Organismi partecipati:
il decreto di riforma
della legge Madia
Federica Caponi
Pisa – 23 febbraio 2016
Raccolta Prassi
di Federica Caponi
Pisa – 23 febbraio 2016
La pubblicazione del presente Volume avviene per gentile concessione di:
Federica Caponi.
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Organismi partecipati:
il decreto di riforma
della legge Madia
Federica Caponi
Pisa – 23 febbraio 2016
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INDICE
Legge stabilità 2016: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati
Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge Stabilità 2016)
Pag. 6
Società partecipate: le novità contenute nel decreto di riforma Madia
Pag. 7
La mancata vigilanza sulle partecipazioni societarie si configura come
danno erariale
Pag. 8
Il recesso degli enti locali dalle società di capitali
a cura di Studio Commerciale Associato Boldrini Rimini
Dott. Roberto Camporesi, Dott.ssa Annalisa Galanti
Pag. 10
Società: illegittime l’avanzamento di carriera se l’ente socio dispone il
blocco delle assunzioni
Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale, Sicilia, sentenza n. 244/2015
Pag. 21
Società consortile: il sindaco non può essere presidente con deleghe
gestionali dirette
Pag. 23
Riforma Madia: le norme di interesse per gli enti locali
Legge 7 agosto 2015, n. 124
Pag. 25
Legge stabilità 2015: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati
Legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge Stabilità 2015)
Pag. 30
Società pubbliche: in caso di nuove assunzioni è competente il Pag. 35
giudice del lavoro
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5944 del 1° dicembre 2014
In house: legittimi gli affidamenti diretti di servizi, sia pubblici che
strumentali
Tar Puglia - Lecce, sez. II, sentenza 2986/2014
Pag. 36
La riscossione dei tributi è un servizio pubblico locale
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5284 del 27 ottobre 2014
Pag. 38
Società: è lo statuto che determina se è qualificabile come in house e
quindi assoggettata alla Corte dei Conti
Corte di Cassazione, S.U. civili, sentenza 24 ottobre n. 22609
Pag. 40
Decreto PA: le novità di interesse per enti locali e società partecipate
Legge 114/2014, di conversione del d.l. 90/2014
Pag. 42
Società: i vincoli assunzionali a seguito della legge di conversione del d.l.
66/2014
Pag. 55
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Le società pubbliche possono fallire
Tribunale Pescara, Decreto 14 gennaio 2014
Pag. 57
Il consigliere non può accedere agli atti della partecipata in piccola quota
Pag. 59
Società pubbliche: se svolgono attività d’impresa non sono soggette alla
Corte dei Conti
Corte dei conti, III sez. giur. centrale d'appello, sent. 546/2013
Pag. 59
Scioglimento consorzio e personale: non è automatico il reinserimento
negli organici della p.a.
Corte dei Conti, sez. controllo Piemonte, deliberazione. 295/2013
Pag. 61
Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta
all'assemblea
Quotidiano del Sole24ore Entilocali & Pa
L'agenzia regionale non può assorbire il personale della società in house
Quotidiano del Sole24ore Entilocali & Pa
Partecipate: la revoca dei vertici non è un atto amministrativo
Sole24Ore 26 gennaio 2015
Competenza del giudice amministrativo in caso di nuove assunzioni
Azienditalia 6-14
Il Comune non può costituire una fondazione per ricerca di finanziamenti
Azienditalia 6-14
La Spa può diventare azienda speciale
Sole24Ore 3 febbraio 2014
Società pubbliche revoca del Cda
Diritto e Pratica amministrativa 11/12-13
La mancata fiducia non è giusta causa per revocare il Cda
Sole24Ore 11 novembre 2013
Revoca del consiglio di amministrazione delle società pubbliche
Azieditalia 12-13
ALL. I
ALL. II
ALL. III
ALL. IV
ALL. V
ALL. VI
ALL. VII
ALL. VIII
ALL. IX
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Legge stabilità 2016: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati
Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge Stabilità 2016)
di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti
La Legge di stabilità 2016, legge n. 208/2015, pubblicata sulla G.U. n. 302 del 30
dicembre 2015, ha previsto numerose novità in materia di:
 Organismi partecipati
Commi 672/674 – Limiti ai compensi delle società a controllo pubblico
Entro il 30 aprile 2016, il Ministro dell’economia e delle finanze dovrà definire, con
proprio decreto, indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare
fino a cinque fasce per la classificazione delle società direttamente o indirettamente
controllate dallo Stato e dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (tra
cui regioni, province e comuni), ad esclusione delle società emittenti strumenti
finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate.
Per ciascuna fascia sarà determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi
erogabili agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque
eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e
assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario (tenuto conto anche dei
compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni).
Il rispetto di tale limite dovrà essere verificato da parte dei consigli di amministrazione
delle società.
Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono
limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal nuovo decreto.
Fino all’entrata in vigore delle nuove regole, restano validi i tetti attuali previsti dal
D.M. 24 dicembre 2013, n. 166 (Regolamento relativo ai compensi per gli amministratori con
deleghe delle società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo
23-bis del decreti-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
dicembre 2011, n. 241).
Una volta adottato il nuovo decreto, devono ritenersi abrogati i commi 5-bis e 5-ter
dell’articolo 23-bis del d.l. 201/2011.
Commi 675/676 – Obblighi di informazione a carico delle società controllate
Le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato e dalle p.a. di cui
all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (tra cui regioni, province e comuni), nonché
le società in regime di amministrazione straordinaria, ad esclusione delle società
emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate
devono pubblicare – in caso di conferimento di incarichi di collaborazione o di
consulenza o professionali – il tipo di procedura seguito per la selezione del contraente
e il numero di partecipanti alla procedura.
Dovranno essere pubblicate, entro 30 giorni dal conferimento dell’incarico e fino ai due
anni successivi alla cessazione, le seguenti informazioni:
a) gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico, l'oggetto della prestazione, la
ragione dell'incarico e la durata;
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b) il curriculum vitae;
c) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di
collaborazione, nonché agli incarichi professionali, inclusi quelli arbitrali;
d) il tipo di procedura seguita per la selezione del contraente e il numero di
partecipanti alla procedura.
La pubblicazioni di tali informazioni è condizione di efficacia per il pagamento del
relativo compenso.
In caso di omessa o parziale pubblicazione, il soggetto responsabile della
pubblicazione ed il soggetto che ha effettuato il pagamento sono soggetti ad una
sanzione pari alla somma corrisposta.
__________________________
Società partecipate: le novità contenute nel decreto di riforma Madia
E’ stato pubblicato lo schema di decreto discusso dal Consiglio dei Ministri negli
scorsi giorni in materia di società partecipate.
Numerose le novità per gli enti locali che detengono partecipazioni in società di
capitali, tra cui l’obbligo di sottoporre a forme di consultazione pubblica lo schema di
deliberazione consiliare in caso di acquisizione di nuove partecipazioni e di inviare tale
atto alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.
L’articolo 5 dello schema di decreto prevede, infatti, esempio che nel caso in cui l’ente
locale intenda acquisire una nuova partecipazione societaria, debba prima
dell’approvazione non solo sottoporre lo schema dell’atto a forme di consultazione
pubblica, ma inviarlo anche alla Corte dei Conti, sez. controllo, che potrà formulare
rilievi o richieste di chiarimenti.
La delibera consiliare dovrà quindi indicare gli eventuali rilievi presentati dalla Corte e
conseguentemente fornire motivazioni in merito.
All’articolo 20 sono state dettate le regole per la dismissione delle partecipazioni in
essere, prevedendo che gli enti debbano annualmente (entro il 31 dicembre di ciascun
anno) predisporre un piano di riassetto delle loro partecipazioni per la
razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o
cessione.
I piani di razionalizzazione, corredati da un'apposita relazione tecnica, con indicazione
di modalità e tempi di attuazione, devono essere adottati laddove l’ente abbia
partecipazioni societarie che, tra l’altro:
 non svolgano servizi di interesse generale, né siano strettamente connessi alle
finalità istituzionali;
 siano prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a
quello dei dipendenti;
 svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate
o da enti pubblici strumentali;
 nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore
a un milione di euro;
 siano diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio di interesse
generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque
esercizi precedenti.
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Inoltre, lo schema prevede che gli amministratori delle partecipate siano soggetti alla
legislazione del giudice ordinario “salvo il caso di danno erariale”.
Il danno erariale (è specificato) è solo quello subito dagli enti partecipanti.
In pratica, i magistrati contabili potranno chiedere all'amministratore infedele di
risarcire le finanze pubbliche quando i suoi comportamenti causino danno
direttamente ai bilanci degli enti proprietari, mentre le vigenti disposizioni, anche in
base alla giurisprudenza della Cassazione, prevedono che le società pubbliche titolari
di affidamenti diretti siano trattate come p.a. perché gestiscono soldi pubblici e quindi
sono automaticamente soggette agli stessi controlli.
___________________________
La mancata vigilanza sulle partecipazioni societarie si configura come danno erariale
I comuni sono tenuti a provvedere, indipendentemente dalla consistenza più o meno
ampia della propria partecipazione azionaria, ad un effettivo monitoraggio
sull’andamento delle società partecipate, al fine di prevenire fenomeni patologici e
ricadute negative sul bilancio dell’ente.
Si ricorda, infatti, che per consolidato orientamento della giurisprudenza contabile,
dalla trasgressione di questi obblighi e dal perdurare di scelte del tutto irrazionali e
antieconomiche, può scaturire una responsabilità per danno erariale dei pubblici
amministratori.
Questo quanto evidenziato dalla Corte dei Conti, sez. Veneto, nella deliberazione n.
529 depositata il 20 novembre 2015.
Il legislatore nazionale, nel corso degli ultimi anni, ha introdotto vari vincoli ed
obblighi in materia di società partecipate, al fine di limitare le ricadute negative sui
bilanci pubblici derivanti dalle perdite, talvolta reiterate, registrate dalle società
partecipate da enti pubblici.
In tale orizzonte normativo si pongono varie disposizioni, tra le quali l’articolo 3,
commi 27, 28, 29 della legge 244/2007 e l’articolo 1, comma 569, della legge 147/2013
(oltre ad altre, poi abrogate dalla legge 147/2013).
Da ultimo, l’articolo 1, comma 611, della legge 190/2014 (legge di stabilità per il 2015),
ha introdotto nuove disposizioni in materia di società partecipate.
Nello specifico è stato imposto l’avvio di un processo di razionalizzazione delle società
e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, tale da
consentire, entro il 31 dicembre 2015, la riduzione degli oneri, il miglioramento in
termini di economicità ed efficienza, ovvero la cessione di quelle non coerenti con il
perseguimento delle finalità dell’ente interessato.
Il richiamato iter di razionalizzazione deve tener conto, in base alla norma, di
predeterminati criteri, ovvero:
a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al
perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in
liquidazione o cessione;
b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un
numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività
analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici
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strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle
funzioni;
d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione
degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché
attraverso la riduzione delle relative remunerazioni.
A chiusura del processo di razionalizzazione, i legali rappresentanti degli enti
dovranno predisporre, entro il 31 marzo 2016, una relazione sui risultati conseguiti, che
dovrà poi essere trasmessa alla competente Sezione regionale di controllo della Corte
dei conti, nonché pubblicata nel sito internet dell’amministrazione interessata.
Ciò a ribadire che l’intera durata della partecipazione deve essere accompagnata dal
diligente esercizio di quei compiti di vigilanza (es., sul corretto funzionamento degli
organi, sull'adempimento degli obblighi contrattuali), d’indirizzo (es., attraverso la
determinazione degli obiettivi di fondo e delle scelte strategiche) e di controllo (es.,
sotto l'aspetto dell'analisi economico finanziaria dei documenti di bilancio) che la
natura pubblica del servizio (e delle correlate risorse), e la qualità di socio comportano.
La partecipazione legittima in organismi societari, che svolgono attività “strettamente
necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”, richiede, in sostanza, una
valutazione in ordine alla stretta strumentalità del negozio societario rispetto ai fini
istituzionali dell’ente.
Inoltre, in occasione della delibera ricognitiva delle partecipazioni, l’amministrazione
deve valutare non solo i presupposti di legge per il mantenimento delle stesse, bensì
anche verificare se l’andamento complessivo della gestione sia conforme ai criteri di
economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa condotta secondo
schemi di diritto civile.
In definitiva, l’ente è tenuto ad effettuare approfondite valutazioni in merito alla
coerenza dell’attività societaria. Ciò, rispetto:
- alla missione istituzionale dell’ente;
- all’effettiva produzione di servizi di interesse generale, nonché in merito a
relativi costi/benefici;
- all’appropriatezza del modulo gestionale;
- alla comparazione con i vantaggio/svantaggi e con i risparmi/costi/risultati
offerti da possibili moduli alternativi;
- alla capacità della gestione di perseguire in modo efficace, economico e
efficiente, in un’ottica di lungo periodo, i risultati assegnati, anche in termini di
promozione economica e sociale.
Soprattutto in presenza di gestioni connotate da risultati negativi, l’ente è tenuto a
mantenere un costante, attento e prudente monitoraggio sull’andamento economico
della società, anche al fine di valutare la permanenza di quelle condizioni di natura
tecnica e/o economica nonché di sostenibilità politico-sociale che giustificano a monte
la scelta di svolgere il servizio e di farlo attraverso moduli privatistici.
La decisione partecipativa, dalla prima assunzione alle successive scelte strategiche,
presuppone in capo all’ente locale una prodromica valutazione in termini di efficacia
ed economicità, quali corollari del buon andamento dell’azione amministrativa ex
articolo 97 della Costituzione.
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Non si può inoltre prescindere da un costante e attento monitoraggio in ordine
all'effettiva permanenza dei presupposti valutativi che hanno determinato la scelta
partecipativa iniziale, nonché da tempestivi interventi correttivi in relazione ad
eventuali mutamenti che interessino, nel corso della vita della società, gli elementi
valutati in origine.
Emergono, quindi, per le amministrazioni pubbliche controllanti importanti obblighi e
adempimenti per mettere a punto idonei strumenti di corporate governance.
A tal fine, come evidenziato dai magistrati contabili, è necessario prestare particolare
attenzione allo sviluppo di strutture organizzative e di professionalità interne capaci di
supportare efficacemente gli organi di governo nel monitoraggio delle società
partecipate.
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Il recesso degli enti locali dalle società di capitali
a cura di Studio Commerciale Associato Boldrini Rimini
Dott. Roberto Camporesi, Dott.ssa Annalisa Galanti
1. L’istituto del recesso societario previsto per le società di capitali dal Codice
Civile dopo la riforma del 2003
Il diritto di recesso del socio è un istituto generale previsto dal Codice Civile che si
sostanza in un atto unilaterale recettizio tramite il quale un socio esercita il proprio
diritto in merito allo scioglimento del rapporto sociale. Tale potere si esercita mediante
una dichiarazione negoziale che tuttavia non ha autonoma efficacia, ma è appunto
recettizia, ovvero deve pervenire all’altra parte al fine di produrre i propri effetti1.
La ratio dell’istituto, profondamente riformato ad opera del D. Lgs. 6/2003, può essere
ravvisata nella tutela della minoranza societaria. Essendo infatti l’azione deliberativa
della società permeata sul principio maggioritario, si delinea un’inevitabile prevalenza
dell’interesse del gruppo rispetto all’interesse del singolo azionista. Il favor legislativo,
mediante l’adozione delle deliberazioni a maggioranza, ha difatti privilegiato la
stabilità societaria, nonchè l’efficienza ed il funzionamento dell’organo assembleare,
determinando tuttavia al contempo una penalizzazione per i soci di minoranza.
Pertanto, in tale contesto normativo, il diritto di recesso del socio può essere
interpretato come un istituto posto a tutela della minoranza della compagine sociale
che, in presenza di particolari delibere modificative o di peculiari situazioni in cui
versa la società, può esercitare il proprio diritto relativamente allo scioglimento del
rapporto sociale e alla conseguente liquidazione della propria quota o azioni.
2. Le cause di recesso: cenni
I confini del diritto di recesso sono stati notevolmente ampliati dalla riforma del 2003.
La previgente disciplina prevedeva infatti solamente tre cause di recesso, ovvero il
cambiamento dell’oggetto sociale, la trasformazione e il trasferimento della sede
sociale all’estero. L’articolo 2437 del C.C. per le S.p.a. e l’articolo 2473 C.C. per le S.r.l.
espandono il novero delle circostanze che consentono il recesso, che possono ora essere
Tribunale di Milano 5.3.2007 “Il recesso del socio rappresenta l'esercizio di un atto unilaterale recettizio e, come
tale, non è revocabile, né assoggettabile a condizione (nella fattispecie: la condizione che la quota del socio sia
liquidata ad un determinato prezzo), sia perché l'oggetto economico dell'atto di recesso non è soggetto a trattativa,
sia perché la valutazione della quota va effettuata secondo un criterio predeterminato, rapportato al valore del
patrimonio e alle prospettive reddituali dell'impresa gestita dalla società”.
1
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suddivise in cause legali inderogabili, cause legali derogabili per espressa previsione
statutaria e cause convenzionali espressamente stabilite dallo statuto.
Tipologia
Soggetti
che
Derogabilità
societaria
possono recedere
1. Ipotesi di recesso a seguito di decisioni prese dai soci tramite delibera assembleare
Modifica
della
clausola
dell’oggetto sociale quando
consente
un
cambiamento
significativo dell’attività della
società
Trasformazione della società
Trasferimento della sede sociale
S.p.a.; S.a.p.a.;
all’estero
Inderogabile
S.r.l.
Revoca
dello
stato
di
liquidazione
Eliminazione di una o più cause
di recesso previste dallo statuto,
in aggiunta a quelle disposte per
legge
Introduzione o soppressione di
clausole compromissorie
Modifica
dei
criteri
di
determinazione
del
valore
Soci dissenzienti,
dell’azione in caso di recesso
assenti o astenuti
Inderogabile
dalla delibera che
Modificazioni
dello statuto
fa sorgere il diritto
concernenti i diritti di voto o di S.p.a.; S.a.p.a.;
di recesso
partecipazione
Cause di recesso
Proroga del termine di durata
della società
Introduzione o rimozione di
vincoli alla circolazione dei titoli
azionari
Delibera di fusione o scissione
della società
Compimento di operazioni che
comportano una sostanziale
modifica dei diritti particolari
attribuiti ai soci riguardanti Solo S.r.l.
l’amministrazione
o
la
distribuzione degli utili
Compimento di operazioni che
comportano una sostanziale
modifica dei diritti particolari
attribuiti ai soci riguardanti
Derogabile dallo
statuto
Inderogabile
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l’amministrazione
o
la
distribuzione degli utili
Delibere particolari per le Società soggette
società soggette ad attività di ad attività di
Inderogabile
direzione e coordinamento
direzione
e
coordinamento
2. Ipotesi di recesso previste dall’atto costitutivo
Cause di recesso previste dallo Solo società che
statuto
non
fanno
ricorso
al
/
mercato
del
capitale
di
rischio
3. Situazioni relative alla società
Società
con
durata
Solo società non
indeterminata o non specificata
Inderogabile
quotate
Conferimento di beni in natura
o crediti e in sede di revisione
della relazione di stima risulta S.p.a.; S.a.p.a.;
che il loro valore è inferiore di
oltre 1/5 a quello per cui
avviene il conferimento
Inderogabile
Socio che si trova
nelle
situazioni
descritte
dallo
statuto
Ogni socio con un
preavviso di 180
giorni
Socio conferente
3. La procedura di recesso per le società per azioni e per quelle a responsabilità
limitata
Nelle società per azioni, la volontà del socio di sciogliere il rapporto sociale deve essere
comunicata, mediante lettera raccomandata alla società, entro 15 giorni dall’iscrizione
della delibera nel registro delle imprese, qualora il recesso sia legittimato da una
delibera assembleare ed entro 30 giorni dalla sua conoscenza da parte del socio in tutti
gli altri casi 2 . Se, infine, il recesso avviene a seguito di costituzione a tempo
indeterminato della società, tale diritto può essere esercitato con un preavviso di 180
giorni purché la società non sia quotata in un mercato regolamentato. Per la corretta
osservazione di tali termini temporali, l’art 2437 bis riformulato, sancisce
espressamente che si deve fare riferimento alla data di spedizione della raccomandata
e non a quella del ricevimento della stessa da parte della società.
Il perfezionamento del diritto di recesso si ha, invece, con la ricezione da parte della
società della suddetta comunicazione, essendo infatti la dichiarazione di recesso un
atto unilaterale recettizio, è solamente a seguito dell’avvenuta conoscenza della volontà
del socio recedente ad opera della controparte che si producono gli effetti giuridici.
Pertanto, da tale momento, le azioni recedute divengono incedibili e devono essere
depositate presso la sede sociale, tuttavia, il socio, anche se receduto, non perde
Si segnala tuttavia che in deroga a quanto stabilito nell’art. 2437 bis, il termine per l’esercizio del diritto di recesso
in caso di deliberazione che introduca una clausola compromissoria statutaria è di 90 giorni.
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immediatamente la sua qualifica e rimane tale fino a che la società non porta a
compimento l’operazione di liquidazione delle azioni. La società diviene dunque
obbligata al rimborso delle azioni al quale può sottrarsi solo ed unicamente se revoca la
delibera che legittima il recesso entro novanta giorni dal suo perfezionamento.
Affinché gli effetti del recesso si producano anche nei confronti dei terzi, sarà
necessario che il recesso sia reso pubblico mediante iscrizione della delibera presso il
registro delle imprese. Solamente da tale momento infatti, il socio receduto non
risponderà più delle obbligazioni sociali verso i terzi.
La procedura di recesso per le società a responsabilità limitata è invece caratterizzata
da un silenzio normativo in merito alle modalità ed ai termini da osservare. Autorevole
dottrina 3 ha dunque ritenuto che ci si debba rifare alle disposizioni statutarie,
formulate secondo la disciplina delle S.p.a. alla quale si ricorre in via analogica. L’unica
norma di carattere procedurale prevista dall’art. 2473 del C.C. riguarda il termine entro
il quale deve essere effettuato il rimborso delle partecipazioni per le quali è stato
esercitato il diritto di recesso che viene stabilito in centottanta giorni, decorrenti dalla
comunicazione di recesso del socio.
Le azioni o quote del socio che recede devono essere innanzitutto offerte in opzione
agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione al capitale sociale. Se nessuno dei
soci è interessato all’acquisto, per le S.p.a., le azioni non acquistate potranno essere
collocate sul mercato, mentre per le S.r.l. le quote potranno essere offerte ad un terzo
concordemente individuato dai soci medesimi. Se neppure la procedura di
collocamento presso terzi ha esito favorevole, sarà la stessa società a doversi fare carico
delle azioni o quote recedute secondo una procedura che differisce in base alla
tipologia societaria considerata. Per le S.p.a., le azioni saranno acquistate dalla società
medesima, rispettando il limite delle riserve disponibili e degli utili disponibili, in
assenza dei quali sarà necessario convocare l’assemblea straordinaria per deliberare la
riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società. Per le S.r.l., invece, poiché
per tale fattispecie societaria vige un divieto assoluto in merito all’acquisto di azioni
proprie, il rimborso delle quote recedute verrà effettuato utilizzando riserve
disponibili. L’immediata conseguenza sarà quindi un proporzionale accrescimento
delle quote dei soci superstiti (si delinea, quindi, un risultato assimilabile all’acquisto
proporzionale della quota da parte dei soci medesimi). In mancanza di riserve
disponibili si dovrà inevitabilmente procedere alla riduzione del capitale sociale o allo
scioglimento della società.
4. Criteri per la determinazione del valore delle azioni o quote recedute
La riforma del 2003 ha apportato sostanziali modifiche anche alla determinazione del
valore delle azioni o quote per le quali è stato esercitato il diritto di recesso.
Per le S.p.a. non quotate, tale valore non viene più quantificato sulla base del
patrimonio netto risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio, ma viene determinato
dagli amministratori, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue
prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni, purchè lo
statuto non abbia disposto diversamente. Questa riformulazione dell’art 2437 ter, come
enunciato nella relazione accompagnatoria del D. Lgs. 3/2006, ha quindi determinato
3
Massima del Comitato Notarile del Triveneto 2004 I.H.2
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la “non vincolabilità dei dati contabili ponendo l’accento sulle prospettive reddituali come
elemento correttivo della situazione patrimoniale”.
Dalla lettura dell’art. 2437 ter emergono, in particolare, tre differenti ed alternativi
criteri di valutazione ai quali gli amministratori dovranno obbligatoriamente attenersi
nel seguente ordine: innanzitutto un criterio statutario, se infatti lo statuto preveda
esplicite modalità di determinazione del valore delle azioni in caso di recesso
bisognerà osservare tali disposizioni statutarie nel determinare il valore delle azioni da
rimborsare; in assenza di espresse previsioni dello statuto, ci si dovrà rifare al criterio
legale enunciato nell’art. 2437 ter il quale tiene conto tanto della consistenza
patrimoniale della società quanto delle sue prospettive reddituali, nonché
dell’eventuale valore di mercato delle azioni4. In caso di disaccordo in merito al valore
così determinato sarà necessario ricorrere al terzo ed ultimo criterio fondato
sull’arbitrium boni viri di un esperto nominato dal Tribunale.
Gli amministratori, una volta quantificato il valore delle azioni da rimborsare, hanno
l’obbligo di chiedere un parere in merito ai criteri di valutazione al collegio sindacale e
al soggetto incaricato della revisione legale dei conti. Tuttavia, tale parere non è
vincolante in quanto gli amministratori possono non osservarlo dandone adeguata
motivazione nella relazione informativa che devono obbligatoriamente redigere al fine
di esporre le modalità di determinazione del valore delle quote da liquidare. In caso di
mancata informativa ai soci, difatti, è possibile ravvisare un difetto di procedimento
della deliberazione che pertanto diviene annullabile5.
Il valore delle azioni recedute deve essere comunicato, almeno 15 giorni prima
dell’assemblea relativa alla delibera di recesso, ai soci recedenti i quali possono, in caso
di disaccordo, contestare il valore di liquidazione che verrà così determinato da una
relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale.
Nelle società con azioni quotate, invece, fino alla modifica introdotta dall’art. 20
comma 3 del D.L. 91/2014, il valore di liquidazione delle azioni recedute veniva
determinato facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura
nei sei mesi che precedono la convocazione dell’assemblea. A seguito della novità
legislativa, si prevede che il valore di liquidazione possa essere determinato, oltre che
sulla base della previgente disposizione normativa, anche secondo il criterio statutario
o legale sopra descritti, purché, dall’applicazione di questi ultimi, non emerga un
valore inferiore rispetto a quello che si avrebbe calcolando la media aritmetica dei
prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti.
Infine, per le S.r.l. il valore di liquidazione viene determinato, ex art. 2473, in
proporzione al valore di mercato del patrimonio sociale al momento della
dichiarazione di recesso. La prassi prevede quindi che gli amministratori redigano una
situazione patrimoniale straordinaria dalla quale deve emergere il valore di mercato
del patrimonio riferito al momento della comunicazione del recesso. Quest’ultimo
verrà determinato sulla base dei criteri di valutazione previsti dalla dottrina aziendale
ed, in particolare, utilizzando il modello valutativo che risulterà più idoneo rispetto
alle caratteristiche della società, al settore in cui essa opera ed alla composizione del
Il valore di mercato delle azioni potrà essere desunto, qualora vi siano state transazioni recenti, dal prezzo di
cessione delle suddette azioni o, in alternativa, dal valore di mercato di imprese con caratteristiche analoghe ed
operati nel medesimo settore.
5 Tribunale di Milano 30.4.2008
4
14
suo patrimonio 6 . In caso di disaccordo la relazione viene redatta da un esperto
nominato dal Tribunale.
La valutazione della quota da liquidare si basa dunque sul valore effettivo della società
e non su quello legale risultante dal bilancio di esercizio, facendo sì che il valore di
liquidazione della partecipazione risulti il più aderente possibile al suo valore di
mercato.
Tali conclusioni devono tuttavia essere verificate per la liquidazione delle quote di
partecipazioni di società degli enti locali in quanto la formazione del patrimonio
sociale può essere avvenuta con contributi o finanziamenti pubblici o con conferimenti
di reti, impianti e dotazioni patrimoniali del demanio comunale o comunque asserviti
a pubblico servizio come in appresso precisato.
5. La dismissione delle società a partecipazione locale
Molteplici e frammentari sono stati i recenti interventi legislativi volti a regolare il
fenomeno delle società partecipate dagli enti pubblici, finalizzati al perseguimento di
una progressiva riduzione di tali partecipazioni societarie.
In tal senso opera infatti l’art. 3 della legge 244/2007 che testualmente recita:
“27. Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono
costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente
necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ne' assumere o mantenere
direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E' sempre ammessa la
costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di
committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di
lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163, e l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'ambito dei rispettivi
livelli di competenza.
28. L'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere
autorizzati dall'organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei
presupposti di cui al comma 27. La delibera di cui al presente comma è trasmessa alla sezione
competente della Corte dei conti.
29. Entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le
partecipazioni vietate ai sensi del comma 27. (…)”
La ratio della norma è chiaramente desumibile dalla sentenza n. 148/2009 della Corte
Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla norma per presunta eccezione di
incostituzionalità richiesta da una Regione: “lo scopo delle norme censurate, le quali, in
considerazione del loro contenuto, sono appunto dirette ad evitare che soggetti dotati di privilegi
svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il
perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero per la produzione di servizi di interesse
generale (casi compiutamente identificati dal citato art. 3, comma 27), al fine di eliminare
eventuali distorsioni della concorrenza, quindi sono preordinate a scongiurare una commistione
6
Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti, “La valutazione della partecipazione del socio recedente”
15
che il legislatore statale ha reputato pregiudizievole della concorrenza (sentenza n. 326 del
2008).
Sulla base del più recente arresto giurisprudenziale si deduce che: “ l’art. 3 comma 27
della legge 244/2007, che non si limita a regolare le società strumentali, o a ricondurle nello
schema dell’affidamento in house, ma vieta agli enti pubblici di assumere o conservare
partecipazioni azionarie quando le stesse non siano strettamente necessarie per il perseguimento
delle finalità istituzionali. Così impostata, la norma ha un’estensione molto ampia, e può essere
riferita a tutte le società partecipate, comprese quelle che si occupano di servizi di interesse
generale (ossia di servizi pubblici). La specificazione che segue immediatamente, ossia l’inciso
sull’ammissibilità delle partecipazioni in società che producono servizi di interesse generale,
individua una facoltà, non un obbligo. In altri termini, la norma pone un principio (la
tendenziale coincidenza tra partecipazioni azionarie e funzioni istituzionali), ma quando si
tratta di servizi pubblici lascia alle singole amministrazioni ogni valutazione circa l’estensione
dei rispettivi interessi istituzionali, con il solo limite che non vengano superati i livelli di
competenza stabiliti dalla legge” (TAR Lombardia sezione Brescia sez. I, 13/10/2015 n.
1305).
Si deve concludere che le amministrazioni locali sono legittimate a detenere
partecipazioni in società di capitali unicamente nel caso in cui queste abbiano ad
oggetto: (i) la produzione di beni servizi strettamente necessari al perseguimento del
fine istituzionale dell’ente stesso; (ii) nel caso in cui la società abbia ad oggetto la
produzione di servizi di interesse generale e nei livelli di competenza degli enti locali
(rectius servizi pubblici locali). Per servizi pubblici di interesse generale deve intendersi
l’attività che, per le sue caratteristiche oggettive, riguarda un interesse diffuso nella
collettività alla continuità di tali prestazioni, alla loro effettività ed alla loro qualità
minima. Nella categoria dei servizi pubblici di interesse generale vi rientrano i servizi
pubblici locali (cfr., da ultimo, Corte dei Conti, sez. Lombardia, parere n. 506 del 27
novembre 2012). Sul punto, inoltre, si osserva che l’art. 1 della direttiva 2006/123/CE e
l’art. 14 del TFUE rimettono agli Stati membri il compito di definire, in conformità del
diritto comunitario, quali essi ritengano essere servizi d’interesse economico generale
ed in che modo essi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole
sugli aiuti concessi dagli Stati, ed a quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti.
L’espressione “servizi di interesse generale” non è presente nel trattato, ma è derivata
nella prassi comunitaria dall’espressione “servizi di interesse economico generale” che
invece è utilizzata nel trattato. E’ un’espressione più ampia di “servizi di interesse
economico generale” e riguarda sia i servizi di mercato che quelli non di mercato che le
autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi
di servizio pubblico. (cfr. Libro Verde sui servizi di interesse generale, Commissione
della Comunità Europea COM/2003/270)7.
7 Le nuove discipline dei servizi pubblici - Libro dell'anno del Diritto 2013 (2013) di Giuseppe Caia
Nella materia dei servizi pubblici si registra una costante attenzione delle istituzioni comunitarie. Sul piano
nazionale si segnala la scelta del legislatore italiano di consolidare la regolazione attribuendo le relative competenze
ad apposite Autorità ma anche una persistente incertezza sulla disciplina dei servizi pubblici locali (nonostante gli
sforzi del legislatore).
(……)
1.
La ricognizione
Le novità intervenute e da registrare riguardano gli atti europei, le nuove norme nazionali e le posizioni della
giurisprudenza sui servizi pubblici.
1.1
I servizi di interesse generale negli atti comunitari
La locuzione «servizi pubblici» e l’istituto giuridico che essa identifica sono tipici dell’ordinamento italiano ed
oggetto di ripetuti approfondimenti e di un dibattito non ancora pervenuto a risultati stabili1. Nel diritto
16
Per quanto attiene invece la definizione di servizi strumentali si deve fare riferimento a
due concetti distinti: da un lato un rapporto bilaterale fra il Comune e la società che si
connatura come un rapporto di appalto e non di concessione e dall’altro lato la
configurazione della società, e non del singolo servizio svolto, come strumentale.
In tale senso: “….. le società strumentali costituiscono una longa manus delle amministrazioni
pubbliche, operando essenzialmente per queste ultime e non già per la collettività, il che spiega
la deroga ai principi di concorrenza, non discriminazione e trasparenza, poiché il divieto di cui
all'art. 13 in parola discende non tanto dalla partecipazione delle amministrazioni pubbliche al
capitale delle società predette, ma dall'elemento oggettivo della strumentalità, che fa di questo
tipo di persone giuridiche null'altro che una naturale proiezione delle amministrazioni
costituenti o partecipanti (Cons. Stato, V, 10 settembre 2010, n. 6527; id., 5 marzo 2010, n.
1282; id., 22 febbraio 2010, n. 1037; id., 16 gennaio 2009, n. 215; id., 14 aprile 2008, n. 1600).
Ciò posto e ricordato ancora che la qualificazione differenziale tra attività strumentale e gestione
dei servizi pubblici deve essere riferita non all'oggetto della gara, bensì all'oggetto sociale delle
imprese partecipanti ad essa, atteso che il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti,
colpisce le società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano
attività amministrativa in forma privatistica, non anche le società destinate a gestire servizi
pubblici locali che esercitano attività d'impresa di enti pubblici (Cons. St., sez. V, 29 dicembre
2011, n. 6974), le stesse deduzioni dell’appellante, secondo cui Te. Am. Teramo Ambiente
S.p.A. svolge effettivamente anche servizi pubblici (come del resto confermata anche dalla
certificazione della Camera di Commercio), esclude in radice che essa possa essere considerata
una mera società strumentale del Comune di Teramo e che possa svolgere attività solo per
comunitario, viene impiegata la più ampia locuzione «servizi di interesse generale»2; in particolare, le istituzioni
europee, muovendo dall’art. 14 del TFUE3 hanno formulato i seguenti concetti base, ricavabili soprattutto dalle
comunicazioni della Commissione:
Servizi di interesse generale (SIG): i SIG sono servizi che le Autorità pubbliche degli Stati membri considerano di
interesse generale e pertanto sono oggetto di specifici obblighi di servizio pubblico (OSP). Il termine riguarda sia le
attività economiche che i servizi non economici. Questi ultimi non sono soggetti ad una normativa UE specifica né
alle norme del Trattato in materia di mercato interno e concorrenza.
Servizi di interesse economico generale (SIEG): i SIEG sono attività economiche i cui risultati contribuiscono
all’interesse pubblico generale e che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento statale o sarebbero svolte
a condizioni differenti in termini di qualità, sicurezza, accessibilità economica, parità di trattamento o accesso
universale.
Servizi sociali di interesse generale (SSIG): comprendono i regimi di sicurezza sociale che coprono i rischi
fondamentali dell’esistenza e una gamma di altri servizi essenziali forniti direttamente al cittadino con un ruolo
preventivo e di coesione/inclusione sociale.
Obbligo di servizio universale (OSU): gli OSU sono un tipo di OSP con i quali si stabiliscono le condizioni per
assicurare che taluni servizi vengano messi a disposizioni di tutti i consumatori e utenti di uno Stato membro, a
prescindere dalla loro localizzazione geografica, a un determinato livello di qualità e, tenendo conto delle
circostanze nazionali, ad un prezzo abbordabile. La definizione di OSU specifici è stabilita a livello europeo come
componente essenziale della liberalizzazione del mercato nel settore dei servizi, quali le telecomunicazioni, i servizi
postali e i trasporti.
Servizio pubblico: a livello europeo si ritiene che questa locuzione presenti ambiguità. Pertanto, si ritiene
preferibile utilizzare la terminologia “servizio di interesse generale” e “servizio di interesse economico generale”,
che peraltro ricomprendono il servizio pubblico in senso proprio.
Da segnalare la Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di
aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale 2012/C 8/02
dell’11.1.2012. Taluni SIEG possono essere forniti da imprese pubbliche o private senza ricevere un sostegno
finanziario specifico dalle Autorità degli Stati membri; altri servizi possono invece essere prestati solo se le Autorità
offrono una compensazione finanziaria al gestore. In assenza di norme specifiche dell’Unione, gli Stati membri
hanno in genere la facoltà di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento dei loro SIEG. In
relazione a ciò, la Comunicazione delinea le condizioni da rispettare affinché le compensazioni degli obblighi di
servizio pubblico non costituiscano aiuti di Stato.
É poi in corso l’esame della nuova proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione
dei contratti di concessione del 20.12.2011 - COM (2011)897 def. Si disciplinano i presupposti e le procedure per le
concessioni di servizi e i limiti in cui sono ammesse le gestioni in house providing. Nulla si prevede per il modello
del partenariato pubblico privato (società miste), lasciando dunque aperto il problema della identità o meno di
regime rispetto alle concessioni.
17
quest’ultimo ente, circostanza che sola avrebbe potuto determinare l’illegittimità della sua
partecipazione per violazione della normativa invocata. (CDS sez. V sent n. 257/2015).
Il dato che è emerso con chiarezza è che nonostante gli enti locali abbiano provveduto
nel termine del 31.12.2010 ad effettuare la ricognizione delle società detenibili, con
riferimento alle società ritenute non più detenibili, le procedure di evidenza pubblica
per la vendita hanno dato esiti del tutto infausti.
Né gli altri istituti propri del diritto commerciale per ottenere l’exit del socio privato si
sono rilevati efficaci: si fa riferimento al recesso e all’anticipato scioglimento del
contratto sociale.
La norma è rimasta, nella maggior parte dei casi, inapplicabile.
Per ovviare a questo stato di empasse, il legislatore è intervenuto con una serie di norme
al fine di agevolare o favorire la fuoriuscita dalla società del socio ente locale.
6. Il regime speciale di exit dalle società a partecipazione pubblica locale
La prima norma emanata dal legislatore è stata il comma 569 bis dell’art. 1 della legge
147/2013, introdotto con il D.L. 78/2015 che recita:
“569. Il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre
2007, n. 244, e' prorogato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad
ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore
della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, del
codice civile.“
Con tale norma si è introdotto un nuovo regime di exit dalla società a partecipazione
pubblica che solo marginalmente può essere associato al diritto di recesso.
In primo luogo si sono riaperti i termini per effettuare la ricognizione delle società
partecipate discriminando la detenibilità secondo il disposto dell’art. 3 comma 27 della
legge 244/2007: termine portato al 31.12.2014. Entro tale data l’ente locale poteva
deliberare la detenibilità o meno della partecipazione in società. Emerge un doppio
effetto: da un lato la riapertura del termine ha avuto valenza di “sanatoria” a chi non
avesse adempiuto nei termini originari e dall’altro lato ha determinato la possibilità di
rivedere anche decisioni già assunte. La procedura indicata dalla legge prevede poi che
entro il termine riaperto debba procedersi anche al tentativo di vendita, con forme di
evidenza pubblica, come stabilisce anche lo stesso art. 3 comma 27 della legge
244/2007 (fase, peraltro, ritenuta indefettibile dalla Corte dei Conti sezione per il
controllo Marche 16/04/2014
deliberazione n. 25/2014/PAR). Vale la pena
evidenziare che se la delibera di dismissione della partecipazione fosse già stata
assunta a suo tempo e anche la procedura di vendita infruttuosa fosse anch’essa già
stata esperita allora i presupposti per l’applicazione della portata della norma sono già
perfezionati ora per allora.
Trattandosi di norma di carattere eccezionale, in quanto introduce un regime speciale
di exit dalla società, risulta necessario il rispetto della procedura presupposta per
rendere efficace la portata della norma stessa.
E’ l’effetto della norma che è del tutto innovativo in quanto si afferma che la
“partecipazione cessa ad ogni effetto” introducendo la cessazione automatica della
condizione di socio di società a fronte del quale, a compensazione della automatica
perdita di tutti i diritti di socio, rimane unicamente il diritto di credito alla liquidazione
della quota di partecipazione.
18
Liquidazione che deve avvenire secondo i criteri “stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo
comma, del codice civile.“, unico punto di contatto con il recesso del codice civile e dal
quale invece si discosta sia per la procedura che soprattutto per l’effetto. Infatti nel
recesso previsto dal codice civile non vi è una cessazione ex lege della partecipazione
ma un articolato procedimento, fra l’altro revocabile rimuovendo da parte degli altri
soci la causa che ha dato luogo al diritto di recesso, scandito da tempi e compiti fra
organi societari diversi ed infine con un esito differenziato ai fini patrimoniali. Infatti il
recesso può essere attuato con la vendita delle partecipazioni ai soci o terzi ovvero
riduzione di riserva ed infine riduzione di capitale.
L’elemento critico della norma è l’avere attribuito un automatismo alla cessazione “ad
ogni effetto”, come se decorso il termine di legge (31.12.2014), avendo esperito la
procedura di cui si è detto, anche contro la volontà dello stesso socio ente locale, egli
perde ( cessa ) la partecipazione senza più potere eccepire. Parimenti gli altri soci, la
società e gli amministratori della società sono del tutto impossibilitati ad intervenire
nel procedimento, se si esclude la determinazione del valore da liquidare, stante
l’automatismo di cui si è detto.
In merito alla norma, autorevole dottrina ha rilevato che la cessazione ad ogni effetto
significa che: “ l'amministrazione pubblica cessa di essere socia fin dal 31 dicembre 2014:
scaduto il termine finale, essa è ipso iure estromessa dall'organizzazione societaria e, medio
tempore, in attesa della liquidazione della quota, non conserva affatto i diritti sociali e le
eventuali prerogative attribuite dall'atto costitutivo (diversamente da quel che accade al socio
receduto). Per contro, scattano subito gli adempimenti pubblicitari che caratterizzano le
variazioni della compagine societaria: occorrerà procedere, per le Spa, all'annotazione a libro
soci e, per le Srl, all'iscrizione nel registro delle imprese della cessazione della partecipazione ex
articolo 1, comma 569 della legge 147/2013). La società, entro un anno dalla cessazione (quindi
entro il 31 dicembre 2015), deve procedere alla liquidazione della partecipazione «cessata» e, ai
fini della determinazione del valore, dovrà attenersi ai criteri indicati dall'articolo 2437-ter,
comma 2 del Codice civile (quindi in funzione della consistenza patrimoniale della società e delle
sue prospettive reddituali nonché dell'eventuale valore di mercato) da applicarsi – stabilisce il
comma 569 – sia alle Spa sia alle Srl.” ( Davide Di Russo - “Partecipate contra legem, così i
rimborsi all’ente socio dopo la “cessazione” in il Quotidiano enti locali PA de il sole 24 ore
del 18/2/2015).
Tale norma ha subito recentemente un intervento legislativo avente portata di norma
di interpretazione autentica.
E’ stato introdotto il comma 569 bis, da parte dell’art. 7 comma che recita: “569-bis. Le
disposizioni di cui al comma 569, relativamente alla cessazione della partecipazione societaria
non alienata entro il termine ivi indicato, si interpretano nel senso che esse non si
applicano agli enti che, ai sensi dell'articolo 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014,
n. 190, abbiano mantenuto la propria partecipazione, mediante approvazione di apposito piano
operativo di razionalizzazione, in società ed altri organismi aventi per oggetto attività di
produzione di beni e servizi indispensabili al perseguimento delle proprie finalità
istituzionali, anche solo limitatamente ad alcune attività o rami d'impresa, e che la
competenza relativa all'approvazione del provvedimento di cessazione della partecipazione
societaria appartiene, in ogni caso, all'assemblea dei soci. Qualunque delibera degli
organi amministrativi e di controllo interni alle società oggetto di partecipazione che si
ponga in contrasto con le determinazioni assunte e contenute nel piano operativo di
razionalizzazione e' nulla ed inefficace.”
19
In prima lettura si evidenzia che si tratta di norma di interpretazione autentica e quindi
con efficacia retroattiva, vale a dire a valere dal 1/01/2015 e cioè dal momento in cui la
norma avrebbe esplicato gli effetti dell’exit del socio privato .
In merito alla cessazione ex lege della partecipazione, si rileva che essa è stata eliminata
in quanto:
- non opera quando l’ente locale abbia deciso, nel piano di razionalizzazione delle
società partecipate, di mantenere la partecipazione in società ed altri organismi aventi
per oggetto attività di produzione di beni e servizi
indispensabili al
perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche solo limitatamente ad
alcune attività o rami d'impresa;
- è necessaria l’approvazione del provvedimento di cessazione da parte dell’assemblea
dei soci.
Non sfugge che diventa dirimente comprendere la portata della locuzione
“approvazione da parte dell’assemblea”. Soffermandosi al tenore letterale sembra che
l’assemblea debba esprimersi con le maggioranze statutarie perché deve assumere un
atto di volontà e non meramente di ratifica o di ricognizione.
Essa dunque ha potere di sindacare il merito della richiesta di recedere. Potrà pertanto
sindacare la corretta applicazione dell’art. 3 comma 27 L.F. 2008 nel senso che potrà
eventualmente eccepire che l’oggetto della società è conforma alla disposizione di
legge e quindi non può trovare applicazione la procedura speciale di exit prevista dalla
norma in discussione, fatto salvo l’eventuale exit secondo l’ordinaria disciplina del
recesso previsto per legge e per statuto.
L’assemblea potrebbe anche eccepire la scadenza dei termini o vizi di procedura.
Su altro piano si pone invece la valutazione degli effetti patrimoniali del recesso
quando eseguibile unicamente con la riduzione del capitale della società, allorché ciò
possa configurare un danno indiretto agli altri soci. In questo caso si verrebbe a
scontrare il diritto di recedere con il diritto degli altri soci a mantenere inalterato il
patrimonio sociale: la questione non può che trovare un giusto contemperamento nella
determinazione del valore economico della quota da liquidare .
Ne consegue quindi che solamente a seguito di opportuna delibera assembleare, la
partecipazione potrà considerarsi cessata ed il Comune recedente avrà diritto alla
liquidazione del valore delle azioni.
7. Primi arresti giurisprudenziali
Si registra il primo arresto giurisprudenziale sull’art. 1 comma 569 della Legge
147/2013 ed è del TAR Lombardia sezione Brescia sez. I, 13/10/2015 n. 1305 poiché la
società alla quale era stata rivolta la richiesta di recesso ha impugnato la deliberazione
del consiglio dell’ente che aveva stabilito che la partecipazione non era più detenibile e
quindi procedeva ad uscire dalla compagine invocando la norma in discussione.
Deve precisarsi però che il giudicato non ha tenuto conto della sopravvenuta
disposizione dell’art. 1 comma 569 bis la cui portata invece appare, come precisato
precedentemente, elemento decisivo.
Tuttavia sono da tenere presente alcune precisazioni del giudice amministrativo di
prime cure.
In primo luogo si afferma che la disposizione di carattere speciale in discussione
contenuta nell’art. 1 comma 569 si applica alle società a totale partecipazione pubblica
ed anche quelle ove partecipano privati.
20
In secondo luogo il giudice rileva che se il legislatore statale non impone direttamente
l'uscita degli enti pubblici dalle società che gestiscono servizi pubblici, non esprime
nemmeno una qualche opposizione a tale ipotesi, e certamente non costringe le pp.aa.
a rimanere prigioniere delle società partecipate. Una volta che l'ente pubblico,
esercitando la propria discrezionalità, abbia qualificato come non più strategica la
presenza nel capitale di società affidatarie di servizi pubblici, si verifica una situazione
equivalente al divieto di conservare partecipazioni azionarie estranee alle finalità
istituzionali. Tale affermazione del giudice andrebbe ora rivista alla luce degli effetti
dell’approvazione del provvedimento del recesso da parte dell’assemblea dei soci.
In terzo luogo il fatto che nell'art. 1 commi 611 e 612 della l.190/2014, che contiene la
disciplina dei piani di razionalizzazione delle società a partecipazione locale, non sia
richiamata la facoltà di recedere, e di ottenere così la liquidazione delle azioni, non
sembra costituire un ostacolo all'estensione di questo strumento in via interpretativa.
A tal riguardo non sfugge che la determinazione del valore della quota da liquidare in
denaro non può seguire i normali criteri enunciati ai paragrafi precedenti.
Infatti il recesso prevede la liquidazione della quota in denaro e nel caso si debba
procedere con la riduzione delle riserve o del capitale sociale, attraverso il reperimento
delle relative risorse finanziarie da parte della società, diversamente dall’anticipato
scioglimento del contratto sociale ove invece è prevedibile anche l’assegnazione del
capitale sociale in natura ai soci.
In questo caso la società deve quindi rendere liquido il proprio patrimonio. Inoltre si
deve considerare che nelle società a partecipazione locale, soprattutto quelle che
svolgono servizi pubblici locali, il patrimonio sociale è stato costituito attraverso
finanziamenti o contributi pubblici erogati anche da soggetti non soci e comunque a
destinazione vincolato. Come peraltro non è infrequente che il patrimonio sociale sia
stato costituito con conferimento di beni mobili o immobili del demanio comunale (in
vigenza l’art. 113 comma 13 del Tuel) ovvero asserviti a pubblico servizio.
Da ciò discende che nella determinazione del patrimonio sociale per la liquidazione
della quota del socio i cespiti suddetti non potranno essere considerati in quanto:
- da un lato non oggetto di contributi o di finanziamenti del socio recedente;
- dall’altro lato segregati alla funzione strumentale per l’esercizio di pubblico
servizio. In questo caso particolare attenzione andrà posta alla liquidazione del
patrimonio quando l’ente locale recedente revoca alla società anche il servizio
pubblico di cui è titolare.
______________________________
Società: illegittime l’avanzamento di carriera se l’ente socio dispone il blocco delle
assunzioni
Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale, Sicilia, sentenza n. 244/2015
di Federica Caponi
L’inquadramento stabile di un dipendente nel livello contrattuale superiore, in
presenza di limiti a nuove assunzioni posti dall’ente locale socio, integra una condotta
obiettivamente censurabile, perché in violazione di una direttiva del socio, ma ha
compromesso, in modo irrimediabile, anche la soluzione organizzativa realizzata dalla
società con contestuale danno erariale.
21
Se infatti a seguito di tali avanzamenti di carriera la società non dimostra di aver
fornito prestazioni più altamente qualificate, questi non possono che essere considerati
strumento inidoneo per il miglioramento delle attività, quindi, solo causa di maggiori
costi.
Questo il principio sancito dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizione della Sicilia,
nella sentenza in commento con la quale ha condanno gli amministratori di una società
a rifondere il danno arrecato alla stessa per aver attuato progressioni verticali di alcuni
dipendenti, nonostante l’ente socio avesse imposto il blocco delle assunzioni e un
limite al costo del personale.
Nel caso di specie, la Regione aveva costituito, unitamente alle aziende sanitarie
provinciali e le aziende ospedaliere e ospedaliero-universitarie una società interamente
pubblica, quale «strumento operativo» dei soci per l’erogazione del servizio di
trasporto per l'emergenza-urgenza.
Il Consiglio di Gestione della società dopo un anno aveva disposto in via definitiva
l’inquadramento di alcuni dipendenti nel livello contrattuale superiore.
La Procura della Corte ha ritenuto che tali avanzamenti di carriera fossero stati
illegittimamente conferiti e che i maggiori emolumenti corrisposti al personale,
beneficiario di un inquadramento più elevato di quello riconosciuto in sede di
assunzione, per un importo pari a € 455.236,01, integrassero per la società un danno
erariale e ha invitato a dedurre i membri dell’organo esecutivo.
Gli interessati hanno sostenuto, preliminarmente, il difetto di giurisdizione della corte
dei conti.
In merito alla giurisdizione contabile in materia di responsabilità degli amministratori
o degli organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici, è necessario
ricordare quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, S.U. nella sentenza 5491/2014.
La Corte ha ribadito il principio secondo cui è competente il giudice ordinario, in
ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione
pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, se la
società è totalmente autonoma nell’effettuare le proprie scelte strategiche e gestionali e
non ha un rapporto di servizio con l'ente pubblico titolare della partecipazione.
Sussiste invece la giurisdizione della Corte dei Conti, quando il danno sia stato
prodotto dal rappresentante dell'ente socio, lo stesso ente pubblico abbia il potere
decisionale e abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio,
pregiudicando il valore della partecipazione.
La Corte dei conti quindi ha giurisdizione sull'azione di responsabilità nei confronti
degli amministratori di una società partecipata quando tale azione sia diretta a far
valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio
di una società “in house”, cioè costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di
pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che
statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e
la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello
esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.
Pertanto, nel caso di una società totalmente pubblica, costituita per lo svolgimento di
servizi in favore dei soci, non ci sono dubbi in merito alla competenza della Corte dei
Conti in merito al giudizio di responsabilità degli amministratori.
22
Sul merito delle questioni sollevate dalla Procura, i giudici contabili hanno chiarito che
il ricorso a delle “progressioni verticali”, in presenza di precetti dell’ente socio di
maggioranza, che ne precludevano l’effettuazione, integra una condotta
obiettivamente censurabile, che ha tra l’altro determinato stabilmente una modifica
organizzativa della società.
La Corte ha inoltre rilevato che nel caso di specie, tale nuovo assetto organizzativo, più
costoso, non ha rappresentato lo strumento essenziale ed irrinunciabile per assicurare
l’operatività della società, anzi. A seguito di tale modifica “l’oggetto sociale è stato
perseguito non diversamente da come avvenuto prima dei conferimenti delle più elevate
qualifiche (…) dunque, quelle progressioni non si ponevano come mezzo condizionante lo
svolgimento di attività altrimenti non realizzabili, tant’è che sia a monte che a valle del periodo
in cui la società si è avvalsa dei dipendenti meglio inquadrati, i servizi aziendali sono stati resi
con immutata quantità e qualità”.
Tra l’altro, la Procura ha rilevato che quello della violazione del blocco delle assunzioni
non ha costituito l’unico scostamento dall’alveo della corretta gestione, segnalando
altri aspetti della sequenza procedimentale in contrasto con precetti di riferimento.
Le progressioni di carriera sono risultate svincolate:
 da qualsiasi pianificazione;
 da qualsiasi regolamentazione interna.
I giudici hanno chiarito infine che a prescindere dalle censurabili modalità con le quali
sono stati realizzati tali avanzamenti di carriera, si trattava di misure organizzative
precluse dall’ente socio e
in quanto vietate, non avrebbero dovuto essere compiute e, anche laddove fossero state
poste in essere con modalità proceduralmente corrette, avrebbero mantenuto intatto il
loro disvalore ed immutata l’attitudine a cagionare un danno erariale per l’ente socio.
I profili di illegittimità che investono i conferimenti di inquadramenti più elevati sono
stati causati dalle condotte poste in essere dai rappresentanti nominati dagli enti soci
negli organi di gestione, con colpa grave.
I giudici hanno infatti rilevato che il divieto imposto dall’ente socio era inequivocabile i
soggetti coinvolti che dovevano darvi esecuzione avevano una qualificazione
professionale di livello elevato, considerato che erano stati chiamati a ricoprire uffici
apicali nell’ambito di una società neocostituita, con una cospicua dotazione organica
(oltre 3200 unità di personale) ed impegnata nella gestione di un servizio pubblico
essenziale che presentava rilevanti criticità da gestire (fra cui l’esubero di oltre 650
unità di personale).
Pertanto, il ricorso alla soluzione organizzativa degli avanzamenti di carriera disposto
in violazione di vincoli e limiti posti chiaramente dal socio è espressione di una grave
colpevolezza degli agenti, esponenti aziendali di livello apicale provvisti di elevati
requisiti di professionalità.
_______________________________
Società consortile: il sindaco non può essere presidente con deleghe gestionali
dirette
Un Sindaco ha chiesto all’Anac chiarimenti circa la possibilità di assumere l’incarico di
Presidente all’interno del CdA di una Società Consortile a responsabilità limitata il cui
comune insieme ad altri Comuni e Enti pubblici fa parte.
23
In particolare, secondo l’istante detta società non sarebbe identificabile negli “Enti di
diritto privato in controllo pubblico”, ai sensi dell’articolo 1, comma 2 d.lgs. 39/2013,
atteso che non ricorrono le condizioni di soggetto sottoposto a controllo ai sensi
dell’art. 2359 c.c.
La disposizione citata definisce “enti di diritto privato in controllo pubblico”, le società
e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di
produzione di beni e servizi a favore delle p.a. o di gestione di servizi pubblici,
sottoposti a controllo ai sensi dell'articolo 2359 c.c. da parte di amministrazioni
pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle p.a., anche in assenza di una
partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi.
L’Anac con il parere rif. UPAG/ AG 23/15/AC del 1° aprile 2015 ha chiarito che
sussiste una situazione di inconferibilità, ai sensi dell’art. 7, comma 2 lettera d) del
d.lgs. 39/2013, nel caso di attribuzione della carica di Presidente, con deleghe
gestionali dirette, di una società consortile in mano pubblica di livello locale a colui che
rivesta il ruolo di Sindaco di un comune della medesima regione, socio della citata
società.
Sul punto l’Autorità si era in precedenza pronunciata con l’orientamento 19/2014
secondo cui “Ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 39/2013, le società consortili per azioni,
costituite ai sensi dell’art. 2615 ter del codice civile e dell’art. 22, comma 3, lett. e) della l. n.
142/1990, oggi trasfuso negli artt. 112 e 113 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), sono ricomprese
nella categoria degli enti di diritto privato in controllo pubblico, in quanto esercitano
attività di gestione di servizi pubblici e sono sottoposte a controllo da parte di diverse
amministrazioni pubbliche” e, da ultimo, con l’orientamento 79/2014 in base al quale
“Ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 39/2013, sono annoverabili nella categoria degli “enti di
diritto privato in controllo pubblico” le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano le
funzioni elencate nell’art. 1, comma 2, lettera c) del citato decreto e in cui, alternativamente, le
pubbliche amministrazioni esercitano un controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. oppure hanno il
potere di influire fortemente sull’attività dell’ente, attraverso il potere di nomina dei vertici o dei
componenti degli organi dell’ente”.
Le disposizioni richiamate fondano, quindi, la sussistenza dell’annoverabilità di tale
società consortile nella categoria dell’ente di diritto privato in controllo pubblico di cui
all’art. 1, comma 2 lettera c) del d.lgs. 39/2013, dal momento che secondo lo statuto la
società esercita funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a
favore di pubbliche amministrazioni e i soci (soggetti pubblici al 98% della Società)
hanno poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi della medesima
Società.
Relativamente all’incarico di Presidente della società che comporti deleghe gestionali
dirette, ai sensi del citato articolo 1, comma 2 lettera l) del d.lgs. 39/2013 , l’Autorità ha
chiarito che la definizione di tale figura si riferisce alla carica ricoperta dal Presidente a
cui sono state conferite le suddette deleghe direttamente dal consiglio di
amministrazione dell’ente, salvo quanto previsto dallo Statuto (orientamento
106/2014) e che sussiste inconferibilità tra l’incarico politico e quello Presidente con
deleghe gestionali dirette qualora sia attribuita la rappresentanza in giudizio dell’ente
(orientamento 128/2014).
Previsione, nel caso di specie, contemplata dallo statuto della società, il quale
attribuisce la rappresentanza legale della società di fronte a qualunque autorità
24
giudiziaria e amministrativa e di fronte a terzi, nonché la firma sociale, al Presidente
che, ove autorizzato, può nominare procuratori speciali e mandatari per determinati
atti o categorie di atti e nominare procuratori alle liti.
Quanto al requisito previsto dall’articolo 7, comma 2 del d.lgs. n. 39/2013 consistente
nell’esser stato, nell’anno precedente, componente della giunta di un amministrazione
locale, nel caso di specie, rilevava il fatto che l’istante fosse sindaco in carica e quindi
che, in prima battuta, poteva ritenersi non applicabile l’ipotesi prospettata.
Tuttavia, considerato che la finalità della norma è quella di garantire la massima
imparzialità e la mancanza di una situazione di conflitti di interesse in capo a coloro
che ricoprono o saranno chiamati a ricoprire incarichi “amministrativi”, qualora si
aderisse ad un’interpretazione letterale della stessa, nel senso di limitare
l’inconferibilità solo a coloro che nell’anno precedente erano titolari di cariche
politiche, tale finalità verrebbe ad essere elusa.
Per tale ragione la corretta interpretazione, già assunta in casi analoghi dall’Autorità, è
quella di equiparare, ai fini dell’applicabilità di tali situazioni di inconferibilità, coloro
che attualmente rivestono una carica politica a coloro che nell’anno precedente o nei
due anni precedenti ricoprivano tale cariche nelle amministrazioni locali che
conferiscono l’incarico.
Circa, infine, il presupposto “dell’amministrazione locale che conferisce l’incarico”,
previsto dall’art. 7, comma 2 del d.lgs. 39/2013, l’Autorità ha chiarito che sussiste
inconferibilità anche nel caso in cui l’incarico di amministratore di ente di diritto
privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione
superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni aventi la medesima
popolazione, sia stato conferito da un organo dell’ente di diritto privato in controllo
pubblico da parte di una regione, di una provincia o di un comune e non direttamente
dall’ente locale (orientamento n. 100 del 21 ottobre 2014).
__________________________________
Riforma Madia: le norme di interesse per gli enti locali
Legge 7 agosto 2015, n. 124
di Federica Caponi
E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 187 del 13 agosto 2015, la legge 124/2015 concernente
“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, entrata
in vigore il 28 agosto 2015.
Deleghe per la semplificazione normativa
Art. 16 - Procedure e criteri comuni per l'esercizio di deleghe legislative di
semplificazione
Saranno adottati decreti legislativi di semplificazione dei seguenti settori, secondo
quanto previsto nei successivi artt. 17-19:
 lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di
organizzazione amministrativa;
 partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche;
 servizi pubblici locali di interesse economico generale.
25
Inoltre, è stata prevista anche l’adozione di appositi d.p.r. di attuazione dei decreti
legislativi
Art. 17 - Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche
I decreti legislativi per il riordino della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa
dovranno essere adottati entro diciotto mesi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri
direttivi:
 previsione nelle procedure concorsuali pubbliche di meccanismi di valutazione
finalizzati a valorizzare l'esperienza professionale acquisita da coloro che hanno
avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni pubbliche, con
esclusione, in ogni caso, dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione
degli organi politici e ferma restando, comunque, la garanzia di un adeguato
accesso dall'esterno;
 previsione di prove concorsuali che privilegino l'accertamento della capacità dei
candidati di utilizzare e applicare a problemi specifici e casi concreti nozioni
teoriche;
 svolgimento dei concorsi, per tutte le amministrazioni pubbliche, in forma
centralizzata o aggregata;
 gestione dei concorsi per il reclutamento del personale degli enti locali a livello
provinciale;
 definizione di limiti assoluti e percentuali, in relazione al numero dei posti banditi,
per gli idonei non vincitori;
 riduzione dei termini di validità delle graduatorie;
 per le amministrazioni pubbliche e aventi graduatorie in vigore alla data di
approvazione dello schema di decreto legislativo, introduzione di norme
transitorie finalizzate esclusivamente all'assunzione dei vincitori di concorsi
pubblici;
 soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai
concorsi per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni;
 previsione dell'accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre lingue,
quale requisito di partecipazione al concorso o titolo di merito valutabile dalle
commissioni giudicatrici;
 valorizzazione del titolo di dottore di ricerca;
 introduzione di un sistema informativo nazionale, finalizzato alla formulazione di
indirizzi generali e di parametri di riferimento in grado di orientare la
programmazione delle assunzioni;
 rilevazione delle competenze dei lavoratori pubblici;
 riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle
assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici;
 definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati in base agli
effettivi fabbisogni;
 istituzione di una Consulta nazionale per garantire un'efficace integrazione
nell'ambiente di lavoro delle persone con disabilità
26

disciplina delle forme di lavoro flessibile, con individuazione di limitate e tassative
fattispecie, caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esigenze
organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il precariato;
 previsione della facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di promuovere il
ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile
dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere
collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria, la possibilità
di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale, consentendo nel
contempo, l'assunzione anticipata di nuovo personale, nel rispetto della normativa
vigente in materia di vincoli assunzionali;
 progressivo superamento della dotazione organica come limite alle assunzioni,
fermi restando i limiti di spesa anche al fine di facilitare i processi di mobilità;
 semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici;
 riduzione degli adempimenti in materia di programmazione anche attraverso una
maggiore integrazione con il ciclo di bilancio;
 coordinamento della disciplina in materia di valutazione e controlli interni;
 introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici
dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di
espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare;
 rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e
gestione e del conseguente regime di responsabilità dei dirigenti, attraverso
l'esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità amministrativo-contabile
per l'attività gestionale;
 razionalizzazione dei flussi informativi dalle amministrazioni pubbliche alle
amministrazioni centrali e concentrazione degli stessi in ambiti temporali definiti;
 riconoscimento alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e
di Bolzano della potestà legislativa in materia di lavoro del proprio personale
dipendente;
 previsione della nomina di un responsabile dei processi di inserimento dei disabili,
da parte delle amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti, senza
maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse disponibili.
E’ stato modificato il comma 9 dell’articolo 5 del d.l. 95/2012, stabilendo che è fatto
divieto alle p.a. inserite nel conto economico consolidato pubblicato dall’Istat, nonché
alle autorità indipendenti di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già
lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.
A tali amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi
dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle p.a. e degli enti e società da
esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei
componenti o titolari degli organi elettivi.
Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni sono comunque consentiti a titolo gratuito.
Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può
essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna
amministrazione.
Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati
dall'organo competente dell'amministrazione interessata.
27
Art. 18. Riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle
amministrazioni pubbliche
Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni
societarie delle amministrazioni pubbliche sarà adottato al fine prioritario di assicurare
la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione
della concorrenza, prevedendo, tra l’altro:
 la distinzione tra tipi di società in relazione alle attività svolte, agli interessi
pubblici di riferimento, alla misura e qualità della partecipazione e alla sua natura
diretta o indiretta, alla modalità diretta o mediante procedura di evidenza
pubblica dell'affidamento;
 ai fini della razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche, la
ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di
società, l'assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte delle
p.a.;
 la precisa definizione del regime delle responsabilità degli amministratori delle
amministrazioni partecipanti nonché dei dipendenti e degli organi di gestione e di
controllo delle società partecipate;
 la definizione della corretta gestione delle risorse e della salvaguardia
dell'immagine del socio pubblico;
 la razionalizzazione dei criteri pubblicistici per gli acquisti e il reclutamento del
personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, finalizzati al
contenimento dei costi;
 promozione della trasparenza e dell'efficienza attraverso l'unificazione, la
completezza e la massima intelligibilità dei dati economico-patrimoniali e dei
principali indicatori di efficienza, nonché la loro pubblicità e accessibilità;
 attuazione del consolidamento dei bilanci delle partecipazioni coi bilanci degli enti
proprietari;
 possibilità di piani di rientro per le società con bilanci in disavanzo con eventuale
commissariamento;
 regolazione dei flussi finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione
pubblica e società partecipate secondo i criteri di parità di trattamento tra imprese
pubbliche e private e operatore di mercato;
 con riferimento alle società partecipate dagli enti locali:
1) per le società che gestiscono servizi strumentali e funzioni amministrative,
definizione di criteri e procedure per la scelta del modello societario;
2) per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale,
individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio che
comportino obblighi di liquidazione delle società;
3) rafforzamento delle misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di
qualità, efficienza, efficacia ed economicità, anche attraverso la riduzione
dell'entità e del numero delle partecipazioni e l'incentivazione dei processi di
aggregazione;
4) promozione della trasparenza mediante pubblicazione, nel sito internet degli
enti locali e delle società partecipate interessati, dei dati economico-patrimoniali
e degli indicatori di efficienza;
28
5) introduzione di un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione dei princìpi
di razionalizzazione e riduzione, basato anche sulla riduzione dei trasferimenti
dello Stato alle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni in
materia;
6) introduzione di strumenti, anche contrattuali, volti a favorire la tutela dei livelli
occupazionali nei processi di ristrutturazione e privatizzazione relativi alle
società partecipate;
7) revisione degli obblighi di trasparenza e di rendicontazione delle società
partecipate nei confronti degli enti locali soci, attraverso specifici flussi
informativi che rendano analizzabili e confrontabili i dati economici e
industriali del servizio.
Art. 19. Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico
generale
Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di servizi pubblici locali
di interesse economico generale sarà adottato nel rispetto dei seguenti princìpi:
 individuazione da parte degli enti locali, quale propria funzione fondamentale,
delle attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di
assicurare la soddisfazione dei bisogni degli appartenenti alle comunità locali;
 soppressione dei regimi di esclusiva non conformi ai princìpi generali in materia
di concorrenza;
 individuazione della disciplina generale in materia di regolazione e
organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale;
 definizione dei criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica;
 individuazione, anche per tutti i casi in cui non sussistano i presupposti della
concorrenza nel mercato, delle modalità di gestione o di conferimento della
gestione dei servizi;
 introduzione di incentivi e meccanismi di premialità o di riequilibrio economicofinanziario nei rapporti con i gestori per gli enti locali che favoriscono
l'aggregazione delle attività e delle gestioni secondo criteri di economicità ed
efficienza;
 individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari;
 revisione delle discipline settoriali ai fini della loro armonizzazione e
coordinamento con la disciplina generale in materia di modalità di affidamento
dei servizi;
 previsione di una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le
funzioni di gestione dei servizi;
 revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti;
 definizione del regime delle sanzioni e degli interventi sostitutivi, in caso di
violazione della disciplina in materia;
 definizione di strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di
servizio, relativi a servizi pubblici locali di interesse economico generale, da parte
degli enti affidanti anche attraverso la definizione di contratti di servizio tipo per
ciascun servizio pubblico locale di interesse economico generale.
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_____________________________
Legge stabilità 2015: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati
Legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge Stabilità 2015)
di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti
E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 300 del 29 dicembre 2014 la legge di stabilità 2015
(legge 190/2014) che ha modificato numerose disposizioni in materia di:
Organismi partecipati
Comma 609 – Ato dei servizi pubblici locali a rete
Al fine di promuovere processi di aggregazione e di rafforzare la gestione industriale
dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (acqua, gas e rifiuti) la legge di
stabilità ha modificato il comma 1 –bis dell'articolo 3-bis del d.l. 138/2011.
La novellata disposizione prevede che spettano unicamente agli enti di governo degli
ATO (ambiti territoriali ottimali e omogenei), cui gli enti locali partecipano
obbligatoriamente, le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di
rilevanza economica (compresi i rifiuti urbani), di scelta della forma di gestione, di
determinazione delle tariffe, di affidamento della gestione e relativo controllo.
Qualora gli enti locali non aderiscano a tali enti entro il 1º marzo 2015 o entro sessanta
giorni dall'istituzione o designazione dell'ente di governo (ex comma 2, art. 13 d.l.
150/2013), il Presidente della regione dovrà esercitare i poteri sostitutivi, previa diffida
all'ente locale ad adempiere entro trenta giorni.
Gli enti di governo degli ATO dovranno pubblicare la relazione che dia conto delle
ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma
di affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio
pubblico, indicando le compensazioni economiche se previste (ex comma 20, art. 34 d.l.
179/2012).
La relazione dovrà essere allegata alla deliberazione con cui verrà disposto
l’affidamento, senza necessità di ulteriori deliberazioni (né preventive, né successive),
da parte degli enti locali aderenti. Al fine di assicurare la realizzazione degli interventi
infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, la relazione dovrà
comprendere un piano economico-finanziario che contenga anche la proiezione, per il
periodo di durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei
relativi finanziamenti, con la specificazione, nell'ipotesi di affidamento in house,
dell'assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e
dell'ammontare dell'indebitamento da aggiornare ogni triennio.
Il piano economico-finanziario dovrà essere asseverato da un istituto di credito o da
società di servizi costituite dall'istituto di credito stesso e iscritte nell'albo degli
intermediari finanziari o da una società di revisione.
Nel caso di affidamento in house, gli enti locali proprietari procederanno,
contestualmente all'affidamento, all’accantonamento pro quota nel primo bilancio
utile, e successivamente ogni triennio, di una somma pari all'impegno finanziario
corrispondente al capitale proprio previsto per il triennio nonché a redigere il bilancio
consolidato con il soggetto affidatario in house.
30
E’ stato anche inserito il comma 2-bis al citato articolo 3-bis del d.l. 138/2011.
La nuova disposizione stabilisce che l’operatore economico, che subentri al
concessionario iniziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure
trasparenti, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste.
In tale ipotesi, anche su istanza motivata del gestore, il soggetto competente dovrà
accertare la persistenza dei criteri qualitativi e la permanenza delle condizioni di
equilibrio economico-finanziario al fine di procedere, ove necessario, alla loro
rideterminazione, anche tramite l'aggiornamento del termine di scadenza di tutte o di
alcune delle concessioni in essere, previa verifica del rendimento della concessione, del
prezzo e dei rischi connessi alle condizione del mercato (ex art. 143, comma 8, d.lgs.
163/2006), oltre che facendo riferimento al programma degli interventi definito a
livello di ATO.
Inoltre, è stato novellato il comma 4 della stessa disposizione.
La nuova norma stabilisce che i finanziamenti relativi ai servizi pubblici locali a rete di
rilevanza economica, concessi a qualsiasi titolo, saranno attribuiti agli enti di governo
degli ATO o ai relativi gestori del servizio a condizione che tali risorse siano aggiuntive
o a garanzia dei piani di investimento approvati.
Tali risorse saranno prioritariamente assegnate ai gestori selezionati tramite procedura
di gara ad evidenza pubblica o di cui comunque l’ATO attesti l'efficienza gestionale e
la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti o che abbiano deliberato
operazioni di aggregazione societaria.
E’ stato aggiunto il comma 4-bis, che prevede che le spese in conto capitale, ad
eccezione di quelle per l’acquisto di partecipazioni, effettuate dagli enti locali con i
proventi derivanti dalla dismissione totale o parziale, anche a seguito di quotazione, di
partecipazioni in società, individuati nei codici del SIOPE E4121 e E4122 (alienazione
di partecipazioni societarie e alienazione di titoli di Stato) e i medesimi proventi sono
esclusi dal patto di stabilità interno.
Infine, è stato aggiunto il comma 6-bis, il quale stabilisce che si applicano anche al
settore dei rifiuti urbani e ai settori sottoposti alla regolazione ad opera di un'autorità
indipendente le norme contenute nell’articolo 3-bis e le altre disposizioni, comprese
quelle di carattere speciale, in materia di servizi pubblici locali a rete di rilevanza
economica.
Comma 610 – Cooperative sociali di tipo b)
E’ stato modificato il comma 1 dell'articolo 5 della legge 381/1991.
Tale disposizione disciplina la possibilità per gli enti pubblici (compresi quelli
economici), e le società partecipate di stipulare convenzioni con le cooperative sociali
di tipo b) [ex art. 1, comma 1, lett. b), legge 381/1991] per la fornitura di beni e servizi
diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, di importo inferiore a € 207.000, purché tali
convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone
svantaggiate.
La legge di stabilità ha previsto che tali convenzioni possano essere stipulate “previo
svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei princìpi di trasparenza,
di non discriminazione e di efficienza”.
E’ opportuno ricordare che la disciplina contenuta nel citato articolo 5 è stato
considerato dalla giurisprudenza maggioritaria avente “carattere assolutamente
31
eccezionale” e il rinvio allo strumento della convenzione “non può consentire una completa
deroga al generale obbligo di confronto concorrenziale in caso di utilizzo di risorse pubbliche per
l'individuazione di un soggetto privato cui affidare lo svolgimento di servizi pubblici, per cui
occorre il ricorso ad un confronto nel rispetto dei principi generali della trasparenza e della par
condicio” (Tar Lazio, sez. III quater, sent. 11093/2008).
Infine, è opportuno ricordare che anche l’Avcp è intervenuta più volte, e in particolare
con la determinazione n. 3 del 1° agosto 2012, concernente “Linee guida per gli
affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991”, in cui
ha dettato indicazioni operative sugli affidamenti alle cooperative sociali di tipo b), alla
luce di una sempre maggiore volontà, a livello nazionale ed europeo, di dare
attenzione all’integrazione di aspetti sociali nella contrattualistica pubblica.
Commi 611/614 – Piano di razionalizzazione delle società
La norma, preliminarmente, ha ribadito che gli enti locali (ex art. 3, commi 27-29, legge
244/2007 e art. 1, comma 569, legge 147/2013):
 possono mantenere o costituire società partecipate esclusivamente per lo
svolgimento di attività di produzione di beni e di servizi strettamente
necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali;
 devono autorizzare l’assunzione di nuove partecipazioni con delibera consiliare
che deve essere inviata alla competente sez. reg. di controllo della corte dei
conti;
 dovevano autorizzare, sempre con delibera consiliare, il mantenimento delle
partecipazioni in essere entro il 31 dicembre 2010 e poi nuovamente entro il 31
dicembre 2014, atto da inviarsi anch’esso alla competente sez. reg. di controllo
della corte dei conti;
 dovevano deliberare entro il 31 dicembre 2014 la cessione a terzi delle società e
delle partecipazioni vietate. Decorso tale termine, la partecipazione non
alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto ed entro
il 31 dicembre 2015 la società liquiderà in denaro il valore della quota del socio
cessato, considerato il valore di liquidazione determinato dagli amministratori,
sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione
legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle
sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni
(ex art. 2437-ter, comma 2, c.c.).
In base a tale premesse, la disposizione in commento ha stabilito che gli enti locali (e le
regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria
pubblici e le autorità portuali) dal 1º gennaio 2015, devono avviare un processo di
razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o
indirettamente possedute, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica,
il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela
della concorrenza e del mercato.
Tali interventi di razionalizzazione devono portare a una la riduzione delle società
entro il 31 dicembre 2015, anche tenendo conto dei seguenti criteri:
32
a)
eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al
perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in
liquidazione o cessione;
b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un
numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività
analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici
strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle
funzioni;
d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli
organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso
la riduzione delle relative remunerazioni.
Il comma 612 ha stabilito che spetta ai presidenti delle regioni, ai presidenti delle
province e ai sindaci definire e approvare, entro il 31 marzo 2015, un piano operativo
di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie, le modalità e i tempi
di attuazione, nonché l'esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire.
Tale piano, corredato da una relazione tecnica, dovrà essere trasmesso alla competente
sezione regionale di controllo della corte dei conti e pubblicato nel sito internet
istituzionale dell’ente.
Entro il 31 marzo 2016, i presidenti e i sindaci coinvolti dovranno predisporre una
relazione sui risultati conseguiti e anche questa relazione dovrà essere trasmessa alla
competente sezione regionale di controllo della corte dei conti e pubblicata nel sito
dell’ente.
Il legislatore ha precisato che la pubblicazione del piano e della relazione costituisce
obbligo di pubblicità ai sensi del d.lgs. 33/2013.
Il comma 613 ha stabilito che le deliberazioni di scioglimento, di liquidazione e gli atti
di dismissione di società costituite o di partecipazioni societarie acquistate per espressa
previsione normativa sono disciplinati unicamente dalle disposizioni del codice civile
e, in quanto incidenti sul rapporto societario, non richiedono né l'abrogazione né la
modifica della previsione normativa originaria.
Il comma 614 ha previsto che per quanto riguarda le decisione in merito alla
razionalizzazione delle società, definite nei piani operativi, si dovrà tener conto delle
disposizioni che disciplinano la mobilità del personale tra società (ex art. 1, commi 563568-ter, legge 147/2013), e lo speciale regime fiscale per le operazioni di scioglimento e
alienazione.
Nell’attuazione dei piani di razionalizzazione deliberati entro il 31 dicembre 2015 si
applica la disciplina contenuta nel comma 568-bis dell'articolo 1 della legge 147/2013.
Tale disposizione ha stabilito che gli enti locali e le società controllate possono
procedere:
a) allo scioglimento di società o aziende speciali. Se lo scioglimento è deliberato non
oltre il 31 dicembre 2015, gli atti e le operazioni posti in essere sono esenti da
imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l’imposta regionale sulle attività
produttive, ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto. Le imposte di registro,
ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa. In tal caso, i dipendenti in organico
33
al 31 dicembre 2013 sono ammessi di diritto alle procedure di mobilità tra società
previste di cui ai commi da 563 a 568 della legge di stabilità 2014.
Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze
realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del
reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili
nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi;
b) all’alienazione delle partecipazioni detenute, a condizione che questa avvenga con
procedura a evidenza pubblica e alla contestuale assegnazione del servizio per
cinque anni a decorrere dal 1º gennaio. In caso di società mista, al socio privato
detentore di una quota di almeno il 30% deve essere riconosciuto il diritto di
prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività
produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore
della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono
realizzate e nei quattro successivi.
Comma 615 – Affidamento diretto del servizio idrico
E’ stato novellato il secondo periodo del comma 1 dell'articolo 149-bis del d.lgs.
152/2006.
La nuova disposizione stabilisce che l’ATO, nel rispetto del piano d'ambito e del
principio di unicità della gestione, deve deliberare la forma di gestione fra quelle
previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento
del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.
L’affidamento diretto del servizio idrico, pertanto, può avvenire a favore di società
interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo
per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ambito.
Comma 616 – Scioglimento società e aziende speciali
Come già in precedenza anticipato, è stato modificato il comma 568-bis dell’articolo 1
della legge di stabilità 2014.
La nuova disposizione stabilisce che gli enti locali e le società da esse controllate
direttamente o indirettamente possono procedere:
a) allo scioglimento delle società o aziende speciali controllate. Se lo scioglimento è
deliberato non oltre il 31 dicembre 2015, gli atti e le operazioni posti in essere in
seguito allo scioglimento sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui
redditi e l’imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell’iva. Le
imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa.
In tal caso, i dipendenti in servizio al 31 dicembre 2013 sono ammessi di diritto alle
procedure di mobilità per le società disciplinate dai commi 563-568 della citata legge
147/2013.
Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze
realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del
reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili
nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi;
34
b) all’alienazione delle partecipazioni, a condizione che questa avvenga con procedura
a evidenza pubblica e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a
decorrere dal 1º gennaio 2014.
In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30%
deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e
dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla
formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono
deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi.
Società pubbliche: in caso di nuove assunzioni è competente il giudice del lavoro
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5944 del 1° dicembre 2014
Le società di capitali, benché interamente pubbliche, seppure soggette a discipline
particolari per determinati aspetti e a determinati fini per tutelare interessi di natura
pubblica, sono assoggettate alla disciplina privatistica del diritto societario.
Pertanto, le società interamente partecipate dagli enti locali restano pur sempre società
di capitali, anche se fortemente caratterizzate da peculiari aspetti.
Nel caso in cui una società interamente pubblica attui una procedura pubblica per
l’assunzione di nuovo personale non sussiste la riserva della giurisdizione del giudice
amministrativo.
La competenza del giudice amministrativo “in materia di procedure concorsuali per
l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, di cui all’articolo 63, comma 4,
d.lgs. 165/2001, sussiste solo nel caso in cui le procedure sia attuate da una p.a. di cui
all’articolo 1, comma 2, del citato decreto.
L’obbligo di adottare “criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il
conferimento degli incarichi”, di cui all’articolo 18, comma 2, d.l. 112/2008, si inserisce
pur sempre nell’agire jure privatorum della società, senza comportare esercizi di
pubbliche potestà e senza incidere sulla giurisdizione.
Questi i principi ribaditi dal Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, con la
quale ha rigettato il ricorso promosso da una signora per l’annullamento della sentenza
del Tar Lazio che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo in merito all’impugnazione dell’avviso pubblico con cui una società di
capitali, interamente partecipata da un comune, aveva indetto una selezione per
l’assunzione di nuovi dipendenti.
E’ necessario, infatti, ricordare che la riserva della giurisdizione del giudice
amministrativo in materia di procedure concorsuali, ex articolo 63, comma 4, d.lgs.
165/2001, presuppone l’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico, seppure
contrattualizzato, alle dipendenze di una p.a., fattispecie che non può configurarsi in
presenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze di una società di capitali, benché il
capitale sia interamente pubblico.
Il Consiglio di Stato ha ribadito il principio sancito dalla Corte dei Cassazione, S.U.
nella sentenza 28329/2011.
Alle società di capitali, non essendo qualificabili come organismi di diritto pubblico,
non è applicabile il d.lgs. 165/2001 e, pertanto, in merito alle procedure selettive da
queste indette sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.
I magistrati amministrativi hanno chiarito che:
35
 le società di capitali, benché interamente partecipate dagli enti locali, hanno natura
privata e non sono annoverabili tra le p.a. cui all’articolo 1, comma 2, del citato
d.lgs. 165/2001;
 la giurisdizione del giudice amministrativo, ex art. 7, comma 2, c.p.a. presuppone in
ogni caso la riconducibilità dell’atto, del provvedimento o del comportamento,
all’esercizio di un potere pubblico, che non è configurabile quando una società di
capitali assume nuovo personale, anche se attua procedure selettive che rispettano i
principi di trasparenza e imparzialità tipiche di una p.a.;
 il vincolo disciplinato dall’art. 18, comma 2, del d.l. 112/2008, che impone alle
società a partecipazione pubblica totale o di controllo di adottare “con propri
provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli
incarichi nel rispetto dei principi, anche di natura comunitaria, di trasparenza, pubblicità ed
imparzialità”, si inserisce in ogni caso nell’agire jure privatorum delle società
(essendo espressione dei più generali principi di comportamento secondo buona
fede, oggettiva e soggettiva), senza necessariamente comportare esercizio di
pubbliche potestà e senza incidere direttamente sulla giurisdizione;
 la giurisdizione del giudice amministrativo presuppone la finalità dell’instaurazione
di un rapporto di lavoro pubblico, seppure contrattualizzato, alle dipendenze di una
pubblica amministrazione e non può neppure ipotizzarsi in relazione all’insorgenza
di un rapporto di lavoro privato alle dipendenze di una società privata.
 la natura di organismo di diritto delle società interamente pubbliche è rilevante ai
soli fini dell’aggiudicazione degli appalti pubblici.
__________________________
In house: legittimi gli affidamenti diretti di servizi, sia pubblici che strumentali
Tar Puglia - Lecce, sez. II, sentenza 2986/2014
di Federica Caponi
Il vincolo dell’affidamento di servizi strumentali tramite gara, disciplinato dall’articolo
4, comma 7, del d.l. 95/2012, è derogabile in quanto l'affidamento diretto può avvenire
a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti
dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house.
Questo il principio sancito dal Tar Puglia nella pronuncia in commento, con la quale ha
respinto il ricorso presentato da una società che aveva impugnato l’atto del Direttore
Generale di una Asl, con il quale era stato disposto l’affidamento diretto a una società
in house della gestione del servizio di pulizia e sanificazione di tutte le strutture della
azienda sanitaria.
La ricorrente aveva sostenuto l’illegittimità di tale scelta gestionale in ragione del
(supposto) divieto di costituzione di società strumentali in house introdotto
dall'articolo 4 del d.l. 95/2012 e del divieto disciplinato dal comma 7 del citato articolo
4 che impone l’affidamento dei servizi strumentali tramite gara dal 1° gennaio 2014.
I giudici amministrativi hanno precisato che l’articolo 4 del d.l. 95/2012, dispone che al
fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli
operatori nel territorio nazionale, dal 1° gennaio 2014 le p.a., le stazioni appaltanti, gli
enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori di cui al d.lgs. 163/2006, devono acquisire
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sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure
concorrenziali.
La norma, che enuncia il principio dell’evidenza pubblica, è tuttavia derogata dal
successivo comma 8, secondo cui “A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può
avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti
richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house”.
Il Tar ha chiarito che le p.a. possono ricorrere al modello dell’in house per la gestione
dei propri servizi strumentali anche dopo la sentenza della Corte costituzionale
229/2013 che ha reso inapplicabile alle Regioni a statuto ordinario il comma 8
dell'articolo 4 del d.l. 95/2012. L’immediata applicabilità erga omnes delle sentenze
della Corte di giustizia, infatti, con riguardo all’affermazione dei principi e
all’interpretazione, rende pleonastica tale norma, poiché quanto dalla stessa disposto
sarebbe stato egualmente desumibile, pure in sua assenza, dai principi comunitari in
materia.
Infine, il Tar ha chiarito, nel caso di affidamento a un nuovo gestore del servizio, è
legittima la decisione della p.a. di prevedere l'assunzione a tempo indeterminato del
personale utilizzato dai precedenti gestori del servizio.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 68/2011, ha chiarito che in tale fattispecie,
l’assunzione a tempo indeterminato non può riguardare in modo automatico e
generalizzato tutti i lavoratori transitati, compresi quelli assunti con contratto a
termine, ma solo quelli già assunti a tempo indeterminato dal precedente gestore, non
creando nuovi diritti, ma conservando solo quelli esistenti.
In tal caso, inoltre, secondo il Tar non c’è violazione dei principi del pubblico concorso
e del buon andamento, ma mero rispetto delle garanzie dei diritti dei lavoratori
previste dalla legge e dai contratti collettivi per le ipotesi di subentro nell’appalto e di
trasferimento d’azienda.
La clausola sociale, anche nota come clausola di «protezione» o di «salvaguardia»
sociale o «clausola sociale di assorbimento», è un istituto previsto dalla contrattazione
collettiva e da specifiche disposizioni legislative statali, quali ad es. l’articolo 69 del
d.lgs. 163/2006, che opera nell’ipotesi di cessazione d’appalto e subentro di imprese o
società appaltatrici e risponde all’esigenza di assicurare la continuità del servizio e
dell’occupazione, nel caso di discontinuità dell’affidatario.
La conservazione dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda è prevista
dalla Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE e dall’articolo 2112 c.c., la cui applicabilità,
ricorrendo determinate condizioni, è stata estesa dalla giurisprudenza ai casi in cui il
trasferimento derivi non da un contratto fra cedente e cessionario, ma da un atto
autoritativo della p.a., come chiarito anche dalla Corte di Cassazione, sez. lav., nelle
sentenze 21023/2007, 5708/2009 e 21278/2010).
Infine, il Tar ha precisato che l’istituto dell’in house, più che un’eccezione al diritto
comunitario degli appalti e delle concessioni, è espressione di un principio generale
riconosciuto sia dal diritto dell’Unione, che dall’ordinamento nazionale, cioè quello
dell'auto-organizzazione amministrativa o di autonomia istituzionale, in forza del
quale gli enti pubblici possono organizzarsi nel modo ritenuto più opportuno per
offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni necessarie alle loro finalità
istituzionali.
37
L’affidamento diretto, “in house, lungi dal configurarsi come un’ipotesi eccezionale e
residuale di gestione dei servizi pubblici locali costituisce invece una delle (tre) normali forme
organizzative delle stesse, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta
gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell’affidamento diretto, in
house (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti così come sopra ricordati e delineatisi per effetto
della normativa comunitaria e della relativa giurisprudenza), costituisce frutto di una scelta
ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di
convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice
amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza,
irrazionalità ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico
travisamento dei fatti” (Cons. St., sez. V, 4599/2014; Cons. St., sez. V, 4832/2013; Cons.
St., sez. VI, 762/2013).
Tali principi, benché riferiti alla materia dei servizi pubblici locali, secondo il Tar, ben
possono essere estesi anche ai servizi strumentali, in quanto siamo sempre di fronte
alla scelta di una p.a. di autoprodurre servizi strettamente necessari al perseguimento
delle proprie finalità istituzionali, considerato che il modello dell’in house providing
nasce a livello comunitario proprio come alternativa all’appalto di servizi (Corte di
Giustizia, sentenza Teckal del 18 novembre 1999, causa C-107/98).
Pertanto, anche nel caso di specie, l’opzione tra in house providing e outsourcing
costituisce una scelta discrezionale fra modelli organizzativi alternativi, che l’azienda è
chiamata a operare entro margini di autonomia pienamente riconosciuti
dall’ordinamento comunitario e la motivazione addotta dalla Asl, a fondamento della
propria scelta gestionale (maggiore convenienza economica della gestione in house
rispetto all’acquisizione del servizio sul mercato, con un risparmio previsto di circa
300.000 euro) è stata ritenuta dal Tar logica, razionale e adeguata.
Infine, la mancata contestualità tra scelta della gestione in house e l’approvazione del
disciplinare non appare idonea a determinare l’illegittimità dell’atto impugnato, in
quanto la decisione dell’Azienda di differire l’adozione del disciplinare in prossimità
del concreto affidamento del servizio appare, nella specie, giustificata dal processo di
riorganizzazione in atto.
Pertanto, il Tar ha respinto il ricorso presentato dalla società e ha dichiarata legittimo
l’atto del direttore generale che aveva disposto l’affidamento diretto di alcuni servizi
strumentali alla società in house dell’azienda sanitaria.
______________________
La riscossione dei tributi è un servizio pubblico locale
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5284 del 27 ottobre 2014
di Federica Caponi
La riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento di un'attività di servizio
pubblico, pertanto, la decisione in merito alla modalità di gestione è di competenza del
Consiglio Comunale, afferendo alla materia dell’organizzazione di un servizio
pubblico ex art. 42, comma 2, lett. e) del d.lgs. 267/2000.
Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato nella pronuncia in commento, con la
quale ha respinto il ricorso presentato da un Comune avverso la decisione del Tar che
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aveva riconosciuto la titolarità della società già concessionaria del servizio di
riscossione alla prosecuzione diretta del rapporto concessorio con l'ente locale.
Nel caso di specie, un Comune aveva deliberato l’esternalizzazione della gestione delle
proprie entrate mediante affidamento del servizio di riscossione a mezzo ruolo, a una
società per azioni.
Dopo l’entrata in vigore della legge 248/2005, l’ente aveva preso atto del trasferimento
da parte della società del ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di
concessione per conto dei comuni e del possesso in capo alla cessionaria del necessario
requisito di iscrizione all'apposito albo e aveva affidato la gestione della riscossione
volontaria e coattiva delle proprie entrate a quest'ultima.
Successivamente, con la deliberazione consiliare era stato approvato il Regolamento
per la disciplina generale delle entrate comunali, in cui era tra l'altro previsto che
l'esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale dei tributi fosse riservato al
funzionario responsabile di ciascun tributo, designato dalla Giunta comunale.
In applicazione di tali disposizioni e in assenza di un'espressa deliberazione del
Consiglio in ordine alla modifica della modalità di gestione del servizio di
accertamento e riscossione con il passaggio al modello della gestione diretta, il
funzionario responsabile del Servizio finanziario con determinazione aveva indetto
una procedura di selezione per l'affidamento del servizio triennale di riscossione delle
entrate comunali ad un soggetto terzo.
Avverso tale decisione l’uscente concessionaria aveva proposto ricorso al Tar che lo
aveva accolto.
Il Comune ha quindi impugnato la pronuncia di fronte al Consiglio di Stato.
L’articolo 3, comma 24, della legge 248/2005, nel riformare il sistema di riscossione dei
tributi statali attraverso la creazione di una società a totale capitale pubblico
(Riscossione s.p.a. in seguito denominata Equitalia s.p.a.), ha disciplinato il periodo
transitorio prevedendo che “fino al momento dell'eventuale cessione (…) del proprio capitale
sociale alla Riscossione s.p.a. (…) le aziende concessionarie possono trasferire ad altre società il
ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali,
nonché a quelle di cui all'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446.
In questo caso:
a) fino al 31 dicembre 2010 ed in mancanza di diversa determinazione degli enti stessi, le
predette attività sono gestite dalle società cessionarie del predetto ramo d'azienda, se queste
ultime possiedono i requisiti per l'iscrizione all'albo di cui al medesimo articolo 53, comma uno,
del decreto legislativo n. 446 del 1997, in presenza dei quali tale iscrizione avviene di diritto”.
Alla stregua di tale disciplina transitoria, quindi, nel caso di trasferimento del ramo
d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per gli enti locali o di
scissione di una società già concessionaria del servizio di riscossione, le società
cessionarie o risultanti da tale scissione societaria sono titolate ex lege alla prosecuzione
diretta del rapporto concessorio con l'ente locale, salvo che quest'ultimo non adotti al
riguardo una specifica “diversa determinazione”.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che la dizione “diversa determinazione” richiamata dalla
norma debba esplicarsi in una delibera di natura regolamentare assunta dall'organo
consiliare e non in un atto di carattere gestionale adottato da un suo organo
burocratico, come sostenuto dal Comune.
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Il termine “determinazione” usato dal legislatore ha una valenza oggettivamente neutra
e, pertanto, non è di per sé dirimente.
Con tale espressione vengono comunemente indicati sia gli atti propri degli organi
burocratici dell'Ente comunale, sia quelli emessi dai suoi organi elettivi.
L’articolo 42 del Tuel prevede la competenza consiliare relativamente all'adozione, tra
gli altri, dei seguenti atti:
 “organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali,
concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali,
affidamento di attività o servizi mediante convenzione” (lett. e);
 “appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio
o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nell'ordinaria
amministrazione e funzione servizi di competenza della giunta del segretario o di altri
funzionari” (lett. l).
I magistrati amministrativi hanno inoltre richiamato un consolidato orientamento della
giurisprudenza secondo cui la riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento di
un'attività di servizio pubblico (Cons. Stato, sez. V, sent. 3672/2005).
In particolare, la decisione circa la modalità di gestione del servizio di riscossione delle
entrate comunali, nonché la conseguente determinazione di indire una procedura
negoziata per la scelta del soggetto incaricato del servizio stesso, costituiscono una
scelta di organizzazione del servizio pubblico di riscossione che rientra nell'ambito di
applicazione del comma 2, lett. e), dell’art. 42 del Tuel.
Secondo il Consiglio di Stato, quindi, il provvedimento con cui sono state effettuate
scelte organizzative del servizio avrebbe dovuto essere adottato dal Consiglio
comunale e non dal Dirigente del settore finanziario, trattandosi di atto di natura
regolamentare preordinato a fissare specifiche disposizioni organizzative dell'ente.
_____________________________
Società: è lo statuto che determina se è qualificabile come in house e quindi
assoggettata alla Corte dei Conti
Corte di Cassazione, S.U. civili, sentenza 24 ottobre n. 22609
di Federica Caponi
La verifica in ordine alla ricorrenza dei requisiti propri della società “in house”, da cui
discende la giurisdizione della Corte dei Conti sui componenti degli organi sociali per i
danni da essi cagionati al patrimonio della società, deve essere realizzata in base alle
previsioni contenute nello statuto in vigore al momento in cui è stata realizzata la
condotta.
La società in house, infatti, non è un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, ma una
longa manus dello stesso, che ne dispone come di una propria articolazione interna.
L’in house non può ritenersi terzo rispetto al Comune socio, ma deve considerarsi
come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa.
Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in commento,
con la quale ha accolto il ricorso presentato dall’amministratore di una società per
azioni, partecipata interamente da comuni, con funzioni di servizio pubblico, avverso
la sentenza della prima sezione giurisdizionale della Corte dei Conti che lo aveva
condannato al pagamento di euro 50.000 per il danno all'immagine della società
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causato dall'accertamento di un delitto di corruzione ex art. 319 c.p., commesso in
qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione.
La Corte dei Conti aveva ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei Conti, in
quanto la società sarebbe stata un vero e proprio organo dei comuni partecipanti,
attraverso la quale essi perseguivano le loro finalità pubblicistiche, gestendo risorse
pubbliche.
Pertanto, la società avrebbe avuto un fine sostanzialmente pubblico, a tutela del quale
può esercitarsi l'azione di responsabilità della Procura della Corte dei Conti.
La Corte di Cassazione ha invece ritenuto insussistente la giurisdizione contabile,
perché la società non rispetta i requisiti dell’in house.
Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 26283/2013, avevano già
chiarito che la Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità quando è
diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al
patrimonio di una società in house.
Sono qualificabili come tali le società costituite da uno o più enti pubblici per l'esercizio
di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che
statutariamente esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti
partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a
quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.
La società può essere definita “in house” quando vi sia contemporaneamente il rispetto
di tre requisiti:
1. il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per
l'esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a
privati;
2. la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti
partecipanti, in modo che l'eventuale attività accessoria non implichi una
significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale;
3. la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle
esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità dì comando
non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile (Cass. sent.
5491/2014).
La presenza di tali condizioni fa si che la società non possa essere considerata un’entità
al di fuori dell'ente pubblico, in quanto essa non è altro che una longa manus della p.a.,
al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente
veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte Cost.
46/2013).
La società in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma
deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa.
“L'uso del vocabolo società qui serve solo a significare che, ove manchino più specifiche
disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario;
ma di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un
autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è
più possibile parlare” (Cass. S.U. sent. 26283/2014).
Le società in house hanno della società solo la forma esteriore, mentre in realtà
costituiscono delle articolazioni della p.a. da cui promanano e non dei soggetti
giuridici ad essa esterni e da essa autonomi.
41
Gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla
p.a., sono preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna
dell’ente pubblico socio, cui sono personalmente legati da un vero e proprio rapporto
di servizio, come accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente
pubblico.
La verifica in ordine all’esistenza di tali condizioni deve essere svolta riguardo alle
previsioni contenute nello statuto della società al momento in cui risale la condotta
ipotizzata come illecita e non a quelle, eventualmente differenti, esistenti al momento
in cui risulti proposta la domanda di responsabilità alla Corte dei Conti.
Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto non sussistenti i requisiti dell’in house, in
quanto dallo statuto vigente all’epoca dei fatti contestati emerge l'assenza:
 del primo requisito, relativo al capitale interamente pubblico, poiché è previsto
che i soci fondatori, di diritto pubblico, dovessero detenere la maggioranza
assoluta del capitale, restando possibile la sottoscrizione delle azioni ordinarie
da parte di persone fisiche o giuridiche;
 della clausola dell’attività svolta prevalentemente in favore degli enti
partecipanti, atteso che l'oggetto sociale prevede la possibilità di svolgere un
vastissimo spettro di attività, non necessariamente riconducibili a servizi
pubblici (quali ad esempio la commercializzazione di acque minerali e derivati)
in proprio o per conto terzi - non meglio precisati - per il tramite di società
controllate o collegate;
 di alcuna forma di controllo analogo a quello esercitato dagli enti pubblici sui
propri uffici, in quanto l’unico controllo previsto è quello attribuito al Collegio
sindacale in materia contabile.
Alla luce di tali verifiche, la Corte ha ritenuto non sussistente il controllo della Corte
dei Conti.
_______________________________
Decreto PA: le novità di interesse per enti locali e società partecipate
Legge 114/2014, di conversione del d.l. 90/2014
di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti
E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 190 del 18 agosto 2014 la legge 114/2014 di
conversione del decreto-legge 90/2014 concernente “Misure urgenti per la semplificazione
e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, in vigore dal 19
agosto 2014.
Il provvedimento contiene rilevanti novità in materia di personale, società partecipate
e appalti.
Personale e società partecipate
Articolo 1 - Disposizioni per il ricambio generazionale nelle p.a.
La disposizione in commento abroga le disposizioni che consentivano il trattenimento
in servizio dei dipendenti che avessero raggiunto i requisiti per il pensionamento.
In particolare sono abrogati:
42
-
l'art. 16 del D.Lgs. n. 503/1992, che prevedeva la possibilità per i dipendenti che
avessero maturato i limiti di età per il collocamento a riposo di richiedere
all’amministrazione di appartenenza la permanenza in servizio per un ulteriore
biennio;
- i commi 8, 9 e 10 dell'art. 72 del decreto legge n. 112/2008, che stabilivano la
facoltà per le amministrazioni, sulla base dell'esperienza professionale acquisita
dal richiedente in determinati o specifici ambiti e in funzione dell'efficiente
andamento dei servizi, di accogliere l'istanza di trattenimento in servizio;
- il comma 31 dell'art. 9 del decreto legge n. 78/2010, che aveva ulteriormente
limitato l’istituto, riconducendo i trattenimenti in servizio nel contesto dei limiti
alle facoltà assunzionali.
I trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto
(25 giugno 2014) sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se
prevista in data anteriore.
I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1,
comma 2, del d.lgs. 165/2001, tra cui rientrano gli enti locali, e non ancora efficaci alla
data di entrata in vigore del presente decreto sono revocati.
Fanno eccezione a quanto sopra indicato, al fine di salvaguardare la funzionalità degli
uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio dei magistrati ordinari, amministrativi,
contabili, militari nonché degli avvocati dello Stato, i quali restano validi fino al 31
dicembre 2015 o alla loro scadenza se prevista in data anteriore.
Dette disposizioni non trovano applicazione con riferimento ai richiami in servizio del
personale militare di cui agli articoli 992 e 993 del d.lgs. 66/2010, fino al 31 dicembre
2015.
E’ stato novellato il comma 11 dell’articolo 72 del d.l. 112/2008 il quale stabilisce che le
p.a., con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di
scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, a decorrere
dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l'accesso al
pensionamento, come rideterminato a decorrere dal 1° gennaio 2012, dall'articolo 24,
commi 10 e 12, del d.l. 201/2011, possono risolvere il rapporto di lavoro e il contratto
individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque
non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dare luogo a riduzione
percentuale ai sensi del citato comma 10 dell'articolo 24.
Le disposizioni del presente comma non si applicano al personale di magistratura, ai
professori universitari e ai responsabili di struttura complessa del Servizio sanitario
nazionale e si applicano, non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno
di età, ai dirigenti medici e del ruolo sanitario.
Le medesime disposizioni del presente comma si applicano altresì ai soggetti che
abbiano beneficiato dell'articolo 3, comma 57, della legge 350/2003 e s.m.i. ossia del
prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego per un periodo corrispondente
alla sospensione ingiustamente subita e al periodo di servizio non espletato per
l'anticipato collocamento in quiescenza in pendenza di procedimento penale conclusosi
con l’assoluzione.
43
Articolo 3 - Semplificazione e flessibilità nel turn over
Per le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli
enti pubblici non economici ivi compresi quelli di cui all'articolo 70, comma 4, del
d.lgs. 165/2001, sono fissati i seguenti limiti di spesa alle nuove assunzioni a tempo
indeterminato:
 anno 2014, pari al 20% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
 anno 2015, pari al 40% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
 anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
 anno 2017, pari all'80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
 dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato
nell'anno precedente.
Ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al comparto Scuola e alle
Università si applica la normativa di settore.
Per gli enti di ricerca, la cui spesa per il personale di ruolo del singolo ente non superi
l'80% delle proprie entrate correnti complessive, come risultanti dal bilancio
consuntivo dell'anno precedente, è possibile procedere ad assunzioni di personale con
rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel rispetto dei seguenti limiti di spesa:
 anno 2014 e 2015, pari al 50% di quella relativa al personale di ruolo cessato
nell'anno precedente.
 anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
 anno 2017 pari all'80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
 dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato
nell'anno precedente.
Dette assunzioni sono autorizzate con il decreto e le procedure di cui all'articolo 35,
comma 4, del d.lgs. 165/2001, previa richiesta delle amministrazioni interessate,
predisposta sulla base della programmazione del fabbisogno, corredata da analitica
dimostrazione delle cessazioni avvenute nell'anno precedente e delle conseguenti
economie e dall'individuazione delle unità da assumere e dei correlati oneri.
Il Dipartimento della funzione pubblica e la Ragioneria generale dello Stato
opereranno annualmente un monitoraggio sull'andamento delle assunzioni e dei livelli
occupazionali che si determinano per effetto delle suddette disposizioni.
Nel caso in cui dal monitoraggio si rilevino incrementi di spesa che possono
compromettere gli obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica, con apposito decreto
saranno adottate misure correttive volte a neutralizzare l'incidenza del maturato
economico del personale cessato nel calcolo delle economie da destinare alle
assunzioni previste dal regime vigente.
Per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, sono fissati i
seguenti limiti di spesa alle nuove assunzioni a tempo indeterminato:
44

2014 e 2015, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nel 2013
e 2014;
 2016 e 2017, pari al 80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nel 2015
e 2016;
 dal 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato dal 2017 in
poi.
Gli enti dovranno continuare a rispettare i vincoli previsti dall'articolo l, commi 557,
557-bis e 557-ter della legge 296/2006 (finanziaria 2007).
A decorrere dal 2014 è consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per
un arco temporale non superiore a tre anni (2011-2013), nel rispetto della
programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile.
L’articolo 76, comma 7, del d.l. 112/2008 è abrogato, pertanto, gli enti locali per
effettuare nuove assunzioni non dovranno più verificare che l’incidenza della spesa
di personale rispetto a quella di parte corrente sia inferiore al 50%.
Inoltre, non dovrà più essere considerata a tal fine la spesa degli organismi
partecipati.
Le Regioni e enti locali dovranno coordinare le politiche assunzionali dei soggetti di
cui all’articolo 18, comma 2-bis del citato d.l. 112/2008 (aziende speciali, le istituzioni e
le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo) al fine di garantire
anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione della percentuale tra spese di
personale e spese correnti, fermo restando quanto previsto dal medesimo articolo 18,
comma 2-bis.
Resta fermo il divieto di assunzioni a tempo determinato disposto per le province
dall’articolo 16, comma 9, del d.l. 95/2012.
E’ stato introdotto nella legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) il comma 557-quater, il
quale ha previsto che a decorrere dal 2014, per l’applicazione del comma 557 gli enti
assicurano, nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il
contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio
precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione (2011-2013).
Le regioni e gli enti locali applicano i principi di cui all'art. 4, comma 3, del d.l.
101/2013 secondo il quale l'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo
35, comma 4, del D.Lgs. n. 165/2001, è subordinato alla verifica dell’esaurimento delle
graduatorie, in particolare:
a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i
vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per
assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non
temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate;
b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie
graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1° gennaio 2007, relative alle
professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza.
Nel rispetto dei vincoli generali sulla spesa di personale, le regioni e gli enti locali (gli
enti indicati al comma 5), la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente
sia pari o inferiore al 25%, possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, a
decorrere dal 1° gennaio 2014, nel limite dell'80 per cento della spesa relativa al
personale di ruolo cessato dal servizio nell'anno precedente e nel limite del 100% a
decorrere dall'anno 2015.
45
I limiti di cui al presente articolo non si applicano alle assunzioni di personale
appartenente alle categorie protette ai fini della copertura delle quote d'obbligo.
I contratti di lavoro a tempo determinato delle province prorogati fino al 31 dicembre
2014, ai sensi dell'art. 4, comma 9, del d.l. 101/2013, possono essere ulteriormente
prorogati, alle medesime finalità e condizioni, fino all'insediamento dei nuovi soggetti
istituzionali, così come previsto dalla legge 56/2014.
Dall'attuazione della suddetta disposizione non devono derivare nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica.
Sono state introdotte modifiche all'articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 (le più
rilevanti sono indicate al successivo articolo 11) attraverso la previsione di una deroga
ai limiti al ricorso al lavoro flessibile prevedendone la non applicabilità qualora il costo
del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell’Unione
europea.
Nell’ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla
sola quota finanziata da altri soggetti.
Tale disposizione vale anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di
pubblica utilità e ai cantieri di lavoro.
Il rispetto degli adempimenti e delle prescrizioni di cui all’articolo 3 del decreto in
commento da parte degli Enti locali deve essere certificato dai revisori dei conti nella
relazione di accompagnamento alla delibera di approvazione del bilancio annuale
dell’ente. In caso di mancato adempimento, il Prefetto presenta una relazione al
Ministero dell’interno.
Articolo 4 - Mobilità obbligatoria e volontaria
La disposizione in commento ha novellato l'articolo 30 del d.lgs. 165/2001 prevedendo
che “le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto
di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in
servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso
dell'amministrazione di appartenenza”.
Le amministrazioni fissano preventivamente i requisiti e le competenze professionali
richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a 30
giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso
passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da
possedere.
Il novellato articolo 30 ha stabilito ESCLUSIVAMENTE per il trasferimento tra le sedi
centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali
che ”in via sperimentale e fino all’introduzione di nuove procedure per la determinazione dei
fabbisogni standard di personale non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di
appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta
dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che
l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore
all'amministrazione di appartenenza”.
Per agevolare le procedure di mobilità la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento
della funzione pubblica istituisce un portale finalizzato all'incontro tra la domanda e l'offerta di
mobilità.
46
L'amministrazione di destinazione provvede alla riqualificazione dei dipendenti la cui
domanda di trasferimento sia accolta, eventualmente avvalendosi, ove sia necessario
predisporre percorsi specifici o settoriali di formazione, della Scuola nazionale
dell'amministrazione.
Nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, i dipendenti possono
essere trasferiti all'interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le
amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio
dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a 50 chilometri dalla sede cui
sono adibiti.
Ai fini del presente comma non si applica il terzo periodo del primo comma dell'art.
2103 del codice civile con la conseguenza che:
- per attuare un trasferimento non è necessario che il provvedimento di
trasferimento sia motivato da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e
produttive”;
- è eliminato il riferimento all'unità produttiva.
Con decreto del ministero per la semplificazione e la pa. potranno essere fissati criteri
per realizzare passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo
accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle
amministrazioni che presentano carenze di organico.
Tali disposizioni si applicano ai dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, che
hanno diritto al congedo parentale, e ai lavoratori che assistono persone con handicap
in situazione di gravità ex articolo 33, comma 3, della legge 104/1992, con il consenso
degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un'altra sede.
Eventuali accordi, atti o clausole dei contratti collettivi in contrasto con tali nuovi
vincoli sono nulli.
E' stato abrogato l'articolo 1, comma 29, del d.l. 138/2011, che stabiliva che i dipendenti
delle p.a. di cui all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, esclusi i magistrati, su
richiesta del datore di lavoro, potevano essere obbligati a effettuare la prestazione in
luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e
produttive con riferimento ai piani della performance o ai piani di razionalizzazione,
secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto.
Dovrà essere adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione
del decreto in commento (al massimo entro il 23 ottobre 2014) il decreto (ex art. 29-bis
d.lgs. 165/2001) finalizzato alla definizione dell’equiparazione fra i livelli di
inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi dei diversi comparti,.
Decorso tale termine, la tabella di equiparazione sarà adottata con decreto del
Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione.
Articolo 5 - Assegnazione di nuove mansioni
La disposizione in commento ha modificato l'articolo 34 del d.lgs. 165/2001,
concernente la gestione del personale in disponibilità.
E’ stato introdotto il comma 3-bis che ha previsto l’obbligo di pubblicazione degli
elenchi del personale in disponibilità sui siti istituzionali delle amministrazioni
competenti.
Il comma 4 è stato integrato con la previsione della possibilità per i lavoratori, nei sei
mesi antecedenti la scadenza del periodo di collocamento in disponibilità, di
47
presentare istanza di ricollocazione, alle amministrazioni competenti alla tenuta degli
elenchi, in deroga all'articolo 2103 del codice civile, nell'ambito dei posti vacanti in
organico, anche in una qualifica inferiore o in posizione economica inferiore della
stessa o di inferiore area o categoria di un solo livello per ciascuna delle suddette
fattispecie, al fine di ampliare le occasioni di ricollocazione.
In tal caso, la ricollocazione non potrà avvenire prima dei 30 giorni anteriori alla data
di scadenza del termine di collocamento in disponibilità di cui all'articolo 33, comma 8.
Il personale ricollocato non ha diritto all'indennità di cui all'articolo 33, comma 8
riconosciuta al personale collocato in disponibilità, e mantiene il diritto di essere
successivamente ricollocato nella propria originaria qualifica e categoria di
inquadramento, anche attraverso le procedure di mobilità volontaria di cui all'articolo
30 del d.lgs. 165/2001.
In sede di contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative possono essere stabiliti criteri generali per l'applicazione delle
disposizioni relative alla procedura di ricollocazione.
Il successivo comma 6 ha previsto per le p.a., che prevederanno nel programma
triennale del personale, procedure concorsuali e nuove assunzioni a tempo
indeterminato o determinato per un periodo superiore a 12 mesi, l’obbligo di verificare
preliminarmente l’impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto
nell'apposito elenco.
I dipendenti iscritti negli elenchi potranno essere assegnati, nell'ambito dei posti
vacanti in organico, in posizione di comando presso amministrazioni che ne facciano
richiesta o presso quelle individuate dal Dipartimento della Funzione Pubblica ai sensi
dell'articolo 34-bis, comma 5-bis.
Gli stessi dipendenti potranno, altresì, avvalersi della disposizione di cui all'articolo 23bis che disciplina la mobilità tra pubblico e privato per dirigenti statali, diplomatici e
magistrati.
Durante il periodo in cui i dipendenti saranno utilizzati con rapporto di lavoro a tempo
determinato o in posizione di comando presso altre amministrazioni pubbliche o si
avvarranno dell'articolo 23-bis, il termine di 24 mesi per la percezione dell’80% della
retribuzione di cui all'articolo 33 comma 8 resta sospeso e l'onere retributivo è a carico
dall'amministrazione o dell'ente che utilizza il dipendente.
E’ stato, infine, introdotto il comma 567-bis alla legge 147/2013 (legge di stabilità 2014),
con la previsione del termine di 60 giorni per le procedure di ricollocazione, da parte
dell’ente controllante o della società, del personale eccedentario nell’ambito della stessa
società ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti
strumentali.
Inoltre, è stato previsto il termine di 90 giorni dall’avvio, per la conclusione degli
accordi collettivi con
le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative finalizzati alla realizzazione di forme di trasferimento in mobilità dei
dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo operanti anche al di fuori
del territorio della regione ove hanno sede le società interessate da eccedenze di
personale.
Entro 15 giorni dalla conclusione delle suddette procedure, il personale potrà
presentare istanza alla società di cui è dipendente o all'amministrazione controllante
48
per una ricollocazione, in via subordinata, in una qualifica inferiore nella stessa società
o in altra società.
Articolo 6 - Divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza
E’ stata estesa la portata del divieto ex articolo 5, comma 9 del d.l. 95/2012 applicabile
alle amministrazioni, di cui all’articolo 1 comma 2 del d.lgs. 165/2001 e per quelle
inserite nel conto economico consolidato.
Dette amministrazioni non possono conferire incarichi dirigenziali o direttivi o in
organi di governo delle amministrazioni e degli enti e società da esse controllati ai
soggetti già lavoratori, privati o pubblici, collocati in quiescenza.
Tale divieto non si applica ai componenti delle giunte degli enti territoriali e ai
componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis,
del d.l. 101/2013 (ordini, collegi professionali e relativi organismi nazionali; enti
aventi natura associativa).
Incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una
durata non superiore a un anno, non prorogabile ne' rinnovabile, presso ciascuna
amministrazione.
Eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente
dell'amministrazione interessata, devono essere rendicontati.
Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell'ambito
della propria autonomia.
Tali modifiche trovano applicazione relativamente agli incarichi conferiti a decorrere
dal 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto).
Articolo 7 - Prerogative sindacali nelle p.a.
Dal 1° settembre 2014 i contingenti complessivi dei distacchi, aspettative e permessi
sindacali, già attribuiti al personale delle p.a. (ex artt. l, comma 2, e 3 d.lgs. 165/2001),
sono ridotti del 50% per ciascuna associazione sindacale.
Per ciascuna associazione sindacale, la rideterminazione dei distacchi è operata con
arrotondamento delle eventuali frazioni all'unità superiore e non opera nei casi di
assegnazione di un solo distacco.
La ripartizione dei contingenti ridefiniti tra le associazioni sindacali può essere
modificata con le procedure contrattuali e negoziali previste dai rispettivi ordinamenti.
In tale ambito e' possibile definire, con invarianza di spesa, forme di utilizzo
compensativo tra distacchi e permessi sindacali.
In merito alle modalità applicative si segnala la Circolare della Funzione Pubblica n. 5
del 20 agosto 2014.
Articolo 9 - Riforma degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle
avvocature degli enti pubblici
In sede di conversione la disposizione in commento è stata oggetto di integrale
riformulazione.
I compensi professionali corrisposti dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs.
165/2001, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale
dell'Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite
retributivo di cui all'articolo 23-ter del d.l. 201/2011 (il cui parametro massimo di
49
riferimento è individuato nel trattamento economico del primo Presidente della Corte
di Cassazione).
E’ stato abrogato il comma 457 dell’articolo l della legge 147/2013 e il comma 3
dell'articolo 21 del r.d. 1611/1933, ridefinendo la disciplina degli onorari per
l’avvocatura pubblica.
Secondo la nuova disciplina, nei casi di sentenza favorevole con recupero delle spese
legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati
dipendenti delle amministrazioni, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi
regolamenti e in sede di contrattazione collettiva.
La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell’amministrazione.
Un regime differente è previsto per gli avvocati e i procuratori dello Stato.
I regolamenti e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto in base al rendimento
individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro
della puntualità negli adempimenti processuali.
In tale sede devono inoltre essere disciplinati i criteri di assegnazione degli affari
consultivi e contenziosi, da operare possibilmente attraverso sistemi informatici,
secondo princìpi di parità di trattamento e di specializzazione professionale.
In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di
transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni (sentenze successive al 25
giugno 2014), e nei giudizi in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali, ai
dipendenti sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o
contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare
il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013.
In ogni caso a ciascun avvocato possono essere attribuiti compensi professionali
globalmente non
superiori al rispettivo trattamento economico complessivo.
L’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi deve avvenire entro tre mesi
dall’entrata in vigore della legge di conversione (19 novembre 2014).
In assenza di adeguamento, a decorrere dal 1° gennaio 2015, non sarà possibile
corrispondere compensi professionali ai legali interni.
Articolo 10 - Abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e provinciale e
abrogazione della ripartizione del provento annuale dei diritti di segreteria
La disposizione in commento ha abrogato i diritti di rogito riconosciuti al segretario
comunale e provinciale (ex articolo 41, comma 4, legge 312/1980).
Inoltre, è stato novellato l’articolo 30, comma 2, della legge 734/1973, stabilendo che i
proventi annuali dei diritti di segreteria saranno attribuiti integralmente al comune o
alla provincia.
In sede di conversione sono stati introdotti i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater.
Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i
segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento
annuale spettante al comune, é attribuita al segretario comunale rogante, in misura non
superiore a 1/5 dello stipendio in godimento, per i seguenti atti:
1) Avvisi d'asta per alienazioni, locazioni, appalti di cose e di opere, concessioni di
qualsiasi natura
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2) Verbali relativi ai procedimenti degli incanti e delle licitazioni private
riguardanti gli oggetti di cui al numero 1
3) Contratti relativi agli oggetti di cui al n. 1, anche se stipulati a seguito di
licitazioni o trattativa privata e se vi sia intervento di terzi garantiti o
cauzionanti
4) Scritturazione degli atti originali contemplati ai numeri 2 e 3 e per le copie degli
atti estratti dall'archivio
(Tabella D allegata alla legge 604/1962 e smi).
Le norme di cui al presente articolo non si applicano per le quote già maturate alla data
di entrata in vigore del presente decreto (25 giugno 2014).
E’ stato modificato l'articolo 97, comma 4, lettera c), del Tuel:
Il Segretario “roga, su richiesta dell'ente, i contratti nei quali l'ente é parte e autentica
scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente”.
La modifica ha previsto che l’attività rogatoria svolta dai segretari comunali e
provinciali, quando richiesta dall’Amministrazione, è obbligatoria e non più facoltativa
come nel testo previgente.
Articolo 11 - Disposizioni sul personale delle regioni e degli enti locali
E’ stato novellato il comma 1 dell’articolo 110 del Tuel.
Gli enti locali dal 25 giugno 2014 possono prevedere, nel regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, che la copertura dei posti di responsabili dei
servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, avvenga
mediante contratto a tempo determinato in misura non superiore al 30% dei posti
istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno n.
1 unità.
Tali incarichi devono essere conferiti previa selezione pubblica volta ad accertare, in
capo ai soggetti in possesso dei requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, la
comprovata esperienza pluriennale e la specifica professionalità nelle materie oggetto
dell'incarico.
La legge di conversione ha ulteriormente modificato il comma 5 dell’articolo 110 Tuel,
con estensione all’incarico di direttore generale, di cui all'articolo 108 Tuel, del
trattamento previsto per i dipendenti delle p.a. con incarichi a tempo determinato di
responsabile di servizio, in dotazione organica o extra dotazione (di cui ai commi 1 e
2), ossia il collocamento in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità
di servizio.
Nel testo originario, in vigore fino al 24 giugno 2014, era prevista la risoluzione del
rapporto di pubblico impiego nel caso in cui il dipendente fosse stato incaricato ai sensi
del comma 2 (disposizione disattesa nella maggior parte dei casi).
In sede di conversione è stato nuovamente introdotto l’articolo 19, comma 6-quater, del
d.lgs. 165/2001, che ha esteso la possibilità di conferire incarichi dirigenziali di prima e
seconda fascia per gli enti di ricerca di cui all'articolo 8 del dpcm. 593/1993.
Resta confermata l’abrogazione operata dal d.l. 90/2014 della disciplina
precedentemente prevista per gli enti locali dal comma citato 6-quater.
Per la dirigenza regionale e la dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa degli
enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, il limite dei posti di dotazione
organica attribuibili tramite assunzioni a tempo determinato, nonché ai sensi di
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disposizioni normative di settore riguardanti incarichi della medesima natura, previa
selezione pubblica ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del Tuel, è fissato nel 10%.
E’ stato inserito il comma 3-bis all'articolo 90 del Tuel, utilizzando una “frase sibillina”
che di fatto consente la possibilità di affidare incarichi di staff degli organi politici
indipendentemente dal titolo di studio richiesto per l’inquadramento nella categoria
contrattuale individuata.
Il nuovo comma 3-bis stabilisce infatti “Resta fermo il divieto di effettuazione di attività
gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico,
prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale”.
Pertanto, in modo quasi “mascherato” si stabilisce che:
 gli incarichi affidati ex art. 90 del tuel possono prevedere un compenso
“parametrato a quello dirigenziale”, anche se l’incaricato non può svolgere attività
gestionale, ma lo stipendio può essere di tale livello;
 l’inquadramento in una determinata categoria prevista dal ccnl. enti locali non
rileva in quanto si possono affidare incarichi a chiunque, prevedendo stipendi
anche molto elevati (nel rispetto comunque dei limiti di spesa ex art. 1, commi
557 e ss legge 296/2006 e/o ex art. 9, comma 28 d.l. 78/2010) senza
preoccuparsi del titolo di studio posseduto dall’interessato.
E’stato modificato l’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 con la previsione secondo cui
“Le limitazioni previste dal presente comma non si applicano agli enti locali in regola con
l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della
legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, nell'ambito delle risorse disponibili a
legislazione vigente”.
Pertanto, in base alla nuova disciplina del comma 28, gli enti locali, rispettosi
dell’obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell’art. 1
della legge 296/2006 (Legge finanziaria 2007) potranno effettuare assunzioni a tempo
determinato oltre il limite previsto del 50% della spesa utilizzata per le stesse finalità
nell’anno 2009.
Ai fini del rispetto dell’obbligo di riduzione della spesa sopra citato, la legge di
conversione con l’introduzione del comma 557-quater alla legge 296/2006 ha previsto
che ai fini dell’applicazione del comma 557, a decorrere dall’anno 2014 gli enti
dovranno assicurare, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di
personale, il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del
triennio precedente la data di entrata in vigore della disposizione, ossia 2011-2013
All'articolo 16 del d.l. 138/2011, è stato aggiunto il comma 31-bis, con la previsione che
restano escluse dal limite di cui al citato comma 557 le assunzioni a tempo determinato
effettuate dai comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti per le sole
spese di personale stagionale strettamente necessarie a garantire l’esercizio delle
funzioni di polizia locale in ragione di motivate caratteristiche socio-economiche e
territoriali connesse a significative presenze di turisti.
Articolo 12 - Copertura assicurativa dei soggetti beneficiari difforme di integrazione
e sostegno del reddito coinvolti in attività di volontariato a fini di utilità sociale
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha istituito, in via sperimentale per il
biennio 2014-2015, un Fondo finalizzato a reintegrare l'INAIL dell'onere relativo alla
copertura assicurativa in favore dei soggetti beneficiari di ammortizzatori e di altre
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forme di integrazione e sostegno del reddito previste dalla normativa vigente, coinvolti
in attività di volontariato a fini di utilità sociale in favore di Comuni o enti locali.
Al fine di promuovere la prestazione di attività di volontariato da parte dei suddetti
soggetti, i Comuni e gli altri enti locali interessati, promuovono le opportune iniziative
informative e pubblicitarie finalizzate a rendere noti i progetti di utilità sociale in corso
con le associazioni di volontariato.
L'INPS, su richiesta di Comuni o degli altri enti locali, verifica la sussistenza del
requisito soggettivo degli interessati alla prestazione di dette attività.
Con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali saranno stabiliti modalità
e criteri per la valorizzazione, ai fini della certificazione dei crediti formativi,
dell'attività prestata per le predette finalità.
Articolo 13 - Abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del d.lgs. 163/2006, in
materia di incentivi per la progettazione
La disposizione in commento ha abrogato i commi 5 e 6 dell’art. 92 del d.Lgs. n.
163/2006, relativi agli incentivi per la progettazione al personale interno alle
Amministrazioni.
Articolo 13-bis Fondi per la progettazione e l’innovazione
L’art. 13-bis, introdotto in sede di conversione del decreto legge, regola i fondi per la
progettazione e l'innovazione, destinati in parte ad incentivare le attività connesse alla
progettazione delle opere pubbliche svolte da personale interno all'Amministrazione, e
in parte all'investimento in innovazione.
La norma interviene sull’articolo 93 del d.lgs. 163/2006, al quale, dopo il comma 7,
aggiunge i commi da 7-bis a 7-quinquies.
Le amministrazioni pubbliche destinano al fondo per la progettazione e l’innovazione
risorse finanziarie in misura non superiore al 2% degli importi posti a base di gara di
ciascuna opera o lavoro.
Un importo pari all’80% delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e
l’innovazione è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, con le modalità e i criteri stabiliti
nel regolamento adottato dall’Ente e previsti in sede di contrattazione decentrata
integrativa, tra il RUP e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della
sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori; gli
importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico
dell’amministrazione.
Il regolamento deve stabilire:
- la percentuale effettiva delle risorse finanziarie, entro il limite del 2%, in
rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare;
- i criteri di riparto delle risorse del fondo, tenendo conto delle responsabilità
connesse alle specifiche prestazioni da svolgere, con particolare riferimento a
quelle effettivamente assunte e non rientranti nella qualifica funzionale
ricoperta, della complessità delle opere, escludendo le attività manutentive, e
dell’effettivo rispetto, in fase di realizzazione dell’opera, dei tempi e dei costi
previsti dal quadro economico del progetto esecutivo;
- i criteri e le modalità per la riduzione delle risorse finanziarie connesse alla
singola opera o lavoro a fronte di eventuali incrementi dei tempi o dei costi
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previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, depurato del ribasso
d’asta offerto.
Non devono essere considerate ai fini della decurtazione i ritardi connessi alle
varianti dovute (ex art. 132, comma 1, d.lgs. 163/2006) a:
 sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari (lett. a);
 cause impreviste e imprevedibili o per migliorie tecnologiche o di
materiali (lett. b);
 eventi inerenti la natura dei beni (lett. c);
 cause geologiche, idriche e simili non previste.
La corresponsione dell’incentivo è disposta dal dirigente o dal responsabile previo
accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti (privi di
qualifica dirigenziale) interessati.
Ciascun dipendente non può percepire a titolo di incentivi, anche da parte di più
amministrazioni, un importo superiore al 50% del trattamento economico complessivo
annuo lordo.
Le quote parti dell’incentivo che non possono essere erogate al personale, in quanto
corrispondenti
prestazioni affidate all'esterno costituiscono economie.
In caso di mancata verifica da parte del dirigente o il responsabile del servizio, le
corrispondenti risorse non possono essere erogate e costituiscono, di conseguenza,
economie.
Il restante 20% delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e l’innovazione è
destinato a finanziare l'investimento in innovazione, attraverso l’acquisto di beni,
strumentazioni e tecnologie funzionali a progetti di innovazione, di implementazione
delle banche dati per il controllo e il miglioramento della capacità di spesa per centri di
costo nonché all’ammodernamento e all’accrescimento dell’efficienza dell’ente e dei
servizi ai cittadini.
Gli organismi di diritto pubblico e le società partecipate [ex art. 32, comma 1, lett. b) e
c)] possono adottare con proprio provvedimento criteri analoghi a quelli sopra
indicati.
Articolo 16 – Nomina dei dipendenti nelle società partecipate
La disposizione in commento ha apportato alcune modifiche all’articolo 4, commi 4 e 5,
del d.l. 95/2012 relativo alla composizione del Cda delle società.
Anche la legge di conversione ha confermato l’eliminazione dell’obbligo di nominare
dipendenti dell'amministrazione socia nei consigli di amministrazione delle società
partecipate.
Il novellato comma 4 disciplina le modalità di nomina dei consigli di amministrazione
di società partecipate dagli enti pubblici (ex art. 1, comma 2 d.lgs. 165/2001), che
abbiano conseguito nel 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di p.a.
superiore al 90% dell'intero fatturato.
La norma conferma che tali consigli non possono essere composti da più di tre membri
nel rispetto dei vincoli in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi di cui
al d.lgs. 39/2013.
La legge di conversione ha imposto a tali organismi dal 1°gennaio 2015 di diminuire
del 20% il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori, ivi compresa la
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remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, rispetto al costo
complessivamente sostenuto nel 2013.
La norma consente ancora di poter nominare dipendenti dell'ente socio, stabilendo il
“diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate”, nel rispetto del
limite di spesa dell’80% del 2013 e l’obbligo per i dipendenti nominati di riversare i
relativi compensi all'ente datore di lavoro.
E’ stato nuovamente novellato anche il comma 5, il quale stabilisce che i consigli di
amministrazione delle società che nel 2011 hanno avuto un fatturato da prestazione di
servizi a favore di p.a. inferiore o pari al 90% dell'intero fatturato possono essere
composti da tre o da cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità
delle attività svolte.
Anche tali società devono ridurre del 20% il costo annuale sostenuto per i compensi
degli amministratori, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari
cariche, rispetto al costo complessivamente sostenuto nel 2013.
Infine, anche per tali organismi è stato confermato che possono nominare dipendenti
dell'ente socio, fatto salvo il “diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese
documentate”, nel rispetto del limite di spesa dell’80% del 2013 e l’obbligo per i
dipendenti nominati di riversare i relativi compensi all'ente datore di lavoro.
Le nuove regole si applicano dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione
successivo al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del d.l. 90/2014).
Articolo 17, comma 4 - Ricognizione degli enti pubblici e unificazione delle banche
dati delle società partecipale
Tale disposizione prevede che, dal 1° gennaio 2015, il Ministero dell’economia e delle
finanze debba acquisire le informazioni relative alle partecipazioni in società ed enti di
diritto pubblico e di diritto privato, detenute direttamente o indirettamente dalle p.a.
individuate dall'Istat ex lege 196/2009, attraverso:
 l’utilizzo di banche dati esistenti;
 la richiesta di comunicazioni da parte delle amministrazioni pubbliche ovvero
da parte delle società da esse partecipate.
Tali informazioni saranno rese disponibili nella banca dati delle p.a. di cui all'articolo
13 della legge 196/2009 (banca dati ISTAT).
Entro il 17 novembre (90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del d.l. 90/2014), il Ministro dell'economia e delle finanze dovrà adottare
un decreto contenente le informazioni che le amministrazioni dovranno comunicare,
nonché le modalità tecniche di attuazione.
Sul sito istituzionale del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle
finanze e su quello del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, sarà pubblicato l'elenco delle amministrazioni adempienti e di
quelle non adempienti all'obbligo di comunicazione.
_________________________
Società: i vincoli assunzionali a seguito della legge di conversione del d.l. 66/2014
Dal 24 giugno 2014 le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo
devono attenersi al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il
contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale.
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A tal fine, spetta all’ente controllante definire con proprio atto di indirizzo, tenuto
anche conto dei propri divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, per ciascun
organismo partecipato, specifici criteri e modalità di attuazione del principio di
contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun
organismo opera.
Questa la novità introdotta dalla legge di conversione del d.l. 66/2014 che ha inserito
all’articolo 4 il comma 12-bis.
Tale disposizione ha novellato nuovamente il comma 2-bis dell’articolo 18 del d.l.
112/2008 che, nella formulazione precedente, disponeva l’estensione automatica dei
divieti e delle limitazioni alle assunzioni di personale previste dalla normativa vigente
per le amministrazioni pubbliche anche in capo alle società a partecipazione pubblica
locale totale o di controllo.
Allo stato attuale, pertanto, alle società da ultimo citate, i vincoli assunzionali e di
contenimento delle politiche retributive trovano applicazione mediante la mediazione
dell’ente controllante di riferimento.
Le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo dovranno adottare tali
indirizzi con propri provvedimenti e, laddove l’ente controllante disponga indicazioni
in materia di contenimento degli oneri contrattuali, questi dovranno essere recepiti
nella contrattazione di secondo livello adottata dalla società, fermo restando il
contratto nazionale in vigore al 1º gennaio 2014.
Per le società che gestiscono servizi pubblici locali, occorre però ricordare che l’art. 3bis del d.l. 138/2011, così come modificato dalla legge di stabilità 2014, ha stabilito che
le stesse devono adottare, “con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento
del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3
dell'articolo 35 del d.lgs. 165/2001, nonché i vincoli assunzionali e di contenimento delle
politiche retributive stabiliti dall'ente locale controllante, ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis,
del d.l. 112/2008”.
Le società che gestiscono servizi pubblici a rilevanza economica, quindi, devono
approvare un atto interno (anche avente natura di atto di indirizzo oppure quale atto
integrativo del regolamento in cui sono disciplinate le procedure assunzionali e di
affidamento di incarichi a professionisti esterni) in cui devono essere previsti criteri di
contenimento della spesa di personale ed eventuali limitazioni per le nuove assunzioni
stabiliti dagli enti pubblici soci.
Atto necessario e propedeutico affinché le società si dotino di atti di programmazione
per il contenimento dei costi del personale è l’atto di indirizzo dell’ente socio.
A seguito dell’approvazione di tale atto del socio pubblico, le società in house
potranno adottare atti di pianificazione e programmazione del personale adeguati a
darne attuazione.
Le società dovranno inoltre approvare un atto organizzativo, in cui dovranno essere
indicate le risorse umane necessarie, sia da un punto di vista quantitativo, che
qualitativo, per l’erogazione dei servizi affidati in quel momento.
A tal proposito, appare utile richiamare quanto precisato dalla Corte dei Conti, sez.
contr. Veneto, nella deliberazione 212/2012, ai fini di fornire concrete indicazioni alle
società per l’attuazione di tale vincolo.
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I magistrati contabili hanno chiarito che in relazione alle disposizioni finalizzate al
rispetto di principi giuslavoristici che prevedono dei necessari adempimenti, deve
essere realizzata dagli organismi interessati:
 la valutazione periodica, almeno triennale della consistenza ed eventuale
variazione delle dotazioni organiche, previa verifica degli effettivi fabbisogni;
 la programmazione triennale del fabbisogno di personale, in linea con gli
strumenti di programmazione economico-finanziaria pluriennale.
Difatti quest’ultimo nell'esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo dovrà
stabilire le modalità con cui verranno applicati i citati vincoli, modalità che verranno
adottate con propri provvedimenti.
______________________________
Le società pubbliche possono fallire
Tribunale Pescara, Decreto 14 gennaio 2014
di Federica Caponi
Una società di capitali, partecipata della p.a., non muta la propria natura di diritto
privato solo perché gli enti pubblici ne posseggono le azioni, la stessa infatti opera
nell'esercizio della propria autonomia negoziale.
Il contemperamento fra tutela dei creditori e necessità di un’efficiente gestione del
servizio non consente l’applicazione di istituti di privilegio, tipicamente previsti per
enti pubblici, come l’esenzione dal fallimento.
Pertanto, una società di capitali, di cui un comune detenga la maggioranza del capitale
può essere ammessa al concordato fallimentare come una qualsiasi altra società.
Questo il principio sancito dal Tribunale di Pescara, nel Decreto 14 gennaio 2014, con
cui ha ammesso al concordato una società, a maggioranza pubblica, che svolgeva
servizi a favore dello stesso socio pubblico.
Il Tribunale ha preliminarmente chiarito alcuni elementi in ordine alla tematica della
fallibilità delle società a partecipazione pubblica, ricordando che si sono contrapposte
due impostazioni di fondo, volte rispettivamente ad affermare e a negare la soggezione
a procedure concorsuali di tali società.
Una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene possibile estendere
l’applicazione del comma 1 dell’articolo 1 della legge fallimentare.
Una primo orientamento ha aderito alla tradizionale teoria degli indici sintomatici
della pubblicità, in forza della quale la qualificazione, ai fini della disciplina
applicabile, in senso privatistico o pubblicistico, di un ente, pur formalmente definito
società per azioni, va operata caso per caso, dando prevalenza alla sostanza sulla forma
e avendo riguardo al carattere strumentale o meno dell'ente societario rispetto al
perseguimento di finalità pubblicistiche e all'esistenza di una disciplina derogatoria
rispetto a quella propria dello schema societario.
Pertanto, l’applicazione analogica del citato articolo 1 ad un ente formalmente privato
avviene sulla base di una riqualificazione pubblicistica operata in via interpretativa,
secondo i c.d. indici esteriori sintomatici della pubblicità, individuati, ad esempio nella
costituzione ad iniziativa pubblica, nella nomina o designazione pubblica degli organi,
nello scioglimento ad iniziativa pubblica, nella sottoposizione ad amministrazione
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straordinaria, nel controllo pubblico sul bilancio preventivo e sul conto consuntivo, o
sullo statuto, nel finanziamento pubblico e nella titolarità dell'ente di potestà
pubblicistiche.
Tale interpretazione si scontra con il principio stabilito dalla legge 70/1975, che, nel
prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non
per legge, richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da una espressa
disposizione di legge, debba desumersi da un quadro normativo di riferimento chiaro
ed inequivoco.
La seconda impostazione ritiene applicabili le disposizioni di diritto pubblico, qualora
espressamente previste, e di diritto privato, in assenza di diverse previsioni, quando
non vi sia ragione di derogare ad esse in considerazione degli interessi protetti.
In questa prospettiva, l'esenzione dal fallimento viene considerata una norma posta a
garanzia della continuità di una determinata funzione, come tale suscettibile di
applicazione analogica nei confronti di società per azioni, allorquando queste ultime
siano destinate allo svolgimento di attività che abbiano rilievo pubblicistico.
Tale posizione presuppone una lacuna nell'ordinamento che comporterebbe la
“necessità di tutelare l'interesse pubblico mediante l'esenzione dal fallimento”.
L’applicazione della procedura fallimentare potrebbe comportare la lesione di interessi
meritevoli di tutela, in tutti i casi in cui l'esistenza della società sia considerata
necessaria dall'ente territoriale di riferimento.
La necessità viene ancorata al dato dell'erogazione di un servizio pubblico essenziale,
rispetto al quale, se intervenisse la dichiarazione di fallimento, si avrebbe
un'inammissibile, sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria a quella
amministrativa nell'esercizio di poteri e facoltà di carattere pubblicistico, quali la
decisione in ordine alla continuità o meno nella gestione del servizio.
Si sostiene che la procedura fallimentare lederebbe interessi pubblici, ponendo
problemi di compatibilità con i principi costituzionali che regolano l'agire
amministrativo.
Tale interpretazione, però, potrebbe prospettare l’esclusione dal fallimento anche per
soggetti privati che erogano, ad esempio in forza di una concessione, un servizio
pubblico.
Per quanto riguarda le società in house, qualunque sia l'indirizzo interpretativo che si
intenda seguire in ordine alla qualificabilità di una società quale ente pubblico, alcuna
conseguenza ne deriverebbe rispetto all'applicazione della legge fallimentare.
La natura del rapporto funzionale con l'ente proprietario non si riflette nei rapporti con
i terzi, né sulla disciplina normativa applicabile all'organizzazione societaria, che
rimane quella ordinaria stabilita dal codice civile.
Questo è vero anche nel caso in cui la società sia interamente partecipata da soci
pubblici e in quanto tale debba essere considerata espressione organica dell'ente
pubblico.
Il Tribunale ha chiarito che le società di capitali con partecipazione pubblica non
mutano la loro natura di soggetto di diritto privato solo perché vi sono soci pubblici
che ne posseggono le azioni.
Non assume rilievo la persona dell'azionista, dato che tale società, quale persona
giuridica privata, opera nell'esercizio della propria autonomia negoziale e gli strumenti
utilizzati per regolare il rapporto tra società ed ente locale non possono essere quelli
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autoritativi di diritto pubblico, ma l'ente può avvalersi unicamente degli strumenti
propri del diritto societario.
La legge non prevede “alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina
privatistica delle società di capitali, per le società miste incaricate della gestione di servizi
pubblici istituiti dall'ente locale. La posizione del Comune all'interno della società è unicamente
quella di socio di maggioranza, derivante dalla prevalenza del capitale da esso conferito; e
soltanto in tale veste l'ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società avvalendosi
non già dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto
societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della
società” (Corte Cass., sez. civ., sent. 7799/2005).
Pertanto, il contemperamento fra la tutela dei creditori e la necessità di un’efficiente
gestione del servizio non ammette l’applicazione di istituti di privilegio che operano
sul piano dell'attività, quale l’esenzione dal fallimento.
Alla luce delle considerazioni evidenziate, il Tribunale di Pescara ha ritenuto che, in
base alla concreta situazione patrimoniale e finanziaria emergente dalla
documentazione contabile, fosse opportuno disporre la nomina di un commissario
giudiziale, fissando un termine per il deposito della proposta di concordato
preventivo, del piano e della documentazione richiesta dalla legge fallimentare o di
una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione.
___________________________
Il consigliere non può accedere agli atti della partecipata in piccola quota
I Consiglieri non hanno diritto di accedere agli atti di una società mista, se il Comune
possiede una limitata quota del capitale sociale.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 4403 del 4 settembre
2013.
Nel caso di specie un consigliere comunale aveva chiesto di accedere agli atti di una
società partecipata dal Comune, accesso negato dalla società e successivamente accolto
dal Tar.
La società ha proposto appello al consiglio di Stato ritenendo, tra l’altro, non
ammissibile l’accesso non potendo essere assoggettata a controllo da parte del Comune
a fronte dell’esigua partecipazione in essa detenuta.
Il consiglio di Stato ha accolto il ricorso della società sulla base dell’interpretazione
dell’articolo 43 Tuel che riferisce il diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti e
documenti delle aziende ed enti dipendenti dal Comune, nonché dello statuto
comunale che prevedeva tale diritto solo nei confronti di società di cui il Comune
doveva avere il controllo.
_____________________________
Società pubbliche: se svolgono attività d’impresa non sono soggette alla Corte dei
Conti
Corte dei conti, III sez. giur. centrale d'appello, sent. 546/2013
di Federica Caponi
Se la società controllata da un ente pubblico svolge attività commerciale, d’impresa,
non è assoggettata alla giurisdizione della Corte dei Conti.
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La giurisdizione della Corte dei Conti infatti sussiste per responsabilità degli
amministratori di società a partecipazione pubblica, quando sia ravvisabile
contemporaneamente l’intero capitale pubblico, la società operi per statuto in via
esclusiva o prevalente in favore dell’ente socio e vi sia un reale controllo analogo da
parte dell’ente pubblico o una forma di direzione e controllo sulla gestione societaria
da parte della p.a.
Questo il principio sancito dalla Corte dei Conti, sezione III giurisdizionale d’appello
nella sentenza in commento, con la quale ha dichiarato la competenza del giudice
ordinario in merito ad una società che svolge attività economica sul mercato, benché il
capitale sia interamente pubblico.
Nel caso di specie, la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Lazio aveva
condannato i membri del consiglio di amministrazione di una società a totale
partecipazione pubblica, sottoposta a poteri di vigilanza del Ministero dei beni
culturali in quanto aveva ritenuto tali soggetti responsabili del danno cagionato alla
società a causa della costituzione di una società per azioni di gestione del risparmio
(SGR), istituita con finalità di associare capitale privato.
Il carattere pubblicistico della società, secondo la Corte sarebbe dimostrato dal capitale
interamente pubblico e dallo statuto, che prevedeva poteri incisivi di direttiva e di
indirizzo riconosciuti al Ministero quale socio unico, tra cui il fatto che la società è
totalmente finanziata con danaro pubblico, è inserita funzionalmente nell'ambito delle
politiche statali nel settore di riferimento ed è assoggettata a poteri di vigilanza da
parte del Ministero che nomina i componenti degli organi societari.
I consiglieri di amministrazione hanno rilevato che il danno contestato si
sostanzierebbe in una diminuzione diretta del patrimonio della società per azioni con
capitale totalmente pubblico (e non invece in un pregiudizio per l’erario) e che, di
conseguenza, andrebbe esclusa la giurisdizione della Corte dei Conti secondo quanto
statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 26806/2009.
Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei
danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite
degli amministratori o dei dipendenti quando non sussiste tra la società e l’ente socio
un rapporto di servizio, né un danno direttamente arrecato alla p.a.
Sussiste invece la giurisdizione dei magistrati contabili quando il rappresentante
dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere ha colpevolmente
trascurato di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicando il valore della
partecipazione, ovvero sono stati realizzati comportamenti tali da compromettere la
ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al
perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o
quando si sia realizzato direttamente un danno al patrimonio pubblico.
E’ escluso che sussista un idoneo collegamento, per radicare la giurisdizione contabile
nei confronti degli amministratori di una società per azioni, per il solo fatto che vi sia la
totale o maggioritaria partecipazione societaria dell'ente pubblico, mentre è necessario
verificare se la società sia “un soggetto non solo formalmente, ma anche sostanzialmente
privato” (giurisdizione del giudice ordinario) o, invece, rappresenti un “mero modello
organizzatorio utilizzato dalla p.a. al fine di perseguire le proprie finalità” (Cass. SS.UU. sent.
10063/2011).
60
La giurisdizione della Corte dei Conti sussiste anche in ragione della natura
sostanzialmente pubblica delle società e della loro “specialità” ravvisabile in uno
specifico e differenziato statuto giuridico o, ancora, in una specifica disposizione
legislativa che prevede, come oggetto sociale esclusivo della società per azioni, la
produzione di beni e servizi strumentali all'attività delle amministrazioni (regionali e
locali).
In merito al caso di specie, la Corte dei Conti ha ritenuto non sussistente la propria
competenza in quanto la società, nonostante sia totalmente a partecipazione pubblica e
assoggettata a un pregnante controllo da parte della p.a.:
a) non opera “in via esclusiva o prevalente in favore dell'ente pubblico socio;
b) non svolge attività “amministrativa”;
c) svolge attività di impresa, commerciale vera e propria, improntata a parametri di
concorrenza non astratta (in quanto riferibile ad un segmento di mercato) e di
economicità.
Inoltre, il danno contestato agli amministratori della società è stato individuato nel
pregiudizio sofferto dalla stessa e non dalla p.a. socia, come conseguenza di una
fallimentare iniziativa.
Infine, la società avendo creato una nuova società di gestione del risparmio, ha
realizzato sostanzialmente attività di impresa, certamente non qualificabile come
attività amministrativa.
La Corte dei Conti ha così chiarito che in merito all’accertamento della responsabilità
degli amministratori per i danni cagionati alla società pubblica in ragione di scelte
imprenditoriali connesse alla creazione di una società per la gestione del risparmio,
spetta al giudice ordinario.
_____________________________
Scioglimento consorzio e personale: non è automatico il reinserimento negli organici
della p.a.
Corte dei Conti, sez. controllo Piemonte, deliberazione. 295/2013
di Federica Caponi
In caso di messa in liquidazione di un organismo partecipato, per il personale trasferito
dall’ente pubblico socio l’obbligo di riassunzione da parte della p.a. di provenienza
sussiste in caso di rispetto dei vincoli assunzioni, di regolamentazione al momento del
trasferimento del reintegro nel ruolo del comune e di reinternalizzazione dei servizi e
delle attività precedentemente esternalizzate.
A tal fine, inoltre, è necessario che l’ente pubblico abbia una carenza organica nei ruoli
e per le funzioni di competenza dei dipendenti già trasferiti presso l’organismo
esterno, la disponibilità di risorse economiche per sostenere gli oneri connessi al
reinquadramento, e che intenda procedere alla copertura dei posti scoperti mediante la
riammissione dei dipendenti, i quali devono essere inquadrati nella medesima
posizione giuridico – economica rivestita anteriormente al trasferimento.
Questi i principi ribaditi dalla Corte dei Conti, sezione controllo del Piemonte, con la
deliberazione 295/2013, con cui ha risposto alla richiesta di chiarimenti di un ente che
intendeva sciogliere un consorzio di cui faceva parte unitamente ad altri due comuni.
61
In particolare, l’ente aveva chiesto se era possibile derogare ai vincoli in tema di spesa
di personale (riduzione tendenziale della spesa ex art. 1, comma 557, legge 296/2006;
incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente ex art. 76 del d.l. 112/2008) a
seguito del riassorbimento da parte dell’ente del personale dipendente dal consorzio.
I magistrati contabili hanno chiarito che la disciplina vincolistica in materia di spesa di
personale deve essere riferita non solo al singolo ente locale, ma anche a tutte quelle
forme di cooperazione e di esternalizzazione, che tendono a disarticolarne l’unità in
più centri giuridici (di diritto pubblico o privato), dotati di propria soggettività e
competenze, su cui l’ente, tuttavia, mantiene il controllo gestionale dall’esterno, quali
le unioni di comuni, ma anche i consorzi e le società interamente partecipate o
controllate dall’ente locale.
Pertanto, la spesa di personale deve essere valutata in senso sostanziale, sommando
alla spesa di personale propria di ciascun comune la quota parte di quella sostenuta da
un organismo partecipato, ancorché questo sia formalmente un soggetto terzo, secondo
un principio valevole per tutte le forme di esternalizzazione.
In caso di trasferimento di personale, a qualsiasi titolo, fra comuni e le varie tipologie
di organismi partecipati, in entrambe le direzioni, si deve tenere conto della somma
complessiva delle spese, calcolata sommando i dati degli enti locali che costituiscono
l’ente terzo e quelli di quest’ultimo soggetto.
La Corte ha ricordato infatti che attraverso l’utilizzo da parte degli enti locali di tali
forme organizzative non devono essere attuate operazioni elusive dei vincoli posti dal
legislatore.
Il dato relativo alla spesa per il personale transitato alla società partecipata (o
all’unione, al consorzio, etc.) e ritrasferito ad un ente partecipante, pertanto, deve
essere consolidato al dato della spesa del comune presso il quale fa rientro.
Tale modalità di calcolo deve essere attuata anche per individuare le spese di personale
sostenute nell’esercizio precedente, imputabili al comune, quale parametro di
riferimento per l’applicazione dell’obbligo di riduzione tendenziale della spesa ex art.
1, comma 557, della legge 296/2006.
La spesa di personale degli organismi partecipati, dovendo essere conteggiata in quella
complessiva per il personale dei comuni, nell’annualità in cui si verifica il rientro dei
dipendenti, soggiace ai parametri di contenimento previsti dalla legge al momento
della riassunzione negli enti di provenienza e alle relative conseguenze in caso di
violazione.
In merito al reinserimento nell’organico dell’ente locale dei dipendenti a seguito della
reinternalizzazione di un servizio, già svolto da un soggetto esterno, i magistrati
contabili del Piemonte hanno richiamato quanto chiarito dalle Sezioni riunite con la
deliberazione 8/2010, che hanno definito alcune condizioni necessarie.
In particolare, nella citata delibera, i magistrati contabili hanno precisato che i requisiti
che consentono il reinserimento di personale negli organici delle p.a. sono i seguenti:
 la persistenza di una carenza organica nei ruoli e per le funzioni di competenza dei
dipendenti già trasferiti presso l’organismo esterno;
 la disponibilità di risorse economiche per sostenere gli oneri connessi al
reinquadramento;
 l’espressa volontà dell’amministrazione di procedere alla copertura dei posti
scoperti mediante la riammissione dei dipendenti;
62
 l’inquadramento dei dipendenti nella medesima posizione giuridico – economica
rivestita anteriormente al trasferimento.
Infine, la Corte dei Conti del Piemonte, ha ricordato che in caso di soppressione dei
consorzi di funzione [ex art. 2, comma 186, lett. e), legge 191/2009] sono fatti salvi i
rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti, con assunzione da parte dei comuni
delle funzioni già esercitate dai consorzi soppressi e delle relative risorse e con
successione dei comuni agli stessi consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro
effetto.
In base al citato comma 186, tutto il personale del consorzio ha diritto al mantenimento
dell’impiego e in sede di scioglimento dell’organo associativo, i comuni devono
accordarsi in ordine al trasferimento di tutto il personale e, in particolare,
all’individuazione degli enti di destinazione di ciascun dipendente.
In ogni caso, i magistrati contabili del Piemonte hanno chiarito che i merito al
riassorbimento di personale proveniente da un consorzio disciolto i relativi
trasferimenti dovranno sottostare alle regole generali che disciplinano la materia e, in
particolare, a quelle finanziario-contabili in materia di contenimento delle spese di
personale.
Per quanto riguarda il personale delle società in house, l’ente locale, in caso di
reinternalizzazione di servizi precedentemente affidati a soggetti esterni, non può
derogare alle norme introdotte dal legislatore statale in materia di contenimento della
spesa, trattandosi di disposizioni, di natura cogente, che rispondono a imprescindibili
esigenze di riequilibrio della finanza pubblica per ragioni di coordinamento
finanziario, connesse ad obiettivi nazionali ancorati al rispetto di rigidi obblighi
comunitari (Corte dei Conti, sez. riunite, del. 26/2012).
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2/2/2016
Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea
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02 Feb 2016
Per la dismissione delle partecipate «contra
legem» l'ultima parola spetta all'assemblea
di Federica Caponi
L'ente locale che ha deliberato la dismissione di una partecipata senza essere riuscito a vendere le
quote, ha diritto a essere liquidato dalla società, ma la decisione deve essere discussa
dall'assemblea della società, che dovrà adottare misure idonee a garantirne l'attuazione. Il legislatore ha disciplinato una forma di liquidazione peculiare rispetto ai presupposti stabiliti
nel Codice civile per il recesso, introducendo un'ipotesi speciale valida solo per le società
partecipate da enti pubblici, disciplinata dal comma 569 della legge 147/2013, ulteriore rispetto a
quelle ordinarie contemplate dall'articolo 2437 del Codice civile; ma le decisioni assunte dall'ente
pubblico non vincolano automaticamente la società, essendo rimessa all'assemblea della
partecipata la valutazione sulle modalità attuative più idonee della decisione espressa dal socio. La vicenda Questi gli interessanti chiarimenti forniti dalla Corte dei conti, sezione di controllo Friuli Venezia
Giulia, nella deliberazione 158/2015 (su cui si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa
del 25 gennaio), con cui ha risposto a una società in house, interamente controllata da enti
pubblici territoriali; uno degli enti partecipanti, per reperire risorse finanziarie per ripristinare i
propri equilibri di bilancio, aveva manifestato l'intenzione di dismettere una parte delle azioni in
suo possesso. In particolare, la società aveva chiesto se era obbligata a liquidare la quota dell'ente socio, che non
aveva trovato un acquirente terzo, o se fosse possibile a fronte di legittime e oggettive ragioni
opporsi alla richiesta, anche per evitare la riduzione delle partecipazioni dei soci a mere quote
simboliche, utili solo al mantenimento dell'affidamento in house. Le regole «speciali» La problematica sottoposta ai magistrati contabili riguarda l'acquisizione di quote sociali
dismesse da un ente partecipante al capitale di una società in house, materia che è stata oggetto di
numerosi interventi legislativi negli ultimi anni, oltre che dello schema del decreto attuativo della
legge 124/2015, appena approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri. L'articolo 2357 del Codice civile stabilisce che «la società non può acquistare azioni proprie se
non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio
regolarmente approvato. (…) L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa le
modalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non
superiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il
corrispettivo massimo». Nel caso delle società pubbliche, però, questa disciplina, vincolante per le società di diritto
comune, è integrata da un'ulteriore serie di previsioni. Per ridurre il peso delle partecipazioni societarie degli enti locali, il legislatore ha previsto che,
una volta che l'ente pubblico socio abbia qualificato come non più strettamente indispensabile la
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2/2/2016
Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea
presenza nel capitale di società estranee alle proprie finalità istituzionali, se per qualsiasi causa
non sia riuscito a dismetterle, possa farsi liquidare dalla società il valore del suo investimento ex
articolo 2437­ter, comma 2, del Codice civile. In base al rinvio a questa disposizione, il socio pubblico ha diritto alla liquidazione delle azioni
secondo un valore determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del
soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale
della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle
azioni. In base a quanto previsto dall'articolo 2437­ter, comma 5, i soci hanno diritto di conoscere la
determinazione del valore di liquidazione e a presentare eventuali contestazioni. La disciplina introdotta dal comma 569 non può essere completamente assimilata al recesso
codicistico, ma secondo i magistrati contabili è corretta una lettura più ampia, individuando in
essa un'ipotesi di recesso sui generis, conseguente alla mancata individuazione di un acquirente.
L'intento del legislatore, infatti, con la previsione del comma 569, è proprio quello di superare le
difficoltà di cessione a terzi. Il passaggio in assemblea «Quando è ammesso il recesso, infatti, la liquidazione è certa, trattandosi di un diritto del socio
riconosciuto e regolato dal Codice civile, e viene conseguita indipendentemente dalla
composizione sociale e dalla quota detenuta – altrimenti verrebbe vanificato ­ l'obiettivo fissato
dal legislatore e in definitiva costringerebbe l'ente pubblico a rimanere associato a un rischio di
impresa che non corrisponde più alle proprie finalità istituzionali. Di conseguenza, il recesso
appare come l'elemento che riporta in equilibrio la procedura di abbandono delle partecipazioni
azionarie non strategiche», come chiarito anche dal Tar Brescia con la sentenza 1305/2015.
La Corte dei conti ha però rilevato che un aspetto problematico della normativa è costituito
dall'assemblea dei soci, cui compete l'approvazione del provvedimento di cessazione della
partecipazione societaria. La natura discrezionale della scelta di strategicità, che appartiene all'ente pubblico partecipante al
capitale, non "elimina" o riduce il ruolo dell'assemblea dei soci, che deve essere convocata per
formalizzare la decisione, facendola recepire agli altri soci, e definirne le modalità attuative. L'assemblea potrà eventualmente individuare forme alternative al recesso dell'ente pubblico,
procedendo (ad esempio) al riacquisto di azioni proprie, qualora ricorrano le condizioni previste
dall'articolo 2357 del Codice civile (acquisto esclusivamente di azioni interamente liberate nei
limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente
approvato) o disporre misure diverse. I magistrati contabili hanno infine precisato che in coerenza con le generali regole in tema di
giurisdizione, la società potrebbe anche contestare la dismissione e gli altri soci potrebbero
eventualmente rivolgersi al giudice competente territorialmente e per materia con riguardo a vizi
eventualmente ravvisati nella regolarità del procedimento di dismissione. P.I. 00777910159 ­ Copyright Il Sole 24 Ore ­ All rights reserved
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L'agenzia regionale non può assorbire il personale della società in house
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11 Feb 2015
di Federica Caponi
È illegittima costituzionalmente la legge regionale che sopprime una propria società in house e,
assegnando le funzioni a un'agenzia regionale, dispone il trasferimento del personale della
partecipata alla costituenda agenzia regionale. Non conta che la neo-costituita agenzia regionale,
cui sono state affidate tutte le funzioni che prima erano della società in house, abbia la necessità
di risorse umane per operare. Non è possibile disattendere il principio del concorso pubblico,
perché tale fattispecie non configura una peculiare e straordinaria esigenza di interesse pubblico.
La decisione
Questo il principio sancito dalla Corte costituzionale nella sentenza 7/2015, con la quale ha
dichiarato illegittimo l'articolo 13, comma 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 15
gennaio 2014, n. 4, concernente «Istituzione dell'Agenzia regionale per la bonifica e l'esercizio
delle attività residuali delle aree minerarie dismesse o in via di dismissione – Arbam» La norma
in questione disponeva il trasferimento del personale a tempo indeterminato della società in
house della Regione, contestualmente soppressa, alla neocostituita agenzia regionale per la
bonifica e l'esercizio delle attività residuali delle aree minerarie dismesse o in via di dismissione.
La Presidenza del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale per
violazione degli articoli 97 e 117 della Costituzione.
Le motivazioni
La Corte ha ribadito che il pubblico concorso è forma generale e ordinaria di reclutamento del
personale della pubblica amministrazione, cui si può derogare solo in presenza di peculiari e
straordinarie esigenze di interesse pubblico, che devono essere funzionali al buon andamento
dell'amministrazione. Il principio del pubblico concorso ad esempio non è incompatibile, nella
logica dell'agevolazione del buon andamento della Pa, con la previsione per legge di condizioni di
accesso che consentano il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa
amministrazione, ma non è ammissibile, salvo circostanze del tutto eccezionali, la riserva
integrale dei posti disponibili in favore di personale interno. La Corte ha più volte ritenuto
illegittimo il mancato ricorso al concorso pubblico in relazione a norme regionali di generale ed
automatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato nei ruoli di regioni o enti
pubblici regionali, «perché un simile trasferimento si risolve in un privilegio indebito per i
soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo», in violazione dell'articolo 97 Cost. (sentenza
134/2014).
Il caso
Secondo i magistrati costituzionali, anche nel caso in cui vi sia il passaggio di attività da uno a un
altro soggetto, con conseguente trasferimento anche del personale addetto consente di
prescindere dal concorso e dall'esigenza di pari condizioni di accesso di tutti i cittadini e di
selezione dei migliori. In tal caso, infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro con una p.a. non
può che risolversi nell'insorgenza di un rapporto di impiego pubblico alle dipendenze di
quest'ultima. La corte ha rilevato che è legittima la deroga al pubblico concorso quando lo
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L'agenzia regionale non può assorbire il personale della società in house
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scostarsi da tale principio «si riveli maggiormente funzionale al buon andamento
dell'amministrazione e ricorrano straordinarie esigenze d'interesse pubblico». I giudici della
consulta hanno però ritenuto che la necessità della neo-costituita agenzia di garantire l'immediata
operatività, essendole state assegnate le stesse funzioni della soppressa società in house, con la
conseguente, primaria esigenza di dotarsi di personale idoneo, non costituisce valido motivo per
disattendere il principio del concorso pubblico, non potendo qualificarsi tale condizione come
una «peculiare e straordinaria esigenza di interesse pubblico».
Le conseguenze
La pronuncia della Corte si ritiene dovrebbe imporre alcune riflessioni se consideriamo che:
• le società in house da diversi anni devono assumere nuovo personale nel rispetto delle
procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 3 del d.lgs. 165/2001 (ex art. 18, d.l. 112/2008),
ma formalmente sia ha pubblico concorso solo quando la selezione è svolta da una Pa in senso
stretto;
• le società sono considerate, ormai di fatto, pubbliche amministrazioni, non rilevando nella
maggioranza dei casi la loro natura di soggetti privati se non in rarissime "eccezioni";
• si dovrebbe aprire presto il tema della razionalizzazione e riorganizzazione di tali organismi e la
problematica del personale costituisce un aspetto rilevantissimo, anche alla luce della crisi
economica.
P.I. 00777910159 - Copyright Il Sole 24 Ore - All rights reserved
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Il Sole 24 Ore del Lunedì
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NORME E TRIBUTI
Il Sole 24 Ore lunedì
26 GENNAIO 2015
Giurisdizione. Competenza del giudice ordinario e non del Tar
L’atto del presidente di una provincia che dispone la revoca dell’amministratore di una
società interamente partecipata dall’ente non è un atto amministrativo in quanto la fattispecie
difetta del potere pubblicistico. Pertanto, in caso di controversia è competente solo il giudice
ordinario, al quale è rimessa la verifica della vicenda e anche quella dell’eventuale profilo
risarcitorio. L’atto è addirittura inesistente come atto amministrativo.
È questo il principio sancito dal Tar Calabria, sezione di Reggio Calabria, che, nella sentenza
4 del 15 gennaio scorso, ha dichiarato il difetto di giurisdizione e la competenza del giudice
ordinario.
Al Tar si era rivolto l’ex amministratore di una società, interamente partecipata da una
provincia, che aveva impugnato il decreto con il quale il presidente dell’ente locale lo aveva
revocato dalla carica. L’interessato aveva anche proposto domanda risarcitoria per ottenere la
condanna dell’amministrazione provinciale al ristoro di tutti i pregiudizi patrimoniali
(individuati nell’ammontare dei compensi non percepiti a causa della revoca anticipata,
ritenuta illegittima) e non patrimoniali.
Il Tar ha chiarito che tra le società a capitale interamente pubblico devono differenziarsi
quelle che svolgono attività di impresa da quelle che esercitano attività amministrativa. Le
prime sono assoggettate, in linea di principio, allo statuto privatistico dell’imprenditore, le
seconde soggiacciono allo statuto pubblicistico della pubblica amministrazione. Per stabilire
quando ricorre la prima o la seconda fattispecie occorre aver riguardo:
alle modalità di costituzione;
alla fase dell’organizzazione;
alla natura dell’attività svolta e al fine perseguito. Il che significa applicare il principio
sancito dalla sentenza 326/2008 della Corte costituzionale, la quale ha distinto tra attività
amministrativa in forma privatistica e attività di impresa di enti pubblici.
I giudici amministrativi, relativamente al caso esaminato, hanno precisato che:
?la società è stata costituita per iniziativa della provincia, che è socio totalitario al 100 per
cento;
?l’organo amministrativo, a regime, è composto da un consiglio di amministrazione di tre
membri, dei quali uno nominato dal socio unico, gli altri due nominati dal consiglio
provinciale, uno per la maggioranza e uno per la minoranza a maggioranza semplice e con
votazione separata;
?la società ha a oggetto una serie di molteplici attività anche di natura economica;
?il finanziamento dell’ente, oltre che dal capitale sociale ovvero dai finanziamenti del socio
unico, viene ritratto dai proventi e dagli introiti derivanti dall’esercizio delle attività conferite
secondo una logica corrispettiva;
?nello statuto non è disciplinata espressamente la revoca dell’organo amministrativo.
Alla luce di queste considerazioni, dall’analisi delle scritture contabili e del bilancio la
società ha natura privatistica, nonostante abbia un’indubbia caratterizzazione pubblicistica.
La società è qualificabile, secondo i giudici amministrativi, come un organismo esercente
attività di impresa, seppur di rilievo pubblicistico. Pertanto, la società per quanto riguarda gli
istituti della nomina e della revoca degli amministratori è assoggettata al diritto societario,
alle prescrizioni statutarie e alle disposizioni organizzative derivanti dall’applicazione delle
regole di diritto privato.
Secondo il Tar, quindi, il presidente della Provincia difettava di un potere pubblicistico di
revoca e il ricorrente è titolare di un diritto soggettivo dinanzi all’esercizio di una revoca
(privatistica) di competenza del giudice ordinario, al quale spetta anche la verifica in merito
al conseguente ed eventuale risarcimento. Manca infatti una norma che riconosca questo
potere a una Pa; quindi, più che di nullità dell’atto, dovrebbe parlarsi di inesistenza dello
stesso come atto autoritativo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Federica Caponi
1 di 1
09/02/2015 11:26
.....................
FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
In primo piano
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Aziende speciali e assunzioni di personale
Competenza del giudice
amministrativo in caso di nuove
assunzioni
di Federica Caponi
Consulente di enti locali
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L’azienda speciale è una forma peculiare di articolazione del comune di riferimento, quindi,
in caso di nuove assunzioni vige il principio del concorso pubblico, tramite procedure in
tutto e per tutto assimilabili alle procedure selettive dell’ente pubblico. Pertanto, il regime
giuridico pubblico, che deve essere rispettato in caso di nuove assunzioni effettuate dagli
organismi partecipati, impone il rispetto del principio di imparzialità amministrativa, e non
la logica imprenditoriale, determinando la competenza del Giudice amministrativo
Premessa
Le aziende speciali, cosı̀ come le società in house,
possono essere considerate enti che rappresentano
delle vere e proprie articolazioni della p.a., atteso
che gli organi di queste sono assoggettate a vincoli
gerarchici facenti capo all’ente locale di riferimento.
Pertanto, i dipendenti di tali organismi sono legati
al comune da un rapporto di servizio come avviene
per i dirigenti preposti ai servizi direttamente erogati dall’ente pubblico.
L’art. 7, comma 2, del c.p.a. stabilisce espressamente che ‘‘Per pubbliche amministrazioni, ai fini
del presente codice, si intendono anche i soggetti
a esse equiparati o comunque tenuti al rispetto
dei principi del procedimento amministrativo’’,
quindi, tale norma è già di per sé idonea a radicare
la giurisdizione del G.A. in relazione ad atti di soggetti che, pur avendo una natura privatistica, come
nel caso delle aziende speciali e degli enti pubblici
economici in generale, sono tenuti al rispetto dei
principi del procedimento amministrativo.
Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato,
sez. V, nella sentenza n. 820 del 20 febbraio
2014, con la quale ha accolto il ricorso presentato
da una dipendente di un’azienda speciale avverso
il provvedimento di approvazione degli atti della
selezione comparativa per la scelta del direttore generale dell’azienda.
Il Tar, in primo grado, aveva dichiarato il difetto di
giurisdizione del Giudice amministrativo in favore
del giudice ordinario.
Secondo il Tribunale, sarebbero di competenza del
giudice ordinario le controversie relative al rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici economici, tra cui sono annoverabili anche le aziende
speciali.
Gli interessati avrebbero dovuto adire il giudice del
lavoro anche in caso di procedura concorsuale, in
quanto la discrezionalità di un ente pubblico economico che permea la fase selettiva non è espressione
di una potestà pubblica di autorganizzazione, ma
sempre esercizio di capacità e poteri di matrice privatistica.
Pertanto, vi sarebbe la competenza del giudice ordinario sia sotto il profilo del rispetto delle disposizioni normative e contrattuali, che sotto quello dell’osservanza dei principi generali di correttezza, di
tutela dell’affidamento legittimo e di divieto dell’abuso del diritto.
Tale pronuncia è stata impugnata di fronte al Consiglio di Stato.
I giudici amministrativi hanno chiarito che le aziende speciali in quanto enti strumentali del comune,
devono essere considerate alla stregua di una p.a.
Inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 1-ter, della legge
n. 241/1990, ulteriormente rafforzato dalla legge n.
190/2012, ‘‘I soggetti privati preposti all’esercizio
di attività amministrative assicurano il rispetto dei
criteri e dei principi di cui al comma 1’’, ovvero
dei principi del procedimento amministrativo.
6/2014
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323
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FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
In primo piano
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L’azienda speciale, quindi, anche se qualificabile
formalmente come soggetto privato, in quanto preposta (anche) all’esercizio di attività amministrative, è un organismo assoggettato al rispetto di tali
principi.
Le peculiarità dell’azienda speciale
L’azienda speciale è qualificabile come ente pubblico economico e in quanto tale è vincolata, oltre
all’iscrizione nel registro delle imprese, alla disciplina di diritto privato per quanto attiene al profilo
dell’impresa e per i rapporti di lavoro dei dipendenti (come confermato anche dalla Corte di cassazione, sez. un., sentenza n. 12654/1997 e dal Tar Liguria, sez. II, sentenza n. 272/1995).
I contratti collettivi di lavoro non sono quelli del
settore pubblico, ma quelli stabiliti dalle parti in riferimento al settore merceologico di appartenenza.
La giurisprudenza amministrativa ha escluso anche
che i dipendenti di un’azienda speciale possano invocare l’applicazione del testo unico sul pubblico
impiego, in quanto gli enti pubblici economici
non rientrano nella nozione di amministrazione
pubblica (Cons. Stato, sez. V, n. 641/2012).
L’azienda speciale, inoltre operando come una
qualsiasi impresa commerciale, soggiace al regime
fiscale proprio delle società di diritto privato e,
quindi, è soggetto passivo di imposta distinto dall’ente locale, ai fini del pagamento di Iva, Ires e
Irap (Cass., sez. V, sent. n. 7906/2005).
Tale organismo però, in quanto ente strumentale
del comune, è un elemento del sistema ‘‘ente locale’’, che nel proprio agire deve conciliare il rispetto
dell’autonomia decisionale che, in astratto, consente all’azienda speciale stessa di effettuare scelte di
tipo imprenditoriale, e l’essere sostanzialmente parte della p.a.
I connotati caratteristici dell’azienda speciale, come
espressamente previsto dall’art. 114 del Tuel, sono
la strumentalità, la personalità giuridica e
l’autonomia imprenditoriale.
L’attribuzione alle aziende speciali della personalità giuridica e dell’autonomia imprenditoriale rappresenta, indubbiamente, il punto di arrivo di un
lungo processo normativo teso ad avvicinare sempre più le aziende al modello organizzativo dell’ente pubblico economico.
In sostanza, la personalità giuridica, l’autonomia
imprenditoriale e la strumentalità dell’azienda speciale, rispetto all’ente locale conferente, evidenziano come la scelta del legislatore sia ricaduta, per
quanto attiene al modello astratto di gestione, senza
dubbio sul cd. ‘‘modello aziendale’’ rispetto al più
arcaico sistema delle ‘‘municipalizzate’’.
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6/2014
L’azienda speciale, quindi, non è più vista come un
organo di esecuzione delle determinazioni dell’ente
locale, ma è un’impresa retta da principi pubblicistici alla quale si applica, sostanzialmente, la disciplina del Codice civile.
Non vi è alcun dubbio in ordine all’ascrivibilità
delle aziende speciali alla categoria degli enti pubblici economici.
A tal proposito, è necessario ricordare infatti che
sono enti pubblici quegli organismi:
— la cui personalità giuridica è riconosciuta direttamente dalla legge, secondo norme di diritto pubblico;
— diversi dallo Stato;
— strumentali alla p.a. di riferimento che svolge
attraverso questi la propria funzione amministrativa;
— idonei a essere titolari di poteri amministrativi;
— svolgono una funzione di pubblico interesse.
Si ricorda che secondo quanto chiarito dall’Istituto
nazionale di statistica (Istat), nella ‘‘Classificazione
delle forme giuridiche delle unità legali’’, che ha
classificato le forme giuridiche disciplinate dal diritto privato e dal diritto pubblico (1) in 16 divisioni e 62 classi, attribuendo a ciascun organismo un
codice a quattro cifre, dove la prima cifra individua
la sezione, la seconda la divisione e le ultime due la
classe, le aziende speciali sono state inserite nella
sezione 1.6 - Ente pubblico economico, azienda
speciale e azienda pubblica di servizi (2).
Per quanto riguarda le aziende speciali, in dottrina
e in giurisprudenza, negli anni si è consolidato l’orientamento secondo il quale queste sono ‘‘enti
che, operando nel campo della produzione di beni
e servizi e svolgendo attività prevalentemente o
esclusivamente economiche, informano la propria
attività al criterio della obiettiva economicità, intesa
Note:
(1) Le fonti giuridiche prese in considerazione per la realizzazione della classificazione sono la Costituzione della Repubblica, il Codice civile e la legislazione
speciale. Inoltre, per cogliere alcuni fenomeni non riconducibili alle forme giuridiche tipiche l’Istat ha fatto riferimento alla giurisprudenza.
(2) 1.6.10 - Ente pubblico economico
Gli enti pubblici economici pur essendo regolati da norme di legge, possiedono
un accentuato grado di autonomia finanziaria patrimoniale amministrativa e
contabile: personalità giuridica e patrimonio proprio, propri organi di gestione
e controllo, bilanci propri (ma vi era anche un controllo esterno, contabile e di
gestione, affidato alla Corte dei conti).
1.6.20 - L’azienda speciale è ai sensi dell’art. 114 del D.Lgs. n. 267/2000.
È un ente di gestione di pubblici servizi locali, dotato di autonomia imprenditoriale nonché statutaria. Tale modalità di gestione è stata prevista quando lo
svolgimento dei servizi pubblici locali implica un’attività imprenditoriale caratterizzata dalla snellezza, managerialità.
Rappresenta una delle forme con cui gli enti locali possono provvedere alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni e attività
rivolte a realizzare fini sociali.
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quest’ultima come necessità minima di copertura
dei costi dei fattori di produzione attraverso i ricavi’’ (Cass., sez. unite, sent. 15 dicembre 1997, n.
12654; Cass. sez. unite, sent. n. 7639/2008).
È principio consolidato in giurisprudenza che ‘‘non
è l’oggetto dell’attività che determina il discrimine
tra ente pubblico non economico, ente pubblico
economico e azienda speciale, ma la struttura giuridica e il modo in cui l’ente esercita la propria attività’’ (Cass. sez. unite, sent. n. 15661/2006).
A riprova della qualità di ente pubblico economico,
l’art. 114 comma 4 del Tuel statuisce che l’azienda
ha l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguire
attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti.
Strumentalità
La qualificazione dell’azienda speciale quale ente
strumentale dell’ente locale rivela l’esistenza di
un collegamento inscindibile tra l’azienda e il comune.
Il principio di strumentalità dell’attività di gestione
deve essere inteso come identificazione dello scopo
sociale nella cura degli interessi della comunità locale, perseguibili attraverso l’attività di gestione
funzionalmente svolta dall’azienda nei settori dei
servizi pubblici per i quali la stessa è stata costituita
(Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 4586/2001).
L’ente locale ‘‘si serve’’ dell’azienda speciale per
lo svolgimento di un servizio e, quindi, per soddisfare un’esigenza della collettività.
In quest’ottica, spetta all’ente locale esclusivamente la fase ‘‘politica’’ della determinazione degli
obiettivi e della vigilanza sul perseguimento e raggiungimento di questi.
La strumentalità dell’azienda speciale e il regime
normativo vigente in materia pretendono, in definitiva, un collegamento molto saldo, seppur di natura
‘‘funzionale’’, tra l’attività dell’azienda e le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell’ente
che l’ha costituita.
I vincoli che legano l’azienda speciale al comune
sono pertanto molto stretti sia sul piano della formazione degli organi, che su quella degli indirizzi,
dei controlli e della vigilanza, da farla ritenere
‘‘elemento del sistema amministrativo facente capo
allo stesso ente territoriale’’ (Corte cost., sent. n.
28/1996).
Personalità giuridica
L’attribuzione della personalità giuridica, ai sensi
del citato art. 114 del Tuel, rende l’azienda speciale
un soggetto a sé stante rispetto all’ente locale di riferimento che l’ha costituita.
L’azienda dunque non è più un organo dell’ente locale a legittimazione separata, come era l’azienda
municipalizzata prevista dal R.D. n. 2578/1925.
L’attribuzione della personalità giuridica però non
ha mutato la natura pubblica e non ha trasformato
l’azienda in un soggetto privato, ma l’ha solo configurata come un nuovo centro di imputazione di
situazioni e rapporti giuridici, distinto dal comune,
con una propria autonomia decisionale.
Tale riconoscimento ha reso necessario che l’azienda effettui autonome scelte di tipo imprenditoriale e organizzative, connesse ai fattori della produzione, secondo modelli propri dell’impresa privata, compatibilmente però con i fini sociali dell’ente titolare, per il conseguimento di un maggiore grado di efficacia, efficienza e economicità del
servizio.
L’azienda speciale è soggetto istituzionalmente dipendente dall’ente locale ed è legata a questo da
stretti vincoli (sul piano della formazione degli organi, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza),
al punto da farla ritenere un elemento del sistema
amministrativo facente capo allo stesso ente territoriale, ovvero, pur con l’accentuata autonomia derivante dall’attribuzione della personalità giuridica,
anche parte dell’apparato amministrativo del comune (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4850/2000; sent. n.
2735/2000; sent. 4586/2001; Corte cost., sent. n.
28/1996).
Il riconoscimento della personalità giuridica all’azienda speciale comporta, oltre l’iscrizione nel registro delle imprese, alla sua assoggettabilità al regime fiscale proprio delle aziende private (Cons. Stato, sez. III, sent. 18 maggio 1993, n. 405) e alla disciplina di diritto privato per quanto attiene al profilo dell’impresa e per i rapporti di lavoro dei dipendenti (Tribunale di Milano, sez. lavoro, sent.
n. 4776/2011; Tribunale di Ragusa, sez. lavoro,
sent. n. 711/2013; Tar Liguria, sez. II, sent. 24
maggio 1995, n. 272).
Autonomia imprenditoriale
Con il riconoscimento dell’autonomia imprenditoriale il legislatore ha voluto evidenziare che l’azienda non deve essere vista come un organo di esecuzione delle determinazioni dell’ente locale, ma come un’impresa alla quale si applica, salvo eccezioni, la disciplina del Codice civile.
La capacità imprenditoriale non va oltre tali confini, anzi subisce restrizioni.
È sufficiente a rilevarlo il fatto che spetta al comune la fissazione delle tariffe dei servizi prodotti dall’azienda speciale.
L’azienda speciale, comunque anche nella sua nuova configurazione, resta un soggetto pubblico e la
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sua azione è regolata dal diritto pubblico e si esprime con atti amministrativi autoritativi.
Per l’azienda speciale, come per tutti i soggetti pubblici, anche la negoziazione privatistica è regolata
da procedure di diritto pubblico, da atti amministrativi e deliberazioni, attraverso i quali si concretizza
in forma procedimentale la volontà dell’ente che
precede la conclusione del negozio (Cons. Stato,
sez. V, sent. n. 4850/2000 e sez. V, sent. n.
2735/2000).
Il patrimonio delle aziende speciali è sottoposto al
regime della proprietà privata e il rapporto di lavoro con i dipendenti rientra nella contrattazione collettiva di diritto privato.
L’economicità della gestione, non riconducibile a
un fine di lucro, pretende come per tutti gli enti
economici la copertura dei costi corrispondenti alla
remunerazione dei fattori della produzione impiegati.
L’autonomia imprenditoriale esclude che gli enti
locali possano sostituirsi alle aziende nelle scelte
di espletamento dei servizi loro affidati, fatta eccezione per i poteri di indirizzo, controllo e vigilanza
riconosciuti all’ente di appartenenza, che ne approva il bilancio e tutti gli atti fondamentali.
Vincoli e limiti
L’azienda speciale deve informare la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e
ha l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguire
attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti.
Nell’ambito della legge, l’ordinamento e il funzionamento delle aziende speciali è disciplinato dallo
statuto e dai regolamenti.
Dal 2013, le aziende speciali e le istituzioni devono
iscriversi e depositare i propri bilanci al registro
delle imprese o nel repertorio delle notizie economico-amministrative della camera di commercio,
industria, artigianato e agricoltura del proprio territorio entro il 31 maggio di ciascun anno.
Le aziende speciali inoltre devono rispettare le disposizioni del D.Lgs. n. 163/2006 e le disposizioni
che stabiliscono, a carico degli enti locali di riferimento, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e
per consulenza anche degli amministratori, oltre
agli obblighi e limiti alla partecipazione societaria
degli enti locali.
Spetta agli enti locali conferenti vigilare sull’osservanza di tali vincoli e prevedere eventuali deroghe
a favore delle aziende che gestiscono servizi socioassistenziali ed educativi, servizi scolastici e per
l’infanzia, culturali e farmacie.
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Inoltre, tutte le aziende speciali, in quanto enti strumentali dell’ente locale, sono assoggettate a un
vincolo di territorialità per quanto riguarda la
possibilità di svolgere attività a favore di enti diversi rispetto a quello di appartenenza.
Tale limite sussiste nel caso in cui l’azienda intenda
acquisire direttamente l’affidamento di uno o più
servizi da parte di un soggetto diverso dall’ente
conferente.
L’art. 5 del D.P.R. n. 902/1986 ha previsto che ‘‘il
comune può deliberare (...) l’estensione dell’attività
della propria azienda di servizi al territorio di altri
enti locali, previa intesa con i medesimi, sulla base
di preventivi d’impianto e d’esercizio formulati
dall’azienda stessa. Con lo stesso atto deliberativo
è approvato lo schema di convenzione per la disciplina del servizio e per la regolazione dei conseguenti rapporti economico-finanziari, fermo restando che nessun onere aggiuntivo dovrà gravare sull’ente gestore del servizio’’.
A tal proposito, è necessario ricordare che il Consiglio di Stato, in numerose sentenze (tra cui, n.
6325/2004; n. 4586/2001; n. 475/1998) ha chiarito
che l’estensione dell’attività delle aziende speciali
al di fuori del territorio dell’ente che le ha costituite, richiede il rispetto delle regole procedimentali e
dei limiti sostanziali posti dalle norme positive e
presuppone l’interesse della collettività dell’ente
confinante.
La giurisprudenza infatti ha ribadito più volte che
l’azienda speciale può svolgere attività esclusivamente per l’ente locale di riferimento.
Nel caso in cui il comune sottoscriva accordi con
altri enti confinanti per lo svolgimento di servizi
di interesse per i propri cittadini, gestiti dall’azienda speciale, è possibile, previo accordo tra gli enti,
che l’azienda sia affidataria da parte del proprio comune, dello svolgimento delle attività anche a favore dei cittadini degli enti aderenti all’accordo.
La giurisprudenza ha infatti da sempre richiesto un
collegamento funzionale tra il servizio eccedente
l’ambito locale e le necessità della collettività locale (3).
L’azienda speciale di un comune, infatti, ‘‘può anNota:
(3) Il Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 23 aprile 1998, n. 475, ha chiarito che
l’estensione dell’attività delle aziende speciali comunali al di fuori del territorio
dell’ente locale che le ha costituite presuppone comunque un collegamento
funzionale - che non può essere ridotto al puro dato dell’interesse imprenditoriale - tra il servizio eccedente l’ambito locale e le necessità della collettività locale.
Tale collegamento funzionale sussiste, ad esempio, nel caso dell’integrazione
funzionale della propria attività con quella del comune confinante, sicché vengono in tal modo soddisfatte anche le esigenze della collettività stanziata sul
territorio dell’ente che l’ha costituita.
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che estendere il proprio servizio in un altro comune, ma a patto che ciò realizzi un’integrazione funzionale della propria attività con quella del comune
vicino’’.
L’azienda speciale, quindi, può esercitare attività al
di fuori del territorio dell’ente costituente sulla base
di specifiche convenzioni tra enti locali, nell’ambito delle quali i comuni possono disporre l’affidamento di taluni servizi all’azienda speciale.
Il Consiglio di Stato ha precisato che tali limiti e
possibilità per le aziende speciali derivano dall’elemento della strumentalità e sono le stesse norme a
indicare il nesso eziologico che necessariamente
deve sussistere tra le funzioni, che è chiamata ad
assolvere l’azienda, quale ente strumentale del comune che l’ha costituita, e la tutela degli interessi
di cui sono portatori i cittadini residenti nel comune
stesso.
L’azienda pertanto può realizzare la propria attività
verso l’esterno, oltre la stretta dimensione locale
dell’ente di riferimento, solo nei casi e con le modalità previste dalle speciali disposizioni in tema di
convenzioni (ed eventualmente di consorzi), ai sensi degli artt. 30 e 31 del Tuel e dell’art. 5 del D.P.R.
n. 902/1986 (4).
Al contrario, al di fuori degli speciali moduli convenzionali e consorziali tra enti locali previsti dalle
norme di legge e regolamentari, le aziende speciali
non sono legittimate a partecipare alle gare per
l’appalto di pubblici servizi da svolgersi presso altri enti locali (5), in concorrenza con altri soggetti
privati e alla stregua di una qualsiasi impresa operante sul mercato.
L’eventuale convenzione sottoscritta tra gli enti locali dovrà disciplinare le modalità attuative e i rapporti economici tra gli enti.
Una tale scelta organizzativa potrà essere adottata
dal comune tramite delibera del consiglio comunale
che, oltre ad approvare lo schema convenzionale,
potrà disporre l’affidamento del servizio alla propria azienda speciale.
Le procedure assunzionali
Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento (6), ha chiarito che le procedure selettive per
l’assunzione di dipendenti di un’azienda speciale,
considerato che questa è qualificabile come una
p.a. per la quale vige il principio del concorso pubblico, sono in tutto e per tutto assimilabili alle procedure concorsuali di un ente locale, di cui l’azienda speciale è ente strumentale.
Il Consiglio di Stato ha ricordato che per pubbliche
amministrazioni, secondo il Codice amministrativo,
si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o
comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo.
Inoltre, l’art. 1, comma 1-ter, della legge n. 241/
1990 stabilisce che ‘‘i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il
rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma
1’’, pertanto, secondo i giudici amministrativi ‘‘è
altrettanto indubbio che un’azienda speciale, anche
se qualificabile come soggetto privato, è preposto
(anche) all’esercizio di attività amministrative’’.
Sotto il profilo sostanziale, le aziende speciali, cosı̀
come le società in house, come di recente affermato
dalle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 25 novembre 2013, n. 26283, ribadito con ordinanza 2 dicembre 2013, n. 26936), possono essere considerate come enti che rappresentano delle
vere e proprie articolazioni della p.a.
Gli organi di tali organismi sono assoggettati a vincoli gerarchici nei confronti delle p.a., i cui componenti sono legati a quest’ultima da un rapporto di
servizio, come avviene per i dirigenti preposti ai
servizi direttamente erogati dall’ente pubblico
(per le aziende speciali, qualificate espressamente
quali enti strumentali dei comuni, Cass., sez. un. civili, sent. n. 14101/2006).
Gli organismi controllati dalle p.a., tra cui rientrano
le aziende speciali, altro non sono che forme peculiari di articolazione della stessa p.a.
Pertanto, anche per quanto riguarda le procedure
assunzionali poste in essere dalle aziende speciali,
in quanto hanno la stessa natura delle procedure selettive per l’assunzione dei dipendenti pubblici, è
competente il giudice amministrativo.
Infine, è necessario ricordare che l’art. 18 del D.L.
n. 112/2008, modificato dalla legge n. 147/2013
Note:
(4) Il Consiglio di Stato, sez. V, n. 2360 del 27 aprile 2010, ha chiarito che un
comune può legittimamente avvalersi dell’azienda speciale di altro comune per
la gestione di un proprio servizio, a seguito di convenzione stipulata nel contesto della normativa di cui al D.P.R. n. 902/1986, in quanto, sulla base del combinato disposto dell’art. 5 del D.P.R. n. 902 cit. e dell’art. 24 della legge n. 142/
1990, può delinearsi un modello procedimentale tipizzato (conclusione di
un’intesa disciplinante aspetti predeterminati, deliberazione con maggioranza
qualificata dell’estensione dell’attività dell’azienda speciale al territorio dell’altro
ente locale) per l’adozione di una formula organizzatoria alternativa alla conclusione di contratti con imprese in concorrenza tra loro. Rispetto a tale modulo
convenzionale rimane interdetta anche l’applicazione della disciplina comunitaria in tema di procedure di appalto, posta a tutela del mercato e della concorrenza (Riforma della sentenza del Tar Lombardia - Milano, sez. III, n. 1905/
1997).
In tal senso, Tar Lazio Roma, sez. II, sent. n. 11799/2006.
(5) Il Tar Sicilia, Palermo, sez. II, con la sentenza n. 331/2005 ha ribadito che
un’azienda speciale non può partecipare a una gara per l’affidamento della gestione di un servizio pubblico al di fuori del proprio territorio, tranne che nei casi
di avvenuta stipula di apposite convenzioni.
(6) Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 820/2014.
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(legge stabilità 2014) ha previsto che gli organismi
che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, sono obbligati a dotarsi, mediante ‘‘propri provvedimenti’’, di criteri e modalità per il reclutamento del personale conformi ai
principi richiamati dall’art. 35, comma 3, del
D.Lgs. n. 165/2001 in materia di reclutamento del
personale.
Il legislatore ha inteso introdurre, a carico di tali enti vincoli di trasparenza, imparzialità, pubblicità ed
economicità in particolare per il reclutamento del
personale che l’art. 97 della Costituzione impone
per le p.a. e gli enti pubblici strettamente intesi.
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Tale nuova attenzione posta dal legislatore rende
dunque obsoleto e non più condivisibile l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa
fino ad ora, secondo cui ‘‘appartengono alla cognizione del giudice ordinario le controversie relative al rapporto di lavoro del personale degli enti
pubblici economici, anche se inerenti alla procedura concorsuale che precede la costituzione del
suddetto rapporto, in quanto la discrezionalità
che permea la fase concorsuale non è espressione
di una potestà pubblica di autorganizzazione ma
esercizio di capacità e poteri di matrice privatistica’’.
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Servizi
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Reperimento risorse per interventi in ambito culturale e sociale
Il comune non può costituire
una fondazione per ricerca
di finanziamenti
di Federica Caponi
Consulente di enti locali
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Non è legittima la costituzione di una fondazione da parte di un comune per il reperimento
e la gestione di risorse per attivazione di interventi nel campo della cultura, della solidarietà
sociale e del turismo. Tale ‘‘scopo’’ istitutivo è qualificabile come attività di raccolta e di
gestione di provvista finanziaria per la realizzazione di politiche di carattere sociale, di
diretto interesse comunale, ma data la strumentalità della fondazione rispetto all’ente
locale, questa incasserebbe somme in entrata al di fuori delle garanzie e delle procedure
prescritte dall’ordinamento, in quanto fattispecie gestionale di carattere atipico
Premessa
Un comune si è rivolto alla sezione di controllo
della Corte dei conti della Sardegna per sapere se
sia legittima la costituzione di una fondazione per
la raccolta di risorse finanziarie (consistenti in liberalità, donazioni e similari da parte di enti e privati
cittadini), per la loro successiva gestione/destinazione da parte della stessa fondazione in favore di
specifici eventi culturali e di solidarietà sociale
nel territorio del comune.
Il comune ha anche precisato che in favore della
fondazione avrebbe concesso l’utilizzo gratuito di
uno specifico immobile di proprietà comunale
con spese di gestione, utenze, pulizia, manutenzione e similari interamente ed esclusivamente a carico della fondazione, che non avrebbe beneficiato di
nessun altro ausilio economico da parte dell’ente,
né di ‘‘sovvenzionamenti’’ in natura.
I magistrati contabili della Sardegna, con la deliberazione n. 19 del 10 aprile 2014, hanno risposto negativamente, ritenendo il reperimento e la gestione
di risorse per attivazione di interventi nel campo
della cultura, della solidarietà sociale e del turismo,
di diretto interesse comunale, attività afferenti
esclusivamente alla sfera di intervento proprio del
comune.
Se tali attività fossero trasferite a una fondazione,
‘‘si concretizzerebbe l’acquisizione di entrate al
di fuori delle garanzie e delle procedure prescritte
dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispecie
gestionale di carattere atipico.’’.
La fondazione al massimo potrebbe essere costituita solo come struttura amministrativa di supporto al
comune, cui affidare esclusivamente l’attività amministrativa, propedeutica di back office.
Spetta solo all’ente locale preoccuparsi di assolvere
i compiti e le funzioni ad esso spettanti attraverso la
propria struttura organizzativa.
Il reperimento delle risorse per la realizzazione di
finalità istituzionali non può essere ‘‘demandato o
trasferito’’ a un organismo terzo, esterno al comune, in quanto trattasi di una funzione propria dell’ente locale, cui lo stesso deve far fronte esclusivamente attraverso la propria struttura burocraticoamministrativa, con propri dipendenti.
Le fondazioni e gli enti locali
La Corte dei conti ha aumentato negli ultimi anni
l’attenzione verso le fondazioni costituite da enti
locali, non mostrando particolare favore verso tale
modello organizzativo.
I magistrati contabili hanno sempre posto l’attenzione sulla natura giuridica di tali organismi, quali
enti morali riconosciuti, dotati di personalità giuridica, disciplinati dal Codice civile, che hanno quale
elemento costitutivo essenziale l’esistenza di un
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Servizi
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‘‘patrimonio’’ destinato alla soddisfazione di uno
‘‘scopo’ di carattere ideale (artt. 14 e segg.).
Il ‘‘patrimonio’’ non è solo elemento costitutivo
della fondazione, ma ‘‘è la caratteristica che distingue e differenzia questo istituto dall’associazione,
che ha quale elemento essenziale la personalità della partecipazione di una pluralità di soggetti, finalizzata al raggiungimento di uno scopo’’, come
chiarito anche dalla Corte dei conti, sez. contr.
del Piemonte, nella deliberazione n. 24/2012.
Le fondazioni, come chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale, hanno natura privata e sono
espressione delle ‘‘organizzazioni delle libertà sociali’’, costituendo i cosiddetti corpi intermedi,
che si collocano fra Stato e mercato, e che trovano
nel principio di sussidiarietà orizzontale, di cui all’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione,
un preciso richiamo e presidio rispetto all’intervento pubblico (Corte cost., sentenza n. 300/2003 e n.
301/2003).
I magistrati contabili hanno evidenziato che la caratteristica essenziale della fondazione è l’esistenza
di un patrimonio che deve consentirle di svolgere
l’attività ordinaria.
Si tratta di un requisito essenziale, tant’è che, ove il
patrimonio non sia sufficiente per raggiungere lo
scopo o addirittura venga meno, il Codice civile
prevede che la fondazione si estingua (art. 27
Cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasferito a soggetti che abbiano una finalità analoga (art.
31 Cod. civ.), a meno che la competente autorità
non provveda alla trasformazione della fondazione
in altro ente (art. 28 Cod. civ.).
Secondo il modello tradizionale, la fondazione è tenuta a utilizzare il reddito derivante dal patrimonio
per lo svolgimento della sua ordinaria attività e proseguire la stessa sino a che il patrimonio non si
esaurisca o diminuisca in misura tanto significativa
da impedire il regolare svolgimento del compito
per lo svolgimento del quale è stata istituita.
Nel caso in cui la fondazione sia affidataria di servizi di interesse per la collettività rientranti nelle finalità perseguite dall’ente locale, l’erogazione di un
corrispettivo ‘‘non equivale a un depauperamento
del patrimonio comunale, a fronte dell’utilità che
l’ente locale (e più in generale la collettività di
cui è esponenziale) riceve dallo svolgimento del
servizio di interesse pubblico effettuato dal soggetto terzo’’ (Corte conti, sez. contr. Lombardia, del.
n. 350/2012).
Tali vincoli evidenziati dalla magistratura contabile
sono stati recepiti dal legislatore con l’art. 4, comma 6 (norma ancora in vigore) del D.L. n. 95/2012.
Tale disposizione stabilisce che ‘‘dal 1º gennaio
2013 le p.a. di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs.
n. 165/2001 possono acquisire a titolo oneroso ser-
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vizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni,
da enti di diritto privato di cui agli artt. da 13 a 42
del Codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria’’.
Gli enti di diritto privato di cui agli artt. 13-42 del
Codice civile ‘‘che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito,
non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche’’.
Sono escluse da tali vincoli, tra gli altri:
— le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione
tecnologica;
— gli enti e le associazioni operanti nel campo
dei servizi socio-assistenziali e dei beni e attività
culturali, dell’istruzione e della formazione.
A tal proposito, è opportuno evidenziare quanto
chiarito dalla Corte dei conti, sez. controllo della
Puglia, nella deliberazione n. 97/2012, in risposta
a un ente che aveva chiesto chiarimenti sull’applicabilità del citato art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/
2012 a una fondazione costituita da enti locali e regione per ‘‘valorizzare il territorio soprattutto attraverso la musica popolare e la cultura’’.
Nel caso di specie, l’attività essenziale della fondazione si sostanziava nell’organizzazione e gestione
di un noto evento musicale e la stessa riceveva dagli enti aderenti quote annuali costituenti il fondo di
gestione e, per quanto attiene l’organizzazione dell’evento, contributi finanziari pubblici che coprivano il suo fabbisogno per più del 90%.
L’ente aveva chiesto se l’attività svolta dalla fondazione potesse essere qualificata come servizio e se
sussistesse la possibilità di mantenere forme di contribuzione a favore della Fondazione ‘‘quantomeno
nei limiti delle attività meramente culturali svolte
attraverso di essa’’.
La Corte dei conti ha fornito interessanti chiarimenti sulla natura ‘‘culturale’’ di un servizio.
I magistrati contabili hanno precisato che costituiscono ‘‘indici presuntivi’’ di tale natura il fatto
che la fondazione svolga attività di valorizzazione
del ‘‘territorio soprattutto attraverso la musica popolare e la cultura’’, che, prima della costituzione
della stessa fondazione, tale attività fosse organizzata e gestita dai singoli comuni e contabilizzata
tra i ‘‘servizi culturali’’ svolti dagli stessi.
Si pone come elemento necessario e sufficiente a
dirimere il dubbio ‘‘se un ente sia o meno da ricomprendere nel novero degli ‘‘esclusi’’ (dai vincoli di cui all’art. 4 del D.L. n. 95/2012), il fatto
che sia possibile ravvisare, all’interno dello statuto
o dell’oggetto sociale dell’ente medesimo, il carattere culturale dell’attività svolta che può estrinsecarsi, tra l’altro, anche come finalità di valorizzare
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Servizi
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al massimo la realtà culturale del territorio di pertinenza delle amministrazioni che ricevono il servizio’’.
Nella misura in cui una fondazione svolga attività
di:
— approfondimento e valorizzazione di una realtà
culturale, anche attraverso l’organizzazione di un
evento a ciò deputato;
— studio, approfondimento e conservazione delle
tradizioni e culture locali;
— promozione del territorio ‘‘attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale locale’’,
‘‘difficilmente potrà considerarsi come rientrante
nell’ambito applicativo della norma di divieto su
menzionata. Al contrario, essa potrà a buon diritto
considerarsi compresa nel novero degli enti operanti nel campo dei beni e attività culturali, come tali
esenti dal divieto’’.
Il tutto, giova ribadirlo, pur sempre nei limiti delle
attività prettamente culturali svolte, venendo meno,
in tal caso, la ratio che ha indotto il legislatore a
fissare l’elenco dei soggetti esenti da divieto e, di
conseguenza, non giustificandosi più l’esclusione
dal divieto contenuto nel citato art. 4 del D.L. n.
95/2012.
Il quesito che è stato presentato alla Corte dei conti,
sez. contr. della Sardegna, attiene invece alla verifica dei limiti posti dal legislatore alla facoltà degli
enti locali di costituire organismi partecipati.
La figura giuridica della fondazione, disciplinata
dagli artt. 14 e ss. del Codice civile, è quella di ente
avente personalità giuridica di diritto privato, che
non persegue scopi di lucro, ma può essere costituita per il perseguimento di fini educativi, culturali,
religiosi, sociali o di altri scopi di pubblica utilità.
La figura giuridica della fondazione si caratterizza
‘‘in negativo rispetto alla tipologia societaria, per
la non lucratività dello scopo sociale, che, conseguentemente, implica l’assenza di distribuzione di
utili’’, come chiarito anche dalla Corte dei conti,
sez. contr. Lazio, nella deliberazione n. 151/2013.
Essa è dotata di una propria organizzazione e di
propri organi di governo e utilizza le risorse finanziarie, ‘‘attribuitele con il negozio di dotazione per
lo/gli scopo/i indicati dal fondatore nel negozio di
fondazione’’ (cit. Corte dei conti, sez. contr. Lazio).
È lo statuto a dettare le norme organizzative per il
funzionamento dell’organismo, costituendo parte
integrante del negozio unilaterale di fondazione.
La scarna disciplina del Codice civile è integrata
dal D.P.R. n. 361 del 10 febbraio 2000, che all’art.
1, comma 3, richiede che lo scopo ‘‘sia possibile e
lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo’’, dizione dalla quale dottrina e giurisprudenza concordemente deducono la
neutralità dello schema in esame rispetto alla rilevanza pubblica del fine.
Dalla particolare struttura della fondazione, caratterizzata dalla mancanza di un’organizzazione a base
personale, cioè di una collettività organizzata per il
raggiungimento di un determinato scopo (come
nelle associazioni), e dall’inesistenza di una assemblea degli associati che possa esprimere la volontà
dell’ente, si deduce l’immodificabilità dell’atto costitutivo e dello statuto, anche da parte dello stesso
fondatore (soggetto pubblico o privato che sia), una
volta che esso abbia ottenuto il riconoscimento giuridico dall’autorità pubblica regionale.
In un’interpretazione evolutiva, è stata anche elaborata la diversa figura della ‘‘fondazione di partecipazione’’, che costituisce un modello atipico di
persona giuridica privata, di recente teorizzazione
dottrinaria, in cui è sintetizzato l’elemento personale, tipico delle associazioni, e l’elemento patrimoniale, caratteristico delle fondazioni.
In entrambi i casi, caratteristica essenziale della fondazione è l’esistenza di un patrimonio che deve consentire all’ente di svolgere la sua attività ordinaria.
Si tratta di un requisito essenziale, tant’è che, ove il
patrimonio non sia sufficiente per raggiungere lo
scopo o addirittura venga meno, il Codice civile
prevede che la fondazione si estingua (art. 27
Cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasferito a organi che abbiano una finalità analoga (art.
31 Cod. civ.), a meno che la competente autorità
provveda alla trasformazione della fondazione in
altro ente (art. 28 Cod. civ.).
Secondo il modello tradizionale, la fondazione è tenuta a utilizzare il reddito derivante dal patrimonio
per lo svolgimento della sua ordinaria attività e proseguire la stessa sino a che il patrimonio non si
esaurisca o diminuisca in misura tanto significativa
da impedire il regolare svolgimento del compito
per la quale è stata istituita (Corte dei conti, sez.
contr. Piemonte, del. n. 24/2012).
Secondo la Corte dei conti della Sardegna, le norme che impongono vincoli agli organismi partecipati dagli enti locali ‘‘si devono intendere estensivamente e ricomprendono qualsiasi organismo, comunque denominato, dotato di personalità giuridica, non strettamente societario, ma caratterizzato
dalla dominanza pubblica’’.
Pertanto, secondo i magistrati contabili, di volta in
volta deve essere verificato se l’organismo, indipendentemente dalla natura giuridica, sia legato
fin dalla costituzione o in sede organizzativo-finanziaria con l’ente locale e con il suo bilancio.
Laddove tali indici siano verificati, a tali organismi
si applicano le norme che impongono limiti di spesa e assunzionali nell’ottica del contenimento della
finanza pubblica.
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I vincoli alla costituzione di nuovi
organismi partecipati
Il legislatore da alcuni anni ha introdotto vincoli
stringenti alla facoltà degli enti locali di costituire
società o altri organismi comunque denominati
per la gestione di servizi o attività esternalizzate.
A partire dalla legge finanziaria per il 2008, in particolare, il legislatore ha introdotto numerose disposizioni dirette a razionalizzare e contenere l’utilizzo
dello strumento societario da parte delle Amministrazioni pubbliche.
Con l’art. 3, comma 27 della legge n. 244/2007 è
stato previsto che ‘‘non possono costituire società
aventi per oggetto attività di produzione di beni e
di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente
partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.
È sempre ammessa la costituzione di società che
producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle
amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza’’.
Dopo aver previsto in modo esplicito la possibilità
di conservare le partecipazioni sociali collegate e
inerenti le finalità dell’ente pubblico, il legislatore
nel 2010 ha introdotto un ulteriore limite in relazione agli enti locali, riferito alle loro dimensioni, nuovo limite che fino al 31 dicembre 2013 ha concorso
con il precedente a definire i casi nei quali i comuni
potevano ricorrere allo strumento societario per
perseguire le loro finalità.
Inoltre, l’art. 4 del D.L. n. 95/2012 aveva previsto
altri stringenti vincoli in merito alla possibilità per i
comuni di poter mantenere partecipazioni di organismi strumentali.
Il quadro legislativo è stato notevolmente modificato dalla legge n. 147/2013 che all’art. 1, comma
561 e comma 562 ha abrogato le disposizioni limitative sopra richiamate.
In particolare, il comma 561 ha abrogato il comma
32 dell’art. 14 del D.L. n. 78/2010, mentre il comma 562 ha disposto l’abrogazione di alcune disposizioni del D.L. n. 95/2012 (cosı̀ detto decreto
‘‘spending review’’) che imponevano il divieto di
istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, esercitanti funzioni
fondamentali o amministrative conferite agli enti
locali e l’accorpamento o la soppressione di quelli
già esistenti per evidenti ragioni di risparmio e razionalizzazione della spesa (art. 9, commi 1-7,
D.L. n. 95/2012).
Nonostante tale significativa modifica, secondo la
Corte dei conti della Sardegna, ‘‘il vigente quadro
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normativo determina rigorosi parametri operativogestionali espressamente rivolti a condizionare l’istituzione (o la conservazione) delle istituzioni e
delle fondazioni, oltreché delle aziende speciali e
delle società partecipate, i cui bilanci sono prevalentemente se non esclusivamente alimentati da
fondi pubblici’’.
La Corte ha precisato infatti che le fondazioni, costituite dagli enti locali, in quanto alimentate da apporti patrimoniali di provenienza pubblica, unitamente a tutti gli altri organismi partecipati dagli enti locali, ‘‘concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e
di efficienza’’, interpretando in maniera estensiva
la disciplina contenuta nell’art. 1, comma 553, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014).
Inoltre, secondo i magistrati contabili della Sardegna, alle fondazioni sarebbe applicabile anche l’art.
3 comma 27 della legge n. 244/2007, che limita la
facoltà degli enti locali di costituire o partecipare a
società di capitali.
Tale disposizione, in particolare, stabilisce che gli
enti non possono mantenere o costituire organismi
aventi per oggetto attività di produzione di beni e
servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza.
La fondazione deve ‘‘intendersi in via interpretativa ricompresa nel genus delle partecipazioni’’ e rispettare i vincoli posti dall’art. 3, commi 27-32 della citata legge n. 244/2007.
Secondo i magistrati contabili il reperimento e la
gestione di risorse per attivazione di interventi nel
campo della cultura, della solidarietà sociale e del
turismo, di diretto interesse comunale, rientra nella
sfera di intervento proprio del comune.
Se tali attività fossero trasferite a una fondazione
‘‘si concretizzerebbe l’acquisizione di entrate al
di fuori delle garanzie e delle procedure prescritte
dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispecie
gestionale di carattere atipico.’’.
La fondazione al massimo potrebbe essere costituita legittimamente per tale scopo solo come struttura
amministrativa di supporto al comune, cui affidare
esclusivamente attività amministrativa di back office.
Spetta solo all’ente locale preoccuparsi di assolvere
i compiti e le funzioni ad esso spettanti attraverso la
propria struttura organizzativa del comune.
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Il servizio di reperimento delle risorse
finanziarie
La Corte dei conti sezione controllo della Sardegna, con la citata deliberazione n. 19/2014, ha chiarito che il reperimento delle risorse per la realizzazione di finalità istituzionali non può essere ‘‘demandato o trasferito’’ a un organismo terzo, esterno
al comune, in quanto trattasi di una funzione propria dell’ente locale, che deve essere assolta attraverso la propria struttura burocratico-amministrativa.
Considerato infatti che la fondazione è un organismo strumentale del comune, tale specifico scopo
si concretizzerebbe nell’acquisizione di entrate al
di fuori delle garanzie e delle procedure prescritte
dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispecie
gestionale di carattere atipico.
Gli organismi, che è consentito di costituire (o conservare), sono solo quelli il cui scopo o attività assicuri aderenza/coincidenza con le finalità istituzionali del comune.
L’acquisizione di eventuali liberalità/donazioni di
carattere finanziario o patrimoniale provenienti da
terzi (enti o cittadini) ‘‘integrano fattispecie di entrate da ricondurre ai moduli procedimentali prescritti a garanzia dell’erario e devono essere assunte
direttamente dal comune, a mezzo delle attività intestate ai suoi organi amministrativi, secondo le rispettive competenze e responsabilità, già delineate
dall’ordinamento generale’’.
Anche l’appostazione nelle scritture e la successiva
imputazione a spesa di tali fonti d’entrata deve seguire le regole che presiedono alla predisposizione
dei bilanci pubblici.
Infine, i magistrati contabili hanno rilevato che la
costituzione di una fondazione da parte dell’ente
non configura mai un’ipotesi ‘‘a costo zero’’ per
il bilancio del comune, in quanto in sede istitutiva
della fondazione deve essere assicurata una dotazione patrimoniale (‘‘patrimonio adeguato alla realizzazione dello scopo’’, ex D.P.R. n. 361/2000;
art. 14 e seguenti c.c.) e ovviamente una dotazione
di personale.
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03 Febbraio 2014
Con questo numero
AUTONOMIE LOCALI E PA
03 Febbraio 2014
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Il Sole 24 Ore lunedì
Moduli societari. Sì alla «trasformazione eterogenea»
La Spa può diventare azienda speciale
Federica Caponi
La trasformazione eterogenea di una società di capitali che gestisce un servizio pubblico in azienda
speciale è compatibile sia con le norme civilistiche, trattandosi di organismi entrambi dotati di
patrimonio separato a garanzia dei creditori, sia con le disposizioni pubblicistiche, intese a
ricondurre tali organismi a un regime uniforme, quanto al rispetto dei vincoli di finanza pubblica.
Inoltre, dal 1° gennaio 2014 è possibile anche mettere in liquidazione una società di capitali e
costituire ex novo un'azienda speciale, grazie all'abrogazione dell'articolo 9, comma 6 del Dl
95/2012.
Questi i rilevanti chiarimenti forniti dalla Corte dei conti, sezione delle Autonomie con la
deliberazione 2/2014 (su cui si veda anche Il Sole 24 Ore del 25 gennaio), con la quale ha posto fine
al dibattito che aveva visto contrapporsi numerose sezioni regionali di controllo in merito alla
possibilità applicare estensivamente l'istituto della «Trasformazione eterogenea da società di
capitali» (articolo 2500-septies del Codice civile) al passaggio da una società di diritto privato a un
ente di diritto pubblico.
L'ipotesi di trasformare una società di capitali in un'azienda speciale costituisce oggi per gli enti
un'interessante opzione, che potrebbe essere valutata soprattutto per la gestione di servizi sociali,
culturali ed educativi, ma non solo. Ovviamente la scelta va adeguatamente motivata, tenuto conto
della convenienza economica dell'operazione e di una valutazione prospettica, anche alla luce
dell'articolo 153 del Tuel sulla tenuta e sulla salvaguardia degli equilibri finanziari complessivi
della gestione e dei vincoli di finanza pubblica. La scelta in merito all'individuazione del modello
gestionale più idoneo è sempre ammessa, purché si dimostri che ne conseguiranno risultati
migliori dal punto di vista dell'efficienza, efficacia ed economicità della gestione, oltre al
mantenimento o implementazione della qualità dei servizi erogati. La qualificazione fornita dal
legislatore dell'azienda speciale quale ente strumentale del Comune rivela l'esistenza di un
collegamento inscindibile tra l'azienda e l'ente locale. In effetti, "strumentalità" sta a significare che
l'ente locale, attraverso l'azienda, realizza sostanzialmente una forma diretta di gestione del
servizio.
La sezione delle autonomie ha chiarito che proprio per i vincoli posti dal legislatore alle aziende
speciali, in ultimo dalla legge di stabilità 2014, questo istituito è sempre più assimilabile alle società
di capitali. Si può ritenere allora che l'elemento di continuità debba essere identificato nell'azienda,
quale complesso di beni funzionalmente orientato allo svolgimento di un'attività di impresa e che
la trasformazione trovi, quindi, la sua giustificazione sistematica nell'esigenza di salvaguardare la
continuità dell'organismo produttivo e di evitare la disgregazione del patrimonio aziendale.
L'azienda speciale, che risulterebbe dalla trasformazione della società a totale partecipazione
pubblica, è dotata di un patrimonio separato a garanzia dei terzi e dei creditori, fermo restando
che, sia nell'organismo di partenza sia in quello di arrivo, esistono i necessari raccordi con gli enti
pubblici di riferimento. Da un lato, sussiste una società partecipata da enti territoriali,
presumibilmente dotata delle caratteristiche dell'in house providing e, quindi, da intendersi come
una longa manus degli enti soci, dall'altro, un'azienda speciale, che in quanto ente strumentale del
comune è inserita nel sistema amministrativo dell'ente locale.
La legge di stabilità 2014, inoltre, se ha escluso l'applicazione diretta del patto nei confronti delle
società in house, ha imposto vincoli all'insieme ente territoriale/organismo partecipato,
prevedendo il concorso di questi organismi alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.
Alla luce del quadro legislativo di riferimento, secondo la corte dei conti, non ha ragione di esistere
la preoccupazione del possibile impiego dell'istituto dell'azienda speciale a scopi elusivi dei vincoli
di finanza pubblica, poiché la relativa normativa prevede misure severe come per le società di
capitali.
In ogni caso, l'operazione di trasformazione deve essere corredata da un'attività di revisione
economica-patrimoniale (due diligence) della società trasformanda, a garanzia dei terzi e dell'ente
che istituisce l'azienda speciale.
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LA MOTIVAZIONE
La Sezione delle Autonomie della magistratura contabile sottolinea la continuità tra i due modelli,
rafforzata dalla legge di stabilità
11 Novembre 2013
AUTONOMIE LOCALI E PA
Pagina 40/41 di 52
11 Novembre 2013
Il Sole 24 Ore lunedì
Cassazione. I poteri del socio
La mancata fiducia non è giusta causa per revocare il Cda
Federica Caponi
È illegittima la revoca degli amministratori di una partecipata disposta per aver rotto il rapporto di
fiducia non avendo ottemperato a direttive impartite dal Comune e agli indirizzi formulati
dall'assemblea, perché queste carenze non determinano necessariamente inadempienze gestionali
nella direzione dell'azienda. Per integrare una giusta causa di revoca del mandato, le condotte che
violano il rapporto di fiducia sono di per sé irrilevanti se non sono oggettivamente valutabili come
fatti idonei a mettere in forse le capacità gestionali degli amministratori.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 23381/2013, ha ritenuto sancito la non revocabilità per
giusta causa dei membri del cda di una società controllata da un Comune che hanno posto in
essere condotte che attestavano chiaramente il venir meno del rapporto di fiducia con l'assemblea
dei soci. Nel caso, un Comune, socio di maggioranza di una spa di igiene ambientale, aveva
chiesto la convocazione dell'assemblea per deliberare la revoca degli amministratori in carica in
quanto avevano disatteso, tra l'altro, gli indirizzi approvati dall'assemblea e le direttive del
consiglio comunale. L'assemblea ha deliberato la revoca degli amministratori e uno di questi ha
chiesto la condanna della società al risarcimento dei danni per l'assenza di giusta causa (articolo
2383, comma 3, del Codice civile). La società ha evidenziato che gli amministratori avevano
adottato condotte in contrasto con quanto deliberato dall'ente socio di maggioranza, facendo venir
meno il rapporto di fiducia tra assemblea e l'organo gestionale. Gli amministratori avevano, tra
l'altro, respinto la richiesta presentata da alcuni consiglieri comunali di accedere agli atti della
società, non avevano ottemperato a direttive impartite dal Comune socio di maggioranza, avevano
proposto due citazioni in giudizio per crediti vantati dalla società ma contestati dall'ente socio, e
non avevano presentato la propria situazione reddituale e la relazione semestrale espressamente
indicate nell'atto di affidamento del servizio.
La Cassazione ha chiarito che gli amministratori di una partecipata non sono tenuti a derogare alla
disciplina dell'accesso agli atti della società o a privilegiare l'interesse del socio pubblico nei
rapporti con la società se tali condizioni non sono state previste nello statuto della società.
L'inottemperanza agli obblighi derivanti dal bando di incarico o dalle direttive dell'assemblea non
producono automaticamente inadempienze nella gestione della società, se non qualificate come
tali dagli strumenti di controllo e gestione approvati dagli enti soci. I giudici hanno anche spiegato
che l'accertamento della giusta causa di revoca non può riguardare l'eventuale logoramento del
rapporto di fiducia derivante da comportamenti ostili posti degli amministratori nei confronti
della maggioranza che li ha eletti. Questa valutazione è estranea alla normativa societaria che non
riconosce agli amministratori l'obbligo di agire nell'interesse dei singoli soci, ma della società.
Secondo la disciplina civilistica, la revoca può avvenire solo quando i fatti contestati siano
oggettivamente idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali
dell'amministratore.
La Cassazione ha così condannato la società pubblica al risarcimento del danno a favore
dell'amministratore revocato. In questo caso, addirittura, il comportamento dell'ente locale
potrebbe essere sanzionato anche dalla corte dei conti sotto due aspetti: per la mancata tutela
dell'interesse pubblico nell'agire con gli strumenti del diritto societario, e per il danno arrecato alla
società derivante dall'obbligo del risarcimento a favore del soggetto revocato.
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IL PRINCIPIO
«Licenziamento» illegittimo se gli amministratori non commettono fatti che mettono in dubbio le
loro capacità gestionali