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Venerdì 5 e domenica 7, alla milanese “Orchestra Verdi”, un indimenticabile
concerto diretto da Giuseppe Grazioli. Ambrosiano fra i cinquanta e i sessanta,
Grazioli è oggi fra i migliori direttori d’orchestra ma in Italia non ha alcuna
responsabilità istituzionale: i “direttori musicali” dei teatri o sono raccomandati o
hanno il sostegno di potenti agenzie. Il concerto che ho ascoltato era volto a celebrare
il Novecento italiano. In questo, Grazioli ha grandi benemerenze: con l’orchestra
milanese, auspice Luigi Corbani, che l’ha creata con Vladimir Delman e capeggiata
fino allo scorso luglio, ha inciso quasi tutta l’opera di Nino Rota. Queste incisioni
mostrano che il geniale compositore delle musiche per i films di Fellini era anche un
musicista dotto e d’avanguardia, del quale il ferrigno Mysterium è fra le vette della
musica sacra novecentesca. Il 5 maggio è stato il turno di Ottorino Respighi e Gino
Marinuzzi.
Respighi è un poeta doctus; qui era in veste di rielaboratore di musica altrui. Un
Preludio e Fuga in Re maggiore di Bach reinventa per orchestra i registri organistici.
La Polacca in La maggiore di Chopin, trasposta sinfonicamente, acquisisce toni di
sontuosità tra cavalleresca e barbarica che avrebbero incantato Fryderik. La
Rossiniana è un incanto di raffinatezze ricavato da alcuni dei pezzi per pianoforte che
il Cigno di Pesaro scrisse negli anni nei quali la nevrosi e l’autocritica gli vietarono le
grandi forme teatrali e sinfoniche.
La Sinfonia in La venne composta nel 1943 a Milano sotto i bombardamenti dal più
grande direttore d’orchestra del Novecento; ed è fra le più importanti Sinfonie del
secolo. La grande forma classica è rivissuta con audacia di stile e una scienza
dell’orchestrazione che lascia estasiati e sorpresi; e la cultura classica di Marinuzzi ne
fa una meditazione sulla poesia di Virgilio e sulle categorie dell’Apollineo e del
Dionisiaco nel momento che l’orrore della guerra colora di luci sinistre la potenza di
Dioniso quale Dio distruttore. Già le Georgiche, al Terzo Libro, danno un quadro
della terribilità della Natura; gli ultimi Libri dell’Eneide danno della guerra
un’immagine mostruosa che nessun poeta ha saputa eguagliare. Poi, nella Coda della
Sinfonia che segue il Ditirambo, Apollo giunge in soccorso con le luci d’una
trasfigurazione: ricordo o illusione?
Quest’Opera è stata da Grazioli appena incisa per la Decca con la stessa orchestra.
È accoppiata a un capolavoro del Marinuzzi ventisettenne (1909), la Suite siciliana.
Tutti di essa conoscono, grazie a Fabrizio De André, il Valzer campestre, l’orchestra
imitante il mandolino e la fisarmonica suonati sull’aia; ma l’ultimo brano, la Festa
popolare, è una ridda di colori e di contrappunto, con sbalorditive sovrapposizioni
tematiche, alla quale si possono accostare solo Petrushka (1911) di Stravinskij e le
Feste romane (1926) dello stesso Respighi: prima incisione assoluta, questa.
Marinuzzi fu direttore artistico della Scala dal 1932 al 1945, l’anno della morte,
portandola a un prestigio pari a quello avuto dal teatro negli anni di Toscanini. Alla
Scala, dopo il 1945, e nemmeno all’Accademia di Santa Cecilia, non è mai stato
eseguito un pezzo di uno dei più grandi compositori del Novecento; né in sala alla
Verdi c’era nessuno di questo teatro. Chissà se Riccardo Chailly, attuale successore
di Marinuzzi, ha idea di chi egli sia. Potrebbe recarsi alla Fenice il 17 giugno, per
ascoltare di nuovo la Sinfonia in La sotto la bacchetta di Grazioli; il quale, se invitato
nel teatro milanese, alzerebbe un po’ il bassissimo livello del parco-direttori. (Come
sono contento di aver abbandonato la critica musicale …. )
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