Lezione Elettrostatica I 1 Carica elettrica e forza di Coulomb È un dato sperimentale l’esistenza in natura di una forza non riconducibile ad altre forze fondamentali note, detta forza elettrostatica e agente tra corpi dotati di una proprietà chiamata carica elettrica, che è una grandezza fisica scalare misurabile. La descrizione del fenomeno è riassunta dalla formulazione matematica della forza di Coulomb che si esercita tra due corpi carichi “puntiformi”, ossia di dimensioni molto inferiori alla distanza che li separa, e fermi nel sistema di riferimento considerato.1 q1 q2 ~ (1) FC = kC 2 r dove kC è una costante universale, q1 e q2 misurano le cariche elettriche di cui sono dotati i due corpi, e r è la distanza che li separa. La forza è diretta secondo la congiungente e ha verso opposto per i due corpi, in accordo con la terza legge di Newton. Per scriverla in forma più precisa, esplicitandone la direzione e il verso, usiamo i vettori posizione delle particelle in un sistema di coordinate cartesiane: F~C12 = kC q1 q2 r1 3 (~ |~r1 − ~r2 | − ~r2 ) (2) dove F~12 è la forza risentita dal corpo 1 a causa della presenza del corpo 2. La terza legge di Newton è automaticamente garantita dalla forma in cui abbiamo scritto la forza. Infatti usando la stessa formula per esprimere la forza agente sul corpo 2 e dovuta al corpo 1 otteniamo F~C21 = kC q2 q1 |~r2 − ~r1 | r2 3 (~ − ~r1 ) = −F~C12 Calcolandone il modulo e chiamando r ≡ |~r2 − ~r1 | il modulo della distanza tra i due corpi, otteniamo la formula 1. Osserviamo che la forza • dipende linearmente da ciascuna delle due cariche; • è proporzionale all’inverso del quadrato della distanza; 1 Per i corpi carichi in moto la descrizione si complica, Ne studieremo alcuni aspetti più avanti; per il momento supporremo che i corpi carichi siano in quiete. 1 2 q1 • è scritta come il prodotto di quantità scalari (kC |~r q−~ 3 ) per un vetto2 r1 | re (~r2 − ~r1 ) e quindi ha le proprietà di un vettore per quanto riguarda il comportamento delle sue componenti in seguito a trasformazioni delle coordinate cartesiane (per esempio rotazioni, o simmetrie rispetto a un piano). È immediato il paragone con l’altra forza fondamentale che abbiamo incontrato, la forza di gravitazione q1 q2 r1 − ~r2 ) F~G12 = −G 3 (~ |~r1 − ~r2 | La forma funzionale è identica a eccezione del segno, che sta a indicare una differenza molto importante tra le due forze: per due corpi identici, la forza gravitazionale è attrattiva; la forza di Coulomb, al contrario, per due corpi identici dotati di carica elettrica è repulsiva. Non solo: mentre la forza gravitazionale è sempre attrattiva, quella coulombiana può essere sia attrattiva, sia repulsiva. Questa proprietà che, se vogliamo, possiamo interpretare come una caratteristica dei corpi anziché delle forze, è espressa numericamente dal fatto che mentre la massa è una grandezza che ha sempre segno positivo, la carica elettrica può avere segno positivo o negativo. Sperimentalmente si verifica l’esistenza di cariche che si respingono e cariche che si attraggono, e la descrizione del fenomeno è coerente con la suddivisione delle cariche in due categorie, distinte dall’attribuzione di un segno (prese due cariche attratte dallo stesso corpo, si verifica che tra loro si respingono, e cosı̀ via). L’attribuzione del segno positivo a una delle due categorie è totalmente arbitraria e convenzionale. La convenzione usata ha origini storiche (anteriori alla scoperta delle particelle subatomiche), e assegna carica negativa all’elettrone, positiva al protone. Principio di sovrapposizione È importante osservare che vale il principio di sovrapposizione , legato alla linearità della forza rispetto alle cariche: dato un sistema di più cariche elettriche, la forza che esse esercitano su una carica data è semplicemente la somma vettoriale delle forze esercitate dalle singole particelle. Se due diverse cariche qa e qb si trovano nella stessa posizione spaziale, la forza che esse esercitano su una terza carica Q è quindi uguale alla forza che eserciterebbe una carica pari alla somma algebrica delle due qa + qb ; se per esempio qa = −qb , la forza totale che esse esercitano su una terza carica è nulla. 1.1 Unità di misura e valori numerici Nel Sistema Internazionale di unità di misura, la carica elettrica è una grandezza fisica fondamentale,2 quindi non esprimibile in termini di altre grandezze, e si misura in coulomb(C). La costante kC , che deve essere dimensionale e non può essere un numero puro, per motivi storici si esprime in termini della costante 0 detta costante dielettrica del vuoto o permittività elettrica del vuoto. kC ≡ 1 ≈ 8.99 × 109 Nm2 C−2 4π0 2 In realtà, come vedremo, per motivi storico/sperimentali la grandezza nuova considerata fondamentale è la corrente elettrica, le cui dimensioni fisiche sono [carica elettrica]/[tempo]: a rigore, dunque, la carica elettrica è una grandezza derivata 2 Due cariche di 1 C poste a distanza di 1 m risentiranno dunque di una forza di circa 9 × 109 newton. 1.2 Confronto con la forza gravitazionale Tra le forze che abbiamo incontrato, e che si incontrano nell’esperienza quotidiana del mondo macroscopico, la forza elettrostatica e quella gravitazionale sono le uniche davvero fondamentali, ossia non riconducibili ad altre forze a livello microscopico. Confrontiamo l’entità della forza elettrostatica tra due particelle subatomiche dotate di carica elettrica con la forza gravitazionale che si esercita tra le due. Il protone, per esempio (nucleo dell’atomo di idrogeno), ha massa mp = 1.27 × 10−27 kg e carica elettrica |e| = 1.60 × 1019C Il rapporto tra la forza elettrostatica (repulsiva) e quella gravitazionale (attrattiva) tra due protoni non dipende dalla distanza (perché entrambe le forze sono proporzionali a 1/r2 ) e vale in modulo F~ k e2 C C ≈ 2 × 1036 = F~G Gm2p un numero spaventosamente elevato. Il motivo per cui a livello macroscopico prevale invece la forza gravitazionale è in ultima analisi il fatto che le particelle fondamentali possono avere carica elettrica di segno segno positivo, negativo o nullo, e che la materia ha globalmente carica nulla grazie al fatto (tuttora inspiegato a livello teorico) che protoni ed elettroni hanno carica elettrica esattamente opposta, pur essendo particelle di natura completamente diversa. La massa invece ha sempre lo stesso segno, e questo fa sı̀ che, mentre la forza elettrostatica tra due porzioni macroscopiche di materia è quasi sempre nulla grazie alla neutralità media, quella gravitazionale può solo aumentare all’aumentare del numero di particelle costituenti. La forza elettrica in realtà non si annulla completamente, giustapponendo particelle di carica opposta per costruire un corpo macroscopicamente esteso. Per illustrare ciò che accade consideriamo il caso in cui uno dei due protoni sia affiancato da un’altra particella (per esempio un elettrone) di carica opposta, a distanza d r, dove r è la distanza tra i due protoni di partenza. Supponiamo per semplicità che le tre particelle siano allineate lungo l’asse x, con l’elettrone nell’origine, il primo protone a x = d e il secondo a x = r. La forza risentita dalla carica lontana sarà la somma delle forze dovute alle due cariche opposte ravvicinate, e avrà solo componente x q2 1 q2 1 2 Fx = −kC 2 + kC (3) = k q + C r (r − d)2 r2 (r − d)2 Il termine tra parentesi quadre è la differenza tra il valore della funzione f (r) = r−2 calcolata in due valori vicini, approssimabile con uno sviluppo di Taylor al prim’ordine (o, se si preferisce, grazie alla defnizone di derivata come limite del rapporto incrementale) df ∆f ≡ f (r − d) − f (r) ≈ (−d) dr d=0 Nel nostro caso Fx ≈ k c q 2 3 2d r3 -­‐q + q d q r La forza residua è diretta nel verso positivo delle x perché la carica positiva è più vicina a quella lontana di quella negativa, e quindi esercita una forza in modulo lievemente maggiore. Mentre la forza gravitazionale tra il sistema di due cariche opposte (dipolo) e la carica a grande distanza rimane grosso modo la stessa di quella tra due protoni (la massa dell’elettrone è circa un duemillesimo di quella del protone), la forza elettrostatica non si annulla esattamente, ma viene soppressa di un fattore 2d/r: la forza non si annulla, ma la sua dipendenza dalla distanza si fa più marcata (1/r3 invece di 1/r2 ). Se per esempio d = 10−10 m (la distanza tipica tra elettrone e protone in un atomo di idrogeno) e r = 1m, il rapporto tra la forza elettrica e quella gravitazionale risentite dal protone distante diminuisce grosso modo di un fattore 1010 , che non è tuttavia sufficiente a rendere confrontabili le due forze. Se però ora affinchiamo al primo dipolo un secondo dipolo “uguale e opposto” (con la carica negativa più vicina della positiva), avremo un altro effetto di “quasi-cancellazione”, questa volta di due forze proporzionali a 1/r3 , e la nuova forza residua sarà proporzionale a 1/r4 , cioè sarà soppressa rispetto alla forza originale di un fattore (d/r)2 , mentre la forza gravitazionale sarà raddoppiata. Ciò che accade, quindi, è che aggiungendo nuove particelle (e in un corpo macroscopico ce ne sono dell’ordine di 1023 ) la forza gravitazionale aumenta linearmente con la quantità di materia aggiunta, mentre quella elettrostatica viene via via ridotta, anche se non annullata del tutto, con fattori del tipo (d/r)n , con d dell’ordine della distanza tra particelle microscopiche. La funzione (d/r)n , se n è grande, tende a 0 molto rapidamente per r > d, mentre tende a infinito molto rapidamente per r < d: in pratica al crescere di n la funzione diventa un “muro” e la forza residua, pressoché nulla a distanze maggiori di quelle interatomiche, diventa pressoché infinita appena la distanza diventa di quell’ordine (figura 1). È questa l’origine delle forze “di contatto” tra corpi macroscopici (per esempio due palline d’acciaio): la forza è nulla fintantoché la distanza tra le superfici dei due corpi macroscopici non diventa paragonabile a quella interatomica. A quel punto diventa enormemente grande, e dal punto di vista macroscopico è interpretabile come una forza di contatto (reazione), eventualmente impulsiva, che impedisce la compenetrazione dei corpi solidi e causa il rimbalzo delle palline l’una contro l’altra. 4 Figura 1: Andamento della funzione f (x) = (1/x)n con x = r/d, per n = 1 (curva bu), n = 6 (curva rossa), n = 12 (curva verde). Al crescere dell’esponente, il grafico della funzione si avvicina sempre più a una “parete” verticale in corrispondenza di x = 1 cioè di r = d. 2 Il campo elettrico Per il principio di sovrapposizione, la forza risentita da una carica puntiforme Q (carica di prova) è data dalla somma vettoriale delle forze esercitate da tutte le cariche elettriche presenti nello spazio circostante (tutte supposte in quiete: per questo si parla di elettrostatica). Tali forze sono tutte proporzionali a Q, e dunque lo è anche la loro somma. Formalmente, se la posizione della carica Q è descritta dalle coordinate ~r = (x, y, z) , si ha F~Q = N X kC i=1 Qqi ~ r) (~r − ~ri ) ≡ QE(~ |~r − ~ri |3 ~ r) dove abbiamo definito il campo elettrico E(~ ~ r) = E(~ N X i=1 kC qi (~r − ~ri ) |~r − ~ri |3 Il campo elettrico non è quindi altro che il fattore (vettoriale) di proporzionalità tra la forza risentita dalla carica Q e il valore della carica stessa. Normalmente si specifica che questo fattore di proporzionalità deve essere calcolato o misurato nel limite per Q → 0, cosicché la carica di prova non modifichi la 5 posizione delle altre cariche presenti nello spazio: ~ ~ r) = lim FQ (~r) E(~ Q→0 Q Il campo elettrico è un esempio di campo vettoriale, una funzione che associa a ogni punto dello spazio una grandezza vettoriale, dunque tre grandezze fisiche - dimensionali - che ne rappresentano le componenti in un dato sistema di coordinate. Abbiamo già visto in meccanica un esempio di campo vettoriale: il campo gravitazionale in prossimità della superficie terrestre, rappresentato dal vettore ~g dell’accelerazione di gravità. In quel caso la funzione ~g (~r) è particolarmente semplice: si tratta di una funzione costante, che a ogni punto assegna lo stesso vettore. Analogamente al campo elettrico, il campo gravitazionale ~g è definito come il rapporto tra la forza peso risentita da un corpo puntiforme in prossimità della superficie terrestre, e la massa del corpo stesso. Il campo elettrico prodotto da una carica puntiforme q (in quiete) situata nell’origine degli assi cartesiani è ~ r) = kC q r̂ E(~ r2 2.1 Distribuzioni di carica discrete e continue Nel definire il campo elettrico abbiamo supposto di essere in presenza di N cariche puntiformi, con posizioni assegnate. È quella che viene chiamata una distribuzione discreta di cariche. Sappiamo dalla descrizione moderna del mondo microscopico che la materia è in effetti costituita di particelle discrete eventualmente dotate di carica elettrica, il cui valore è sempre un multiplo intero3 della carica dell’elettrone. Qualunque corpo macroscopico è dunque descritto in teoria da un insieme molto grande di cariche puntiformi. Ma una tale descrizione può risultare estremamente scomoda quando le cariche puntiformi sono in grande numero e a distanze molto piccole le une dalle altre, esattamente come accade per la distribuzione di massa dei corpi estesi in meccanica. Risulta quindi spesso utile approssimare la distribuzione discreta con una distribuzione continua, introducendo la densità di carica di volume, analoga della densità di massa e in generale dipendente dal punto qi −→ dq = ρ dV dove dV è un elemento infinitesimo di volume. L’espressione del campo elettrico generato da una distribuzione continua di cariche sarà dunque la generalizzazione di quella scritta sopra per una distribuzione discreta: ~ r) = E(~ N X qi (~r − ~ri ) −→ kC |~ r − ~ri |3 i=1 3 per Z kC ρ dV 0 (~r − ~r0 ) |~r − ~r0 |3 le particelle stabili come elettroni e i protoni. I costituenti del protone, chiamati quark, hanno carica frazionaria rispetto a quella dell’elettrone, ma non si possono osservare allo stato libero 6 dove ~r0 rappresenta le coordinate dei punti in cui si trova la carica, e su cui viene fatta la somma, e dV 0 un elemento di volume in ~r0 . Spesso le cariche sono distribuite su volumi che hanno una o due dimensioni trascurabili rispetto alle altre. Si usano in questo caso le approssimazioni di densità di carica superfciale σ nel caso bidimensionale dq = σ dA e densità di carica lineare λ nel caso unidimensionale: dq = λ dl anch’esse non necessariamente indipendenti dal punto. 2.2 Linee di campo (o linee di flusso) Un altro esempio di campo vettoriale è quello che associa a ogni punto di un fluido incomprimibile la velocità di una porzione infinitesima di liquido localizzata in quel punto. Un tale campo di velocità, pur descrivendo una situazione non statica (il fluido si muove) può essere stazionario, ossia non dipendere dal tempo (si pensi per esempio alla velocità dell’acqua in una tubatura o in un fiume, o nella vasca di una fontana: la velocità dell’acqua misurata in un punto di coordinate date può non dipendere dal tempo). In quel caso è abbastanza intuitivo usare come rappresentazione del campo di velocità le cosiddette linee di flusso, che corrispondono alle traiettorie di singole porzioni di fluido seguite nel loro cammino. Se pensiamo per esempio di mettere un oggetto leggero (il classico seme di limone) nell’acqua di una tubatura o di un fiume, questo muovendosi in modo solidale al fluido descriverà una certa traiettoria a partire dal punto iniziale in cui lo poniamo. Come sappiamo dalla cinematica, la traiettoria è una linea continua che non descrive completamente il moto dell’oggetto, ma è tale che in ogni punto la velocità è tangente alla curva. Disegnare le linee di flusso di un fluido rappresenta graficamente in modo intuitivo il percorso seguito dal fluido, e dà informazioni sulla direzione della sua velocità in ogni punto. ! v Figura 2: Linee di flusso in un fluido. La velocità del fluido in ogni punto è tangente alla linea. 7 In maniera del tutto analoga si possono descrivere anche gli altri campi vettoriali (a patto che le funzioni che li descrivono abbiano buone proprietà di continuità, ecc.), per esempio il campo elettrico. L’uso grafico delle linee di campo non ha quasi mai un’utilità quantitativa, ma è spesso comodo per visualizzare il campo in maniera immediata. Ricapitolando, le linee di flusso (dette anche linee di forza o linee di campo) sono tali che per ogni punto dello spazio ne passa una e una sola (tranne in punti “patologici” in cui il campo non è definito o è nullo), ed è tangente al vettore campo in quel punto. Le linee di campo vengono in genere disegnate con un orientamento (rappresentato da una freccia) che indica il verso, oltre alla direzione, da attribuire al vettore tangente. Figura 3: Linee di campo (o linee di forza) del campo elettrico prodotto da due cariche puntiformi di segno opposto. In figura sono rappresentate, come esempio, linee di campo elettrico generato da un sistema di due cariche puntiformi di uguale valore assoluto ma segno opposto. In molte situazioni, per esempio nel caso di un fluido incomprimibile o di un campo elettrico nel vuoto, la rappresentazione in termini di linee di flusso dà informazioni non solo su direzione e verso del campo in ogni punto, ma anche sulla sua intensità. Infatti vale la regola che dove le linee disegnate si “infittiscono” l’intensità del campo aumenta, e diminuisce dove si diradano. Ma va tenuto presente che questo è vero solo per una particolare categoria di campi, quelli in cui si conserva il flusso, come vedremo in seguito. Non è quindi una regola valida sempre. 2.3 Esempi di calcolo di campo elettrico Molto spesso le distribuzioni di carica da studiare sono particolarmente simmetriche. Questo significa che la loro descrizione rimane invariata applicando alle coordinate un’isometria (traslazione, rotazione, riflessione rispetto a un piano). Lo stesso deve avvenire per il campo elettrico: il campo “trasformato” (ruotato, ribaltato, ecc.) deve essere identico a quello originale. Come esempio prendiamo una distribuzione carica simmetrica per riflessione rispetto a un piano (per esempio il piano y, z: questo significa che se cambiamo il verso dell’asse x lasciando invariati gli altri due, otteniamo la stessa descrizione (la distribuzione 8 di carica “vista allo specchio” rimane invariata, se lo specchio è il piano y, z). Anche il campo elettrico generato deve essere tale che i vettori che si trovano in punti simmetrici rispetto al piano sono a loro volta simmetrici rispetto a quel piano, ossia hanno componente x cambiata di segno mentre le altre due sono rimaste identiche. Come conseguenza, il campo elettrico su tutti i punti di un piano di simmetria non può avere componenti perpendicolari al piano stesso. (figura 5). Figura 4: Cambiando il segno alla coordinata x, cioè applicando una riflessione rispetto al piano y, z si ottiene una distribuzione di carica “ribaltata” o “riflessa”. Anche i vettori campo elettrico nei punti corrispondenti vengono “riflessi”. Figura 5: Il campo elettrico di una distribuzione di carica simmetrica rispetto a un piano (verticale in figura) gode della stessa simmetria. Il campo in ciascun punto del piano di simmetria deve giacere sul piano stesso. 9 Campo lungo l’asse di un anello circolare uniformemente carico Consideriamo una distribuzione di carica unidimensionale uniforme disposta ad anello circolare di raggio R; vogliamo calcolare il campo elettrico che si produce lungo l’asse dell’anello. Per comodità disponiamo gli assi coordinati in modo che l’anello giaccia sul piano x, y e sia centrato nell’origine. L’asse z è l’asse di simmetria della distribuzione: qualunque rotazione di un angolo φ attorno all’asse z lascia il sistema totalmente invariato, e lo stesso deve essere vero anche del campo elettrico. Questo implica che il campo su un punto qualunque dell’asse deve essere diretto come l’asse stesso. Se avesse una componente radiale, infatti, il vettore non rimarrebbe invariato per una rotazione attorno all’asse. La distribuzione di carica è anche simmetrica rispetto al piano z = 0: i vettori campo elettrico in due punti che si trovano in posizioni simmetriche rispetto all’asse z saranno “riflessi” rispetto al piano stesso, e quindi avranno componenti z opposte: Ez (x, y, z) = −Ez (x, y, −z) In particolare, lungo l’asse si ha Ez (z) = −Ez (−z) Per calcolare il campo elettrico nel punto dell’asse di coordinata z dobbiamo sommare tutti i contributi dei piccoli segmenti di arco d` in cui suddividiamo l’anello. Ciascun segmento ha una carica dq = λ d` dove λ = Q/2πR è la densità lineare di carica. dEz z R dq Figura 6: Contributo al campo elettrico sull’asse dell’anello dovuto a un segmentino di arco. Ogni elementino produce sull’asse un campo uguale a quello di una carica puntiforme, di modulo ~ = kC |dE| 10 dq R2 + z 2 dove r2 = R2 +z 2 è la distanza tra l’elemento di carica e il punto in cui si misura il campo, il quale avrà componente z positiva se z > 0 e dq > 0. È appunto la componente z che dobbiamo calcolare,√e la otteniamo moltiplicando il modulo del contributo al campo per cosθ = z/ R2 + z 2 . Otteniamo quindi dEz = kC dq z λd` z = kC 2 (R2 + z 2 )3/2 (R + z 2 )3/2 Per ottenere il campo totale, dato che z, R e l’angolo θ sono uguali per tutti i contributi, dobbiamo semplicemente sommare i dq = λ d` Ez = kC (R2 2πRλ z Qz = kC 2 2 3/2 +z ) (R + z 2 )3/2 Osserviamo che si tratta di una funzione dispari in z, come ci aspettavamo dalla simmetria rispetto al piano z = 0. Inoltre, nel limite di z/R 1 il termine R2 è trascurabile rispetto a z 2 al denominatore, e si ottiene Ez −→ kC Q z2 che è il campo di una carica puntiforme, come ci si doveva aspettare. A distanze grandi rispetto alle sua dimensioni tipiche, infatti, la carica viene percepita come puntiforme indipendentemente dalla sua forma. Campo lungo l’asse di un disco circolare uniformemente carico. Sfruttiamo il calcolo precedente per calcolare il campo prodotto da un disco circolare di raggio R sul quale è presente una densità superficiale di carica σ. Suddividiamo il disco in tante piccole corone circolari di raggio interno r e raggio esterno r + dr, la cui area (al prim’ordine in dr) vale dA = 2πrdr, e la cui carica vale dunque dQ = 2πσrdr dE z R r dq = σ 2πr dr Figura 7: Contributo al campo elettrico sull’asse del disco dovuto a una coroncina circolare. 11 Dall’esercizio precedente sappiamo che questa coroncina, assimilabile a un anello, produce in un punto dell’asse di coordinata z un campo dEz = kC dQ z (r2 + 3 z2) 2 = kC 2πσz rdr 3 (r2 + z 2 ) 2 Per ottenere il campo totale lungo z dobbiamo sommare (integrare) i vari contributi Z R h iR r 2 2 − 12 dr = 2k πσz −(z + r ) Ez = 2kC πσz C 2 2 3/2 0 0 (r + z ) cioè Ez = 2kC πσz 1 1 − |z| (z 2 − R2 ) 21 Si può dimostrare con uno sviluppo di Taylor al prim’ordine del secondo termine, che per R/z 1 (campo a grandi distanze) si ottiene di nuovo il campo di una carica puntiforme Q = σπR2 . È invece più interessante vedere che cosa accade nel limite opposto, quello in cui R/z 1: a z fisato, questo corrisponde a mandare all’infinito il raggio del disco, ottenendo un piano indefinito con densità di carica uniforme σ. In questo limite il secondo termine tra parentesi nell’espressione del campo tende a zero, e rimane Ez = 2kC πσ z σ z = |z| 20 |z| l campo risulta quindi uniforme e perpendicolare al piano nei due semispazi z > 0, z < 0. 12