dott. Gregorio Tito Anch’io sono stato colpito dalla lettura che Gabriele Vacis ha fatto di “Furore”. In particolare sarebbe interessante un discussione sull’ultima parte: il rapporto tra furore e indignazione. Ma per questo sarebbe necessaria una sede dedicata al tema. L’indignazione, mi pare, è la cifra del nostro tempo, mentre furore era il modo con cui Steinbeck interpretava il sentimento di ribellione e di solitudine dell’uomo americano di fronte a una crisi che non aveva elementi di sostegno. Oggi gli elementi di sostegno per fronteggiare la crisi ci sono e noi, rappresentanti delle istituzioni che si occupano dello stato sociale, siamo impegnati a renderli fruibili. L’indignazione è il sentimento e la consapevolezza di chi sa che si può in un qualche modo contrastare la deriva che la nostra società sta prendendo a causa dei fenomeni di disgregazione economica che conosciamo. Per quanto riguarda il nostro territorio, la Regione Piemonte, abbiamo presentato qualche mese fa, come ricordava Elide Tisi, un bilancio sociale in cui venivano evidenziati alcuni dati importanti. Gli anziani over 65 sono un quinto della popolazione piemontese e l’importo medio delle pensioni è 770 euro al mese. Questo dato ci impone una riflessione. Come mi è capitato più volte di ribadire, occorre gestire in modo integrato la problematica degli anziani. Bisogna fare sistema. Il tema è che ci sono esigenze sempre più urgenti ed estese a fronte di risorse sempre meno consistenti. Questa contraddizione va in qualche modo gestita, mettendo a fattor comune quello che abbiamo, come Istituzioni, perché singolarmente non andiamo da nessuna parte. Assieme, facendo sistema, forse riusciamo a dare alla società i servizi che in questo momento sono essenziali per tenerla unita. Sul tema degli anziani è giunto il momento di “mettere in piedi” il famoso “tavolo”, evocato ad ogni iniziativa pubblica, per creare un pacchetto di servizi integrato che metta insieme le prestazioni economiche (di cui si occupa l’INPS), le prestazioni sanitarie (di cui si occupano le ASL, quindi la Regione), le prestazioni assistenziali (di cui si occupano i Comuni). Fondamentale trovare anche un ruolo per il volontariato, che va integrato dentro un sistema di protezione sociale unitario. Così facendo, utilizzeremo al meglio le risorse che abbiamo e daremo sicuramente servizi migliori. L’altro fronte è quello dei giovani. Il dato drammatico è che un terzo degli under 19 ha perso il lavoro negli ultimi anni. È una generazione che rischia di essere perduta perché certamente non ha competenze culturali e professionali adeguate per rilanciarsi nel mercato del lavoro. Queste persone vanno recuperate attraverso un lavoro di squadra, in cui ognuno deve fare la sua parte mettendo in comune le cose che ha. L’INPS può mettere in comune una cosa importante, la propria banca dati. I nostri archivi dispongono della maggior parte delle informazioni dei cittadini italiani. Informazioni segmentabili e aggregabili a seconda delle necessità. Potrebbero essere utilizzati non solo per fini gestionali interni, ma per condividerli con le altre Istituzioni e per dare servizi. L’Inps è un Ente a carattere nazionale, ma attento anche al valore del territorio come luogo in cui vengono espressi bisogni essenziali e dove si costruisce la propria identità. Questi giovani vanno individuati e fatto uno screening sulle competenze possedute. Va fatta una verifica con le associazioni degli imprenditori sulle necessità che le imprese hanno e bisogna coinvolgere la Regione per individuare percorsi di formazione professionale. È un processo che deve necessariamente coinvolgere la scuola, perché deputata a sostenere gli sforzi di adeguamento culturale e professionale. È necessario ridare valore al contratto di apprendistato, tutelando il diritti di questi giovani al reinserimento nel mondo del lavoro. 1 Questi elementi vanno fatti confluire in un progetto unico, che non può essere il progetto di questo o quell’ente o struttura: deve essere riprogettato il sistema welfare, da declinare a livello territoriale, perché è solo nel territorio che questi fenomeni possono essere governati. Il Comune può svolgere un ruolo importante. Per le sue peculiarità e per il ruolo di presidio del territorio che ha. Altro problema è quello dell’immigrazione. Dai dati citati emerge che l’immigrazione è una risorsa e non un problema. Ma se un problema c’è, va individuato nell’emergenza di tipo legale. Non soffermarsi solo sul singolo immigrato irregolare, ma provare ad intercettare e colpire coloro che utilizzano in modo diffuso la tratta illegale delle persone nel nostro Paese. Anche qui, da soli non si va da nessuna parte. Dobbiamo mettere assieme le conoscenze. Quelle disponibili dalle anagrafi comunali, dall’INPS, dalla Questura, dai Carabinieri e dalla Guardia di finanza, dalla Magistratura, che, per quanto ne so, anche qui a Torino è molto sensibile su questo tema. Sulla possibilità, cioè, di applicare l’art. 18 della legge Bossi-Fini anche al caso in cui il lavoratore irregolare denunci il proprio datore di lavoro. È noto che l’applicazione di questa legge già accade per la prostituzione, laddove in caso di denuncia del proprio sfruttatore, può essere concesso il permesso di soggiorno. Credo che questa impostazione vada rafforzata ed estesa anche ai lavoratori immigrati che si trovano in stato di schiavitù. Questi lavoratori, risorsa per la nostra società, devono diventare titolari dei diritti di cittadinanza, ossia dei diritti legati al vivere in una realtà civile. Queste persone devono essere intercettate perché devono prendere coscienza dei servizi cui hanno diritto e, di cui spesso ignorano persino l’esistenza. Ancora una volta emerge l’importanza strategica del raccordo, della collaborazione tra le varie Istituzioni e le associazioni di volontariato. Dove queste ultime sono il fronte verso il mondo degli immigrati. Spesso gli immigrati si fidano e si affidano a queste associazioni e noi dobbiamo collaborare con loro, come ponte verso un mondo che diffida di noi Istituzioni. Anche il mondo delle imprese deve far parte di un simile progetto. Non per il welfare ma per le ricadute che gli immigrati hanno sull’attività produttiva. Promuovere la conoscenza degli strumenti disponibili alle imprese per favorire l’inserimento lavorativo e per poter lavorare nelle condizioni economicamente più vantaggiose. Sensibilizzare questo mondo aiuterà a sviluppare un concetto di concorrenza corretta. La lotta all’evasione da mero slogan, deve diventare un percorso condiviso con le istituzioni. C’è un rapporto diretto tra imprese e giovani. Non è un caso, a mio avviso, che ad un alta disoccupazione giovanile corrisponda una bassa crescita. Sono i giovani che hanno e danno valore, che hanno modernità, che sono in grado di pensare in modo nuovo e sono in grado di vivere e far vivere imprese innovative. Se noi tagliamo fuori i giovani dal mondo del lavoro, condanniamo anche il mondo delle imprese alla non-crescita e la società, nel suo complesso, al regresso. Queste sono le cose essenziali su cui, credo, dobbiamo esercitarci. L’iniziativa di oggi è importante, così come è importante la presenza di molte istituzioni. È importante che gli argomenti trattati oggi non li si considerino esauriti solo per averne parlato. Per questo è fondamentale il ruolo assunto dal Comune per costruire un percorso con altri momenti come questo e con la realizzazione di azioni conseguenti. Come ama dire un mio collega, pubblica amministrazione come infrastruttura per lo sviluppo, pubblica amministrazione come rete, pubblica amministrazione come sistema al servizio del Paese. Su questo l’INPS, la direzione regionale, le nostre sedi in Piemonte e a Torino in particolare, sono e siamo pienamente disponibili e entusiasti anche di lavorare assieme. 2