Adriano Favole Giochi e culture Antropologia di una

Adriano Favole
Giochi e culture
Antropologia di una finzione ampiamente condivisa
Introduzione al tema della VII edizione di
Pistoia - Dialoghi sull’uomo (27-29 maggio 2016)
Incontro con gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado
giovedì 28 gennaio 2016 ore 11.00 - Teatro Manzoni, Pistoia
Adriano Favole è Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Antropologia Culturale e
Etnologia e insegna Antropologia culturale e Cultura e potere all’Università di Torino. Ha
insegnato presso le Università di Milano, Genova e Bologna e in Nuova Caledonia.
Ha viaggiato e compiuto ricerche a Futuna (Polinesia occidentale), in Nuova Caledonia, a
Vanuatu e in Australia. I suoi ambiti di ricerca principali sono l’antropologia politica,
l’antropologia del corpo e l’antropologia del patrimonio.
Collabora con La lettura del Corriere della Sera. È autore di: La palma del potere (Il
Segnalibro, 2000); Isole nella corrente (La ricerca folklorica, Grafo, 2007); ha curato
l’edizione italiana di Per un’antropologia non egemonica. Il Manifesto di Losanna
(elèuthera, 2012); Resti di umanità. Vita sociale del corpo dopo la morte (2003), Oceania.
Isole di creatività culturale (2010), La bussola dell’antropologo (maggio, 2015) per Editori
Laterza.
Sull’argomento
La settima edizione dei Dialoghi sull’uomo di Pistoia si occuperà di giochi e culture. Ogni
anno i Dialoghi propongono un tema diverso (l’identità, il corpo, il dono, la condivisione, il
viaggio, l’abitare) e tuttavia tra di essi vi sono chiare linee di continuità: tra le pieghe
tematiche prende forma una certa visione dell’essere umano. Un aspetto dell’umanità a
cui i Dialoghi attribuiscono grande importanza sono le relazioni sociali: come ha scritto
Alain Caillé (ospite dei Dialoghi 2014), nel Manifesto convivialista (2014): “Gli esseri umani
sono degli esseri sociali per i quali la più grande ricchezza è la ricchezza dei loro rapporti
sociali”. Viviamo tempi in cui le relazioni sociali e la nostra stessa capacità di costruire
gruppi, di “fare società” sono messi seriamente in discussione. La teoria e le politiche
dell’homo oeconomicus, dell’uomo calcolatore che coltiva individualmente i propri interessi
in competizione con gli altri, sembrano trionfare un po’ ovunque, persino nella scuola e
nell’università. I social media e l’era informatica ci offrono straordinarie occasioni di
conoscenza e di comunicazione, ma rischiano anche di isolare ulteriormente l’individuo,
chiudendolo in una relazione narcisistica con la tecnologia. Sembra, a volte, di vivere in
una non-società (A. Favole, La Lettura Corriere della Sera, 3 gennaio) che, come i nonluoghi di Marc Augé (anch’egli più volte ospite dei Dialoghi), mantiene della società solo
pallidi simulacri, cornici istituzionali indebolite e corrotte, simboli e valori condivisi in forte
crisi, progetti di futuro assenti o marginali.
In questo frangente storico, il gioco torna ad attrarre l’interesse degli scienziati sociali. Se
è terribilmente difficile definire cosa sia il gioco (anche se tutti abbiamo un’idea al
proposito, anzi forse proprio per questo!), certo una sua caratteristica ampiamente diffusa
è quella di “costruire” relazioni sociali.
Il filosofo tedesco Ludwig Wittgenstein scelse proprio il gioco per esporre la sua celebre
teoria dei concetti: è impossibile, scrisse nelle sue Ricerche filosofiche (1967), trovare un
quid comune a tutti i giochi, definirne la “sostanza”. Alcuni giochi si assomigliano perché
sono competitivi, altri perché implicano l’uso di strumenti, altri perché la vittoria è affidata
al caso. Cosa è allora “gioco”? L’unico modo di definire il gioco è ricorrere alla metafora
delle somiglianze di famiglia: come in una grande famiglia alcuni si assomigliano nel naso,
altri nel colore dei capelli e altri ancora nella statura, così i giochi sono connessi l’uno
all’altro da somiglianze e differenze che creano una sorta di famiglia dai confini porosi.
Le caratteristiche del gioco, scrisse Roger Caillois in uno dei testi più classici al proposito
(Les jeux et les hommes, 1958), sono la libertà, il fatto di ritagliare uno spazio e un tempo
separato dalla quotidianità, l’incertezza del risultato, l’improduttività, il fatto di essere
disciplinato da regole o di rappresentare situazioni fittizie.
Difficili da definire dunque i giochi: ma curiosamente presenti in tutte le epoche e le
culture, tra gli esseri umani e persino tra gli animali. “Improduttivi” i giochi, nel senso che
complessivamente non creano ricchezze, opere d’arte, oggetti: il loro obiettivo sembra
piuttosto quello di rafforzare i legami sociali, di unire le persone (magari mettendole in
conflitto e competizione), di creare spazi di socialità.
I giochi, come il dono e la condivisione, sono modalità pressoché universali di “fare
società” o di imparare a “fare società” e non a caso il nesso giochi-infanzia è così forte. La
socialità del gioco, tuttavia, non è garantita: i giochi si possono corrompere – come la
logica del dono, d’altra parte – e divenire spazi di immensa solitudine, come vediamo,
pressoché quotidianamente, nei giochi di scommessa individuale (slot machine, “gratta e
vinci”), in cui la paidia, l’ebbrezza del gioco come la definiva Caillois, si trasforma in
ludopatia, in cui la libertà diventa ricerca frenetica e a volte disperata di “interesse”
individuale.
È sotto questa luce che ci avvicineremo al tema dei Dialoghi 2016, ponendo al tempo
stesso una domanda di forte interesse antropologico: cosa avviene dei giochi nel contatto
interculturale? Come viaggiano i giochi tra le culture? Come si trasformano? Giochi quali il
cruento combattimento di galli a Bali, come ci ha mostrato Clifford Geertz in un magistrale
capitolo di Interpretazione di culture (1987), rendono manifesti i valori e le relazioni sociali
presenti in una cultura. Cosa avviene quando questi giochi viaggiano tra le culture? Come
si è trasformato il rugby inglese approdando in terra maori? E il cricket alle isole
Trobriands di Malinowski? Giochi e culture rappresentano un binomio dalle forti
potenzialità conoscitive e di riflessione: storici, psicologi, pedagogisti, giornalisti,
matematici, filosofi e naturalmente antropologi si confronteranno a Pistoia, come di
consueto nell’ultimo week end di maggio, su questo interessante terreno.
Consigli di lettura per approfondimento:
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per gli insegnanti si consiglia, oltre all’articolo apparso su La Lettura de il Corriere
della sera di Adriano Favole (allegato), la lettura dei seguenti libri: Manifesto
convivialista di Alain Caillé (Edizioni ETS, 2014); Roger Caillois I giochi e gli uomini
(Bompiani, 1981), Interpretazione di culture di Clifford Geertz (Il Mulino, 1998) e
Ludwig Wittgenstein Ricerche filosofiche (Einaudi, 2009).
per gli studenti si consigli i primi due capitoli del libro di Roger Caillois I giochi e gli
uomini (Bompiani, 1981).