lo stesso anno ha curato la regia della prima rappresentazione assoluta di Prova d’orchestra di Giorgio Battistelli all’Opéra du Rhin. Georges Lavaudant è direttore del Théâtre de l’Odéon dal 1996. Fra le sue numerose regie in quel teatro, si ricordano Re Lear di Shakespeare, Aiace e Filottete di Sofocle, Tamburi nella notte e Le nozze dei piccoli borghesi di Brecht, l’Orestiade di Eschilo, La morte di Danton di Büchner, Il giardino dei ciliegi di Cechov. 93 L’ingresso del Teatro dei Rozzi e l’emblema dell’omonima Accademia. 94 Orchestra della Toscana Viole Stefano Zanobini * Pier Paolo Ricci ** Alessandro Franconi Joël Impérial Trombone Antonio Sicoli * Violoncelli Luca Provenzani * Leandro Carino * Christine Dechaux ** Stefano Battistini Timpani Morgan M.Tortelli * Contrabbassi Gianpietro Zampella * Luigi Giannoni ** Campionatore e Maestro collaboratore Damiano Giorgi * Flauto Michele Marasco * Clarinetti Carlo Failli * Marco Ortolani * Rossana Rossignoli Tromba Donato De Sena * Basso tuba Riccardo Tarlini * Percussioni Domenico Cagnacci Ispettore d’orchestra e archivista Alfredo Vignoli * prime parti ** concertino 95 Jurij Temirkanov. 96 Lunedì 10 luglio Piazza Jacopo della Quercia ore 21,15 Jurij Temirkanov direttore Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo NIKOLAJ ANDREEVIČ RIMSKIJ-KORSAKOV Tikhvin, Novgorod 1844 – Ljubensk, Pietroburgo 1908 La grande Pasqua russa ouverture op. 36 Suite da Il gallo d’oro Il Re Dodon nel suo palazzo (Allegro) Il Re Dodon sul campo di battaglia (Allegro maestoso) Il Re Dodon e la Regina di Ščemakan (Andantino) Festa di nozze e triste fine del Re Dodon (Allegro assai) *** IGOR’ FËDOROVIČ STRAVINSKIJ Oranienbaum, Pietroburgo 1882 – New York 1971 La sagra della Primavera Prima parte, L’adorazione della terra Introduzione – Gli auguri primaverili, danze degli adolescenti – Gioco del rapimento – Ronde primaverili – Giochi delle città rivali – Corteo del saggio – Adorazione della terra (Il saggio) – Danza della terra Seconda parte, Il sacrificio Introduzione – Cerchi misteriosi degli adolescenti – Glorificazione dell’eletta – Evocazione degli antenati – Azione rituale degli antenati – Danza sacrale (L’eletta) 97 ITINERARI RUSSI, DA RIMSKIJ-KORSAKOV A STRAVINSKIJ FRANCESCO ERMINI POLACCI l concerto di Yurij Temirkanov e dell’Orchestra Filarmonica di S. Pietroburgo, che il carismatico maestro guida stabilmente dal 1988, ci conduce lungo un suggestivo percorso nella musica russa fra Ottocento e Novecento, attraverso i nomi – per più versi fra loro legati – di Nicolaj Rimskij-Korsakov ed Igor Stravinskij. Assieme a Milij Balakirev, Aleksandr Borodin, César Cui e Modest Musorgskij, Nicolaj Rimskij-Korsakov diede vita al cosiddetto “Gruppo dei cinque”, sorta di cenacolo culturale i cui componenti cercarono di definire un comune indirizzo estetico con la precisa volontà di valorizzare e rinvigorire, con la musica e nella musica, l’identità nazionale russa. Animati da un genuino orgoglio nazionalista, i Cinque suggellarono questo loro sodalizio artistico nel nome di alcuni principi, primo fra tutti la rivalutazione del rigoglioso patrimonio popolare russo, specie del canto contadino e liturgico, considerato il vero ed unico fondamento della musica; di qui anche la conseguente diffidenza contro la tradizione musicale d’occidente, osteggiata tranne qualche rarissimo caso, e la ricerca di un realismo espressivo che aveva il suo modello più genuino proprio nel folklore. Tuttavia, “l’invincibile banda” – come inizialmente il gruppo si faceva chiamare – finì a poco a poco con lo smembrarsi, perché la definizione organica di una musica dal carattere nazionale si mostrò ideale più difficile da raggiungersi del previsto, e ciascuno dei suoi componenti si trovò a percorrere strade assolutamente indipendenti ed originali. Se Musorgskij si rivelò così uno dei maestri del realismo più drammatico e crudo, Rimskij-Korsakov si impose per una sensibilità coloristica fra le più raffinate, per una capacità illustrativa sempre sorretta da una solidissima quanto sfaccettata abilità nella strumentazione destinata a fare scuola. Vivacità pittorica e colorito fiabesco Rimskij-Korsakov li dispensò a piene mani nella ben nota partitura di Shéhérazade, suite sinfonica ispirata da un racconto de Le mille e una notte: ma in quello stesso 1888, per l’esattezza fra il 25 Luglio ed il 20 Marzo, dalla sua penna nasceva anche l’ouverture La grande Pasqua russa, un’altra pagina sinfonica di raro fascino, dalla comunicativa immediata e dal titolo particolarmente evocativo. La generosità della scrittura virtuosistica ed un manto sonoro splendente sono qui al servizio di una sontuosa I Rimskij-Korsakov in un ritratto di V.A. Serov. 98 99 rappresentazione sinfonica che intende rievocare – come racconta lo stesso Rimskij-Korsakov nella Cronaca della mia vita musicale – “l’aspetto pagano e leggendario della festa, il passaggio dalla scura e misteriosa sera del Sabato di Passione alla festosità sfrenata del mattino della Domenica di Pasqua”. Reminiscenze fra severità ortodossa e gioiosità pagana, dunque, indistintamente riunite sotto l’egida del più autentico spirito russo; senza, appunto, distinguo fra le immagini suggerite dal servizio liturgico pasquale e quelle dalla tradizione popolare, come lo stesso compositore dichiara nelle sue pagine autobiografiche illustrando proprio La grande Pasqua russa: “La danza del re Davide davanti all’arca non s’ispira forse ad un sentimento uguale alla danza degli adoratori di idoli? E il carillon della chiesa ortodossa non è forse una danza ecclesiastica?”. In realtà, a guisa di vera e propria struttura portante Rimskij-Korsakov dispose nella Grande Pasqua russa (dedicata, fra le altre cose, alla memoria degli amici Musorgskij e Borodin) una consistente serie di canti liturgici tratti dall’Obihod, una raccolta di inni della tradizione ortodossa che era stata redatta per l’anniversario della chiesa russa. Canti che lui stesso indica con precisione nelle sue pagine memorialistiche: sono lugubri e scarni, come nella prima parte dell’Ouverture, a cominciare da Dio resusciti, che risuona all’inizio in tutta la sua grave lentezza sacrale; festosi ed esuberanti, come nella seconda, quando ad esempio si fa strada il tema di Cristo è risorto, destinato ad acquistare spessore sonoro ed una più definita, esultante fisionomia nella trionfale coda finale. Il tutto disposto a tracciare la trama di un ordito strumentale assai variegato e concepito con magistrale abilità, non di rado contrappuntato da soluzioni sonore che accolgono il festoso squillare di trombe o che alludono chiaramente a maestosi, sacrali rintocchi di campane; pennellate efficaci che, assieme ad una concezione narrativa assai trascinante nella sua fluida compattezza, garantiscono ancora oggi il fascino della Grande Pasqua russa. Orchestratore fantasioso ed abilissimo di suggestive pagine sinfoniche, Rimskij-Korsakov fu anche prolifico compositore di opere teatrali, per quanto questo suo aspetto sia a tutt’oggi, specie in Italia, assai poco conosciuto. L’ultima, composta fra il 1906 ed il 1907, penultimo anno di vita di Rimskij-Korsakov, s’intitola La favola del gallo d’oro e s’ispira all’omonima novella di Aleksandr Puskin. La storia racconta dello zar Dodon che, preoccupato per le minacce dei popoli vicini, riceve da un astrologo un gallo magico, tutto d’oro, in grado di prevedere l’attacco dei nemici. Tranquilliz- 100 Bozzetto di N. Gončarov per Il gallo d’oro. 101 zato dalla presenza del miracoloso gallo, lo zar Dodon promette all’astrologo che esaudirà ogni suo desiderio. Il gallo all’improvviso inizia a cantare, annunciando l’imminente pericolo. Lo zar Dodon si arma così di tutto punto, costretto a prepararsi per la battaglia; in una tenda di un accampamento s’imbatte nella bellissima regina di Ščemakan, che lo seduce coinvolgendolo in una sfrenata danza orgiastica. Completamente ammaliato dalla regina di Ščemakan, lo zar Dodon conduce la donna a palazzo per poterla sposare. Durante la cerimonia ricompare però l’astrologo che rivendica il dono promesso dallo zar: egli vuole tutta per sé nientemeno che la nuova regina. Furibondo, Dodon lo colpisce con lo scettro, uccidendolo. Il gallo d’oro esce allora dalla reggia e becca ripetutamente Dodon sulla testa, lasciandolo a terra morto. Mettendo in ridicolo la figura dello zar, Il gallo d’oro portava con sé il significato di una pungente satira politica, seppur travestita da fiaba, e nasceva non a caso all’indomani dei moti politici del 1905 ai quali lo stesso Rimskij-Korsakov aveva aderito dando soprattutto appoggio alle sollevazioni degli studenti del Conservatorio di S. Pietroburgo. La fiaba in versi di Puskin, del 1834, era del resto stata scritta per esprimere un giudizio negativo sugli zar di quel tempo e ora riadattata a libretto dalle parole di Nikolaj Bel’skij e con la musica di Rimskij-Korsakov rinnovava quelle critiche: nell’indolenza di Re Dodon, che pur di dormire sonni tranquilli affida la sicurezza del suo regno ad un animale fantastico, era evidente l’allusione allo zar Nicola II, che aveva appena visto il suo paese subire una pesante sconfitta da parte del Giappone e venire di conseguenza sconvolto dai disordini della prima rivoluzione russa. Prima ancora di essere rappresentato, Il gallo d’oro venne così bollato dalla censura, e Rimskij-Korsakov, accusato di collaborazionismo rivoluzionario, ne approntò anche una versione in francese per farlo eseguire a Parigi. Ma non sarebbe mai riuscito a veder rappresentata la sua ultima opera, andata in scena a Mosca solo nel 1909, un anno dopo la sua morte. Già nel 1907, Rimskij-Korsakov aveva riunito due episodi orchestrali dell’opera (per l’esattezza il Preludio all’Atto I e la Marcia Nuziale del III) per poterli far eseguire in concerto; la Suite Sinfonica entrata poi nell’uso concertistico corrente venne invece curata da Aleksandr Glazunov e dal genero Maksimilian Stejnberg nel 1913, seguendo le indicazioni lasciate dallo stesso autore: la formano quattro episodi, che s’intitolano “Il re Dodon nel suo palazzo” (Preludio), “Il re Dodon sul campo di battaglia” (inizio Atto II), “Il re Dodon e la regina di Ščemakan” (seconda parte Atto II), “Festa di nozze e triste fine del re Dodon” 102 (Introduzione, Marcia Nuziale, morte di Dodon e conclusione dell’Atto III). La forma puramente orchestrale della Suite mostra più che mai il ricchissimo panorama di soluzioni timbriche e la fantasiosa capacità evocativa di Rimskij-Korsakov, a cominciare dal primo episodio: ascoltiamo qui, fin dall’inizio, un breve, petulante appello di due trombe, una sorta di fanfaretta che con le sue sonorità asprigne – rese tali dall’uso della sordina – investe di luce sarcastica la figura di Dodon e ne annuncerà più volte nella partitura la presenza; mentre l’idea immediatamente successiva vede i due oboi distendere una melodia sinuosa e tipicamente esotica, che immerge il palazzo di Dodon in un clima tutto fiabesco, e che lascia poi spazio al continuo baluginare timbrico di delicati dialoghi ricamati fra legni ed archi. Un’atmosfera più sinistra accompagna l’arrivo di Dodon nel campo di battaglia, dove la paura del nemico è resa con un sospettoso strisciare degli archi, al quale fa poi da contraltare una spavalda e ridondante marcetta che rende con ironia l’avanzare di Dodon e del suo spaventato esercito. L’incontro di Dodon con la Regina di Ščemakan, nel terzo episodio della Suite, si propone invece con una sensuale, spiegata ed avvolgente cantabilità: la Regina ammalia il re con il suo canto e la sua bellezza, trascinandolo, mentre il flauto svolge le sue ipnotiche spire, nell’eccitazione sonora di una danza ammiccante e dionisiaca. Ricompare ancora l’acidula fanfaretta delle trombe in sordina nel quadro conclusivo della Suite, intercalata dagli episodi più inquieti e cupi dell’Introduzione al III Atto; ed è da qui che lentamente emerge la baldanzosa, bandistica ed ancora una volta sarcastica Marcia che accompagna Dodon, la promessa sposa Regina di Ščemakan ed il corteo di militari e dignitari: una parata ridicolizzata dall’accelerazione ritmica e dall’esagerata ridondanza sonora, e che concresce accogliendo man mano ottoni e percussioni in gran copia ed accentuando la sua meccanicità marziale. Così fino ad un’improvvisa, secca interruzione, che accompagna lo stramazzare al suolo di Dodon colpito a morte dalle beccate del gallo d’oro; e sullo sfondo, risuona il beffardo appello delle trombe, come un ultimo respiro. Partitura ricca di verve e trasparenti sfumature, quella del Gallo d’oro, meno sontuosamente rigogliosa di quanto ci si aspetterebbe da Rimskij-Korsakov, ma nella quale le combinazioni timbriche hanno la lucentezza di lustre tessere di un mosaico, le morbide seduzioni orientaleggianti lasciano spesso il posto ad una scrittura più graffiante e pungente, e l’orchestra è capace di sonorità che hanno la consistenza dura del cristallo più puro. Il Rimskij-Korsakov fiabesco pare insomma spianare qui la strada alle asciuttezze 103 Stravinskij fotografato a Parigi. 104 geometriche e a certe spigolosità imbevute di sarcasmo tipiche del Novecento russo. Asprezze laminate e ritmi affilati come quelli che ritroviamo nello stile di Igor Stravinskij, che di Rimskij-Korsakov fu l’allievo degli ultimi anni e che dal maestro apprese i segreti più raffinati e la tecnica più smaliziata dell’orchestrazione. Un gusto sonoro ben assimilato e che del resto percorre gran parte delle sue prime partiture, da Fuoco d’artificio (1909) all’Uccello di fuoco (1910), ma che per più versi risulta superato in una pagina come La Sagra della Primavera, partitura coreografica nata per i celebri “Ballets Russes” di Parigi: venne tenuta a battesimo il 28 Maggio del 1913, al Théâtre des Champs-Élysées con la direzione del grande Pierre Monteux e la coreografia di Vaslav Nijinskij, e quella data segnò uno dei più clamorosi scandali della storia della musica. Le cronache raccontano che i fischi e le fragorose disapprovazioni del pubblico arrivarono persino a coprire le pur massicce sonorità dell’orchestra: La Sagra della Primavera fu un autentico, violentissimo scossone per l’epoca, perché mai prima di allora si era udita una simile aggressività sonora, una tale rocciosità timbrica, una tale violenza ritmica. “Musica che s’abbatte sull’ascoltatore, con la violenza d’un cataclisma, come una forza scatenata della natura. La Sagra della Primavera è l’esatto contrario di tante ‘Primavere’ sdolcinate cui ci avevano abituato innumerevoli musicisti, pittori e letterati”, scrive giustamente Roman Vlad. A questo suo rivoluzionario balletto Stravinskij aveva difatti attribuito selvagge pennellate monocrome e dalla densità materica, non immemori del gusto fauve di Matisse e Braque, dando forma in questo modo ad un’idea che – stando a quanto racconta lui stesso all’amico Robert Craft, l’amico direttore d’orchestra che è stato esecutore privilegiato di tanta sua musica – gli si era presentata nella mente per la prima volta sotto forma di sogno, agl’inizi del 1910, quando cioè stava completando l’Uccello di fuoco: “Ebbi la visione di un rito pagano, solenne. I vecchi saggi, seduti in cerchio, guardavano una fanciulla danzare fino allo stremo: la stavano sacrificando per propiziare il dio della primavera”. Quadri della Russia pagana non a caso Stravinskij aveva sottotitolato questo suo sconvolgente lavoro articolato in due quadri distinti (L’adorazione della terra e Il sacrificio), perché con esso voleva appunto rendere la sanguinaria crudeltà con cui i russi pagani celebravano l’avvento della Primavera (sagra è da intendersi nel senso di ‘consacrazione’), secondo un feroce rituale che culminava nel sacrificio di una vergine eletta. Un’idea che il compositore poté 105 Stravinskij in un ritratto di Mario Fallani. 106 affinare grazie alla collaborazione con Nicolaj Roerich, pittore ma soprattutto esperto studioso dei riti della Russia pagana (suoi la scenografia e i costumi della prima parigina della Sagra), e che dal punto di vista più strettamente musicale trovò una rigogliosa fonte d’ispirazione anche nel vastissimo patrimonio di canti e danze dell’antica tradizione russa, proprio secondo la lezione che il giovane Stravinskij aveva a suo tempo appreso dal maestro Rimskij-Korsakov: derivazioni melodiche dal folklore che oggi – grazie a pazienti e puntigliosi studi – suonano evidenti, anche se a suo tempo mai vennero ammesse da Stravinskij, ma pure la ricreazione di certe caratteristiche tipiche di quella tradizione musicale che il compositore aveva nel sangue, come le continue e ravvicinatissime mutazioni del ritmo che danno luogo a combinazioni sempre nuove e tali da far tremare vene e polsi agli interpreti. Ma il ricorso al folklore russo non è da intendersi qui piegato a mere finalità documentarie di natura etnomusicale: esso diventa parte della sostanza espressiva musicale, e sprigiona la sua energia segreta perché da Stravinskij aggiornato nella voce di un’orchestra semplicemente colossale, plasmato dall’uso destabilizzante delle dissonanze, dal selvaggio scatenamento tellurico di forze ritmiche e dallo sbalzo di massicci blocchi timbrici. Ed è un motivo del folklore ad iniziare la partitura della Sagra della Primavera (Prima Parte: L’adorazione della terra), una melopea di ascendenza lituana – l’unica, fra l’altro, ad essere stata identificata nella sua derivazione popolare da Stravinskij – che sorprendentemente risuona nel registro più acuto di un solo fagotto: con il suo tono lamentoso e la sua tinta ancestrale, evoca tutto il mistero di un mondo preistorico, dando a sua volta il via ad un’incalzante serie di danze rituali che pare affiorare dagli irrequieti fremiti dei legni. Irrompe così la “Danza delle adolescenti”, sostenuta da un muscoloso ritmo battente, accenti bruschi ed asimmetrici che innescano un fragoroso meccanismo motorio, poi risucchiato e prosciugato dal frenetico “Gioco del rapimento”. Hanno invece un andamento grave ed ossessivo le “Danze primaverili”, trascinate da un cupo disegno ostinato che presto fa largo alla sbrigliata, burrascosa e crescente aggressività dei “Giochi delle tribù rivali”, a sua volta preambolo alla processione del “Corteo del saggio”, intonata da quattro corni che si rinvigoriscono nel clangore di tube e di una consistente batteria di percussioni. “La danza della terra” conclude la Prima Parte della Sagra della Primavera con la forza brutale e scomposta di un terrificante movimento tellurico, convulsioni e scuotimenti a piena orchestra che affermano senza pudori le più apocalittiche valenze del ritmo. Lunare e fredda si 107 avvia, viceversa, la Seconda Parte (Il sacrificio), dove le flebili sonorità delle viole e le surreali alchimie dei legni accolgono il lento profilarsi di un motivo bagnato di lirismo notturno, che poi viene sviluppato con toni struggenti nell’episodio intitolato “Cerchi mistici delle adolescenti”, a sua volta contrappuntato da spunti melodici di chiaro stampo popolare sottoposti a sinistre trasfigurazioni timbriche. Un’atmosfera sospesa che viene letteralmente fagocitata dalle robuste e contorte perorazioni della “Glorificazione dell’eletta”, mentre violente strappate guidate da percussioni e ottoni annunciano “L’evocazione degli avi” e l’“Azione rituale degli avi” è condotta con ossessive figurazioni in ostinato, che costringono le sonorità a continui conflitti dinamici. Nella “Danza Sacrificale” conclusiva è il ritmo a trionfare in maniera definitiva, assumendo uno spiccato valore musicalmente costruttivo, oltreché potentemente espressivo: forza primigenia che si esalta nel suo stesso dionisiaco ed ipnotico parossismo, principio vitale che si scatena con la furia devastante di un’eruzione, meccanismo implacabile e brutale che porta la giovane eletta a danzare fino alla morte, innanzi agli impassibili sguardi dei vecchi saggi, perché quel sacrificio possa far sbocciare una nuova, rigogliosa primavera. Nella Sagra della Primavera rivivono ancora la tradizione, il folklore della grande cultura russa, ma stavolta guardata dagli occhi moderni di Stravinskij nei suoi aspetti più feroci e crudeli: un mondo arcaico e lontanissimo, dove l’umanità guarda all’immenso mistero della Natura; non senza sbigottimento, non senza paura. 108 Vaslav Nijinskij. 109 JURIJ TEMIRKANOV Direttore artistico e Direttore principale dal 1988 dell’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, con la quale effettua regolarmente tournées internazionali e registrazioni discografiche, è Direttore principale dell’Orchestra Sinfonica di Baltimora, Direttore ospite principale dell’Orchestra Sinfonica della Radio Nazionale Danese e “Conductor Laureate” della Royal Philharmonic Orchestra di Londra. Nato a Nal’čik, una città del Caucaso, ha iniziato gli studi musicali all’età di nove anni. A tredici anni ha frequentato la Scuola per giovani talenti di Leningrado, dove ha proseguito gli studi di violino e di viola. Ha quindi completato lo studio di viola presso il Conservatorio di Leningrado, dove peraltro si è diplomato in direzione d’orchestra nel 1965. Dopo aver vinto il Concorso Nazionale Sovietico per Direttori d’orchestra nel 1966, Temirkanov è stato invitato da Kiril Kondrašin ad effettuare una tournée in Europa e negli Stati Uniti con David Ojstrakh e l’Orchestra Filarmonica di Mosca. Nel 1968 è stato nominato Direttore principale dell’Orchestra Sinfonica di Leningrado e dal 1976 al 1988 è stato Direttore musicale del Teatro Kirov (attualmente Teatro Marijnskij). Temirkanov ha diretto le principali orchestre europee: le Orchestre Filarmoniche di Berlino, Vienna, Londra, la Dresden Staatskapelle, la London Symphony, la Royal Concertgebouw, l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia e quella del Teatro alla Scala. Dopo il suo debutto nel 1977 con la Royal Philharmonic Orchestra, di cui è stato dal 1992 al 1998 direttore principale, ha ricoperto tra l’altro la carica di Direttore ospite principale dall’Orchestra Filarmonica di Dresda dal 1992 al 1997. Temirkanov frequenta regolarmente gli Stati Uniti, dove dirige le più prestigiose orchestre di New York, Filadelfia, Boston, Chicago, Cleveland, San Francisco e Los Angeles. La sua molteplice attività discografica include incisioni con l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, l’Orchestra Filarmonica di New York, l’Orchestra Sinfonica della Radio Nazionale Danese, la Royal Philharmonic Orchestra; con quest’ultima ha registrato i Balletti di Stravinskij ed il ciclo delle Sinfonie di Čajkovskij. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti si ricordano la Medaglia conferitagli nel 2003 dal Presidente Vladimir Putin, il Premio “Abbiati” nel 2002 come Miglior Direttore nonché il titolo di Direttore dell’Anno in Italia nel 2003. Temirkanov ha tenuto un Corso di Direzione d’Orchestra all’Accademia Musicale Chigiana negli anni 1995 e 1996. ORCHESTRA FILARMONICA DI SAN PIETROBURGO È la più antica orchestra della Russia. La sua istituzione ufficiale nel 1882 è stata preceduta da una serie di eventi determinanti per la storia della vita musicale nella vecchia capitale dell’Impero russo. Quando Pietro il Grande gettò le fondamenta della città di San Pietroburgo nel 1703, egli si ripropose di fare di questa capitale una città di stampo europeo. Fu così che i più grandi compositori e musicisti italiani, ed in seguito tedeschi, vissero e operarono nella capitale sulla Neva. Nel 1802 un gruppo dell’aristocrazia russa amante della musica fondò la prima società filarmonica europea a San Pietroburgo. Il 19 ottobre 1917, durante la Rivoluzione d’ottobre, fu mutata in Orchestra statale e dette il suo primo concerto pubblico nell’Unione Sovietica l’8 110 novembre. Un anno dopo fu inglobata nella nuova Filarmonica di Pietrogrado, che divenne la prima importante organizzazione musicale dell’USSR. Nell’ottobre 1920 il Commissario per l’educazione Anatolij Lunačarskij dichiarò l’Orchestra Filarmonica di Stato di Pietrogrado la sola istituzione sinfonica della Repubblica. Negli anni seguenti il repertorio dell’Orchestra, per volere dei suoi direttori organizzativi Ossovskaja e Sollertinskij, si è sviluppato ed esteso da Beethoven, a Mahler, a Bruckner. Dal 1938 Mravinskij fu direttore musicale dell’Orchestra per cinquant’anni, divenendo il più famoso interprete di Šostakovič, con cui era legato da grande amicizia. L’Orchestra quindi frequentemente eseguiva prime assolute di Šostakovič, autore ancora oggi privilegiato nel repertorio dell’orchestra stessa. Alla morte di Mravinskij nel 1988, Jurij Temirkanov fu nominato Direttore musicale nonché Direttore principale dell’Orchestra. L’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo è anche la prima orchestra sovietica ad aver effettuato tournées fuori dal suo Paese. Dopo la guerra ha suonato in oltre venticinque stati in Europa, Asia e America, diretta da Stokowski, Munch, Cluytens, Markevitch, Kosef Krips, Kodály e Britten. Attualmente, oltre alla regolare serie di concerti presso la rinomata sede della Filarmonica di San Pietroburgo, l’Orchestra effettua tournées in Europa, Giappone, Stati Uniti, Sud America, Estremo Oriente, apparendo nei maggiori festival quali Lucerna, Salisburgo, Edimburgo e BBS Proms. Ha inciso con Jurij Temirkanov per la BMG Classics e per la Warner, con Mariss Jansons per la EMI e con Vladimir Ashkenazy per la Decca. 111 Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo Violini primi Pavel Popov Alexander Zolotarev Jurij Ushchapovskij Valentin Lukin Sergeij Teterin Alexeij M. Vasiljev Natalia Sokolova Olga Rybalchenko Alexander Rikhter Grigorij Sedukh Renata Bakhrakh Nikolaij Tkachenko Tatiana Makarova Mikhail Alexeev Lija Melik-Muradyan Violini secondi Mikhail Estrin Ruslan Kozlov Arkadij Nayman Arkadij Maleyn Liudmila Odintsova Zhanna Proskurova Liubov Khatina Anatolij Babitskij Nikolaij Dygodyuk Dmitrij Koryavko Tamara Tomskaya Olga Kotlyarevskaya Konstantin Basok Viole Andrey Dogadin Jurij Dmitriev Vladimir Ivanov Artur Kosinov Jurij Anikeev Alexeij Bogorad Elena Panfilova Dmitrij Kosolapov Konstantin Bychkov Roman Ivanov Mikhail Anikeev Alexeij Koptev Violoncelli Sergeij Slovachevskij Nikolaij Girunyan Valerij Naydenov Sergeij Chernyadyev Alexeij Miltikh Taras Trepel Iossif Levinzon Victor Ivanov Yaroslav Cherenkov Kirill Arkhipov Nikolaij Matveev Alexander Kulibabin Contrabbassi Artem Chirkov Alexander Shilo Rostislav Iakovlev Oleg Kirillov Mikhail Glazachev Nikolay Chausov Nikolaij Syraij Alexeij Chubachin Arsenij Petrov Flauti Marina Vorozhtsova Igor Kotov Olga Viland Olesya Tertychnaya Maria Markul Oboi Ruslan Khokholkov Artsiom Isayeu Pavel Serebryakov Vasilij Nikitin Mikhail Dymskij 112 Clarinetti Andreij Laukhin Valentin Karlov Denis Sukhov Igor Gerasimov Andreij Bolshiyanov Vladislav Verkovich Tromboni e tuba Maxim Ignatyev Dmitrij Andreev Vitalij Gorlitskij Denis Nesterov Valentin Avvakumov Alexander Tomashevskij Fagotti Oleg Talypin Sergeij Bazhenov Maxim Karpinskij Alexeij Silyutin Mikhail Gutkin Percussioni Sergeij Antoshkin Valerij Znamenskij Dmitrij Klemenok Konstantin Solovyev Ruben Ramazyan Alexander Mikhaylov Corni Andreij Glukhov Igor Karzov Anatolij Surzhok Anatolij Musarov Alexandru Afanasiev Vitalij Musarov Oleg Skrotskij Trombe Igor Shrapov Mikhail Romanov Vyacheslav Dmitrov Alexeij Belyaev Mikhail Mikhailov Arpa Anna Makarova Andres Izmaylov Pianoforte, celesta Maxim Pankov 113 Paul Lewis. 114 Martedì 11 luglio Palazzo Pubblico, Sala del Mappamondo ore 19 Premio internazionale “Accademia Musicale Chigiana” 2006 (25ª edizione) Paul Lewis pianoforte LUDWIG VAN BEETHOVEN Bonn 1770 - Vienna 1827 Sonata in sol maggiore op. 79 Presto alla tedesca Andante Vivace Sonata in si bemolle maggiore op. 106 “für das Hammerklavier” Allegro Scherzo (Assai vivace, Presto) Adagio sostenuto (Appassionato e con molto sentimento) Largo, Allegro – Allegro risoluto (Fuga a tre voci con alcune licenze) 115 PREMIO INTERNAZIONALE “ACCADEMIA MUSICALE CHIGIANA” el Premio Internazionale “Accademia Musicale Chigiana” si congiungono due forme di mecenatismo: quello antico, glorioso, di Guido Chigi, che ha fatto grande questa Accademia, e quello recente di un amico tedesco della musica, e di Siena. Il primo, com’è noto a tutti, ha lasciato grande traccia di sé nelle molteplici attività dell’Accademia, prima fra tutte quella volta alla formazione di giovani musicisti; il secondo si esprime ogni anno con una manifestazione che ha per protagonisti artisti da poco affacciatisi alla ribalta internazionale e che permette a Siena di ascoltarli in indimenticabili concerti. Fondato nel 1982, grazie appunto all’interessamento di Rolf Becker e ai buoni uffici dell’allora direttore amministrativo dell’Accademia Domenico Sanna, il Premio – cui è stato concesso il patrocinio del Presidente della Repubblica – è destinato istituzionalmente a giovani, ma già affermati concertisti di pianoforte e violino scelti da una giuria composta da rappresentanti di spicco del giornalismo musicale internazionale: Joachim Kaiser (Süddeutsche Zeitung, Monaco di Baviera), Walter Dobner (Die Presse, Vienna), David Stevens (International Herald Tribune, New York), Giuseppe Rossi (La Nazione, Firenze), oltre al Direttore artistico dell’Accademia Chigiana e al docente chigiano della disciplina interessata. Il Premio consiste, oltre che in una cospicua somma di denaro, in una scultura in argento opera di Fritz König, un grande artista contemporaneo a cui si deve anche il celebre monumento ideato per il World Trade Center di New York. Questo è il venticinquesimo anno che il Premio viene assegnato e tra i vincitori si incontrano alcuni dei più grandi nomi del concertismo internazionale: i violinisti Gidon Kremer (1982), Shlomo Mintz (1984), Anne-Sophie Mutter (1986), Viktoria Mullova (1988), Frank Peter Zimmermann (1990), Gil Shaham (1992), Maxim Vengerov (1995), Julian Rachlin (2000), Hilary Hahn (2002), Sara Chang (2005) e i pianisti Peter Serkin (1983), Krystian Zimerman (1985), Andras Schiff (1987), Andrej Gavrilov (1989), Evgeny Kissin (1991), Andrea Lucchesini (1994), Lilya Zilberstein (1998), Leif Ove Andsnes (2001), Arcadi Volodos (2003), oltre al direttore d’orchestra Esa-Pekka Salonen (1993), al Quartetto Hagen (1996) ed il Quartetto Artemis (2004), alla violista Tabea Zimmermann (1997), al violoncellista Matt Haimowitz (1999). Nomi che entreranno nella storia già fitta di illustre presenze dell’Accademia Chigiana. N 116 Beethoven giovanetto in una silhouette. 117 BEETHOVEN SONATA IN SOL MAGG. OP. 79 GUIDO BURCHI itenuta da molti studiosi beethoveniani fino a non molto tempo fa un’opera “secondaria”, la Sonata in sol maggiore op. 79 fu scritta nel 1809, contemporaneamente alla “sorella” op. 78, e pubblicata l’anno dopo senza dedica. In realtà Beethoven stesso la qualificò come “Sonatina” o “Sonata facile” e tale appare in realtà per dimensioni e per una certa semplicità e stilizzazione dell’invenzione musicale. Essa sembra scorrere via senza quelle increspature drammatiche così caratteristiche di quell’autore, specialmente in quel periodo, e senza grandi processi di elaborazione dei temi che vi risultano sempre limpidi e gradevoli. L’impronta data dallo scattante Presto iniziale “alla tedesca” rimane viva attraverso tutta la pagina; quel primo tema tornito e, come suggerisce il titolo stesso, dalle movenze di danza popolare (una sorta di allemanda), tuttavia non alieno da qualche brillantezza “di bravura” (c’è chi ha parlato di certi stilemi alla Domenico Scarlatti), affascina anche per qualche spunto “pastorale”, o per meglio dire “paesano”, percorso anche da lievi venature di sfumata ironia (si ascoltino quelle acciaccature che risuonano, quasi ammiccanti sorrisi, verso la fine del movimento). L’Andante centrale, libero da ogni pesantezza terrena, sembra stare sospeso in una notte senza tempo (“notturno” lo definisce Giovanni Carli Ballola) ed è esposto con un’espressività contenuta e quasi rarefatta, accentuata anche dal modo semplificato al massimo in cui la mano sinistra accompagna il tema della destra, che nella parte centrale si apre brevemente in un canto più disteso. Il breve Finale (Vivace) si ricollega all’inizio della Sonata riportando l’atmosfera a quella garbata e quasi divertita semplicità. L’apprezzamento che i nostri tempi dimostrano alla Sonata op. 79 non fu condiviso in epoche in cui Beethoven era visto quasi esclusivamente come il “titano della musica”, la pagina risultando quasi indegna del compositore (pressoché tutti gli studi sul musicista di Bonn fino ad una certa epoca dedicano a questa sonata soltanto poche righe distratte e quasi di sufficienza). R 118 Lo studio di Beethoven a Vienna. 119 BEETHOVEN SONATA IN SI BEMOLLE MAGGIORE OP. 106 “FÜR DAS HAMMERKLAVIER” GIOVANNI CARLI BALLOLA ra il novembre del 1817 e il marzo del 1819, contemporaneamente alla elaborazione del primo tempo e dello Scherzo della Nona Sinfonia e del Kyrie della Missa Solemnis, nasceva una nuova sonata per pianoforte: la più estesa e imponente tra quelle beethoveniane e tra le più grandiose creazioni strumentali della storia della musica. Elaborata attraverso una quantità straordinariamente grande di appunti, la Sonata in si bemolle maggiore op. 106 è il corrispettivo pianistico della Nona Sinfonia, ma ciò limitatamente alle proporzioni inusitate; giacché la tensione sperimentale che in essa si esplica supera di gran lunga quella dell’analogo sinfonico, dal quale differiscono anche i procedimenti compositivi adottati, che, per molti aspetti, fanno della Sonata un caso limite in tutta l’opera beethoveniana. Nulla di più errato del voler giudicare il primo tempo dell’op. 106 come un ritorno di Beethoven al titanismo eroico degli anni della Quinta Sinfonia e dell’Egmont. L’iniziale sequela di accordi di si bemolle maggiore che, su una lunga pedalizzazione espressamente annotata, squassa da cima a fondo la tastiera, non può propriamente dirsi un tema “eroico”, piuttosto una di quelle masse d’urto sonore, dove il timbro assume la violenza e l’indeterminatezza di una forza cosmica che il grande artefice abbia catturato e si appresti a forgiare sulla propria incudine. Da essa ha origine il sistema strutturale su cui è basata l’intera composizione, ossia quei rapporti tra gl’intervalli di terza che, come ha dimostrato Charles Rosen, nell’op. 106 hanno la prevalenza sul tradizionale giro delle quinte con una sistematicità che non ha eguali in nessun’altra composizione del Maestro. E da essa, come dalla massa materica della quinta vuota che apre la Nona Sinfonia, scaturisce altresì l’Idea, sotto forma della pacata risposta a tre voci reali che conclude l’organismo tematico di base. Espressionismo di masse d’urto foniche, e un’aspra e fitta trama polifonica simile alle maglie di una guaina metallica caratterizzano questo formidabile torso sonatistico in cui ogni elemento strutturale si riorganizza secondo nuove relazioni interne e finalità globali. Lo Scherzo, in un inusitato ritmo binario, sembrerebbe riportare il discorso su terreni meno accidentati, se nel fluttuante Trio in si bemolle minore non si verificasse una magica sospensione T 120 dei valori timbrici, armonici e melodici in un clima di allucinata fissità sonora; e se nel breve, misterioso Presto che fa da ponte tra il Trio e la ripresa, non riapparisse quell’eversiva carica gestuale ed espressionistica (la raffica di una precipitosa cadenza e lo schianto di un tremolo di settima diminuita) racchiusa in ogni piega della composizione e pronta a scatenarsi a tempo e luogo. Si arriva così all’Adagio e sostenuto, sterminato poema dove si libera in un pathos severo e trascendente quanto d’inespresso si dibatteva nell’Allegro. Esso c’introduce nella nuova dimensione beethoveniana della variazione integrale immessa nel sistema sonatistico: pullulare inesauribile di eventi sonori nel perpetuo trasfigurarsi una originaria immagine musicale, quasi un diamante dalle mille sfaccettature che giri su se stesso mostrando ogni volta un aspetto diverso. Alla magica spirale dell’Adagio segue un Largo che è forse il più sconvolgente esempio di quell’ansia di far parlare la materia sonora, ora interrogandola in toni supplichevoli, ora rabbiosamente torturandola, così tipica dell’ultimo Beethoven. Qualcosa d’inaudito è prossimo a scaturire da quel tumultuoso, scomposto monologo recitato sulla tastiera: ed è la “Fuga a tre voci con alcune licenze”, formidabile mastio posto a coronamento della grandiosa fortezza sonora. Dopo la conclusione della Sonata op. 102 n. 2 per pianoforte e violoncello e insieme con le polifonie della Missa Solemnis, la Fuga nell’op. 106 rappresenta quanto di più avventuroso e insieme di più rigorosamente determinato Beethoven abbia tentato nel campo del contrappunto, superando in questo perfino quell’altro colosso polifonico costituito dalla Grande Fuga op. 133 per quartetto d’archi. Essa consta di sei grandi episodi concatenati, nei quali si esplicano tutti gli artifici della polifonia applicati alla fuga. La prima parte è la gigantesca esposizione introdotta dal soggetto che in realtà è piuttosto un organismo tematico nel quale si possono distinguere due elementi costitutivi: il lungo trillo, protervamente scandito sulla sensibile dopo un salto di decima dalla dominante di si bemolle; e la serpigna ed angolosa figurazione in semicrome che segue. Sempre procedendo di terza in terza, attraverso un breve “divertimento” in sol bemolle maggiore si passa alla seconda parte dove il tema, nella tonalità di mi bemolle minore, riappare trasformato in valori raddoppiati. Un nuovo “divertimento” in la bemolle maggiore, che si avvale ampiamente di materiali ricavati dal primo, porta al terzo episodio, un canone in si minore dove il tema (tornato ai valori originari) fa le sue entrate successive per modo retrogrado, iniziando cioè, dall’ultima nota per finire con la prima: artificio di alto virtuosismo contrappuntistico, caro ai fiamminghi e riportato in auge nel nostro secolo dalla tecnica seriale, ma del qualo lo stesso Bach aveva fatto un uso alquanto sobrio. 121 L’ultimo pianoforte di Beethoven. Dono del fabbricante viennese Konrad Graf (Bonn, Beethoven-Haus). 122 Nuovo “divertimento” basato sull’imitazione di frammenti tematici, e quindi la quarta parte, in sol maggiore - mi bemolle maggiore, nella quale le entrate tematiche avvengono per moto contrario. La quinta e sesta parte formano sostanzialmente un blocco unitario, caratterizzato dall’intervento di nuovo materiale tematico, il quale fa la sua comparsa in un episodio di 30 battute, in re maggiore, chiamato da Busoni “Novazione”: “una fughetta nella fuga, quasi come un teatro nel teatro, dove si rappresenti un piccolo dramma indipendente che ad un certo punto interferisce e si salda col dramma principale”. Dopo questa oasi di calmo lirismo, siamo gettati di nuovo tra i marosi più convulsi: ritorna il soggetto principale nella tonalità di base, prima in contrappunto doppio con quello della precedente fughetta, poi, nello “stretto”, in lotta con se stesso per moto contrario. La fuga vera e propria ha termine 20 battute prima del libero epilogo, con una specie di allucinata cadenza dove brandelli del tema si accavallano selvaggiamente sul rullio di un lunghissimo pedale di trilli. “Gl’immani sforzi di Beethoven per dominare la fuga furono la lotta di un grande dinamico e suscitatore di commozioni […] in questo modo di trattare la fuga si può notare quasi un odio e un disiderio di violentarla”, leggiamo nel Doktor Faustus di Thomas Mann, e sono parole che ci portano assai vicino alla sola soluzione oggi plausibile di un problema critico - quale significato dare alla Fuga conclusiva dell’op. 106 - attorno al quale si arrovellarono generazioni di commentatori. Beethoven, sembra dirci Mann, drammatizzò la fuga, immettendo nel suo sistema morfologico dei rapporti di forze che costituivano l’irriducibile eredità del suo linguaggio musicale, segnato nell’intimo dalla forma-sonata. Da ciò l’immensa tensione drammatica di questa musica, il suo lancinante e irrisolto conflitto interno, ma anche la sua visionaria, provocatoria arditezza che si concreta in un repertorio di eventi sonori che esorbitarono dalle normali capacità ricettive del secolo, proiettandosi con violenza in un futuro, quello delle avanguardie musicali del Novecento, pronto a farne la propria eredità e il proprio segnacolo ideale. 123 PAUL LEWIS Considerato ormai come uno dei migliori artisti della sua generazione, si esibisce nei più importanti centri musicali e festival del mondo. La sua acclamatissima serie delle Sonate per pianoforte di Schubert, portata in numerose sale del Regno Unito, gli ha fatto ottenere nel 2003 il South Bank Show Classical Music Award e il Royal Philharmonic Society’s Instrumentalist of the Year Award, oltre al titolo di Giovane Musicista Britannico del 2003. Ha frequentato la Chetham’s School of Music e la Guildhall School of Music & Drama con Ryszard Bakst e Joan Havill. È stato poi allievo di Alfred Brendel. Dopo i successi al World Piano Competition del 1984 e al Tunbridge Wells International Young Artists Competition, ha partecipato al nuovo programma New Generation della BBC nel 1999 e nel 2000-2002 ha insegnato pianoforte alla Royal Academy of Music di Londra. È stato inoltre scelto dalla Wigmore Hall, insieme al Leopold String Trio, per la prestigiosa serie Rising Stars della European Concert Halls Organisation nel 2001-2002. Paul Lewis ha suonato nelle più prestigiose sale da concerto e festival britannici, ma ha un forte legame affettivo con la Wigmore Hall di Londra, dove nelle ultime quattro stagioni si è esibito non meno di 18 volte. Viene invitato inoltre in Europa, Australia e Stati Uniti e recentemente ha suonato per la prima volta ad Adelaide, Amsterdam, Brisbane, Bruxelles, Canberra, Dallas, Firenze, Francoforte, Ginevra, Lucerna, Lyon, Madrid, Melbourne, Milano, Münster, New York, Parigi, Seattle, Sydney, Vancouver, Vevey, Vienna e Zurigo. È ospite regolare dei BBC Proms, Festival Internazionale di Edimburgo, Schubertiade Festival a Schwarzenberg, la Roque d’Anthéron in Francia e dei Festival di Musica da Camera di Risor e Vancouver. Come camerista, ha collaborato con prestigiosi artisti, tra cui Yo-Yo Ma, Michael Collins, Ernst Kovacic, Haffner Wind Ensemble, Katherine Gowers. Ha suonato con importanti formazioni orchestrali e direttori quali Mark Elder, Ivor Bolton, Richard Hickox, Emmanuel Krivine, Vassily Sinaisky e Gerard Schwarz. A parte la serie delle Sonate di Schubert, altri eventi importanti delle ultime stagioni comprendono un particolare allestimento della Die Schöne Müllerin di Schubert all’Opera di Francoforte, una lunga tournée in Australia con concerti, recital e musica da camera, concerti al Musikverein di Vienna con la Hallé Orchestra diretta da Mark Elder e un concerto BBC Prom con Paul Daniel e la Bournemouth Symphony Orchestra. La stagione 2003/2004 lo ha visto impegnato in varie città europee, tra cui Amsterdam, Budapest, Toulouse, Bruxelles, Madrid, Barcellona e Londra, con la Philharmonia e Dohnanyi, Wiener Symphoniker e Sawallisch, Hallé Orchestra e Swensen, City of London Sinfonia e Hickox e con la CBSO, un allestimento teatrale della Winterreise di Schubert a Francoforte e recital in Irlanda e Nord America. Paul Lewis sarà impegnato nell’integrale delle Sonate per pianoforte di Beethoven durante le stagioni 2005/2006 e 2006/2007 in importanti sale da concerto europee e inglesi, tra cui la Wigmore Hall. La sua prima registrazione per Harmonia Mundi (Sonate per pianoforte D. 784 e D. 958 di Schubert) ha incontrato l’entusiastico consenso sia della critica che del pubblico e ha vinto il Diapason d’Or Choc de l’Année 2002. Un secondo CD con le Sonate per pianoforte D. 959 e D. 960 di Schubert è stato pubblicato nel 2003 e ha vinto l’Edison Award per il 2004. Ha inciso i Quartetti per pianoforte di Mozart insieme al Leopold String Trio per la Hyperion Records. Nel 2004 Harmonia Mundi ha pubblicato un CD con la sua registrazione di musiche di Liszt, tra cui la Sonata in si minore. Inoltre proseguirà nell’incisione delle Sonate di Beethoven in contemporanea con i cicli concertistici. 124 Una caricatura di Ludwig van Beethoven. 125 Antonio Vivaldi. 126 Mercoledì 12 luglio Chiesa di Sant’Agostino ore 20,30 ANTONIO VIVALDI Venezia 1678 – Vienna 1741 L’Atenaide Dramma per musica in tre atti su libretto di Apostolo Zeno (in forma di concerto) Edizione Fondazione Cini - Venezia Andrea Marcon direttore Orchestra Barocca di Venezia Personaggi e interpreti Atenaide Varane Pulcheria Marziano Teodosio Probo Leontino Ruth Rosique Lopez soprano Romina Basso mezzosoprano Laura Rizzetto mezzosoprano Franziska Gottwald mezzosoprano Cristina Baggio soprano Bartolo Musil baritono Mark Tucker tenore L’opera è trasmessa in diretta dalla RAI - Radio3 127 L’ATENAIDE DI ANTONIO VIVALDI OSSIA GLI AFFETTI… GELOSI FRÉDÉRIC DELAMÉA iena occupa un posto di rilievo nella storia del teatro musicale di Vivaldi. È infatti in questa città, dove il Teatro Grande aveva ospitato nell’estate del 1718 lo Scanderbeg del Prete Rosso, che fu redatto nel mese di settembre 1939 l’atto di rinascita dell’opera vivaldiana. Un atto adornato dalla firma prestigiosa di Alfredo Casella, direttore artistico della “Settimana Vivaldi” organizzata dall’Accademia Chigiana, nel corso della quale la rappresentazione de L’Olimpiade al Teatro dell’Accademia dei Rozzi, dopo una scelta di arie tratte da Ercole sul Termodonte, mettono fine a quasi due secoli di oblio dei “drammi per musica” del Veneziano. L’esumazione di tesori lirici sotterrati essenzialmente nella Biblioteca Nazionale di Torino da allora è sempre proseguita: Siena ne aveva dato il segnale. S Sessantasette anni dopo quel memorabile avvenimento, la rappresentazione de L’Atenaide di Vivaldi a Siena sotto l’egida della stessa Accademia consolida questo legame storico e permette di assicurare finalmente la rivelazione di una delle più belle opere della maturità del teatro vivaldiano. Lo steccato del successo Il 29 dicembre 1728 L’Atenaide fu rappresentata per la prima volta sul palcoscenico del “Teatro di Via della Pergola” a Firenze. Con questa nuova opera Vivaldi fu invitato per la terza volta nella sua carriera sul prestigioso palcoscenico amministrato dall’Accademia degli Immobili. Al tempo della sua prima venuta nel 1718, egli aveva avuto l’onore di inaugurare il nuovo teatro restaurato con grandi spese sotto la direzione dell’architetto Pier Antonio Ticciati e del pittore Giuseppe Tonelli. Invitato di nuovo alla Pergola nel corso della stagione di Carnevale del 1727, vi aveva presentato la sua Ipermestra il cui successo fu tale che l’abate Conti poté scrivere, in una lettera alla Contessa di Caylus datata 23 febbario 1727: “Vivaldi ha fatto 3 opere in meno di 5 mesi, 2 per Venezia e la 3a per Firenze. Quest’ultima ha rimesso in sesto il teatro toscano e ha fatto guadagnare all’impresario molto denaro”. Una sola stagione di Il Teatro della Pergola di Firenze nel 1678. 128 129 Carnevale era dunque trascorsa fra questo successo e il nuovo incarico a Vivaldi. Il Marchese degli Albizzi, il famoso impresario della Pergola, non si era naturalmente dimenticato delle conseguenze spettacolari per le sue finanze del precedente passaggio del compositore e prevedeva senza alcun dubbio di rinnovare l’operazione con L’Atenaide. Questo interesse combaciava con quello di Vivaldi il quale, di nuovo in urto con i teatri di Venezia, non poteva che trovare un vantaggioso tornaconto in questa nuova commissione. Ma la storia, capricciosa, non doveva ripetersi. Vivaldi aveva lasciato nel 1727 una Pergola la cui programmazione cominciava lentamente a piegarsi sotto la spinta della moda napoletana. Due anni più tardi, egli ritrovò infatti una platea totalmente conquistata dal “gusto nuovo”. La programmazione dell’Albizzi nel corso delle stagioni di Carnevale e dell’estate 1728 aveva in effetti aperto definitivamente il principale palcoscenico toscano ai compositori e agli interpreti del Sud, con le rappresentazioni successive dell’Ermelinda di Leonardo Vinci e dell’Arianna e Teseo di Niccolò Porpora. L’opera di Vinci, composta sull’inossidabile libretto La fede tradita e vendicata di Silvani, era stata importata da Napoli dove la sua prima rappresentazione nell’autunno 1726 aveva visto brillare i celebri castrati Berenstadt e Scalzi. Albizzi, desideroso di ripetere il successo allora incontrato dall’opera, aveva a sua volta scritturato Berenstadt nello stesso ruolo accanto al non meno famoso Castore Antonio detto “Castori”. La scelta di Arianna e Teseo di Porpora per la stagione dell’estate seguente confermava il nuovo orientamento dell’Albizzi, dato che per attribuire maggiore fasto a questa ripresa della versione originale veneziana, l’impresario aveva riunito una notevole compagnia di canto dominata da Farinelli e dall’illustre “Cavaliere” Nicolò Grimaldi. Invitando così Vivaldi subito dopo due dei suoi principali rivali, Albizzi sembra avere voluto riprodurre a Firenze il fenomeno di emulazione creatrice che aveva caratterizzato a Venezia le stagioni 1726-1727, quando le vivaldiane Dorilla in Tempe, Orlando e Farnace avevano fieramente tenuto testa alle opere napoletane del San Giovanni Grisostomo. Difatti, accanto ai veneziani, Albizzi programmò ancora una volta Vinci proponendo il suo Catone in Utica come “opera seconda” del Carnevale, mentre Vivaldi era stato incaricato di comporre l’“opera prima”. L’abile gestione dell’Albizzi doveva portare i suoi frutti. Sotto il suo impulso il pubblico infatti affluiva alla Pergola e le sere di spettacolo la folla nei dintorni del teatro era così numerosa che in quello stesso anno 1729 bisognò progettare la realizzazione di un 130 dispositivo di sicurezza al fine di proteggere i pedoni dal via vai continuo delle carrozze e delle portantine. Dato che Via della Pergola non aveva un vero e proprio marciapiede, le serate d’opera davano spesso luogo a tremendi incidenti. Gli Accademici colsero dunque l’occasione dei lavori di ripavimentazione decisi dalle autorità della città per far installare sulla strada uno “steccato amovibile” di legno da fissarsi le sere di rappresentazione su di uno zoccolo di pietra preparato a tale scopo sul pavimento della via, assicurando così la sicurezza dei pedoni. Questo steccato, che si estendeva da Via Sant’Egidio fino all’ingresso della Pergola, nei giorni in cui non c’era spettacolo veniva riposto nei magazzini delle scene ed era un vero e proprio accessorio di un teatro il cui prologo si recitava ormai per la strada. Dramma bizantino Benché la voluminosa corrispondenza dell’Albizzi sia sfortunatamente silenziosa sulle condizioni di ingaggio di Vivaldi alla Pergola nel 1729, non è meno certo che a lui spettava la pura “scrittura”, senza il controllo diretto dell’organizzazione della stagione, e che la scelta del libretto non competeva al compositore invitato. La decisione di proporre al pubblico L’Atenaide di Zeno non era d’altronde molto in linea con i gusti letterari di Vivaldi, che aveva sempre dimostrato un’aperta reticenza nei confronti delle opere del suo prestigioso compatriota. In compenso Albizzi aveva avuto spesso l’occasione di dimostrare la sua fedeltà alla poesia drammatica di Zeno, poesia di riferimento fino alla metà degli anni 1720, e dunque fu probabilmente lui che propose a Vivaldi di mettere in musica questo libretto dalla strana carriera. Nel 1729 L’Atenaide si avvicinava al suo ventesimo compleanno e non aveva avuto fino ad allora che un’unica messa in musica. Zeno aveva in effetti finito la sua stesura nel corso dell’estate 1710 in vista di una rappresentazione alla corte di Carlo III di Spagna a Barcellona; tuttavia essa fu annullata, senza dubbio per la partenza di Carlo III per Vienna dove la morte di suo fratello l’aveva chiamato sul trono imperiale. Sembra dunque che la prima rappresentazione dell’opera non sia avvenuta che nel 1714 a Vienna, in una messa in musica collettiva realizzata da Andrea Fiore (primo atto), Antonio Caldara (secondo atto) e Francesco Gasparini (terzo atto). All’indomani di queste rappresentazioni, mentre Zeno rimaneva uno dei poeti più in voga, nessun altro compositore pensò di nuovo di dedicarsi a questa Atenaide, stranamente trasformata nella Bella addormentata nel bosco del “dramma per musica”. 131 Il frontespizio del libretto de L’Atenaide. 132 Giovan Gastone de’ Medici, Granduca di Toscana. 133 Eppure questo libretto storico non aveva niente da invidiare ai suoi cugini Flavio Anicio Olibrio o Faramondo il cui successo non veniva smentito. La storia di Zeno, direttamente ispirata dalla storia di Atenaide, Imperatrice d’Oriente convertita al cristianesimo sotto il nome di Eudoxia, metteva in scena un famoso episodio del regno di Teodosio II (401-450), nipote di Teodosio I. Celebre per aver convocato il Concilio di Efeso e come ispiratore del Codice teodosiano, Teodosio II lo fu anche per la sua debolezza nei confronti di sua moglie e di sua sorella Pulcheria, opposte l’una contro l’altra da una rivalità mortale. Il libretto di Zeno, depurato nella forma ma complicato nella sostanza, ricama su questa trama storica raccontando, con un misto di quella grazia e di quella rigidezza caratteristiche della lingua del “Poeta Cesareo”, la storia di questo “ménage” politico a tre del quale le passioni intrecciate dei personaggi vengono ad accrescere la complessità. “La Turcotta” e “Il Balino” Montesquieu, in viaggio in Italia, fu uno dei prestigiosi spettatori di questa Atenaide al momento della sua prima rappresentazione. Fra il 29 dicembre 1728 e il 2 gennaio 1729, dopo avere assistito a una delle prime rappresentazioni, egli confidò nel suo diario di viaggio di “avere preso molto gusto a queste opere italiane”. Fedele alla sua attitudine per l’osservazione del funzionamento delle istituzioni, il magistrato francese eluse tuttavia ogni considerazione artistica concentrando le sue osservazioni sul modo di gestire il teatro da parte degli Accademici di Firenze: “L’opera a Firenze egli scrive a proposito - costa molto poco. Ci sono dei gentiluomini della città che si associano per farne una. Siccome essi hanno del denaro, che pagano bene, essi ottengono tutto a miglior mercato rispetto a quei miserabili impresari”. Pur privandoci così di una preziosa testimonianza sulla prima dell’Atenaide, Montesquieu nondimeno mette in evidenza attraverso questa annotazione la singolarità dell’importanza di Vivaldi: a Venezia e nei diversi teatri dove egli accentrava le funzioni di compositore e di impresario egli era in effetti un uomo libero di agire in tutti i campi, ma sottoposto a continui tracolli finanziari, responsabile personalmente di progetti in cui egli impegnava il proprio denaro; a Firenze in compenso il suo ruolo di compositore invitato gli faceva guadagnare in tranquillità finanziaria ciò che perdeva in autonomia - la generosa borsa degli Accademici metteva a sua disposizione dei mezzi incomparabili - in particolare per la scrittura dei cantanti. Infatti, in mancanza di una compagnia sapientemente messa insieme secondo i suoi gusti, egli 134 Locandina della prima Settimana Musicale Senese. 135 dovette beneficiare per L’Atenaide di una notevole scelta di grandi voci selezionate e retribuite dagli Accademici. Nel primo rango di questi cantanti, nel ruolo della protagonista, figura il celebre soprano fiorentino Maria Giustina Turcotti che Montesquieu evocò nel suo diario paragonandola alla grande Faustina Bordoni: “Cantò la Turcotta […] – scrisse il viaggiatore francese dopo aver visto L’Atenaide – . È, si dice, la seconda attrice d’Italia, la Faustina è la prima”. Un grosso complimento per una cantante che, undici anni dopo il suo debutto a Siena, era allora in piena apoteosi. Invitata di volta in volta a Venezia, Bologna, Milano, Genova, Livorno e Palermo, essa arrivò ad essere consacrata a Napoli nel corso dell’anno 1727, cantando in due riprese il ruolo di “prima donna” al San Bartolomeo ne La caduta de’ decemviri di Leonardo Vinci e nel Gerone tiranno di Siracusa di Johann Adolf Hasse, i due maestri più famosi dell’opera napoletana. È una Turcotta in pieno possesso dei suoi mezzi vocali e scenici che Vivaldi doveva infatti far cantare dieci anni prima che il suo eccessivo peso la privasse di una parte degli elogi che le erano stati fino ad allora riservati: nel 1738, dopo averla sentita in un concerto privato a Bologna, il Principe Carlo Alberto di Baviera loderà ancora la sua “voce molto bella” ma rimpiangerà “che la grassezza eccessiva le impedisca di cantare sulle scene”. Due anni più tardi fu Albizzi che, citandola sempre fra le più grandi cantanti dell’epoca, non potrà impedirsi di rimpiangere che essa fosse diventata “un mostro di grassezza”. La stella maschile della compagnia era senza dubbio il tenore bolognese Annibale Pio Fabri, interprete del ruolo del filosofo ateniese Leontino, padre di Atenaide. Il cantante, considerato il più grande tenore dei suoi tempi, era allora all’apice della sua gloria. Adulato dai compositori napoletani, da Leo a Porpora passando per Sarro, Vinci e Feo, vezzeggiato da tutti i teatri italiani, a cominciare da quelli di Roma e di Napoli e naturalmente di Venezia da dove veniva dopo aver cantato nell’Arianna e Teseo di Porpora, colui che i suoi contemporanei soprannominavano “Balino”, doveva quello stesso anno riunirsi alla compagnia di Händel a Londra per partecipare alle prime rappresentazioni di Lotario, Ezio e Poro al King’s Theatre. Con L’Atenaide Vivaldi e Fabri collaboravano per la quinta volta nella loro carriera. Fu del resto Vivaldi, grande scopritore di voci, che aveva per primo notato Balino all’inizio della sua carriera e che gli aveva offerto la sua prima scrittura su un palcoscenico veneziano in Arsilda regina di Ponto rappresentata al Sant’Angelo nel 1716 nel corso della stagione d’autunno. Immediatamente scritturato dai più grandi teatri d’Italia, Fabri 136 aveva nondimeno proseguito la sua collaborazione con Vivaldi cantando successivamente ne L’incoronazione di Dario nel corso del Carnevale del 1717, Armida al campo d’Egitto nella Primavera del 1718 e La Silvia durante l’estate del 1721. In seguito i contatti fra i due uomini si erano tuttavia allentati e fu solo grazie a Ipermestra e a L’Atenaide, i due incarichi ricevuti dalla Pergola nel 1727 e nel 1729, che Vivaldi poté di nuovo, ma per l’ultima volta, far cantare il suo vecchio pupillo. Accanto a questi due astri reclutati dall’Albizzi, Vivaldi era riuscito a fare ammettere nella compagnia la sua fedele allieva Anna Girò. La più famosa delle cantanti scritturate dal Prete Rosso, sia per l’onnipresenza nelle sue opere, sia per lo scalpore suscitato dai loro stretti rapporti, aveva già acquisito una solida reputazione. Apparsa per la prima volta sulle scene liriche nel 1723 all’età di 13 anni, era stata rivelata al pubblico veneziano l’anno seguente. Fin dai suoi primi ruoli, essa aveva confermato doti eccezionali di attrice, portando Vivaldi a comporre per lei alcune delle più grandi scene drammatiche della sua opera teatrale. Con il ruolo di Pulcheria, la virile sorella di Teodosio, essa assunse un ruolo fatto su misura per il suo gusto per l’azione teatrale unanimemente riconosciutole dai suoi contemporanei. Oltre a queste tre celebrità, Vivaldi aveva a disposizione anche due cantanti di minore notorietà ma di grande talento. Nel ruolo dell’Imperatore Teodosio, il giovane castrato soprano milanese Gaetano Valletta proseguiva una carriera già ricca di scritture prestigiose: dopo aver debuttato tre anni prima al Teatro Capranica di Roma come protagonista della Statira di Tomaso Albinoni e de Il trionfo di Camilla di Leonardo Leo, questo giovane protetto dall’Imperatore d’Austria, membro della Cappella Imperiale di Milano, era stato a sua volta appoggiato dai compositori napoletani. Porpora l’aveva infatti fatto cantare nel suo Siroe re di Persia dato a Roma nel 1727, prima che Hasse lo scritturasse a Napoli accanto a Carestini nei suoi Gerone e Attalo rè di Bitinia. Anche se Valletta non divenne mai un fedele di Vivaldi, doveva tuttavia ritrovarlo a Venezia sei anni dopo L’Atenaide fiorentina per interpretare il ruolo di Roberto nella prima rappresentazione di Griselda. Nel ruolo del rivale amoroso di Teodosio, il Principe di Persia Varano, c’era una cantante “en travesti” che fu scelta nella persona di Elisabetta Moro, rinomato contralto veneziano che aveva cominciato la sua carriera sette anni prima a Verona. Essa, già abituata ai ruoli maschili, aveva già cantato per Vivaldi a Venezia nel corso del 137 Carnevale del 1726 e sarebbe stata di nuovo da lui scritturata nel corso degli anni seguenti, in particolare per cantare il ruolo di Fulvio nel Catone in Utica nel 1737. Altri due cantanti completavano la compagnia: nel ruolo di Marziano, capitano degli eserciti di Bisanzio, il contralto fiorentino Anna Maria Faini confermava la breve parentesi seria di una carriera interamente dedicata al teatro comico, mentre nel ruolo di Probo, confidente e servitore dell’Imperatore Teodosio, Gaetano Baroni, anch’esso fiorentino, sembra aver fatto la sua prima apparizione pubblica in un teatro d’opera. Maturità vivaldiana Vivaldi dovette comporre per questa compagnia una partitura che rifletteva clamorosamente la profonda evoluzione stilistica iniziata dal suo ritorno a Venezia nel 1726. Questa evoluzione, che aveva raggiunto con l’Orlando furioso del 1727 un equilibrio mirabile, lo aveva portato a fondere progressivamente in un linguaggio unico la vecchia tradizione veneziana, le sue stesse innovazioni nell’ambito dell’orchestrazione e della conduzione della voce e l’idioma galante reso popolare dai compositori della nuova generazione. Dopo un decennio di prove audaci e di esperienze disparate, Vivaldi aveva risolutamente raggiunto il periodo della maturità. Nel mezzo di una programmazione dominata dalle opere napoletane, L’Atenaide, benché conservi il taglio tradizionale di un dramma per musica in tre atti e assicuri all’“aria con da capo” una supremazia assoluta, afferma infatti una profonda originalità stilistica unita a una formidabile ricchezza musicale. Questa grandissima ricchezza musicale si manifesta innanzitutto in un numero elevato di arie ammirevoli. Molte di esse, prese in prestito dai recenti Farnace e Orlando furioso, riflettono il successo riscosso al momento della prima rappresentazione da queste arie debordanti di vitalità ritmica e di linfa melodica messe al servizio di una sottile esplorazione dei sentimenti umani: appassionato eroismo con “Nel profondo cieco orrore” di Varano presa in prestito da “Nel profondo cieco mondo” del paladino Orlando; esplosione di esultanza amorosa con “Tanto lieto ho il core in petto” modellata sul “Troppo è fiero il Nume arciero” dello stesso eroe; furore bellicoso di Teodosio in “M’accende amor” attinta dall’energica “Alza in quegl’occhi” della maga Alcina; riservata confessione di Pulcheria nella sua crepuscolare “Te solo penso ed amo” adattata da “Forse o cara” della 138 Alfredo Casella in una fotografia dedicata al Conte Chigi. 139 Regina Tamiri in Farnace; tempesta emotiva della stessa con la ripresa di “Sorge l’irato nembo” di Orlando. Ciascun adattamento, che adatta il testo poetico di Zeno alla prosodia del modello, testimonia la volontà del compositore di esibire le sue più belle pagine davanti al pubblico fiorentino, esplorando da vicino anche i nodi del dramma e la psicologia dei suoi protagonisti. Ma accanto a queste assennate riprese, Vivaldi fece ugualmente posto alle novità con una successione di arie composte apposta per l’occasione, in particolare per il ruolo della protagonista. Infatti la patetica “Infausta reggia addio”, dall’orchestrazione depurata, e “In bosco romito”, affascinante affresco psicologico in fa minore basato su un opprimente ritmo sincopato, dipingono il crollo morale dell’eroina. La medesima ricchezza creativa per il ruolo di Pulcheria, arricchito nella chiusura del primo atto della abbagliante “Quanto posso a me” dalla sontuosa melodia, una delle più inebrianti del teatro vivaldiano, incastonata in uno scrigno strumentale degno dei più bei concerti della maturità del compositore. Novità ancora con il grande monologo di Atenaide al terzo atto che si dispiega al momento in cui l’Imperatrice, perseguitata da Varane, abbandonata da Pulcheria e condannata all’esilio da Teodosio, si risolve a lasciare Bisanzio per finire i suoi giorni come una semplice pastorella in un bosco solitario o su una piaggia desolata (“In bosco romito / In povero lito”). La pagina scritta qui da Vivaldi, stupefacente scena che fonde in una successione di tempi e di metri contrastanti recitativo secco, recitativo accompagnato, arioso e aria per comporre una vera e propria “Follia di Atenaide”, costituisce incontestabilmente uno dei vertici della sua opera lirica. Un sonetto per la Girò Tuttavia, malgrado l’eccellenza della sua compagnia e lo splendore della sua musica, L’Atenaide sembra essere stata accolta male da Firenze. Il 5 febbraio 1729 il Marchese Ferdinando Bartolommei scriveva difatti da Vienna all’impresario Albizzi per consolarlo del “cattivo incontro che aveva avuto quella (opera) dell’Atenaide che si rappresentava”. Due settimane prima, il 22 gennaio 1729, quando i preparativi per la seconda opera della stagione erano completati, Camillo Pola, un altro corrispondente dell’Albizzi, gli scrive da Venezia, ricordando il fiasco di Atenaide e augurandogli che il Catone in Utica di Vinci compensi i “danni” subiti dall’impresario a causa della prima opera. Gli auguri di Pola furono d’altronde esauditi, dato che meno di un mese più tardi, il 18 febbraio 1729, egli poteva scrivere di nuovo all’Albizzi per dirgli: 140 “Sarete ben presto alla fine delle vostre fatiche, ed ho piacere che il Catone posto da voi in scena riesca, e vorrei che potesse rimetervi dalli discapiti sofferti nell’Atenaide”. Il fiasco fu completo o esso riguardava in particolare la Girò, della quale le male lingue e gli spiriti ben pensanti si erano fatti un bersaglio privilegiato? È certo però che sei anni più tardi, quando Albizzi commissionò malgrado tutto una nuova opera a Vivaldi, gli dovette confidare che gli Accademici non erano molto favorevoli all’idea di scritturare la cantante, precisamente a causa della prestazione offerta ne L’Atenaide. Albizzi infatti scriveva a Vivaldi il 16 aprile 1735: “Subito proposi la signora Anina per prima donna: oh quante mai opposizioni mi furno fatte, che ella non era nel rango di quelle che vediamo qua e che non incontrò l’ultima volta che ci stiede”. Nondimeno, verso la fine della stagione del 1729, quando Anna Girò era rientrata a Venezia, Albizzi si era informato presso le sue conoscenze veneziane delle reazioni della cantante riguardo al suo soggiorno a Firenze ed essa aveva fatto sapere “che si chiami molto contenta del trattamento e regali ricevuti costì, e si protesta essere stata da tutti generosamente favorita”. In effetti l’opinione del pubblico della Pergola nei confronti della cantante fu forse un po’ meno netta di quella espressa dagli Accademici sei anni dopo. L’interpretazione della Girò in Atenaide fornì peraltro l’occasione per un sonetto, distribuito in teatro, per lodare “il singolare merito” della cantante e più in particolare “la meravigliosa” maniera in cui ella cantò l’aria di Pulcheria “L’occhio nero, il ciglio altero”:1 “Non così par, che tra le fronde il vento / Né così l’Usignol d’amor favelle / Qual tocca ogni alma il tuo soave accento / Che 1 Un’aria inizialmente composta da Vivaldi per il soprano Lucrezia Baldini, interprete del ruolo di Zaffira in Rosilena ed Oronte, opera rappresentata a Venezia nel corso del Carnevale precedente. “L’occhio nero, il ciglio altero” non figura però nel libretto a stampa di Atenaide e fu dunque inserita nell’opera nel corso delle rappresentazioni, probabilmente per rimpiazzare un’altra aria di Pulcheria (senza dubbio la sua “aria di amore” nel terzo atto “Te solo penso ed amo”, a meno che l’inserimento non sia stato destinato a rimpiazzare l’“aria di tempesta” di Pulcheria del secondo atto “Sorge l’irato nembo”, aria di bravura che superava certamente le capacità della cantante). Inoltre non sarebbe meno plausibile pensare che questo cambiamento, aggiungendosi ai quattro altri menzionati alla fine del libretto (due per Leontino e due per Marziano), potrebbero aver espresso la volontà del compositore di rimaneggiare la sua opera nel corso delle rappresentazioni in seguito alla cattiva accoglienza da parte del pubblico. 141 Busto marmoreo di Teodosio II (Parigi, Museo del Louvre). 142 ha mille incanti, e gentilezze ancelle”, scriveva l’anonimo autore di questo omaggio dal lirismo generoso. L’origine di questo testo è del tutto sconosciuta: esso traduceva l’entusiasmo personale di un ammiratore, il calcolo orchestrato di un protettore, l’adulazione interessata degli organizzatori oppure esprimeva l’emozione sincera di uno spettatore commosso dalla cantante? Nel mondo delle false apparenze che caratterizzava già la scena lirica, è certamente difficile pronunziarsi. Ma l’esistenza di questo sonetto, associata alla testimonianza di Montesquieu che, lontano dal rievocare un fiasco, ricorda in termini favorevoli l’opera e la sua compagnia, insinua il dubbio sulle eco viennesi e veneziane che riferiscono del fiasco de L’Atenaide. Fiasco o cabala? La questione merita in tutti i casi di essere posta. In effetti molti fattori convergono a Firenze in quel Carnevale del 1729 per rendere plausibile la seconda ipotesi. L’ostilità del patriziato nei confronti di Vivaldi dentro e fuori Venezia? Il folgorante successo della moda napoletana con il corteo di anatemi che accompagna sempre i nuovi trionfi? O, più semplicemente, l’irrimediabile scissione fra il mondo teatrale incarnato da Vivaldi ed un pubblico definitivamente rivolto verso altri orizzonti artistici? Questa d’altra parte è la spiegazione che fu suggerita dallo stesso Albizzi se si crede all’affermazione fatta a malincuore da Ferdinando Bartolommei nella sua lettera del 5 febbraio 1729: “Ma, come dite ottimamente, il nostro paese non è in oggi proprio per simili feste e divertimenti”. Manifestamente Albizzi metteva dunque le aspre critiche ottenute da L’Atenaide più in conto all’aria dei tempi che non a quella dell’opera: “Sono persuaso – scriveva d’altronde Bartolommei alla fine di questa lettera – che ciò sempre più vi faccia perdere il gusto di continuare nell’ingerenza dell’opera di cotesto teatro”. Vana predizione dato che Albizzi avrebbe continuato ad amministrare la Pergola ancora per molti anni ed a invitarvi di nuovo Vivaldi per il Carnevale del 1736 con la sua Ginevra. Il secondo respiro di Atenaide Sia che avesse dovuto sopportare una cabala o un fiasco, Vivaldi non si trattenne molto a lungo a Firenze dopo le rappresentazioni de L’Atenaide. Nel mese di gennaio egli era di ritorno a Venezia ed è poco probabile che si sia recato di nuovo alla Pergola il 1° marzo 1729 quando, una volta che fu finito il Carnevale, gli Accademici dettero in gran pompa un ballo nella platea del teatro, primo ballo pubblico della storia dell’Accademia. Nella sala “riccamente illuminata” alla veneziana e sul proscenio, dove una scena di “Gabinetto Reale” accoglieva tre grandi tavoli da gioco (due per la 143 Antonio Vivaldi in una caricatura. 144 “bassetta” e uno per il gioco del trentuno), troppi nemici, gelosi o invidiosi aspettavano il compositore. Per Vivaldi L’Atenaide, ossia gli affetti generosi aveva fatto troppo rima con L’Atenaide, ossia gli affetti gelosi per fargli conservare il gusto delle mondanità. Con o senza “bassetta” i suoi giochi fiorentini erano già fatti. Al di là di Firenze, un avvenire si apriva tuttavia davanti alle bellezze della sua ultima opera. La partitura conservata a Torino, un’ampia revisione della versione originale, testimonia infatti che L’Atenaide fu rivista da Vivaldi all’inizio degli anni Trenta del Settecento in previsione di una nuova produzione. In questa unica versione che ci è stata conservata dell’opera, Teodosio mantiene senza alcun cambiamento le sue cinque arie della versione originale e soltanto il suo terzetto con Leontino e Atenaide nell’atto terzo (n. 18) “Sento che per l’affetto” scompare. Tranne che per la perdita di questo stesso terzetto, il ruolo di Atenaide rimane in egual modo praticamente immutato, conservando le sue cinque arie della versione originale, così come la sua grande scena dell’atto terzo. L’Imperatrice eredita tuttavia un’aria supplementare al terzo atto (n. 19), “Sì son tua padre amoroso”, e un’aria alternativa in chiusura dell’atto secondo, “Sovrana sul trono”. Da parte sua Pulcheria conserva quattro delle sue arie ma perde l’“aria di baule” di Anna Girò dell’atto primo (n. 4), “Non trova in me riposo”, in favore di una nuova aria, più ambiziosa, “Là sul margine del rio”, possibile indizio dell’assenza dell’Annina nella compagnia di questa ripresa. Varano conserva da parte sua l’integralità delle sue cinque arie e arricchisce il suo ruolo della superba cavatina “Reggia amica” in apertura della scena dell’atto primo (n. 8), pagina palpitante dallo strano tema dissonante che richiama l’inizio del concerto “L’Inverno”. Probo infine vede il suo ruolo rinforzato dall’aggiunta di una terza aria, la formidabile “Alme perfide” piazzata all’inizio del terzo atto. I personaggi di Leontino e di Marziano furono molto ritoccati nella revisione della partitura originale. Il ruolo di Leontino, tagliato su misura per l’eccezionale Fabri, fu in realtà ricondotto ad un formato più convenzionale e senza dubbio semplificato nel suo contenuto musicale per adattarsi ai mezzi di un cantante meno fuori del comune. Ricondotto a un ruolo di tre arie, al posto delle cinque più il terzetto della versione originale, il nuovo Leontino non conserva della versione fiorentina che “Se cieco affetto” e perde il gruppo delle altre arie cantate da Fabri. Due nuove arie, senza dubbio meno difficili delle precedenti, “Ti stringo in quest’amplesso” all’apertura dell’opera e “Non s’accende” al n. 10 dell’atto primo, vengono a sostituirle. Per quanto riguarda Marziano, la revisione 145 del suo ruolo doveva essere l’occasione di inserire nella partitura due capolavori assoluti. Nel secondo atto “Misero è quel nocchier”, presa in prestito dalla Dorilla in Tempe del 1726, è rimpiazzata dalla mirabile “Bel piacer di fido core”, orchestrata per archi e due flauti a becco. Un’aria dalla delicata costruzione orchestrale che alterna vaporose sezioni “di bassetto” a sortite solistiche degli strumenti a fiato e a possenti unisoni drammatici. Quanto alla commovente “Cor mio che prigion sei”, essa permette a Marziano di cantare un’aria supplementare nel terzo atto. Con la sua dolorosa melodia, ondulante su un delicato accompagnamento degli archi pizzicati, quest’aria offre all’opera uno dei suoi nuovi vertici espressivi. Nessuna testimonianza di una rappresentazione di questa nuova versione de L’Atenaide ci è giunta. In mancanza del libretto, non potrebbe d’altronde escludersi che l’opera così rivista da Vivaldi sia stata concepita in prospettiva di una ripresa che non fu poi effettivamente realizzata. Il periodo durante il quale avvenne questa revisione permette nondimeno di formulare diverse ipotesi riguardo ai progetti del compositore che potrebbero essere collegati all’occasione di uno dei suoi viaggi nell’Europa centrale nel 1729-30. L’idea che Vivaldi abbia potuto esportare a Vienna la sua Atenaide in occasione di una delle sue tre visite nella capitale imperiale, appare particolarmente seducente. La sua presentazione all’Imperatore Carlo VI, antico protettore di Zeno e primo dedicatario del libretto dell’opera nel 1710 e nel 1714, potrebbe in effetti aver costituito per Vivaldi un abile mezzo per sensibilizzare il monarca verso il suo talento di compositore d’opera, nel momento in cui si contava che egli potesse produrre le sue opere nella capitale austriaca. Un’altra pista è offerta dai legami che univano all’epoca Vivaldi alla Corte di Sassonia. L’interesse degli ambienti artistici di Dresda per l’opera vivaldiana risaliva in effetti all’inizio degli anni 1730, quando l’ascesa di Pisendel alla direzione dell’orchestra della Corte dette un nuovo slancio alla moda vivaldiana in Sassonia. Vivaldi, che moltiplicava allora la sua attività teatrale fuori di Venezia, sembra peraltro che stesse a quell’epoca progettando di far rappresentare una sua opera completa a Dresda. Una raccolta di ventiquattro arie e un terzetto conservate nella Biblioteca di Stato della città testimonia questo progetto, le cui modalità e tempi rimangono tuttavia misteriosi. Queste pagine, forse vendute da Vivaldi a un impresario locale in vista della preparazione di un “pasticcio”, provengono dalle opere più recenti del compositore e in particolare da L’Atenaide, della quale sei arie figurano nella raccolta, accanto a pagine provenienti da Farnace (Pavia 1731 e Mantova 146 1732), La fede tradita e vendicata (Venezia 1726), La fida ninfa (Verona 1732) e Semiramide (Mantova 1732). Non è dunque impossibile che nella stessa occasione Vivaldi abbia contato di poter fare rappresentare a Dresda la nuova versione completa della sua opera fiorentina. In quello stesso periodo molte arie de L’Atenaide viaggiavano attraverso l’Europa nelle riprese anonime de La Silvia di Vivaldi avvenute fra il 1730 e il 1732 a Venezia e a Breslavia. Fra Vienna, Dresda e la Slesia, l’opera fiorentina di Vivaldi poteva finalmente, una volta venuto il suo turno e secondo i giusti corsi e ricorsi delle cose, “rimetersi dalli discapiti sofferti”. (Traduzione dal francese di Guido Burchi) Una moneta coniata sotto l’Impero di Teodosio II. 147 TRAMA DELL’OPERA Atto I In un dialogo pieno di tenero affetto, Leontino saluta la figlia Atenaide che si accinge a sposare Teodosio e a diventare imperatrice. Le porge dei consigli per il suo bene e per quello dello Stato rievocando le passate vicende relative a Varane, Principe di Persia, e all’amore che un tempo ha legato i due giovani. Mentre Atenaide, rimasta sola, si propone di essere fedele a Teodosio, Pulcheria, sorella dell’Imperatore, la saluta festosamente e le annuncia che per la cerimonia di nozze giungerà anche Varane. A questa notizia, da cui Atenaide rimane turbata, Marziano, Generale di Teodosio, rivela che il Principe persiano ama Pulcheria e spera di rendere pubblico il legame con lei in questa occasione. Marziano, che a sua volta ama segretamente Pulcheria, la esorta a non accettare la proposta di Varane e a rimanere con i suoi saggi consigli vicina a Teodosio. Pulcheria, che è innamorata di lui, si rivela e gli chiede di evitarle le nozze con Varane. Nel frattempo anche Probo, Prefetto del Pretorio, confessa a Pulcheria il proprio amore per lei; non ricambiato, egli rivela allora a Teodosio l’amore di Marziano per la sorella. I due decidono di allontanare Marziano nella speranza che Pulcheria possa unirsi con Varane, onde evitare, al contempo, di inimicarsi un temibile avversario politico. Teodosio canta il proprio amore per Atenaide. Probo rassicura il sopraggiunto Varane che lo aiuterà a far sua Atenaide, ma Leontino contrasta questa unione e Varane medita vendetta. Questi si reca allora da Teodosio per chiedere la mano di Pulcheria; l’Imperatore accondiscende e decide di allontanare Marziano inviandolo in battaglia. Atto II Teodosio rivela a Varane il proprio amore per la promessa Atenaide che si nasconde sotto il nome di Eudossa. Quando il Principe persiano viene presentato alla futura sposa, il turbamento dei due è tale che Teodosio ne chiede il motivo e Atenaide è costretta a rivelare il passato amore con Varane e a svelare la sua duplice identità. Teodosio, sdegnato, interrompe i preparativi per le nozze e si confida con Pulcheria la quale gli consiglia di lasciare Atenaide a Varane. Teodosio vuole invece allontanare il rivale e concedere ad Atenaide la possibilità di riscattarsi. Marziano canta il proprio amore per Pulcheria prima di partire per la battaglia e Leontino porge le proprie scuse a Teodosio per aver taciuto sulla reale identità della figlia. In un acceso confronto con Teodosio, Varane rivendica la 148 propria amata. I due contendenti concordano nel lasciare che sia Atenaide a decidere. Teodosio affida a Probo l’anello che Atenaide dovrà consegnare al prescelto. Vano è il tentativo di Varane di ottenere il perdono e l’amore di Atenaide. Leontino esorta la figlia a fuggire da Bisanzio poichè la contesa tra i due rivali potrebbe scatenare guerre e distruzioni: salda nella sua fedeltà all’Imperatore, Atenaide rifiuta. Atto III Probo, in preda alla gelosia, tradisce la volontà di Atenaide, che in realtà aveva prescelto Teodosio, consegnando l’anello all’ormai rassegnato Varane. Teodosio, addolorato, viene consolato da Pulcheria che gli suggerisce di partire per non dover sopportare la vista dei due amanti e gli promette che vendicherà il torto subito. Pulcheria scatena la propria ira sulla sorpresa Atenaide e la invita ad andarsene. Anche Teodosio, ferito nell’orgoglio, scaccia Atenaide che non comprende il suo risentimento e se ne lamenta proclamandosi innocente. Nel frattempo Marziano, ritardando rischiosamente la sua partenza per i combattimenti, saluta Pulcheria che lo esorta a partire. Probo mente a Varane e gli riferisce che, venendo meno agli accordi presi, l’Imperatore tiene prigioniera Atenaide; lo stesso Probo si offre di riprenderla. Marziano, che è rimasto nascosto, ascolta i progetti amorosi di Varane. Questi è interrotto dall’arrivo di Leontino e Atenaide la quale non capisce l’ingiusto comportamento di Teodosio e, convinta dal padre, lascia malinconicamente la reggia seguita in segreto da Varane. Teodosio, accortosi della fuga, ordina che i due siano riportati a Palazzo. Ma Leontino, sopraggiunto, rivela che Varane ha rapito Atenaide minacciandolo con le armi. Teodosio, adirato con Leontino, vuole inseguire personalmente i due fuggitivi ma Probo si offre di andare al suo posto. Teodosio e Pulcheria, grazie alle rivelazioni di Leontino, si rendono conto finalmente dell’inganno di Probo. L’Imperatore, in preda all’ira, convoca i suoi fedeli nell’Ippodromo mentre Pulcheria, rimasta sola, rivolge a Marziano il suo pensiero d’amore. Giunge Marziano che, di fronte a Teodosio e i suoi fedeli, smaschera definitivamente Probo che si dichiara colpevole. Improvvisamente appare Atenaide che, accolta dalle amorose parole di Leontino e di Teodosio, afferma di essere stata liberata da Marziano. Questi narra di avere affrontato vittoriosamente Varane e Probo: il primo è riuscito a fuggire mentre il secondo è stato preso prigioniero. Mentre Teodosio accondiscende all’unione di Pulcheria con Marziano, ritorna improvvisamente Varane che addossa tutte le colpe a Probo e chiede perdono all’Imperatore. In un tripudio finale Teodosio concede il perdono e afferma il trionfo dell’innocenza e del valore. 149 LIBRETTO 150 ARGOMENTO Eudossa figliuola di Leonzio, o Leontino Filosofo Ateniese, si era rifugiata in Costantinopoli per sottrarsi dall’Amor di Varane Principe della Persia, e figliuolo del Re Isdegarde, quell’istesso, che il Padre di Teodosio il Giovane in morendo, nominò Tutore de’ suoi figliuoli. Ella prima si chiamò Atenaide, ma dipoi essendo stata battezzata da Attico Patriarca di Costantinopoli, aveva preso il nome di Eudossa. Avendola quivi veduta esso Teodosio, se ne invaghì, e mosso non tanto dalla bellezza del corpo, quanto dalla eccellenza dell’ingegno di lei, la quale era dottissima, essendo stata allevata dal Padre nelle Scienze, la prese per moglie, anche di consenso di Pulcheria sua Sorella, la quale potea molto sull’animo dell’Imperatore Suo fratello. Parlano di questo fatto gl’Istorici Greci Zonata, Teofano, ed altri. Ha servito all’intreccio del Drama il fingere, che Varane si portasse a Costantinopoli, seguendo la Sua Atenaide con intenzione di sposarla, ancorché in Atene avesse ricusato di farlo, ed ivi insistesse, deposta l’alterigia del suo fasto, per ottenerla, non ostante, che la trovasse già destinata a Teodosio, il quale meditava di darli la Sorella Pulcheria amata da Marziano Generale dell’Imperio. Il rimanente di ciò, che si finge, come la segreta corrispondenza di Pulcheria a Marziano, gli amori di Probo per la medesima, le sue gelosie, ed il suo tradimento, s’intendono facilmente nella tessitura del Drama intitolato Atenaide. La Scena si rappresenta nella Regia di Bizanzio, ora Costantinopoli. Attori TEODOSIO II Imperatore Amante di Atenaide ATENAIDE sotto nome di Eudossa figlia di Leontino PULCHERIA Sorella di Teodosio VARANE Figlio d’Isdegarde Re de’ Persi Amante di Atenaide LEONTINO Filosofo Padre di Atenaide MARZIANO Generale di Teodosio Amante di Pulcheria PROBO Prefetto del Pretorio Amante di Pulcheria MUTAZIONI DI SCENE Atto Primo Loggiato corrispondente al Palazzo Imperiale. Cortile Imperiale. Atto Secondo Salone Magnifico. Gabinetto Imperiale. Atto Terzo Cortile corrispondente al Giardino. Galleria. Ippodromo. 151 ATTO I SCENA PRIMA Loggiato corrispondente al Palazzo Imperiale. Atenaide, sotto nome di Eudossa, e Leontino Atenaide Fausta per me risplende Di quello dì la chiara luce, o Padre, Se da te mi principia. Leontino Questi, in cui posso ancora Favellarti da Padre ultimi instanti; Spendansi meglio. In breve La turba adulatrice Vassalla e serva a te d’intorno accolta S’affollerà. Attenta Eudossa ascolta. Atenaide Attendo i tuoi consigli, anzi li bramo. Leontino Qual fosti e qual fra poco Sarai, ti si rammenti. Atene è la tua Patria: ivi sortisti Col nome d’Atenaide illustri fasce; Ma non però reali. Io ti fui Padre,… Atenaide E guida A gli arcani mi fosti alti recessi, Ove umano pensier rado s’innalza. Leontino La tua propizia stella esaminai; D’allor previdi il trono Ch’empier dovevi; in essa Vidi il tuo Fato, assai più chiaro il vidi Nel tuo bel volto e nella tua grand’alma. Atenaide Dono del Cielo e tuo. 152 Leontino Beltà e virtude in te crescean con gli anni. Quando del Re de’ Persi il figlio erede… Atenaide Varane il so (fatal memoria)… Leontino A noi Ospite giunse, vago D’erudir negli studi La regal mente. Egli ad un punto istesso E ti vide e ti amò. Atenaide Col tuo consenso Anch’io (stelle) l’amai. Leontino Piacquemi un fuoco Che potea farti illustre e già mirarti A me parea sul perso trono assisa. Atenaide Nostra fuga improvvisa Sol vi si oppose. Leontino Ah, figlia, Vidi uscir da quel fuoco Anzi nebbia che luce; E l’impuro vapor sparger potea Macchie eterne al mio sangue e alla tua fama. Teco al rischio mi tolgo, Fuggo in Bisanzio, ascondo Il nome d’Atenaide in quel d’Eudossa, T’offro a Pulcheria, ella al Fratello. A lei Piace la tua virtude, A Cesare il tuo volto. Proposto appena e stabilito il nodo, Che ti fa Augusta, il tuo destin già è fermo, Già paghi i voti miei. Col favor di Pulcheria Sposa a Teodosio e Imperatrice or sei. 153 Atenaide Ma Imperatrice e sposa Lieta non son; mi turba L’instabil sorte. Leontino A questa Ferma i vertiginosi impeti ciechi Saggia virtù. M’odi e nell’alma imprimi Quanto un Padre consiglia. Atenaide Parli, parli Leontino, Eudossa è figlia. Leontino T’ama Cesare, è ver, teco divide L’autorità sovrana; Ma può il tempo e può l’uso Nel giovane Monarca i nodi antichi, Se non sciorre, allentar. Tu sempre fida Soffri e taci: ama in lui, Sino la sua incostanza; e quando ancora Tu lo veda avvampar d’altra beltade, Non l’irritar con importune accuse. Una moglie gelosa Più molesta divien; la sofferenza Sol fa arrossir l’infedeltà d’un core, E gelosia mai non racquista amore. Atenaide A Teodosio piacer sia di quest’alma Sol voto, unico bene. Leontino In Pulcheria rispetta La tua benefattrice e la tua Augusta. Atenaide Grato dover non parte Da un nobil cor. Leontino Ne sien tua cura i gravi Pubblici affari. A tuo poter sostieni Giustizia e merto. A tutti 154 Non dar facile orecchio. Ti accarezza sovente La man che più t’insidia. I casi avversi Non ti trovino vile, Né superba i felici. Anche dal trono Al nulla, onde sortisti, il guardo abbassa; Fa’ che il ben de’ Vassalli Sia di Teodosio il vero bene; a lui La pace, il giusto e la pietà consiglia, E ancor dopo il possesso, Degna del grado tuo renditi, o figlia. Atenaide Questi, o Signor… Leontino Di genitor, che t’ama, Sono gli ultimi accenti. Tu in avvenir mia Augusta, Io sarò tuo vassallo, e l’esser Padre Non farà ch’io ti nieghi il mio rispetto. Atenaide Come? Nemmen dal soglio Scorderò il mio dover. Leontino No, no, codesto Dover più non pretendo, Mia figlia, addio. Atenaide Padre, e Signor… Leontino Ti lascio, Ma ti lascio con pena; ah soffri, o cara, Nell’estremo congedo il pianto mio, E benché singhiozzando Prendi l’ultimo amplesso; Eudossa addio. Ti stringo in quest’amplesso, O di me stesso parte miglior, Benché ti ceda al trono Non t’abbandono senza dolor. 155 SCENA II Atenaide, poi Pulcheria, e poi Marziano con Guardie Atenaide Lasciami, o di Varane Immagine odiosa. Assai già tolto M’hai di pace, di gloria e d’innocenza. De’ paterni consigli Questo sia il primo frutto: amar Teodosio, Ma solo amarlo, e sempre. Applaudami la Grecia e ’l fier Varane Comprenda che, se indegna Del diadema de’ Cesari non sono, Potea con egual merto Salir moglie e Regina anche al suo trono… Pulcheria Augusta sposa… Atenaide Eccelsa Principessa… Pulcheria Questo è ’l lieto tuo dì, Bisanzio applaude Di Teodosio all’amor, d’Eudossa al merto: Oggi il cesareo serto Passerà su ’l tuo crine. Appena basta Al concorso de’ popoli giulivi La reggia intera; e ad onorar tue nozze. Oggi a noi vien (sia caso, o sia consiglio) Di Persia il Prence e d’Isdegarde il figlio. Atenaide (Che sento? Oh Dio!) Varane, Varane oggi in Bisanzio! Pulcheria Appunto. Aver non ponno I tuoi sponsali spettator più illustre. Atenaide (Oh Cieli!) Marziano Ah Principessa, Egli a noi vien non spettator, ma sposo. 156 Pulcheria Sposo di chi? Atenaide (Tutto è palese.) Marziano Assolvi Dall’annunzio funesto un cor fedele. Pulcheria No, no, libero parla. Il Perso erede Che vuol, che spera? Marziano Il tuo imeneo richiede. Pulcheria Il mio? Marziano Pubblico intorno Ne corre il grido: Cesare v’applaude, Ne gode ogni alma. Pulcheria E Marziano ancora? Marziano Marziano è Vassallo (Il duol m’accora.) Atenaide (Son morta.) Pulcheria Amica, onde il pallor... Atenaide Perdona. Il nodo che ti toglie al greco Impero In te toglie ad Eudossa Il sostegno più forte. Pulcheria T’ama il german. Di che temer potrai? 157 Atenaide Tutto non vedi il mio destin, né il sai. Della rubella Mia iniqua stella Tutta non vedi la crudeltà. Né tutta miri La ria procella Che in ciechi giri Sopra il mio capo Fremendo va. SCENA III Pulcheria e Marziano Pulcheria Marzian sì pensoso? Il Ciel mi chiama Al diadema di Persia. Ne gode ogn’alma, Cesare v’applaude, E tu sol ne sospiri? Marziano Ah Principessa, Perderti troppo costa, Non dirò a me, che poco Caler ti dee d’un misero Vassallo, A Teodosio dirò, dirò all’Impero, Tua prima cura e tuo maggior pensiero. Pulcheria Col rifiuto del figlio Ad Isdegarde sarò ingrata! In fronte Sdegnerò una corona Che fa servir di Teodosio al sangue Quella parte di mondo ov’ei non regna? Parla, o Duce, consigliami, ma solo Sia del consiglio tuo norma ed oggetto, Pubblico zelo e non privato affetto. Marziano Il tuo cor, non il mio, vorrei, che guida Al tuo talamo fosse, E fosse la ragion del tuo rifiuto. Pulcheria Gli imenei di chi regna Amor non fa: gli stringe Ragion di Stato. 158 Marziano E questa, Questa s’oppone ai tuoi; sol col tuo senno Si regge Augusto; e sol col tuo l’Impero. Se tu parti ei vacilla e se pur brami Sposo al tuo letto, ei non si scelga altronde Che tra i sudditi tuoi. Regna con esso, Ma nella Grecia; e sia Anche in grado di sposo un tuo Vassallo. Pulcheria Marzian sul tuo labbro È tutto zel ciò che favella? Marziano Oh Dio! Pulcheria Non t’arrossir. Marziano Ti basti Che sia reo il mio silenzio. Lascia penar con innocenza il core E interpreta per zelo anche l’amore. Pulcheria Questa al tuo zel si renda Non vil mercé. Vattene, o Duce. Adopra L’arte, il poter, perché si rompa il laccio Che mi stringe ad altrui. Tuo ne sia il merto; Io ne godrò. A Varane Toglimi, te ne prego e tel comando. SCENA IV Probo e detti Probo E se il tuo non ti basta, ecco il mio brando. Pulcheria Tanto un suddito ardisce! E tanto con Pulcheria 159 Dell’amor di Teodosio Così t’abusi? Probo, anche i favori Offendono non chiesti; E tal son’io che posso a voler mio Rifiutarli e gradirli. Probo Il mio zelo… Pulcheria Anche il zelo Colpa divien quando è soverchio. Attenda D’esser richiesto e in faccia Al suo Sovran, sia più modesto e taccia. Pulcheria Là sul margine del rio Più di un fior vorria goder Il favor della fresc’onda; Ma talor su quella sponda Gode un solo il gran piacer. Così amor, tu già m’intendi, Con modestia taci e attendi Il sovrano mio voler. SCENA V Marziano e Probo Probo Marziano, tu solo Al nodo di Varane Rendi avversa Pulcheria. Marziano Sa consigliarsi Augusta Col proprio core. Probo E tu la rendi ingrata Al merto altrui. Marziano Parlan nostre opre ed ella Ne vede il prezzo e ne distingue il merto. 160 Probo Ma non sa giudicarlo. Marziano Probo, con più rispetto Parli un suddito labbro. I torti suoi Sono miei torti. Probo Hai molto Per lei di zelo. Marziano Il grado suo mel chiede. Probo Più tosto il suo sembiante. Marziano La mia fede. Probo Eh, saresti Meno fedel se meno fosti amante. Marziano Probo queste rispetto Soglie reali. Probo In ogni luogo ha Probo Con che farsi temer. Marziano Piacemi, e altrove Dal tuo valor ne attenderò le prove. Al valore che prode ti preggi Vuo’ veder se l’ardire pareggi, Ma già parmi non sia che viltà. Sempre uniti già sono in un core Folle audacia, codardo timore, L’insolente cor vile sen sta. 161 SCENA VI Probo, poi Teodosio con seguito Probo Va’ pur, la sofferenza Vendicherà i miei torti; in te conosco Il nemico e il rival: tu sol m’involi Gli affetti di Pulcheria; Ma se non può l’ingrata Esser conquista mia, Tua né meno ella sia: l’abbia altro amante, L’abbia Varane. Al mio deluso amore Servirà di conforto il suo dolore. Teodosio Mio fedel, mi dà pena Che Pulcheria a quel nodo, Per cui l’innalzo a dominar ne i Persi, Cieca resista. Ad imeneo più illustre Non può sceglierla il Cielo; Quel rifiuto, che ingrati Ci rende ad Isdegarde, Provocarne può l’ire, E nemico sì forte e sì guerriero Può costar sangue e pianto al greco impero. Probo (Sorte mi arride) Il tuo timor istesso, Cesare, è comune bene. Né la germana Augusta V’oppone il suo voler, l’altrui si oppone. Parla coll’altrui labbro, Con l’altrui cor risolve. Teodosio E da qual core Sedotto è ’l suo? Probo Da quello D’un audace vassallo Che alle sue nozze insidioso aspira. Teodosio Alma v’è sì orgogliosa? Qual sia? L’addita. In petto 162 Già m’arde una giust’ira e stringo in mano Le pene più temute. Probo Egli è… (pèra il rivale). Teodosio Chi? Probo Marziano. Teodosio E Marzian sarà punito. Un duro Esiglio a questa reggia Lo torrà, finché unita Veda Pulcheria al Principe di Persia. Probo Signor, tutto ei possiede Col militar comando anco l’affetto. Teodosio Cauto oprerò; simulerò l’offesa, Parrà favore anche la pena; e un braccio Sì necessario e prode, Non perderò, né irriterò. Tu intanto Vanne incontro a Varane. Probo A me ben noto Nella sua Corte, ove l’onor sostenni Di tuo ministro. Teodosio A lui Offri quanto dar può Cesare e ’l trono, Ché amico a lui, grato a Isdegarde io sono. Arderà le sue facelle, Ed amor, con doppio laccio Le tue gioie accrescerà. Lieto dì con più bel raggio Mai non sorse al greco Impero E ogni cor serve in omaggio Alla tua felicità. 163 SCENA VII Teodosio Teodosio Tutt’amor, tutta gioia L’alma mi brilla in petto! Amata Eudossa, M’è oggetto più giocondo L’impero del tuo cor che quel del Mondo. Trovo negli occhi tuoi Tutto il contento mio, Tutto il mio bene. E fuor di te, che sei Meta de’ pensier miei, Beni non ha il desio, Voti la spene. SCENA VIII Varane con seguito, e Probo Varane Reggia amica a te vicino Più mi balza il core in petto. Ma non so del mio destino Se per fama o per sospetto. Probo Principe illustre a sua gran sorte ascrive, Cesare il mio sovrano, Che del tuo regio aspetto L’alte sue nozze ad onorar tu venga. Varane E nel tuo incontro io formo Fortunati presagi a quel destino Che qui mi tragge, o amico. Probo E qual’altro destino a noi ti dona Che l’antica amistà Del tuo col nostro Impero? (Egli si tenti.) Varane Ah Probo, a voi non amistà, non altra Politica ragion qui mi fu guida; Sol mi fu guida amore, Amor per me fatal. 164 Probo (Povero cuore.) Varane La beltà ch’io sospiro Vive tra voi, tal me ne giunse il grido. Pietà Probo, se mi ami Reggi tu i passi miei; Senza colei per cui vo errando intorno, M’è odioso ogni respiro, infausto il giorno. Probo Signor, del tuo bel fuoco Ti precorre la luce. Il so, gran fregio Di quella reggia è la beltà, che adori. Varane Me fortunato. Probo Ella tua fia, t’impegno Quanto a Cesare appresso Ho di poter. Varane Mio caro. (lo abbraccia) Probo (Per pena del rival perdo me stesso.) SCENA IX Leontino, e detti. Leontino Che miro, o Dei! Quegli è Varane. Varane Ah Probo, Quegli è Leontino? Probo Il saggio D’Atene, è desso. 165 Varane Oh tanto invano, o tanto Sospirato Leontino. Leontino (Più non v’è scampo.) Al grande Successor della Persia… Varane Eh lascia questi Titoli a me funesti. Dimmi Varane, amico, figlio, o s’altri Nomi d’amor può suggerirti il labbro. Leontino L’alto tuo grado… Varane Probo, Qui grave affar seco mi chiede alquanto. Riedi a Teodosio. Ei sappia Che il mio piacer nella sua reggia io spero, E fa’ ch’egli ti dia l’augusto assenso. Probo Nel mio zelo confida. (parte) (Piangi amor mio, ma il mio rival non rida.) SCENA X Varane e Leontino Varane Leontino, ove è Atenaide? Leontino Atenaide sol’è dov’è Leontino, Ma più non la vedrai. Credilo a un Padre. Varane Chi può torla ai miei lumi, Chi negarla al mio amor? Chi tanto puote? Leontino Tu stesso, e la tua gloria. 166 Varane La gloria mia? Leontino Non ti lusingo, o Prence; Fuggila per tuo onor, per suo la fuggi. Varane Il suo fato, il mio amor, vuol ch’io la cerchi Leontino L’amor tuo s’avvilisce: ei cerchi oggetti Degni più del tuo fasto. Varane Tutto il mio fasto è l’adorarla. Ah cessa Di più temer: vengo a recarle un core Innocente e più puro. Vengo ad offrirle un trono Eguale a sua virtù. Con minor prezzo Non riparo il suo torto, Non l’error mio; torto ed error che tanto A me costò di pentimento e pianto. Leontino Eh mediti altre nozze Della Persia l’erede. Varane Quello vo’ d’Atenaide. Leontino Di Augusta gl’imenei gli applausi avranno Della Persia e del Padre. Varane Ma non quel del mio cor. Voglio Atenaide. Leontino Vedi la regal vergine… Varane A miei lumi Tutto è oggetto d’orror, se lei non veggio. Mia delizia, mio bene, Deh non soffrir ch’io te ne preghi indarno. 167 Lascia ch’io dir ti possa Benefattore e Padre. Vedilo, io tutta abbasso La mia grandezza all’umiltà del prego. Concedimi Atenaide. Leontino Non è più tempo. Allora Ch’io potea ricusasti: Or che tu vuoi non posso. La sorte d’Atenaide Al paterno voler più non soggiace; Decretato è di lei: soffrilo in pace. (in atto di partire) Varane Fermati e meglio vedi Qual’io mi sia. Varane Soffrir non può d’aver pregato indarno. Chiesi Atenaide ed Atenaide io voglio; Ché s’ancor pensi, audace, Torla con nuova fuga agli occhi miei, Parte non sia sì solitaria e strana Dove non giunga il mio furor. Cercarti Saprà la mia vendetta Oltre il mar più profondo, Oltre ogni lido, oltre il confin del Mondo. Leontino Nella reggia di Cesare Leontino Non sa temer. Torno a ridirlo. Invano A me chiedi Atenaide: il suo destino Più da me non dipende; e se ancor fede Tu nieghi a’ detti miei, Vanne a Pulcheria e sol la chiedi a lei. Mai s’accende di sdegno il mio core, Non pavento minaccia e furor. Disperato se vedi il tuo amore, Puoi cangiarne la fiamma e l’ardor. SCENA XI Varane, Teodosio, Pulcheria, Marziano, Probo e loro seguito Varane A Cesare si vada: ei mi conceda Di Atenaide il possesso, 168 Onde nel punto istesso Sia felice il suo amor, sia lieto il mio. Teodosio Principe amico, ogni momento è pena Che a noi tarda il piacer dell’abbracciarti. Questa reggia, e tua reggia, Pulcheria ed io tutto dobbiamo al figlio Di quel gran re che un tempo Fu a noi tutore e Padre. Pulcheria Empie il tuo nome Le voci della fama, E Bisanzio vedrà con lieto ciglio Di cento eroi te invitto erede e figlio. Varane Augusto, Principessa, Ben fu presago il cor che solo in questo Felicissimo cielo Sarian paghi i miei voti. Questo misero cor lunghi sostenne Fieri naufragi; ei qui ne spera il porto. E se sovrano assenso Oggi mi si concede, Si vedrà in sì bel giorno Ad un talamo solo arder due tede. Marziano (Misero me.) Probo (Pena il rival.) Teodosio Ne attesto Principe il ciel, la real fede impegno; Quanto da me dipende Per tuo ben, per tua pace Tutto otterrai. Di’, chiedi. Varane Generosa Pulcheria… Marziano (Ahimè!) 169 Varane Manca alla mia Piena felicità solo il tuo voto; Pende da te della beltà che adoro L’alto destin. Pulcheria Può sperar tutto il grande Eroe dell’Asia. Teodosio Ed ottener può tutto; Chieda egli pur. Varane Si compia Prima il tuo nodo. Io qui t’indugio un bene Che fa troppo penar colla dimora. Teodosio A tuo piacer questa è tua reggia; prendi Ivi riposo, ivi le leggi imponi. Regna Varane ove è Teodosio. Probo Ne adempia i cenni. Varane Io parto Pieno insieme di gioia e di rossore. (Dal suo contento e quasi oppresso il core.) Tanto lieto ho il core in petto Che al goder dell’alma mia Già la fredda gelosia Più velen sparger non sa. Tal l’amore si consola Che da me già tutto invola Quel dolore Che nel ciel destò pietà. SCENA XII Teodosio, Pulcheria e Marziano Teodosio Sei vicina, o germana, a porti in fronte La corona di Persia. 170 Pulcheria Onor ch’io non ambisco. Teodosio All’imeneo felice Echeggiano in applauso e mari e lidi. Pulcheria Fama è spesso bugiarda E s’applaude sovente a un’ombra vana. Teodosio Tutto arride al tuo nodo. Pulcheria Il più vi manca. Teodosio Che mai? Pulcheria Vi manca di Pulcheria il voto. Teodosio Vuoi forse rifiutar sposo sì illustre? Pulcheria Richiesta ancor non sono. Teodosio E se lo fossi? Pulcheria Maturar ben si deve il grand’assenso, Dov’è inutile e tardo il pentimento. Teodosio E se augusto ten prega? Pulcheria Augusto è mio germano. Marziano Ed ei non stende Fin sopra il cor l’autorità del grado. 171 Teodosio Può comandar ciò che all’Impero ei vede Giovevole ed onesto. Marziano Perdonami Signor, giova all’Impero Che talor tu consigli i dubbi affari Col senno di Pulcheria. Teodosio Duce, chi nacque all’armi Mal sa in pace trattar nozze ed accordi. L’alma guerriera volentieri assente A consigliar ciò che cagion feconda Esser può di sospetti e di litigi. Ma se tale in te avvampa Sete di guerra e di trofei, va’, espugna Il bulgaro rubello. Pria che il giorno tramonti Ti veggia il campo e a nuove palme il guida; Cesare a te la sua vendetta affida. Marziano Ubbidirò. Dall’armi tue sconfitta La provincia rubella Il solo non sarà de’ miei perigli E il primo non sarà de’ tuoi trionfi. Farò morder il giogo Al popolo fellon: correr di sangue Farò, s’ei sia protervo, e strade e fiumi; Andrò, vedrò, ubbidirò il tuo cenno; Soddisfatto vedrò l’altrui livore, Tornerò d’altri lauri Cinto le tempie e domi I miei nemici e i tui; Avremo ambo vittoria, Tu dell’audacia, io dell’invidia altrui. Di nuovi allori adorno A te farò ritorno E a pie’ del soglio avvinta La fellonia trarrò. Poi dell’invidia oppressa Su la ruina istessa Maggior risorgerò. 172 SCENA XII Teodosio e Pulcheria Pulcheria Signor, saggio consiglio Non è irritar braccio sì prode. A lui Tutta dell’armi nostre Affidata è la cura. Teodosio Utile m’è nel campo, Ma nella reggia a me fa guerra il Duce Più d’ogni altra spietata. Pulcheria In che t’offende? Teodosio Del mio favor s’abusa e del suo grado. Pulcheria Ma qual’error? Teodosio Pulcheria, in certi rei Dissimular le colpe Convien per non punirle. Marzian vada al campo e tosto vada. Pulcheria Dunque, sua pena è ’l tuo comando? Teodosio Ei vada, E dal suo core esiga, O vicino, o lontano, Del comando il rispetto e non l’arcano. Qual la sua colpa sia Ricercane il tuo cor E toglimi il rossor Dell’alta offesa. Guarda, saria viltà Se dalla maestà Fosse difesa. 173 SCENA XIV Pulcheria Pulcheria Purtroppo il so: la tua sciagura, o Duce, È il tuo amore innocente. Pietà ne sento; ohimè guardati, o core, Sembianze di pietà prende anche amore. Quanto posso a me fo schermo E da piaghe e da ritorte. Ma ho timor che contro amor Sia riparo troppo infermo L’esser grande e l’esser forte. ATTO II SCENA I Salone magnifico. Teodosio, Varane, Probo e loro seguito Teodosio Va’, Probo, e fa’ che Augusta Più sollecito il passo a noi rivolga. Probo Impaziente è amore. (parte) Teodosio E tu questi perdona D’innamorato seno impeti e voti, Principe amico. Varane Ah, provo anch’io qual pena Sia la speme e l’indugio in chi ben’ama. Teodosio Tra poco il mio diletto Qui compirsi vedrai; vedrai la degna Cagion dell’ardor mio, vedrai del volto Le amabili sembianze, La modestia del guardo, L’onesto portamento, e allor dirai Che, se pari al suo bello è il mio piacere, Non v’è cor più felice Né più amante del mio. 174 Varane (Atenaide, mio bene, Così dirò nel tuo possesso anch’io.) SCENA II Atenaide, Probo e detti Varane O Dei! La mia Atenaide Veggo in Eudossa? Atenaide Ahimè, Varane? Teodosio (a Varane) Questa, Principe, è la mia Eudossa; e questi, o sposa, È il Principe Varane. (ad Atenaide) Atenaide (Che mai dirò?) Varane (Son io ben desto? I sensi Traveggon forse!) Eudossa, Eudossa è questa? Probo Scelta all’augusto trono. Teodosio E scelta al nostro Marital letto, Imperatrice e sposa. Varane Ma come?... Ah Probo… E sarà ver?... Son morto… Teodosio Quale stupor? Troppo sorprende i cori La beltà di quel volto; E tu, cara, i belli occhi Alza dal suolo ove gli tieni assisi; E in aver sì gran Prence Spettator di tue nozze, Non arrossir; stendi la destra; ei stesso Seguirà al Tempio i nostri passi. Andiamo. 175 Varane Che? Seguirvi Varane? Questi lumi Saranno il testimon d’un imeneo? No… Prima… Ah giusti Dei, Con qual fulmine orrendo Prendeste ad atterrar la mia costanza? Teodosio Che ascolto? A quai trasporti Si dà in preda il tuo labbro? Qual turbamento è il tuo? Tu impallidisci? E tu pur anche Eudossa; Perché? Parla; onde mai? Svela l’arcano. Atenaide Sire… (mi manca il cor.) Varane Parli Varane, Parli Varane. È vero. Non son più di me stesso; Le pene e i turbamenti Nascono in me da quel fatale oggetto… Oh Dio… misero core… è forza, o Sire, Ch’io ceda al mio dolore; Sento che nell’indugio La mia stessa ragion divien furore. Nel profondo cieco orrore Mi precipita il mio fato, Già spietato a questo cor. Vincerà fiero il rigore Disperato il mio furor. SCENA III Atenaide, Teodosio e Probo Teodosio Probo intender vorrei, Ma il mio stesso desir fa il mio spavento. Probo Tutti sì strano evento M’occupa i sensi. 176 Teodosio Rompi Eudossa il tuo silenzio e ’l vero esponi. Agli occhi tuoi noto è Varane? Atenaide È noto. Teodosio Ed a quei di Varane è nota Eudossa? Atenaide Eudossa è ignota a lui, non Atenaide. Teodosio D’Atenaide non chiedo, Chiedo di te. Atenaide Per me rispondo, o Sire, Quando per Atenaide a te rispondo. Teodosio Spiegati (non intendo e mi confondo.) Probo (Oscuri enimmi.) Atenaide Allora Che in Atene io vivea, non era Eudossa. Tal mi nomai da che in Bisanzio giunsi. Teodosio E in Atene vivesti?... Atenaide Col nome d’Atenaide. Teodosio E là ti vidde?... Atenaide Il Principe Varane, Offertomi dal caso e non dal core. 177 Teodosio Segui: ei t’amò? Atenaide Finse d’amarmi almeno. Teodosio Arbitro fu del mio Il paterno voler. Teodosio Ne arrise il Padre Ad un amor che ti facea Regina? Atenaide Non so. So ch’ei repente Alla Patria mi tolse ed a Varane. Teodosio Per qual destin? Atenaide Le sue ragioni ha ’l Padre. Teodosio Né saperle poss’io? Atenaide Si temé forse Il giovane feroce e più ’l suo amore. Giovò la fuga; e in queste Mura si elesse un più sicuro asilo. Qui di nome e di culto Cangiai; mi vide Augusta e qui a te piacque… Teodosio Basta così: basta, o fatal… qual dirti Se Atenaide o se Eudossa Deggia non so. Nomi del pari infausti: Nomi spietati. Un mortal ghiaccio, un freddo Sudor mi scioglie. Partiti; io solo deggio Restar co’ miei pensieri. Quando sia tempo intenderai tua sorte. 178 Atenaide La men crudel per me saria la morte. Son colpevole a’ tuoi lumi, Ma innocente è ’l mesto cor. Giusti Numi, il vostro sguardo Ben lo vede Pien di fede e di dolor. SCENA IV Teodosio e Probo Teodosio Pulcheria a noi. Probo, tu vanne al Tempio E sospendi le pompe Al festoso apparato; E si congedi il popolo e ’l senato. Probo Gode scherzar su i nostri casi il fato. (parte) SCENA V Teodosio Teodosio Smanie gelose, tormentosi affetti, Tutto in preda vi lascio Il petto d’un Monarca. Ho in Varane un rival. Me’l tace Eudossa, Ma l’infedel l’amava. Perfida ingrata! Ancora Non sai qual sia lo sdegno D’un Cesare geloso, D’un amator tradito. Farò, iniqua, farò che tu non sia Né del rival né mia, E che il tuo nome e la futura etade, Quando invidia dovea, svegli pietade. SCENA VI Teodosio e Pulcheria Teodosio Vieni, ah vieni in aita D’un Principe infelice. Son tradito, o Pulcheria. 179 Pulcheria Lo so. Tutta da Probo Intesi la cagion delle tue pene. Teodosio Chi mai detto l’avria? Colei che adoro Traea l’impura face Perfino all’Ara; ed a recar venìa La spergiura sua fede in faccia ai Numi! Pulcheria Se Eudossa è rea, dov’è innocenza in terra? Teodosio Per te sola, o germana, Misero son. Tu mi lodasti Eudossa E l’amai nel tuo labbro Pria che negli occhi suoi. Deh! Perché a te credei? Perché lei vidi? Oh fede! Oh vista! Oh amore! O cieli infidi! Pulcheria Giustissime querele, Vi fo ragion. Ma, Sire, Il tuo cuor ne trionfi e quella ingrata Sprezzatrice beltà sia disprezzata. Teodosio Qual consiglio a me dai? Pulcheria Quel ch’è più giusto. Teodosio Ma non quel ch’è più caro. Pulcheria Scenda l’indegna dal tuo soglio. Teodosio Oh Dio! Per vederla salir quel di Varane? Pulcheria Dal tuo core l’esiglia. 180 Teodosio Perché ella passi al mio rival in seno? Pulcheria Più non spiri quest’aure. Vada colà dove né meno il nome Te ne giunga all’udito. Corro, o german. Vo’ che per sempre Eudossa S’allontani da te né più ti veggia. Teodosio Più non mi veggia? Ah! Ferma. So l’error suo: la sua perfidia ho nota, Ma il non vederla più mi saria morte. Pulcheria Ma che far pensi? Teodosio Anzi che cada il giorno Esca dalla mia reggia Il superbo rival. Parta… Pulcheria Varane? Teodosio Sì! La sua vista ira e dolor m’accende. Olà, senza dimora Se li rechi il mio cenno ed ubbidisca. Pulcheria Ah Teodosio! Ah fratel, per cieco affetto Dove ten vai? Recar tu oltraggi ed onte E recarli in Bisanzio A Principe sì amico e sì possente? Teodosio Così dunque a Teodosio Mancherà ogni conforto, ogni vendetta? Pulcheria Forse un tuo inganno è ’l tuo sospetto. È cieco L’amante ch’è geloso. D’ogni idea si fa un rischio, D’ogni ombra un mostro. Ancora Il cor d’Eudossa esaminar conviene. 181 Teodosio Facciasi. Ecco già corro Per sentiero migliore, Ciò che far deggia ha stabilito il core. Vorresti, il so, vorresti amor tiranno Dopo la libertà tormi la gloria. Ma la cauta ragion vede il tuo inganno; E già fa disperar la tua vittoria. SCENA VII Pulcheria, poi Marziano con Guardie Pulcheria Libera son dall’odioso nodo Che politica cieca Stringer volea. Qui viene il Duce. Affetti Cauti vegliate alla difesa. Marziano In onta Di quel destin che misero mi rende Col tormi a questa reggia, Ove resta di me la miglior parte, L’addio ne prendo almeno Con qualche pace e un gran piacer vien meco. Pulcheria Duce, qual sia? Marziano Quel di veder che il fuoco Ond’arde il fier Varane Sen vola ad altra sfera. Pulcheria M’ami così? T’è grato Ch’io perda una corona? Marziano Anzi l’acquisti, Se la tua ti conservi. Hai qui vassalli Che non men de’ tuoi cenni Adorano, o Pulcheria, Mi sia lecito dirlo, i tuoi belli occhi. 182 Pulcheria Se tanto, o Duce, un cor vassallo osasse… Marziano V’è chi osa tanto, o Principessa. Ei fece Quanto puoté per non amarti. Oppose Ragion virtù, dover: tutto fu indarno. Reo lo vuole il tuo bel, reo la tua stella. Pulcheria Duce, non più! Qualunque ei sia gl’imponi O ch’ei corregga il temerario affetto, O ch’ei lo chiuda in seno; Cauto così che non ne scoppi intorno La più lieve favilla. E buon per lui che ignoto M’è l’esser suo, né a te ben tutta io credo La colpa tua. (Se più l’ascolto io cedo.) Marziano Poiché il misero deve Per te morir, non cura Se il tuo sdegno l’uccida o il suo dolore. Vedi… Pulcheria No, Marzian, saper non voglio Né la colpa, né il reo. Sin che me ’l taci, Egli forse m’è caro, e degno è forse Del mio favor. Tu lieto Vanne all’armi, ai trionfi. Ivi a core ti sia E la tua vita e la memoria mia. Sorge l’irato nembo E la fatal tempesta Con sussurrar dell’onde Ed agita e confonde E il cielo e ’l mar. Ma sai che in un baleno Fugge la nube infesta E il placido sereno In cielo appar. 183 SCENA VIII Marziano Marziano Tu parti e intanto io resto Tra la vita e la morte, Dubbioso di mia sorte. Timido labbro, è tua la colpa. Io t’amo. Dir non sapesti ed ella O non t’intese appieno, O se n’infinse almeno. Vanne e, pria che partir, dille che l’ami. E fa’ che all’amor mio Ella dolce risponda e t’amo anch’io. Bel piacer di fido core Poter dir al caro oggetto: Per te parto, per te moro. Bel piacer d’amante core Poter dir al caro oggetto: Per te parto, per te moro. Ma diletto assai maggiore È l’udir ch’egli risponda: Anch’io t’amo, anch’io t’adoro. SCENA IX Teodosio e Leontino Teodosio Conveniva non tacerlo. Leontino Mio fu l’error. Teodosio Teco n’è rea la figlia. Leontino M’ubbidì il suo silenzio. Teodosio Si cercò d’ingannarmi. Leontino Anzi di risparmiarti un gran sospetto. 184 Teodosio Or più crudele egli mi rode in seno. Leontino Non val consiglio ove dispone il fato. Teodosio Del vostro fallo è mia pena. Leontino Credi Innocente la figlia e sei felice. Teodosio Più avveduto mi rende il primo inganno. Venga e quest’alma il testimonio sia. Leontino Ma sdegno non ti turbi, o gelosia. Se cieco affetto Ti latra in petto, Ogni consiglio diventa error. Ed è periglio Della ragione Il turbamento Che affligge il cor. SCENA X Teodosio e Varane Teodosio Quietatevi, o pensieri… Varane No, no convien ch’io veggia. Invan mi si resiste. Teodosio Che sia? Quest’è Varane. Varane Agitato e confuso Cesare a te ritorno. Nel mio furor nulla conosco e temo. Eudossa è l’amor mio. Se in lei tu pensi 185 Trovar la tua consorte, Cerca ancor la mia morte. Se ben nella tua reggia E se ben tutte intorno Vegliano al fianco tuo l’arme vassalle, Vittima non m’avrai facile e sola. Vender a non vil costo Saprò la vita e l’oppressore istesso Dalle ruine mie resterà oppresso. Teodosio Prence le tue minacce Mi fan pietà più che spavento; e s’io Del cor seguir volessi Gl’impeti primi, apprenderia, Varane, Come si parli a Cesare in Bisanzio. Di’ qual’oltraggio hai del mio amor? Corono Quella ch’è tuo rifiuto. Sposa non la volesti, io la fo Augusta. Perché sdegni ch’io sia Possessor di quel bene Che a te tolse alterezza e frenesia? Varane Ah! Signor, già condanno Quel superbo pensier. Seguo il tuo esempio. Degna stimo Atenaide Del tuo Impero, del mio, di quel del mondo. Teodosio Ma che pretendi? Varane Oh Dio! Vorrei ciò che ’l mio amore Far per te non saprà. Vorrei… Ma Sire Quel che spero non so, né quel che parlo. Pesi il tuo cor se stesso e veggia quanto A prò d’un infelice Possa aver di virtù, possa esser grande. Ecco vinto il mio fasto; ecco abbattuta La mia vana fierezza. Imploro tua boutade, Ah! Basti all’odio tuo vederti avante Il figlio d’Isdegarde supplicante. 186 Teodosio Mi toccano i tuoi mali, Più che i trasporti tuoi. Sentir amo Eudossa; Ma l’amo con virtù. Vo’ che l’amore Mi acquisti la sua fede e non la forza. Vo’ lasciarla tra noi In libertà di scelta. Sì vo’ dalla sua bocca udire il nostro Oracolo fatal. Se l’hai propizio Godrò della tua sorte, Né un cor t’invidierò che tuo esser volle. Ma se per me decide, i nostri amori Più non turbar. Lascia che meco in trono Regni la tua Atenaide e non geloso Mira la sua grandezza e ’l mio riposo. Varane Al tuo voler m’inchino, E dalla bella attendo O felice o funesto il mio destino. SCENA XI Atenaide, Probo e detti Teodosio Nelle tue nozze Eudossa Io riponea tutto il mio ben. Ma poco Apprezzo la tua destra Se mi manca il tuo core. Questo tra me e Varane Decida in libertà. Scelga tra noi Il più caro amator, non il più degno. Atenaide E che? Pensi ch’io possa?… Teodosio No, no, seco ti lascio. A lui sincero Parli il tuo cor. Qualunque Il voler ne sarà, giuro per questo Che il crin mi cinge imperial diadema, Ne osserverò la legge. Probo. 187 Probo Cesare. Teodosio Prendi Quest’aurea gemma; a quello La recherai che dall’amor d’Eudossa Sarà eletto in consorte. Probo Ubbidirò. Varane (Speme risorgi.) Teodosio Addio. Benché sforzo sì grande Vita e felicità possa costarmi, Potrò bella Atenaide Udir la tua sentenza e non lagnarmi. Al tribunal d’amore Esamina il tuo core E scegli quel fra noi Che più ti piace. Decidi in libertà La tua felicità, La nostra pace. SCENA XII Atenaide, Varane e Probo Probo (In disparte qui attendo.) Atenaide (Mi rinfranchi virtù.) Varane (M’aiti amore.) Il misero Varane, o tanto indarno Sospirata Atenaide, Avrà pur il piacer di favellarti. 188 Atenaide Parli egli pur. Così comanda Augusto. Varane Intendo. Col suo core Ti disponi ad udirmi; Col tuo non già, che troppo Egli arde a’ danni miei d’odio funesto. Atenaide Deggio ubbidir: quanto far posso è questo. Varane E per me nulla puoi? Non anche sazia Sei dell’aspre mie pene? A un solo error tanto supplicio? Oh Dei! Per te che non soffersi? Qual mar, qual lido non tentai? Fin dove De’ sospir miei sull’ale Volar non feci d’Atenaide il nome? Cor non fu ch’ai miei pianti Negasse i suoi. S’è impietosito il cielo Col guidarmi in Bisanzio. Un sol giorno, un sol punto Mi ti togliea per sempre. A tempo ancora Sono i miei voti. Ancora Posso offrirti pentito e nozze e trono. Atenaide, mio ben, pietà, perdono. Atenaide Principe, anche in Bisanzio Vieni a turbare la mia quiete? I mali Nel mio cielo natio per te sofferti Non ti bastano ancora? Varane Eccomi a ripararli Col pentimento mio. Atenaide Tardo me ’l rechi. E inutilmente il rechi. Data è già la mia fede; E di Cesare io son. 189 Varane Sei di Varane Se ben rifletti a i primi Giurati affetti. Atenaide A quei rifletto, a quelli Che tu stesso tradisti, A quei ch’ora mi fanno augusta e sposa. Varane È ver, mirarti in fronte Il diadema dei Cesari è un gran fregio; Ma qui in grado d’Augusta Sarai serva a Pulcheria. In Persia io ’l primo Sarò de’ tuoi Vassalli, Ed a’ sudditi miei Saranno i tuoi belli occhi e leggi e Dei. Atenaide Principe, è tempo al fine Che in più liberi sensi il cor ti mostri. Tutte le offerte tue, le tue lusinghe Non faranno ch’Eudossa A Cesare sia ingrata; E del tuo amor mi stimeresti indegna Se tua potesse farmi un tradimento? Tempo fu che contento Volea farti il mio cor. Forse non senza Lagrime io ti perdei. Forse ad esser d’altrui l’alma disposi Con violenza e forse… Ma che? Troppo già dissi. Di Cesare ora son. Data è la fede, Se non la destra. Esser di lui sol voglio. Quando alla tua corona Nuovi Imperi aggiungessi e nuovi Mondi E quando ancor per legge Di rio destin andare dovesse Augusto Infelice, ramingo e fuggitivo, Non cangerai desio, né cor, né fede; E mi saria più dolce Con lui misera errar, con lui meschina, Ch’esser lieta con te, con te Regina. 190 Varane E ben facciasi. All’aspra, Dura sentenza il mio sangue soscriva. Vanne al talamo augusto Sul cadavere mio. Atenaide Tanto non chieggio, Prence, da te. Soffri il tuo fato. Vivi A più degna beltà, vivi a Pulcheria. Questo al tuo amor, sol questo Favor dimando: ama Pulcheria e vivi. Probo, tu quella gemma Rendi… Varane Ferma Atenaide. Su gli occhi miei felice Non sia il rival. Lascia ch’io volga altrove E le lagrime e l’ire. Trema per lui. Morire Posso ben disperato Ma non solo, non vil, né invendicato. Il mio amore Diventa furore, Rabbia spiro e vendetta dal sen. Non trabocchi Più pianto dagli occhi, Ma sia spruzzo di fiamma nel core E su’l labbro si cangi in velen. SCENA XIII Atenaide e Probo Probo Temo e compiango il suo dolor. Atenaide Mi fanno Senso le sue querele, Ma così oprar degg’io. Ei così dee soffrir. Probo, tu intanto Reca con quella gemma Al mio Signore e tuo la certa prova Di quella fe’ con cui l’amo e l’adoro. 191 Probo Eseguirò. (Nel core Sento d’amico Prence il fier martoro.) Vado a recar contenti A chi sospira e pena Per tua gentil beltà. In mezzo a suoi tormenti Ei darà fede appena A quel piacer che in petto Amor gli sveglierà. SCENA XIV Atenaide, poi Leontino Atenaide Vinta è già la procella. Eccomi in porto. Né del primo terror mi resta in seno Il minor turbamento. Il mio franco riposo Vien da virtù… Leontino Ma la virtude, o figlia, Nuova fuga c’impone. Atenaide Fuggir? Perché? Leontino La fiamma Da gli occhi tuoi ne’ due monarchi accesa A scoppiare è vicina in guerra atroce. Atenaide Cesare io scelsi e al suo giudicio deve Acchetarsi Varane. Leontino Non lo sperar. Fede che torni in danno Non serbano i potenti e men gli amanti; Se resti, avrai di che lagnarti. Andiamo. Atenaide Perdonami Signor. Sposa d’Augusto Sarò fra poco. Egli m’adora… 192 Leontino Eh figlia, Sono gli amori in corte Di debol tempra. Ove le torni in grado Politica gli scioglie. Più giova al greco Impero il perso amico Ch’Eudossa Imperatrice. Atenaide Mi fe’ troppo infelice La prima fuga e pur l’impose onore. Or l’impone il timor, né mancar posso Alla fe’ che giurai. Eccelso trono, fedel consorte, Sono un dono che la sorte Così facile non dà. Se lo perdo è una sciagura, Ma se’l lascio è mia viltà. ATTO III SCENA I Cortile corrispondente al giardino Probo Probo Che mi dite, o pensieri? Tradire il mio Signor? Con quale speme? Per qual mercé? V’intendo: S’Eudossa è di Teodosio, Pulcheria (oh Dio!) sia di Varane (Oh cieli!) Con qual furor mi si risveglia in seno La gelosa mia tema? Salvasi a me la bella. Lungi è il rival. Con un inganno istesso Servo a me, servo a lei, servo all’amico. Ma Teodosio è ’l mio Re…Che fo?... Alme perfide insegnatemi A peccar con più riposo. Avvelena ogni piacere Un rimorso tormentoso. 193 SCENA II Varane con Guardie Varane Ove mi tragga il passo, ove il pensiero, Non so, non veggio. Ah Probo, Crudele amico, anco il tuo aspetto accresce Le pene mie. Sì più l’irrita. Esponi Con qual cor, con qual fronte il mio rivale Ricevé il lieto avviso e il fatal dono. Di’: su le mie sciagure Quale insulto? Nulla tacer. Non cerco Che oggetti d’ira, di dolor, di morte. Probo (Ecco il tempo) Signore, Meno misero sei di quel che pensi. Varane È ver. Sì grandi sono I mali miei, che appieno Né concepirli, né sentirli io posso. Probo Ravvisa in quella gemma… Varane Eh! Toglimi dagli occhi L’infausta pietra, onde segnar le stelle L’ultimo de’ miei giorni. Probo Anzi il più lieto. Varane Ho perduta Atenaide. Probo Ella è tua sposa. Eccone il testimon, Probo te ’l reca. Varane Come? Atenaide? E sarà vero? 194 Probo Appena Da lei movesti il piede, Che vinta da pietà, spinta da amore, Vanne, Probo, mi disse, Vanne sull’orme sue; digli che paga Son del suo pentimento. Va’, reca a lui… Varane Probo, non più; l’estremo Piacer mi opprime e in rendermi la vita Quasi quasi m’uccide. Io t’abbraccio, o dolce amico, Io ti bacio, o caro dono. Probo Viene Augusto. (Ahi! Che feci?) SCENA III Teodosio con seguito, Pulcheria e detti Teodosio No, Pulcheria. Ecco Probo, ecco Varane, Non m’ingannai. Pulcheria Del torto Meglio ti rassicura. Teodosio Me ’l disse il cor. Certa è la mia sventura. Varane Signor, quanto più lieto a te verrei Se il mio piacer costarti Non dovesse sospiri. Ma tolga il ciel ch’io di mia sorte abusi E mi ti mostri ingrato. Se non era il tuo cor sì generoso, Or il mio non saria sì fortunato. Teodosio Prence, qualunque sia La tua sorte e la mia, da me prescritte 195 Ne fur le leggi e a quelle Istesse leggi io servirò d’esempio. Pulcheria (Egli è tradito. O perfida Atenaide!) Teodosio Probo, adunque egli è ver? Mi rende Eudossa Questa mercé, paga così l’ingrata Le mie beneficenze e la mia fede? Nel tuo dolor ben veggio La pietà ch’hai di me; veggio il tuo zelo. Ma te ne assolvo, parla; Udir voglio da te, da te che fosti Testimon di quell’anima spergiura, Tutto il suo error, tutta la mia sciagura. Probo Signor, che dir poss’io? Quell’aurea gemma Sfavilla in mano al Principe de’ Persi Di troppa luce; ed ella Più di quel che potrei parla al tuo core. Teodosio O gemma! O vita! O infedeltà! O dolore! Pulcheria Sugli occhi del rival frena il tuo pianto. Varane Ora è tempo in cui dia La tua virtù l’ultime prove. Teodosio Prence, Ti basti esser felice; a te non chieggio Né pietà, né conforto. Del mio fato crudel l’ultimo vanto Questo saria l’esser da te compianto. Varane Parto ché so qual sia Pena spietata e ria La vista d’un rival lieto e contento. Ed io crudel sarei Se oggetto di diletto Facessi agli occhi miei del tuo tormento. 196 SCENA IV Teodosio, Pulcheria e Probo Teodosio Qual discolpa, o germana, Rechi per l’infedel? Che puoi tu dirmi? Pulcheria Ch’ella indegna è di te, ch’io son delusa, Che tu tradito sei. Teodosio E ’l più misero aggiungi, e ’l più dolente. Ma Teodosio non son, non sono Augusto Se pentir non ti fo di tua incostanza, Iniquissima Donna. Probo In Bisanzio non devi Più tollerarla; ella ne parta e tosto, Parta col suo Varane. Teodosio Sì, parta l’empia. Pulcheria Ella a noi volge il passo. Teodosio Ma prima l’ira mia Le rinfacci le colpe. Probo Ah no! Vederla Dopo sì grand’eccesso È un tormentar, è un avvilir se stesso. Teodosio Invan qui voglio… Pulcheria Parti; a me la cura Lascia di tua vendetta. 197 Teodosio Anch’io saprò… Probo Se resti, Il tuo grado n’è offeso. Pulcheria E la costanza tua n’è più commossa. Teodosio (Quanto mi costa il non veder più Eudossa.) SCENA V Pulcheria, poi Atenaide Pulcheria Mira come sicura, Come lieta sen viene. Chi non diria ch’ella è innocente? Atenaide Augusta, Vero amor, pura fede Ad ogni altro consiglio In quest’alma prevalse. Pulcheria (Ancor sen vanta?) Atenaide Fra Teodosio e Varane Scelsi qual più dovea. Mai sì tranquilla Non mi sentii: tutti del primo affetto Sono spenti i rimorsi E del mio ben contenta e del mio Fato Appena mi sovvien d’aver già amato. Pulcheria (Odi l’alma proterva, odi qual parla?) Atenaide Qual silenzio? Qual torbido? Eh più lieta Applaudi alla mia scelta; 198 A quella onde tu stessa Sei ultima parte. Pulcheria (Più non resisto!) Io che v’applauda? Io Avrò nella tua colpa? Ed osi ancora Presentarla al mio sguardo? Farne pompa al mio sdegno? Atenaide In che son rea? Pulcheria Lieve eccesso all’ingrato Sembra l’ingratitudine, all’infido La poca fe’; ma iniqua Ne ha più senso Pulcheria Di quel che pensi. Da quest’ora indegna Del mio amor ti dichiaro, Del mio favor, della memoria mia. Ne arrossisco di quanto E per te feci e per te far dovea. Atenaide Almen… Pulcheria Taci, non deggio Né rimirarti più, né più ascoltarti. Atenaide Se errai… Pulcheria Se errasti? Meco T’infingi ancor? Perfida, taci e parti. Più non vuo’ mirar quel volto, Più ascoltar non vuo’ quel labbro, Lusinghiero e traditor. Labbro e volto In cui sta accolto, Il più iniquo e scellerato, Il più ingrato ed empio cor. 199 SCENA VI Atenaide, poi Teodosio con seguito Atenaide Meco Augusta così? Così Pulcheria? Quella che già m’amò sposa a Teodosio, Or ne ha dispetto ed ira? Intendo. Or che Varane è un mio rifiuto, Ella ne teme il nodo e al suo piacere Sagrificar vorrebbe E l’amore di Teodosio e ’l mio dovere. Teodosio Torno anche a tempo. Atenaide Augusto Nel tuo volto a cercar venia l’intero Mio riposo e ’l mio bene. Vedrò negli occhi tuoi… Teodosio Miragli Eudossa, Fissavi il lieto sguardo; Ché se lo sdegno mio, se la mia pena Può farti e più tranquilla e più felice, Hai ragion di mirargli e di goderne. Atenaide Qual favellar! Teodosio Miragli, sì, ma poi Che ne avrai fatto speglio, Che ne avrai fatto pompa agli occhi tuoi, Tremane ingrata e vile. Miravi un cor poc’anzi Tutto beneficenza e ne arrossisci, Poc’anzi tutto amore e ne paventa. Atenaide (Innocente Atenaide, in che peccasti?) Teodosio Ma non pensar che sul mio cor ti resti Altra ragion che d’odio e di vendetta. 200 Già ti esilio da lui E qual da lui, da questa Reggia, da questo Impero io ti do bando, E ti do bando eterno. Atenaide Io non più tua? Teodosio Quella pace a te resti Che tu mi lasci. Ove trovar tu speri E grandezze e diletti, amori e fasti Ti seguano sventure, affanni e pianti: Né a te sovvenga mai che per rimorso Il nome di Teodosio, Né a me sovvenga mai quello di Eudossa Che per sentirne orrore. Atenaide Ma Signor… Teodosio Vanne tosto Ad infettar co’ tuoi sospiri altr’aure, Femmina menzognera, ingannatrice. Vattene e, qual mi fai, vivi infelice. SCENA VII Atenaide Atenaide Ferma, Teodosio, ascolta! L’innocenza a te parla Per bocca mia, tu sei tradito; ascolta! Tu partisti e spargo a’ venti Prieghi, lagrime e lamenti. Qual demone, qual furia oggi a’ miei danni Si è scatenata? Augusta M’abborrisce e mi sfugge; Mi persegue Varane; Mi discaccia Teodosio. Io ti do bando? E ti do bando eterno? Sì, sì, vuol la mia morte e Cielo e Inferno. 201 Vanne tosto, fuggi, vola Disleal lungi da me? Fuggirò, Volerò, Disprezzata, Disperata. Innocente amor mio, povera fe’. Quant’era meglio, o Padre, Che più avessi creduto al tuo consiglio, Che men creduto avessi alla mia speme. Eccomi, andiam, fuggiamo Quest’empio ciel, queste fatali arene. In bosco romito, In povero lito, Qual vil pastorella I giorni trarrò. E in semplice stato Al crudo mio fato, All’empia mia stella Men d’ira farò. SCENA VIII Galleria Notte Marziano, poi Pulcheria con seguito Marziano Cor mio che prigion sei In sen della beltà, Pria di partir vorrei Saper s’ella ti miri Con occhio di pietà. So ben che lieto stai Né curi libertà, Ma dimmi almen semmai Gradisce i tuoi sospiri Chi sospirar ti fa, Chi sospirar mi fa. Pulcheria Partite. Alle mie stanze Già s’apre l’uscio. E qual riposo io spero? Cesare sì tradito; 202 Eudossa sì infedele; Marzian sì lontano. Marziano Eccolo a’ piedi tuoi, s’egli è tua pena. Pulcheria Che miro? Ah! Che vicino or sei mia colpa. Che fai? Che cerchi? È questo Il guerriero tuo campo? Qui raccogli i trionfi? Qui Teodosio t’invia? Marziano Senza darti un addio, senza ottenerlo, Potea da te partir? Pulcheria T’accieca un troppo, Sì, conviene ch’io ’l dica, un troppo amore. Se qui alcun ci sorprende, Se in questo punto? O cieli! Di te che sarà mai? Che mai di me? Qual’ira Ne avrà Teodosio? Io qual vergogna ed onta? Deh! Parti e la tua vita Risparmia e l’onor mio. Marziano Parto, o mia Augusta; almeno dimmi addio. Pulcheria Addio. Parti. Ah! Non posso Dirlo e non sospirar. Crudel sospiro, Più di quel ch’io volea fors’ei ti disse. Marziano E che disse al mio cor? Pulcheria Va’. Ti concedo Dirlo, qual brami. Marziano Anche sospir d’amore? 203 Pulcheria Parti. Già sai perché sospiri un core. SCENA IX Marziano, poi Varane e Probo Marziano (Vien gente. Io qui m’ascondo.) Probo L’ora è opportuna. Varane Probo, Esser io deggio un rapitor indegno? Probo Chi si ritoglie il suo nulla rapisce. Varane Violerò le sacre Leggi ospitali? Probo Il primo A violarle egli è Teodosio. In onta De’ patti e giuramenti ei tenea a forza Colà chiusa Atenaide, ora tua sposa. Varane Ritenermi Atenaide? E ritenerla a forza? O Cesare spergiuro! Son vinti i miei rimorsi. Vanne. Affretta i momenti; Prenditi i miei: sono anch’io teco. Probo Tutte Le occulte vie, d’onde entrar possi in quelle Chiuse stanze ho palesi. A me de’ miei custodi Bastano l’armi. Intanto Tu qui rimanti e questo Varco ben custodisci e qui m’attendi. 204 Varane Il riposo e la vita Dovrò, amico, al tuo braccio, al tuo consiglio. Probo (Una colpa imperfetta è ’l mio periglio.) SCENA X Varane e Marziano in disparte Varane Fausto abbia il fin la ben ardita impresa. Marziano (Udii. Solo non posso scioglier le trame.) Varane In breve Sarò tuo, sarai mia, cara Atenaide. Marziano (Non vo’ che alcun qui mi sorprenda.) Varane Al seno Parmi sposo abbracciarti. Festeggiatemi intorno, o lieti amori. Marziano (Ma schernir saprò altrove i traditori.) Varane Lieto va l’agricoltore Già vicino al dolce frutto Per cui tanto sospirò. Così il premio al mio dolore Fortunato anch’io godrò. SCENA XI Leontino, Atenaide e Varane in disparte Varane S’apre l’uscio. In disparte Trarsi convien. State voi pronti al cenno. 205 Leontino (ad Atenaide) La sciagura previdi E, se al consiglio mio davi più fede, Non saresti in tal pena. Varane (Questi è Leontino.) Atenaide Padre, Chi temuta in Teodosio Avria tanta ingiustizia? Varane (La mia Atenaide è questa, E del rival si lagna e ’l chiama ingiusto.) Leontino Tutto è in silenzio. Al male Il rimedio anche tardo è pur rimedio. Alla fuga, alla fuga. Atenaide Infauste mura, Nel crudo affanno mio Senza un sospir dirvi non posso addio. Infausta reggia addio: Ti lascio la mia pace E vado a sospirar. Possa goder beato, Benché spietato e rio, Il tuo Signor cui piace Farmi così penar. Varane Qui sorprenderla è rischio. Taciti andiam sull’orme sue; mia cara, Per esser mia dall’ire Di Teodosio t’involi, Ma ti siegua il tuo sposo e ti consoli. (parte) 206 SCENA XII Probo con guardie, poi Teodosio con Pulcheria Probo Qual disastro? Di Eudossa Tutte invano le stanze Corsi e cercai. Qui neppur trovo il Prence. Che mai sarà? Così dell’opra il frutto Nel più bel fior si perde? Ahimè! Vien con Pulcheria Il mio Signor tradito. O tema! O speme! Teodosio E sarà ver? L’infida Poté fuggir? Pulcheria Fuggì col Padre. Or ora Da una sua schiava a me fedel l’intesi. Probo (Che ascolto mai?) Teodosio Cotanto Ardì nella mia reggia? Sulle mie luci? Olà, custodi, Probo, Che si chiuda ogni varco; Che si cerchi Leontino; Che mi si torni Eudossa. Dov’è Varane? O Dio! Pulcheria? Io moro. Probo Per l’infedel ti affliggi? Teodosio Ah! Ch’io l’adoro. Probo Cesare… Teodosio Immantinente Alla fuga d’Eudossa e di Leontino Argine si frapponga. 207 SCENA XIII Leontino e detti Leontino Ah! Teodosio, ah! Signor… Teodosio Perfido: audace? Leontino Qua! Tuo son’io; ma l’innocente figlia A te si salvi, a me si salvi. Armato Me l’ha tolta Varane. Teodosio, Pulcheria, Probo Varane? Leontino Ed a gran passi La trae fuor di Bisanzio… Teodosio Anima vil, tutto è tua trama. In mano Tu la desti a Varane; Ma non pensar che invendicata sia La sua fuga, il tuo error, l’offesa mia. Leontino Deh! Non s’indugi. Eudossa Salvisi tosto e poi Tutta in me cada a tuo piacer la pena. Pulcheria Vada ella pur… Teodosio No, no, Pulcheria. Io stesso Sull’orme sue m’accingo. Seguitemi o miei fidi. Andiamo. Probo Eh Sire, Il tuo grado no ’l chiede, il tuo decoro. Resta. Io vi andrò. Qui rivedrai fra poco Libera Eudossa e prigionier Varane. 208 Teodosio Sì caro, sì fedel, vattene e rendi A Cesare il riposo. Probo Vado. Non hai di che temer tu possa. (Bell’inganno che salva A me la vita ed a Varane Eudossa.) (parte) SCENA XIV Teodosio, Pulcheria e Leontino Pulcheria Si confonde il pensier. Sposo ad Eudossa Esser dovea Varane. (a Teodosio) Egli ne avea l’amor, ne avea la fede. A che rapirla? A che fuggirne occulto? Teodosio Temea forse in Teodosio Lo spergiuro la forza? Ah! Ch’io potea Perder Eudossa e l’alma, Ma non tradir la fede e non l’onore E serbava ragion del mio dolore. Leontino Un solo inganno, un solo Tutti ci fece miseri. Pulcheria Un inganno D’Eudossa, è vero. Teodosio E tu ne fosti a parte. Leontino Il vostro cor si disinganni e in lei L’innocenza si assolva. Sì: mia figlia è innocente. Pulcheria Ella, che in seno Chiudea non casta fiamma? E che ripiena 209 Dell’amor di Varane Passava al letto augusto? Ella innocente? Leontino Se mai… Teodosio Da me sì amata, Così beneficiata Tradirmi? Abbandonarmi? A chi poc’anzi Amò il suo disonor, l’infamia sua, Pospormi sì vilmente? E nel giorno pospormi Ch’esser dovea mia sposa E regnar sul mio trono? Ella innocente? Leontino Tregua, Signor; tregua Pulcheria all’ire. La sua innocenza udite. Posto quel core in libertà di scelta Per te, per te decise. Ella non vide Nell’amor di Varane Che un oggetto d’orror. Per qual destino Non so, fosti ingannato. Bando le desti. Ella conobbe il torto. Se ne dolse: ubbidì: la notte attese; Meco fuggì! Non lunge Rapilla il Prence. Ad implorarne aita Frettoloso qui accorsi. Eccovi il ver. S’io mento, Piombi su la mia testa La pena più terribile e funesta. Pulcheria Ma l’aurea gemma è di Varane. A lui Probo la diede pur? Leontino Probo la diede? Ah! Per qual nuovo inganno Siam più infelici. Probo è traditore A Pulcheria, ad Eudossa e al suo Signore. Teodosio Traditor Probo? Ed io poc’anzi a lui Fidai me stesso? 210 Leontino Ei passa Con Varane secrete intelligenze, Né peraltro il seguì che per tradirti. Teodosio Sia traditore, o no, convien seguirlo. Chi ha cor fedel in seno Prenda l’armi e sia meco. Dien le trombe guerriere Fuga al riposo. E popoli e soldati Nell’ippodromo armati Si raccolgano tosto. Seguami ancor Leontino. Oggi conviene Morir da forti o racquistar Eudossa Ed in sì ingiusta impresa Perder la vita o vendicar l’offesa. M’accende amor l’ire guerriere in petto, E per beltà fedel vado a pugnar. Ma, se il rival non giungo, ahi, che dispetto! O, se infedel lei trovo, ahi, che penar! SCENA XV Pulcheria sola Pulcheria Oh Marzian qui fosse. Oh! Del tuo zelo Opra fosse e trionfo Il racquisto di Eudossa. Quanto Augusto per te, quanto Pulcheria Per te saria contenta; e la tua fede Qual merto ne otterrebbe e qual mercede. Solo penso ed amo te, Sol sospiro e bramo te; Sospirando e amando ma Cara ho la gloria tua quanto il tuo amore. Te solo penso ed amo, Te sol sospiro e bramo; Ma sospirando e amando Oggetto del mio affetto Altro piacer non è che La virtude, la fe’ del tuo gran core. 211 SCENA XVI Ippodromo Teodosio con seguito e poi Leontino Teodosio Duci, soldati, popoli, tradito Son da un Principe amico, Da un indegno Vassallo: Da Varane e da Probo. Al vostro braccio Chiedo le usate prove; Chiedo la loro pena al vostro zelo. Andiamo amici, avrem propizio il cielo. SCENA XVII Marziano, Probo e detti Marziano Signor, l’invitto brando Serba a maggiori e più lodate imprese. Teodosio Marziano? Marziano A’ tuoi lumi Non reo, quantunque in onta Al sovrano divieto, io mi presento. A quest’ora già i passi Contro il Bulgaro iniquo avrei rivolto, Ma gli arrestò di questo (accennando Probo) Perfido cor la fellonia malvagia. Leontino Sì, Probo è il traditor. Teodosio Suddito iniquo, Esempio di perfidia, anima infame, Perché tradirmi? Di’. Perché? Perché così nella più cara Parte di me tradirmi? Perché d’ogni vivente Il più misero farmi, il più dolente? 212 Probo Son reo, son empio, traditor, iniquo, Degno di mille pene, Di mille morti. Eudossa È fedele, è innocente. Ingannato è Varane e tratto ad arte Nella perfidia mia. Più dir non posso Se non chieder la morte. Teodosio E morte avrai. (Parte Probo accompagnato da’ Littori) SCENA XVIII Teodosio, Marziano e Leontino Teodosio Marzian, Leontino, amico, Padre, Che mi giova innocente La mia Eudossa trovar quando perduta, E perdutala forse, oh Dio! Per sempre? Vittima di Varane, ogni momento Più da me l’allontana. E che s’indugia? Colà si corra. Andiamo amici, andiamo. O la mia Eudossa, o la mia morte io bramo. Leontino Il mio dolor nel suo dolor si perde. Marziano Eh fermati: ogni traccia è tarda o vana. Teodosio Oh Dio! Dunque a morir. SCENA XIX Atenaide e suddetti Atenaide Perché morir, cor mio? Teodosio e Leontino Eudossa? 213 Teodosio Sposa… Leontino Figlia… Atenaide Sì, son tua Padre amoroso, Sì son tua mio dolce sposo. Sì, ti stringo, Sì, ti abbraccio. Teodosio Sento che per l’affetto Quest’alma nel mio petto Non sa’ più che bramar. Atenaide Dal grand’affanno, o Dio, Oh sposo, oh Padre mio, mi trovo a respirar. Leontino Sento che per l’affetto Un dì sì fortunato Non fu, né mai sarà. Teodosio O mia speranza bella. Leontino O mio conforto e calma. Atenaide Nel sen contenta ho l’alma Più tema il cor non ha. Teodosio Ma chi del fier Varane Ti liberò del violento amore? Atenaide Il tuo Duce fedel. Teodosio Che? Marziano De’ benefici suoi tacque il più grande? 214 Marziano Oprai ciò ch’io dovea. Fuor di Bisanzio In Varane m’incontro; odo le strida Della rapita Eudossa. Col fior de’ miei l’assalgo Cinto da’ suoi seguaci. Ardito e forte Sostien la pugna. Arriva Nel più fier della mischia Probo e fellone a lui soccorre. In questa Vinto alfin, ne’ miei ceppi Probo riman. Racquisto Eudossa. Al Prence Si permette la fuga Perché in lui si rispetta il regal Padre. Torno a te vincitor: ti rendo Eudossa. Teodosio E con Eudossa a me rendesti il core. O cara! Leontino O figlia! Atenaide O sposo, o genitore! SCENA XX Pulcheria e detti Pulcheria Di tante gioie a parte Esser potrà Pulcheria? E da te generosa Il perdono otterrà d’un’ira ingiusta? Atenaide Sovrana mia, benefattrice Augusta. Teodosio A Marzian, per cui cotanto bene Oggi si è dato in sorte, Nulla dirai Germana? Pulcheria L’alma grande si appaga Del bene oprar, né chiede Contenta di se stessa altra mercede. 215 Teodosio Parla così l’eroe, ma non l’amante. Egli degno è di te. Pulcheria Né tal lo niego. Or li basti così. Verrà anche un giorno Ch’egli vedrà più certa La mia riconoscenza. Marziano Basta alla mia costanza Anche la sola gloria Di poterti adorar senza speranza. Teodosio Al tempio, Eudossa, al tempio; Né più si differisca il nostro bene. SCENA ULTIMA Varane e detti Varane Varane anche le vostre Pubbliche gioie a coronar sen viene. Teodosio Qual vista? Varane Non ti turbi Cesare il mio ritorno. Per l’acquisto d’Eudossa, Quel forte amor che mi consuma et arde Tutto tentar potea fuor che rapirla; E rapirla già tua. M’ingannò Probo, E col darmi la gemma E col dirmi che, a forza e contro i patti, La ritenevi in tuo poter. La sorte A te rese giustizia, Ma, se mi toglie Eudossa, Non mi tolga il tuo cor la tua amistade. Vagliami questa a risarcire in parte La gran perdita mia. 216 Teodosio Tutto s’oblii. Vuoi l’amistà d’Augusto? Al figlio d’Isdegarde ella si dia. Coro Bel goder quando si gode Con la pace e con l’amor. L’odio ingiusto e l’empia frode Son trofeo dell’innocenza, Son trionfo del valor. FINE Resti delle mura di Bisanzio. 217 ANDREA MARCON Considerato come uno dei principali specialisti ed interpreti della musica antica italiana, Andrea Marcon è nato a Treviso nel 1963. Dopo il diploma in Organo e Clavicembalo proseguiva gli studi a Basilea dove otteneva il diploma in Musica Antica (con Hauptfach organo e cembalo con Jean Claude Zehnder). Alla sua crescita musicale contribuivano inoltre Luigi Ferdinando Tagliavini, Hans van Nieuwkoop, Ton Koopman, Jesper Christensen e Harald Vogel. Andrea Marcon nel 1985 si laureava al Concorso Internazionale di Bruges, nel 1986 vinceva il primo premio al Concorso Organistico “Paul Hofhaimer” di Innsbruck e nel 1991 il primo premio al Concorso Clavicembalistico di Bologna. Svolge un’intensa attività concertistica nei più prestigiosi festival e centri musicali europei in veste di organista, clavicembalista e direttore. Ha registrato inoltre per diverse reti televisive, radiofoniche e case discografiche ottenendo importati riconoscimenti quali il “Premio Internazionale del Disco - Vivaldi per la Musica Antica Italiana” della Fondazione Cini di Venezia, il “Diapason d’Or” francese e per quattro volte il “Preis der Deutschen Schallplatten Kritik”. Nel 1997 ha fondato l’Orchestra Barocca di Venezia con cui ha iniziato un’intensa attività concertistica nelle più prestigiose sale in Europa, Stati Uniti e Giappone (Royal Albert Hall Londra, Konzerthaus Berlino, Concertgebouw Amsterdam, Théâtre du Chatelet Parigi, Konzerthaus Vienna, Tonhalle Zurigo, Kyoi Hall Tokyo, Alice Tully Hall-Lincoln Center New York) dirigendo fra l’altro importanti opere barocche quali L’Orione di Cavalli, Siroe di Händel, L’Olimpiade di Cimarosa, Il trionfo della Poesia e della Musica e La morte di Adone di B. Marcello, Il vespro di Natale di Monteverdi, Andromeda liberata di Vivaldi. Ha inoltre diretto l’orchestra da camera di Ginevra, la W.D.R. di Colonia, l’orchestra sinfonica di Granada e l’orchestra del Teatro dell’Opera di Francoforte (con la produzione dell’Ariodante di Händel nel 2004 e 2005). Nel 1999 ha firmato con l’Orchestra Barocca di Venezia, in collaborazione con il violinista Giuliano Carmignola, un contratto in esclusiva con la casa discografica Sony Classical. I sei CD prodotti, dedicati ad opere sconosciute di Vivaldi, Locatelli, alle Sonate per violino e cembalo obbligato di J.S. Bach, hanno riscosso uno straordinario successo internazionale. Dal 2004 registra in esclusiva per Deutsche Grammophon Gesellschaft. Dedicando parte della sua attività all’insegnamento, Andrea Marcon ha inoltre tenuto seminari e corsi di perfezionamento in tutta Europa e per le Accademie Superiori di Musica di Tolosa, Helsinki, Amburgo, Lubecca, Amsterdam, Malmoe, Karlsruhe, Copenhagen, per il Royal College of Organists di Londra e per le Università di Goteborg e Birmingham. È stato inoltre invitato a far parte della giuria dei concorsi internazionali di Norimberga, Tolosa, Amsterdam/Alkmaar, Bruges, Tokyo, Amburgo (NDR). Dal 1997 è titolare di una cattedra di clavicembalo e organo storico presso l’Accademia di Musica di Basilea (Schola Cantorum Basiliensis) che richiama studenti da tutto il mondo. ORCHESTRA BAROCCA DI VENEZIA Dall’incontro tra Andrea Marcon e l’Accademia di San Rocco è sorto nel 1997 il progetto Orchestra Barocca di Venezia. L’orchestra dispone di musicisti attivi ormai da anni nel campo della musica antica ed è specializzata nell’esecuzione su strumenti originali. Il suo 218 Andrea Marcon. Orchestra Barocca di Venezia. 219 organico può variare, a seconda del repertorio, dalle parti reali fino a raggiungere le dimensioni dell’orchestra classica. Nell’attività dell’orchestra viene dato ampio spazio al repertorio italiano del ’700, in particolare alla scuola veneta, e alla riscoperta del patrimonio operistico barocco. Significative le produzioni di opere inedite quali Orione di Cavalli e Olimpiade di Cimarosa, di un CD dedicato ad A. Marcello, la ricostruzione del Vespro di Natale e del Vespro di Pentecoste di Claudio Monteverdi, l’esecuzione della serenata La morte di Adone e dell’oratorio Il trionfo della Poesia e della Musica di B. Marcello e la prima rappresentazione italiana del Siroe di Händel. Sempre diretta da Andrea Marcon l’Orchestra ha tenuto concerti in tutta Europa, negli Stati Uniti e in Giappone in alcune tra le più prestigiose sedi concertistiche quali la Royal Albert Hall di Londra (Proms), Théâtre du Chatelet di Parigi, Konzerthaus di Berlino, Concertgebouw di Amsterdam, Carnegie Hall di New York, Musikverein di Vienna, Lincoln Center di New York, Kioy Hall di Tokyo, Filarmonica di Varsavia, Opera di Lione, Konzerthaus di Vienna, International Music Festival di Istanbul, Hercules Saal di Monaco di Baviera, Alte Oper di Francoforte, Philharmonie di Colonia, spesso registrati dalle più importanti reti televisive e radiofoniche europee, statunitensi e nipponiche (BBC1-TV, NHK-TV, Raidue, BBC3, ORF, Radio France, RadioTre). Nel 1999 l’Orchestra ha firmato un contratto discografico in esclusiva per l’etichetta Sony Classical: con il violinista Giuliano Carmignola sono stati registrati concerti dall’op. III di Locatelli e tre CD che contengono, oltre alle Quattro Stagioni di Vivaldi, l’incisione in prima mondiale di quindici Concerti per violino dell’autore veneziano. Queste produzioni hanno ottenuto i riconoscimenti più prestigiosi della stampa specializzata (tre Diapason d’Or, Gramophone, Choc de l’Année de le Monde de la Musique 2001, Echo Preis 2002, Diapason d’Or 2003). Con il mezzosoprano austriaco Angelika Kirchschlager è stato inoltre prodotto un CD dedicato a J.S. Bach. Dal 2004 l’Orchestra incide per Deutsche Grammophon e sono già stati pubblicati alcuni CD: Concerti per violino di Vivaldi e Locatelli con il violinista Giuliano Carmignola, 4 Mottetti di Vivaldi con il soprano Simone Kermes, un CD interamente dedicato alle Sinfonie per archi di Vivaldi, e l’incisione in prima mondiale della serenata Andromeda liberata di Vivaldi. Nel 2004 l’Orchestra è stata impegnata nella ripresa del Siroe di Händel in forma di concerto a Parigi, Metz e Amburgo e, in forma scenica e con la regia di Jorge Lavelli, a New York (Brooklyn Academy of Arts). Nel febbraio del 2005 ha effettuato una tournée in Canada e negli Stati Uniti assieme al duo pianistico Katia e Marielle Labèque e ha suonato in Francia, Austria, Germania, Spagna, Stati Uniti e Giappone. L’Orchestra Barocca di Venezia si avvale della collaborazione della Fondazione Cassamarca – Treviso. RUTH ROSIQUE LOPEZ Nata a Barcellona, studia canto al Real Conservatorio Joaquin Rodrigo di Cadice con Pilar Saez. Si perfeziona al Conservatorio di Guadalajara (con Angeles Chamorro e Manuel Burgueras) ed al Conservatorio Superiore di Musica di Valencia con Ana Luisa Chova. Ha iniziato la sua attività partecipando a diversi festival: Arte Sacra di Madrid, il Mozart Festival di La Coruña, La Caixa di Barcelona, San Sebastian e la Escuela Superior di Madrid ed il Festival di Musica Contemporanea di Valencia. Nel 2004 220 Ruth Rosique Lopez. Romina Basso. 221 appare nell’Andromeda liberata di Vivaldi insieme alla Venice Baroque Orchestra sotto la direzione di Andrea Marcon a Boston e New York. Ha interpretato Die Zauberlflöte di Mozart, Moses und Aaron e Pierrot Lunaire di Schönberg, Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi, The Rape of Lucretia di Britten, Il turco in Italia di Rossini e i Requiem di Mozart e di Fauré. ROMINA BASSO Nata a Gorizia, si è diplomata in Canto col massimo dei voti presso il Conservatorio “B. Marcello” di Venezia e laureata con lode in Lettere Moderne - Discipline dello Spettacolo all’Università di Trieste. Perfezionatasi con docenti quali Claudio Strudthoff, Rockwell Blake, Regina Resnick, Biancamaria Casoni, Elio Battaglia, Claudio Desideri, si è specializzata nel repertorio operistico barocco e rossiniano svolgendo altresì un’intensa attività concertistica in duo col pianoforte e quale interprete del repertorio oratoriale. Coltiva l’arte del Lied romantico e della musica vocale da camera; si dedica allo studio del repertorio della propria regione operando a livello musicologico per la salvaguardia e rivalutazione di importanti fondi musicali del Novecento; ha pubblicato il volume Augusto Cesare Seghizzi. Il catalogo delle opere (Gorizia, 2001); è in fase di pubblicazione il catalogo del Fondo Domini-Bauzon (Biblioteca Statale Isontina, Gorizia); ha collaborato all’incisione dei CD Cecilia Seghizzi Campolieti, Musica da Camera; Friedrich Nietzsche, Lieder per la rivista filosofica Civiltà Musicale; Musica in Friuli per l’etichetta Bongiovanni e Sacre meditazioni; ha realizzato il DVD dell’opera Zanetto prodotto da Kikko Classic; è stata registrata dalla RAI, dalla BBC 3, dalla ABC Classic australiana, dalla ORF 1 austriaca. Vincitrice di vari concorsi (Rogger, Toti dal Monte, Placido Domingo’s Operalia e As.Li.Co., Seghizzi, Palma d’Oro, Città di Conegliano e Modena Musica), collabora con prestigiosi ensemble strumentali (Il Quartettone, La Cappella Reyal de Catalunya e Le concert de Nations di Barcellona, Chorus Musicus di Colonia, Concerto Italiano, Cosarara, Ricercar Consort di Bruxelles, The Age of Enlightment Orchestra di Londra, Bayerisches Rundfunk di Monaco) in tournées internazionali. Tra gli impegni più rilevanti: Missa Incoronationis, Vesperae solemnes de confessore e Requiem di Mozart; Gloria, Beatus Vir e Stabat Mater di Vivaldi; Te Deum e Messe de Minuit pour Noël di M.A. Charpentier; Cantate di J.S. Bach; Orfeo e Madrigali guerrieri et amorosi di Monteverdi a Torino; Petite Messe solennelle di Rossini in Spagna diretta da Christoph Spering; Stabat Mater di Pergolesi a Trieste; La vergine dei dolori di A. Scarlatti a Vienna. Diretta, tra gli altri, dai Maestri Peter Maag, Jordi Savall, Rinaldo Alessandrini, Marcello Viotti, Daniele Gatti, Tiziano Severini, Alain Guingal, Wolfgang Bozic, Philippe Pierlot e Vladimir Jurowski, ha cantato nei maggiori teatri di tradizione italiani e in Australia (Melbourne International Arts Festival), Inghilterra (Glyndebourne Festival Opera), Germania (Filarmonie di Monaco), Belgio (La Monnaie) e Giappone (Otsu e Tokyo) ruoli da protagonista in Orfeo, Il Ritorno di Ulisse in Patria, Tancredi, Le Comte Ory, Cenerentola, Italiana in Algeri, Ginevra di Scozia, Die Fledermaus, Die Zigeunerbaron, Barbablù, La Belle Hélène, Les Dialogues des Carmelites, Faust, Rigoletto, Madama Butterfly, Manon Lescaut e Die Zauberflöte. 222 LAURA RIZZETTO Diplomata in pianoforte presso il Conservatorio G. Tartini di Trieste sotto la guida di Maria Puxeddu, inizia lo studio del canto con la madre e in seguito con il soprano Rosetta Crosatti, docente di canto presso il Conservatorio G. Verdi di Milano, diplomandosi a pieni voti nel Luglio 2001. Dal 1999 al 2002 ha partecipato in qualità di giovane artista ai concerti del Festival Internazionale di Musica da Camera di Portogruaro eseguendo svariate partiture del repertorio cameristico e non sotto la direzione di A. Specchi, F. Mondelci, V. Mariozzi, C. Desderi, M. Trombetta e Leone Magiera. Determinante per la formazione artistica è la collaborazione assidua con la prima tromba dell’Opera di Roma Mauro Maur, con il quale partecipa periodicamente ad importanti manifestazioni (nazionali ed internazionali) eseguendo brani tratti da repertori che spaziano dal barocco alle musiche da film di E. Morricone e N. Rota. Dal 2000 è ospite della rassegna “En attendent Rossini” del R.O.F. (Rossini Opera Festival), in occasione della quale ha debuttato nei ruoli di Sesto ne La clemenza di Tito di W.A. Mozart (accompagnata dall’ensemble dell’Arcimboldo – corni di bassetto e fortepiano) e di Rosina ne Il barbiere di Siviglia di Rossini. Recentemente ha debuttato i ruoli di Dorabella in Così fan tutte e Cherubino ne Le nozze di Figaro sotto la direzione di L. Magiera, riscuotendo ottimo consenso di pubblico e critica. Ha al suo attivo numerosi concerti (repertorio sacro) in Italia e all’estero (nella Cattedrale di S. Stefano a Vienna ha tenuto un recital dedicato a Vivaldi, eseguendo lo Stabat Mater e brani tratti dalla Juditha Triumphans). Prossimamente debutterà nel ruolo di Nice nell’opera Eurilla e Alcindo di A. Vivaldi. Dal 2002 studia con S. Lowe. FRANZISKA GOTTWALD Vincitrice del Concorso Internazionale Bach di Lipsia nel 2002, è nata a Marburg. Ha cominciato lo studio del canto a 16 anni con Eugen Rabine ed ha proseguito nei Conservatori di Saarbrücken, Hannover e Weimar. Invitata a cantare ad Hannover e Weimar, dal 1998 al 2002 è diventata parte della compagnia stabile, cantando i ruoli di Hänsel, Cherubino e Frau Reich. È stata ospite dei Teatri di Braunschweig e Bielefeld e ha cantato nel Don Chisciotte della Mancia di Hans Zender alla Komische Oper di Berlino. Dal 2001 Franziska Gottwald ha una solida carriera internazionale ed ha cantato con Ton Koopman e la sua Amsterdam Barique Orchestra. Diretta da Reinhard Goebel ha cantato in Come ti piace di Veracini, nella Messa in si minore di J.S. Bach e nella Arianna a Nasso di Haydn con l’ensemble Musica Antiqua Köln. Si è esibita al Concertgebouw di Amsterdam, a Monaco, Berlino, Atene, Vienna, Napoli, Milano, Bilbao, Parigi e in numerosi festivals internazionali. Diretta da Fabio Luisi ha impersonato Manja ne La Contessina Mariza al Gewandhaus di Lipsia, è stata la Messaggera e la Speranza in Orfeo di Monteverdi diretto da Peter Neumann a La Folle Journée di Nantes ed ha cantato nel Requiem di Verdi nella Cattedrale di Lubiana. Inoltre ha cantato in una versione orchestrata da Umberto Benedetti Michelangeli di Prose liriche di Claude Debussy diretta da Pascal Rophé a Udine e all’inizio del 2004 ha fatto una tournée nel Sud Est asiatico con brani di Brahms e Schumann. È possibile ascoltare Franziska Gottwald in numerose registrazioni e in cd come contralto nelle registrazioni delle Cantate di Bach e nella recentemen- 223 Laura Rizzetto. Franziska Gottwald. 224 Cristina Baggio. Bartolo Musil. 225 te riscoperta Matthäuspassion di C.P.E. Bach diretta da Ton Koopman. Ha inciso anche La passione di Nostro Gesù Cristo di Antonio Salieri diretta da Christoph Spering. CRISTINA BAGGIO Dopo una laurea in Psicopedagogia col massimo dei voti e la lode, si diploma in Canto e in Musica Vocale da Camera con 10 e lode. Segue corsi di perfezionamento in Italia e negli USA (Renata Scotto, Leone Magiera, Lella Cuberli, Ruth Falcon, Bill Schuman). I numerosi concorsi internazionali di cui risulta vincitrice (54° Concorso per giovani Cantanti Lirici d’Europa “As.Li.Co.”, XXXII° Concorso Internazionale “Toti Dal Monte”, XVII° Concorso Internazionale “Iris Adami Corradetti” – Premio Boito, IX° Concorso Internazionale per Cantanti Lirici “Del Monaco”, Concorso Internazionale “Martinelli-Pertile”) la avviano alla carriera professionale. Invitata da teatri italiani ed esteri (San Carlo di Napoli, Fenice di Venezia, Regio di Parma, Teatro dell’Opera di Roma, Teatri di Brescia, Cremona, Reggio Emilia, Filarmonico di Verona, teatro di Philadelphia-USA) debutta in Bohème di Puccini, Nozze di Figaro di Mozart, Orfeo ed Euridice di Gluck, Idomeneo di Mozart, Don Giovanni di Mozart, Principe P. di N. Rota, Faust di Gounod, Bastien und Bastienne di Mozart, Campanello di Donizetti, Matrimonio segreto di Cimarosa, Marin Faliero di Donizetti, Cenerentola di Rossini, Il mondo della luna di Galuppi, Incanto di Natale di Furlani, Serva scaltra di Hasse. Ha collaborato con i direttori J. Tate, G. Noseda, G. Gelmetti, O. Dantone, J. Webb, P. Morandi, M. Guttler, C. Macatsoris e registi come P. Pizzi, D. Abbado, J.L. Marthinoty. Attiva la sua partecipazione anche nel campo della musica sacra e cameristica che l’ha vista collaborare con l’Accademia Filarmonica Romana, il Teatro Rossini di Pesaro, l’Accademia Farnese di Reggio Emilia, la Terza Prattica, l’Orchestra del Regio di Parma, l’Orchestra Nazionale della RAI, la Chamber Orchestra di Philadelphia. BARTOLO MUSIL Ha cominciato la sua carriera di musicista giovanissimo. Ha studiato Composizione all’Università di Vienna, Salisburgo e Detmold e Canto con Walter Berry e Thomas Quasthoff. Contemporaneamente ha seguito lezioni private e masterclasses di Edith Mathis, Cornelia Kallisch, Kurt Widmer, Jessica Cash, Rudolph Piernay e altri. Musil ha ricevuto numerosi premi e borse di studio e recentemente anche il Primo Premio al Concorso Internazionale della Melodia francese di Toulouse. Il repertorio di Bartolo Musil va dal Rinascimento e primo Barocco fino all’opera contemporanea sperimentale. In concerto ha cantato in molte sale importanti come il Musikverein (dove ha eseguito i Madrigali di Monteverdi nella Sala Grande) e la Konzerthaus di Vienna, la Filarmonica di Berlino (Messia e La Creazione di Haydn), l’Holland Belcanto Festival, il Festival di Musica Antica di Innsbruck, e ha tenuto concerti per le Jeunesses Musicales, per il Carinthischer Sommer Festival e alla Stephaniensaal di Graz e nelle Cattedrali di Berlino e Vienna. Nell’opera ha avuto grande successo nell’Orfeo di Monteverdi al Festival Antikenfestspiele Trier e al Festival di Berlino nel ruolo principale dell’opera barocca La fede ne’ tradimenti di Attilio Ariosti, riscoperta di recente. 226 È stato anche invitato dall’Holland Belcanto Festival in ruoli principali di opere di Donizetti, Mozart e Righini e dal Festival di Schwetzingen per il Macbeth di Salvatore Sciarrino (direttore: Achim Freyer), dalla Neue Oper Wien per Le Balcon di Eötvös e per una tournée con la Wiener Akademie e con Martin Haselbock. Ha cantato con la Wiener Klangforum, l’Ensemble Kontrapunkte, l’Orchestra Sinfonica di Mosca, la SWR-Orchester, l’Orpheus, e con registi come Pet Halmen e Achim Freyer. Recital, radio e registrazioni discografiche completano le sue attività. Quest’anno i progetti di Bartolo Musil includono fra l’altro un cd di arie barocche per l’etichetta Dongiovanni e una serie di concerti di Lieder. Oltre alle sue attività di insegnante, direttore di coro e pianista, Bartolo Musil è anche un cabarettista di successo con il suo duo illie&bart. Come compositore ha ricevuto commissioni dal Musikverein e dalla Konzerthaus di Vienna, dal Festival Carinthischer Sommer e dalle Jeunesses Musicales. MARK TUCKER Grande interprete del repertorio classico e barocco, Mark Tucker ha cantato e registrato con molti importanti direttori quali Gardiner, Harnoncourt e Jacobs. Di origine anglo-veneziana e bilingue, nutre un particolare interesse per il repertorio italiano. Mark Tucker. 227 Punti salienti della sua carriera sono stati Orfeo di Monteverdi nel ruolo del titolo alla Queen Elizabeth Hall di Londra con il New London Consort diretto da Philip Pickett con la regia di Jonathan Miller; i Vespri di Monteverdi al Festival di Salisburgo diretti da Nikolaus Harnoncourt e nella Basilica di San Marco a Venezia diretti da John Eliot Gardiner; e la prima mondiale di Vek Moy di Schedrin con Vladimir Ashkenazy al pianoforte e la Kölner Philharmonie. Tucker ha anche recentemente registrato Andromeda liberata di Vivaldi con l’Orchestra Barocca di Venezia diretta da Andrea Marcon per la Deutsche Grammophon. Si segnala inoltre L’Orfeo alla Cité de la Musique di Parigi con il New London Consort; La Creazione di Haydn con l’Orquestra Simfonica de Barcelona diretta da Ernest Martínez Izquierdo; il Messiah di Händel con la New York Philharmonic e il Pulcinella di Stravinskij con la BBC National Orchestra of Wales, entrambi sotto la direzione di Hickox. I suoi impegni operistici recenti lo hanno visto nel ruolo di Hyllos (Hercules) a Postdam; nel ruolo del titolo di Platée a Lisbona, come Eurimaco (Il ritorno di Ulisse in Patria) con la Boston Baroque; Nerone (L’incoronazione di Poppea) per la Opera olandese; Danceny nella prima mondiale di Les Liaisons Dangereuses di Piet Swerts per la Opera delle Fiandre; Gomatz (Zaide) a La Monnaie di Bruxelles e per l’Opera du Rhin; Lysander (Sogno di una notte di mezza estate) a Torino; The Novice (Billy Budd) per il Royal Opera, Covent Garden a Londra; e Marzio (Mitridate) diretto da Christophe Rousset al Théâtre du Chatelet a Parigi. All’estero Mark Tucker ha cantato di Elgar Dream of Gerontius con l’ Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Vladimir Ashkenazy, con cui è stato anche in tournée con la European Union Youth Orchestra con il War Requiem di Britten; la Messa in do di Beethoven con La Fenice di Venezia, direttore Gardiner; il St. Nicolas di Britten con la Zurich Chamber Orchestra (registrato per Claves Records); e la Messa in si minore di Bach con l’Orchestra Sinfonica della Radio Danese e Blomstedt. Tra le cose più importanti in Inghilterra ricordiamo di Britten il Nocturne all’Aldeburgh Music Festival sotto la direzione di Charles Hazlewood; il Faust and Helen di Lili Boulanger con la BBC Philharmonic; A Child of our Time con la BBC Symphony e inoltre recitals alla Purcell Room di Londra e con la London Symphony Orchestra L’enfant et les sortilèges diretto da Andre Previn. La discografia di Mark Tucker comprende Boaz (nella Ruth di Lennox Berkley) con la City of London Sinfonia diretta da Hickox per la Chandos; A Midsummer Night’s Dream diretta da Sir Colin Davis per la Philips e L’incoronazione di Poppea con Gardiner per la DG. 228 229 Mozart ritratto nel 1789 da Dorothea Stock. 230 Giovedì 13 luglio Chiesa di Sant’Agostino ore 21,15 Giuliano Carmignola violinista e direttore Orchestra da Camera di Mantova WOLFGANG AMADEUS MOZART Salisburgo 1756 - Vienna 1791 Concerto in re maggiore K. 211 per violino e orchestra Allegro moderato Andante Rondeau (Allegro) Concerto in si bemolle maggiore K. 207 per violino e orchestra Allegro moderato Adagio Presto *** Concerto in re maggiore K. 218 per violino e orchestra Allegro Andante cantabile Rondeau (Andante grazioso) 231 Venerdì 14 luglio Chiesa di Sant’Agostino ore 21,15 Salvatore Accardo violinista e direttore Orchestra da Camera Italiana WOLFGANG AMADEUS MOZART Salisburgo 1756 - Vienna 1791 Concerto in sol maggiore K. 216 per violino e orchestra Allegro Adagio Rondeau (Allegro, Andante, Allegro) Concertone in do maggiore K. 190 per due violini e orchestra Allegro spiritoso Andantino grazioso Tempo di Menuetto (Vivace) *** Concerto in la maggiore K. 219 per violino e orchestra Allegro aperto Adagio Rondeau (Tempo di Minuetto) 232 Giuliano Carmignola. 233 MOZART VIOLINISTA GIOVANNI CARLI BALLOLA nsolita e singolare, in tanto diluviare di iniziative sollecitate dal 250° anniversario della nascita di Mozart, quella della 63a Settimana Musicale Senese che prevede l’esecuzione integrale dei concerti per violino del grande Celebrato. Se risaputa è la precoce vocazione mozartiana per gli strumenti a tastiera, che porterà il prodigioso clavicembalista degli anni dell’infanzia e il celebrato pianista della maturità a un’attività concertistica durata l’intera esistenza, meno noto è l’impegno del diciannovenne Konzertmeister come violinista-compositore al servizio del principe-arcivescovo di Salisburgo. Un’arte appresa dal padre Leopold, esimio virtuoso e trattatista di uno strumento che nel secondo 700 già godeva di una storia, di una letteratura, di un prestigio risalenti per la massima parte agli italiani – da Corelli a Geminiani, da Vivaldi a Tartini, per non citare che i nomi più insigni, che lo avevano illustrato con le tecniche e le musiche. Brevissima – per l’esattezza, dal 14 aprile al 20 dicembre 1775 – sarà la parabola professionale di Mozart violinista, ma fulgida di capolavori. Essa è preceduta nel 1774 dal Concertone in do maggiore K. 186E, curiosa composizione ove ai due violini solisti si affiancano con importanza di poco inferiore un oboe e un violoncello e che per tale insolito organico è assai raramente eseguita. Provvista di viole divise e resa baldanzosa da una coppia di trombe, l’orchestra dispiega, a partire dall’introduzione fino alle riprese dei “tutti” tra gl’interventi dei “soli”, il suo repertorio di esuberanze mutuate dai maestri della scuola di Mannheim; quanto ai tre protagonisti (giacché il violoncello trova qualcosa da dire soprattutto nel secondo e terzo movimento), il loro dialogo procede tra inflessioni non molto dissimili da quelle notate nei “concertini” delle serenate salisburghesi, e un gioco di simmetriche imitazioni, non del tutto immemore del concerto grosso. Col suo “Andantino grazioso” pieno di lusinghe galanti e con quegli effetti orchestrali sopra menzionati e tanto in voga a Parigi, il Concertone (anche dietro consiglio di papà Leopold) quattro anni dopo prenderà inutilmente la via per la capitale francese tra le carte di Wolfgang Amadè: malinconica aria da baule inutilizzata. L’attività di Mozart come compositore di concerti violinistici propriamente detti ha inizio col Concerto in si bemolle maggiore I 234 Salvatore Accardo. 235 K. 207 e con quello in re maggiore K. 211, ancora debitori di una produzione coeva, quella di Tartini, Pugnani, Borghi, Nardini, cui il concertista-compositore alle prime armi non poteva non rifarsi. Lo schema formale adottato, che comporta quattro interventi dei “tutti”, compresa l’introduzione, intervallati da tre escursioni solistiche, appare assai più rigido e arcaicizzante di quanto non sarà soltanto fra qualche mese; altrettanto si dica di quel ricorrere all’antiquato bassetto dei soli violini (talora affiancati dalle viole) come sostegno dello strumento solista, procedimento che in seguito vedremo gradatamente ridursi, quando non sparire affatto. Ogni ricchezza emotiva sembra rifugiarsi nei movimenti di mezzo, con esiti che se nel K. 207 sentiamo ancora intrisi di un certo languore boccheriniano, nel fervore lirico del movimento centrale del K. 211 già ci trasportano ben al di sopra dei pur nobili modelli seguiti: è la temperie inventiva che domina la successiva, perfetta triade concertistica che conclude la breve ma prodigiosa esperienza di Mozart violinista. Capolavori omologati da strette affinità stilistiche e dal vertiginoso progresso che in essi si verifica all’interno di quel sistema di rapporti tra esposizione orchestrale ed esposizione solistica, in cui consiste la peculiare grandezza del concerto mozartiano nella sua accezione generale: il tutto sotto le apparenze di una disinvolta amabilità mondana che attutisce anche gli spigoli più aspri della sperimentazione. Già nel Concerto in sol maggiore K. 216, datato al 12 settembre, l’introduzione orchestrale del primo tempo si svolge in una plasticità melodica e timbrica (quella gaia fanfara di oboi e corni sul mormorare dei violini) e in una freschezza e aggressività inventiva finora sconosciute e che confluiranno nei futuri concerti per pianoforte, doppiando i fondali della greve prolissità mannheimer. Col suo modesto apparato virtuosistico (un tratto che accomuna tutti i concerti per violino, i quali gradatamente acquistano in essenzialità e profondità espressiva quanto rinunciano in effusiva brillantezza) lo strumento solista qui segue ancora abbastanza fedelmente le proposte dell’orchestra, accettando nel corso dello sviluppo di dialogare col primo oboe e di avventurarsi in un breve, emozionante “recitativo” dal quale, sull’elegante ponte predisposto dagli oboi, planare nell’“aria” virtuale della ripresa. Questa coniugazione in termini drammatici della comunicazione espressiva tocca il culmine nella meravigliosa “cavatina” dell’“Adagio”, dove (come già in parecchi movimenti lenti delle precedenti sinfonie) la coppia degli oboi viene sostituita da quella dei flauti e dove, con un emozionante coup de théâtre, l’accompagnamento in terzine interviene dopo che la prima semifrase della melodia ha spiccato il volo nel silenzio di tutta l’orchestra. Il gusto, tutto francese, per la sorpresa, 236 237 Il frontespizio del metodo per violino di Leopold Mozart. 238 mutuato dalle musiche d’intrattenimento, si riaffaccia nei finali di tutti e tre i concerti: nel K. 216, in un galeotto tempo di gavotta in sol minore con tanto di “alternativo” in maggiore destinato a sfociare nell’ultimo ritornello della sezione principale in tempo ternario. Definitivo ed eclatante colpo di scena, anch’esso comune ai tre concerti, il congedo in sordina, sul filo della sommessa clausola dei fiati. La struttura concisa e lo slancio appassionato del K. 216 si stemperano alquanto nel Concerto in re maggiore K. 218 (14 giugno) in quella che potremmo definire come idealizzazione della galanteria internazionale, sublimazione e insieme personalizzazione profonda di materiali tematici e moduli espressivi d’uso corrente. La sensibilità timbrica del diciannovenne Konzertmeister rifulge quasi ad ogni battuta, suscitando dal consueto, modesto apparato orchestrale e dalle limitate evoluzioni dello strumento solista effetti sconosciuti alla musica europea dello stesso genere. Nella riesposizione solistica del primo movimento, il secondo episodio sonatistico viene introdotto dal violino sostenuto dapprima dalla viole, poi dai violini primi e sempre all’ottava inferiore. Tale procedimento, tendente a non separare mai lo strumento solista dal sensuale amplesso dei colori orchestrali, raggiunge l’acme nell’“Andante cantabile”: la ripresa del motivo avviene sul brunito registro grave del solista che s’insinua in rapporto rispettivo di ottava inferiore e di terza superiore tra violini “primi” e “secondi” dell’orchestra, ottenendo uno stupefacente effetto timbrico di pura lega brahmsiana. Anche i francesismi si accentuano, nel “Rondeau”, con il civettuolo pedale sulla quarta corda della musette che vi fa da intermezzo, mentre il dialogo tra “solo” e orchestra, anche in virtù dell’anticipazione di un passo dell’aria di Despina “Una donna a quindici anni” da Così fan tutte, assume l’arguzia e la prontezza di lingua della grande opera buffa. Il Concerto in la maggiore K. 219, del 20 dicembre, conclude la triade dei capolavori con la più audace esplorazione strutturale finora mai realizzata circa i rapporti tra solista e orchestra, tale da costituire il precedente più determinante per la definizione strutturale dei grandi concerti per pianoforte degli anni a venire. Non altro che una notevole trovata di gusto teatrale era, nel primo tempo del K. 216, il summenzionato recitativo che portava alla ripresa del violino. Nel primo tempo del K. 219, “Allegro aperto”, dopo la regolamentare esposizione dei “tutti”, l’“Adagio” che introduce il solista sulla fascia serpeggiante di biscrome dei violini offre materiali tematici affatto diversi da quelli appena proposti dell’esposizione orchestrale, con i quali ingegnosamente quanto spontaneamente si integrano per semplice sovrapposizione, quasi fossero germogliati 239 – come in effetti sono – da un’organica idea generatrice. Si tratta, in sostanza, dello stesso procedimento “a doppio binario” che Beethoven adotterà nel Finale della Sinfonia “Eroica” sovrapponendo un nuovo motivo a quello precedente investito, per ciò stesso, delle funzioni di basso. Per questo concerto Mozart dovette comporre un secondo “Adagio” (K. 261), in sostituzione di quello originario che il violinista di Corte Antonio Brunetti, al dire di Leopold, aveva trovato “troppo studiato”, garbato eufemismo che sta per troppo complicato e artificioso. Comprensibile la reazione del buon Brunetti, aduso alla produzione violinistica di tipo corrente, di fronte a una pagina che col suo grandioso arco melodico, procedente in modo accidentato tra diminuzioni e sincopi, e l’allucinata sezione mediana intensamente modulante e culminante in un raro, splendidissimo sol diesis minore, sembrava fatta apposta per turbare coscienze tranquille. Nel movimento conclusivo, la tonalità di la nel modo minore induce Mozart a scatenamenti demoniaci qui mimetizzati, come poi nel finale della celebre sonata pianistica, da incursioni nell’esotismo turchesco. Questa volta saranno alcuni frammenti provenienti dal balletto Le gelosie del serraglio K. 135a, composto a Milano nel 1772 per l’opera seria Lucio Silla e del quale non ci rimangono che cospicui abbozzi, a venire riutilizzati come intermezzo “caratteristico” incuneato a metà di un Rondeau in Tempo di Minuetto, a contrastarne l’amabile politesse. 240 Mozart bambino a Parigi ritratto col padre e la sorella da Carmontelle. 241 GIULIANO CARMIGNOLA La carriera di Giuliano Carmignola, dedicata in parti eguali al violino barocco e a quello moderno, è incominciata con la vittoria ai Premi Città di Vittorio Veneto nel 1971 e al Concorso Paganini a Genova nel 1973. Da allora ha suonato con tutte le più importanti Orchestre europee e con direttori quali Claudio Abbado, Gianandrea Gavazzeni, Eliahu Inbal, Peter Maag e Giuseppe Sinopoli. Ha suonato molto come solista dei Virtuosi di Roma, tra l’altro a Londra alla Royal Albert Hall, alla Scala a Milano, al Musikverein a Vienna, alla Filarmonica di Berlino, alla Sala Čajkovskij di Mosca. Ha suonato la prima esecuzione italiana del Concerto di Dutilleux ed ha un repertorio molto vasto che comprende opere del periodo classico e romantico, ma anche opere barocche e del ventesimo secolo. Dopo aver pubblicato numerosi CD per la Sony Classical, dal 2003 incide in esclusiva per la Deutsche Grammophon. Nato a Treviso, Giuliano Carmignola ha cominciato gli studi musicali con il padre e si è diplomato al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, dove ha studiato con Luigi Ferro. Ha seguito corsi di specializzazione con Nathan Milstein e Franco Gulli all’Accademia Chigiana di Siena e con Henryk Szeryng al Conservatorio di Ginevra. Ha insegnato per dieci anni al Conservatorio di Venezia ed è stato primo violino dell’Orchestra del Teatro La Fenice dal 1978 al 1985. Attualmente insegna alla Musikhochschule di Zurigo. Prende regolarmente parte ai Festival di Musica Barocca in tutta Europa, e in particolare a Bruges, Lucerna, Vienna, Bruxelles, Salisburgo e Barcellona. È anche apprezzato interprete di numerosi recitals in collaborazione con i pianisti Bruno Canino,Yasuyo Yano, Andrea Lucchesini, con il violoncellista Mario Brunello, con i violisti Bruno Giuranna e Danilo Rossi. Per il repertorio barocco suona un intatto violino italiano del diciassettesimo secolo, mentre per il repertorio di epoca successiva usa un violino Pietro Guarneri del 1733. Dal 2000 tiene uno dei Corsi di Violino dell’Accademia Musicale Chigiana. SALVATORE ACCARDO Esordisce all’età di tredici anni eseguendo in pubblico i Capricci di Paganini. A quindici anni vince il primo premio al Concorso di Ginevra e, due anni dopo, nel 1958 è primo vincitore del Concorso Paganini di Genova. Il suo vastissimo repertorio spazia dalla musica barocca a quella contemporanea. Compositori quali Sciarrino, Donatoni, Piston, Piazzolla, Xenakis gli hanno dedicato loro opere. Suona regolarmente con le maggiori Orchestre e i più importanti Direttori, affiancando all’attività di solista quella di direttore d’orchestra. In questa veste ha lavorato con le più importanti Orchestre europee ed americane; ha inoltre effettuato delle incisioni con la Philharmonia di Londra. La passione per la musica da camera e l’interesse per i giovani lo hanno portato alla creazione del Quartetto Accardo nel ’92 e alla istituzione dei Corsi di perfezionamento per strumenti ad arco della Fondazione Walter Stauffer di Cremona nel 1986 insieme a Giuranna, Filippini e Petracchi. Nel 1971 ha dato vita al Festival “Le Settimane Musicali Internazionali” di Napoli e a quello di Cremona. Nel 1987 ha debuttato con grande successo come direttore d’opera nella nuova produzione de L’occasione fa il ladro di Rossini per il Rossini Opera Festival di Pesaro con la regia di Ponnelle. Nel corso degli ultimi anni ha diretto all’Opera di Roma, a Montecarlo e a Lille Il Flaminio di Pergolesi con la regia di De Simone e una nuova produzione di Così fan 242 tutte alle Settimane Musicali Internazionali di Napoli con la regia di Giacomo Battiato. Nel 1992, in occasione dei 200 anni della nascita di Rossini, ha diretto a Pesaro e a Roma la prima moderna della Messa di Gloria nella revisione critica curata dalla Fondazione Rossini di Pesaro, incisa dal vivo dalla Ricordi/Fonit Cetra, riproposta nel 1995 a Vienna con i Wiener Symphoniker. Oltre alle incisioni dei Capricci e dei Concerti per violino di Paganini per la DGG e alle numerose registrazioni per la Philips, Accardo ha inciso per ASV, Dynamic, EMI, Sony Classical, Collins Classic e Fonè. Ha ricevuto numerosi premi fra cui il Premio Abbiati della critica italiana; nel 1982 il Presidente della Repubblica Pertini lo ha nominato Cavaliere di Gran Croce. Inoltre, in occasione della tournée effettuata in Estremo Oriente nel novembre 1996, il Conservatorio di Pechino lo ha nominato “Most Honorable Professor”. Alla fine del ’96 ha ridato vita all’Orchestra da Camera Italiana, formata dai migliori allievi dei corsi di perfezionamento dell’Accademia Walter Stauffer di Cremona. Nel 2001 gli è stato conferito il premio “Una vita per la Musica”. Salvatore Accardo è ben conosciuto a Siena dove si è esibito numerose volte e dove ha tenuto e tiene la cattedra di violino presso l’Accademia Musicale Chigiana (della quale peraltro fu allievo) dal 1973 al 1980 e di nuovo a partire dal 2003. Possiede due violini Stradivari, lo Hart ex Francescatti 1727 e l’Uccello di Fuoco ex Saint-Exupéry 1718. ORCHESTRA DA CAMERA DI MANTOVA Dal debutto, avvenuto nel 1981 nella splendida cornice del Teatro Bibiena di Mantova, un gioiello di architettura e luogo ideale per la musica cameristica, l’Orchestra da Camera di Mantova si è imposta all’attenzione generale per quelle che ancora oggi sono le sue qualificanti caratteristiche: brillantezza tecnica, assidua ricerca della qualità sonora, particolare sensibilità ai problemi stilistici. Nel corso dell’ormai ventennale vita artistica, l’Orchestra da Camera di Mantova ha collaborato con direttori e solisti di fama internazionale (Salvatore Accardo, Gidon Kremer, Shlomo Mintz, Mischa Maisky, Giuliano Carmignola, Bruno Canino, Uto Ughi, Michele Campanella, Katia e Marielle Labèque, Maria Tipo, Alexander Lonquich, Mario Brunello, Andrea Lucchesini, gli indimenticabili Severino Gazzelloni e Astor Piazzola, tra gli altri), svolgendo un’attività che l’ha vista protagonista di innumerevoli concerti in Italia e all’estero. Negli ultimi anni, l’Orchestra da Camera di Mantova si è esibita nei teatri e nelle sale da concerto di molti paesi europei, di Usa, Messico, Sudamerica e Asia. Nel 1996 ha effettuato una tournée in Nord Europa unitamente al violinista Uto Ughi su invito della Farnesina, per rappresentare l’Italia nelle manifestazioni culturali che si sono svolte in occasione del semestre di presidenza Italiana al Consiglio d’Europa. Tra il 2002 e il 2004 l’Orchestra con il suo direttore principale, Umberto Benedetti Michelangeli, e affiancata da alcuni tra i più rinomati solisti italiani, ha dato vita al “Progetto Beethoven”, rivisitazione dell’integrale dei capolavori orchestrali del genio di Bonn. La lettura innovativa, che trae spunto dalle più recenti e avvertite acquisizioni storico-critiche, e la rinnovata espressività che ne scaturisce sono valse all’intero progetto l’accoglienza più calda e convinta da parte di pubblico e critica. Nella stagione 2003/2004 l’orchestra ha intrapreso un nuovo progetto dedicato ai Concerti per pianoforte di Mozart, con il pianista Alexander Lon- 243 L’Orchestra da Camera di Mantova. L’Orchestra da Camera Italiana. 244 quich nella veste di direttore e solista. Il ciclo mozartiano ha debuttato nel maggio 2004 al Parco della Musica di Roma e, dalla stagione 2004/2005, viene proposto nell’ambito di vari cartelloni concertistici italiani. Dal 2004, inoltre, ha preso avvio un ciclo incentrato sulla produzione sacra di Mozart, che vede l’Orchestra da Camera di Mantova impegnata, sino al 2007, nell’Abbazia di Chiaravalle a Milano e in diverse altre città italiane. L’Orchestra da Camera di Mantova è una delle poche orchestre italiane che si presenta spesso in pubblico senza direttore; in questi casi Carlo Fabiano, direttore artistico del complesso, svolge insieme i ruoli di primo violino e maestro concertatore, ripristinando la settecentesca figura del Konzertmeister. L’Orchestra ha effettuato registrazioni televisive e radiofoniche per la RAI, la Bayrischer Rundfunk e la Rsti. Da oltre dieci anni a questa parte, è impegnata nel rilancio delle attività musicali nella propria città, dove realizza una stagione concertistica, “Tempo d’Orchestra”, che ospita regolarmente i principali solisti della scena internazionale, prestigiosi gruppi cameristici, importanti orchestre italiane ed estere. All’Orchestra da Camera di Mantova - nelle figure di Carlo Fabiano, suo fondatore, direttore artistico e primo violino, e di Umberto Benedetti Michelangeli, suo direttore principale - è stato assegnato nel 1997, dalla critica musicale italiana, il Premio “Franco Abbiati”, “per la sensibilità stilistica e la metodica ricerca sulla sonorità che ripropone un momento di incontro esecutivo alto tra tradizione strumentale italiana e repertorio classico”. ORCHESTRA DA CAMERA ITALIANA (O.C.I.) Nata ufficialmente nel novembre 1996, è il risultato di un progetto maturato da Salvatore Accardo nei lunghi anni di esperienza didattica all’Accademia Stauffer di Cremona. Accardo a Cremona insegna insieme agli amici e colleghi Bruno Giuranna, Rocco Filippini e Franco Petracchi che con lui hanno fondato questa Accademia, proprio nella patria dei grandi liutai, per offrire la possibilità di perfezionarsi ai giovani strumentisti ad arco che escono dai Conservatori italiani, nei quali spesso le loro qualità non hanno trovato un adeguato sviluppo. Nel’97 l’O.C.I. ha effettuato la sua prima tournée di concerti durata un mese, che l’ha vista presente nelle più prestigiose istituzioni musicali italiane ed estere, ed ha tenuto il concerto nell’Aula del Senato per celebrare il 50° Anniversario della firma della Costituzione Italiana. Nel 1998 la Banca Popolare di Milano diventa il Partner Ufficiale dell’Orchestra. Accanto agli sponsor ufficiali, operano gli “Amici dell’O.C.I.” che, fin dalla nascita dell’Orchestra, hanno dato il loro generoso contributo sia economico sia operoso. Gli “Amici dell’O.C.I.” continuano anno dopo anno a confermare la loro fiducia e il loro indispensabile sostegno, incrementandosi nel numero. Ad oggi ammontano a più di cento. Sempre nel ’98 l’O.C.I. ha fatto il suo debutto in Germania nell’ambito del Festival dello Schleswig-Holstein riscuotendo un enorme successo, ha effettuato due tournées con concerti anche in Spagna e Portogallo e nel mese di dicembre ha ripetuto l’importante appuntamento del Concerto nell’Aula del Senato. Nel ’99 è stata effettuata la prima tournée in America del Sud (Argentina, Brasile, Cile, Uruguay) in occasione della quale l’Associazione dei Critici Musicali dell’Argentina ha conferito all’Orchestra da Camera Italiana il Premio come “Migliore Complesso da Camera Straniero” del 1999. Nello stesso anno ha realizzato una lunga tournée in Oriente, che ha toccato le principali capitali asiatiche (Pechino, Shanghai, Tokyo, Hong Kong, 245 Taegu, Hanoi), ed ha quindi ripetuto l’appuntamento in Senato con il Concerto che quest’anno è stato dedicato a Carlo Maria Giulini. Nel 2000, oltre a una lunga tournée in Italia, l’O.C.I. ha suonato per la prima volta a Parigi presso il Teatro dei Champs-Elysées, riscuotendo un enorme successo ed ha quindi debuttato a New York, al Lincoln Center, presso la Avery Fisher Hall nella serie “Great Performers”. Anche per l’anno 2000 il Senato della Repubblica ha ripetuto l’invito ad effettuare il “Concerto di Natale”. Nel 2001 l’O.C.I ha effettuato una tournée in Germania, ha partecipato ai festival di Ankara e di Tirana, ed ha tenuto un concerto di beneficenza a Genova per la Comunità di Sant’Egidio. L’O.C.I. ha già all’attivo due CD per la Warner Fonit “Il violino virtuoso in Italia” e “Capolavori per violino e archi” e l’Integrale dei Concerti per violino e orchestra di Paganini per la Emi Classics. Due importanti progetti sono stati realizzati con Foné: la registrazione del Concerto per la Costituzione - che in particolare contiene l’Inno nazionale italiano per violino e archi di Tamponi - e l’incisione dell’integrale delle opere per violino di Astor Piazzolla con la revisione violinistica di Salvatore Accardo e Francesco Fiore, in tre sacd. Il repertorio dell’O.C.I. spazia da Bach ai contemporanei, cui si prevede di commissionare ogni anno un’opera. 246 Orchestra da Camera di Mantova Violini primi Carlo Fabiano Filippo Lama Luca Braga Cesare Carretta Roberto Righetti Judith Huber Giacomo Invernizzi Violini secondi Pierantonio Cazzulani Eugjen Gargjola Chiara Spagnolo Giacomo Tesini Lucio Casti Tania Mazzetti Viole Monica Vatrini Klaus Manfrini Maria Antonietta Micheli Luca Manfredi Violoncelli Stefano Guarino Andrea Pecelli Livia Rotondi Francesco Ciech Contrabbassi Paolo Borsarelli Massimiliano Rizzoli Oboi Massimiliano Salmi Roberto Grossi Corni Andrea Leasi Dimer Maccaferri 247 Orchestra da Camera Italiana Violini primi Laura Gorna Aldo Matassa Roberto Noferini Francesco Peverini Francesco Tagliavini Fatlinda Thaci Contrabbassi Ermanno Calzolari Vincenzo Loconte Violini secondi Carlo Bettarini Lisa Mae Green Andrea Gregorio Mascetti Martina Molin Daniela Godio Lucia Ronchini Oboi Katia Curcio Andrea Gallo Viole Claudio Andriani Margherita Fina Sara Silvestri Alfredo Zamarra Trombe Nello Salza Matteo Battistoni Violoncelli Claudio Argentino Pasceri Carlo Pezzati Cecilia Radic Marcella Schiavelli Flauti Maria Grieco Carlo Enrico Macalli Corni Stefano Aprile Alessio Bernardi Ispettore d’Orchestra Eugenio Falanga Mozart al fortepiano in un’incisione ottocentesca. 248 249 Gianluigi Gelmetti. 250 Sabato 15 luglio Cattedrale ore 21,15 Gianluigi Gelmetti direttore Anna Rita Taliento soprano Laura Polverelli mezzosoprano Juan Francisco Gatell tenore Alessandro Guerzoni basso Orchestra della Toscana Coro da Camera di Praga Pavel Vanek maestro del coro Concerto offerto alla cittadinanza dalla Banca Monte dei Paschi di Siena 251 WOLFGANG AMADEUS MOZART Salisburgo 1756 - Vienna 1791 Requiem in re min. K. 626 per soli, coro e orchestra Requiem e Kyrie (Soprano e coro) Dies irae (Coro) Tuba mirum (Quartetto dei soli) Rex tremendae (Coro) Recordare (Quartetto dei soli) Confutatis (Coro) Lachrymosa (Coro) Domine Jesu (Quartetto dei soli e coro) Hostias e Quam olim (Coro) Sanctus e Osanna (Coro) Benedictus e Osanna (Quartetto dei soli) Agnus Dei, Lux aeterna e Cum Sanctis tuis (Soprano e coro) 252 Mozart in un ritratto di Barbara Krafft. 253 IL REQUIEM DI MOZART GIOVANNI CARLI BALLOLA rattare dell’incompiuto Requiem in re minore equivale ad inoltrarsi nella foresta che il mito ha da tempo fatto sorgere attorno a questa sorta di Santo Graal della religio mozartiana, avvolto dalle nebbie in cui il suo fascino di opera ultima, per di più falciata a mezzo e ricomposta da mani anche troppo devote, ha contribuito a circonfonderlo in un’aura fatalmente “romantica”. Sfrondati dal superfluo e dal romanzesco, gli avvenimenti relativi a tale opera sono assai semplici. Nel luglio del 1791 il commissionario di un certo conte Franz von Walsegg zu Stuppach, un nobile di provincia e buon dilettante di musica, si presentò a Mozart per sollecitargli l’adempimento di una committenza risalente con ogni probabilità all’aprile precedente, e rimasta sepolta sotto l’accavallarsi della composizione della Zauberflöte e della Clemenza di Tito. Si trattava di una messa di Requiem per la quale al compositore era lasciata ampia discrezionalità di scelte artistiche (s’intende, nella misura in cui essa fosse attuabile nell’ambito rigoroso e tradizionalistico del genere sacro), con la sola condizione che egli desistesse dal ricercare l’identità del committente. L’interesse, anzi, l’entusiasmo (sul quale tutte le fonti biografiche concordano) scaturito da una committenza che rappresentava per Mozart un inedito cimento creativo, collimava con quella congiuntura di circostanze che in quei mesi estremi della sua esistenza terrena lo rendeva nuovamente attratto dal genere chiesastico. Sappiamo infatti che la sua domanda per succedere all’anziano e infermo Leopold Hofmann come Kapellmeister di Santo Stefano aveva proprio in quei giorni avuto esito positivo; di conseguenza, un nuovo Mozart sacro sarebbe virtualmente potuto sorgere all’orizzonte della civiltà musicale viennese. Non è da escludere che il Maestro abbia potuto stendere le prime battute della Messa fin da quella seconda metà del luglio, frammezzo alla composizione del Tito. Il grosso del lavoro, un centinaio di pagine di partitura abbozzata in particella (ossia, con le parti vocali e quella del basso al completo, e con il rimanente accennato nei punti fondamentali) venne comunque svolto tra la seconda decade di ottobre e la fine di novembre, quando il musici- T 254 sta cadde mortalmente ammalato. Che cosa era rimasto sul suo tavolo di lavoro, quando Mozart spirò, 55 minuti dopo la mezzanotte del 5 dicembre 1791? L’Ordinarium e il Proprium della Missa pro defunctis constano, nell’ordine, di un Introitus “Requiem aeternam”, del Kyrie, di un Graduale e di un Tractus (che Mozart decise di non musicare) della Sequentia “Dies irae”, dell’Offertorium “Domine Jesu Christe”, del Sanctus-Benedictus, dell’Agnus Dei e della Communio “Lux aeterna”. La partitura, s’è detto, assommava a 99 pagine di musica, di cui soltanto quella dell’Introitus nello stato di assoluta completezza. Il Kyrie, e la Sequentia (interrotta all’ottava battuta del “Lacrimosa”) e l’Offertorium si presentavano come particelle, non differendo, in questo, dalla prassi consueta seguita da Mozart e da altri compositori coevi nella prima stesura delle loro opere vocali e strumentali. Del tutto mancanti Sanctus, Agnus e Communio. Ebbe inizio a questo punto, coordinata dalla vedova Constanze, l’operazione intesa a far credere al committente che il Requiem in realtà fosse stato già composto fino all’ultima battuta. In tal modo ella avrebbe potuto riscuotere il resto dell’onorario pattuito, ciò che effettivamente avvenne alla consegna di un manoscritto completato e integrato da mani altrui. Erano quelle di tre giovani musicisti dell’entourage mozartiano: Joseph Eybler, Franz Jakob Freystädtler e Franz Xaver Süssmayr, il quale si fece carico del grosso del lavoro, componendo in proprio la conclusione del “Lacrimosa”, il Sanctus e l’Agnus Dei (forse su appunti di Mozart, come sosterrà Constanze in termini ipotetici). Grazie a questi valenti artigiani, che in piena consapevolezza accettarono di annullare il proprio talento per mantenere in vita la fiamma periclitante del genio, l’opus summum viri summi, come si compiacerà di chiamarlo Johann Adam Hiller, entrerà nella storia, contendendo al Don Giovanni il primato nell’affabulazione mitica che presto circonfonderà due momenti capitali dell’esperienza artistica del musicista. In tale veste, destinata a passare nella tradizione esecutiva (prima che in tempi recenti subentrassero con varia fortuna altri tentativi di ricostruzione più o meno filologica del testo), il Requiem verrà eseguito nella cantoria dell’abbazia di Wiener Neustadt il 14 dicembre 1793, giorno anniversario della scomparsa della contessa Walsegg, alla cui memoria l’opera era destinata. Dirigeva il conte committente, che, come era solito fare, anche in quella occasione avrà cercato di spacciare la musica come farina del proprio sacco. Ma questa esecuzione privata in realtà era stata 255 Piero Vannucci detto il Perugino: Crocifissione. (Siena, Chiesa di Sant’Agostino) 256 preceduta a Vienna, Monaco e Praga da altre pubbliche, promosse dal barone van Swieten; e il mito del Requiem mozartiano volava già alto nei cieli dell’imminente Romantik, fomentato dal coacervo dei particolari biografici romanzeschi e patetici che presto gli si avvilupperanno attorno come edera sulle muraglie di una grande e misteriosa rovina. Rispetto alla Messa di Gloria, con le sue preponderanti esposizioni dogmatiche e dossologiche, quella di Requiem, con il suo insistente richiamo a una pietas che è innata ai primordi stessi di un’umanità emancipata dalla condizione brutale e che si esprime nelle potenti immagini della Sequentia e dell’Offertorium, ha offerto agli artisti che l’hanno avvicinata nel tempo uno scenario incomparabilmente più umanizzato e drammatizzato. Non è casuale che tutti i maggiori compositori di Requiem - da Mozart a Verdi, attraverso Cherubini e Berlioz - siano stati sommi drammaturghi e/o affrescatori sonori. Il rapporto tra Dio e l’uomo vi è necessariamente inteso dalla terra al cielo, in una tensione dialettica non di rado attraversata da convulsi trasalimenti soggettivi: ciò che spiega come la Missa pro defunctis abbia trovato nell’età aperta da Mozart e conclusa da Verdi la sua piena estrinsecazione storica e il suo culmine come espressione musicale. I presupposti stilistici della Messa mozartiana (o, per meglio dire, di quanto di essa ci rimane in termini testuali di indiscussa autenticità) non vanno ricercati esclusivamente nel passato dell’esperienza chiesastica del musicista. L’origine dello spettrale “coro di morti”, costituito dalle coppie dei corni di bassetto e dei fagotti, che apre e caratterizza l’Introito (come s’è detto, la sola parte della Messa interamente compiuta dall’autore) è infatti da individuare altrove. In quelle “armonie” del cerimoniale massonico, precedentemente gratificate da Mozart in pagine insigni; ma anche nell’apparato di fiati che in misura sempre maggiore e in termini di inventiva timbrica sempre più penetrante abbiamo visto prendere parte alla dinamica discorsiva dei grandi concerti per pianoforte e orchestra. Se, fino alla ventesima misura, era il musicista moderno a porsi in primo piano mediante un repertorio di stilemi culminante con la declamazione drammatica di cui, dopo l’esordio contrappuntistico, il coro perviene nell’”Et lux perpetua luceat eis”; nel successivo “Te decet hymnus” egli si mimetizza tra i densi velami della Storia e della Tradizione. Gli soccorrono Bach, affiorante nel disegno dei primi violini e del primo fagotto (poi ripreso per moto contrario dai secondi), e la monodia tropica del salmo “In exitu 257 Israël de Aegypto” nel tonus peregrinus, utilizzata come cantus firmus sulle parole “Te decet hymnus in Sion et tibi reddetur votum in Jerusalem”, contro il contrappunto florido degli strumenti. Alla poliedricità dell’Introitus, vero e prezioso manifesto, nella sua unicità, del nuovo linguaggio sacro mozartiano, si oppone con studiato contrasto la compatta omogeneità del “Kyrie”: una doppia fuga corale basata anch’essa su materiali tematici radicati nell’anonimato grandioso di una tradizione secolare. La Sequentia risulta suddivisa in sei episodi fortemente caratterizzati e contrastanti: qui, come anche nelle parti restanti del Requiem che Mozart chiaramente ideò ma non poté ultimare, ecumenismo stilistico e individualismo drammatico entrano in quello stesso contrasto dialettico accolto e sublimato dal Beethoven della Missa Solemnis e della Nona Sinfonia. Autografo dell’ultima pagina dell’Hostias. 258 REQUIEM Introitus Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi redetur votum in Jerusalem Exaudi Orationem meam. Ad te omnis caro veniat. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Kyrie Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison. Sequentia Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla, teste David cum Sibylla. Quantus tremor est futurus, quando judex est venturus cuncta stricte discussurus. Tuba mirum spargens sonum per sepulchra regionum coget omnes ante tronum. Mors stupebit et natura, cum resurget creatura judicanti responsura. Liber scriptus proferetur in quo totum continetur, unde mundus judicetur. Judex ergo cum sedebit quidquid latet apparebit, nil inultum remanebit. Quid sum miser tunc dicturus, quem patronum rogaturus cum vix justus sit sicurus? Rex tremendae majestatis qui salvandos salvas gratis 259 REQUIEM L’eterno riposo dona loro, Signore, E splenda ad essi la luce perpetua. In Sion, Signore, ti si addice la lode, In Gerusalemme a te si compia il voto. Ascolta la mia preghiera, Poiché giunge a te ogni vivente. L’eterno riposo dona loro, Signore, E splenda ad essi la luce perpetua. Signore, pietà. Cristo, pietà. Signore, pietà Giorno d’ira sarà quel giorno, Quando il mondo diventerà cenere, Come annunziarono Davide e la Sibilla. Quale spavento ci sarà all’apparire Del Giudice, che su tutto Farà un esame severo! L’alto squillo di tromba passerà ovunque Sulle tombe e raccoglierà Tutti dinanzi al trono. Natura e morte, con stupore, Vedranno gli uomini risorgere Per rendere conto al Giudice. Allora sarà aperto il libro Sul quale tutto è segnato, Per il giudizio del mondo. Davanti al Giudice, assiso in trono, Apparirà ogni segreto, Niente rimarrà impunito. Nella mia miseria, che dirò? Che avvocato inviterò, Se il giusto è appena sicuro? O Re di terribile maestà, Che salvi chi vuoi, per tuo dono: 260 salva me, fons pietatis Recordare, Jesu pie, quod sum causa tuae vitae, ne me perdas illa die. Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus; tantus labor non sit cassus. Juste judex ultionis, donum fac remissionis ante diem rationis. Ingemisco tamquam reus, culpa rebet vultus meus, supplicanti parce, Deus. Qui Mariam abolvisti at latronem exaudisti, mihi quoque spem dedisti. Preces meae non sunt dignae, sed tu bonus fac benigne, ne perenni cremer igne. Inter oves locum praesta et ab hoedis me sequestra, statuens in parte dextra. Confutatis maledictis, flammis acribus addictis, voca me cum benedictis. Oro supplex et acclinis, cor contritum quasi cinis, gere curam mei finis. Lachrymosa dies illa qua resurget ex favilla judicandus homo reus; huic ergo parce Deus. Pie Jesu, Domine, dona eis requiem. Offertorium Domine Jesu Christe, rex gloriae, Libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni et de profundo lacu. Libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas tartarus, 261 Salvami, o sorgente d’amore! O Gesù amoroso, ricorda che per me Tu sei venuto, Non lasciarmi perire in quel giorno. Per cercarmi ti sei affaticato; Per salvarmi hai sofferto la croce; Non sia inutile tale sofferenza! O Giudice, giusto per punire, Concedimi il perdono Prima del giorno del giudizio. Come un colpevole, io tremo, E il rossore è sul mio volto: O Dio, perdona chi ti supplica! Tu, che hai perdonato Maria Ed esaudito il ladrone, A me pure hai dato speranza. Le mie suppliche non sono degne: Ma tu, buono, concedi benigno Che io non bruci nel fuoco eterno. Mettimi fra gli agnelli, E, separandomi dai capri, Ponimi alla tua destra. Mentre saranno confusi i maledetti E condannati al fuoco divorante, Tu chiamami insieme ai benedetti. Ti supplico umilmente prostrato, Con il cuore spezzato, come polvere, Prendi a cuore il mio destino. Giorno di pianto sarà quel giorno, Quando dalle ceneri risorgerà Il peccatore per ascoltare la sentenza. O Dio, concedigli il perdono! O pietoso Signore Gesù, dona loro il riposo. Signore Gesù Cristo, Re della gloria! Libera tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno e dell’abisso. Salvali dalla bocca del leone; che non li afferri l’inferno 262 ne cadant in obscurum; sed signifer sanctus Michael representet eas in lucem sanctam, quam olim Abrahae promisisti et semini ejus. Hostias et preces tibi, Domine, laudis offerimus, tu suscipe pro animabus illis, quarum hodie memoriam facimus: fac eas, Domine, de morte transire ad vitam, quam olim Abrahae promisisti et semini ejus. Sanctus et Benedictus Sanctus, sanctus, sanctus, Dominus Deus Sabaoth, pleni sunt coeli et terra gloria Tua, hosanna in excelsis. Benedictus qui venit in nomine Domine, hosanna in excelsis. Agnus Dei Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem sempiternam. Lux aeterna Lux aeterna luceat eis, Domine, cum sanctis tuis in aeternum, quia pius es. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Cum sanctis tuis in aeternum, quia pius es. 263 e non scompaiano nel buio. L’arcangelo San Michele li conduca alla santa luce che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza. Noi ti offriamo, Signore, sacrifici e preghiere di lode. Accettali per l’anima di quelli di cui oggi facciamo memoria. Fa’ che passino, Signore, dalla morte alla vita che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza. Santo, santo, santo il Signore Dio dell’Universo, i cieli e la terra sono pieni della Tua gloria, Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore, Osanna nell’alto dei cieli. Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dona loro il riposo. Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dona loro l’eterno riposo Splenda ad essi la luce perpetua insieme ai tuoi santi in eterno, o Signore, perché tu sei buono. L’eterno riposo dona loro, Signore e splenda ad essi la luce perpetua. Insieme ai tuoi santi in eterno, Signore, perché tu sei buono. 264 L’Orchestra della Toscana. Il Coro da Camera di Praga. 265 GIANLUIGI GELMETTI Ex-chigianista, è stato allievo di Sergiu Celibidache, di Franco Ferrara e Hans Swarowsky. Il debutto con i Berliner Philharmoniker ha segnato l’inizio della sua carriera internazionale che oggi lo vede regolarmente invitato nei maggiori festival e ospite delle orchestre più prestigiose: particolarmente intenso e significativo è stato il suo rapporto con i Münchner Philharmoniker durante il periodo di Sergiu Celibidache. Per dieci anni è stato Direttore dell’ Orchestra della Radio di Stoccarda con la quale ha eseguito fra l’altro l’integrale sinfonico-corale di Beethoven, Brahms, Mahler e gran parte della produzione mozartiana. Grande rilievo hanno avuto le sue presenze in Francia, Germania, Inghilterra, in America, Australia, in Giappone, Svizzera e Italia (Scala e Opera di Roma). Molteplici sono stati i suoi impegni italiani con Iris di Mascagni e La Fiamma di Respighi all’Opera di Roma, con il Guglielmo Tell al Rossini Opera Festival, Festival dove é considerato il decano, avendo diretto il maggior numero di produzioni, ultima tra queste il Tancredi con l’Orchestra della Toscana nell’edizione del 1999. Nello stesso anno è stato insignito del Rossini d’Oro. Con la Royal Opera House di Londra Gelmetti ha un rapporto costante: vi ha già diretto La Rondine di Puccini e l’Otello di Rossini. Vi tornerà nelle prossime stagioni ancora con La Rondine e con la Turandot. La prestigiosa rivista tedesca Operwelt lo ha premiato come migliore direttore dell’anno per la sua interpretazione delle Nozze di Figaro di Mozart. La critica giapponese ha designato la sua Sinfonia n.9 di Beethoven come la migliore dell’anno. La vasta produzione discografica per EMI soprattutto, ma anche per Sony, Ricordi, Fonit, Teldec e Agorà, è rivelatrice dell’estensione e della complessità del suo repertorio. In campo lirico ricordiamo la prima incisione mondiale delle Danaïdes di Salieri, Il barbiere di Siviglia, La gazza ladra e Maometto II di Rossini (Prix de la Critique), La rondine e La bohème di Puccini e, tra i laser-video, gli atti unici di Rossini, oltre a Tancredi e Il ratto dal serraglio di Mozart. Sinfonie di Mozart e molta musica del Novecento tra cui Stravinskij, Berg (Diapason d’Or), Webern, Varèse e Rota. Recenti sono le registrazioni di Guglielmo Tell, Iris, La fiamma, della Sinfonia n.6 di Bruckner e dello Stabat Mater di Rossini e, in DVD, la Grande di Schubert. Per commemorare i dieci anni della morte di Franco Ferrara, Gelmetti ha ripreso, dopo un lunghissimo silenzio, l’attività compositiva con In Paradisum Deducant Te Angeli, che è stato eseguito per la prima volta dall’Orchestra e dal Coro del Teatro dell’Opera di Roma e in seguito a Londra, Monaco, Francoforte, Budapest, Sydney e Stoccarda. Con i Münchner Philharmoniker ha diretto la prima esecuzione di Algos per grande orchestra e nel 1999 Prasanta Atma, commissionato in memoria di Sergiu Celibidache. Il 29 settembre 2000 è stata eseguita a Bologna, in prima mondiale, la sua Cantata della vita, per soli, coro, violoncello solista e orchestra, commissionatagli dal Teatro Comunale. Ha ricevuto numerose onorificenze, tra cui quella di “Chevalier de l’ordre des Arts et Lettres” in Francia e di “Grande Ufficiale della Repubblica Italiana”. Attualmente è Direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma e Direttore Principale e Artistico della Sidney Symphony Orchestra. È docente di Direzione d’orchestra all’Accademia Musicale Chigiana dal 1997. 266 ORCHESTRA DELLA TOSCANA Si è formata a Firenze nel 1980 per iniziativa della Regione Toscana, della Provincia e del Comune di Firenze. Nel 1983, durante la direzione artistica di Luciano Berio, è diventata Istituzione Concertistica Orchestrale per riconoscimento del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Attualmente la direzione artistica è affidata ad Aldo Bennici, uno dei padri fondatori dell’ORT. Composta da 45 musicisti, che si suddividono anche in agili formazioni cameristiche, l’Orchestra realizza le prove e i concerti, distribuiti poi in tutta la Toscana, nello storico Teatro Verdi, situato nel centro di Firenze. Le esecuzioni fiorentine sono trasmesse su territorio nazionale da Radiorai Tre. Interprete duttile di un ampio repertorio che dalla musica barocca arriva fino ai compositori contemporanei, l’Orchestra riserva ampio spazio a Haydn, Mozart, tutto il Beethoven sinfonico, larga parte del barocco strumentale, con una particolare attenzione alla letteratura meno eseguita. Accanto ai grandi capolavori sinfonico-corali si aggiungono i Lieder di Mahler, le pagine corali di Brahms, parte del sinfonismo dell’Ottocento con una posizione di privilegio per Rossini. Una precisa vocazione per il Novecento storico, insieme a una singolare sensibilità per la musica d’oggi, caratterizzano la formazione toscana nel panorama musicale italiano. Ospite delle più importanti società di concerti italiane, si è esibita con grande successo al Teatro alla Scala di Milano, al Maggio Musicale Fiorentino, al Comunale di Bologna, al Carlo Felice di Genova, all’Auditorium “G. Agnelli” del Lingotto di Torino, all’Accademia di S. Cecilia di Roma, alla Settimana Musicale Senese, al Ravenna Festival, al Rossini Opera Festival e alla Biennale di Venezia. Numerose le sue apparizioni all’estero a partire dal 1992: Germania, Giappone, Salisburgo, Cannes, Buenos Aires, San Paolo, Montevideo, Strasburgo, New York, Edimburgo, Madrid e Hong Kong, a Tokyo per la rassegna “Italia-Giappone 2001-2002”. Tra i prestigiosi musicisti che hanno collaborato con l’ORT citiamo: Salvatore Accardo, Martha Argerich, Rudolf Barshai, Bruno Bartoletti, Yurij Bashmet, Luciano Berio, Frans Brüggen, Mario Brunello, Sylvain Cambreling, Myung-Whun Chung, Alicia De Larrocha, Gabriele Ferro, Eliot Fisk, Rafael Frübeck de Burgos, Gianandrea Gavazzeni, Gianluigi Gelmetti, Natalia Gutman, Daniel Harding, Eliahu Inbal, Ton Koopman, Gidon Kremer, Yo-Yo Ma, Gustav Kuhn, Alexander Lonquich, Andrea Lucchesini, Peter Maag, Peter Maxwell Davies, Mischa Maisky, Sabine Meyer, Midori, Shlomo Mintz, Viktoria Mullova, Roger Norrington, Esa Pekka Salonen, Hansjoerg Schellenberger, Heinrich Schiff, Vladimir Spivakov, Uto Ughi, Maxim Vengerov. La discografia comprende musiche di Schubert e di Cherubini con Donato Renzetti (Europa Musica), Pierino e il lupo e L’Histoire de Babar con Paolo Poli e Alessandro Pinzauti (Caroman), Cavalleria rusticana con Bruno Bartoletti (Foné), Il barbiere di Siviglia con Gianluigi Gelmetti (EMI Classics), Omaggio a Mina e Orfeo cantando tolse di Adriano Guarnieri con Pietro Borgonovo (Ricordi) e lo Stabat Mater di Rossini con Gianluigi Gelmetti (Agorà), Tancredi con Gianluigi Gelmetti (Foné), Holy Sea con Butch Morris (Splasc-h), Richard Galliano e I Solisti dell’Ort (Dreyfus), Le Congiurate di Schubert con Gérard Korsten per la regia di Denis Krief, Concertone con Stefano Bollani (Blue Label). 267 CORO DA CAMERA DI PRAGA Fondato nel 1990, dopo la “rivoluzione di velluto” in Cecoslovacchia, è composto dalle migliori voci del celebre Coro Filarmonico di Praga e ha saputo affermarsi come uno dei migliori cori da camera europei. È stato ospite di numerosi festival (Amburgo, Stoccarda, Praga, Linz, Autwerp, Berlino, Lipsia, Zurigo, Brescia e Bergamo, ecc); nell’estate del 1993 ha collaborato alla produzione del Maometto II al Rossini Opera Festival di Pesaro. È stato ospite all’esposizione mondiale di Siviglia e dei teatri di Firenze, Genova, Ginevra ed i suoi concerti sono stati trasmessi dalla BBC, dall’ORF e dalla Radio Bavarese. Significativa è la sua permanente collaborazione con la Filarmonica Ceca. Nel ‘97 ha cantato alla presenza di Sua Santità Giovanni Paolo II nel solenne atto commemorativo di Papa Paolo VI nel centenario della sua nascita. Il Coro da Camera di Praga ha all’attivo incisioni per diverse case discografiche (Orfeo, ECM, Ricordi), apparizioni televisive, collaborazioni con l’Orchestra da Camera di Praga, la Filarmonica di Amburgo, l’Orchestra da Camera di Stoccarda, i Virtuosi di Praga, l’Orchestra Regionale Toscana, nonché con direttori d’orchestra quali Neumann, Albrecht, Eschenbach, Blomstedt, Gelmetti, Norrington, Honeck, Parrott, Lu Jia, Brüggen ed i direttori di coro Rilling, Ericson, Bornius, Gonnenwein, Gandolf. Ha effettuato tournées in tutti gli stati europei, in Australia e in Giappone. PAVEL VANEK Nato nel 1957 a Domazlice, ha terminato gli studi di pianoforte nel 1979 al Conservatorio di Pilsen. Fra il 1982 ed il 1984 ha collaborato con il Teatro dell’Opera di Pilsen. Dal 1986 al 1991 ha studiato direzione di coro presso l’Accademia di Musica di Praga. Dal 1985 è stato secondo maestro di coro del Coro Maschile di Praga e nel 1989 è divenuto Assistente del Coro del Teatro Nazionale di Praga, dove dal 1992 ha assunto l’incarico di secondo maestro di coro, collaborando con i più importanti cori della Repubblica Ceca (Filarmonica di Praga, Coro da Camera di Praga, Radio della Radio Ceca). Dal 2000 è Direttore principale del Coro del Teatro Nazionale, dove ha preso parte ad una trentina di prime rappresentazioni (Rigoletto, Pagliacci, Tosca, Carmen, Don Giovanni, Il flauto magico, ecc.). ANNA RITA TALIENTO Vincitrice di numerosi concorsi nazionali ed internazionali, tra cui il “Belvedere” di Vienna, dove, nel 1993, ha ottenuto il primo premio assoluto, ha intrapreso giovanissima la carriera internazionale. Dopo il debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto e al Teatro Comunale di Bologna, con Riccardo Chailly, nel Trittico di Puccini, nel 1993 incide a Vienna per la DECCA il Capriccio di R. Strauss (Cantante Italiana) con i Wiener Philharmoniker. Nel 1994 canta all’Accademia di Santa Cecilia a Roma il Requiem di Dvoràk, al Rossini Opera Festival di Pesaro L’inganno felice e al Teatro Regio di Torino l’Orfeo e Euridice di Gluck. Dal 1995 è ospite dei più prestigiosi teatri in Italia e nel mondo; Covent Garden di Londra, Comunale di Bologna, Comunale e Maggio Musicale di Firenze, Rossini Opera Festival, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Regio di Torino, Arena di Verona, San Carlo di Napoli, Opera di Roma, La Monnaie di Bruxelles, Alte Oper di Francoforte, Royal Albert Hall di Londra. 268 Anna Rita Taliento. Laura Polverelli. 269 Ha collaborato con i più importanti direttori nel panorama internazionale come Gianluigi Gelmetti, Riccardo Chailly, Daniel Oren, Daniele Gatti, Bruno Campanella, Claudio Abbado, Alain Lombard, Myung-Whun Chung. Il suo ampio repertorio comprende titoli tra cui Mosè in Egitto e Semiramide di Rossini; Carmen di Bizet; Gianni Schicchi e Suor Angelica di Puccini; La clemenza di Tito, Don Giovanni, Le nozze di Figaro e Così fan tutte di Mozart; Faust di Gounod; Don Pasquale di Donizetti; La bohème di Puccini; Dido and Aeneas di Purcell. Intensa è l’attività concertistica; di particolare interesse è infatti il vasto ed eclettico repertorio che spazia dalla musica barocca agli autori contemporanei. Ha tra l’altro eseguito i Vier letzte Lieder di R. Strauss; la Petite Messe Solemnelle e lo Stabat Mater di Rossini; la Messa in do min. di Mozart; il Messiah di Händel; il Gloria di Vivaldi; l’Oratorio di Natale e le Cantate di Bach; musiche di Dalla piccola, Pizzetti e Corghi, i Folk Songs di Berio; i Carmina Burana di Orff, la Sinfonia n. 9 di Beethoven. È stata ospite dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, dove ha interpretato tra gli altri il Requiem di Mozart, il Magnificat di Bach e il Te Deum di Charpentier. È stata ospite del Teatro dell’Opera di Roma in occasione dell’inaugurazione 2004 con l’inedita di Respighi Marie Victoire, con la regia di Hugo De Ana, e 2005 con Semiramide di Rossini, con la regia di Pierluigi Pizzi, dirette dal M° Gianluigi Gelmetti; con Don Giovanni di Mozart per l’inaugurazione 2006, regia di Franco Zeffirelli e direzione di Hubert Soudant. Tra i suoi impegni più recenti si segnalano Così fan tutte, regia e direzione di Gianluigi Gelmetti, Le nozze di Figaro, regia di Gigi Proietti e direzione di G. Gelmetti, Il viaggio a Reims di Rossini con la regia di Luca Ronconi e la direzione di Carlo Rizzi e La leggenda di Sakùntala di Alfano con la regia e la direzione di G. Gelmetti. LAURA POLVERELLI Vincitrice di Concorsi nazionali ed internazionali, è ospite di importanti istituzioni musicali italiane ed estere tra cui: Accademia Chigiana di Siena, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Bayerische Staatsoper, Festival de Beaune, Festival de St. Denis, Festival di Innsbruck, Festival di Orange, Festival Mozart della Coruña, Festival di Glyndebourne, Maggio Musicale Fiorentino, Opéra de Lyon, Opéra de Montecarlo, Opéra Municipal di Lausanne, Rossini Opera Festival, Scala di Milano, Staatsoper di Amburgo, Teatro Carlo Felice di Genova, Teatro Comunale di Bologna, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro La Fenice, Teatro Réal di Madrid, Teatro Regio di Torino, Teatro San Carlo, Théâtre des Champs Elysées, Théâtre Royal de la Monnaie, Vlaamse Opera di Anversa. Ha collaborato con musicisti quali Claudio Abbado, Rinaldo Alessandrini, Gary Bertini, Fabio Biondi, Riccardo Chailly, Ottavio Dantone, Colin Davis, Gianluigi Gelmetti, Jesus Lopez-Cobos, René Jacobs, Jean-Claude Malgoire, Andrea Marcon, Zubin Mehta, Riccardo Muti, Carlo Rizzi, Christophe Rousset, Jeffrey Tate. Il suo repertorio comprende ruoli rossiniani e mozartiani: Rosina nel Barbiere di Siviglia, Angelina ne La Cenerentola, Isabella nell’Italiana in Algeri, Isolier ne Le Comte Ory , La petite messe solennelle e Stabat Mater; Dorabella, Annio e Sesto, Cherubino, Zerlina, Idamante. Al Teatro alla Scala è stata Puck nell’Oberon di Weber e Fenena nel Nabucco con Riccardo Muti, Ascanio nei Troyens di Berlioz con Colin Davis, Zaida nel Turco in Italia con Riccardo Chailly. Ospite regolare del 270 Rossini Opera Festival di Pesaro dove ha cantato Isabella di Corghi, Isaura nel Tancredi, e Madame La Rose ne La Gazzetta. Apprezzata anche nel repertorio barocco: Argia di Cesti con Renè Jacobs al Festival di Innsbruck e a Parigi, Cornelia e Sesto nel Giulio Cesare di Händel, Goffredo nel Rinaldo, Proserpina e Musica nell’Orfeo di Monteverdi, Amore e Valletto nell’Inconorazione di Poppea, Irene nel Tamerlano di Händel, Licida ne L’Olimpiade di Pergolesi. La sua intensa attività concertistica comprende: Stabat Mater di Pergolesi, il Nisi Dominus e Gloria di Vivaldi, la Matthäus-Passion e la Messa in si minore di Johann Sebastian Bach, la Messa in do minore K. 427 di Mozart, La Passione di Gesù Cristo di Caldara, Villancicos di Boccherini, L’Enfance du Christ di Berlioz. Tra gli impegni recenti si segnalano: al Teatro Regio di Torino e all’Opera di Montecarlo, Dorabella nel Così fan tutte, al Teatro dell’Opera di Roma e alla Fenice, Rosina nel Barbiere di Siviglia, alla Bayerische Staatsoper di Monaco Sesto nel Giulio Cesare di Händel, a Montpellier e al Théâtre du Châtelet, Emone nell’Antigona di Traetta con Christophe Rousset al Centro Servizi Culturali di Trento, Idamante nell’Idomeneo, al Teatro delle Muse di Ancona, L’Enfant et les Sortilèges al Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona, La Donna del Lago al Teatro La Fenice, Pia de’ Tolomei, di cui esiste un dvd. Inoltre grande successo ha riscosso in America interpretando il ruolo di Rosina nel Barbiere di Siviglia di Rossini a Philadelphia, ruolo che con rinnovato successo ha riproposto all’Opera di Roma sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti. Nell’anno mozartiano in corso, numerose le sue interpretazioni mozartiane, a Stresa sotto la direzione di Noseda, a Roma, sotto la direzione di Gelmetti. Apprezzata interprete anche di altri autori, e quindi segnaliamo le sue recentissime interpretazioni a Bari ne L’Enfant et les Sortilèges e a Trieste nel Don Quichotte. Dopo Napoli dove ha interpretato Dorabella nel Così fan tutte di Mozart, è ritornata nella natìa toscana per una serie di esecuzioni dello Stabat Mater di Pergolesi e per Falstaff di Verdi al Teatro Comunale di Firenze sotto la direzione di Zubin Mehta. JUAN FRANCISCO GATELL Juan Francisco Gatell Abre, tenore ispano-argentino, nasce a La Plata (Argentina) nel 1978. All’età di nove anni inizia gli studi musicali presso il Conservatorio G. Gilardi della sua città. Nel 2000 si trasferisce in Spagna, dove continua l’approfondimento ed il perfezionamento dei suoi studi musicali presso il Conservatorio Arturo Soria di Madrid. Partecipa a diversi corsi di formazione, tra i quali, quelli di tecnica vocale e di interpretazione tenuti dalla Sig.ra Teresa Berganza a Santander (Spagna) e dal Sig. Bruno de Simone a Pisa. Attualmente è allievo del Maestro Luciano Roberti. La sua esperienza si è consolidata anche attraverso la partecipazione come corista presso il Teatro del Liceu di Barcellona, quello della Radiotelevisione Spagnola, e presso il Coro del Maggio Musicale Fiorentino. Dal 2004 si esibisce come solista in alcuni fra i più importanti teatri italiani. Come risultato della segnalazione fatta nell’ambito del VIII Ciclo de Jòvenes Cantantes de la Asociaciòn de Amigos de la Opera de Madrid ha tenuto un recital presso l’Auditorio dell’Escuela Superior de Canto de Madrid. Nel 2004 ha ottenuto il Premio Caruso 2004 (concorso Le voci 271 Juan Francisco Gatell. Alessandro Guerzoni. 272 nuove dalla lirica dall’Associazione Museo Enrico Caruso) in un concerto tenutosi Domenica 19 Settembre 2004 presso la Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano. Ha partecipato inoltre al concerto tenutosi a Villa Caruso (Lastra a Signa) in occasione dell’assegnazione del Premio Caruso 2004 al Baritono Leo Nucci. Nel maggio 2004 debutta in un ruolo secondario al Maggio Musicale Fiorentino nell’Idomeneo di Mozart ed in seguito partecipa nel Viaggio a Reims di Rossini come Don Luigino. Nel dicembre 2004 canta per Città Lirica Opera Studio il ruolo di Acis nella pastorale di Händel Acis and Galatea nei teatri di Pisa, Livorno e Chieti. Nell’Aprile 2005 interpreta Ernesto nel Don Pasquale di Donizetti nel teatro Pacini di Pescia e Rinuccio nel Gianni Schicchi di Puccini nei teatri Manzoni di Pistoia e dei Rassicurati di Montecarlo come vincitore del 7° concorso Città di Pistoia. Nella stagione 2005 del Maggio Musicale Fiorentino canta l’Innocente nel Boris Godunov di Mussorgsky e recentemente ha cantato i ruoli del Conte di Almaviva nel Barbiere di Siviglia di Rossini diretto da Gelmetti, e Don Ottavio nel Don Giovanni di Mozart, sotto la direzione di Soudant e la regia di Zeffirelli, al Teatro dell’Opera di Roma. Ha vinto il Primo Premio assoluto del 57° Concorso ASLICO, come Don Ottavio nel Don Giovanni di Mozart. ALESSANDRO GUERZONI Nato a Pescara, debutta nel 1993 al Teatro La Fenice di Venezia nella Bohème diretta da M. Viotti. Interpreta in seguito numerosi ruoli operistici, fra i quali Plutone nell’Orfeo di Monteverdi al Teatro Real di Madrid (dir. J. Savall, regia di G. Deflo) e a Torino, il ruolo da protagonista nell’Ercole amante di Cavalli a Ravenna, Sprecher in Die Zauberflöte (regia di W. Herzog) a Catania, il Conte Rodolfo nella Sonnambula a Torino, Barone nella Traviata a Firenze (dir. Zubin Mehta) e al Teatro Regio di Parma (dir. R. Palumbo), Pristaw in Boris Godonov (dir. S. Bychkov) al Maggio Musicale Fiorentino, Frère Laurent in Roméo et Juliette di Gounod al Teatro Regio di Torino, Plake in Sly di Wolf-Ferrari a fianco di Josè Carreras (oggetto di un’incisione discografica), Sir Giorgio nei Puritani di Bellini al Gran Teatre del Liceu di Barcellona, il Re ne L’amour des trois Oranges di Prokof’ev, Il frate nel Don Carlo a Köln, Roucher in Andrea Chénier, Gremin in Evgenji Onegin a Sassari e Les contes d’Hoffmann al Teatro Regio di Parma. Fra le interpretazioni più rilevanti si ricordano Don Giovanni (Masetto e commendatore; dir. C. Abbado e, nella ripresa, Daniel Harding) ad Aix-enProvence, Stoccolma, Lione, Milano, Bruxelles e Tokyo ed in altre produzioni alla Scottish Opera, Edimburgo e Köln, Bohème (Colline) al Téatre de La Monnaie di Bruxelles (dir. A. Pappano), al Teatro San Carlo di Napoli, ad Edimburgo, Glasgow, Lussemburgo e al Festival Pucciniano di Torre del Lago (regia di Scaparro e scene di Folon), Rigoletto (Sparafucile) al Teatro Regio di Parma, ad Edimburgo, Glasgow e a Sassari, nonché Die Zauberflöte (Sarastro) a Köln. Attivo anche sul versante concertistico, è stato ospite di prestigiosi istituzioni e festival internazionali, tra i quali, il Teatro Filarmonico di Verona, Ferrara Musica, Mozarteum di Salisburgo e il Théatre Royal de La Monnaie di Bruxelles. Il suo repertorio spazia da Monteverdi a Mozart con opere quali Requiem, Vesperae, Krönungsmesse, Thamos, König in Agypten. Di rilievo le interpretazioni del Requiem all’Accademia di Santa 273 Cecilia in Roma (dir. M.W. Chung) e a Bruxelles (dir. A. Pappano), della Messa di Gloria di Puccini (dir. A. Pappano), dello Stabat Mater di Rossini, de La Creazione di Haydn e dei Liederabend dedicati a Brahms. Nella stagione 2004/05 ha riscosso unanimi consensi al Rossini Opera Festival interpretando Il trionfo delle Belle (Aliprando). Fra gli altri successi si ricordano Attila (Papa Leone) al Teatro dell’Opera di Roma, Oedipus Rex e Semiramide), Boris Godunov (Capitano) al Maggio Musicale, Carmen (Zuniga) al Teatro Lirico di Cagliari. La stagione 2005/06 si è aperta con le interpretazioni di Don Giovanni (Commendatore) al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles con relativa tournée in Giappone, La Bohème (Colline) al Teatro Municipale di Salerno e ancora Don Giovanni (Commendatore) al Teatro dell’Opera di Roma. È reduce, inoltre, dai successi ne Il Barbiere di Siviglia (Don Basilio) al Teatro Lirico di Cagliari e in Sacuntala (Durvasas) al Teatro dell’Opera di Roma per la regia e la direzione d’orchestra di G. Gelmetti. Coro da Camera di Praga Soprani Monika Beranová Anna Bínerová Sylvie Lastovková Dagmar Masková Jarmila Miháliková Nadia Novotná Vera Pribylová Lucie Sádková Bronislava Tomanová Dana Uherková Olga Velická Pavla Zobalová Mezzosoprani Marie Benáková Dana Dubová Zuzana Hanzlová Tatiána Kopalová Martina Straková Veronika Tichá Ivana Vlasáková Eva Zbytovská Tenori Vladimír Dolejsí Roman Gottlieb Jan Honck Libor Kasík Ales Mihálik Tomás Mikulecky Vladimír Nacházel Radek Prügl Pavel Vejnar Bassi Jan Bíner Kamil Helikovsky Jan Holub Vladimír Kozusník Pavel Novák David Nykl Petr Sejpal Jaroslav Sefrna Vladimír Vihan 274 Orchestra della Toscana Violini primi Andrea Tacchi * Duccio Ceccanti * Paolo Gaiani ** Patrizia Bettotti Marcello D’Angelo Alessandro Giani Cosetta Michelagnoli Boriana Nakeva Susanna Pasquariello Contrabbassi Gianpietro Zampella * Luigi Giannoni ** Lorenzo Baroni Francesco Ferroni Marcello Maccari Violini secondi Chiara Morandi * Giorgio Ballini * Francesco Di Cuonzo ** Gabriella Colombo Marian Elleman Chiara Foletto Daniele Iannaccone Andrea Nanni Marco Pistelli Fagotti Paolo Carlini * Umberto Codeca’ * Viole Stefano Zanobini * Riccardo Masi * Joël Impérial ** Caterina Cioli Alessandro Franconi Hildegard Kuen Pier Paolo Ricci Violoncelli Luca Provenzani * Giovanni Lippi * Christine Dechaux ** Stefano Battistini Leandro Carino Marilena Cutruzzula’ Françoise Pérez Corni di bassetto Carlo Failli * Marco Ortolani * Trombe Donato De Sena* Emanuele Casieri * Tromboni Antonio Sicoli * Fabiano Fiorenzani Fabio Costa Timpani Morgan M.Tortelli * Organo Francesco Dilaghi * Ispettore d’orchestra e archivista Alfredo Vignoli * prime parti ** concertino 275 75a ESTATE MUSICALE CHIGIANA 63a SETTIMANA MUSICALE SENESE Artisti Salvatore Accardo violinista e direttore Joquin Achucarro pianoforte Allievi Chigiani archi Gilles Arbona attore Cristina Baggio soprano Astrid Bas attrice Jurij Bashmet viola Romina Basso mezzosoprano Boris Belkin violino Michele Campanella pianoforte Giuliano Carmignola violinista e direttore Myung-Whun Chung direttore Coro da Camera di Praga Festival Orchestra di Sofia Patrick Gallois flauto Juan Francisco Gatell tenore Gianluigi Gelmetti direttore David Geringas violoncello Bruno Giuranna viola Franziska Gottwald mezzosoprano Alessandro Guerzoni basso Stepan Jakoviã violino Dany Kogan attrice George Lavaudant regista Paul Lewis pianoforte Sergej Lomovskij violino Ruth Rosique Lopez soprano Nina Maãaradze viola Andrea Marcon direttore Antonio Meneses violoncello Mikhail Muntjan pianoforte Bartolo Musil baritono Alexej Naidenov violoncello Alipi Naydenov direttore Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI Orchestra della Toscana 276 Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo Orchestra Barocca di Venezia Orchestra da Camera di Mantova Orchestra da Camera Italiana Antony Pay clarinetto Luca Pfaff direttore Maurizio Pollini pianoforte Laura Polverelli mezzosoprano Quartetto Prometeo archi Laura Rizzetto mezzosoprano Christophe Rousset clavicembalo Tatjana Schatz pianoforte Anna Rita Taliento soprano Jurij Temirkanov direttore Mark Tucker tenore Pavel Vanek maestro del coro Jean-Pierre Vergier costumista Folco Vichi pianoforte André Wilms attore 277 75a ESTATE MUSICALE CHIGIANA 63a SETTIMANA MUSICALE SENESE Autori e brani musicali J.S. Bach Ouvertüre nach französicher Art BWV 831 in si min. Battistelli Les Cenci, teatro musicale da Antonin Artaud, adattamento del testo di Giorgio Battistelli (prima esecuzione italiana) Beethoven Sonata in sol magg. op. 79 Sonata in si bem. magg. op. 106 “für das Hammerklavier” Bernstein Sonata per clarinetto e pianoforte Brahms Otto Klavierstücke op. 76 Sonata in fa min. op. 120 n. 1 per clarinetto e pianoforte Serenata n. 2 in la magg. op. 16 Trio in la min. op. 114 per viola, violoncello e pianoforte Trio in mi bem. magg. op. 40 per violino, viola e pianoforte Quintetto in si min. op. 115 per viola e archi Sestetto in sol magg. op. 36 per archi Sestetto in si bem. magg. op. 18 per archi Cage Sonata per clarinetto solo âajkovskij Souvenir de Florence op. 70 per sestetto d’archi F. Couperin VIII Ordre (extrait du Second Livre de Pièces de clavecin en si mineur) L. Couperin Pavane in fa diesis min. 278 Debussy Première Rhapsodie per clarinetto e pianoforte De Falla Il cappello a tre punte, seconda suite Delgado Langará per clarinetto solo Liszt Danza sacra e duetto finale dall’opera Aida di Giuseppe Verdi Malipiero Vivaldiana per orchestra Mozart Concertoin si bem. magg. K. 207 per violino e orchestra Concerto in re magg. K. 211 per violino e orchestra Concerto in re magg. K. 218 per violino e orchestra Concerto in sol magg. K. 216 per violino e orchestra Concerto in la magg. K. 219 per violino e orchestra Concertone in do magg. K. 190 per due violini e orchestra Requiem K. 626 per soli, coro e orchestra Quartetto in do magg. K. 285b per flauto e archi Quartetto in in sol magg. K. 285a per flauto e archi Quartetto in re magg. K. 285 per flauto e archi Quartetto in la magg. K. 298 per flauto e archi Fantasia in do min. K. 475 Sonata in do min. K. 457 Adagio in si min. K. 540 Sonata in re magg. K. 576 Musorgskij Quadri di un’esposizione per pianoforte Ravel La Valse per orchestra Ma mère l’Oye, suite per orchestra Rimskij-Korsakov La grande Pasqua russa, ouverture op. 36 per orchestra Suite da Il gallo d’oro per orchestra 279 Saint-Saëns Sonata per clarinetto e pianoforte Schönberg Verklärte Nacht per sestetto d’archi Schubert Sonata in la min. D. 821 “Arpeggione” per violoncello e pianoforte Schumann Fantasiestücke op. 73 per clarinetto e pianoforte Concerto in la min. op. 54 per pianoforte e orchestra Senderovas David’s Song per violoncello e quartetto d’archi, dedicato a David Geringas (prima esecuzione italiana) ·ostakoviã Sinfonia n. 5 in re min. op. 47 Scherzo in fa diesis min. op. 1 Concerto n. 1 in la min. op. 77 per violino e orchestra Adagio dal balletto Chiaro fiume Sonata in re min. op. 40 per violoncello e pianoforte Stravinskij La sagra della Primavera Tre Pezzi op. 73 per clarinetto solo Antonio Vivaldi L’Atenaide, dramma per musica in tre atti su libretto di Apostolo Zeno Vladigerov Canzone dalla Suite bulgara op. 21 per orchestra 280 Pubblicazione della Fondazione Accademia Musicale Chigiana – Siena A cura di Guido Burchi Grafica Marusca Pradelli Rossi Stampa Tipografia Senese, Siena, 2006