la finanza locale - Portale Sangro Aventino

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Incontro di studio ed approfondimento
LA FINANZA LOCALE
PROFILI GENERALI SUL BILANCIO E LA CONTABILITA’ DEGLI ENTI
LOCALI
IL CONTROLLO DI GESTIONE
Lanciano, 7 giugno 2005
A cura dott. Cosimo Damiano Lasala
PROFILI GENERALI SUL BILANCIO E LA CONTABILITA’ DEGLI ENTI
LOCALI
L’evoluzione della contabilità pubblica sotto l’influsso del diritto comunitario e del processo
federalista.
Sembrano porsi in antitesi i due processi politico-istituzionali che nell’ultimo decennio hanno assunto
una accelerazione improvvisa, il primo cosiddetto “federalista”, intendendo come tale quel processo
che è inteso a determinare il rafforzamento delle autonomie locali, il secondo, di maggiore coesione
delle nazioni europee e che ha condotto gli Stati a realizzare l’ Unione Europea così come la
conosciamo, con profondi legami economici, oramai irreversibili, tra i soggetti aderenti.
L’esistenza di un conflitto tra i due processi è stato più volte evidenziato in passato da alcune fazioni
politiche, mai con motivazioni puntuali ma in via solo strumentale
Federalismo, decentramento, devolution, ma cosa sta accadendo e cosa è già accaduto? Quali sono gli
aspetti sui quali bisogna incentrare la discussione? I due processi sono realmente in contrasto tra loro?
Sicuramente no, se guardiamo la strada tracciata in materia dai legislatori comunitario e nazionale.
I punti di riferimento dell’argomento sono, da una parte la Costituzione Europea, fondata sui principi
ispiratori dei precedenti Trattati ed Accordi tra Stati dell’Europa e dall’altra la Costituzione Italiana,
riformata nel Titolo V nell’ultimo quinquennio, i quali rendono la chiara idea di realizzazione di un
federalismo di tipo “inclusivo” piuttosto che uno “di esclusione”; federalismo (ricordo che il termine
deriva dal latino “foedus”= patto, alleanza, fattore dunque di unione e non di separazione) nel quale al
centro delle strutture istituzionali vi è l’individuo, le sue esigenze e la sua partecipazione, diretta ed
indiretta, alle scelte che lo riguardano quale membro di una collettività.
Fondamento di entrambi i testi Costituzionali sono il principio di sussidiarietà ed il principio di
attribuzione.
Quello di sussidiarietà appare in entrambi i testi costituzionali ed assume due profili ben precisi:
• sussidiarietà di tipo verticale (profilo giuridico): l’intervento normativo è realizzato partendo
dal livello istituzionale più basso, mentre il livello istituzionale superiore interviene solo se il
livello inferiore sia insufficiente. Le decisioni, dunque, vengono assunte dal livello più vicino al
cittadino;
• sussidiarietà di tipo orizzontale (profilo sociale e filosofico): promozione dell’individuo e
riconoscimento del suo ruolo fondamentale nelle relazioni socio politiche. E’ favorita pertanto
l’autonoma iniziativa del cittadino per realizzare, anche tramite associazioni, iniziative di
interesse generale (art.118 cost.).
Il principio di attribuzione, esplicitato dalla Costituzione Europea (l’UE esercita solo i poteri attribuiti
ad essa dagli Stati), è di fatto recepito nella Costituzione Italiana nella misura in cui prevede, materie
di legislazione esclusiva per lo Stato, materie di legislazione concorrente Stato – Regioni ed
attribuzioni (a dire il vero residuali) alle Regioni.
Il processo di unificazione dell’Europa ed i principi ispiratori codificati nella Costituzione Europea.
Mi piace in questa sede tracciare molto sinteticamente gli eventi salienti che hanno portato alla Unione
Europea ed i Paesi coinvolti, consapevole tuttavia del fatto che sono ignorati per brevità altri eventi,
ugualmente importanti quali SME, Trattato di Schengen, che pure hanno segnato tappe importanti)
che nel processo di Unione sono stati ugualmente determinanti.
Anno Evento
1948 Organizzazione Europea di
Scopo
Transito finanziamenti
Stati
Note
Cooperazione Economica
Consiglio d’Europa
Piano Marshall
Funzioni consultive
1951
CECA (Comunità Europea del Carbone
e dell’Acciaio)
Politiche comuni in
materia
1957
Trattati di Roma
CEE
EURATOM
Primo Allargamento
Formare un’entità
economica allargata
(Mercato Comune)
1949
1972
1981
e
1986
1986
Secondo allargamento
Atto Unico Europeo
Revisione trattati di
Roma.
1989
Rapporto Delors
1993
Trattato di Maastricht. (*)
1995
Terzo allargamento
Previsione di una
liberalizzazione dei
movimenti di capitale,
fissazione di tassi
irrevocabili e creazione
di una moneta unica
NASCITA UE ed
accordi per il
passaggio da CEE ad
Unione Economica e
Monetaria
2002
Adozione Moneta unica a regime
2004
Quarto allargamento
2004
2005
Paesi Candidati
2004
Stipula Trattato Costituzione Europea
Italia, Francia, Olanda,
Be-Ne-Lux, Irlanda,
Danimarca, UK,
Svezia, Norvegia
Italia, R.F.Tedesca,
Francia, Olanda,
Belgio, Lux
Idem
Danimarca, Irlanda,
UK
Grecia
Spagna Portogallo
Impegno libera
circolazione merci,
persone e capitali dal
1992
Propedeutico al
Trattato di Maastricht
Austria, Finlandia,
15 Paesi
Svezia
Esclusi UK Danimarca
e Svezia
Polonia,
Slovenia, 25 Paesi
Ungheria,
Malta,
Cipro, Lettonia,
Estonia, Lituania,
Repubblica Ceca,
Slovacchia
Romania, Bulgaria,
Coazia, Turchia (in
Unione doganale dal
1966)
25 Paesi
29 ottobre 2004, Roma
GU Ue 16.12.2004
Ratificata Italia 6-42005
(*) Maastricht: - criteri di convergenza:
•
stabilità dei prezzi - tasso inflazione tra 96 e 97 non deve superare del 1,5 % la media dei 3 stati con inflazione più
bassa;
•
stabilità dei tassi di interesse – Tasso nominale Titoli Stato l.t. non superiore al 2% dell’analogo tasso medio dei 3
stati con inflazione più bassa.
•
stabilità dei tassi di cambio – rispetto dei margini previsti dallo SME per 1996-1998
•
stabilità della situazione di finanza pubblica – rapporto disavanzo/PIL non superiore 3% e debito pubblico/PIL non
superiore al 60%.
Va innanzitutto chiarito che l'
Unione Europea si delinea non quale un'
organizzazione tra governi (come
le Nazioni Unite) né quale federazione di stati (come gli Stati Uniti d’America), ma un organismo
unico nel suo genere, nel quale gli stati membri delegano alcuni dei loro poteri decisionali alle
istituzioni comuni da loro stessi create.
Tanto si rileva dal testo Costituzionale (art.I – 11) che di seguito si riporta:
TITOLO III - COMPETENZE DELL'
UNIONE
Articolo I-11
Principi fondamentali
1. La delimitazione delle competenze dell'
Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'
esercizio delle competenze
dell'
Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.
2. In virtù del principio di attribuzione, l'
Unione agisce nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri
nella Costituzione per realizzare gli obiettivi da questa stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'
Unione nella
Costituzione appartiene agli Stati membri.
3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l'
Unione
interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'
azione prevista non possono essere
sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma
possono, a motivo della portata o degli effetti dell'
azione in questione, essere meglio raggiunti a livello
di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione
dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto di tale principio secondo la
procedura prevista in detto protocollo.
4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'
azione dell'
Unione non vanno al di là di quanto
necessario per il raggiungimento degli obiettivi della Costituzione. Le istituzioni dell'
Unione applicano il principio di
proporzionalità conformemente al protocollo sull'
applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
Nel seguito del testo costituzionale emergono le politiche ed il dettaglio delle competenze dell’Unione
che, possono essere così sintetizzate:
L’U.E. definisce proprie:
• politiche economiche;
• politica estera, sicurezza comune;
• difesa comune
L’Unione Europea ha competenza esclusiva per le seguenti materie:
• unione doganale;
• definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno;
• politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'
euro;
• conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca;
• politica commerciale comune.
Ha competenza concorrente in materia di:
• mercato interno,
• politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nella parte III,
• coesione economica, sociale e territoriale,
• agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare,
• ambiente,
• protezione dei consumatori,
• trasporti,
• reti transeuropee,
• energia,
• spazio di libertà, sicurezza e giustizia,
• problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica;
Attua politiche di sostegno, coordinamento, completamento in materia di:
• tutela e miglioramento della salute umana,
• industria,
• cultura,
• turismo,
• istruzione, gioventù, sport e formazione professionale,
• protezione civile,
• cooperazione amministrativa.
Ultimo elemento degno di risalto è costituito dalla finalità delle politiche economiche dell’UE che,
analogamente agli scopi del trattato di Maastricht, sono costituiti dalla realizzazione di un’area di
stabilità di prezzi ed economica in modo da evitare il realizzarsi di shock economici cosiddetti
simmetrici ed asimmetrici (quelli che cioè riguardano un solo Paese od una regione) nell’Unione.
Lo strumento più importante per assicurare tale stabilità resta il controllo dei deficit di bilancio (tetto
3%), messi sempre più sotto pressione, dai due fattori chiave del nostro tempo: l’invecchiamento della
popolazione e la consistenza dei debiti pubblici.
Il quadro appena esposto dà l’idea della influenza che il diritto e la politica comunitaria hanno e
continueranno ad avere sulle scelte, sui bilanci e sulle contabilità pubbliche, siano esse dello Stato,
delle Regioni e degli altri Enti Locali.
La quantità e la qualità delle risorse finanziarie gestite dagli Enti Locali, tra l’altro, ha portato i
Governi a trasferire una parte dei propri obiettivi di finanza ai livelli di governo inferiori (Regioni,
Province, Comuni) finalizzando gran parte delle risorse locali al rispetto del Patto di Stabilità.
Non và sottaciuto difatti che tra le manovre che hanno consentito all’Italia di essere tra i Paesi
dell’Area Euro, vi è stato l’accentramento delle risorse locali nel sistema cosiddetto di “tesoreria
unica”. Di fatto lo Stato è entrato nella disponibilità di fondi allocati presso gli Enti Locali, esercitando
inoltre su di essi un’azione di controllo e monitoraggio permanente.
La tesoreria unica continua ad essere applicata unitamente al sistema delle “giacenze di cassa”,
attraverso il quale agli enti locali viene trasferita in ogni esercizio solo una quota dei trasferimenti ad
essi spettanti.
Sotto il profilo finanziario, almeno in Italia, il legame stretto tra Enti Locali ed Unione Europea è
rappresentato proprio dall’impegno che il sistema locale, in gran parte Comuni e Province, ha
sostenuto e sta sostenendo per il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica.
Il processo “federale” in Italia
Si può parlare di simmetria delle disposizioni costituzionali europee rispetto a quelle nazionali.
Oltre ai principi di sussidiarietà e attribuzione (seppur declinati in maniera diversa), nel nostro
ordinamento troviamo riserve esclusive di legge in capo allo Stato, la più importante delle quali attiene,
per l’argomento in esame, la politica economica e la finanza pubblica.
Si riporta l’art. 119 della Costituzione Italiana, delineante la struttura dei rapporti di tipo finanziario
tra i diversi livelli di governo del territorio nazionale.
Art.119
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed
entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principî di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale
per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e
alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali,
per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro
funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principî
generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento.
E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
Sorvolo in merito alla trattazione di problemi attinenti la (non) avvenuta attuazione di un sistema
federale e di questioni connesse – conflitti e competenze istituzionali, rapporti tra livelli di governo ancora aperte. In questa sede giova solo affermare che uno dei problemi più rilevanti che hanno
determinato un rallentamento del processo federale è il costo del federalismo e del decentramento.
Bisogna difatti prendere atto del fatto che un sistema di decentramento amministrativo, fiscale e
finanziario quale quello concepito dal legislatore ha una dimensione finanziaria notevole, tale da
determinarne un inevitabile rinvio.
Non si tratta semplicemente di “costi” del federalismo, ma di “una quantificazione di quelle funzioni
oggi presenti nel Bilancio dello Stato e domani, a transizione avvenuta, nei bilanci delle Autonomie
Locali” (ISAE Rapporto sull’attuazione del federalismo, febbraio 2005)
Nell’esercizio empirico proposto dal Rapporto, alcuni indicatori finanziari del decentramento e del
federalismo, con riferimento all’anno 2003, sono sintetizzabili nel modo seguente:
• la spesa decentrata aggiuntiva della P.A. locale ammonterebbero a 69 miliardi di euro;
• le entrate tributarie locali (al lordo delle compartecipazioni) rappresenterebbero il 62%
(dall’attuale 23%) del totale delle entrate tributarie della P.A.;
• le entrate tributarie locali (sempre compartecipazioni incluse) raggiungerebbero il 43%
(dall’attuale 16%) del totale delle entrate fiscali e parafiscali della P.A.;
• la pressione fiscale locale aumenterebbe dall’odierno 7% ad oltre il 18%.
A ciò si aggiunga che l’eliminazione dei Co.re.co. – fermo restando il controllo della Corte dei Conti
per fatti di danno erariale - ha di fatto allentato i controlli esterni e, in alcuni casi, introdotto maggiori
possibilità di spesa pubblica.
I riflessi sulle contabilità e sulle gestioni pubbliche
In relazione ai rapporti Comunità - Stato - Enti Locali, dalla lettura dell’intero contesto sopra
delineato emerge il quadro, nell’ambito del quale l’Ente Locale è chiamato ad operare:
-
l’Autonomia Locale viene limitata da esigenze di coordinamento di politica economica
nazionale ed internazionale;
i livelli superiori di governo hanno necessità di produrre conti consolidati e pertanto i sistemi
contabili adottati devono produrre aggregati economici omogenei e confrontabili;
-
-
nasce in capo agli amministratori una maggiore responsabilizzazione in merito alla gestione
delle risorse ed al conseguimento degli obiettivi di governo. Sorge la necessità di conoscere se
l’azione amministrativa attuata a livello locale è stata in linea con i programmi iniziali,
efficiente ed efficace: è necessario, in definitiva, misurare oggettivamente i risultati ottenuti;
i bilanci pubblici e le contabilità devono essere confrontabili e riconducibili a stessi aggregati
economici e monetari significativi per consentire, agli amministratori locali ed agli
“stakeholders”, confronti con entità similari rispetto a quella in esame.
In tale contesto è necessario che le contabilità pubbliche debbano avere gli stessi punti di riferimento,
le medesime regole. Detto con termine tecnico, le contabilità devono riferirsi a medesimi “principi
contabili”.
Restano ancora oggi profonde diversità tra contabilità dallo Stato, dalle Regioni, dagli Enti Locali
nonostante tutti i bilanci prodotti dall’intero comparto abbiano alla base principi di carattere
finanziario.
Nel tempo però, ognuno ha seguito proprie regole e discipline diverse, con profonde diversità sotto il
profilo del risultato e notevoli difficoltà sotto il profilo del consolidamento.
Purtroppo, scarsa attenzione è stata assegnata nel tempo al problema e solo da poche parti si è alzato
il coro della necessità di uniformità della contabilità pubblica.
Già da tempo qualcuno aveva osservato che i sistemi contabili pubblici sono appena usciti dal
Medioevo senza che ciò debba generare scandalo, come è stato riferito dal presidente della corte dei
conti europea Fabra Valles.
La dottrina contabile, già all’inizio del secolo XX lamentava la insufficienza delle sole previsioni
finanziarie di competenza a predeterminare gli aspetti economici e patrimoniali della gestione. Negli
anni 70 lo stesso Paolo Emilio CASSANDRO affermava che la scarsa considerazione che le rilevazioni
delle aziende pubbliche hanno dell’aspetto economico della gestione è causa non ultima del basso
livello di efficienza economica che in tali aziende si riscontra.
Con ciò non si nega tuttavia che negli ultimi anni la contabilità pubblica sempre più sta assumendo un
rigore maggiore sotto le spinte dell’integrazione comunitaria, della progressiva carenza di risorse
finanziarie.
Il problema è dunque che le attenzioni degli studiosi, sono state da sempre concentrate sulla contabilità
aziendale piuttosto che su quella pubblica. Il ritardo, tra l’altro, ha finito per investire anche i sistemi di
misurazione applicati nel pubblico e negli enti locali in particolare: controllo di gestione, sistemi di
valutazione delle persone, sistemi di indicatori e valutazione dei risultati.
L’esigenza di coordinamento contabile è stata formalmente avvertita con l’avvento della riforma
costituzionale del 2001. In una fase di decentramento e di definizione di ruolo di coordinamento in
capo al Governo centrale, vi è necessità di redigere conti consolidati contenenti aggregati economici e
finanziari provenienti da dati parziali omogenei e coerenti.
La Legge 5 giugno 2003 n.131 (cosiddetta legge “La Loggia”), emanata in attuazione della Legge
Costituzionale n.3/2001 di riforma del titolo V della Costituzione, tra i suoi obiettivi si propone la
realizzazione – a seguito di delega al Governo – di principi e regole comuni in materia di ordinamento
finanziario e contabile:
All’art.2 c.4 lett.f):
“prevedere una disciplina di princìpi fondamentali idonea a garantire un ordinamento finanziario e
contabile degli enti locali che consenta, sulla base di parametri obiettivi e uniformi, la rilevazione delle
situazioni economiche e finanziarie degli enti locali ai fini della attivazione degli interventi previsti
dall’articolo 119, terzo e quinto comma, della Costituzione, anche tenendo conto delle indicazioni
dell’Alta Commissione di studio di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), della legge 27 dicembre
2002, n. 289;
Ed all’art.7 c.7:
“La Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri
di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità
interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Le sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti verificano, ……, la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il
funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli
degli enti controllati”.
Ad oggi la Legge 131/2003, sotto il profilo appena delineato, resta ancora inattuata, anche a causa
delle censure mosse dalla Corte dei Conti allo schema di provvedimento prodotto dal Governo.
La speranza è dunque quella che si approdi ad un nuovo lido, con la definizione di un sistema che
tenga sì conto delle necessità di carattere finanziario ed autorizzatorio dei bilanci pubblici, ma che
introduca anche rilevazioni e risultati di carattere economico che possano anch’essi essere certificati.
Il tempo trascorso dalla realizzazione del nuovo ordinamento contabile degli Enti Locali (Dlgs
77/1995) è troppo. Il sistema pubblico ha ora bisogno di sistemi di rilevazione, di misurazione e di
risultati, coerenti e di qualità.
Non si dimentichi difatti che quando i sistemi di misurazione sono di qualità, quando la contabilità è di
qualità, non sono in discussione i risultati emersi.
Ne deriva maggiore credibilità dei “conti”, degli attori, dell’intero sistema amministrativo e di
conseguenza tendono a ridursi i conflitti tra policy makers e destinatari dell’azione amministrativa.
Ritengo ineccepibile l’affermazione che, senza una contabilità di qualità, non si può avere una gestione
di qualità. E nella gestione pubblica qualità significa anche efficacia ed efficienza, ma anche rispetto
delle leggi e promozione della fiducia dei cittadini.
Quest’ultimo è elemento fondamentale in quanto la fiducia del cittadino genera legittimazione degli
amministratori, una legittimazione diversa rispetto a quella di diritto, derivante dalla espressione di
voto.
Senza una base contabile adeguata, inoltre, è difficile analizzare l’evoluzione della gestione e
determinare se essa sia migliorata o peggiorata rispetto agli esercizi precedenti.
I cittadini di tutti i territori devono avvertire che le risorse sono utilizzate in modo legittimo ed efficace
e che qualsiasi distrazione di fondi è perseguita e sanzionata.
Le diverse tipologie di bilancio: finanziario, economico, sociale, ambientale, di mandato
Nasce dunque la necessità di conoscere e far conoscere i conti pubblici sotto vari punti di vista ed a
tutti i soggetti che in qualche modo sono portatori di interessi.
Le spinte provengono da due entità:
• autorità “sovraordinate” (dal punto di vista finanziario) all’Ente Locale le quali richiedono
informazioni a fini di consolidamento e finanza pubblica;
• portatori di interessi specifici che richiedono previsioni di bilancio e rendicontazioni semplici,
anche tematiche, con esposizione di risultati ed indicatori di confronto con altri enti.
La contabilità finanziaria, i bilanci prodotti secondo le attuali norme non sono sufficienti, sia per le
modalità di presentazione dei contenuti, sia per i contenuti stessi, a rappresentare adeguatamente la
programmazione e la rendicontazione dell’attività amministrativa.
La stessa contabilità economica, introdotta nel nostro ordinamento finanziario da tempo (la prevedeva
già la L.142/90), non è sufficiente, da sola, ad assolvere a tutti questi compiti. Né tantomeno, a livello
di Enti Locali, è diffusa la tenuta di contabilità economico-patrimoniale come avviene per le aziende.
Il limite sembra essere proprio questo: il sistema di contabilità economico-patrimoniale è nato per le
aziende e non può essere applicato sic et simpliciter per gli Enti Locali.
Ancora. L’utilizzo di un semplice “prospetto di conciliazione”, quale documento per addivenire alla
rappresentazione dei dati economici dimostra l’incertezza del legislatore nell’imporre una contabilità
economica nei Comuni: probabilmente non produce vantaggi tangibili a livello informativo, il conto
economico non costituisce quindi documento significativo; di sicuro, l’aver introdotto il prospetto di
conciliazione lascia intravedere la consapevolezza che l’introduzione della contabilità economica
avrebbe creato grosse difficoltà, sia nella fase di implementazione, sia nella gestione a regime.
Al momento, in ogni caso, sono tanti gli amministratori non sanno nemmeno della esistenza di un
conto economico e di un conto del patrimonio allegati al rendiconto: tali documenti restano pertanto
ancora relegati alla attenzione degli addetti ai lavori.
Quanto sopra è condiviso da autorevoli autori i quali sottolineano che è necessario a questo punto,
ripensare adeguati sistemi contabili degli enti locali.
Bilancio finanziario.
Il “bilancio finanziario” si identifica con il “conto del bilancio” di cui all’art. 227 del TUEL e si
presenta del tutto conforme al contenuto del bilancio preventivo annuale.
Il rendiconto evidenzia i risultati della gestione finanziaria dell'
Ente, riferita ad un singolo esercizio,
con riferimento agli accertamenti (entrata) ed agli impegni (spese). E’ pertanto riferito alla gestione
finanziaria ed “autorizzatoria” (art. 228, comma1, TUEL.
.
Bilancio Economico.
Con tale locuzione, a dire il vero non corretta, si intende il “conto economico” allegato al conto del
bilancio nell’ambito del rendiconto della gestione. Il documento risulta strutturato in analogia con
quello normato dall’art. 2425 del codice civile.
Il documento in esame evidenzia le componenti positive e negative della gestione secondo i criteri di
competenza economica.
I componenti negativi sono riferiti a consumi dei fattori impiegati nel circuito di erogazione o di
produzione, mentre quelli positivi si identificano con proventi e ricavi conseguenti all’accertamento
delle risorse afferenti i citati processi di consumo.
Alla costruzione del conto economico si perviene tramite la redazione del “prospetto di conciliazione”,
prospetto che include le variazioni al conto del bilancio necessarie per riportare il documento in esame
da “finanziario” ad “economico”.
Bilancio sociale
Il bilancio sociale risponde all’esigenza dei responsabili delle imprese
ed enti (manager,
amministratori, ecc.) di comunicare ai propri “stakeholders” ed azionisti le modalità con le quali hanno
guidato l’azienda, mettendone in evidenza i principi, valori guida di cui sono portatori, e riferendo in
merito agli effetti sociali ed ambientali prodotti.
Anche l’Ente Locale dunque utilizza tale strumento con l’obiettivo ultimo di consolidare la propria
immagine presso tutti i soggetti che, a titolo diverso, interagiscono con le sue attività : utenti, clienti,
fornitori, collaboratori e dipendenti, investitori, istituzioni pubbliche, membri della società civile, etc.
Proprio attraverso il bilancio sociale, l’Ente rende trasparente il suo operato e, nel rendersi responsabile
verso i portatori di interessi o “stakeholders”, genera inevitabilmente fiducia.
Il bilancio sociale non è la valutazione dell’operato di un organo elettivo o di una Amministrazione,
ma, investendo l’operato dell’istituzione nel suo insieme, di cui il vertice politico è una delle
componenti, diviene strumento di valorizzazione dell’istituzione stessa e della sua utilità, ma non di
valutazione dell’amministrazione in carica.
Il BS costituisce altresì un rapporto complessivo sull’operato e sull’impiego delle risorse nelle diverse
aree di attività dell’ente locale.
E’ evidente che esso può essere riferito ad una sola parte delle attività aziendali ed in particolar modo
quella di maggiore interesse per i portatori di interessi ovvero quella per la quale esistono sistemi di
rilevazione e rendicontazione al fine che interessa.
Ovviamente il bilancio sociale non è documento obbligatorio ma volontario.
Bilancio ambientale
Anche il bilancio ambientale proviene dalla cultura di comunicazione delle imprese. L’impresa attenta
all’ambiente promuove se stessa.
La definizione di bilancio ambientale comunemente accettata in tale ambito è quella di prospetto
contabile che rappresenta l'
insieme dei rapporti tra l'
attività dell'
impresa e l'
ambiente naturale (insieme
delle risorse), per mezzo di un quadro sintetico di dati quantitativi relativi all'
impatto ambientale di
determinate produzioni e agli investimenti dell'
impresa destinati alla protezione ambientale. Se il
bilancio comprende anche una sezione che descrive gli aspetti qualitativi dell'
impegno ambientale
dell'
impresa, prende il nome di rapporto ambientale
Per migliorare il proprio sistema di gestione ambientale e le performances relative all'
impatto
sull'
ambiente della propria attività, molte imprese industriali hanno iniziato a sottoporsi alla verifica di
certificatori esterni. Nel caso in cui le verifiche effettuate non abbiano evidenziato la presenza di
processi produttivi a rilevante impatto e il superamento dei valori-limite alle emissioni prescritte dalla
normativa in vigore, viene rilasciata una certificazione ambientale che si rifà allo standard volontario
prescelto (ad esempio ISO 14000). Più recente, meno diffusa ma assai qualificante è l'
adesione al
Regolamento EMAS, che prevede l'
accreditamento di verificatori a livello comunitario.
Nell’ambito pubblico il bilancio ambientale può assumere la valenza di documento che riassume, anche
da un punto di vista contabile, la programmazione, l’impatto e rendicontazione delle politiche
ambientali dell’ente sul territorio, secondo l’approccio che l’Ente Locale assume.
Le esperienze condotte dai Comuni sul tema del bilancio ambientale portano a poter asserire che di
vera e propria rendicontazione rigorosa non si tratta, poiché le logiche sulle quali si fondano i
documenti sono le medesime del bilancio sociale.
Occorre inoltre puntualizzare che quando si introduce l’argomento dell’“impatto” delle decisioni
politiche sull’ambiente, si arriva ad identificare ambiti diversi a seconda della visione che il redattore
del bilancio ha in merito al concetto di ambiente.
Oramai tutte le politiche impattano sull’ambiente e risulta superato parlare solo di “politiche
ambientali”. Si parla di urbanistica ed ambiente, sanità ed ambiente, infrastrutture ed ambiente. Non è
più possibile isolare la problematica “ambiente”.
Il nuovo concetto che ha preso piede negli ultimi due decenni e che lega ogni problematica economica,
politica e sociale all’ambiente è quello di “sviluppo sostenibile”, del quale del quale sono state date le
seguenti definizioni 1:
1
“Sustainable environnement” è stato tradotto dai francesi “dévelopement durable”.
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La contabilità ambientale corrisponde al tentativo di utilizzare per la gestione ambientale strumenti di
controllo e di rendicontazione analoghi a quelli utilizzati nella gestione economica, di un’azienda o di
un ente pubblico.
Per la gestione ordinaria il meccanismo è il seguente: poiché ogni attività ha un riscontro economico, si
ritiene che controllare tutti i flussi di spesa e di ricavo, e verificare le variazioni patrimoniali,
costituisca il modo più efficace per controllare tutte le azioni esercitate, i loro effetti, la loro efficienza
e la loro correttezza. Lo strumento consolidato per questi controlli e verifiche è il bilancio, che offre
anche il vantaggio di essere un documento pubblico e trasparente.
Analogamente, per la gestione ambientale si ritiene che controllare tutte le voci di spesa ambientale (ed
eventualmente le variazioni di «capitale naturale») possa produrre effetti di chiarezza e trasparenza
corrispondenti. Ovviamente occorrono alcuni accorgimenti: il «patrimonio» naturale dovrà essere
valutato attraverso particolari convenzioni e per misurare gli effetti delle politiche attuate bisognerà
valutare quanto l’ambiente è migliorato o peggiorato, usando indicatori fisici. Ma grosso modo la
struttura contabile può essere simile a quella di un bilancio ordinario e lo strumento funziona.
Gli strumenti per la rappresentazione dei conti ambientali, vanno dai quelli rigorosi che richiedono
l’impianto di sistema di tipo manageriale a quelli con taglio di tipo politico.
Tra i primi possiamo citare il sistema EMAS che richiede apposita registrazione a seguito di
procedimento codificato così strutturato:
• definizione di una politica ambientale;
• realizzazione di una analisi ambientale. Gli enti devono stabilire un bilancio completo degli
impatti e dei risultati ottenuti in un certo numero di settori, come quello dell’acqua, dell’aria,
del rumore, dei rifiuti, dei consumi energetici, ecc.;
• elaborazione di un programma ambientale;
• attuazione di un sistema di management ambientale;
• realizzazione di un audit ambientale;
• redazione della dichiarazione ambientale;
• verifica ambientale. L’organizzazione deve rendere duratura la performance ambientale, pena il
ritiro della certificazione EMAS.
Tra i primi figurano anche i standard NAMEA ed EPEA. Quest’ultimo costituisce l’unico modulo per
il quale è stata elaborata una metodologia apposita che, basandosi sul principio di funzionalità della
spesa, definisce «spesa per la protezione ambientale» la spesa sostenuta per attività il cui scopo
principale è la prevenzione, la riduzione e l’eliminazione dell’inquinamento e di ogni altra causa di
degrado ambientale.
Tra i secondi possiamo annoverare le “convenzioni di stima”, ma anche lo stesso bilancio ambientale
prodotto dalla maggior parte degli Enti Locali
Un esempio di bilancio ambientale è quello del Comune di Ferrara, riferito agli anni 2000 e 2001 che
traccia, tra l’altro, linee di tutela ambientale per il 2003. Questo bilancio riporta al suo interno il conto
EPEA delle spese sostenute negli anni di riferimento.
Esempio: il bilancio ambientale del Comune di Ferrara (stralcio conto EPEA).
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Bilancio di mandato
La Circolare della Ragioneria generale dello Stato n.5 del 21 gennaio 1997, aggiornata il 31 luglio 1998
e, da ultimo, il 21 dicembre 2001, è nota come “circolare – vademecum per la revisione
amministrativo-contabile negli enti pubblici”.
Benché formalmente indirizzata ai Revisori dei conti espressi dal Ministero del tesoro (ora
dell’economia e delle finanze), presso gli Enti pubblici ed ai Dirigenti dei Servizi Ispettivi di Finanza
Pubblica della Ragioneria generale dello Stato, viene presa a costante riferimento nelle tematiche di
revisione amministrativo-contabile degli Enti ed organismi pubblici.
Nell’ultima edizione a stampa, edita dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato nell’anno 2002, a
pag.32, si legge quanto segue:
“2.8. Il bilancio di mandato
Si ritiene opportuno far cenno, a fini conoscitivi, ad un documento contabile rappresentato dal “bilancio
di mandato”. Esso, al pari dei consuntivi annuali, evidenzia i risultati dell’attività svolta dall’Ente nel
periodo della gestione dell’organo di vertice. Di norma, l’organo volitivo di un Ente pubblico,
soprattutto quando questi è costituito da componenti eletti da platee circoscritte di elettori o da persone
designate da istituzioni esterne all’ente, dura in carica per un periodo – il mandato – definito nello
statuto o in altra fonte normativa. Il periodo temporale del mandato, però, raramente è multiplo esatto
degli esercizi in cui è convenzionalmente suddivisa la gestione di un ente e a cui sono di regola riferiti i
conti consuntivi annuali.
Pertanto, avere elementi riferiti a tutto il periodo del mandato offre al corpo elettorale e/o all’Istituzione
designante elementi oggettivi di conoscenza. Da queste considerazioni si evince l’utilità di un “bilancio
di mandato” un “ex post” redatto con i medesimi criteri dei conti consuntivi annuali dell’Ente, ma
rigorosamente riferito a tutto il periodo della gestione dell’organo volitivo; tale documento contabile
deve ovviamente tener conto dei periodi infrannuali di operatività (dovrebbe essere controllato ed
asseverato con le medesime modalità previste per i conti annuali) e rappresentare un mezzo oggettivo
di valutazione dell’operato dell’organo in questione.
Un bilancio di mandato si articola solitamente in tre parti: a) un quadro generale (assetto organizzativo,
missione, piano strategico, programmi); b) un rendiconto delle entrate e delle uscite (in prospetti
sintetici dove le uscite sono aggregate per funzioni); c) una relazione sulle prestazioni ed i servizi
erogati dall’ente”.
Il documento in esame risulta addirittura previsto dal Legislatore nell’art. 4, comma 5, del D.L. 30
settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e recante “Disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”.
Il predetto art. 4, disciplina la costituzione della Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) per
una prima fase di rapido avvio delle attività, ha previsto la presenza di un commissario unico con i
poteri dell’organo monocratico, al fine di realizzare una fase di “start up” della Fondazione stessa, per
un periodo della durata massima di due anni, alla fine del quale il Commissario “rende il proprio
bilancio di mandato”.
Il bilancio di mandato negli Enti Locali quindi, può essere definito quale documento consuntivo,
redatto con i medesimi criteri dei bilanci consuntivi annuali dell’Ente ma riferito al solo periodo della
gestione dell’Organo volitivo; tale documento contabile dovrebbe essere controllato ed asseverato con
le medesime modalità previste per i conti annuali.
Caratteristiche e struttura del bilancio degli EE.LL. e gestione delle risorse, le unità previsionali
di base, la gestione delle fasi delle entrate e delle fasi delle uscita.
Struttura e gestione del bilancio di previsione.
Il Bilancio degli enti pubblici, costituisce il fondamentale strumento di programmazione della gestione
ed è caratterizzato dalla logica autorizzatoria, ossia si fonda sul principio generale che solo e soltanto
ciò che è iscritto in bilancio può tradursi in attività di gestione dell’esercizio. Tale bilancio
autorizzatorio assolve alla volontà della legge, perché garantisce la ricognizione e l’attuazione dei
programmi e degli obiettivi.
La norma, inoltre, richiede e garantisce un continuo monitoraggio ed una continua autocorrezione
(variazioni di bilancio in corso d’anno) dei processi gestionali.
Gli enti locali deliberano il bilancio di previsione finanziario annualmente, redatto in termini di
competenza. Essi, nella compilazione e redazione osservano i principi di unità, annualità, universalità
ed integrità, veridicità, pareggio finanziario e pubblicità.
Il bilancio si chiude sempre in pareggio finanziario.
L'
unità elementare del bilancio per l'
entrata è la risorsa e per la spesa è l'
intervento per ciascun servizio.
Il bilancio di previsione annuale ha carattere autorizzatorio e costituisce limite agli impegni di spesa.
Il bilancio di previsione annuale è composto da due parti, relative rispettivamente all'
entrata ed alla
spesa.
La parte entrata è ordinata gradualmente in titoli, categorie e risorse, in relazione, rispettivamente, alla
fonte di provenienza, alla tipologia ed alla specifica individuazione dell'
oggetto dell'
entrata.
I titoli dell'
entrata per province, comuni, città metropolitane ed unioni di comuni sono:
Titolo I - Entrate tributarie;
Titolo II - Entrate derivanti da contributi e trasferimenti correnti dello Stato, della regione e di altri enti
pubblici anche in rapporto all'
esercizio di funzioni delegate dalla regione;
Titolo III - Entrate extratributarie;
Titolo IV - Entrate derivanti da alienazioni, da trasferimenti di capitale e da riscossioni di crediti;
Titolo V - Entrate derivanti da accensioni di prestiti;
Titolo VI - Entrate da servizi per conto di terzi.
La spesa è ordinata gradualmente in titoli, funzioni, servizi ed interventi. La parte spesa deve essere
leggibile anche per programmi dei quali è fatta analitica illustrazione in apposito quadro di sintesi del
bilancio e nella relazione previsionale e programmatica.
I titoli della spesa sono :
Titolo I - Spese correnti;
Titolo II - Spese in conto capitale;
Titolo III - Spese per rimborso di prestiti;
Titolo IV - Spese per servizi per conto di terzi.
Il programma, costituisce il complesso coordinato di attività, anche normative, relative alle opere da
realizzare e di interventi diretti ed indiretti, non necessariamente solo finanziari.
Per le esigenze di carattere straordinario nel corso dell’esercizio ovvero in caso di insufficienza degli
stanziamenti della spesa, è istituito un fondo di riserva avente un ammontare compreso tra lo 0,2 ed il 2
per cento del totale delle spese correnti inizialmente previste in bilancio.
Il fondo è utilizzato, con deliberazioni della Giunta da comunicare all'
organo consiliare nei tempi
stabiliti dal regolamento di contabilità.
Al bilancio è allegata una relazione previsionale e programmatica che copre un periodo pari a quello
del bilancio pluriennale e cioè il bilancio annuale ed i due successivi.
Al bilancio di previsione sono allegati, tra gli altri, i seguenti documenti :
- il rendiconto deliberato del penultimo esercizio antecedente quello cui si riferisce il bilancio di
previsione;
- la deliberazione, da adottarsi annualmente prima dell'
approvazione del bilancio, con la quale i comuni
verificano la quantità e qualità di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e
terziarie - ai sensi delle leggi 18 aprile 1962, n. 167, 22 ottobre 1971, n. 865, e 5 agosto 1978, n. 457, che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di superficie; con la stessa deliberazione i comuni
stabiliscono il prezzo di cessione per ciascun tipo di area o di fabbricato;
- il programma triennale dei lavori pubblici di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109;
- le deliberazioni con le quali sono determinati, per l'
esercizio successivo, le tariffe, le aliquote
d'
imposta e le eventuali maggiori detrazioni, le variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i
servizi locali, nonché, per i servizi a domanda individuale, i tassi di copertura in percentuale del costo
di gestione dei servizi stessi.
Le variazioni al bilancio di previsione ed al Piano esecutivo di gestione.
Il bilancio di previsione può subire variazioni nel corso dell'
esercizio di competenza, per difformità –
maggiori o minori spese ovvero maggiori o minori entrate - delle esigenze in corso d’esercizio rispetto
alla programmazione iniziale.
A seguito di ogni variazione che si sottolinea, è possibile solo per la competenza, il bilancio deve
mantenersi in equilibrio.
Le variazioni sono adottate dal Consiglio entro il 30 novembre.
La Giunta può adottarle in via d’urgenza, con i poteri del Consiglio, salvo ratifica dello stesso
Consiglio entro 60 giorni e comunque entro il 31 dicembre dell’esercizio in corso.
La legge vieta espressamente:
• lo spostamento di dotazioni da capitoli iscritti nei servizi per conto di terzi in favore di altre
parti del bilancio;
• spostamenti di somme tra residui e competenza;
• per quanto attiene province, comuni, città metropolitane ed unioni di comuni, lo “spostamento”
di fondi delle entrate dai Titoli IV e V (entrate destinate al finanziamento di spese di
investimento) ai Titoli I, II e III (entrate destinate al finanziamento di spese correnti).
L’ultima variazione al bilancio di previsione può essere effettuata entro il 30 novembre. Entro tale data
l’Ente effettua la variazione di “assestamento generale” tramite verifica di tutte le voci di entrata e di
spesa.
Le variazioni al Piano Esecutivo di Gestione, conseguenti anche a variazioni di bilancio, sono
deliberate dalla Giunta entro il 15 dicembre di ogni anno.
Ultima modalità di variazione alle previsioni di bilancio è costituita dal prelievo dal fondo di riserva
che viene effettuato tramite delibera di Giunta da comunicare al Consiglio entro i termini stabiliti dal
regolamento di contabilità.
Salvaguardia degli equilibri di bilancio
Il responsabile del servizio finanziario è preposto alla verifica dello stato di accertamento delle entrate
e di impegno delle spese. E’ preposto, in sostanza, alla verifica sistematica della esistenza degli
equilibri di bilancio.
Il regolamento di contabilità indica le modalità con le quali il responsabile segnala la esistenza di
situazioni che possono compromettere la permanenza di tali equilibri.
Il TUEL, all’art. 193 stabilisce che con periodicità stabilita dal regolamento di contabilità dell'
ente
locale, e comunque almeno una volta entro il 30 settembre l'
organo consiliare provvede con propria
delibera ad effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi.
In tale sede l'
organo consiliare dà atto del permanere degli equilibri generali di bilancio o, in caso di
accertamento negativo, adotta contestualmente i provvedimenti necessari per il ripiano degli eventuali
debiti “fuori bilancio” di cui all'
articolo 194, per il ripiano dell'
eventuale disavanzo di amministrazione
risultante dal rendiconto approvato e, qualora i dati della gestione finanziaria facciano prevedere un
disavanzo, di amministrazione o di gestione, per squilibrio della gestione di competenza ovvero della
gestione dei residui, adotta le misure necessarie a ripristinare il pareggio.
Al fine di ripristinare il pareggio e sanare le situazioni appena descritte possono essere utilizzate tutte le
entrate e le disponibilità, ad eccezione di quelle provenienti dall'
assunzione di prestiti e di quelle aventi
specifica destinazione per legge, nonché i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali
disponibili.
La mancata adozione, da parte dell'
ente, dei provvedimenti di riequilibrio di cui all’art.193, è
equiparata ad ogni effetto alla mancata approvazione del bilancio di previsione di cui all'
articolo 141,
con applicazione della procedura prevista dal comma 2 del medesimo articolo (intervento
dell’O.Re.Co).
Va segnalato che l'
abrogazione dell'
art. 130 della Costituzione ad opera dell'
art. 9, L. cost. 18 ottobre
2001, n. 3, ha eliminato il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali da parte del CO.RE.CO., tra
cui le deliberazioni concernenti l'
approvazione del bilancio di previsione ed i provvedimenti di
riequilibrio della gestione. Si ritiene quindi applicabile il dettato dell'
art. 1 del decreto legge 22 febbraio
2002 n. 13, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2002 n. 75, a norma del quale, in assenza
di specifiche disposizioni statutarie in merito, il Prefetto provvede a nominare un commissario affinché
predisponga d'
ufficio lo schema di adozione del provvedimento di riequilibrio da sottoporre al
Consiglio.
Il Prefetto assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a
20 giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario,
all'
amministrazione inadempiente. Da questo momento inizia la procedura per lo scioglimento del
Consiglio.
Il patto di stabilità.
La disciplina del patto di stabilità è stata introdotta dall'
articolo 28 della legge 23 dicembre 1998, n.
448.
La logica alla base delle norme è che il sistema degli enti locali deve concorrere agli obiettivi di finanza
assunti dall’Italia in sede di Unione Europea.
Obiettivi perseguiti sin dal primo anno della sua applicazione sono stati la riduzione del rapporto
debito/pil e la riduzione del finanziamento delle spese correnti in disavanzo. In seguito il secondo
obiettivo è divenuto solo – in maniera non espressamente dichiarata – la riduzione delle spese.
Nel tempo tale obiettivo è stato fissato con modalità diverse, cambiate ogni volta da leggi finanziarie.
Per l’anno 2005 il patto di stabilità fissa le seguenti regole:
• contenimento della spesa corrente ed in conto investimenti entro i limiti della corrispondente
spesa media degli anni 2001-2003;
• tale spesa può essere maggiorata del 10% o dell’11,5% a seconda che l’Ente abbia,
rispettivamente, una spesa media pro-capite superiore od inferiore alla spesa media nazionale
della corrispondente fascia di Comuni;
• sono escluse alcune tipologie di spese quali le spese per personale, spese per acquisizione di
partecipazioni azionarie e simili, spese per interventi a favore di minori soggetti a
provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile; spese in conto capitale derivanti da interventi
cofinanziati dall’Unione Europea (solo per il 2005).
Il mancato rispetto del patto di stabilità fa conseguire, per l’anno successivo, la impossibilità di
indebitamento e di assunzioni a qualsiasi titolo.
Il rendiconto.
Il rendiconto costituisce un momento essenziale del processo amministrativo dell'
ente. Infatti, esso
misura ciò che si è fatto, in termini di valori, per dare pienamente conto di come i piani ed i programmi
dell'
amministrazione, in tutti i loro aspetti, sono stati conseguiti.
L'
art. 227 del T.U., al 1° comma, ne definisce la funzione specifica. Essa consiste nel dimostrare i
risultati della gestione ed il contenuto è espresso attraverso:
- il conto del bilancio (art. 228 T.U.);
- il conto economico (art. 229 T.U.);
- il conto del patrimonio (art. 230 T.U.).
Il conto del bilancio si presenta del tutto conforme al contenuto del bilancio preventivo d'
esercizio.
Esso evidenzia i risultati della gestione finanziaria dell'
Ente, sotto il profilo della competenza, con
riferimento agli accertamenti (entrata) ed agli impegni (spese).
Infatti, il 1° comma dell'
art. 228 del T.U. recita: " Il conto del bilancio dimostra i risultati finali della
gestione autorizzatoria contenuta nel bilancio annuale rispetto alle previsioni".
Il conto economico, esprime, attraverso l'
elaborazione della pluralità dei valori, l'
equilibrio economico
dell'
ente. Esso è lo strumento necessario di ogni valutazione sull'
efficienza, sulle alternative gestionali,
sui confronti costi/qualità delle prestazioni e dei servizi.
Il risultato economico corrisponde alla modificazione subita dalla consistenza del patrimonio. L'
art.
229 T.U., infatti, recita: "Il conto economico evidenzia i componenti positivi e negativi dell'
attività
dell'
ente secondo criteri di competenza economica. Comprende gli accertamenti e gli impegni del conto
del bilancio, rettificati al fine di costituire la dimensione finanziaria dei valori economici riferiti alla
gestione di competenza, le insussistenze e sopravvenienze derivanti dalla gestione dei residui e gli
elementi economici non rilevati nel conto del bilancio."
Il comma 9, del medesimo articolo: " al conto economico è accluso il prospetto di conciliazione che,
partendo dai dati finanziari della gestione corrente del conto del bilancio, con l'
aggiunta di elementi
economici, raggiunge il risultato finale economico. I valori della gestione non corrente (investimenti)
vanno riferiti al patrimonio."
Il conto del patrimonio, infine, permette di conoscere, il complesso dei valori attivi e passivi, aventi
natura finanziaria ed economica, dell'
ente. Infatti, l'
art. 230, 1° comma del T.U. recita: "Il conto del
patrimonio rileva i risultati della gestione patrimoniale e riassume la consistenza del patrimonio al
termine dell'
esercizio, evidenziando le variazioni intervenute nel corso dello stesso, rispetto alla
consistenza iniziale."
Il rendiconto deve essere deliberato dall'
organo consiliare entro il 30 giugno dell'
anno successivo
"tenuto motivatamente conto della relazione dell'
organo di revisione." Il citato art. 227, fissa i termini e
le modalità di presentazione del rendiconto, nonché gli allegati obbligatori, che sono:
a) la relazione dell'
organo esecutivo (Giunta);
b) la relazione dei revisori dei conti;
c) l'
elenco dei residui attivi e passivi, distinti per anno di provenienza.
La relazione al rendiconto della gestione è redatta dall'
organo esecutivo dell'
ente, con la quale "..
esprime le valutazioni di efficacia dell'
azione condotta sulla base dei risultati conseguiti in rapporto ai
programmi ed ai costi sostenuti." (art. 151 T.U., comma 6°). Inoltre: "Evidenzia anche i criteri di
valutazione del patrimonio e delle componenti economiche. Analizza, inoltre, gli scostamenti principali
intervenuti rispetto alle previsioni, motivando le cause che li hanno determinati." (art. 231 T.U.).
Questo importantissimo documento, offre la chiave di lettura del contenuto del nuovo ordinamento
contabile degli enti locali.
La relazione dei revisori dei conti sul rendiconto "attesta" la corrispondenza del rendiconto ai risultati
della gestione, nonché contiene le note ed osservazioni, sia critiche che propositive in campo
economico, qualificandosi, pertanto, come giudizio complessivo, che somma le funzioni di
collaborazione e vigilanza.
In particolare l'
art. 239, comma 1, lett. d), recita: La relazione contiene l'
attestazione sulla
corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione nonché rilievi, considerazioni e proposte
tendenti a conseguire l'
efficienza, produttività ed economicità della gestione."
I residui attivi e passivi (crediti e debiti dell'
ente), distinti per anno di provenienza da riportare, vanno
distinti, innanzitutto, quelli che provengono dalla gestione dei vecchi residui e corrispondenti quindi
alle operazioni dei passati esercizi ancora non concluse, da quelli dell'
esercizio in corso relativi,
pertanto, alla competenza.
La norma prevede che prima dell'
inserimento nel conto del bilancio dei residui, sia attivi che passivi,
l'
ente locale debba provvedere al loro "riaccertamento", dunque alla verifica della loro giuridica
esistenza ed esigibilità, passando per le ragioni del loro mantenimento.
Il rendiconto deve essere deliberato dal consiglio entro il 30 giugno dell'
anno successivo a quello cui si
riferisce.
Prima di arrivare alla proposta di rendiconto approvata dalla giunta, devono essere svolte alcune attività
propedeutiche:
- entro due mesi dalla chiusura dell'
esercizio finanziario il tesoriere rende il conto della propria
gestione, così come gli agenti contabili indicati nell'
art. 233, comma 1 del testo unico;
- il servizio finanziario provvede a verificare il conto del tesoriere ed i conti degli agenti contabili
interni;
- vengono redatti i tre documenti che compongono il rendiconto, si procede al riaccertamento dei
residui e all'elaborazione delle tabelle dei parametri e degli indicatori da allegare al conto del bilancio;
- la giunta, con l'
aiuto dei servizi dell'
ente, elabora la relazione al rendiconto.
La proposta di delibera consiliare del rendiconto e dello schema di rendiconto deve essere messa a
disposizione dei componenti del consiglio almeno venti giorni prima della data in cui sarà esaminata e
discussa in consiglio: questo adempimento è stato introdotto per dare ai membri dell'
organo consiliare
una forma di controllo sulla regolarità del rendiconto (il regolamento di contabilità può prevedere una
norma analoga per consentire ai revisori di controllarne preventivamente la regolarità tecnica); l'
organo
di revisione deve preparare una relazione sulla proposta di delibera e sullo schema di rendiconto entro i
termini previsti nel regolamento di contabilità; l'
approvazione del rendiconto da parte del consiglio
deve tener conto della relazione dell'
organo di revisione.
Proprio in considerazione di questi vincoli temporali particolarmente ristretti, tenendo conto delle
proprie capacità organizzative, ogni ente dovrebbe fissare nel regolamento una data entro cui
predisporre lo schema di rendiconto che permetta una adozione tempestiva del rendiconto stesso (ad
esempio la proposta di rendiconto potrebbe essere approvata nel mese di aprile o al massimo di
maggio): questa scelta sarebbe coerente con i principi di efficienza ed efficacia dell'
azione
amministrativa.
IL CONTROLLO DI GESTIONE NEGLI ENTI LOCALI
Generalità.
La norma dell’art. 196 del TUEL definisce il controllo di gestione come la “procedura diretta a
verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso l'
analisi delle risorse acquisite
e della comparazione tra i costi e la quantità e qualità dei servizi offerti la funzionalità
dell'
organizzazione dell'
ente, l'
efficacia, l'
efficienza ed il livello di economicità nell'
attività di
realizzazione dei predetti obiettivi”
Tale procedura è finalizzata a garantire la realizzazione degli obiettivi programmati, la corretta ed
economica gestione delle risorse pubbliche, l'
imparzialità ed il buon andamento della pubblica
amministrazione e la trasparenza dell'
azione amministrativa
Il controllo di gestione è la tipica esperienza presa a prestito dal management privato, ma che rispetto
alla esperienza del privato ha bisogno di particolare contestualizzazione, atteso che il soggetto destinato
a produrre utili è diverso, sia in termini di attività, strutture e logiche operative,sia in termini di risultati,
dal soggetto che invece deve erogare servizi.
Gli stessi concetti di efficienza, efficacia ed economicità che sono alla base del controllo di gestione nel
pubblico, sono differenti rispetto ai rispettivi concetti in ambito privato.
Il controllo di gestione rappresenta dunque un fenomeno che si accompagna ai processi di
aziendalizzazione degli enti locali e di decentramento amministrativo, per giungere ad essere di
supporto alla realizzazione del principio di sussidiarietà introdotto nella nostra Costituzione con la
riforma del suo titolo V, parte II.
La cennata riforma costituzionale operata con la Legge 3/2001, è finalizzata a drastica riduzione dei
controlli preventivi di legittimità in favore dei controlli interni. L’occasione dovrebbe essere favorevole
ad un cambiamento di cultura ed ad orientare le amministrazioni, i loro uffici e le intere strutture verso
la realizzazione e verifica del risultato piuttosto che ad un semplice rispetto dell’adempimento formale.
E’ evidente che i cambiamenti culturali hanno bisogno di tempo, devono accompagnarsi alla crescita
culturale degli attori, al cambiamento di approccio da parte dei soggetti coinvolti direttamente nella
gestione dell’ente locale
Il “passaggio” da un sistema ad un altro non è esente da ostacoli, sia per la difficoltà di amministratori e
tecnici ad assimilare correttamente la nuova filosofia, sia per le resistenze delle intere strutture
all'
ingresso del "nuovo" nella gestione.
Non va però sottovalutata la mancanza, ancora oggi, di una precisa individuazione del “pubblico” e del
profilo di “management pubblico”.
L’abbandono dei controlli preventivi di legittimità rischia difatti di creare sacche di spreco di danaro
pubblico e violazione dei principi di azione della pubblica amministrazione.
Dovrebbe essere chiarito che nel sistema pubblico i sistemi di controllo interno devono coesistere con i
controlli di legittimità. Andrebbero pertanto meglio applicati ed enfatizzati i primi e rivisti, nell’ottica
del contenimento, i secondi.
Efficacia, efficienza ed economicità
Nel quadro della riforma delle autonomie locali il controllo di gestione rappresenta il “cruscotto
direzionale” per coloro che sono incaricati della gestione dell'
ente e della verifica di tipo politico.
In quest'
ottica il controllo di gestione si accompagna al Peg come strumento di monitoraggio dei
processi decisionali e rappresenta una bussola di orientamento per l'
apparato politico.
Esso è destinato a fornire i dati per la verifica della azione amministrativa, sotto i profili della efficacia,
efficienza ed economicità. Vale la pena approfondire tali concetti.
L’efficienza rappresenta il rapporto tra le risorse impiegate e le attività svolte. Il servizio è efficiente
se tale rapporto risulta soddisfacente. La misurazione avviene rapportando la quantità di risorse
impiegate all’ unità di output.
Nelle aziende commerciali il concetto di efficienza è maggiormente legato a al tempo per la
produzione di un bene od un servizio.
Per efficacia si intende il grado con cui vengono raggiunti gli obiettivi programmati in termini
quantitativi ovvero in termini qualitativi. Essa rappresenta la capacità di soddisfare i bisogni degli
utenti. Con l'
analisi dell'
efficacia si mettono in relazione i risultati conseguiti con gli obiettivi al fine di
stimare la coerenza dell'
attività svolta rispetto a quanto stabilito in sede di programmazione.
L'
economicità viene intesa come l'
equilibrio nel tempo tra la quantità delle risorse impiegate da un
Ente pubblico e le attività, servizi, funzioni proprie dell'
Ente stesso.
Se volessimo mutuare un concetto di tipo ambientale, diremmo che rappresenta la capacità dell’Ente di
sostenere nel tempo - “sostenibilità” – un determinato livello di servizi.
Il grado di raggiungimento dell'
economicità di una azienda pubblica è perciò correlato alle modalità di
impiego delle risorse rispetto al consumo o ai processi di produzione e al confronto rispetto alle
finalità che derivano anche dai compiti istituzionali affidati all'
Ente, nel rispetto dell'
equilibrio
economico e monetario.
Il concetto di economicità delle aziende commerciali si avvicina invece al concetto di efficienza
dell’azienda di erogazione in quanto misura la quantità di risorse impiegate per ottenere un output.
Modalità di attuazione del controllo di gestione.
Dalle norme traspare una definizione molto ampia del controllo di gestione rispetto alle analoghe
definizioni riscontrabili nel settore aziendale; le divergenze si possono sostanzialmente ricondurre a
due motivazioni:
- il controllo di gestione degli enti locali coinvolge tutte le attività dell'
ente sotto gli aspetti
amministrativi, finanziari ed economici e tutte le fasi della programmazione, della gestione e della
rendicontazione;
- il controllo di gestione degli enti locali non si limita ad una analisi interna, ma acquista anche valenza
esterna prettamente informativa, permettendo di applicare tecniche di benchmarking tra
amministrazioni diverse.
E’ evidente che la volontà del legislatore è stata duplice:
- quella di garantire una verifica dei risultati “a tutto campo”, in ogni servizio dell’Ente, nessuno
escluso;
- quello di innescare, attraverso l’opera di confronto tra i livelli di prestazione di più enti
(benchmarking), un processo di sana competizione tra enti appartenenti allo stesso comparto.
La realizzazione del controllo di gestione avviene almeno attraverso le seguenti fasi:
- predisposizione di un piano dettagliato degli obiettivi che significa “programmazione” puntuale
della azione amministrativa e gestionale dell’Ente. La definizione minimale degli obiettivi è
contenuta nel documento del PEG;
- rilevazione dei dati relativi a costi, proventi, nonché stato di avanzamento degli obiettivi
programmati;
- valutazione dei dati raccolti in relazione al piano degli obiettivi.
L’analisi degli scostamenti tra risultati raggiunti ed obiettivi programmati deve:
1. consentire agli amministratori e dirigenti correzioni alle azioni intraprese ed a quale in corso di
programmazione;
2. essere di supporto ai processi di valutazione nell’ente.
Il ciclo iniziato con la predisposizione del piano degli obiettivi dunque, si chiude con l’individuazione
delle azioni correttive e si riapre con la nuova programmazione.
Il controllo di gestione, va infine specificato, non è il sistema che garantisce la soluzione dei problemi,
ma il sistema che consente di evidenziare i problemi e gli scostamenti oggetto, a loro volta, di correttivi
in altra sede.
E’ evidente che l’attuazione del controllo di gestione necessita di azioni, strumenti e condizioni
adeguate. La volontà di volerlo attuare e la consapevolezza della sua utilità per il “bene comune” sono
prime condizione necessarie perché anche il controllo di gestione non diventi un semplice
adempimento alla legge.
In subordine vanno attivati:
- un serio processo di programmazione;
- un adeguato sistema di regole in grado di definire compiti e responsabilità degli attori coinvolti,
coerenza nella pesatura degli obiettivi;
- un sistema di rilevazione contabile il più possibile integrato con il sistema di rilevazione
finanziario.
Il sistema di rilevazione deve fornire i dati relativi a tutti i servizi, sotto forma di indicatori di efficacia
e di efficienza che possono essere così sintetizzati:
- attese dei cittadini-utenti;
- obiettivi da raggiungere;
- dati quantitativi dei prodotti venduti o dei servizi erogati;
- costi;
- proventi o ricavi.
Il “risultato” dell’attività del controllo di gestione è denominato dal legislatore “referto”. Il referto è
indirizzato agli amministratori i quali hanno la possibilità di verifica dello stato di attuazione degli
obiettivi, oltre che ai responsabili dei servizi (il Dlgs 77/95 prevedeva “ai dirigenti”) affinché valutino
l’andamento della gestione.
La necessità di trasmettere il referto anche ai responsabili dei servizi costituisce un vero e proprio
strumento di responsabilizzazione di tali soggetti e di guida nella attività di gestione e direzione. I
responsabili hanno difatti la possibilità di verificare gli scostamenti rispetto agli obiettivi iniziali ed
attuare azioni correttive per la programmazione successiva.
In caso contrario il controllo di gestione si tradurrebbe semplicemente in strumento di controllo e
verifica senza incidere sul reale andamento dei servizi dell’ente.
Le novità introdotte dal DL 12 luglio 2004 n.168 convertito in Legge 30 luglio 2004 n.191.
Il provvedimento in esame, denominato sin da subito “decreto tagliaspese”, ha imposto agli enti locali
nel luglio 2004, in piena gestione del relativo bilancio, un radicale contenimento della spesa corrente
per servizi, compresa, tra le altre, spesa per consulenze, rappresentanza, convegni, missioni all’estero.
Il servizio di controllo di gestione dell’ente è stato direttamente coinvolto, unitamente al collegio dei
revisori, nel monitoraggio della spesa in esame.
Ma vi è di più. Il provvedimento, ha introdotto al TUEL 267/2000, proprio in materia di controllo di
gestione, l’art. 198 bis il quale ha disposto che “la struttura operativa alla quale è assegnata la funzione
del controllo di gestione fornisce le conclusioni del predetto controllo (ndr, di gestione), oltre che agli
amministratori ed ai responsabili dei servizi …, anche alla Corte dei Conti”.
La novità non è di poco rilievo in quanto, se è vero che sembra si tratti di previsione di un semplice
invio del documento a nuovo soggetto, va osservato che in realtà il referto del controllo di gestione
veniva prodotto da un numero esiguo di enti. Non solo. Indagini pubblicate nel tempo sulle riviste
specializzate hanno spesso rilevato come molti enti non avessero mai istituita una struttura a ciò
deputata.
La previsione normativa ha dunque di fatto comportato la istituzione di un ufficio con funzione di
controllo di gestione vista la necessità di inoltrare il referto presso la Corte dei Conti.
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