E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati E-GOVERNMENT: LA RESPONSABILITÀ DELLA P.A. E DEI PROPRI AGENTI NEL RAPPORTO CON GLI AMMINISTRATI DI FRANCESCA BAILO Premessa. I primi approcci della Pubblica Amministrazione verso i sistemi informatici hanno avuto inizio già alla fine degli anni ‘70, quando ha preso campo l’idea che, attraverso detti strumenti, si potesse interagire con i cittadini in modo più efficiente, trasparente ed economico (cfr. già G. DUNI, L’utilizzabilità delle tecniche elettroniche nell’emanazione degli atti e dei procedimenti amministrativi. Spunto per una teoria dell’atto amministrativo emanato nella forma elettronica, in Riv. amm. Rep. it., 1978, 407 ss., ma anche M.S. GIANNINI, Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, 1979, in http://www.tecnichenormative.it/RapportoGiannini.pdf, il quale già richiamava l’attenzione del Parlamento al fatto che “l’innovazione amministrativa poggia su quella tecnologica”), ma è solo con il d.lgs. n. 39 del 12 febbraio 1993 che si ha una prima specifica disciplina in materia di sistemi informativi automatizzati delle Amministrazioni Pubbliche. È in tale occasione che, al fine di monitorare, pianificare, coordinare e verificare i risultati di volta in volta ottenuti al riguardo, viene istituita l’Autorità informatica per la Pubblica Amministrazione (AIPA), poi sostituita nel 2003 dal Centro Nazionale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA), stabilito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Da questo momento i testi normativi appositamente dedicati a una disciplina sulla digitalizzazione della P.A., ed in particolare sul nuovo concetto di e-government, si susseguono, accanto a direttive e circolari del Governo, pareri del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Tra i testi normativi, di particolare rilievo risultano la L. Bassanini n. 59 del 15 marzo 1997, il successivo d.P.R. di attuazione 10 novembre 1997, n. 53, recante “Criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a norma dell’art. 15, comma 2, 1 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati della l. 15 marzo 1997, n. 59”, poi abrogato e recepito nel d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”. Tra le tante direttive, si possono ricordare poi quella del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 ottobre 1999, recante “Gestione informatica dei flussi documentali nelle amministrazioni pubbliche” e, soprattutto, quella del Ministro per l’Innovazione e le tecnologie, Lucio Stanca, datata 21 dicembre 2001, recante “Linee guida in materia di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione”. La direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 settembre 1995 ha poi consentito l’avvio per la realizzazione della Rete unitaria della Pubblica amministrazione (RUPA), istituita con l’art. 15, comma 1, della l. n. 59/1997. Detto ambizioso progetto di interconnessione tra le amministrazioni pubbliche italiane, la cui gestione è stata affidata ad un apposito organismo pubblico istituito dall’art. 17, comma 19, della l. n. 127 del 15 maggio 1997, denominato Centro tecnico per la RUPA (più tardi riassorbito come l’AIPA dal CNIPA), ha senza dubbio apportato innumerevoli benefici nella prima fase di digitalizzazione della P.A. ma, tuttavia, ha manifestato un punto di criticità sostanziale. Detta infrastruttura, focalizzandosi principalmente sulle amministrazioni centrali dello Stato e degli enti pubblici e, in definitiva manifestandosi come un modello centralista, è risultata non più compatibile con il federalismo amministrativo affermatosi, da ultimo, con la revisione del Titolo V della Costituzione. Dall’esigenza di consentire una maggiore cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali è sorto quindi il progetto sul Sistema Pubblico di Connettività (SPC), istituito e disciplinato con il D.lgs. 28 febbraio 2005, n. 42. L’SPC si presenta come un’infrastruttura condivisa che assicura alle ammirazioni, a tutti i livelli di governo, lo scambio di dati e informazioni, nonché i conseguenti servizi di trasporto di dati, di interoperabilità di base ed evolutiva a livelli di qualità e sicurezza definiti e garantiti. In virtù di queste caratteristiche si pone l’obiettivo primario di semplificare notevolmente i rapporti tra le singole amministrazioni e tra queste e l’utente (per maggiori approfondimenti sul tema cfr. C. D’ORTA, Finalità, organizzazione e architettura del Sistema Pubblico di Connettività (SPC), in Diritto dell’Internet, 2005, 4, 395 ss.; ID., Il SPC: un 2 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati approccio nuovo alle esigenze della rete delle pubbliche amministrazioni, in Giornale di dir. amm., 2005, 7, 693 ss. e A. NATALINI, Il SPC eredita i problemi della RUPA, ivi, 702 ss). Parallelamente a detta innovazione sul piano tecnico –strutturale, è stata realizzata una disciplina sostanziale di azione per l’e-government, contenuta nel D.lgs. n. 82 del 7 marzo 2005, meglio conosciuto come il “Codice dell’amministrazione digitale” che, con le correzioni e integrazioni apportate dal D.lgs . 4 aprile 2006, n. 159, ha da ultimo abrogato lo stesso D.lgs. 42/2005, la disciplina del quale è stata interamente assorbita nel Capo VIII del Codice. Il D.lgs 82/2005, tra le altre, abroga e sostituisce in gran parte la precedente disciplina organica in materia, il T.U. 445/2000 e, assurgendo a fonte primaria dell’ordinamento, acquisisce una forza vincolante tale da consentire, almeno in linea di principio, una concreta svolta nella digitalizzazione della P.A. Alla luce di quanto detto, sembra inevitabile chiedersi se il principio di responsabilità della Pubblica amministrazione e dei propri agenti, sancito dall’art. 28 Cost. e giurisdizionalmente garantito dall’art. 113 Cost., come consolidatosi anche grazie all’apporto giurisprudenziale e dottrinale, sia in qualche modo mutuabile, con gli opportuni aggiustamenti, per la “nuova fase” dell’amministrazione digitale. A tal fine sembra opportuno dedicare una prima parte del contributo ad analizzare la disciplina prevista per la responsabilità della P.A. e dei propri dipendenti e funzionari in generale per poi, nella seconda parte, sottolineare gli eventuali adattamenti e le innovazioni conseguenti al nuovo impianto tecnico e normativo, avvertendo sin d’ora che, malgrado i numerosi obblighi imposti, nessuna disposizione del nuovo CAD si pronuncia espressamente sulla natura e sull’azionabilità di qualsivoglia responsabilità in materia. I. Nozioni sulla responsabilità della P.A. in generale. 1. L’evoluzione storica del principio di responsabilità dello Stato e la disciplina di cui all’art. 28 Cost. Antecedentemente alla formazione dello Stato di diritto, l’orientamento dottrinale prevalente ritenne che lo Stato potesse considerarsi responsabile solo in 3 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati veste di privato, per il resto rimanendo immune da qualsiasi imputazione, civile, amministrativa o penale. Esso, persona giuridica pubblica per eccellenza, e soprattutto fautore della legalità, non avrebbe potuto, per definizione, commettere illeciti (sul punto cfr, per tutti, MANTELLINI, Lo Stato e il codice civile, 1980, I, 59, 79 ss.). Con l’affermarsi dello Stato di diritto, e quindi anche dei principi di sovranità e legalità, al contrario, si sottoposero a tutela giurisdizionale gli atti amministrativi, anche se frutto dell’emanazione di provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa inerenti contravvenzioni e diritti, civili o politici (cfr. artt. 2 e 4 della l. 20 marzo 1965, n. 2248, all. E). Ulteriormente sviluppando, la dottrina andò quindi formando il convincimento che l’ordinamento statale, oltre ad essere direttamente responsabile per gli atti compiuti iure privatorum, potesse subire una forma di imputazione, pure indiretta, per gli atti di imperio (così il MEUCCI, secondo quanto riportato da F. DEL GIUDICE - L. DELPINO, Il diritto amministrativo: fonti, soggetti, organizzazione, attività, procedimento, responsabilità, giustizia: corso completo, Napoli, 2007, 1143). Nel periodo immediatamente successivo, anche grazie al contributo della giurisprudenza della Suprema Corte, prevalse, infine, la teoria secondo cui la Pubblica amministrazione dovesse considerarsi oggettivamente e direttamente responsabile per tutti gli atti illeciti compiuti dai propri dipendenti, in virtù del principio dell’immedesimazione organica, indipendentemente dalla distinzione tra atti di gestione e d’imperio. La responsabilità personale ed esclusiva del dipendente, assorbita da quella della Pubblica amministrazione, che eventualmente poteva rivalersi nei confronti di questo solo nei rapporti interni, residuava nel caso in cui egli avesse agito con dolo, e cioè qualora avesse perseguito un interesse esclusivamente personale ed in contrasto con l’ente di appartenenza (per la ricostruzione di detti orientamenti dottrinli e giurisprudenziali cfr., amplius, F. DEL GIUDICE - L. DELPINO, Il diritto amministrativo, cit., 1145- 1146). Con l’entrata in vigore della Carta costituzionale, oltre alla previsione di cui all’art. 113 Cost., che sancisce la tutela giurisdizionale per tutti gli atti della P.A. lesivi di un diritto soggettivo o interesse legittimo degli amministrati, l’art. 28 Cost., per la prima volta, stabilisce che i dipendenti e i funzionari dello Stato e 4 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati degli enti pubblici, sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative per gli atti compiuti in violazione dei diritti e che, in tali casi, allo Stato e agli enti pubblici viene estesa la responsabilità civile, non chiarendo però se quest’ultima sia imputabile in modo diretto o indiretto. Da tale incertezza espressiva ne è scaturito un ampio dibattito tra autorevole dottrina che ha prodotto, tuttavia, interpretazioni diverse e, in parte, tra loro contrastanti. Alcuni (E. CASETTA, L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953, 270) propendevano per la natura indiretta della responsabilità civile della P.A, avendo il Costituente esplicitato la natura diretta della responsabilità dei dipendenti e dei pubblici funzionari ed essendo incompatibile la compresenza di due responsabilità dirette per un medesimo fatto. Ad avvalorare tali argomentazioni vi era anche il fatto che agli enti, per loro natura non aventi capacità d’agire, difficilmente poteva ricondursi la disciplina di cui all’art. 2043 c.c., privilegiandosi piuttosto quella di cui all’art. 2049 c.c., concernente la culpa in vigilando o in eligendo. Altri (R. ALESSI, Responsabilità del pubblico funzionario e responsabilità dello Stato in base all’articolo 28 della Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, 884 ss.) sostenevano poi che la P.A. incorresse in una responsabilità indiretta solo per il caso in cui i danni cagionati dal funzionario, benchè posti in essere in occasione della funzione o del servizio, non potessero neppure formalmente essere collegati ad essa. La dottrina prevalente (A. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1982, 1021-1022; P. VIRGA, Diritto amministrativo. I principi, I, Milano, 1999, 285-286), avvaloratasi anche a seguito di un omogeneo orientamento giurisprudenziale di legittimità (cfr. decc. Cass. Civ., sez. III, sent. n. 12960 del 3.12.1991; sez. I, n. 9935 del 07.10.1993; sez. II, 10896 del 06.12.1996 e, più recentemente, Cass. Civ., sez. III, 12.08.2000, n. 10803; sez. Lavoro, 18.08.2000, n. 10950; sez. III, 07.11.2000, n. 14484), ha, infine, sostenuto che l’art. 28 Cost. non ha sostanzialmente modificato il sistema precedentemente consolidatosi in materia, restando quella della P.A. una responsabilità diretta, in virtù del principio di immedesimazione organica, a quest’ultima essendosi aggiunta quella propria dei dipendenti e funzionari. La responsabilità della P.A. rimane comunque esclusa nel caso in cui l’illecito sia stato compiuto da soggetti che non possono essere considerati agenti o che, pur essendolo, lo abbiano commesso al di fuori della propria funzione e, quindi, 5 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati qualora abbiano agito a titolo meramente personale, o dolosamente in violazione di norme proibite o, da ultimo, senza averne la competenza (così ancora A. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 1021). 2. Gli obblighi della P.A. nella realizzazione dei suoi compiti. Fornite le necessarie premesse in merito all’evoluzione storica del concetto di responsabilità della P.A., anche alla luce dell’attuale assetto costituzionale, così risultane da un più o meno consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinale, occorre individuare quali sono gli obblighi a questa incombenti nei confronti dei propri amministrati e quali i casi in cui essa, o i suoi agenti, possono incorrere in una qualche responsabilità. Gli obblighi della P.A. possono essere così classificati (cfr. sul punto F. DEL GIUDICE - L. DELPINO, Il diritto amministrativo, cit., 1141 - 1142): a) Obblighi di tollerare che terzi traggano soddisfacimento dall’uso dei beni pubblici; b) Obblighi di non fare, e cioè di astenersi dal compiere atti o attività vietate dalla legge o da un contratto stipulato con i terzi. Tra detti obblighi, il principale è certamente il principio del neminem laedere, la violazione del quale comporta una responsabilità extracontrattuale; c) Obblighi di fare, e cioè di attivarsi in favore di terzi, mediante la messa a disposizione di un bene pubblico, o mediante la realizzazione di un atto, una decisione, un servizio; d) Obblighi di dare, e quindi per esempio di consegnare a terzi, a diverso titolo, un bene pubblico, oppure pagare una somma di denaro; e) Obblighi di protezione senza prestazione, che impone alla P.A. di comportarsi correttamente e secondo buona fede, rispettare le regole e i principi del procedimento senza incorrere in una qualche prestazione. La violazione di tale obbligo, elaborato per lo più da parte della giurisprudenza di legittimità e amministrativa, comporterebbe, come vedremo in seguito, una responsabilità “da contatto sociale qualificato”. Detti obblighi, considerati primari, vengono distinti dagli obblighi secondari, che sorgono a causa della violazione dei primi e che costituiscono, di fatto, il contenuto della responsabilità civile della P.A. 6 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati I dipendenti o funzionari, nei soli casi tassativamente previsti dalla legge, possono incorrere, a loro volta, nelle seguenti responsabilità: a) Responsabilità civile, discendente sia dall’essere venuti meno a obblighi precontrattuali o contrattuali stipulati con i terzi, sia dall’aver cagionato un danno ingiusto a terzi, in violazione del dovere generale del neminem laedere, in tal caso incorrendo in responsabilità extracontrattuale. Occorre precisare tuttavia che l’art. 23 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3 limita la responsabilità extracontrattuale dei dipendenti e funzionari dello Stato alla sussistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa grave; b) Responsabilità penale, derivante dalla violazione di norme incriminatici, disciplinate ai sensi del Titolo II, Capo I, art. 314 ss., cp.; c) Responsabilità amministrativa, che comprende sia la responsabilità contabile sia la responsabilità disciplinare. La prima sorge laddove l’agente abbia determinato, colposamente o dolosamente, un danno erariale allo Stato venendo meno ai propri obblighi di servizio e viene valutata in base al criterio della normale diligenza del buon impiegato (l’art. 93 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 estende detta responsabilità anche agli amministratori ed al personale degli enti locali). La responsabilità disciplinare, prevista dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi di pubblico impiego, trova invece fondamento nella violazione dei doveri e degli obblighi gravanti sui soggetti privati inseriti, a vario titolo, nell’organizzazione amministrativa (così F. BOEZIO, F. GABELLO, B. NOVER, Responsabilità della P.A. e Internet, in G. Vaciago (cur.), Internet e responsabilità giuridiche, Piacenza, 2002, 154-155); Esaminati i principali obblighi della P.A. e gli elementi caratterizzanti le responsabilità dei singoli dipendenti e funzionari, ci soffermeremo ora ad individuare i presupposti e le forme in virtù dei quali può realizzarsi la responsabilità della P.A. che, riscontrando maggiori profili di problematicità, necessità di una trattazione separata e approfondita. 3. La responsabilità civile extracontrattuale della P.A. L’attività amministrativa della P.A., per la maggior parte, si risolve nella possibilità di incidere unilateralmente nella sfera giuridica dei privati e, per tali 7 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati profili, può venire meno al principio del naeminem laedere, incorrendo nella responsabilità aquilina. In via generale, per accertare la sussistenza di una tale responsabilità, occorre che siano compresenti tutti i presupposti generalmente richiesti in ambito civilistico, e quindi che vi sia una condotta, attiva o omissiva, della pubblica amministrazione intrinsecamente antigiuridica, perché lesiva della sfera giuridica dei terzi, e legata da un rapporto di causalità necessario alla realizzazione di un evento dannoso. Detta condotta può consistere, per fare solo qualche esempio, nell’esercizio di un comportamento materiale o nell’adozione di un atto illegittimo, ma anche nel mancato perfezionamento di un comportamento doveroso o nell’omissione di un atto dovuto, purché vi sia un nesso di necessaria occasionalità, e cioè che essa sia posta in essere nell’esercizio della funzione amministrativa della P.A., e quindi riferibile all’ente e perseguita per i fini istituzionali di questo (cfr. Cass. Civ. decc. 3.12.1991, n. 12960; 7.1.10.1993, n. 9935; 6.12.1996, n. 10896, cit., e sez. III, dec. 22.05.2000, n. 6617). La possibilità di applicare in via analogica la disciplina di cui all’art. 2043 c.c., per il resto, ha più volte creato problemi di adattamento, soprattutto per quanto attiene la riferibilità alla P.A. dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa e per quanto riguarda la risarcibilità del danno, se conseguente alla lesione di un interesse legittimo del privato. Tradizionalmente, anche in virtù di un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cass. Civ, S.U., 23.12.1997, n. 13021), si riteneva che alla Pubblica amministrazione, in quanto persona giuridica, non potessero essere applicabili le motivazioni psicologiche che avevano indotto i funzionari ad agire illecitamente, salvo il caso in cui questi avessero operato per perseguire fini propri e contrari a quelli dell’ente, in tal caso venendo meno la stessa imputabilità della P.A. Pertanto doveva ricavarsi una responsabilità in re ipsa per il solo fatto di aver adottato un provvedimento illegittimo, con la conseguenza di affievolire notevolmente l’onere probatorio dell’amministrato. Se poi pacificamente si affermava la risarcibilità dei diritti soggettivi perfetti, la possibilità di risarcire la lesione di interessi legittimi destava molti dubbi e perplessità. 8 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati Con l’annullamento retroattivo di un provvedimento illegittimo della P.A. che aveva inciso sulla posizione di diritto soggettivo originario dell’amministrato, degradandola al rango di interesse legittimo, si considerava riespansa la situazione soggettiva precedente che, in quanto tale, poteva essere suscettibile di risarcimento. Così anche nel caso di atti ampliativi della P.A. che, anche se illegittimamente, avevano attribuito, ex post, la titolarità di un diritto soggettivo (cfr., per prima, Cass. Civ, S.U., 5.10.1979, n. 5145) Più discussa era la questione della risarcibilità del danno subito a seguito di lesione di diritti in attesa di espansione, afferenti per lo più all’annullamento di concorsi pubblici, aggiudicazione di appalti e concessioni edilizie. In queste ipotesi l’aspetto più controverso era dato dal fatto che il privato, accanto ad un mero interesse legittimo, vantava anche un diritto soggettivo che necessitava della rimozione per poter esplicare la sua operatività (così F. DEL GIUDICE - L. DELPINO, Il diritto amministrativo, cit., 1158-1159). Con la decisone n. 500 del 22 luglio 1999, forse anche sulla spinta di alcune discipline normative (cfr. l’art. 35, comma 1, D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80; l’art. 17 comma 1, lett. f) della l. n. 59 del 1997, ma anche l’ormai abrogato e pure settoriale art. 13 della l. 19 febbraio 1992, n. 142, di attuazione della direttiva CEE 665/1989 del 21 settembre 1989) la Cassazione a Sezioni unite ha demolito il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi, a condizione che questi siano correlati ad un interesse al bene della vita che risulti, al contempo, meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo. A fronte di una tale estensione risarcitoria, probabilmente come contrappeso, essa ha affermato però che non è sufficiente riscontrare una responsabilità in re ipsa della P.A. conseguente alla semplice illegittimità del provvedimento da questa adottato, dovendo necessariamente sussistere l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, così come richiesto dall’art. 2043 c.c. Quanto al dolo, per necessità riferibile esclusivamente all’agente, la P.A. ne risponde in virtù del principio di immedesimazione organica, i limiti del cui operare desta però qualche dubbio. Un primo indirizzo interpretativo ritiene che siano imputabili all’amministrazione solo gli atti compiuti dai propri agenti e funzionari nell’esercizio dei poteri istituzionali di questa, in tal modo escludendosi tutte 9 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati quelle ipotesi in cui essi hanno agito con il deliberato proposito di cagionare danno ai terzi ovvero per porre in essere una fattispecie di reato. Un secondo indirizzo, forse più vicino alla lettera dell’art. 28 Cost., sostiene chela condotta dell’agente è riferibile all’ente pubblico di appartenenza tutte le volte in cui si è verificata una situazione di occasionalità necessaria con le attribuzioni sue proprie. Solo in mancanza di tale vincolo, e quindi se l’attività è mossa da “un fine strettamente personale ed egoistico del tutto estraneo alle funzioni affidategli, l’unico responsabile rimane il dipendente” (per la ricostruzione di tali indirizzi interpretativi cfr. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, 515-516). L’elemento soggettivo della colpa, a sua volta, è rintracciabile in tutte le ipotesi in cui l’azione amministrativa dell’apparato nel suo complesso, e non più del singolo agente come precedentemente si era inteso, è stata posta in essere in violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e buona amministrazione. A tal fine si deve tenere conto non solo dei canoni di comune diligenza, prudenza o perizia, ma anche di tutte quelle norme, sostanziali o procedimentali, contenute in leggi e regolamenti comunitari, nazionali, regionali o in qualsiasi altra fonte di autonomia, oltrechè del grado di gravità della violazione commessa, dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento e di un consolidato orientamento giurisprudenziale che non lasci spazio ad un errore scusabile (cfr. Cass. Civ., S.U, 21.12.2001, n. 1195; Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169; Cons. Stato, sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239; Cons. Stato, sez. VI, sent. 15.2.2005, n. 478). 3.1 La responsabilità “da contatto sociale qualificato” della P.A. Come già detto, in virtù dei principi sanciti dalla decisione della Cassazione a Sezioni Unite n. 500 del 1999, poi consolidatisi in decisioni successive (Cass. Civ., sez. lavoro, decc. 14.11.2000; n. 14432; 21.09.2001, n. 11955) la risarcibilità degli interessi legittimi ex art. 2043 c.c. è condizionata alla correlazione di questi ad un bene della vita che sia anche meritevole di tutela secondo l’ordinamento positivo. A tal proposito, occorre osservare che, se gli interessi legittimi oppositivi sembrano pacificamente suscettibili di una garanzia risarcitoria, il privato avendo subito un’illegittima compressione di una facoltà di cui è titolare, la tutela degli 10 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati interessi pretensivi, configurabili in caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, risulta, al contrario, inevitabilmente legata ad un giudizio prognostico circa la titolarità in capo all’amministrato non di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di un effettivo e legittimo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento. Giudizio prognostico che, anche in virtù degli artt. 2, comma 5, e 21-octies, comma 2, della novellata l. 241/1990, sembra consentire un sindacato giurisdizionale di merito non solo sui provvedimenti vincolati, ma anche su quelli discrezionali della P.A. (cfr., per una conferma di questo orientamento, la decisione del Consiglio di Giustizia amministrativa del 4 novembre 2005, n. 726, richiamata anche da F. DEL GIUDICE - L. DELPINO, Il diritto amministrativo, cit., 1181-1182). Parte della giurisprudenza (cfr., al proposito, Cons. Stato, decc. 14 giugno 2001, n. 3169 e 6 agosto 2001, n. 4239, cit., ma anche Cass. Civ., sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157), soprattutto al fine di ampliare la tutela risarcitoria anche a detti interessi legittimi pretensivi, ha argomentato circa la possibilità di permettere la risarcibilità delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dalla lesione degli interessi legittimi tout court , a tal fine tenendo conto del rapporto obbligatorio venutosi, di fatto, ad instaurare tra la P.A e l’amministrato, e non della presenza dei presupposti in virtù dei quali viene in essere la responsabilità aquiliana. L’utente, entrando a far parte attivamente del procedimento amministrativo, risulta avvicinabile ad un normale contraente e, pur difettando l’elemento costitutivo della prestazione, instaura con l’amministrazione un’interazione facilmente ricomprendibile nella clausola aperta di cui all’art. 1173 c.c. Il conseguente inadempimento della P.A., accertabile già per il solo fatto che il provvedimento sia illegittimo, configura una “responsabilità da contatto sociale qualificato” che, in quanto tale comporta una serie di implicazioni, sostanziali e processuali. In primo luogo, l’onere probatorio è invertito, la P.A. potendo unicamente dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile, il termine di prescrizione si estende dai cinque ai dieci anni e il calcolo degli interessi legali e della rivalutazione monetaria subisce particolari mutamenti. In secondo luogo, l’affidamento obiettivo ingenerato nel privato, di per se stesso, configura un titolo autonomo dell’obbligazione risarcitoria, limitato al danno che poteva prevedersi al 11 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati momento dell’insorgere dell’obbligazione ma, proprio perchè prescindente dalla spettanza del bene della vita, in grado di ampliare il novero delle situazioni tutelate. Tale teoria, pure apprezzabile, sembra però non del tutto convincente, soprattutto per tutte quelle ipotesi in cui i privati vantino effettivamente la lesione di un interesse legittimo correlato ad un bene della vita che, venendo parificato al mero affidamento, troverebbe una tutela risarcitoria inferiore rispetto a quella anelata, in tal modo banalizzando la stessa responsabilità della Pubblica Amministrazione (cfr., a tal proposito, la decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945 nella quale, pur dandosi atto del fatto che la tesi della responsabilità da contatto sociale qualificato è stata accolta da parte della giurisprudenza amministrativa e di legittimità, se ne diminuisce notevolmente la portata persuasiva). 3.2. La responsabilità contrattuale e precontrattuale della P.A. Accanto alla responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. e a quella da “contatto sociale qualificato”, che presentano forse maggiori problemi di adattamento e applicabilità all’azione amministrativa, la Pubblica amministrazione può incorrere anche nella responsabilità contrattuale o precontrattuale, in tal caso dovendosi normalmente applicare, rispettivamente, la disciplina di cui agli artt. 1218 c.c. e 1337-1338 c.c. La responsabilità contrattuale può insorgere tutte le volte in cui la P.A. compie atti iure privatorum, ma anche, per esempio, nell’ipotesi d’inadempimento di accordi procedimentali o sostitutivi previsti ex art. 11, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241, e in ogni caso d’inadempimento di un preesistente rapporto obbligatorio, da qualsiasi fonte derivante (non solo contrattuale ma anche legislativa o amministrativa). La responsabilità precontrattuale, invece, può realizzarsi, oltrechè nei casi di trattative private con gli amministrati e nei comportamenti chiaramente indirizzati alla stipula di un contratto, nella fase immediatamente successiva all’aggiudicazione. Recentemente, sembra inoltre avere credito la possibilità di rintracciare un tal tipo di responsabilità anche nella fase dell’evidenza pubblica, e quindi nell’ambito di un’attività prettamente pubblicistica in cui può ledersi un 12 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati interesse legittimo pretensivo. In detta ipotesi, rilevando il buon affidamento e il dovere di correttezza della P.A., l’azione risarcitoria può riguardare esclusivamente, l’interesse negativo, parametrato alle spese sopportate e, eventualmente, ai mancati guadagni per le occasioni negoziali perdute dall’amministrato. Sull’argomento pesano le stesse perplessità già riscontrate in tema di configurabilità di una responsabilità da contatto sociale (così F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, 414 - 415) ma, a favore del riconoscimento di una responsabilità ex art. 1337 si è pronunciata l’Adunanza Plenaria del Consiglio, con decisione n. 6 del 2005, che ne ha esteso l’applicabilità anche in caso di atto legittimo di autotutela della P.A. (è da sottolineare che la posizione assunta dall’Adunanza Generale è stata poi confermata dal Consiglio di Stato, sez. V, dec. n. 7194/2006. Recentemente cfr. anche Tar Sicilia, sez. II, 23 aprile 2007, n. 1175). II. Il Codice dell’amministrazione digitale e i riflessi sulla responsabilità della P.A. nei confronti degli amministrati. 1. I diritti degli amministrati nei confronti della P.A In virtù del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 8 del Codice dell’Amministrazione Digitale (d’ora in poi, per comodità, lo chiameremo “CAD”) si prevede, in capo ai cittadini e alle imprese, sia un diritto all’uso delle tecnologie nelle comunicazioni con la P.A., come già sancito dal novellato art. 3bis della l. n. 241 del 1990 e, ancor prima, dall’art. 1, comma 1, della l. 9 gennaio 2004, n. 4, sia un diritto all’alfabetizzazione informatica che consenta ad essi di possedere un bagaglio minimo di conoscenze in grado di metterli in condizione di fruire effettivamente del diritto. Le due disposizioni risultano rafforzate ed amplificate da quanto stabilito all’art. 12 del CAD, che tratta dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione come una finalità tipica della PA nel proprio agere amministrativo (cfr. al proposito E. DE GIOVANNI, Il “Codice dell’amministrazione digitale”: prime impressioni, in Diritto dell’Internet, 2005, 3, 227). Dette disposizioni, tuttavia, sembrano avere una portata solamente programmatica, non in grado di per sé di porre dei veri e propri obblighi in capo 13 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati alla P.A., almeno fino a quando non sia dato fornire una compiuta disciplina attuativa nella quale siano dettagliate l’azionabilità e le modalità operative per l’esercizio del diritto da parte dei soggetti legittimati (così M. PIETRANGELO, Diritto all’uso delle tecnologie, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale. Commento al D.lgs. n. 82 del 7 marzo 2005, Milano, 2005, 29). Lo stesso può dirsi per quanto concerne il diritto a una partecipazione democratica elettronica dei cittadini, anche residenti all’estero, di cui all’art. 9 del CAD. Ciò tanto più se si considera che l’art. 40 del CAD impone alla P.A l’obbligo di formare gli originali dei propri documenti con mezzi informatici ma nei limiti delle risorse tecnologiche idonee disponibili. Resta quindi un ampio margine di autonomia circa il se e il quando dare una concreta svolta al sistema di informatizzazione. 2. La trasmissione degli atti e documenti amministrativi tramite documento informatico e la riconoscibilità delle amministrazioni e dei soggetti responsabili. Ogni comunicazione o informazione tra la P.A e gli utenti, ai sensi degli artt. 45 ss CAD, può essere effettuata attraverso la trasmissione del documento informatico, quale rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. Detta operazione, effettuata da chiunque nei confronti della pubblica amministrazione, può avvenire con qualunque mezzo telematico o informatico, ivi compreso il fax ma, ai fini della validità del procedimento amministrativo, dette comunicazioni devono essere effettuate mediante sottoscrizione con firma digitale o altra firma elettronica qualificata o, alternativamente, anche mediante altri strumenti, purché questi siano idonei a consentire una verifica circa la provenienza della trasmissione (art. 45 e 47 CAD). Lo stesso principio, in virtù di quanto previsto dall’art. 22 CAD (ma cfr. già l’art. 3, comma 2, del d.lg.s 39/1993 e l’art. 9 del T.U. 445/2000, di sostanzialmente identico contenuto), vale per gli atti, i dati e i documenti informatici formati dalla pubblica amministrazione, laddove si richiede che, in tali casi, siano resi facilmente individuabili i dati relativi sia alle amministrazioni 14 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati interessate all’atto, intese quali amministrazioni – apparato, sia i soggetti a vario titolo coinvolti nell’operazione di produzione, immissione, conservazione, riproduzione, trasmissione ed emanazione dei documenti e atti amministrativi. In assenza di una casistica al riguardo e non essendo specificate quali conseguenze derivino dalla mancanza di tali dati, si possono prendere a riferimento gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali formatisi in virtù della precedente disciplina sul punto. La maggior parte della giurisprudenza (cfr., ex multis, Cass., sez. I, 3 marzo 1998, n. 2341; Cass., sez. I, 30 dicembre 1998, n. 12886) ha ritenuto che l’utilizzo di sistemi automatici di svolgimento dell’azione amministrativa costituisce una mera modalità operativa utile ad economizzare l’attività posta in essere, la quale non influisce in alcun modo sul regime giuridico e sulle regole di conduzione del procedimento di cui alla l. 241/1990, anche nella parte relativa all’imputazione di responsabilità. Parte minoritaria (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 1998, n. 1517) ha invece osservato che, almeno in talune ipotesi, l’utilizzo di tecniche elettroniche consente di derogare alla disciplina generalmente prevista. Autorevole dottrina (A.G. OROFINO, R.G. OROFINO, L’automazione amministrativa: imputazione e responsabilità, in Giornale di dir. amm., 2005, 12, 1310, i quali richiamano anche G. DUNI, Teleammininistrazione, in Enc. giur. Treccani, vol. XXX, Istituto enciclopedia italiana, Roma, 1993, 6; F. SAITTA, Le patologie dell’atto amministrativo elettronico, in Dir. Economia, 2003, 638; G. MARONGIU, L’attività amministrativa automatizzata. Profili giuridici, Rimini, 2005, 161) ha da ultimo avanzato un ipotesi intermedia, secondo cui “le responsabilità connesse all’adozione di provvedimenti automatici sono normalmente da imputarsi, oltre a coloro che hanno predisposto le regole di programmazione del software, innanzitutto a coloro che provvedono all’immissione nel computer dei dati” e che, conseguentemente, l’identificazione di questi soggetti debba essere sicura, non rimessa all’esame di codici meccanografici o altrimenti di non chiara identificazione. Corresponsabile, e quindi anch’esso vincolato all’identificazione, dovrebbe essere inoltre il responsabile dell’adozione dell’atto finale. Mentre il titolare addetto all’istruttoria sarebbe responsabile in ordine alla correttezza delle informazioni immesse, il responsabile dell’atto finale sarebbe responsabile, unitamente al soggetto eventualmente incaricato di vigilare sul funzionamento degli elaborati elettronici, 15 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati in ordine al pieno rispetto degli obblighi normativi sull’utilizzo dell’automazione amministrativa (cfr. Corte dei Conti, sez. giur. Emilia Romagna, 5 maggio 1998, n. 227 e Id., sez. giur. Puglia, 29 agosto 1994, n. 81). 3. Valore probatorio del documento informatico sottoscritto: la responsabilità del titolare del certificato, dei certificatori e l’obbligo di controllo e vigilanza del CNIPA. Un profilo particolarmente interessante riveste la diversa attitudine probatoria di un atto, documento o dato sottoscritto nelle modalità sopra dette. Se la sottoscrizione avviene con una firma elettronica debole, certificata da certificatori ex art. 26 CAD, questa è liberamente apprezzabile nel giudizio mentre, se si utilizza la firma elettronica qualificata o digitale, queste fanno piena prova ex art. 2702 c.c., salvo che il titolare della firma dia prova contraria (art. 21 CAD). D’altra parte quest’ultimo, in virtù di quanto stabilito dall’art. 32, comma 1, CAD, “è tenuto ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri ed a custodire e a utilizzare il dispositivo di firma con la diligenza del buon padre di famiglia”. Il primo obbligo, già previsto ex art. 29 bis T.U. 445/2000, è stato da alcuni ricondotto alla responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. (così M. MICCOLI, Documento e commercio telematico. Guida al regolamento italiano (D.P.R. 513/97), Milano, 1998, 78 e G. FINOCCHIARO, Firma digitale e firme elettroniche. Profili privatistici, Milano 2003, 96) ma la dottrina prevalente ha ritenuto più opportuno inquadrarlo nella disciplina di cui all’art. 2043 c.c., con l’avvertimento che il criterio di imputazione della colpevolezza deve essere effettuato con maggiore rigore rispetto all’ordinario criterio della normale diligenza (così F. RICCI, Scritture private e firme elettroniche, Milano, 2003, 273 e M. NICOTRA, Obblighi del titolare e del certificatore, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., 294). Tuttavia, il secondo tipo di obbligo, relativo alla custodia e l’utilizzo del dispositivo di firma, sembra contraddire il primo (oltre a quanto specificamente stabilito dall’art. 7, comma 3, D.P.C.M. 13 gennaio 2004, che prevede obblighi più stringenti quanto alla custodia e l’utilizzo di detto dispositivo), dal momento che, quale criterio d’imputazione della colpa, tiene a parametro il criterio di cui 16 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati all’art. 1176 c.c., indebolendo di molto il regime probatorio complessivo (così ancora M. NICOTRA, Obblighi del titolare e del certificatore, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., 295). In definitiva, il titolare, al fine del disconoscimento della propria firma elettronica qualificata o digitale apposta su un documento informatico, dovrà dare prova dell’abuso o della falsificazione del proprio dispositivo, ma i termini per far emergere la sua responsabilità per non aver adottato tutte le misure idonee alla custodia e l’utilizzo di detto strumento, sono molto meno rigorosi di quanto la prima parte dell’art. 32, comma 1, CAD, faccia ipotizzare. Le firme elettroniche qualificate o digitali assumono un valore probatorio in tutto identico a quello proprio delle firme autografe, quindi maggiore rispetto alle firme elettroniche “deboli”, in quanto grazie a questi mezzi si instaura un collegamento biunivoco tra il titolare del dispositivo di firma e la propria chiave pubblica certificata. A garanzia dell’affidabilità di questa operazione, vengono preposti dei certificatori qualificati, perché in possesso dei requisiti di cui agli art. 26 e 27 CAD, in grado di rilasciare certificati qualificati. A questi ultimi sono parificati anche “i certificatori che garantiscono al pubblico l’affidabilità del certificato” e cioè coloro che forniscono garanzia relativamente a un certificato qualificato rilasciato da un certificatore di un paese non appartenete all’Unione europea. È da aggiungere che, al fine della sottoscrizione di documenti informatici di rilevanza esterna, anche le pubbliche amministrazioni possono svolgere direttamente l’attività di rilascio dei certificati qualificati, avendo a tal fine l’obbligo di accreditarsi ex art. 29 CAD. Detta attività deve però aver riguardo esclusivamente alle relazioni interne, tra i propri organi e uffici, o all’esterno, limitatamente ai rapporti tra l’amministrazione certificante e una categorie di terzi, pubblici o privati (per maggiori approfondimenti circa la possibilità di un’attività diretta di certificazione della P.A., soprattutto nei rapporti esterni, si rinvia, amplius, a M. NICOTRA, Norme particolari per le pubbliche amministrazioni e per altri soggetti qualificati, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., 317 ss.). Detti soggetti, se non provano d’aver agito senza colpa o dolo, sono responsabili del danno cagionato a chi abbia fatto ragionevolmente affidamento su determinate informazioni e garanzie dagli stessi forniti circa a) la completezza e l’esattezza delle informazioni necessarie alla verifica della firma contenute nel 17 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati certificato qualificato; b) la garanzia di corrispondenza dei dati del firmatario del certificato per la creazione della firma e quelli per la verifica della firma rilasciati o contenuti nel certificato stesso; c) la garanzia che i dati per la creazione e la verifica della firma siano complementari, nella misura in cui vengano generati entrambi. Ugualmente essi sono responsabili per l’adempimento degli obblighi a questi incombenti ai sensi dell’art. 32 CAD (ma cfr. già l’art. 29bis del T.U. 445/2000, sostanzialmente di identico contenuto). Per accertare una responsabilità del certificatore nelle ipostesi sub a), b) e c) dell’art. 30 occorre però che il danneggiato abbia usato l’ordinaria diligenza nel verificare le informazioni contenute nel certificato. A titolo di esempio, la revoca o la sospensione del certificato, se regolarmente pubblicate, fanno si che l’atto o il documento non abbiano la forza probatoria di cui all’art. 2702 c.c., e potrebbero escludere la responsabilità del certificatore, o comunque attenuarla ex art. 1227 c.c. (così anche G. SPEDICATO, Responsabilità del certificatore, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., 274-275). L’onere della prova è peraltro sempre invertito, nel senso che spetta al responsabile provare l’assenza degli elementi soggettivi del dolo o della colpa. La responsabilità derivante dalla mancata ottemperanza agli obblighi di cui all’art. 32 CAD, esplicitata - in virtù della lettura combinata con l’art. 30 CAD per la prima volta all’interno dell’attuale disciplina, è stata, tuttavia, da sempre ritenuta pacifica in dottrina. Vi era però un ampio dibattito circa l’inquadrabilità di essa all’interno dell’art. 2043 c.c. o dell’art. 2050 c.c. (cfr. al proposito G. FINOCCHIARO, Firma digitale e firme elettroniche, cit., 94 ss.; M. MICCOLI, Documento e commercio telematico, cit., 78 ss.). Se per gli obblighi specificamente tipizzati ai sensi del comma 3 dell’art. 32, e riferiti ai soli certificatori qualificati, sembra prevalere la tesi volta ad applicare la disciplina di cui all’art. 2043 c.c. (così M. NICOTRA, Obblighi del titolare e del certificatore, e G. SPEDICATO, Responsabilità del certificatore, entrambi in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., rispettivamente 300 e 276), particolare difficoltà si pone circa l’interpretazione dell’art. 32, comma 2, CAD, laddove viene stabilito che il certificatore, anche non qualificato, è tenuto ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno a terzi, ivi compreso il titolare del certificato. Se in tale ipotesi sembra possibile un riecheggiare della 18 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati responsabilità di cui all’art. 2050 c.c., e quindi la necessità che il danneggiante, a sua discolpa, provi che il danno si è verificato nonostante egli abbia impiegato ogni cura o misura atta ad evitarlo (il che significa sostanzialmente provare che si è realizzato un caso fortuito) la dottrina prevalente sembra indotta a sostenere l’applicabilità dell’art. 2043 c.c. anche in detta ipotesi (cfr. M. NICOTRA, Obblighi del titolare e del certificatore, e G. SPEDICATO, Responsabilità del certificatore, entrambi in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., rispettivamente 296 ss. e 275i ss.). Tale tesi sembra confermata dalla previsione di cui all’art. 30 CAD, che stabilisce una forma aggravata e oggettiva di responsabilità per determinati e specifici comportamenti con l’inversione dell’onere della prova a carico del certificante. Il voler applicare il regime probatorio di cui all’art. 2050 c.c. “comporterebbe la perdita di giustificazione dell’autonoma previsione di cui all’art. 30” (così M. NICOTRA, Obblighi del titolare e del certificatore, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, cit., 297). È chiaro però che la colpa del danneggiante dovrà essere parametrata ad un criterio di diligenza, prudenza e perizia non ordinario ma “professionale”. Adibito a verificare la sussistenza dei presupposti previsti dal CAD per l’acquisizione del titolo di certificatori qualificati o accreditati, ed il rispetto delle regole tecniche necessarie allo svolgimento dell’attività di certificazione, la violazione delle quali comporta la responsabilità di cui agli artt. 30 e 32 CAD, vi è il CNIPA, che svolge per l’appunto un’attività di vigilanza e controllo.. L’omissione di detta attività, anche se non espressamente previsto, potrebbe far ipotizzare una responsabilità solidale di detto organismo con i certificatori qualificati o accreditati ex art. 2055 c.c , se non addirittura autonoma ex art. 2043 c.c. (così L. VIOLA, Vigilanza sull’attività di certificazione, in G. CASSANO, C. GIURDANELLA, Il codice della pubblica amministrazione digitale, 286-287, il quale prospetta una possibile equiparazione tra detta responsabilità e quella riconosciuta in capo alla Consob per l’omessa vigilanza sui prospetti informativi, riconosciutagli dalla giurisprudenza). 4. Il rapporto tra P.A. e utenti: fascicolo e procedimento amministrativo telematico, erogazione di servizi online e tutela della privacy, della sicurezza e della segretezza. 19 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati La sempre più ampia diffusione degli strumenti informatici e telematici sembra consentire forme sempre più dirette di partecipazione e interazione degli utenti all’agire amministrativo. Gli atti, documenti o dati amministrativi appositamente sottoscritti, se trasmessi in modo biunivoco tra questi e la P.A. possono dar luogo alla gestione dell’intero procedimento amministrativo. All’atto della comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 8 della l. 241/1990 la P.A. informa gli interessati circa le modalità per esercitare in via telematica i diritti di cui all’art. 10 della medesima legge. Questi ultimi inoltre, oltre alla possibilità di partecipare al procedimento o accedere agli atti in via orale o scritta, in virtù del combinato disposto di cui all’art. 3bis della l. 241/1990 novellata e dell’art. 4 del CAD, possono decidere di farlo utilizzando gli strumenti telematici, secondo quanto previsto dagli artt. 59 e 60 del T.U. 445/2000. Viene quindi a formarsi un vero e proprio fascicolo telematico. I dati della P.A devono poi essere formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili sia ai privati e alle imprese, sia alle altre pubbliche amministrazioni per l’espletamento delle loro incombenze istituzionali, mediante appositi siti web, le cui caratteristiche e il cui contenuto minimo sono specificamente disciplinati ai sensi degli artt. 53 e 54 CAD (per maggiori approfondimenti sul punto cfr. S. SITZIA, Informazione, nuove tecnologie e cambiamenti relazionali tra PA e cittadini, in Dir. dell’Internet, 2006, 6, 615 ss.). Lo stesso vale per l’erogazione dei servizi online. Alcuni di questi sono resi disponibili a tutti, come ad esempio la pubblicazione di provvedimenti generali conformativi o la pubblicazione di moduli e formulari disponibili per gli utenti, altri richiedono invece l’autenticazione informatica del soggetto che ne fruisce per specifiche utilità. Questi ultimi, in particolare, sono resi accessibili attraverso la Carta d’Identità Elettronica (CIE) e la Carta Nazionale dei Servizi (CNS), ma anche attraverso altri strumenti che consentano di accertare l’identità di colui che richiede l’accesso (per maggiori approfondimenti sul tema, cfr. G. RIEN – A. ZIVER, La Carta d’identità elettronica, L’operatività dopo la sperimentazione, Napoli, 2005). Tra i servizi online che richiedono l’utilizzo di detti strumenti possono essere ricompresi i pagamenti online o la presentazione di istanze e dichiarazioni. Tutti, in ogni caso, devono garantire il rispetto dei principi 20 E-government: la responsabilità della P.A. e dei propri agenti nel rapporto con gli amministrati propri dei sevizi pubblici, relativi all’adattamento, alla continuità, all’uguaglianza e, in particolare, l’adozione di azioni positive in favore dei diversamente abili e delle categorie in situazione di disagio. Al fine di misurare la “soddisfazione del cliente” e, grazie ai loro suggerimenti, magari migliorare il contenuto dei siti istituzionali e dei servizi online erogati, Il Dipartimento per l’Innovazione e le tecnologie presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, ha emanato anche la direttiva 27 luglio 2005, recante “Qualità dei servizi online e misurazione della soddisfazione dell’utente” (Per maggiori approfondimenti sul punto cfr. S. VENANZI, La direttiva per la qualità dei servizi on-line e la misurazione della soddisfazione degli utenti, in Diritto dell’Internet, 2006, 1, 94 ss.). Gli obblighi connessi a tali attività, e che comportano una qualche forma di responsabilità in capo ad essa e agli eventuali agenti titolari degli incarichi di volta in volta specificamente previsti, attengono per la maggior parte alla diversa modalità in cui l’azione amministrativa viene espletata e, pur comportando un ampio mutamento nell’interazione con l’utente e tra le stesse amministrazioni, non costituisce, in linea di larga massima e salvi gli opportuni adattamenti dovuti alla particolare tecnicità della disciplina, fonte ulteriore e diversa di responsabilità (sul punto cfr., amplius, S. CASSESE, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2006, 400). L’aspetto forse più problematico è però bilanciare questi obblighi, improntati per lo più ai principi di economicità, efficienza, trasparenza, pubblicità, informazione e comunicazione, con quelli, ugualmente rilevanti e azionabili, di segretezza, sicurezza e privacy. Detti limiti, la violazione dei quali si riconnette ad altrettante responsabilità in capo alla P.A. e ai suoi agenti, fanno capolino e permeano di sè tutta la normativa del CAD, talvolta più sottilmente, talaltra più apertamente. Sarà quindi compito dell’interprete verificare, di volta in volta se, tenuto conto del bilanciamento tra i suddetti principi, si potrà cogliere una qualche responsabilità e, in tal caso, se sarà possibile imputarla a soggetti determinati dalla legge oltrechè alla P.A. cui, come già visto, viene estesa la responsabilità civile ex art. 28 Cost. 21