E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel

E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
E-GOVERNMENT:
LA RESPONSABILITÀ DELLA P.A. E DEI PROPRI AGENTI NEL
RAPPORTO CON GLI AMMINISTRATI
DI
FRANCESCA BAILO
Premessa.
I primi approcci della Pubblica Amministrazione verso i sistemi
informatici hanno avuto inizio già alla fine degli anni ‘70, quando ha preso campo
l’idea che, attraverso detti strumenti, si potesse interagire con i cittadini in modo
più efficiente, trasparente ed economico (cfr. già G. DUNI, L’utilizzabilità delle
tecniche
elettroniche
nell’emanazione
degli
atti
e
dei
procedimenti
amministrativi. Spunto per una teoria dell’atto amministrativo emanato nella
forma elettronica, in Riv. amm. Rep. it., 1978, 407 ss., ma anche M.S. GIANNINI,
Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, 1979, in
http://www.tecnichenormative.it/RapportoGiannini.pdf, il quale già richiamava
l’attenzione del Parlamento al fatto che “l’innovazione amministrativa poggia su
quella tecnologica”), ma è solo con il d.lgs. n. 39 del 12 febbraio 1993 che si ha
una prima specifica disciplina in materia di sistemi informativi automatizzati delle
Amministrazioni Pubbliche. È in tale occasione che, al fine di monitorare,
pianificare, coordinare e verificare i risultati di volta in volta ottenuti al riguardo,
viene istituita l’Autorità informatica per la Pubblica Amministrazione (AIPA), poi
sostituita nel 2003 dal Centro Nazionale per l’informatica nella Pubblica
Amministrazione (CNIPA), stabilito presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
Da questo momento i testi normativi appositamente dedicati a una
disciplina sulla digitalizzazione della P.A., ed in particolare sul nuovo concetto di
e-government, si susseguono, accanto a direttive e circolari del Governo, pareri
del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti.
Tra i testi normativi, di particolare rilievo risultano la L. Bassanini n. 59
del 15 marzo 1997, il successivo d.P.R. di attuazione 10 novembre 1997, n. 53,
recante “Criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di
documenti con strumenti informatici e telematici, a norma dell’art. 15, comma 2,
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della l. 15 marzo 1997, n. 59”, poi abrogato e recepito nel d.P.R. 28 dicembre
2000, n. 445, recante “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di documentazione amministrativa”.
Tra le tante direttive, si possono ricordare poi quella del Presidente del
Consiglio dei ministri del 28 ottobre 1999, recante “Gestione informatica dei
flussi documentali nelle amministrazioni pubbliche” e, soprattutto, quella del
Ministro per l’Innovazione e le tecnologie, Lucio Stanca, datata 21 dicembre
2001, recante “Linee guida in materia di digitalizzazione della Pubblica
Amministrazione”.
La direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 settembre 1995 ha
poi consentito l’avvio per la realizzazione della Rete unitaria della Pubblica
amministrazione (RUPA), istituita con l’art. 15, comma 1, della l. n. 59/1997.
Detto ambizioso progetto di interconnessione tra le amministrazioni pubbliche
italiane, la cui gestione è stata affidata ad un apposito organismo pubblico istituito
dall’art. 17, comma 19, della l. n. 127 del 15 maggio 1997, denominato Centro
tecnico per la RUPA (più tardi riassorbito come l’AIPA dal CNIPA), ha senza
dubbio apportato innumerevoli benefici nella prima fase di digitalizzazione della
P.A. ma, tuttavia, ha manifestato un punto di criticità sostanziale.
Detta infrastruttura, focalizzandosi principalmente sulle amministrazioni
centrali dello Stato e degli enti pubblici e, in definitiva manifestandosi come un
modello centralista, è risultata non più compatibile con il federalismo
amministrativo affermatosi, da ultimo, con la revisione del Titolo V della
Costituzione.
Dall’esigenza di consentire una maggiore cooperazione tra Stato, regioni
ed enti locali è sorto quindi il progetto sul Sistema Pubblico di Connettività
(SPC), istituito e disciplinato con il D.lgs. 28 febbraio 2005, n. 42.
L’SPC si presenta come un’infrastruttura condivisa che assicura alle
ammirazioni, a tutti i livelli di governo, lo scambio di dati e informazioni, nonché
i conseguenti servizi di trasporto di dati, di interoperabilità di base ed evolutiva a
livelli di qualità e sicurezza definiti e garantiti. In virtù di queste caratteristiche si
pone l’obiettivo primario di semplificare notevolmente i rapporti tra le singole
amministrazioni e tra queste e l’utente (per maggiori approfondimenti sul tema
cfr. C. D’ORTA, Finalità, organizzazione e architettura del Sistema Pubblico di
Connettività (SPC), in Diritto dell’Internet, 2005, 4, 395 ss.; ID., Il SPC: un
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approccio nuovo alle esigenze della rete delle pubbliche amministrazioni, in
Giornale di dir. amm., 2005, 7, 693 ss. e A. NATALINI, Il SPC eredita i problemi
della RUPA, ivi, 702 ss).
Parallelamente a detta innovazione sul piano tecnico –strutturale, è stata
realizzata una disciplina sostanziale di azione per l’e-government, contenuta nel
D.lgs. n. 82 del 7 marzo 2005, meglio conosciuto come il “Codice
dell’amministrazione digitale” che, con le correzioni e integrazioni apportate dal
D.lgs . 4 aprile 2006, n. 159, ha da ultimo abrogato lo stesso D.lgs. 42/2005, la
disciplina del quale è stata interamente assorbita nel Capo VIII del Codice.
Il D.lgs 82/2005, tra le altre, abroga e sostituisce in gran parte la
precedente disciplina organica in materia, il T.U. 445/2000 e, assurgendo a fonte
primaria dell’ordinamento, acquisisce una forza vincolante tale da consentire,
almeno in linea di principio, una concreta svolta nella digitalizzazione della P.A.
Alla luce di quanto detto, sembra inevitabile chiedersi se il principio di
responsabilità della Pubblica amministrazione e dei propri agenti, sancito dall’art.
28 Cost. e giurisdizionalmente garantito dall’art. 113 Cost., come consolidatosi
anche grazie all’apporto giurisprudenziale e dottrinale, sia in qualche modo
mutuabile,
con
gli
opportuni
aggiustamenti,
per
la
“nuova
fase”
dell’amministrazione digitale.
A tal fine sembra opportuno dedicare una prima parte del contributo ad
analizzare la disciplina prevista per la responsabilità della P.A. e dei propri
dipendenti e funzionari in generale per poi, nella seconda parte, sottolineare gli
eventuali adattamenti e le innovazioni conseguenti al nuovo impianto tecnico e
normativo, avvertendo sin d’ora che, malgrado i numerosi obblighi imposti,
nessuna disposizione del nuovo CAD si pronuncia espressamente sulla natura e
sull’azionabilità di qualsivoglia responsabilità in materia.
I. Nozioni sulla responsabilità della P.A. in generale.
1. L’evoluzione storica del principio di responsabilità dello Stato e la
disciplina di cui all’art. 28 Cost.
Antecedentemente alla formazione dello Stato di diritto, l’orientamento
dottrinale prevalente ritenne che lo Stato potesse considerarsi responsabile solo in
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veste di privato, per il resto rimanendo immune da qualsiasi imputazione, civile,
amministrativa o penale. Esso, persona giuridica pubblica per eccellenza, e
soprattutto fautore della legalità, non avrebbe potuto, per definizione, commettere
illeciti (sul punto cfr, per tutti, MANTELLINI, Lo Stato e il codice civile, 1980, I,
59, 79 ss.).
Con l’affermarsi dello Stato di diritto, e quindi anche dei principi di
sovranità e legalità, al contrario, si sottoposero a tutela giurisdizionale gli atti
amministrativi, anche se frutto dell’emanazione di provvedimenti del potere
esecutivo o dell’autorità amministrativa inerenti contravvenzioni e diritti, civili o
politici (cfr. artt. 2 e 4 della l. 20 marzo 1965, n. 2248, all. E).
Ulteriormente sviluppando, la dottrina andò quindi formando il
convincimento che l’ordinamento statale, oltre ad essere direttamente responsabile
per gli atti compiuti iure privatorum, potesse subire una forma di imputazione,
pure indiretta, per gli atti di imperio (così il MEUCCI, secondo quanto riportato da
F. DEL GIUDICE - L. DELPINO, Il diritto amministrativo: fonti, soggetti,
organizzazione, attività, procedimento, responsabilità, giustizia: corso completo,
Napoli, 2007, 1143).
Nel periodo immediatamente successivo, anche grazie al contributo della
giurisprudenza della Suprema Corte, prevalse, infine, la teoria secondo cui la
Pubblica amministrazione dovesse considerarsi oggettivamente e direttamente
responsabile per tutti gli atti illeciti compiuti dai propri dipendenti, in virtù del
principio dell’immedesimazione organica, indipendentemente dalla distinzione tra
atti di gestione e d’imperio. La responsabilità personale ed esclusiva del
dipendente,
assorbita
da
quella
della
Pubblica
amministrazione,
che
eventualmente poteva rivalersi nei confronti di questo solo nei rapporti interni,
residuava nel caso in cui egli avesse agito con dolo, e cioè qualora avesse
perseguito un interesse esclusivamente personale ed in contrasto con l’ente di
appartenenza
(per
la
ricostruzione
di
detti
orientamenti
dottrinli
e
giurisprudenziali cfr., amplius, F. DEL GIUDICE - L. DELPINO, Il diritto
amministrativo, cit., 1145- 1146).
Con l’entrata in vigore della Carta costituzionale, oltre alla previsione di
cui all’art. 113 Cost., che sancisce la tutela giurisdizionale per tutti gli atti della
P.A. lesivi di un diritto soggettivo o interesse legittimo degli amministrati, l’art.
28 Cost., per la prima volta, stabilisce che i dipendenti e i funzionari dello Stato e
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degli enti pubblici, sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e
amministrative per gli atti compiuti in violazione dei diritti e che, in tali casi, allo
Stato e agli enti pubblici viene estesa la responsabilità civile, non chiarendo però
se quest’ultima sia imputabile in modo diretto o indiretto.
Da tale incertezza espressiva ne è scaturito un ampio dibattito tra
autorevole dottrina che ha prodotto, tuttavia, interpretazioni diverse e, in parte, tra
loro contrastanti.
Alcuni (E. CASETTA, L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953, 270)
propendevano per la natura indiretta della responsabilità civile della P.A, avendo
il Costituente esplicitato la natura diretta della responsabilità dei dipendenti e dei
pubblici funzionari ed essendo incompatibile la compresenza di due responsabilità
dirette per un medesimo fatto. Ad avvalorare tali argomentazioni vi era anche il
fatto che agli enti, per loro natura non aventi capacità d’agire, difficilmente poteva
ricondursi la disciplina di cui all’art. 2043 c.c., privilegiandosi piuttosto quella di
cui all’art. 2049 c.c., concernente la culpa in vigilando o in eligendo.
Altri (R. ALESSI, Responsabilità del pubblico funzionario e responsabilità
dello Stato in base all’articolo 28 della Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl.,
1951, 884 ss.) sostenevano poi che la P.A. incorresse in una responsabilità
indiretta solo per il caso in cui i danni cagionati dal funzionario, benchè posti in
essere in occasione della funzione o del servizio, non potessero neppure
formalmente essere collegati ad essa. La dottrina prevalente (A. SANDULLI,
Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1982, 1021-1022; P. VIRGA, Diritto
amministrativo. I principi, I, Milano, 1999, 285-286), avvaloratasi anche a seguito
di un omogeneo orientamento giurisprudenziale di legittimità (cfr. decc. Cass.
Civ., sez. III, sent. n. 12960 del 3.12.1991; sez. I, n. 9935 del 07.10.1993; sez. II,
10896 del 06.12.1996 e, più recentemente, Cass. Civ., sez. III, 12.08.2000, n.
10803; sez. Lavoro, 18.08.2000, n. 10950; sez. III, 07.11.2000, n. 14484), ha,
infine, sostenuto che l’art. 28 Cost. non ha sostanzialmente modificato il sistema
precedentemente consolidatosi in materia, restando quella della P.A. una
responsabilità diretta, in virtù del principio di immedesimazione organica, a
quest’ultima essendosi aggiunta quella propria dei dipendenti e funzionari. La
responsabilità della P.A. rimane comunque esclusa nel caso in cui l’illecito sia
stato compiuto da soggetti che non possono essere considerati agenti o che, pur
essendolo, lo abbiano commesso al di fuori della propria funzione e, quindi,
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E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
qualora abbiano agito a titolo meramente personale, o dolosamente in violazione
di norme proibite o, da ultimo, senza averne la competenza (così ancora A.
SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 1021).
2. Gli obblighi della P.A. nella realizzazione dei suoi compiti.
Fornite le necessarie premesse in merito all’evoluzione storica del concetto
di responsabilità della P.A., anche alla luce dell’attuale assetto costituzionale, così
risultane da un più o meno consolidato orientamento giurisprudenziale e
dottrinale, occorre individuare quali sono gli obblighi a questa incombenti nei
confronti dei propri amministrati e quali i casi in cui essa, o i suoi agenti, possono
incorrere in una qualche responsabilità.
Gli obblighi della P.A. possono essere così classificati (cfr. sul punto F.
DEL GIUDICE - L. DELPINO, Il diritto amministrativo, cit., 1141 - 1142):
a)
Obblighi di tollerare che terzi traggano soddisfacimento dall’uso
dei beni pubblici;
b)
Obblighi di non fare, e cioè di astenersi dal compiere atti o attività
vietate dalla legge o da un contratto stipulato con i terzi. Tra detti obblighi, il
principale è certamente il principio del neminem laedere, la violazione del quale
comporta una responsabilità extracontrattuale;
c)
Obblighi di fare, e cioè di attivarsi in favore di terzi, mediante la
messa a disposizione di un bene pubblico, o mediante la realizzazione di un atto,
una decisione, un servizio;
d)
Obblighi di dare, e quindi per esempio di consegnare a terzi, a
diverso titolo, un bene pubblico, oppure pagare una somma di denaro;
e)
Obblighi di protezione senza prestazione, che impone alla P.A. di
comportarsi correttamente e secondo buona fede, rispettare le regole e i principi
del procedimento senza incorrere in una qualche prestazione. La violazione di tale
obbligo, elaborato per lo più da parte della giurisprudenza di legittimità e
amministrativa, comporterebbe, come vedremo in seguito, una responsabilità “da
contatto sociale qualificato”.
Detti obblighi, considerati primari, vengono distinti dagli obblighi
secondari, che sorgono a causa della violazione dei primi e che costituiscono, di
fatto, il contenuto della responsabilità civile della P.A.
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E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
I dipendenti o funzionari, nei soli casi tassativamente previsti dalla legge,
possono incorrere, a loro volta, nelle seguenti responsabilità:
a)
Responsabilità civile, discendente sia dall’essere venuti meno a
obblighi precontrattuali o contrattuali stipulati con i terzi, sia dall’aver cagionato
un danno ingiusto a terzi, in violazione del dovere generale del neminem laedere,
in tal caso incorrendo in responsabilità extracontrattuale. Occorre precisare
tuttavia che l’art. 23 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3 limita la responsabilità
extracontrattuale dei dipendenti e funzionari dello Stato alla sussistenza
dell’elemento psicologico del dolo o della colpa grave;
b)
Responsabilità penale, derivante dalla violazione di norme
incriminatici, disciplinate ai sensi del Titolo II, Capo I, art. 314 ss., cp.;
c)
Responsabilità amministrativa, che comprende sia la responsabilità
contabile sia la responsabilità disciplinare.
La prima sorge laddove l’agente abbia determinato, colposamente o
dolosamente, un danno erariale allo Stato venendo meno ai propri obblighi di
servizio e viene valutata in base al criterio della normale diligenza del buon
impiegato (l’art. 93 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 estende detta responsabilità
anche agli amministratori ed al personale degli enti locali).
La responsabilità disciplinare, prevista dalla legge, dai regolamenti e dai
contratti collettivi di pubblico impiego, trova invece fondamento nella violazione
dei doveri e degli obblighi gravanti sui soggetti privati inseriti, a vario titolo,
nell’organizzazione amministrativa (così F. BOEZIO, F. GABELLO, B. NOVER,
Responsabilità della P.A. e Internet, in G. Vaciago (cur.), Internet e
responsabilità giuridiche, Piacenza, 2002, 154-155);
Esaminati i principali obblighi della P.A. e gli elementi caratterizzanti le
responsabilità dei singoli dipendenti e funzionari, ci soffermeremo ora ad
individuare i presupposti e le forme in virtù dei quali può realizzarsi la
responsabilità della P.A. che, riscontrando maggiori profili di problematicità,
necessità di una trattazione separata e approfondita.
3. La responsabilità civile extracontrattuale della P.A.
L’attività amministrativa della P.A., per la maggior parte, si risolve nella
possibilità di incidere unilateralmente nella sfera giuridica dei privati e, per tali
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profili, può venire meno al principio del naeminem laedere, incorrendo nella
responsabilità aquilina.
In via generale, per accertare la sussistenza di una tale responsabilità,
occorre che siano compresenti tutti i presupposti generalmente richiesti in ambito
civilistico, e quindi che vi sia una condotta, attiva o omissiva, della pubblica
amministrazione intrinsecamente antigiuridica, perché lesiva della sfera giuridica
dei terzi, e legata da un rapporto di causalità necessario alla realizzazione di un
evento dannoso.
Detta condotta può consistere, per fare solo qualche esempio,
nell’esercizio di un comportamento materiale o nell’adozione di un atto
illegittimo, ma anche nel mancato perfezionamento di un comportamento
doveroso o nell’omissione di un atto dovuto, purché vi sia un nesso di necessaria
occasionalità, e cioè che essa sia posta in essere nell’esercizio della funzione
amministrativa della P.A., e quindi riferibile all’ente e perseguita per i fini
istituzionali di questo (cfr. Cass. Civ. decc. 3.12.1991, n. 12960; 7.1.10.1993, n.
9935; 6.12.1996, n. 10896, cit., e sez. III, dec. 22.05.2000, n. 6617).
La possibilità di applicare in via analogica la disciplina di cui all’art. 2043
c.c., per il resto, ha più volte creato problemi di adattamento, soprattutto per
quanto attiene la riferibilità alla P.A. dell’elemento soggettivo del dolo o della
colpa e per quanto riguarda la risarcibilità del danno, se conseguente alla lesione
di un interesse legittimo del privato.
Tradizionalmente, anche in virtù di un consolidato orientamento
giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cass. Civ, S.U., 23.12.1997, n. 13021), si
riteneva che alla Pubblica amministrazione, in quanto persona giuridica, non
potessero essere applicabili le motivazioni psicologiche che avevano indotto i
funzionari ad agire illecitamente, salvo il caso in cui questi avessero operato per
perseguire fini propri e contrari a quelli dell’ente, in tal caso venendo meno la
stessa imputabilità della P.A. Pertanto doveva ricavarsi una responsabilità in re
ipsa per il solo fatto di aver adottato un provvedimento illegittimo, con la
conseguenza di affievolire notevolmente l’onere probatorio dell’amministrato.
Se poi pacificamente si affermava la risarcibilità dei diritti soggettivi
perfetti, la possibilità di risarcire la lesione di interessi legittimi destava molti
dubbi e perplessità.
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E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
Con l’annullamento retroattivo di un provvedimento illegittimo della P.A.
che aveva inciso sulla posizione di diritto soggettivo originario dell’amministrato,
degradandola al rango di interesse legittimo, si considerava riespansa la situazione
soggettiva precedente che, in quanto tale, poteva essere suscettibile di
risarcimento. Così anche nel caso di atti ampliativi della P.A. che, anche se
illegittimamente, avevano attribuito, ex post, la titolarità di un diritto soggettivo
(cfr., per prima, Cass. Civ, S.U., 5.10.1979, n. 5145)
Più discussa era la questione della risarcibilità del danno subito a seguito
di lesione di diritti in attesa di espansione, afferenti per lo più all’annullamento di
concorsi pubblici, aggiudicazione di appalti e concessioni edilizie. In queste
ipotesi l’aspetto più controverso era dato dal fatto che il privato, accanto ad un
mero interesse legittimo, vantava anche un diritto soggettivo che necessitava della
rimozione per poter esplicare la sua operatività (così F. DEL GIUDICE - L.
DELPINO, Il diritto amministrativo, cit., 1158-1159).
Con la decisone n. 500 del 22 luglio 1999, forse anche sulla spinta di
alcune discipline normative (cfr. l’art. 35, comma 1, D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80;
l’art. 17 comma 1, lett. f) della l. n. 59 del 1997, ma anche l’ormai abrogato e pure
settoriale art. 13 della l. 19 febbraio 1992, n. 142, di attuazione della direttiva
CEE 665/1989 del 21 settembre 1989) la Cassazione a Sezioni unite ha demolito
il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi, a condizione che questi siano
correlati ad un interesse al bene della vita che risulti, al contempo, meritevole di
tutela alla luce dell’ordinamento positivo. A fronte di una tale estensione
risarcitoria, probabilmente come contrappeso, essa ha affermato però che non è
sufficiente riscontrare una responsabilità in re ipsa della P.A. conseguente alla
semplice
illegittimità
del
provvedimento
da
questa
adottato,
dovendo
necessariamente sussistere l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, così come
richiesto dall’art. 2043 c.c.
Quanto al dolo, per necessità riferibile esclusivamente all’agente, la P.A.
ne risponde in virtù del principio di immedesimazione organica, i limiti del cui
operare desta però qualche dubbio.
Un
primo
indirizzo
interpretativo
ritiene
che
siano
imputabili
all’amministrazione solo gli atti compiuti dai propri agenti e funzionari
nell’esercizio dei poteri istituzionali di questa, in tal modo escludendosi tutte
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quelle ipotesi in cui essi hanno agito con il deliberato proposito di cagionare
danno ai terzi ovvero per porre in essere una fattispecie di reato.
Un secondo indirizzo, forse più vicino alla lettera dell’art. 28 Cost.,
sostiene chela condotta dell’agente è riferibile all’ente pubblico di appartenenza
tutte le volte in cui si è verificata una situazione di occasionalità necessaria con le
attribuzioni sue proprie. Solo in mancanza di tale vincolo, e quindi se l’attività è
mossa da “un fine strettamente personale ed egoistico del tutto estraneo alle
funzioni affidategli, l’unico responsabile rimane il dipendente” (per la
ricostruzione di tali indirizzi interpretativi cfr. F. CARINGELLA, Corso di diritto
amministrativo, Milano, 2005, 515-516).
L’elemento soggettivo della colpa, a sua volta, è rintracciabile in tutte le
ipotesi in cui l’azione amministrativa dell’apparato nel suo complesso, e non più
del singolo agente come precedentemente si era inteso, è stata posta in essere in
violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e buona amministrazione. A tal
fine si deve tenere conto non solo dei canoni di comune diligenza, prudenza o
perizia, ma anche di tutte quelle norme, sostanziali o procedimentali, contenute in
leggi e regolamenti comunitari, nazionali, regionali o in qualsiasi altra fonte di
autonomia, oltrechè del grado di gravità della violazione commessa, dell’apporto
eventualmente dato dai privati nel procedimento e di un consolidato orientamento
giurisprudenziale che non lasci spazio ad un errore scusabile (cfr. Cass. Civ., S.U,
21.12.2001, n. 1195; Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169; Cons. Stato,
sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239; Cons. Stato, sez. VI, sent. 15.2.2005, n. 478).
3.1 La responsabilità “da contatto sociale qualificato” della P.A.
Come già detto, in virtù dei principi sanciti dalla decisione della
Cassazione a Sezioni Unite n. 500 del 1999, poi consolidatisi in decisioni
successive (Cass. Civ., sez. lavoro, decc. 14.11.2000; n. 14432; 21.09.2001, n.
11955) la risarcibilità degli interessi legittimi ex art. 2043 c.c. è condizionata alla
correlazione di questi ad un bene della vita che sia anche meritevole di tutela
secondo l’ordinamento positivo.
A tal proposito, occorre osservare che, se gli interessi legittimi oppositivi
sembrano pacificamente suscettibili di una garanzia risarcitoria, il privato avendo
subito un’illegittima compressione di una facoltà di cui è titolare, la tutela degli
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E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
interessi pretensivi, configurabili in caso di illegittimo diniego del richiesto
provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, risulta, al contrario,
inevitabilmente legata ad un giudizio prognostico circa la titolarità in capo
all’amministrato non di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di un
effettivo e legittimo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento.
Giudizio prognostico che, anche in virtù degli artt. 2, comma 5, e 21-octies,
comma 2, della novellata l. 241/1990, sembra consentire un sindacato
giurisdizionale di merito non solo sui provvedimenti vincolati, ma anche su quelli
discrezionali della P.A. (cfr., per una conferma di questo orientamento, la
decisione del Consiglio di Giustizia amministrativa del 4 novembre 2005, n. 726,
richiamata anche da F. DEL GIUDICE - L. DELPINO, Il diritto amministrativo, cit.,
1181-1182).
Parte della giurisprudenza (cfr., al proposito, Cons. Stato, decc. 14 giugno
2001, n. 3169 e 6 agosto 2001, n. 4239, cit., ma anche Cass. Civ., sez. I, 10
gennaio 2003, n. 157), soprattutto al fine di ampliare la tutela risarcitoria anche a
detti interessi legittimi pretensivi, ha argomentato circa la possibilità di permettere
la risarcibilità delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dalla lesione degli
interessi legittimi tout court , a tal fine tenendo conto del rapporto obbligatorio
venutosi, di fatto, ad instaurare tra la P.A e l’amministrato, e non della presenza
dei presupposti in virtù dei quali viene in essere la responsabilità aquiliana.
L’utente,
entrando
a
far
parte
attivamente
del
procedimento
amministrativo, risulta avvicinabile ad un normale contraente e, pur difettando
l’elemento costitutivo della prestazione, instaura con l’amministrazione
un’interazione facilmente ricomprendibile nella clausola aperta di cui all’art. 1173
c.c. Il conseguente inadempimento della P.A., accertabile già per il solo fatto che
il provvedimento sia illegittimo, configura una “responsabilità da contatto sociale
qualificato” che, in quanto tale comporta una serie di implicazioni, sostanziali e
processuali.
In primo luogo, l’onere probatorio è invertito, la P.A. potendo unicamente
dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile, il termine di prescrizione si
estende dai cinque ai dieci anni e il calcolo degli interessi legali e della
rivalutazione monetaria subisce particolari mutamenti. In secondo luogo,
l’affidamento obiettivo ingenerato nel privato, di per se stesso, configura un titolo
autonomo dell’obbligazione risarcitoria, limitato al danno che poteva prevedersi al
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E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
momento dell’insorgere dell’obbligazione ma, proprio perchè prescindente dalla
spettanza del bene della vita, in grado di ampliare il novero delle situazioni
tutelate.
Tale teoria, pure apprezzabile, sembra però non del tutto convincente,
soprattutto per tutte quelle ipotesi in cui i privati vantino effettivamente la lesione
di un interesse legittimo correlato ad un bene della vita che, venendo parificato al
mero affidamento, troverebbe una tutela risarcitoria inferiore rispetto a quella
anelata, in tal modo banalizzando la stessa responsabilità della Pubblica
Amministrazione (cfr., a tal proposito, la decisione del Consiglio di Stato, sez. VI,
15 aprile 2003, n. 1945 nella quale, pur dandosi atto del fatto che la tesi della
responsabilità da contatto sociale qualificato è stata accolta da parte della
giurisprudenza amministrativa e di legittimità, se ne diminuisce notevolmente la
portata persuasiva).
3.2. La responsabilità contrattuale e precontrattuale della P.A.
Accanto alla responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. e a quella da
“contatto sociale qualificato”, che presentano forse maggiori problemi di
adattamento
e
applicabilità
all’azione
amministrativa,
la
Pubblica
amministrazione può incorrere anche nella responsabilità contrattuale o
precontrattuale, in tal caso dovendosi normalmente applicare, rispettivamente, la
disciplina di cui agli artt. 1218 c.c. e 1337-1338 c.c.
La responsabilità contrattuale può insorgere tutte le volte in cui la P.A.
compie atti iure privatorum, ma anche, per esempio, nell’ipotesi d’inadempimento
di accordi procedimentali o sostitutivi previsti ex art. 11, comma 2, l. 7 agosto
1990, n. 241, e in ogni caso d’inadempimento di un preesistente rapporto
obbligatorio, da qualsiasi fonte derivante (non solo contrattuale ma anche
legislativa o amministrativa).
La responsabilità precontrattuale, invece, può realizzarsi, oltrechè nei casi
di trattative private con gli amministrati e nei comportamenti chiaramente
indirizzati alla stipula di un contratto, nella fase immediatamente successiva
all’aggiudicazione. Recentemente, sembra inoltre avere credito la possibilità di
rintracciare un tal tipo di responsabilità anche nella fase dell’evidenza pubblica, e
quindi nell’ambito di un’attività prettamente pubblicistica in cui può ledersi un
12
E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
interesse legittimo pretensivo. In detta ipotesi, rilevando il buon affidamento e il
dovere
di
correttezza
della
P.A.,
l’azione
risarcitoria
può
riguardare
esclusivamente, l’interesse negativo, parametrato alle spese sopportate e,
eventualmente, ai mancati guadagni per le occasioni negoziali perdute
dall’amministrato. Sull’argomento pesano le stesse perplessità già riscontrate in
tema di configurabilità di una responsabilità da contatto sociale (così F.
CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, 414 - 415) ma, a
favore del riconoscimento di una responsabilità ex art. 1337 si è pronunciata
l’Adunanza Plenaria del Consiglio, con decisione n. 6 del 2005, che ne ha esteso
l’applicabilità anche in caso di atto legittimo di autotutela della P.A. (è da
sottolineare che la posizione assunta dall’Adunanza Generale è stata poi
confermata dal Consiglio di Stato, sez. V, dec. n. 7194/2006. Recentemente cfr.
anche Tar Sicilia, sez. II, 23 aprile 2007, n. 1175).
II. Il Codice dell’amministrazione digitale e i riflessi sulla
responsabilità della P.A. nei confronti degli amministrati.
1. I diritti degli amministrati nei confronti della P.A
In virtù del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 8 del Codice
dell’Amministrazione Digitale (d’ora in poi, per comodità, lo chiameremo
“CAD”) si prevede, in capo ai cittadini e alle imprese, sia un diritto all’uso delle
tecnologie nelle comunicazioni con la P.A., come già sancito dal novellato art.
3bis della l. n. 241 del 1990 e, ancor prima, dall’art. 1, comma 1, della l. 9
gennaio 2004, n. 4, sia un diritto all’alfabetizzazione informatica che consenta ad
essi di possedere un bagaglio minimo di conoscenze in grado di metterli in
condizione di fruire effettivamente del diritto. Le due disposizioni risultano
rafforzate ed amplificate da quanto stabilito all’art. 12 del CAD, che tratta
dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione come una
finalità tipica della PA nel proprio agere amministrativo (cfr. al proposito E. DE
GIOVANNI, Il “Codice dell’amministrazione digitale”: prime impressioni, in
Diritto dell’Internet, 2005, 3, 227).
Dette disposizioni, tuttavia, sembrano avere una portata solamente
programmatica, non in grado di per sé di porre dei veri e propri obblighi in capo
13
E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
alla P.A., almeno fino a quando non sia dato fornire una compiuta disciplina
attuativa nella quale siano dettagliate l’azionabilità e le modalità operative per
l’esercizio del diritto da parte dei soggetti legittimati (così M. PIETRANGELO,
Diritto all’uso delle tecnologie, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della
pubblica amministrazione digitale. Commento al D.lgs. n. 82 del 7 marzo 2005,
Milano, 2005, 29). Lo stesso può dirsi per quanto concerne il diritto a una
partecipazione democratica elettronica dei cittadini, anche residenti all’estero, di
cui all’art. 9 del CAD.
Ciò tanto più se si considera che l’art. 40 del CAD impone alla P.A
l’obbligo di formare gli originali dei propri documenti con mezzi informatici ma
nei limiti delle risorse tecnologiche idonee disponibili. Resta quindi un ampio
margine di autonomia circa il se e il quando dare una concreta svolta al sistema di
informatizzazione.
2. La trasmissione degli atti e documenti amministrativi tramite
documento informatico e la riconoscibilità delle amministrazioni e dei soggetti
responsabili.
Ogni comunicazione o informazione tra la P.A e gli utenti, ai sensi degli
artt. 45 ss CAD, può essere effettuata attraverso la trasmissione del documento
informatico, quale rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente
rilevanti.
Detta operazione, effettuata da chiunque nei confronti della pubblica
amministrazione, può avvenire con qualunque mezzo telematico o informatico, ivi
compreso il fax ma, ai fini della validità del procedimento amministrativo, dette
comunicazioni devono essere effettuate mediante sottoscrizione con firma digitale
o altra firma elettronica qualificata o, alternativamente, anche mediante altri
strumenti, purché questi siano idonei a consentire una verifica circa la
provenienza della trasmissione (art. 45 e 47 CAD).
Lo stesso principio, in virtù di quanto previsto dall’art. 22 CAD (ma cfr.
già l’art. 3, comma 2, del d.lg.s 39/1993 e l’art. 9 del T.U. 445/2000, di
sostanzialmente identico contenuto), vale per gli atti, i dati e i documenti
informatici formati dalla pubblica amministrazione, laddove si richiede che, in tali
casi, siano resi facilmente individuabili i dati relativi sia alle amministrazioni
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E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
interessate all’atto, intese quali amministrazioni – apparato, sia i soggetti a vario
titolo coinvolti nell’operazione di produzione, immissione, conservazione,
riproduzione, trasmissione ed emanazione dei documenti e atti amministrativi. In
assenza di una casistica al riguardo e non essendo specificate quali conseguenze
derivino dalla mancanza di tali dati, si possono prendere a riferimento gli
orientamenti giurisprudenziali e dottrinali formatisi in virtù della precedente
disciplina sul punto. La maggior parte della giurisprudenza (cfr., ex multis, Cass.,
sez. I, 3 marzo 1998, n. 2341; Cass., sez. I, 30 dicembre 1998, n. 12886) ha
ritenuto che l’utilizzo di sistemi automatici di svolgimento dell’azione
amministrativa costituisce una mera modalità operativa utile ad economizzare
l’attività posta in essere, la quale non influisce in alcun modo sul regime giuridico
e sulle regole di conduzione del procedimento di cui alla l. 241/1990, anche nella
parte relativa all’imputazione di responsabilità.
Parte minoritaria (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 1998, n. 1517) ha
invece osservato che, almeno in talune ipotesi, l’utilizzo di tecniche elettroniche
consente di derogare alla disciplina generalmente prevista.
Autorevole dottrina (A.G. OROFINO, R.G. OROFINO, L’automazione
amministrativa: imputazione e responsabilità, in Giornale di dir. amm., 2005, 12,
1310, i quali richiamano anche G. DUNI, Teleammininistrazione, in Enc. giur.
Treccani, vol. XXX, Istituto enciclopedia italiana, Roma, 1993, 6; F. SAITTA, Le
patologie dell’atto amministrativo elettronico, in Dir. Economia, 2003, 638; G.
MARONGIU, L’attività amministrativa automatizzata. Profili giuridici, Rimini,
2005, 161) ha da ultimo avanzato un ipotesi intermedia, secondo cui “le
responsabilità
connesse
all’adozione
di
provvedimenti
automatici
sono
normalmente da imputarsi, oltre a coloro che hanno predisposto le regole di
programmazione
del
software,
innanzitutto
a
coloro
che
provvedono
all’immissione nel computer dei dati” e che, conseguentemente, l’identificazione
di questi soggetti debba essere sicura, non rimessa all’esame di codici
meccanografici o altrimenti di non chiara identificazione. Corresponsabile, e
quindi anch’esso vincolato all’identificazione, dovrebbe essere inoltre il
responsabile dell’adozione dell’atto finale. Mentre il titolare addetto all’istruttoria
sarebbe responsabile in ordine alla correttezza delle informazioni immesse, il
responsabile dell’atto finale sarebbe responsabile, unitamente al soggetto
eventualmente incaricato di vigilare sul funzionamento degli elaborati elettronici,
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E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
in ordine al pieno rispetto degli obblighi normativi sull’utilizzo dell’automazione
amministrativa (cfr. Corte dei Conti, sez. giur. Emilia Romagna, 5 maggio 1998,
n. 227 e Id., sez. giur. Puglia, 29 agosto 1994, n. 81).
3. Valore
probatorio
del
documento informatico
sottoscritto:
la
responsabilità del titolare del certificato, dei certificatori e l’obbligo di controllo
e vigilanza del CNIPA.
Un profilo particolarmente interessante riveste la diversa attitudine
probatoria di un atto, documento o dato sottoscritto nelle modalità sopra dette. Se
la sottoscrizione avviene con una firma elettronica debole, certificata da
certificatori ex art. 26 CAD, questa è liberamente apprezzabile nel giudizio
mentre, se si utilizza la firma elettronica qualificata o digitale, queste fanno piena
prova ex art. 2702 c.c., salvo che il titolare della firma dia prova contraria (art. 21
CAD).
D’altra parte quest’ultimo, in virtù di quanto stabilito dall’art. 32, comma
1, CAD, “è tenuto ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad
evitare danno ad altri ed a custodire e a utilizzare il dispositivo di firma con la
diligenza del buon padre di famiglia”. Il primo obbligo, già previsto ex art. 29 bis
T.U. 445/2000, è stato da alcuni ricondotto alla responsabilità di cui all’art. 2050
c.c. (così M. MICCOLI, Documento e commercio telematico. Guida al regolamento
italiano (D.P.R. 513/97), Milano, 1998, 78 e G. FINOCCHIARO, Firma digitale e
firme elettroniche. Profili privatistici, Milano 2003, 96) ma la dottrina prevalente
ha ritenuto più opportuno inquadrarlo nella disciplina di cui all’art. 2043 c.c., con
l’avvertimento che il criterio di imputazione della colpevolezza deve essere
effettuato con maggiore rigore rispetto all’ordinario criterio della normale
diligenza (così F. RICCI, Scritture private e firme elettroniche, Milano, 2003, 273
e M. NICOTRA, Obblighi del titolare e del certificatore, in G. CASSANO, C.
GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., 294).
Tuttavia, il secondo tipo di obbligo, relativo alla custodia e l’utilizzo del
dispositivo di firma, sembra contraddire il primo (oltre a quanto specificamente
stabilito dall’art. 7, comma 3, D.P.C.M. 13 gennaio 2004, che prevede obblighi
più stringenti quanto alla custodia e l’utilizzo di detto dispositivo), dal momento
che, quale criterio d’imputazione della colpa, tiene a parametro il criterio di cui
16
E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
all’art. 1176 c.c., indebolendo di molto il regime probatorio complessivo (così
ancora M. NICOTRA, Obblighi del titolare e del certificatore, in G. CASSANO, C.
GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., 295).
In definitiva, il titolare, al fine del disconoscimento della propria firma
elettronica qualificata o digitale apposta su un documento informatico, dovrà dare
prova dell’abuso o della falsificazione del proprio dispositivo, ma i termini per far
emergere la sua responsabilità per non aver adottato tutte le misure idonee alla
custodia e l’utilizzo di detto strumento, sono molto meno rigorosi di quanto la
prima parte dell’art. 32, comma 1, CAD, faccia ipotizzare.
Le firme elettroniche qualificate o digitali assumono un valore probatorio
in tutto identico a quello proprio delle firme autografe, quindi maggiore rispetto
alle firme elettroniche “deboli”, in quanto grazie a questi mezzi si instaura un
collegamento biunivoco tra il titolare del dispositivo di firma e la propria chiave
pubblica certificata. A garanzia dell’affidabilità di questa operazione, vengono
preposti dei certificatori qualificati, perché in possesso dei requisiti di cui agli art.
26 e 27 CAD, in grado di rilasciare certificati qualificati. A questi ultimi sono
parificati anche “i certificatori che garantiscono al pubblico l’affidabilità del
certificato” e cioè coloro che forniscono garanzia relativamente a un certificato
qualificato rilasciato da un certificatore di un paese non appartenete all’Unione
europea. È da aggiungere che, al fine della sottoscrizione di documenti informatici
di rilevanza esterna, anche le pubbliche amministrazioni possono svolgere
direttamente l’attività di rilascio dei certificati qualificati, avendo a tal fine
l’obbligo di accreditarsi ex art. 29 CAD. Detta attività deve però aver riguardo
esclusivamente alle relazioni interne, tra i propri organi e uffici, o all’esterno,
limitatamente ai rapporti tra l’amministrazione certificante e una categorie di terzi,
pubblici o privati (per maggiori approfondimenti circa la possibilità di un’attività
diretta di certificazione della P.A., soprattutto nei rapporti esterni, si rinvia,
amplius, a M. NICOTRA, Norme particolari per le pubbliche amministrazioni e per
altri soggetti qualificati, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della
pubblica amministrazione digitale, cit., 317 ss.).
Detti soggetti, se non provano d’aver agito senza colpa o dolo, sono
responsabili del danno cagionato a chi abbia fatto ragionevolmente affidamento su
determinate informazioni e garanzie dagli stessi forniti circa a) la completezza e
l’esattezza delle informazioni necessarie alla verifica della firma contenute nel
17
E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
certificato qualificato; b) la garanzia di corrispondenza dei dati del firmatario del
certificato per la creazione della firma e quelli per la verifica della firma rilasciati
o contenuti nel certificato stesso; c) la garanzia che i dati per la creazione e la
verifica della firma siano complementari, nella misura in cui vengano generati
entrambi. Ugualmente essi sono responsabili per l’adempimento degli obblighi a
questi incombenti ai sensi dell’art. 32 CAD (ma cfr. già l’art. 29bis del T.U.
445/2000, sostanzialmente di identico contenuto).
Per accertare una responsabilità del certificatore nelle ipostesi sub a), b) e
c) dell’art. 30 occorre però che il danneggiato abbia usato l’ordinaria diligenza nel
verificare le informazioni contenute nel certificato. A titolo di esempio, la revoca
o la sospensione del certificato, se regolarmente pubblicate, fanno si che l’atto o il
documento non abbiano la forza probatoria di cui all’art. 2702 c.c., e potrebbero
escludere la responsabilità del certificatore, o comunque attenuarla ex art. 1227
c.c. (così anche G. SPEDICATO, Responsabilità del certificatore, in G. CASSANO, C.
GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., 274-275).
L’onere della prova è peraltro sempre invertito, nel senso che spetta al
responsabile provare l’assenza degli elementi soggettivi del dolo o della colpa.
La responsabilità derivante dalla mancata ottemperanza agli obblighi di cui
all’art. 32 CAD, esplicitata - in virtù della lettura combinata con l’art. 30 CAD per la prima volta all’interno dell’attuale disciplina, è stata, tuttavia, da sempre
ritenuta pacifica in dottrina. Vi era però un ampio dibattito circa l’inquadrabilità
di essa all’interno dell’art. 2043 c.c. o dell’art. 2050 c.c. (cfr. al proposito G.
FINOCCHIARO, Firma digitale e firme elettroniche, cit., 94 ss.; M. MICCOLI,
Documento e commercio telematico, cit., 78 ss.).
Se per gli obblighi specificamente tipizzati ai sensi del comma 3 dell’art.
32, e riferiti ai soli certificatori qualificati, sembra prevalere la tesi volta ad
applicare la disciplina di cui all’art. 2043 c.c. (così M. NICOTRA, Obblighi del
titolare e del certificatore, e G. SPEDICATO, Responsabilità del certificatore,
entrambi in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica
amministrazione digitale, cit., rispettivamente 300 e 276), particolare difficoltà si
pone circa l’interpretazione dell’art. 32, comma 2, CAD, laddove viene stabilito
che il certificatore, anche non qualificato, è tenuto ad adottare tutte le misure
organizzative e tecniche idonee ad evitare danno a terzi, ivi compreso il titolare
del certificato. Se in tale ipotesi sembra possibile un riecheggiare della
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E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
responsabilità di cui all’art. 2050 c.c., e quindi la necessità che il danneggiante, a
sua discolpa, provi che il danno si è verificato nonostante egli abbia impiegato
ogni cura o misura atta ad evitarlo (il che significa sostanzialmente provare che si
è realizzato un caso fortuito) la dottrina prevalente sembra indotta a sostenere
l’applicabilità dell’art. 2043 c.c. anche in detta ipotesi (cfr. M. NICOTRA, Obblighi
del titolare e del certificatore, e G. SPEDICATO, Responsabilità del certificatore,
entrambi in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica
amministrazione digitale, cit., rispettivamente 296 ss. e 275i ss.). Tale tesi sembra
confermata dalla previsione di cui all’art. 30 CAD, che stabilisce una forma
aggravata e oggettiva di responsabilità per determinati e specifici comportamenti
con l’inversione dell’onere della prova a carico del certificante. Il voler applicare
il regime probatorio di cui all’art. 2050 c.c. “comporterebbe la perdita di
giustificazione dell’autonoma previsione di cui all’art. 30” (così M. NICOTRA,
Obblighi del titolare e del certificatore, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il
codice della pubblica amministrazione digitale, cit., 297). È chiaro però che la
colpa del danneggiante dovrà essere parametrata ad un criterio di diligenza,
prudenza e perizia non ordinario ma “professionale”.
Adibito a verificare la sussistenza dei presupposti previsti dal CAD per
l’acquisizione del titolo di certificatori qualificati o accreditati, ed il rispetto delle
regole tecniche necessarie allo svolgimento dell’attività di certificazione, la
violazione delle quali comporta la responsabilità di cui agli artt. 30 e 32 CAD, vi è
il CNIPA, che svolge per l’appunto un’attività di vigilanza e controllo..
L’omissione di detta attività, anche se non espressamente previsto, potrebbe far
ipotizzare una responsabilità solidale di detto organismo con i certificatori
qualificati o accreditati ex art. 2055 c.c , se non addirittura autonoma ex art. 2043
c.c. (così L. VIOLA, Vigilanza sull’attività di certificazione, in G. CASSANO, C.
GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, 286-287, il
quale prospetta una possibile equiparazione tra detta responsabilità e quella
riconosciuta in capo alla Consob per l’omessa vigilanza sui prospetti informativi,
riconosciutagli dalla giurisprudenza).
4. Il rapporto tra P.A. e utenti: fascicolo e procedimento amministrativo
telematico, erogazione di servizi online e tutela della privacy, della sicurezza e
della segretezza.
19
E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
La sempre più ampia diffusione degli strumenti informatici e telematici
sembra consentire forme sempre più dirette di partecipazione e interazione degli
utenti all’agire amministrativo.
Gli atti, documenti o dati amministrativi appositamente sottoscritti, se
trasmessi in modo biunivoco tra questi e la P.A. possono dar luogo alla gestione
dell’intero procedimento amministrativo. All’atto della comunicazione dell’avvio
del procedimento ex art. 8 della l. 241/1990 la P.A. informa gli interessati circa le
modalità per esercitare in via telematica i diritti di cui all’art. 10 della medesima
legge. Questi ultimi inoltre, oltre alla possibilità di partecipare al procedimento o
accedere agli atti in via orale o scritta, in virtù del combinato disposto di cui
all’art. 3bis della l. 241/1990 novellata e dell’art. 4 del CAD, possono decidere di
farlo utilizzando gli strumenti telematici, secondo quanto previsto dagli artt. 59 e
60 del T.U. 445/2000. Viene quindi a formarsi un vero e proprio fascicolo
telematico.
I dati della P.A devono poi essere formati, raccolti, conservati, resi
disponibili e accessibili sia ai privati e alle imprese, sia alle altre pubbliche
amministrazioni per l’espletamento delle loro incombenze istituzionali, mediante
appositi siti web, le cui caratteristiche e il cui contenuto minimo sono
specificamente disciplinati ai sensi degli artt. 53 e 54 CAD (per maggiori
approfondimenti sul punto cfr. S. SITZIA, Informazione, nuove tecnologie e
cambiamenti relazionali tra PA e cittadini, in Dir. dell’Internet, 2006, 6, 615 ss.).
Lo stesso vale per l’erogazione dei servizi online. Alcuni di questi sono
resi disponibili a tutti, come ad esempio la pubblicazione di provvedimenti
generali conformativi o la pubblicazione di moduli e formulari disponibili per gli
utenti, altri richiedono invece l’autenticazione informatica del soggetto che ne
fruisce per specifiche utilità. Questi ultimi, in particolare, sono resi accessibili
attraverso la Carta d’Identità Elettronica (CIE) e la Carta Nazionale dei Servizi
(CNS), ma anche attraverso altri strumenti che consentano di accertare l’identità
di colui che richiede l’accesso (per maggiori approfondimenti sul tema, cfr. G.
RIEN – A. ZIVER, La Carta d’identità elettronica, L’operatività dopo la
sperimentazione, Napoli, 2005). Tra i servizi online che richiedono l’utilizzo di
detti strumenti possono essere ricompresi i pagamenti online o la presentazione di
istanze e dichiarazioni. Tutti, in ogni caso, devono garantire il rispetto dei principi
20
E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati
propri dei sevizi pubblici, relativi all’adattamento, alla continuità, all’uguaglianza
e, in particolare, l’adozione di azioni positive in favore dei diversamente abili e
delle categorie in situazione di disagio.
Al fine di misurare la “soddisfazione del cliente” e, grazie ai loro
suggerimenti, magari migliorare il contenuto dei siti istituzionali e dei servizi
online erogati, Il Dipartimento per l’Innovazione e le tecnologie presso la
presidenza del Consiglio dei Ministri, ha emanato anche la direttiva 27 luglio
2005, recante “Qualità dei servizi online e misurazione della soddisfazione
dell’utente” (Per maggiori approfondimenti sul punto cfr. S. VENANZI, La
direttiva per la qualità dei servizi on-line e la misurazione della soddisfazione
degli utenti, in Diritto dell’Internet, 2006, 1, 94 ss.).
Gli obblighi connessi a tali attività, e che comportano una qualche forma
di responsabilità in capo ad essa e agli eventuali agenti titolari degli incarichi di
volta in volta specificamente previsti, attengono per la maggior parte alla diversa
modalità in cui l’azione amministrativa viene espletata e, pur comportando un
ampio mutamento nell’interazione con l’utente e tra le stesse amministrazioni,
non costituisce, in linea di larga massima e salvi gli opportuni adattamenti dovuti
alla particolare tecnicità della disciplina, fonte ulteriore e diversa di responsabilità
(sul punto cfr., amplius, S. CASSESE, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano,
2006, 400).
L’aspetto forse più problematico è però bilanciare questi obblighi,
improntati per lo più ai principi di economicità, efficienza, trasparenza, pubblicità,
informazione e comunicazione, con quelli, ugualmente rilevanti e azionabili, di
segretezza, sicurezza e privacy.
Detti limiti, la violazione dei quali si riconnette ad altrettante
responsabilità in capo alla P.A. e ai suoi agenti, fanno capolino e permeano di sè
tutta la normativa del CAD, talvolta più sottilmente, talaltra più apertamente.
Sarà quindi compito dell’interprete verificare, di volta in volta se, tenuto
conto del bilanciamento tra i suddetti principi, si potrà cogliere una qualche
responsabilità e, in tal caso, se sarà possibile imputarla a soggetti determinati dalla
legge oltrechè alla P.A. cui, come già visto, viene estesa la responsabilità civile ex
art. 28 Cost.
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