1 CONCETTI INTRODUTTIVI Scriveva Galileo Galilei ne ”Il Saggiatore”: La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo) ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto. La filosofia di cui parla Galilei è la filosofia naturale, il cui scopo è la ricerca della vera costituzione del mondo naturale e il grandissimo libro che costantemente ci sta aperto innanzi agli occhi è il libro della natura. Se il nostro scopo è dedurre le leggi fisiche della natura, per portare a termine il nostro progetto dobbiamo esaminare direttamente la natura e quello che in essa vi accade. Allora possiamo dire che la Fisica ha in sé un aspetto sperimentale. Ma come vanno formulate le leggi della natura? Il linguaggio, dice Galilei, è quello della matematica perché come sottolineava anche Henry Poincaré, la formulazione delle leggi della natura deve avvenire in un linguaggio speciale, perché il nostro linguaggio ordinario è troppo povero oltre che impreciso per poter esprimere relazioni così precise e ricche di contenuto. Il linguaggio speciale delle leggi fisiche è la matematica, non solo nella sua veste geometrica come suggeriva Galilei. Allora, la Fisica ha in sé anche un aspetto teorico, in quanto utilizza un linguaggio artificiale per costruire i suoi modelli. L’insieme dell’aspetto teorico e sperimentale fanno della Fisica una Scienza. Lo scopo di questo primo capitolo è quello di fissare il linguaggio della fisica classica e introdurre alcune grandezze fisiche, la cui definizione rappresenta la premessa della nostra indagine. Inoltre, i concetti che introdurremo in questo capitolo di per sé non servono a spiegare il moto, ma solo a descriverlo (cinematica). Il problema delle cause del moto (dinamica) sarà arontato nel secondo capitolo. 2 Il punto materiale Poiché uno dei nostri scopi è capire alcuni fenomeni che si presentano alla nostra attenzione nella vita quotidiana, il punto di partenza della nostra analisi è l’osservazione della realtà che ci circonda. Essendo la realtà vasta e complessa, occorre estrapolare da essa, sulla base dell’osservazione, alcuni concetti semplici e stabilire tra essi delle relazioni. Questo è il primo momento del ”metodo scientifico”. Tale metodo, che procede per approssimazioni successive, fu introdotto per la prima volta da Galilei. Secondo la visione aristotelica i fenomeni che appartengono alla nostra esperienza quotidiana sono semplici e facilmente spiegabili (anche se talvolta solo in forma qualitativa). Per Galilei, al contrario, il mondo quotidiano è di di!cile comprensione perché anche il più semplice dei fenomeni è in realtà molto spesso complesso. Per descrivere qualitativamente le due metodologie facciamo 1 riferimento alla caduta libera di un corpo. Secondo Aristotele un corpo lasciato libero, dopo un certo tempo, raggiunge una velocità costante e la mantiene fino a che non raggiunge il suolo (in questa fase non ci chiediamo il perché cade!). In tal caso, il valore costante della velocità risulta essere proporzionale al peso del corpo e inversamente proporzionale alla resistenza dell’aria. Nell’analisi aristotelica della caduta libera manca uno degli aspetti fondamentali del metodo scientifico, ovvero non si è distinto tra aspetti primari e secondari di un fenomeno. L’analisi proposta da Galilei è sorprendentemente moderna. Innanzitutto egli considera la resistenza dell’aria come un aspetto secondario del fenomeno della caduta. Non che la resistenza dell’aria non sia importante per descrivere la caduta dei corpi nella realtà ma essa va aggiunta dopo che si è mostrato il carattere fondamentale del fenomeno caduta. In altri termini, nella complessità del fenomeno della caduta, se si vuole giungere alla corretta descrizione della stessa, occorre saper vedere ed escludere gli aspetti secondari, per poi riconsiderarli in un secondo tempo. Eliminata momentaneamente la resistenza, egli pensò di progettare un esperimento ideale, al quale associare un modello matematico, da cui dedurre le relazioni tra le quantità fisiche coinvolte nella caduta. Inoltre, non avendo a disposizione gli strumenti per le misure dirette delle velocità dei corpi lungo la traiettoria reale, Galilei escogitò delle misure indirette (rapporto tra spazi percorsi e quadrati dei tempi impiegati) in un esperimento indiretto (discesa dei corpi lungo piani inclinati). Dopo aver estrapolato i suoi risultati sperimentali (vedi tutta la discussione quantitativa nel secondo capitolo) dedusse la sua conclusione, che doveva avere un carattere generale. In altre parole, secondo il metodo scientifico, occorre estrapolare dai fenomeni reali gli aspetti primari, progettare spesso un esperimento ideale, dal quale dedurre un modello, i cui risultati dovranno essere riverificati negli esperimenti reali, quando possibile. Quello che spesso, però, non viene detto in maniera su!cientemente chiara, quando si parla di metodo scientifico, è che l’estrapolazione degli aspetti primari di un fenomeno non consente spesso di realizzare esperimenti reali. Di qui la presenza frequente, nel metodo galileiano, del ricorso all’esperimento ideale, ovvero il ricorso alla riflessione speculativa, pur nata dall’analisi dei fenomeni reali. Talvolta, è solo dagli esperimenti ideali che si riesce ad estrapolare quei caratteri primari di un fenomeno, così indispensabili alla comprensione del fenomeno stesso. Passiamo ora alla presentazione di alcuni concetti indispensabili per capire il moto dei corpi. Iniziamo lo studio della ”realtà” introducendo il concetto di punto materiale. La Terra è un corpo piuttosto grande, ma nel nostro Sistema Solare se si assume che essa abbia le dimensioni di un punto, le proprietà del suo movimento intorno al Sole si possono descrivere con questa grossolana approssimazione. Abbiamo appena operato una semplificazione della realtà, che si è mostrata piuttosto utile. Nel fare ciò, abbiamo introdotto il concetto di punto materiale: Il punto materiale è un oggetto molto piccolo rispetto alle dimensioni dell’ambiente in cui si svolgono dei fenomeni fisici che hanno quell’oggetto come protagonista. 2 Il punto materiale è, allora, una schematizzazione che facciamo dei corpi materiali, che ci consente, in determinate condizioni, di considerarli senza dimensione, ovvero equivalenti a dei punti matematici. Tuttavia, è chiaro che nessun corpo fisico, per quanto piccolo, può considerarsi in assoluto senza dimensione. Con questa precisazione possiamo dire che la posizione di un punto materiale può essere definita come quella di un punto geometrico. Fino ad ulteriore avviso il nostro scopo sarà di studiare il moto di un punto materiale. 3 Il concetto di spazio Scriveva Newton: Non definisco invece, tempo spazio, luogo e moto, in quanto notissimi a tutti. Va notato, tuttavia, come comunemente non si concepiscono queste quantità che in relazione a cose sensibili. Di qui nascono i vari pregiudizi, per eliminare i quali conviene distinguere le medesime quantità in assolute e relative, vere e apparenti, matematiche e volgari. Lo spazio assoluto, per sé senza relazione ad alcunché di esterno, rimane sempre uguale e immobile; lo spazio relativo è una misura o dimensione mobile dello spazio assoluto, che i nostri sensi definiscono in relazione alla sua posizione rispetto ai corpi, ed è comunemente preso al posto dello spazio immobile; così la dimensione di uno spazio sotterraneo o aereo o celeste viene determinata dalla sua posizione rispetto alla Terra. Lo spazio assoluto e lo spazio relativo sono identici per grandezza e specie, ma non sempre permangono identici in quanto al numero. Infatti se la Terra, per esempio, si muove, lo spazio che contiene la nostra aria, e che, relativamente alla Terra, rimane sempre identico, ora sarà una data parte dello spazio assoluto attraverso cui l’aria passa, ora un’altra parte di esso; e così, senza dubbio, muterà incessantemente. Secondo Newton abbiamo allora due tipi di spazi: lo spazio assoluto e lo spazio relativo. Il primo rimane immutabile e serve sostanzialmente da contenitore degli eventi fisici. Su questo spazio ”contenitore” nessun fenomeno fisico può avere alcuna influenza. Esso rimane immutabile qualunque evento fisico sia accaduto, accade o accadrà in futuro. La concezione di uno spazio contenitore non era l’unica visione di spazio sostenuta ai tempi di Newton. Basterà ricordare la concezione relazionale di spazio, che faceva capo ad Aristotele, secondo la quale lo spazio non è qualcosa di esistente per sè (ovvero in modo indipendente dalla presenza dei corpi che in esso esistono), ma dipende dai corpi in esso contenuti, in virtù delle loro interrelazioni reciproche. Se poi si aggiunge che, sempre per Aristotele, ogni sostanza ha un suo luogo naturale verso il quale essa cerca di ritornare se ne fosse allontanata, arriviamo anche ad una concezione non-omogenea dello spazio stesso. Rinviando, per ora, la discussione sulle implicazioni del spazio assoluto, ci limiteremo all’analisi dello spazio, in relazione a determinati sistemi di coordinate. 3 4 I sistemi di coordinate Supponiamo che un punto materiale si muova nello spazio. Risolviamo, prima, il problema della individuazione di un punto immobile nello spazio. I sistemi di coordinate svolgono tale compito. Esistono diversi sistemi di coordinate che si dierenziano per le modalità con cui vengono individuati i vari punti dello spazio. Lo spazio relativo della Meccanica Newtoniana trova la sua prima caratteristica attraverso l’esperienza quotidiana. Infatti, l’esperienza quotidiana consente di aermare che lo spazio della Meccanica Newtoniana è descrivibile mediante la geometria euclidea. 4.1 Le coordinate cartesiane Un modo per individuare un punto nello spazio euclideo è quello di assegnare tre rette (assi coordinati ) mutuamente ortogonali intersecantesi in un punto comune (origine degli assi) a partire dal quale, utilizzando una comune unità di misura delle lunghezze, si possono misurare i vari segmenti di retta. Ciascun punto dello spazio può pensarsi individuato dalle intersezioni sui tre assi dei tre piani, passanti per il punto ed ortogonali a ciascun asse. La misura dei segmenti di retta che vanno dall’origine ai punti di intersezione costituiscono le coordinate cartesiane del punto materiale. Gli assi cartesiani si indicano con le tre seguenti lettere (maiuscole o minuscole) ([> \> ]) e il punto P indicato nella Fig.1a avrà le coordinate ([1 > \1 > ]1 ). Nel Sistema Internazionale, che sarà adottato in questo libro, l’unità di misura delle lunghezze è il metro (indicato con p). Poiché una caratteristica essenziale delle scienze è la riproducibilità di ogni esperimento, è chiaro che deve essere definito un metro campione, cioé una lunghezza standard rispetto alla quale tutte le altre lunghezze si devono confrontare. La necessità di un unico metro campione fu accettata solo dopo la Rivoluzione Francese e le dimensioni della Terra furono scelte come base per la definizione dell’unità di lunghezza (107 di un quarto di cerchio meridiano!). Fu preparato, su tale base, una barra di platino e conservata presso l’U!cio Internazionale di Pesi e Misure di Sèvres (Francia). 4 La definizione attuale di metro campione, prescinde dalla conservazione reale di un metro campione e si fonda sulla velocità della luce nel vuoto e sarà data più avanti. Per ora, conveniamo che esso esiste e viene accettato dalla comunità scientifica. 4.2 Le coordinate polari Molto spesso i punti materiali che analizzeremo si muoveranno su dei piani (moti piani ). In tal caso, gli assi cartesiani si riducono solo a due e conseguentemente un punto materiale può rappresentarsi mediante due coordinate cartesiane, per esempio ({> |). In tal caso, scriveremo S = ({1 > |1 ) Un modo alternativo di rappresentare un punto in un piano è quello di dare la sua distanza OP, da un centro, detto polo e l’angolo ! che la semiretta OP forma con un asse di riferimento, detto asse polare (scegliamo l’asse delle {): Queste nuove coordinate sono dette polari e un punto viene individuato dalle coordinate S = (u> !) dove abbiamo posto RS = u. Si può passare da un sistema di coordinate ad un’altro mediante delle trasformazioni. Nel caso in figura, le trasformazioni dal sistema di coordinate polari a quelle cartesiane sono: { = u cos ! | = u sin ! (1) Le trasformazioni inverse sono: p | (2) u = {2 + | 2 { Lo strumento per misurare gli angoli si chiama goniometro. In geometria si preferisce misurare l’ampiezza di un angolo in gradi sessagesimal i ( ) Il grado è la 360 parte di un angolo giro. Nel S.I. l’unità di misura dell’angolo piano è il radiante (rad). La misura dell’angolo !, tan ! = 5 come rapporto tra la misura dell’arco e il raggio corrispondente S 0S 0 S0 S1 = 00 1 r r è detta misura in radianti (rad) dell’angolo considerato: != v (3) u La misura di un angolo, quando è espressa in radianti, essendo il rapporto di due lunghezze, è senza dimensioni. A cosa corrisponde un angolo che misura esattamente un radiante? L’ampiezza dell’angolo al centro che corrisponde ad un arco di circonferenza pari al raggio, è uguale ad un radiante. Allora, il radiante è la misura di un angolo piano, con il vertice nel centro di una circonferenza, che sottende un arco di lunghezza uguale al raggio. Se si ricorda che la lunghezza di una circonferenza è 2U, si può dire che in una circonferenza sono contenuti 2 archi lunghi quanto il raggio e che quindi un angolo giro è uguale a 2 radianti o se si preferisce il radiante è la 2 parte di un angolo giro. La relazione tra le due unità si deduce dalla seguente uguaglianza: !udg = ! ! = udg 360 2 Esplicitando si trova che 1udg ' 57> 29 5 1 ' 0> 02udg I vettori In principio, tutti possono riprodurre un esperimento e formulare leggi fisiche. Di conseguenza esistono una infinità di sistemi di riferimento da cui analizzare la realtà. Una richiesta ragionevole per l’analisi della realtà fisica sembrerebbe quella che la formulazione delle leggi fisiche sia indipendente dalla scelta del sistema di assi coordinati. Il linguaggio dei vettori ore una tale possibilità. Definizione (Parte prima): Un vettore è una grandezza fisica caratterizzata da una direzione, un verso e un valore numerico (o modulo o intensità). 6 Indicheremo col simbolo a il generico vettore; il suo modulo con |a| o con la semplice lettera d . Con il simbolo ud indicheremo il versore (ovvero il vettore di modulo unitario) associato al vettore a . Il versore ud ha la stessa direzione e verso di a ma il suo modulo, nel sistema di unità di misura delle lunghezze usato, vale uno. Allora, si può rappresentare un vettore anche nel seguente modo: a = |a| ud = dud (4) I vettori di cui per il momento vogliamo parlare sono quelli detti liberi. Un tale vettore non è necessariamente localizzato in un particolare punto dello spazio, per cui due vettori possono confrontarsi. Sulla base della validità della geometria euclidea, su cui si fonda anche l’uso corrente dei vettori, è possibile definire la proprietà fondamentale dei vettori. Proprietà fondamentale dei vettori: la somma Nello spazio un vettore è rappresentabile graficamente da un segmento orientato. La lunghezza del segmento rappresenta, in rapporto ad una determinata unità di misura, il valore del modulo, la direzione del segmento è la direzione del vettore, mentre il verso è indicato da una cuspide. La somma di due vettori a e b è un terzo vettore c = a + b che si ottiene dai primi due usando la regola del parallelogramma: Tale operazione gode della proprietà commutativa: a+b=b+a (5) a + (b + c) = (a + b) + c (6) della proprietà associativa: Definizione: I vettori sono grandezze fisiche con un modulo, una direzione e un verso che si sommano secondo la regola del parallelogramma. Quale significato dobbiamo dare alla dierenza di due vettori a e b? Definiamo prima il vettore a. Esso corrisponde ad un vettore che annulla il vettore a: a + (a) = 0 7 (7) In altre parole, il vettore a ha lo stesso modulo e direzione di a, ma di verso opposto. Il vettore dierenza, tra il vettore a e il vettore b è il vettore somma tra il vettore a ed il vettore (b): a b = a + (b) (8) Definizione: Una grandezza scalare è una grandezza che viene completamente caratterizzata da un valore numerico (intensità). Il prodotto di una quantità scalare k e di un vettore a è un nuovo vettore che ha la stessa direzione e verso di a e modulo pari al prodotto di k per il modulo del vettore a, cioè: na ndud (9) La moltiplicazione di un vettore per uno scalare gode della proprietà distributiva: n (a + b) = na + nb 5.1 Rappresentazione cartesiana dei vettori I versori degli assi cartesiani ({> |> }) saranno indicati con u{ > u| > u} 8 (10) Supponiamo di avere un vettore b che giace lungo l’asse | e un vettore a che giace lungo l’asse {. Poiché il versore u| determina la direzione e il verso positivo dell’asse |, mentre il versore u{ determina la direzione e il verso positivo dell’asse {, potremo scrivere a = du{ b = eu| Usando i vettori a e b, potremo costruire il vettore somma a + b = c. Il vettore c appartiene al piano {| e si potrà scrivere c =du{ + eu| Poiché, i versori non cambiano, gli scalari (d> e) caratterizzano in maniera univoca il vettore c (vedi figura sotto, a sinistra) Il procedimento che associa a due vettori, uno posto sull’asse { e l’altro sull’asse |, un terzo vettore del piano, in maniera univoca, è un’operazione analoga (vedi figura sopra, a destra). Più precisamente, ad ogni vettore c del piano {| possiamo associare, in maniera univoca, due vettori a e b in maniera tale che c=a+b ovvero c =f{ u{ + f| u| dove (f{ > f| ) sono dette componenti cartesiane del vettore c. Consideriamo un vettore a in un piano. Se (d{ > d| ) sono le sue componenti cartesiane, usando il teorema di Pitagora possiamo scrivere q d = d2{ + d2| (11) 9 Inoltre, l’angolo che forma il vettore con l’asse { sarà dato da tan = d| d{ (12) Conoscendo le componenti cartesiane siamo in grado di determinare sia il modulo che la direzione del vettore. L’estensione alle tre dimensioni dello spazio è immediata. Un vettore dello spazio potrà scriversi a = d{ u{ + d| u| + d} u} (13) dove (d{ > d| > d} ) sono le componenti cartesiane del vettore a . In ogni momento, possiamo sostituire ad un vettore la sua rappresentazione cartesiana e viceversa. 5.2 Il prodotto scalare tra due vettori Definizione: Il prodotto scalare tra due vettori a e b (e lo indicheremo con a · b) è uno scalare definito dal seguente valore a · b = de cos (14) dove è l’angolo tra i due vettori. Valgono per tale prodotto sia la proprietà commutativa che quella distributiva: a·b=b·a (15) a · (b + c) = a · b + a · c (16) Se i due vettori sono uguali, avremo a · a = d2 (17) ovvero, il modulo di un vettore, si può anche scrivere d= s a·a (18) Il prodotto scalare può servire a calcolare la lunghezza di un vettore. Notiamo, ancora, che essendo il prodotto scalare determinato dal coseno dell’angolo compreso tra i due vettori, se i due vettori sono ortogonali il prodotto scalare è nullo. Per tale proprietà, il prodotto scalare può essere usato per imporre la condizione di ortogonalità tra due vettori, oppure per verificare una ortogonalità tra due direzioni. Ogni vettore, abbiamo visto, si può rappresentare mediante le sue componenti in un determinato sistema di riferimento cartesiano. Si può facilmente mostrare che se si conoscono le componenti cartesiane, di due vettori 10 a = d{ u{ + d| u| + d} u} b = e{ u{ + e| u| + e} u} il prodotto scalare si può scrivere: a · b = d{ e{ + d| e| + d} e} (19) Per provare la (19), basta fare i prodotti ed osservare che u{ · u| = u{ · u} = u| · u} = 0 u{ · u{ = u| · u| = u} · u} = 1 Dalla (19) segue che |a| = d = q d2{ + d2| + d2} (20) cioè, il modulo di un vettore è uguale alla radice quadrata della somma dei quadrati delle singole componenti cartesiane. Il prodotto scalare tra due vettori (a · b) può anche essere visto, come il prodotto del modulo di a per la proiezione di b nella direzione a e viceversa. In particolare, le componenti cartesiane di un vettore si possono scrivere d{ = a · u{ d| = a · u| d} = a · u} (21) Più in generale, se uq , è il versore di una generica direzione, la componente del vettore a nella direzione q sarà dq = a · uq 5.3 (22) Il prodotto vettoriale tra due vettori Definizione: Il prodotto vettoriale tra due vettori a e b (e lo indicheremo con a a b ) è un vettore con direzione ortogonale al piano individuato da a e b e modulo dato dalla seguente relazione |a a b| = de sin (23) Per la determinazione del verso si possono adottare diverse regolette equivalenti. La regola della mano destra: se con le dita si segue la sovrapposizione del vettore a sul vettore b, il verso è indicato dal pollice 11 Il prodotto vettoriale è anticommutativo: a a b = b a a (24) Il prodotto vettoriale gode della proprietà distributiva: a a (b + c) = a a b + a a c (22) Non è di!cile provare che valgono per i versori degli assi cartesiani le seguenti relazioni: u{ a u| = u} u| a u} = u{ u} a u{ = u| (23) In tal caso si dice che la terna di assi cartesiani è destrorsa. La rappresentazione cartesiana del prodotto vettoriale tra due vettori si scrive a a b = (d| e} d} e| ) u{ + (d} e{ d{ e} ) u| + (d{ e| d| e{ ) u} (24) La prova della (24) si fonda sulle relazioni (23) Una regola mnemonica per ricavare le componenti cartesiane del prodotto vettoriale è la risoluzione del seguente determinante: ¯ ¯ ¯ u{ u| u} ¯ ¯ ¯ ¯ d{ d| d} ¯ ¯ ¯ ¯ e{ e| e} ¯ Inoltre, osserviamo che il modulo del prodotto vettoriale tra due vettori a e b è uguale all’area del parallelogramma individuato da essi (Problema N.4). 6 I vettori del moto I vettori che introdurremo nelle prossime sezioni di questo capitolo costituiscono le basi su cui si costruisce ogni altro concetto relativo al moto dei corpi. La loro comprensione è allora un prerequisito per ogni altro approfondimento di concetti relativi al moto dei corpi. 12 6.1 Il concetto di tempo Finora abbiamo discusso di geometria e di algebra vettoriale, individuando lo spazio che ci circonda e che contiene tutti i punti materiali come uno spazio euclideo (in termini non rigorosi si può dire che lo spazio euclideo è quello in cui vale tutta la geometria che si studia nelle scuole superiori; quella per intenderci per la quale la somma degli angoli interni di un triangolo è 180 gradi e le rette parallele non si incontrano mai). Abbiamo già detto che uno dei nostri scopi è quello di descrivere il movimento dei corpi. Il movimento di un corpo, per ora un punto materiale, presuppone l’occupazione da parte del punto materiale di dierenti punti dello spazio in istanti successivi. Abbiamo bisogno di introdurre, nella geometria, il concetto di tempo. Scriveva Newton: Il tempo assoluto, vero matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, l’anno. Si può, allora, dire che nella meccanica newtoniana, accanto allo spazio assoluto (contenitore dei fenomeni) esiste, e indipendente da esso, il tempo assoluto. Allo stesso modo in cui le tre dimensioni spaziali sono indipendenti le une dalle altre, così il tempo assoluto è indipendente dalle tre coordinate spaziali, ma anche dagli stessi fenomeni fisici. Esso infatti scorre uniformemente. Di tale tempo non viene data spiegazione ma solo lo si descrive. Esso sarà il supporto per il moto uniforme ed è in stretta connessione con il concetto newtoniano di spazio assoluto. Altre considerazioni su tale tempo saranno svolte successivamente. Ora vogliamo solo ribadire che esso esiste ed evolve in maniera uniforme. Abbiamo tuttavia la necessità di misurare lo scorrere del tempo, quello relativo e volgare. Non vi è alcun dubbio sulla seguente aermazione: esistono in natura dei fenomeni periodici. La rotazione della Terra intorno al Sole, la rotazione della Terra intorno al suo asse, la rotazione della Luna intorno alla Terra e così via, per rimanere agli esempi più ovvi. Si può allora confrontare un fenomeno fisico che muta nel tempo con uno qualunque dei fenomeni periodici che si presentano in natura. Più il fenomeno periodico è stabile, più il confronto è oggettivo. Un fenomeno fisico molto stabile è quello della costanza della frequenza di un’opportuna radiazione emessa in una transizione quantica di un atomo di Cesio (vedi la definizione attuale del secondo in un prossimo paragrafo di questo capitolo). Questo orologio atomico è lo strumento cui si può pensare per misurare lo scorrere del tempo. Se vogliamo essere pignoli, penseremo che un osservatore, fermo in un opportuno sistema di riferimento, possiede per le sue misure un orologio atomico. Altrimenti un buon orologio, per le nostre considerazione, è su!ciente. Risulta palese che il tempo relativo presuppone l’esistenza di uno spazio fisico in cui avvengono i processi periodici. In altre parole, senza i processi periodici il tempo relativo non esisterebbe. 13 6.2 I vettori posizione, spostamento e velocità Un punto materiale che si muove nello spazio descrive una traiettoria: essa è il luogo dei punti dello spazio occupati successivamente dal punto materiale In Figura, la curva disegnata costituisce una ragionevole visualizzazione di una probabile traiettoria. Sulla traiettoria sono indicati due punti, A e B, raggiunti dal punto materiale in due istanti di tempo distinti w e w + w. Il simbolo è un operatore che posto prima di una qualunque grandezza fisica (in questo caso il tempo w) rappresenta l’intervallo tra due valori successivi della grandezza fisica che esso precede. In altre parole, se indichiamo con w0 il tempo segnato quando il punto materiale è nel punto B, possiamo scrivere w = w0 w (25) r = r (w) (26) e ciò giustifica la nostra notazione rE (w0 ) = rE (w + w). Definizione: Se si sceglie un punto di osservazione O, i punti A e B possono individuarsi con i due vettori rD (w) e rE (w + w) detti vettori posizione di A e B rispettivamente. La determinazione del moto di un punto materiale consiste nella determinazione del vettore posizione per ogni istante di tempo, cioè, occorre trovare la seguente funzione vettoriale: Se il nostro sistema di riferimento è un sistema di assi cartesiani, la determinazione della funzione vettoriale (26) è equivalente alla determinazione delle tre seguenti funzioni scalari: { = { (w) | = | (w) } = } (w) (27) Quando il punto P descrive la sua traiettoria, la proiezione di r (w) lungo gli assi cartesiani genera tre moti rettilinei, descritti dalle (27). Tali equazioni sono delle equazioni parametriche e se si elimina w dalle (27) si ottiene la descrizione della traiettoria mediante delle equazioni in x, y e z. Abbiamo appena detto che lo scopo della meccanica è determinare la traiettoria di un punto materiale o, ciò che è equivalente, determinare la variazione 14 nel tempo del vettore posizione. Per poter portare a termine il nostro progetto avremo bisogno di capire perché i corpi si muovono o, se si preferisce, chi sono i responsabili del movimento. La risposta corretta al nostro quesito fu data da Newton, che per primo capì che le cause del movimento sono le forze agenti sui corpi (vedi prossimo capitolo) e il loro eetto è produrre variazioni di velocità. In altre parole, i responsabili del movimento, cioè le forze, non sono direttamente legate al vettore spostamento, la cui determinazione è lo scopo della meccanica ma ad altre quantità, cioè alle variazioni di velocità. Dovremo allora, definire la velocità e poi capire cosa sia una variazione di velocità, ovvero cosa sia un’accelerazione. Infine, dovremo imparare come dalla conoscenza dell’accelerazione, si possa determinare la traiettoria. Introduciamo un secondo vettore. Definizione: Il vettore r = rE (w + w) rD (w) (28) è detto vettore spostamento. L’arco di traiettoria AB è indicato con v . Se si divide tale vettore per l’intervallo temporale w si ottiene un nuovo vettore, detto velocità media. Definizione: Il vettore r (29) w è chiamato velocità media, nell’intervallo di tempo w. Se il valore di w cambia, cambierà anche la velocità media. Seguiamo in maggior dettaglio cosa succede alla velocità media se si varia l’intervallo temporale. Supponiamo di prendere un intervallo temporale w0 più piccolo di w. Avremo, in corrispondenza di tale intervallo, un nuovo vettore spostamento r0 , (vedi figura sotto a sinistra) vp = 15 e quindi un nuovo vettore velocità media: r0 (30) w0 Come si comprende facilmente dalle due ultime figure, i due vettori velocità 0 sono, in generale, dierenti. Possiamo proseguire e prendere un media, vp e vp intervallo temporale w00 ancora più piccolo di w0 (vedi figura sopra a destra). Avremo un nuovo vettore spostamento e una nuova velocità media 0 = vp r00 (31) w00 Anche in questo caso, il nuovo vettore velocità media è, in generale, dierente dai precedenti. Notiamo, tuttavia, che man mano che l’intervallo temporale si riduce, il vettore spostamento, almeno graficamente, si confonde sempre di più con la traiettoria. Possiamo allora dire che, da un lato, la riduzione dell’intervallo temporale porta a vettori spostamenti più vicini alla traiettoria reale, ma dall’altro sembrerebbe che tutti i vettori velocità media che si ottengono sono tutti dierenti gli uni dagli altri e ciò comporta che non si ha un’indicazione precisa su quando arrestare il processo. In realtà, l’operazione di riduzione dell’intervallo temporale non prosegue all’infinito, perché in un modo che l’analisi matematica precisa in maniera quantitativa, tutti i vettori velocità media, al di sotto di un certo intervallo temporale ”tendono ad un valore unico”. 00 vp = Più precisamente, si può provare, in maniera rigorosa, che esiste un intervallo temporale w oltre il quale non ha più senso calcolare la velocità media, perché, 16 per tutti gli intervalli temporali più piccoli di w i valori che si trovano della velocità coincidono con la velocità media associata all’intervallo w : r (32) w Si dice, in tal caso, che nel limite in cui l’intervallo temporale tende a zero, e si scrive ( w $ 0 ), il rapporto (detto rapporto incrementale) r@w tende ad un vettore unico, che indicheremo con v (w), la cui direzione è tangente alla traiettoria, all’istante w. Ha senso allora definire il seguente vettore velocità: Definizione: Il limite della seguente quantità = vp r (w + w) r (w) r = lim (33) w$0 w w definisce il vettore velocità istantanea o semplicemente velocità. L’operazione di limite, indicata nella definizione della velocità prende il nome di derivata temporale del vettore posizione e si indica anche con v (w) = lim w$0 v (w) = 7 gr (w) gw (34) L’osservatore e le sue operazioni Abbiamo già detto che l’osservatore è il cardine dell’indagine fisica. Senza osservatore non potremmo spiegare gli eventi perché non avremmo chi li descrive e raccoglie i dati. L’osservatore possiede un metro e un orologio, e di conseguenza, non potrà che fare misure di lunghezza e di tempo. Potrà il nostro osservatore con il suo modo di operare (con misure di lunghezza e tempo) dare corpo ai concetti che in maniera generale abbiamo presentato. Per semplificare la nostra discussione supponiamo che il punto materiale descriva una traiettoria piana. L’osservatore, ricordando che può fare solo misure di lunghezza decide di introdurre gli assi cartesiani del piano, aventi origine nella sua posizione: 17 Egli costruisce le proiezioni del vettore posizione, ben sapendo, che esiste una corrispondenza biunivoca tra il vettore posizione e le sue due proiezioni: r(w) = {(w)u{ + |(w)u| (35) Poiché i versori degli assi sono immutabili la determinazione del vettore posizione è ricondotta alla determinazione delle funzioni { (w) e | (w). La determinazione di queste due funzione è proprio ciò che egli sa fare. Egli può determinare, man mano che il punto materiale si sposta, qual’è il valore delle variabili { e | in funzione del tempo. Vediamo di descrivere le operazioni lungo l’asse x. L’osservatore raccoglie una serie di coppie di valori: (w0 > {0 ) > (w1 > {1 ) > (w2 > {2 ) > (w3 > {3 ) > (w4 > {4 ) Con queste coppie può costruire una tabella a due colonne, ponendo nella prima colonna i valori dei tempi e nella seconda i corrispondenti valori delle lunghezze. Molto meglio, per comprendere i dati che si stanno analizzando, è fare un grafico ponendo sulle ascisse i tempi e sulle ordinate i valori delle lunghezze corrispondenti: Ha costruito, quello che si chiama diagramma orario del moto lungo l’asse x. Può ripetere le stesse considerazioni per l’asse y. Può anche chiedersi quale sia la migliore curva che approssima tutti i dati che ha raccolto e avere la forma analitica della curva: { = { (w) Egli ha determinato la legge oraria del moto lungo l’asse x. Provvede a fare un grafico e poi ad esaminarlo: 18 Guarda il grafico e si accorge che v{>p = { w è la velocità media, lungo l’asse x, del punto materiale. Poiché, si può vedere che { tan = w conclude, che geometricamente, la velocità media, nell’intervallo w, è uguale al coe!ciente angolare della retta che passa per l’inizio e la fine dell’intervallo temporale, cioè la retta che passa per A e B. Quando riduce l’intervallo temporale trova sempre valori dierenti della velocità media, fino ad arrivare ad un intervallo temporale oltre il quale non ha più senso andare perché tutti i valori della velocità media che trova sono uguali. Ha trovato il valore della velocità, lungo l’asse x, del punto materiale, al tempo t: { w$0 w v{ (w) = lim (36) Geometricamente la velocità, lungo l’asse x, del punto materiale è uguale al coe!ciente angolare della retta tangente alla curva oraria, al tempo t. 19 Analoghe considerazioni possono essere svolte lungo l’asse y: v| (w) = lim w$0 | w dove la componente della velocità lungo l’asse y rappresenta il coe!ciente angolare della retta tangente alla curva oraria | = | (w), al tempo t. L’osservatore è ora in grado di determinare la velocità reale del punto materiale al tempo t (vettore tangente alla traiettoria al tempo t). Egli sa che v (w) = v{ (w) u{ + v| (w) u| (37) che graficamente significa Inoltre, si è in grado di determinare il modulo del vettore velocità q |v (w)| = v{2 (w) + v|2 (w) (38) e l’angolo che il vettore velocità forma con l’asse delle x: tan = v| v{ (39) Le considerazioni appena svolte possono essere estese alle tre dimensioni e si ottengono le seguenti relazioni: r(w) = {(w)u{ + |(w)u| + }(w)u} Se si indicano con ({> |> }) le componenti cartesiane del vettore spostamento r, allora, per ogni componente, possiamo scrivere v{ (w) = lim w$0 { w v| (w) = lim w$0 | w v} (w) = lim w$0 } w dove (v{ (w) > v| (w) > v} (w)) rappresentano le componenti cartesiane della velocità: 20 v (w) = v{ (w) u{ + v| (w) u| + v} (w) u} Le componenti della velocità saranno legate alle componenti del vettore posizione dalle seguenti relazioni: g| g} g{ v| (w) = v} (w) = gw gw gw In termini di tali componenti si può scrivere il modulo di v (w) : q |v (w)| = v{2 (w) + v|2 (w) + v}2 (w) v{ (w) = Il primo passo nella costruzione del modello di risoluzione del problema del moto è stato risolto. Non è di!cile rendersi conto che, da un punto di vista geometrico, se si conoscono le tangenti ad ogni punto di una traiettoria, si può risalire dalle tangenti alla traiettoria medesima. Se le cause del movimento, cioè le forze, fossero legate, come pensava Aristotele, alle velocità di un corpo, potremmo anche fermarci al concetto di velocità. Tuttavia, abbiamo già detto che le forze sono legate alle variazioni di velocità, per cui avremo bisogno di introdurre anche il concetto di accelerazione. Le dimensioni della velocità sono quelle di una lunghezza su un tempo: v= [O] [W ] dove L indica una lunghezza e T un tempo. Nel Sistema Internazionale (SI), l’unità di misura delle velocità è il metro su secondo: p@v= 7.1 Il vettore accelerazione Non rimane che introdurre, come abbiamo fatto per il moto lungo una linea retta, il vettore accelerazione. La velocità di un punto in movimento è un vettore che varia nel corso del tempo. Supponiamo di avere un punto materiale che si muove su di una traiettoria e per il quale siano note le velocità nei vari punti. Per esempio, 21 Possiamo formare il vettore v = v (w + w) v (w), che abbiamo anche riprodotto nell’angolo sinistro e definire il vettore accelerazione media, nell’intervallo w: v w Se si prende un intervallo temporale più breve, si può calcolare una nuova accelerazione media, che risulterà dierente dalla precedente. Cambiando ancora intervallo temporale l’accelerazione media continua a cambiare fino a che si raggiunge un valore unico dell’accelerazione. Come per la velocità, ha senso definire il seguente vettore. Definizione: Poiché il vettore velocità è definito ad ogni istante di tempo, è possibile definire a partire da esso, un nuovo vettore ap (w) = v (w + w) v (w) v = lim (40) w$0 w w detto accelerazione. Ricordando che la velocità è la derivata del vettore spostamento, l’accelerazione si può anche scrivere a (w) = lim w$0 g2 r (w) (41) gw2 Componenti cartesiane: Come per gli altri vettori, del vettore accelerazione si può considerare la sua rappresentazione cartesiana e scrivere che a (w) = g2 { g2 | g2 } d| = 2 d} = 2 (42) 2 gw gw gw Vedremo più avanti come dall’accelerazione si potrà risalire alla traiettoria di un corpo in movimento. Le dimensione dell’accelerazione sono quelle di una lunghezza sul quadrato di un tempo: d{ = d= [O] [W 2 ] e nel Sistema Internazionale l’accelerazione si misurerà in metri su secondi al quadrato: p@v2 . 8 Moto rettilineo Esaminiamo, in qualche dettaglio, il moto di un punto materiale lungo una traiettoria rettilinea. In tal caso, avremo: 22 Il vettore spostamento, r = r (w + w) r (w) e con essa la velocità media, avranno una direzione precisa: la loro direzione è lungo la traiettoria rettilinea. Il punto materiale, può arrestarsi (r = 0 e v = 0) e può anche cambiare direzione di moto sulla traiettoria. In tal caso, il vettore spostamento ha verso opposto a quello precedente e così la velocità media. Se si prende un intervallo temporale più piccolo, si troverà ancora che il vettore spostamento e la velocità media associata ad esso avranno la direzione della traiettoria rettilinea. Possiamo, allora, concludere dicendo che il vettore velocità, nel moto rettilineo uniforme, ha la direzione della traiettoria rettilinea. Questo risultato era atteso perché la tangente, in un qualunque punto di una retta, ha la direzione della retta stessa. Possiamo dire che se si sceglie, un versore u della retta rappresentante la traiettoria, potremo sicuramente scrivere: v (w) = ±v (w) u dove il versore, non cambia nel tempo. Supponiamo ora di porre l’osservatore sulla traiettoria, in un punto arbitrario. I vettori posizione e spostamento saranno Se si confrontano le figure fatte con l’osservatore fuori dalla traiettoria e quelle fatte con l’osservatore sulla traiettoria, si noterà che, mentre i vettori posizione sono dierenti, i vettori spostamenti e con essi i vettori velocità sono gli stessi, indipendentemente dagli osservatori. Possiamo concludere dicendo che, se i due osservatori sono fermi, l’uno rispetto all’altro, i vettori velocità non dipendono dall’osservatore. Se si introduce un versore u , della retta rappresentante la traiettoria, potremo scrivere r (w) = ±u (w) u r = ±uu 23 v (w) = ±v (w) u (43) Poiché il versore non muta nel tempo, una sola variabile è su!ciente a descrivere il moto del punto materiale (si veda il moto su traiettoria prestabilita per una generalizzazione di un tale discorso). Passiamo all’esame dell’accelerazione. Supponiamo di avere i seguenti vettori velocità e variazione di velocità: v = v (w + w) v (w) Possiamo vedere che il vettore variazione della velocità è diretto lungo la direzione della traiettoria rettilinea e quindi nella stessa direzione sarà diretta l’accelerazione del punto materiale. Quando l’accelerazione è diretta nella direzione del moto, il moto si dirà accelerato. Quello precedente rappresentava il caso in cui il punto materiale stava aumentando la propria velocità nel corso del tempo. Ma può anche succedere che la velocità subisca una diminuzione. In tal caso, si avrebbe: e il punto materiale si dice che ha un moto decelerato. Infine, può presentarsi il caso in cui il punto materiale, nel suo moto e durante un certo intervallo di tempo non subisca alcuna variazione di velocità. Allora, i vettori velocità, nei punti P(w) e P(w + w) sono uguali. Il vettore variazione della velocità sarà nullo e con esso l’accelerazione: v = 0 $ a=0 In tal caso, si dice che il moto del punto materiale è rettilineo uniforme. 9 Moto circolare Un punto materiale che si muove lungo una determinata circonferenza, di raggio r, si dice che si muove di moto circolare. 24 Poiché il modulo del vettore posizione non cambia nel tempo, conviene usare le coordinate polari, e utilizzare solo la variabile angolare per descrivere la posizione del punto materiale. Usando la misura di un angolo in radianti (udg) possiamo valutare la rapidità di rotazione del raggio vettore, la variazione angolare, nell’intervallo di tempo w sarà espressa da ! (w + w) ! (w) w che chiameremo velocità angolare media: ! w La velocità angolare media dipende dall’intervallo di tempo considerato ma, come per la velocità (lineare e per l’accelerazione) nel limite in cui l’intervallo temporale tende a zero, la velocità angolare media tende ad un valore unico detto, velocità angolare, $: $p = ! g! = (44) w gw Quando $ = $ 0 è costante, il moto è detto circolare uniforme. Se il moto non è circolare uniforme, possiamo definire l’accelerazione angolare media: $ = lim w$0 p = $ (w + w) $ (w) w 25 e quindi l’accelerazione angolare, con il solito procedimento di limite: g$ $ (w + w) $ (w) = w$0 w gw In definitiva, potremo scrivere = lim (45) g2! (46) gw2 Si dice che l’accelerazione angolare è la derivata temporale seconda dell’angolo. Alcuni parametri caratterizzanti il moto circolare uniforme: Il tempo impiegato dal punto materiale a percorrere un’intera circonferenza è detto periodo del moto circolare uniforme e si indica con W . Possiamo determinare il legame tra il periodo e la velocità angolare usando la definizione di quest’ultima. In un periodo, il raggio vettore è ruotato di 360 gradi; il valore in radianti di tale angolo è 2. Per ottenere la velocità angolare basterà dividere per il tempo impiegato a percorrere tutto l’angolo giro: = 2 (47) W Se moltiplichiamo ambo i membri di tale relazione per il raggio della circonferenza, avremo $0 = 2u W che ci consente di trovare il legame tra la velocità tangenziale e la velocità angolare $0 u = $0u = v (48) L’inverso del periodo si chiama frequenza, : 1 (49) W La velocità angolare ha le dimensioni dell’inverso di un tempo, 1@ [W ] e nel Sistema Internazionale si misura in rad/s La frequenza ha le dimensioni dell’inverso di un tempo, 1@ [W ]. Nel Sistema Internazionale la frequenza si misura in Hertz (K}) ed indica il numero di giri al secondo. = 9.1 Accelerazione centripeta Consideriamo un punto materiale che si muove di moto circolare uniforme su di una circonferenza di raggio r. Consideriamo il vettore v = v (w + w) v (w) 26 (50) in diversi tratti della traiettoria. Proviamo a calcolare il suo modulo. I vettori v (w) e v (w + w) sono di pari intensità. Insieme al vettore v formano un triangolo isoscele di cui v è la base. Inoltre, tale triangolo è simile al triangolo formato dai vettori posizione e dal vettore spostamento. In particolare, gli angoli opposti ai vettori r e v, sono uguali. Abbiamo indicato tale angolo con . Riferendoci al triangolo delle velocità, potremo scrivere v = 2v sin(@2) (51) e, riferendoci al triangolo dei vettori posizione e spostamento, potremo esprimere l’angolo in radianti v u Sostituendo l’espressione dell’angolo nella (51), avremo: µ ¶ v v = 2v sin 2u = Per piccoli angoli, cioè per intevalli temporali piccoli, il seno di un angolo si confonde con l’angolo stesso e si potrà scrivere µ ¶ v v v '2v ' v (52) 2u u Dividendo per l’intervallo temporale, avremo v v v ' w u w Al primo membro, per intervalli temporali sempre più piccoli, vale a dire nel limite per w $ 0, ci sarà un’accelerazione, che indicheremo con df , detta accelerazione centripeta, mentre al secondo membro apparirà, a fattore, una seconda velocità. In definitiva, potremo scrivere: v2 (53) u L’accelerazione centripeta è diretta sempre verso il centro della circonferenza, (si vedano anche i complementi) df = 27 10 Moto su traiettoria arbitraria nota Prima di studiare come si determina la traiettoria di un punto materiale in moto, vogliamo stabilire alcune caratteristiche del moto dei corpi. Per fare ciò, assumeremo di conoscere la traiettoria e porremo la nostra attenzione sul modo in cui il corpo percorre la traiettoria stessa. Si parla, in tal caso, di studiare l’aspetto intrinseco del moto. Esamineremo, in funzione del tempo, come varia un parametro che sia adatto a fissare la posizione del punto materiale sulla sua traiettoria. Immaginiamo due auto che entrano in un’autostrada. Al casello i due autisti azzerano i contachilometri e un proprio orologio. Poi, man mano che essi procedono viene segnato, da ciascuno, su di un foglio il tempo trascorso ed i chilometri percorsi. Supponiamo che il primo autista abbia la seguente tabella: w(k) 0 0=5 1 1=5 2 2=5 v(np) 0 50 100 150 200 250 che può anche trasformarsi in un grafico. Si dice che abbiamo costruito un diagramma orario del moto di una delle auto lungo l’autostrada. Si può anche vedere a quale curva i punti appartengono. Si troverà una retta: v(w) = 100w L’altro autista invece presenta i seguenti dati: w(v) 0 1 2 3 4 5 6 v(p) 0 1 4 9 16 25 36 che si potranno anch’essi graficare. La seconda auto si è mossa più rapidamente ma ha fatto pochi metri. Il grafico può essere trasformato in una curva analitica la cui espressione è v(w) = w2 Le due automobili hanno percorso la stessa traiettoria (l’autostrada) ma con modalità dierenti. Questi due esempi ci permettono di passare ad una trattazione di tipo generale che possa consentirci di trattare un qualunque moto su traiettoria prestabilita. Supponiamo che un punto materiale si muova su di una traiettoria prestabilita dello spazio. 28 Scelto su tale traiettoria, in maniera arbitraria, un punto O (detto origine) possiamo misurare le lunghezze percorse, lungo la traiettoria, dal punto materiale rispetto all’origine fissata. Possiamo pensare che il corpo sia partito dal punto O e, nel corso del tempo, sia passato da A, poi da B e poi ancora da C. In questo modo, abbiamo anche definito un verso positivo di percorrenza lungo la traiettoria. Indicheremo con s(t) la lunghezza, variabile nel tempo, del percorso lungo la traiettoria del punto materiale e la chiameremo ascissa curvilinea del punto materiale rispetto ad O. Nei moti su traiettoria prestabilita la conoscenza del moto del punto materiale si riduce alla conoscenza della variazione dell’ascissa curvilinea v nel corso del tempo. La curva che rappresenta l’ascissa curvilinea in funzione del tempo è detta diagramma orario e la relazione v = v (w) è detta legge oraria. Il rapporto vp = v (w + w) v (w) v = w w 29 (54) definisce la velocità media scalare durante l’intervallo di tempo w. Calcolare il rapporto v@w equivale a calcolare la tangente dell’angolo che la retta AB forma con l’asse dei tempi, cioè, la pendenza della retta che passa per A e B: vp = tan (55) Inoltre, il rapporto v@w rappresenta il valore della velocità ipotetica (e costante) con la quale il punto materiale potrebbe andare da A a B durante l’intervallo temporale w. Man mano che il valore del tempo w si riduce, l’ascissa curvilinea cambia e con essa la velocità scalare media. Esiste, tuttavia, un valore w , abbastanza prossimo al valore zero, tale che, per ogni altro valore w ? w , la velocità scalare media non cambia più. Quando ciò accade si dice che si è trovata la velocità istantanea, del punto materiale in A. Essa sarà detta semplicemente velocità e sarà indicata con v. La velocità in A, essendo un particolare rapporto v@w , rappresenta la tangente dell’angolo : v = tan . è l’angolo che la retta tangente alla curva oraria, nel punto considerato, forma con l’asse dei tempi. Noi scriveremo v gv = (56) w gw L’operazione di limite, sopra descritta ed indicata gv@gw è detta derivata temporale della funzione v(w). v = lim w$0 30 Note le velocità, potremmo fare dei grafici delle velocità in funzione del tempo e, con un procedimento già descritto altre volte, considerare l’accelerazione all’istante t: v gv = w$0 w gw d = lim (57) ovvero d= g gw µ gv gw ¶ = g2 v gw2 (58) Le considerazioni svolte per l’ascissa curvilinea, nella sua forma generale, come abbiamo già detto in precedenza, valgono per le funzioni, { = { (w) | = | (w) } = } (w) che rappresentano le componenti cartesiane del vettore posizione. Avremo, per le componenti della velocità v{ = g{ gw g| gw v} = g} gw g2 | gw2 d} = g2 } gw2 v| = e per le componenti dell’accelerazione d{ = g2 { gw2 d| = Per ciascuna componente valgono le proprietà appena discusse. 11 L’operazione di derivazione e la determinazione delle grandezze fisiche Abbiamo imparato che se si ha una legge oraria la derivata temporale ci fornisce la velocità ad ogni istante di tempo. Uno degli esempi di legge oraria che abbiamo fornito è stata v (w) = w2 (59) Vogliamo imparare ad operare con le derivate. La funzione w2 appartiene alla categoria delle funzioni dette ”potenze della variabile indipendente” i (w) = wq (60) La derivata di una funzione di questo tipo è g q (w ) = qwq1 gw (61) Applicata alla (59) ci darà: g ¡ 2¢ w = 2w gw 31 (62) Allora, possiamo dire che la curva delle velocità (cioè dei coe!cienti angolari delle rette tangenti alla legge oraria) è v (w) = 2w (63) Se volessi sapere il valore della velocità che il corpo aveva, rispettivamente, dopo 1 secondo, 5 secondi o 10 secondi dalla sua partenza, scriverò: v (w = 1) = 2p@v v (w = 5) = 10p@v v (w = 10) = 20p@v Queste semplici operazioni ci hanno evitato di tracciare il diagramma orario, di tracciare le rette tangenti nei punti t=1, 5 e 10 secondi, di valutare l’angolo che le rette tangenti formano con l’asse dei tempi e calcolare il valore della tangente dei vari angoli. Se si facesse una tale laboriosa operazione si troverebbero esattamente i valori delle velocità appena calcolati. Vista la potenza del calcolo appena mostrato andremo avanti con la sua conoscenza. Supponiamo di avere la seguente legge oraria: v (w) = 3w2 Questa funzione appartiene alla categoria delle funzioni del tipo: i (w) = nwq (64) dove k è una costante. La derivata di una tale funzione ė: g g (nwq ) = n (wq ) = nqwq1 gw gw Allora (65) g ¡ 2¢ g ¡ 2¢ 3w = 3 w = 3 × 2w gw gw ovvero v (w) = 6w p@v La derivata di una costante è zero: g (n) = 0 gw (66) Veniamo alla derivata della somma di due funzioni: g g g [i (w) + j (w)] = i (w) + j (w) gw gw gw Consideriamo la funzione v (w) = 4w3 + 3w2 3w Avremo ¢ g ¡ 3 4w + 3w2 3w = 12w2 + 6w 3 gw 32 (67) ovvero v (w) = 12w2 + 6w 3 p@v Analizziamo le funzioni trigonometriche: $ v (w) = sin w $ v (w) = cos w g v (w) = cos w gw (68) g v (w) = sin w gw (69) Supponiamo di avere la seguente funzione: v (w) = sin (nw) Questa è una funzione di funzione I (j (w)). La sua derivata è g gI gj I (j (w)) = gw gj gw (70) Allora g sin (nw) = cos (nw) n gw Per finire consideriamo la seguente funzione v (w) = v (w) = w2 sin w (71) Questa, in particolare, è il prodotto di due funzioni. La derivazione del prodotto di due funzioni è g g g [i (w) j (w)] = j (w) [i (w)] + i (w) [j (w)] gw gw gw (72) Allora la derivata della funzione (71) è v (w) = 2w sin w + w2 cos w p@v L’accelerazione, essendo la derivata temporale della velocità, è anche la derivata seconda dell’ascissa curvilinea rispetto al tempo. In precedenza abbiamo visto: v (w) = 3w2 $ v (w) = 6w velocità spazio 25 60 12.5 40 0 0 1.25 2.5 3.75 5 tempo -12.5 20 -25 0 0 1.25 2.5 3.75 5 tempo 33 Possiamo scrivere g v (w) = 6 A 0 gw d= Se avessimo avuto la funzione v (w) = 3w2 tempo 0 0 spazio 1.25 2.5 3.75 -20 -40 -60 troveremmo d= g v (w) = 6 ? 0 gw Se avessimo avuto la funzione v (w) = 3w spazio 15 10 5 0 0 1.25 2.5 3.75 5 tempo -5 -10 -15 troveremmo d=0 Possiamo concludere dicendo che l’accelerazione, può essere positiva, negativa o nulla; questo risultato dipende dalla forma della legge oraria. 12 Diagrammi velocità-tempo Abbiamo appena esaminato i diagrammi orari che esprimono la relazione tra spazio percorso da un punto materiale e tempo impiegato a percorrerlo e abbiamo imparato ad estrarre alcune informazioni da essi. Ora vogliamo esaminare i diagrammi velocità-tempo in un’ottica diversa. 34 Considereremo alcuni casi. Caso a)- Supponiamo che un punto materiale si muova di moto rettilineo uniforme con velocità v0 . Allora, un diagramma che descriva la variazione della velocità nel corso del tempo avrà la seguente forma: Fissato un tempo iniziale w0 ed un tempo finale w1 potremo calcolare l’area compresa tra la curva delle velocità e l’asse dei tempi, tra i valori di w0 e w1 . Tale area ha la forma rettangolare ed il suo valore sarà dato dal prodotto della base w1 w0 per l’altezza v0 , cioé Duhd = v0 (w1 w0 ) (73) Ma il secondo membro è proprio lo spazio percorso dal punto materiale durante l’intervallo di tempo w1 w0 . Se conoscessimo anche lo spazio che il punto materiale ha percorso dall’istante iniziale w0 , cioé v0 w0 , potremmo calcolare lo spazio totale percorso dal punto materiale. Allora, possiamo dire che, nel caso di moto rettilineo uniforme, noto lo spazio percorso dal punto materiale fino ad un certo istante, ”dal diagramma velocità-tempo possiamo risalire allo spazio totale percorso, dal punto materiale, calcolando l’area compresa tra la curva delle velocità e l’asse dei tempi”. Caso b)- Supponiamo ora che il punto materiale parta con una velocità nulla che poi, cresca linearmente con il tempo. Questo è, per esempio, il caso di un corpo lasciato libero di cadere verso il suolo. In tal caso, la relazione velocità-tempo sarà v (w) = jw (74) dove g è la costante di proporzionalità. Il diagramma della velocità in funzione del tempo sarà del tipo: 35 Anche in questo caso l’area compresa tra la curva delle velocità e l’asse dei tempi ci darà lo spazio percorso dal punto materiale durante l’intervallo di tempo considerato. Poiché l’area ha la forma di un triangolo, lo spazio percorso sarà dato da 1 2 jw (75) 2 Se, oltre a crescere linearmente col tempo, per w A 0, il punto materiale al tempo w = 0 aveva una velocità iniziale v0 , diversa da zero, allora la relazione velocità-tempo si scriverà v= v (w) = v0 + jw (76) e il suo diagramma sarà L’area compresa tra la curva delle velocità e l’asse dei tempi ha la forma di un trapezio le cui due basi sono (v0 > v0 + jw) e la cui altezza è w. Lo spazio percorso si scriverà 1 1 = v0 w + jw2 (77) 2 2 La velocità di un punto materiale può anche decrescere, annullarsi o assumere valori negativi. Noi converremo, ai fini del calcolo dello spazio percorso dal punto materiale, di ritenere negative le aree sotto l’asse dei tempi. Si consideri il seguente diagramma: v (w) = (v0 + v0 + jw) w 36 Lo spazio percorso sarà 1 1 v (w) = v1 w1 + v1 (w2 w1 ) v3 (w3 w2 ) 2 2 Caso c)- Consideriamo ora il caso di un punto materiale la cui velocità cambi in maniera arbitraria. Supponiamo che il grafico velocità-tempo sia il seguente: Anche in questo caso, l’area compresa tra la curva della velocita e l’asse dei tempi ci darà lo spazio percorso dal punto materiale nel corso del tempo. Il problema, ora, è la determinazione di tale area. Un possibile modo per calcolarla, in maniera approssimata, è quello di costruire tanti rettangoli sotto la curva: Man mano che riduciamo la base dei rettangoli, e quindi aumentiamo il numero di rettangoli sotto la curva, la somma delle aree dei rettangoli approssima 37 sempre meglio l’area sottesa dalla curva. Possiamo dire che se i rettangoli diventassero tantissimi avremmo trovato un modo per approssimare quanto si vuole l’area compresa tra la curva delle velocità e l’asse dei tempi. Possiamo concludere dicendo che dai diagrammi velocità-tempo si può risalire allo spazio percorso dal punto materiale, calcolando l’area compresa tra la curva delle velocità e l’asse dei tempi, tra l’istante iniziale e quello finale, una volta nota anche il valore della velocità all’istante iniziale”. L’operazione di somma, con il limite, appena introdotta è detta di integrazione. Approfondimento matematico: Ora proveremo a spiegare in maniera matematica le considerazioni appena svolte. Se un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme, lungo una traiettoria rettilinea in un intervallo di tempo wi wl , lo spazio percorso dal punto materiale sarà v = v (wi wl ) (78) dove v è la velocità costante con cui si muove il corpo. Supponiamo ora che il punto materiale si muova in maniera tale che la sua velocità sia una funzione del tempo: v = i (w) (79) Ci proponiamo di calcolare lo spazio percorso dal punto materiale nello stesso intervallo temporale wi wl . In tal caso, per calcolare approssimativamente lo spazio possiamo procedere nel modo seguente. Dividiamo l’intervallo [wl > wi ] in un certo numero q di parti uguali: wl = w0 ? w1 ? w2 ? ==== ? wq1 ? wq = wi (80) e sia k l’ampiezza comune di questi intervalli: wi wl (81) q L’approssimazione che ora faremo è la seguente: In ogni intervallo temporale considerato la velocità si mantiene costante. Più precisamente, supporremo che nell’intervallo [w0 > w1 ] la velocità sia costante e uguale al valore che essa ha all’istante w0 , cioé a i (w0 ); che nell’intervallo [w1 > w2 ] la velocità sia costante ed uguale al valore che essa ha all’istante w1 , cioé a i (w1 ); che nell’intervallo [w2 > w3 ] la velocità sia costante ed uguale al valore che essa ha all’istante w2 , cioé a i (w2 ); e così via (. Con le nostre assunzioni possiamo aermare che lo spazio percorso dal punto materiale, nell’intervallo considerato sarà: k= i (w0 ) k + i (w1 ) k + i (w2 ) k + === + i (wq1 ) k (82) e questo valore sarà tanto più prossimo al valore dello spazio percorso quanto più numerosi saranno gli intervalli parziali in cui abbiamo diviso tutto l’intervallo temporale. Si dice che la misura reale dello spazio percorso dal punto materiale è il limite per q $ 4 della somma (82) e si scrive: 38 v= Z wi i (w) gw (83) wl Questa discussione matematica è equivalente alla discussione svolta graficamente appena sopra. Per considerazioni ancora più formali si possono vedere i complementi. Possiamo allora concludere che se v (w) = jw allora v= Z jwgw = (84) 1 2 jw 2 Questo è un caso particolare di una formula generale Z 1 q+1 nwq gw = n w q+1 (85) (86) Nel caso in cui si avesse v (w) = v0 + jw avremmo Z 1 (v0 + jw) gw = v0 w + jw2 2 questo perché l’integrazione dell’unità è la variabile di integrazione: Z Z v0 gw = v0 gw = v0 w 13 (87) (88) (89) Diagrammi accelerazione-tempo Supponiamo che un punto materiale si muova con accelerazione costante e sia j il valore della sua accelerazione. Il diagramma che descrive la variazione dell’accelerazione nel corso del tempo avrà la seguente forma: 39 Calcoliamo l’area compresa tra la curva dell’accelerazione e l’asse dei tempi, tra i valori w0 e w1 . Tale area avendo la forma di un rettangolo sarà uguale a Duhd = j (w1 w0 ) = jw (90) Al secondo membro abbiamo la velocità che il corpo possiede durante l’intervallo di tempo w. Se conoscessimo anche la velocità che il corpo possedeva al tempo w = w0 , diciamo v0 , allora la velocità posseduta dal corpo al tempo w1 sarà data da v (w1 ) = v0 + j (w1 w0 ) = v0 + jw Come procedimento generale, se conosciamo l’accelerazione costante d0 , con cui un punto materiale si muove, in una direzione particolare, la sua velocità, nel corso del tempo e nella direzione stabilita, sarà espressa dalla relazione: v (w) = v0 + d0 w (91) Ma abbiamo visto (eq.(76) e (77)) un punto materiale, la cui velocità è espressa dalla (91) percorrerà uno spazio dato da 1 v (w) = v0 w + d0 w2 (92) 2 Dovendo tener conto che il punto materiale può aver già percorso un tratto di spazio, v0 , la precedente relazione diventa: 1 (93) v (w) = v0 + v0 w + d0 w2 2 Possiamo dire che, nel caso in cui è nota l’accelerazione del punto materiale e questa è costante, l’ulteriore conoscenza della sua velocità ad un certo istante consente di ottenere, dal diagramma accelerazione-tempo, la velocità posseduta dal punto materiale calcolando l’area tra la curva dell’accelerazione e l’asse dei tempi. Inoltre, dal diagramma velocità-tempo è possibile risalire anche allo spazio percorso, noto il valore dello spazio inizialmente percorso. Questa proprietà dei diagrammi accelerazione-tempo e velocità-tempo, mostrata per un caso molto semplice, è valida qualunque sia il tipo di accelerazione che possiede un punto materiale in moto. Possiamo concludere dicendo che, nota la posizione e la velocità di un punto materiale ad un certo istante, la conoscenza dell’accelerazione del punto materiale nel corso del tempo consente di determinare sia la velocità posseduta dal punto materiale ad ogni istante che lo spazio da esso percorso. 40 14 Moto circolare: legame tra quantità tangenziali e angolari Abbiamo visto che, per definizione di angolo solido, si può scrivere v (w) (94) U dove v (w) è l’ascissa curvilinea (misura gli archi di circonferenza). Possiamo senz’altro scrivere ! (w) = v (w + w) v (w) ! (w + w) ! (w) = w w ovvero, nel limite per w $ 0, U U$ = v (95) dove v è la velocità che, ricordiamo, è tangente alla circonferenza. Se il moto non è uniforme, dalla precedente relazione, possiamo anche scrivere: $ (w + w) $ (w) v (w + w) v (w) = w w e, nel limite per w $ 0, si ottiene U U = dw (96) dove abbiamo introdotto l’accelerazione tangenziale: gv v (w + w) v (w) = w$0 w gw e l’accelerazione angolare dw = lim (97) $ (w + w) $ (w) g$ = (98) w gw L’accelerazione tangenziale ha la direzione della tangente alla circonferenza ed è presente solo nel caso in cui il moto circolare è non uniforme. L’accelerazione centripeta ha la direzione radiale ed è sempre presente nel moto circolare. = lim w$0 41 In generale, possiamo dire (vedi i complementi per un approfondimento di questi argomenti) che, nel moto circolare, l’accelerazione è sempre la somma di un’accelerazione radiale e di una tangenziale: a = dw uw + df uu (99) Limitiamoci ancora all’analisi della sola accelerazione tangenziale e al solo caso di accelerazione costante. Vedremo che i risultati che otterremo sono molto simili a quelli del moto accelerato, nel moto rettilineo. Supponiamo che = 0. Innanzitutto, dalla (96) avremo 0 = d0w U (100) dove d0w è il valore costante dell’accelerazione tangenziale. Procedendo come nei precedenti paragrafi, potremo scrivere $ (w) = $ 0 + 0 w (101) e poi 1 ! (w) = !0 + $ 0 w + 0 w2 2 Consideriamo alcuni casi. Caso A: moto circolare uniforme. Avremo 0. = 0. $ (w) = $ 0 ! (w) = !0 + $ 0 w (102) (103) Poiché il periodo W è il tempo impiegato dal punto materiale a percorrere una circonferenza, avremo ! (W ) !0 = W per cui, dalla (103) 2 = $ 0 W Un risultato quest’ultimo che abbiamo già ottenuto. Caso B: accelerazione angolare costante, ma velocità angolare iniziale nulla (notare la similarità con la caduta libera). Avremo, $ (w) = 0 w 1 ! (w) = !0 + 0 w2 2 42 (104) 15 I sistemi di unità di misura In questo capitolo abbiamo imparato che ogni grandezza fisica si misura in termini di una opportuna unità di misura. Ogni grandezza fisica è tale perché si è riuscito a stabilire un insieme di operazioni di laboratorio che hanno consentito di associargli un valore numerico. Il valore numerico dipende dal sistema di unità di misura adottato. Rispetto a queste, tra le grandezze fisiche incontrate possiamo distinguere due categorie. Da un lato, le lunghezze ed il tempo e dall’altro, la velocità e l’accelerazione. La diversità tra le due categorie consiste nel fatto che le seconde si misurano in termini delle prime due. In altre parole, le lunghezze ed il tempo costituiscono delle unità di base (sono tra loro indipendenti e le altre si possono misurare in termini di esse). Si comprende allora come si possa tentare di stabilire il numero minimo di grandezze fisiche, le cui unità di misura siano tra loro indipendenti e tali che tutte le altre unità possano esprimersi in termini di questo gruppo di unità di misura. Un tale gruppo costituisce un Sistema di Unità di Misura. Dal 1960 è in uso il Sistema Internazionale (S.I.). Tale sistema di unità si fonda su 7 unità fondamentali: il tempo (il secondo:v), le lunghezze (il metro: p), la massa (chilogrammo: nj), la temperatura assoluta (kelvin: N), la quantità di materia (mole: pro), l’intensità di corrente (ampere: D) e l’intensità luminosa (candela: fg). Si veda l’appendice alla fine del libro per la definizione di queste 7 quantità, per i fattori di conversione a queste unità ed il valore delle costanti usate nel testo. Nel 1975 la Conferenza Generale di Pesi e Misure ha adottato un’unità di lunghezza (sempre il metro) basata sulla costanza della velocità della luce nel vuoto in assenza di un campo gravitazionale. La seguente unità di lunghezza è ora accettata: Un metro è la distanza percorsa da un’onda elettromagnetica nel vuoto in un tempo pari a 1@f di un secondo. Con f si intende il valore della velocità della luce nel vuoto: essa è uguale a 299> 79 · 106 p@v (con v abbiamo indicato l’unità di misura del tempo). Come si può vedere, la definizione dell’unità di lunghezza è diventata una definizione derivabile dall’unità di tempo e dal valore di una costante fondamentale, che è la velocità della luce nel vuoto. In realtà, quello che è sempre accaduto alle unità di base, o meglio alla determinazione dell’unità campione, è una continua evoluzione e la tendenza odierna prevede la loro determinazione attraverso costanti fondamentali che poi, a loro volta, si determinano con grande accuratezza. Data l’importanza del valore dell’unità di tempo, cioè il secondo, daremo anche la sua attuale definizione anche, se la sua comprensione non è possibile a questo livello: Il secondo è la durata di 9192631770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini dello stato fondamentale del Cesio 133. Poiché anche il minuto (plq), l’ora (k), il giorno (g) e l’anno (dqqr) sono usati per descrivere comunemente gli intervalli temporali, diamo qui di seguito le loro espressioni in termini di secondi: 43 1 min = 60v 16 16.1 1g = 8> 6 × 104 v 1k = 3600v 1dqqr = 3> 156 × 107 v Complementi Il problema fondamentale del moto Supponiamo che il punto materiale, di cui ci accingiamo a descrivere il moto, si muova in linea retta (si pensi alla caduta di un grave). Assumeremo che il moto di tale punto avvenga in modo continuo, ovvero che se il punto passa, ad un dato istante di tempo, per una posizione A, esiste un intervallo di tempo, abbastanza piccolo, che include l’istante considerato, e durante il quale (intervallo!) il punto occupa posizioni vicine ad A, tanto quanto si vuole. In altri termini, possiamo dire che il punto sta descrivendo una linea continua, che sarà la sua traiettoria (linea retta per nostra scelta semplificatrice). Supponiamo che durante un certo intervallo di tempo, il punto si sia spostato dalla posizione A alla B. Fissiamo, in modo arbitrario, un punto O (detto origine degli spazi) tra A e B e stabiliamo che siano positive le distanze, del punto mobile, da O verso B (diremo OB verso positivo della traiettoria). Il verso opposto, quello che va da O ad A sarà detto verso negativo della traiettoria. Il nostro scopo è la determinazione della posizione del punto sulla retta ad ogni istante di tempo. Se indichiamo con x la distanza del punto dall’origine degli spazi, per la precedente assunzione, possiamo aermare che { = i (w) (C1) dove f(t) è una funzione continua che cercheremo di determinare. Come possiamo determinare la funzione f(t)? Sia P il punto della retta occupato dal punto materiale al tempo t e sia S 0 quello occupato al tempo w0 . Indicheremo x ed {0 i valori delle distanze dei due punti dall’origine O. Possiamo formare il seguente rapporto, detto rapporto incrementale: SS0 {0 { = w0 w w0 w che possiamo, in base alla (C1), anche scrivere SS0 i (w0 ) i (w) = 0 w w w0 w (C2) Se w0 A w lo diremo rapporto incrementale destro, e se w0 ? w lo diremo sinistro. Se si fa tendere w0 a w, ambedue i rapporti tenderanno ad un limite che si chiamano, rispettivamente, derivata sinistra e destra. Nel caso in cui i due limiti siano uguali, chiameremo il limite comune, velocità: g{ i (w0 ) i (w) = w $w w0 w gw v lim 0 44 (C3) Sappiamo che il segno della derivata indica se la funzione è crescente o decrescente, quindi possiamo dire che se la velocità è positiva il moto avviene nel verso positivo della traiettoria, in senso contrario se negativa. A cosa serve il concetto di velocità nella risoluzione del problema del moto? La risposta è la seguente: Se conosciamo la velocità del punto materiale in ogni punto della traiettoria, possiamo scrivere la traiettoria in funzione di essa. Sia v = j (w) (C4) la funzione che ad ogni istante ci dà il valore della velocità del punto materiale. Introducendo il concetto di integrale (vedi Appendice), possiamo scrivere Z { = i (w) = gwj (w) + frvwdqwh (C5) Allora, a meno di una costante, la conoscenza della velocità ci consente, mediante l’operazione di integrazione, di conoscere la traiettoria. L’indeterminazione, dovuta alla costante, viene eliminata se si conosce la posizione del punto mobile ad un certo istante. Infatti se {0 = i (w0 ) (C6) allora { = i (w) = Z w gw0 j (w0 ) (C7) w0 Possiamo dire che, la conoscenza della velocità ad ogni istante di tempo, unita alla conoscenza della posizione ad un certo istante, consente di determinare completamente il moto del punto mobile. Sfortunatamente, come capiremo meglio in seguito, i responsabili del moto (cioè le forze) non sono legati alle velocità, bensì alle variazioni di velocità. Dobbiamo allora procedere ad una ulteriore definizione. Se è nota la funzione velocità, v = j (w), possiamo formare il seguente rapporto incrementale j (w0 ) j (w) w0 w 0 e nel limite per w $ w, quando il limite sinistro e destro coincidono, possiamo definire, mediante il limite comune, l’accelerazione gv j (w0 ) j (w) = (C8) 0 w $w w w gw In analogia con la precedente operazione fatta per la velocità, possiamo esprimere la funzione velocità in termini dell’accelerazione. Infatti, se conosciamo la funzione accelerazione d lim 0 d = (w) possiamo scrivere 45 (C9) v= Z gw (w) + frvwdqwh (C10) Ancora una volta, l’indeterminazione sulla costante può essere eliminata se conosciamo il valore della velocità ad un certo istante. Infatti se v0 = (w0 ) (C11) Z (C12) possiamo scrivere v= w gw0 (w0 ) + v0 w0 In conclusione, se conosciamo l’accelerazione del punto materiale in moto, ad ogni istante di tempo, e la posizione e la velocità ad un determinato istante, possiamo determinare completamente il moto del punto. 16.2 La velocità in coordinate polari Ora andremo a rivisitare i moti piani con un formalismo più matematico. Se si utilizzano le coordinate polari del piano conviene introdurre due nuovi versori Sia uu il versore del vettore posizione r (w). Tale versore, sebbene in modulo costante, fatta eccezione per il moto lungo una traiettoria rettilinea, varia istante per istante. Se indichiamo con ! l’angolo che il vettore posizione forma con l’asse x (angolo polare) allora la rappresentazione cartesiana di uu sarà: uu (w) = cos ! (w) u{ + sin ! (w) u| (C13) Chiameremo tale vettore versore radiale. Vogliamo mostrare che definito uu (w), il vettore derivata temporale di tale versore, cioè guu (w) @gw, è un vettore ortogonale ad uu (w) e si può scrivere come g g! uu (w) = u! (w) gw gw 46 (C14) dove u! è il versore della retta ortogonale ad r, nel verso dell’angolo ! crescente. Tale vettore è detto versore trasverso e la sua rappresentazione cartesiana è ³ ³ ´ ´ u! (w) = cos ! (w) + u{ + sin ! (w) + u| = sin ! (w) u{ + cos ! (w) u| 2 2 (C15) Per dimostrare, in maniera esplicita, l’ortogonalità tra uu e guu @gw , useremo la definizione di prodotto scalare. Poiché uu · uu = 1 segue g (uu · uu ) = 0 gw da cui ¶ µ g 2 uu · uu = 0 gw Poiché nessuno dei termini al primo membro è nullo, a!nchè si annulli il prodotto scalare i due vettori devono essere ortogonali. Consideriamo ora la derivata temporale di ambo i membri della (C13): g! g! g! g uu (w) = sin ! u{ + cos ! u| = ( sin !u{ + cos !u| ) gw gw gw gw che completa la nostra prova. Mostriamo alcune utili relazioni tra uu ed u! : Derivando, rispetto a , ambo i membri della (C13), si ottiene guu = u! g! (C16) Derivando, rispetto a ! , ambo i membri della (C15), si ottiene gu! = uu g! (C17) Infine, derivando rispetto al tempo la (C15), si ha gu! gu! g! g! = = uu gw g! gw gw 16.3 (C18) La velocità in termini del versore radiale e trasverso Utilizzando i risultati appena ottenuti possiamo scrivere il vettore velocità in termini dei versori del piano (uu > u! ) . Poiché il vettore posizione può scriversi r (w) = u (w) uu eettuando la derivata temporale di ambo i membri 47 (C19) guu (w) gr (w) g = u (w) uu (w) + u (w) gw gw gw ed utilizzando la (C14), si ottiene v (w) = v (w) = vu (w) uu (w) + v! (w) u! (w) (C20) dove si sono introdotte la componente radiale e trasversa della velocità: g! gu v! (w) = u (C21) gw gw La relazione (C20) mostra esplicitamente che la direzione del vettore velocità, che è tangente alla traiettoria non coincide in generale con la direzione del vettore trasverso. Inoltre, poiché uu e u! sono mutuamente ortogonali, possiamo scrivere sµ ¶ µ ¶2 2 q s gu g! 2 2 v = v · v = vu + v! = + u (C22) gw gw vu (w) = 16.4 Il moto circolare usando i versori mobili Se un punto si muove su di un piano mantenendo costante la sua distanza R da un prefissato punto O, allora esso descrive una circonferenza di centro O e raggio R. In tal caso il moto è detto circolare. Ponendo l’origine del sistema di riferimento nel centro della circonferenza ed usando le coordinate polari, possiamo scrivere la (C20) come segue: v (w) = v! (w) u! (w) (C23) dove g! = U$ gw La componente radiale della velocità vu è nulla e la componente v! , lungo l’altro versore mobile, coincide con il modulo della velocità v. Data la coincidenza del v! (w) = U 48 modulo di v con la componente trasversa e per non appesantire la notazione, in seguito, nel moto circolare ometteremo il pedice !. Vogliamo avvertire fin d’ora che, come mostreremo più avanti, la velocità angolare è un vettore. Per capire qualitativamente perché essa debba essere un vettore basta osservare che in una rotazione di un corpo oltre a sapere qual’è l’angolo descritto nell’unità di tempo dobbiamo specificare sia l’asse di rotazione che il verso della rotazione. Nel caso discusso, l’asse di rotazione passa per il centro della circonferenza, è ortogonale al piano dove giace la circonferenza ed il verso è fissato dalla crescita dell’angolo polare. La velocità, utilizzando la definizione di velocità angolare si può anche scrivere v (w) = v (w) u! (w) = U$ (w) u! (w) (C24) Esempio: Un punto P, solidale con la superficie Terra, avrà una velocità angolare pari alla velocità angolare della Terra che è data da $ = 2 udg@jlruqr udg = 7> 27 × 105 (24ruh@jlruqr) (3600v@rud) v Inoltre, essendo il raggio medio della Terra, all’equatore, uguale a circa U = 6> 37 · 106 p, possiamo dedurre la velocità lineare di un generico punto, all’equatore, solidale con Terra. Avremo: v = U $ = 1> 67 × 103 np@rud che è sicuramente una velocità considerevole. Facciamo osservare che quando si considerano insieme sia grandezze lineari che angolari è essenziale che quest’ultime siano misurate in radianti. 16.5 L’accelerazione nel moto circolare usando i versori mobili Supponiamo che un punto materiale si muova su di una circonferenza, di raggio R. In tal caso, possiamo scrivere la velocità come segue g! u! (w) gw Derivando rispetto al tempo, si ottiene ¸ · µ ¶ · ¸ gv g g! g! gu! g g! a= =U u! (w) = U u! + gw gw gw gw gw gw gw ovvero v (w) = U (C25) g$ u! U$ 2 uu (C26) gw Oppure, poiché dalla (C24), v = $U, si può riscrivere la (C26) come segue a=U a=U v2 g$ u! uu gw U 49 (C27) che era stata annunciata con la (99). Se il moto è circolare uniforme, g$@gw = 0, e af = v2 uu U (C28) La componente radiale af , dell’accelerazione nel moto circolare è detta accelerazione centripeta. 17 Problemi 1. Dati due vettori a e b di componenti cartesiane (1,-2,5) e (2,2,4), si determini il vettore somma ed il vettore dierenza. 2. Dati due vettori a e b di componenti (2,3,-4) e (-1,2,5), si determini il modulo di entrambi, nonché il loro prodotto scalare e vettoriale. 3. Siano dati i vettori a, b e c, tali che a b = c. Mostrare che d2 + e2 2de cos (6 ab) = f2 (Legge del coseno). 4. Dimostrare che l’area del parallelogrammo avente per lati i vettori a e b è absen(6 ab). 5. Sia dato un triangolo i cui lati siano i vettori a, b e c tali che a + b = c. Mostrare che sin (6 ab) @f = sin (6 ac) @e (Legge dei seni). 6. Un punto materiale si muove di moto circolare uniforme su di una circonferenza di raggio U = 0> 12p con un periodo W = 6v. Si determini la velocità tangenziale e l’accelerazione centripeta del punto. (Risp.: v1 = 12,6 ×102 p@v; af = 13,16× 102 p@v2 ) 7. L’accelerazione di un punto materiale in moto rettilineo è d = Ew 3 dove E = 1> 2p@v . Sapendo che la velocità all’istante iniziale è v0 = 0> 2p@v e che lo spazio percorso allo stesso tempo è {0 = 0> 8p, si determini la velocità e lo spazio percorso all’istante w1 = 2v. (Risp.: v = 2p@v> { = 2> 8p) 8. Due punti materiali partono allo stesso istante, dalla stessa posizione, muovendosi sulla stessa circonferenza, nello stesso verso. Sapendo che le due particelle hanno, rispettivamente, velocità angolari $ 1 = 7v1 ed $ 2 = 8v1 , determinare dopo quanto tempo le due particelle si rincontrano. (Risp.: w = 6> 28v) 9. Due punti materiali vengono lasciati cadere dalla stessa altezza, uno dopo l’altro, con un intervallo di tempo w = 1v. Si determini, considerando come tempo iniziale quello in cui viene lasciato cadere il primo corpo, l’intervallo di tempo al momento in cui la distanza tra i due punti è di 9,8m. (Risp.: w = 1> 5v) 10. Un punto materiale parte dall0 origine degli assi cartesiani e lungo l’asse x con una accelerazione a=2m/s2 . Lungo lo stesso asse si sta muovendo un secondo punto materiale con velocità costante v = 10p@v. Si determini dopo quanto tempo, a quale distanza dall’origine e con quale velocità il primo punto raggiunge il secondo. (Risp.: w = 10v> { = 102 p> v = 20p@v) 50 (Chapter head:)Le leggi di Newton La dinamica del punto materiale che ci accingiamo a trattare, studia il movimento dei corpi assimilabili al concetto di punto materiale, focalizzando l’attenzione sulle cause che producono il movimento stesso. Il contenuto essenziale della Dinamica è stato stabilito diversi secoli or sono da Newton. Va subito sottolineato che l’insieme delle leggi di Newton (talvolta dette anche principi) fondano la loro validità su osservazioni sperimentali e sarebbe naturale proporre di discutere alcuni di tali esperimenti per trarre da essi ”direttamente” le leggi di Newton. Ma a proposito della frase ”trarre da alcune esperienze” un grande studioso della meccanica (E. Mach) diceva che i principi della meccanica riposano su delle esperienze non realizzate o anzi non realizzabili, sebbene poi gli stessi principi, sempre secondo Mach, sono su!cientemente stabiliti da un punto di vista pratico. Quando allora diremo che sulla base di certe esperienze noi possiamo trarre delle conclusioni, il lettore dovrà assumere che esistono, in maniera ragionevole delle prove sperimentali, che avvalorano le nostre conclusioni. Per l’impostazione generale diciamo subito che intendiamo mantenerci, nella nostra presentazione, il più vicino possibile alla visione di Newton. 1 L’Universo newtoniano La Fisica studia i fenomeni che accadono in quello che ordinariamente chiamiamo Universo. Per comprendere meglio la visione dell’Universo newtoniano conviene immaginare di costruire un tale universo. Il punto di partenza dell’Universo newtoniano è uno spazio vuoto che possiamo immaginare come un grande contenitore (infinito!). Dentro a questo contenitore potremo porre man mano quello che ci occorre. Avremo, per prima cosa, bisogno di un osservatore perché senza di esso non potremo esaminare gli eventi che si manifesteranno e intendiamo studiare. Esso avrà un orologio e un metro. Nella meccanica newtoniana l’osservatore e le sue operazioni non influenzano in alcun modo il sistema fisico. Poniamo in esso la prima particella. Secondo Newton sappiamo già tutto sul possibile moto di questa particella singola: la particella rimane ferma se era ferma quando è stata creata oppure si muoverà di moto rettilineo uniforme se aveva inizialmente una velocità diversa da zero. Quest’aermazione, sulla quale ritorneremo, è nota come Primo Principio della Dinamica o Principio d’Inerzia. Non potendo fare altro proseguimo nella nostra costruzione dell’Universo newtoniano. Aggiungiamo la seconda particella. Con l’arrivo della seconda particella si può procedere alla costruzione della meccanica newtoniana. Indichiamo con 1 e 2 le due particelle che supporremo, ovviamente puntiformi. L’osservatore è ora in grado di fare le sue prime osservazioni sperimentali e quest’ultime mostrano che i due punti materiali esercitano un’azione reciproca l’uno sull’altro e queste azioni hanno carattere vettoriale. E’ importante sottolineare che la costruzione della meccanica newtoniana necessita, come ipotesi fondamentale, l’assunzione dell’esistenza di almeno due punti materiali. Infatti, per avere il movimento di un punto materiale 1, ci deve 1 sempre essere almeno un secondo punto 2, che con la sua azione sul primo ne determina il moto. Inoltre, poiché i due corpi, istante per istante, interagiscono tra di loro, anche il punto materiale 2 si muove in seguito all’azione del punto materiale 1. Allora, un punto materiale, in presenza di un secondo punto materiale, è nello stesso tempo, soggetto ad una azione e produttore di un’azione. Questo è un risultato molto importante, perché vuol dire che nella fisica newtoniana, un punto materiale non può esercitare alcuna azione su se stesso. É sempre almeno un’altro punto materiale, esterno al punto materiale di cui studiamo il moto, che esercita l’azione che produce il moto del punto materiale in esame. 1.1 Le forze e la terza legge di Newton Siamo pronti a formalizzare il nostro modello di azione. Chiameremo forze newtoniane o semplicemente forze le azioni che i corpi esercitano l’uno sull’altro e le indicheremo con F. Indicheremo con F12 la forza agente sul punto materiale 1 e prodotta dal punto materiale 2; mentre con F21 la forza agente sul punto materiale 2 e prodotta dal punto materiale 1. Per le forze newtoniane vale la terza legge di Newton: Le forze newtoniane agiscono lungo la congiungente la posizione istantanea dei due punti materiali, sono di pari intensità ma di verso opposto: F12 = F21 1.2 (1) Le forze producono accelerazioni: la massa inerziale Le osservazioni sperimentali hanno mostrato che le forze sono le cause del moto e il loro eetto sul moto dei corpi si manifesta in una variazione di velocità dei corpi. In altre parole, le forze producono accelerazioni sui corpi su cui agiscono. Più precisamente, si può scrivere F12 = P1 a1 F21 = P2 a2 (2) Gli scalari P1 e P2 sono, nella meccanica newtoniana, proprietà del solo corpo su cui agisce la forza e sono dette masse inerziali dei due corpi. Per i due punti materiali presi in considerazione avremo anche: F12 = a1 P1 F21 = a2 P2 2 (3) 1.3 Misura della massa inerziale Possiamo aggiungere altri punti materiali al nostro Universo. Ogni nuovo punto materiale che aggiungiamo eserciterà su ciascuno dei precedenti due punti una forza. Indicheremo con Fh1 la risultante delle forze esterne al sistema dei due punti materiali e agenti sul punto materiale 1, mentre con Fh2 la risultante delle forze esterne al sistema dei due punti materiali e agenti sul punto materiale 2. Data la natura vettoriale delle forze, le risultanti delle forze agenti sui punti materiali 1 e 2 si possono scrivere F1 = F12 + Fh1 F2 = F21 + Fh2 (4) cioé, ciascuna forza risultante è la somma della forza interna e della risultante delle forze esterne al sistema. Le due forze risultanti non obbediscono al principio di azione e reazione. Anche per le risultanti potremo scrivere F12 + Fh1 = P1 a01 F21 + Fh2 = P2 a02 dove le due masse sono rimaste le stesse ma le accelerazioni sono, in generale, cambiate. Possiamo allora dire che su ciascun punto materiale di massa P si esercitano le forze di tutti gli altri punti materiali dell’universo. Il loro eetto sul punto materiale di massa P è quello di variarne la velocità, cioè accelerarlo. Poichè l’accelerazione dipende in maniera inversa dalla massa inerziale dei corpi, più una massa inerziale è grande più è di!cile variarne la velocità. Diremo allora: le cause del moto sono le forze; esse sono dei vettori che, a coppie, obbediscono al principio di azione e reazione; le forze agendo sui corpi producono un’accelerazione e sono ad essa proporzionali. Il coe!ciente di proporzionalità è la massa inerziale. Essa è una proprietà intrinseca dei singoli corpi. Per stabilire, se una massa inerziale di un punto materiale è più grande o più piccola della massa inerziale posseduta da un altro punto materiale, dobbiamo stabilire come si misurano le masse inerziali. Supponiamo di voler confrontare le masse inerziali, P1 e P2 , di un sistema di due punti materiali. Per eettuare una tale misura occorre mettersi nelle condizioni di poter trascurare l’eetto delle forze esterne sul sistema dei due 3 punti materiali: dobbiamo ritornare all’Universo fatto da solo due punti materiali. Senza questa ipotesi, che è comunque un’approssimazione della realtà, non è possibile costruire la meccanica newtoniana. Questo è un punto fondamentale che mostra, fin dai primi passi, il valore approssimato di una legge fisica, in questo caso le leggi di Newton, rispetto alla complessità del mondo reale. L’ipotesi di assunzione di assenza di forze esterne, se si pensa al sistema Sole-Terra, significa che si deve poter trascurare l’eetto delle forze esercitate non solo degli altri pianeti e della Luna, ma anche quello di tutti gli altri corpi dell’universo. In altre parole, occorre ipotizzare che tutte le forze esterne al sistema, che abbiamo indicato con Fh1 e Fh2 , siano nulle. In tal caso, il sistema dei due punti materiali è detto isolato: Con questa approssimazione, le relazioni che legano le forze agenti sui due corpi, le loro masse e le loro accelerazioni F12 + Fh1 = P1 a01 F21 + Fh2 = P2 a02 diventano F12 = P1 a1 F21 = P2 a2 (5) Usando la terza legge di Newton, riscriviamo le ultime relazioni, come segue: F12 = P2 a2 F12 = P1 a1 da cui deduciamo che |a1 | P2 = P1 |a2 | (6) In un sistema isolato di due punti materiali, i corpi si inducono una reciproca, ma dierente accelerazione; le due accelerazioni sono in rapporto inverso al rapporto tra le loro rispettive masse inerziali. Misurando le accelerazioni, reciprocamente indotte, tra i due punti materiali che costituiscono il nostro sistema isolato, è possibile misurare il rapporto tra le due masse inerziali dei punti materiali. Allora, le accelerazioni reciproche consentono solo di conoscere il rapporto tra le masse e non il valore di ciascuna di esse. Per fare questo ulteriore passo si stabilisce, in maniera arbitraria, il valore della massa inerziale di un corpo come 4 unitario (massa campione), in un dato sistema di unità di misura. Fatto ciò, il valore di tutte le altre masse inerziali dei corpi si possono misurare facendoli interagire con la massa campione e misurandone le accelerazioni reciproche. L’osservatore che, fin ad ora, portava solo un metro e un orologio, per poter individuare i punti materiali, ora deve portarsi dietro anche l’unità di massa. Il sistema di unità di base si allarga alla terza unità: la massa. L’unità di misura della massa, nel Sistema Internazionale, è il chilogrammo (nj). La dimensione della massa sarà indicata con [P ]. Le dimensioni della forza sono di una massa per una lunghezza diviso per il quadrato del tempo I = [P O] [W 2 ] Nel Sistema Internazionale (S.I.) l’unità di misura della forza è chiamata Newton ( Q ). Un Newton è definito pari a quella forza che imprime ad un corpo di massa pari ad un chilogrammo un’accelerazione di un metro al secondo quadro. Concludiamo osservando che il vettore forza è un vettore applicato, vale a dire, per esso è importante specificare esattamente su quale punto materiale agisce. 2 Terza legge e simultaneità di due eventi La terza legge di Newton asserisce che in ogni istante ed indipendentemente dal moto relativo dei due corpi che interagiscono, le mutue interazioni sono uguali. Tale aermazione contiene una profonda caratteristica della Meccanica Newtoniana: le interazioni tra i corpi sono istantanee, ovvero le interazioni si propagano nello spazio a velocità infinita. Come conseguenza immediata di tale infinita velocità si deduce che, se due eventi fisici sono simultanei per un dato osservatore, gli stessi eventi sono simultanei per ogni altro osservatore, indipendentemente dal loro moto relativo (la simultaneità degli eventi fisici è un concetto assoluto). Inoltre, poiché il concetto di simultaneità è legato al modo in cui scorre il tempo, ne segue che il tempo scorre allo stesso modo per tutti gli osservatori, indipendentemente dal loro moto relativo (il tempo è un concetto assoluto nella Meccanica Newtoniana). Oggi sappiamo che le interazioni tra i corpi si propagano nello spazio con velocità finita; ciò comporterà una revisione del concetto di tempo e di simultaneità e di conseguenza una revisione della meccanica newtoniana. 3 L’equazione fondamentale della dinamica La definizione di forza come prodotto P1 a1 è in qualche modo anomalo. La massa P1 è chiaramente una proprietà del corpo, in quanto non dipende dai corpi con cui interagisce. L’accelerazione a1 dipende dai corpi con i quali P1 5 interagisce. Poiché quest’ultima è l’unica quantità fisica del corpo 1 che varia, in seguito all’azione esterna delle forze, si può tentare di estrarre dalla conoscenza dell’accelerazione dei corpi le informazioni sul moto della particella 1. Una tale argomentazione si dimostra fondata e si può rendere quantitativa postulando che la relazione tra forza ed accelerazione è anche un’equazione, nota come Seconda legge di Newton o equazione fondamentale della dinamica. Il passaggio da relazione di definizione ad equazione non è dimostrabile ma è assunto. In altre parole, il fatto che l’equazione Pa = F (7) sia in grado di descrivere e spiegare il movimento dei corpi non può essere dimostrato a priori, ma è un piacevole risultato verificabile a posteriori. In questa nuova ottica, cioè come equazione fondamentale della meccanica noi daremo la seguente interpretazione e prescrizione per il suo uso: In natura esistono diversi tipi di forze (la forza di gravitazione universale o quella Coulombiana, per esempio) le cui espressioni vanno sostituite nel secondo membro della (7) e rappresentano le cause del movimento. L’unica incognita che resta da determinare nella (7) è allora l’accelerazione, che si può interpretare come l’eetto prodotto dall’applicazione della forza. La conoscenza dell’accelerazione ci consente di risolvere il problema del moto, perché nota l’accelerazione, possiamo dedurre prima la velocità e poi la posizione. Il metodo che consente di ottenere dall’accelerazione, prima la velocità e poi la posizione è l’integrazione. Essa, per questa sua proprietà, può essere intesa come operazione inversa della derivazione. 3.1 Equazione del moto del punto materiale Abbiamo visto che il punto di partenza della meccanica newtoniana è il sistema isolato di due punti materiali. Ipotizzando la sua esistenza che, ricordiamo, è comunque un’approssimazione della realtà, ed osservando gli esperimenti è possibile costruire l’intera meccanica. Non può esistere una meccanica newtoniana per un universo fatto da un solo punto materiale, ne occorrono almeno due. Inoltre, è assunta la (7) come equazione fondamentale. Consideriamo, allora, le equazioni fondamentali della dinamica per un sistema di due punti materiali, di massa inerziale P1 ed P2 , P1 a1 = Fh1 + F12 P2 a2 = Fh2 + F21 dove a1 e a2 sono le accelerazioni dei punti materiali, Fh1 e Fh2 le forze esterne al sistema e F12 e F21 quelle interne. Un’approssimazione di tali equazioni è l’equazione del moto del punto materiale. Se il moto di uno dei due corpi non influenza il moto dell’altro corpo, allora si può trascurare la soluzione simultanea del moto dei due corpi e considerarne uno solo. In tal caso, le equazioni del moto dei due punti materiali si riducono a quella, per esempio, del solo punto materiale P1 : 6 P1 a1 = Fh1 + F12 (8) P1 a1 = F1 (9) ovvero Questa approssimazione delle equazioni del moto dei due punti materiali è detta equazione del moto del punto materiale. Conclusione: anche il moto di un punto materiale è, a posteriori, incluso, come un’approssimazione, all’interno della meccanica newtoniana. Tuttavia è palese che, non potendo la forza agente sulla particella, avere origine sulla particella stessa, vi deve essere un restante Universo che esercita la sua forza sulla particella stessa. Osservazione: stiamo assumendo che il corpo P1 non esercita alcuna influenza rilevante sul restante Universo. In tal modo, quest’ultimo non si modifica e a sua volta non rimodifica il moto di P1 . 4 Prima legge o Principio d’inerzia L’equazione del moto di un punto materiale di massa P1 si scrive P1 a1 = F1 dove F1 è la risultante di tutte le forze agenti su P1 ed a1 è l’accelerazione di P1 prodotta dalle forze agenti su di esso. Se su P1 si possono trascurare le azioni di tutte le forze, cioè se possiamo porre F1 = 0 nella precedente equazione, allora P1 a1 = 0 e la sua accelerazione è nulla: v1 =0 w Questo vuol dire che, qualunque sia l’intervallo tenporale w che si considera durante il moto del punto materiale, avremo $ a1 = 0 lim w$0 v1 =0 w cioè v1 = 0 $ v1 (w + w) v1 (w) = 0 Allora, se si possono trascurare le azioni di tutte le forze agenti su di un punto materiale, il vettore velocità del punto materiale non potrà cambiare durante il suo moto, v1 (w + w) = v1 (w) 7 Quando il vettore velocità di un punto materiale non muta nel tempo si dice che si muove di moto rettilineo uniforme Allora, un punto materiale, non soggetto a forze, si muove di moto rettilineo uniforme. (Prima legge di Newton o principio di inerzia di Galileo). I sistemi di riferimento in cui vale il principio di inerzia o, in modo equivalente, i sistemi nei quali vale l’equazione fondamentale, sono detti sistemi inerziali. Osservazioni: Abbiamo derivato il principio d’inerzia dall’equazione fondamentale. Di conseguenza dovremmo concludere che il principio d’inerzia è superfluo una volta assunta la validità dell’equazione fondamentale. In realtà, questa conclusione è errata. Infatti, nel costruire il modello newtoniano di meccanica abbiamo sottolineato il prerequisito di un Universo fatto di almeno due punti materiali. Il moto del punto materiale è fuori dal modello newtoniano e solo l’esistenza del principio d’inerzia può riempire il vuoto concettuale dell’universo fatto da un solo punto materiale. In altre parole, si aermare il Primo Principio nel modo seguente: Nella meccanica Newtoniana è possibile includere anche l’Universo fatto di un solo punto materiale, ma in tale Universo il punto materiale o è fermo o si muove con velocità costante, come avevamo aermato all’inizio di questo capitolo. Inoltre, il Primo Principio confermando la validità dell’equazione P1 a1 = 0 aerma, anche se in un caso particolare (assenze di forze), che la relazione che lega le forze con le accelerazioni è una equazione (equazione fondamentale). Allora, assumere l’esistenza del Primo Principio, serve a giustificare l’esistenza dell’equazione fondamentale e completa il mondo newtoniano consentendo di trattare anche il singolo punto materiale. 5 Sullo spazio e sul tempo assoluto Abbiamo già detto che Newton aveva postulato l’esistenza di uno ”spazio assoluto”. Lo spazio assoluto newtoniano è quello in cui vale il Principio di inerzia. L’accelerazione cui fa riferimento l’equazione fondamentale è, secondo Newton, l’accelerazione rispetto ad un sistema di riferimento solidale con tale spazio assoluto che chiameremo ”sistema di riferimento inerziale”. Quindi il moto che si descrive con l’equazione fondamentale è il moto rispetto allo spazio assoluto ed è quindi un moto assoluto. Cerchiamo di capire questo aspetto in maggiore dettaglio, perché esso ci aiuterà a capire i cambiamenti concettuali che si sono poi avuti dopo Newton. Supponiamo di avere un solo punto materiale nell’Universo. Secondo Newton, non essendoci altri corpi nell’Universo, sul punto materiale non agiscono forze. L’aver postulato il principio d’inerzia ci dice poi che il corpo si muoverà di moto rettilineo uniforme (o sarà fermo). Tale moto è relativo al riferimento assoluto (spazio assoluto), che esiste indipendentemente dalla presenza di materia 8 nell’Universo. Abbiamo però un problema. Non potendo misurare le accelerazioni non siamo in grado di assegnare il valore della massa al punto materiale (lo spazio assoluto, tuttavia esiste indipendentemente dalla presenza del nostro unico corpo). Abbiamo bisogno di almeno un’altro corpo. Aggiungiamolo al nostro Universo. Adesso siamo in grado di assegnare al nostro punto materiale (ed al nuovo corpo) la sua massa inerziale e possiamo descrivere il loro moto in ogni momento. Allontaniamo il secondo corpo e portiamolo, man mano, sempre più lontano. Possiamo ipotizzare che ad una distanza ”infinita” il punto materiale non ”sentirà” più il secondo corpo che avevamo aggiunto (identico discorso vale per il secondo corpo) e il punto materiale ritornerà ad essere isolato e, quindi, si muoverà di moto rettilineo uniforme. La prima considerazione che possiamo fare sulla precedente ”operazione” è quella che l’esistenza di un sistema di riferimento (che abbiamo chiamato inerziale), rispetto al quale il moto di un corpo è rettilineo uniforme, è palesemente solo un’esistenza ”limite”, ovvero solo concettuale, perché non sappiamo precisare correttamente cosa voglia dire ”portare un corpo a distanza infinita tanto da non sentire la sua influenza”. Quindi, l’aermazione che "l’equazione fondamentale è valida in un sistema inerziale" oppure che "un sistema inerziale è quello in cui vale l’equazione fondamentale", oltre che essere tautologica, è anche da considerarsi come aermazione valida solo approssimativamente. La seconda considerazione riguarda la struttura geometrica dello spazio. Essa è, come abbiamo già detto, quella euclidea e non muterebbe se nell’universo cambiasse il contenuto di materia perché lo spazio è solo un contenitore della materia e degli eventi che in esso accadono. Prima di passare alla discussione del tempo assoluto svolgiamo qualche considerazione sul concetto di massa. Se un punto materiale è isolato, la sua massa non è influenzata dalla presenza ”all’infinito” del secondo corpo: la massa di un corpo è, per Newton, una proprietà intrinseca dei corpi che non dipende dalla distribuzione di materia (su larga scala) dell’Universo. Ma noi abbiamo determinato la massa inerziale del punto diventato successivamente isolato, usando proprio il secondo corpo e la sua massa, che ora non sembra avere alcun influenza sul primo corpo. Se crollasse l’ipotesi di un sistema isolato, cioè del principio d’inerzia, forse il valore della massa di un corpo potrebbe anche dipendere dalla distribuzione di materia, su larga scala, dell’universo. Come si vede, la definizione del quadro generale all’interno del quale è stata costruita la meccanica Newtoniana presenta non pochi problemi. Passiamo al concetto di tempo newtoniano. Il tempo, secondo Newton, è assoluto. L’orologio del riferimento assoluto scandisce il tempo assoluto. Esso, ovviamente, scorre in modo uniforme e non è influenzato dalla materia contenuta nell’universo (né influenza la materia e il moto di essa). Risulta di!cile pensare allo scorrere del tempo senza un fenomeno periodico; di conseguenza, senza la materia non avremmo lo scorrere del tempo. 9 6 Esempi di forze newtoniane Per poter risolvere il problema del moto di un punto materiale, occorre conoscere l’espressione della forza (o delle forze) cui esso è sottoposto. In questo paragrafo presenteremo e discuteremo di alcune leggi di forza. Quando si potrà indurre un qualunque equivoco (vedi cap. ottavo) tutte le forze di cui parleremo in questa sezione saranno indicate col nome di forze newtoniane e la loro comune caratteristica è la chiara determinazione della loro origine: esse si originano su corpi diversi da quello su cui agiscono. Occorre innanzitutto precisare che le forze newtoniane possono essere divise in due categorie concettuali: le forze fondamentali (per esempio la forza gravitazionale e quella elettrica) e quelle non fondamentali (la forza elastica, quella di attrito, la reazione vincolare etc.).La dierenza tra le due categorie è che le seconde, almeno in linea di principio, si possono dedurre dalle prime. Tuttavia, nel caso di fenomeni macroscopici (e l’oggetto della Meccanica Newtoniana è la realtà macroscopica) sarebbe molto complicato, se non addirittura impossibile nella pratica, procedere alla risoluzione del problema del moto partendo dalle leggi fondamentali. Perciò, per ragioni pratiche, è conveniente introdurre espressioni di forze non fondamentali che, dal punto di vista tecnico, semplificano la risoluzione del problema del moto. 6.1 La forza peso Un punto materiale, vicino alla superficie della Terra, è soggetto alla forza peso Fs . La forza peso è il prodotto di una quantità scalare, indicata con m e detta massa gravitazionale, e di un vettore g, chiamato accelerazione di gravità: Fs = pg (10) Come la massa inerziale, anche la massa gravitazionale di un corpo è una proprietà dei soli corpi. Il vettore accelerazione di gravità g, in ogni punto dello spazio vicino alla superficie della Terra, ha la direzione ed il verso del filo a piombo. Il modulo di g, sebbene di poco, varia da una regione ad un’altra dello spazio intorno alla Terra. In regioni limitate dello spazio, vicino alla superficie della Terra, l’accelerazione di gravità si può considerare costante in modulo, direzione e verso. 10 6.2 Gravitazione universale e massa gravitazionale La forza peso, descritta brevemente nella sezione precedente, è una forma approssimata di una forza fondamentale detta forza di gravitazione universale. Cercheremo di mostrare come Newton arrivò alla sua comprensione. Lo faremo attraverso due passi sostanziali. Il primo è la comprensione che per mantenere un corpo in moto su di una circonferenza occorre l’azione di una forza e il secondo che se si assumono vere le leggi cinematiche di Keplero, la forza che mantiene i pianeti intorno al Sole ( o la Luna intorno alla Terra) non può essere la forza peso ma deve essere una forza che deve dipendere da 1@u2 , dove u è la distanza del pianeta dal centro del Sole. Trattiamo il primo punto esaminando il moto circolare. Il moto circolare si presta molto bene a capire la grande rivoluzione concettuale che la meccanica newtoniana ha operato rispetto alla tradizione aristotelica, in particolare rispetto a quella separazione che vi era stata tra la ”fisica” del Cielo e la ”fisica” della Terra che la tradizione greca aveva tramandato. Scriveva Aristotele: ”Si può ora dimostrare chiaramente che il moto primordiale è quello circolare. Ogni moto, come abbiamo già detto prima, è circolare o rettilineo o misto; e i due primi devono essere anteriori al terzo poiché sono gli elementi di cui quest’ultimo consiste. Inoltre, il moto circolare è anteriore a quello rettilineo perché è più semplice e perfetto, il che si può dimostrare come segue. La linea retta percorsa dal moto rettilineo, non può essere infinita, perché non esiste nulla di simile a una linea retta infinita; e anche se esistesse, non sarebbe percorsa da alcunché in moto: giacché l’impossibile non accade ed è impossibile percorrere una distanza infinita. D’altro canto, il moto rettilineo lungo una retta finita, se ritorna indietro è un moto misto, anzi forma due moti, mentre se non torna indietro è imperfetto e perituro, e, nell’ordine della natura, della definizione e del tempo il perfetto è anteriore all’imperfetto e l’imperituro al perituro. E ancora, un moto che ammette la possibilità di essere eterno è anteriore ad uno che non lo è. Orbene, il moto circolare può essere eterno: ma nessun altro moto, sia esso trasporto o sia moto di qualunque specie, può essere tale, perché in tutti questi altri movimenti deve avvenire un arresto, e col verificarsi di un arresto cessa il moto. Inoltre, è risultato ragionevole che il moto circolare sia unico e continuo, mentre quello rettilineo non lo è. Nel moto rettilineo è fissato un punto di partenza, un punto d’arrivo e un punto di mezzo.....invece, nel moto circolare tali punti sono indeterminati:.....ogni punto alla pari di ogni altro è insieme punto di partenza, punto di mezzo e punto di arrivo”. Vediamo cosa prevede la meccanica newtoniana perché si realizzi il moto circolare. Supponiamo di voler descrivere il moto della Luna intorno alla Terra e supponiamo che tale moto sia circolare. Sia r il raggio dell’orbita. Supponiamo che, ad un certo istante la Luna si trovi nel puntoA. 11 Se non ci fossero forze, la Luna, per il principio d’inerzia, andrebbe in B con un moto rettilineo uniforme. Quindi DE = vw dove v è la velocità che la Luna aveva in A. Ma la Luna si muove sulla circonferenza e secondo Newton la Luna "cade" sulla Terra. I corpi che "cadono" come aveva insegnato Galilei, percorrono spazi che sono proporzionali al quadrato dei tempi che essi impiegano a percorre il tratto in esame. Il coe!ciente di proporzionalità è l’accelerazione che sta subendo la Luna. Il tratto lungo il quale la Luna "cade" è BC, quindi 1 d (w)2 2 I due tratti, AB e BC, si possono legare mediante il teorema di Pitagora: EF = u2 + DE 2 = (u + EF) 2 ovvero, esplicitando il quadrato del binomio al secondo membro e semplificando DE 2 = 2u · EF + EF 2 Per w piccolo, la precedente equazione si può approssimare con (l’approssimazione è tanto migliore quanto più è piccolo w): DE 2 = 2u · EF Sostituendo in tale espressione i valori di AB e BC troviamo il valore dell’accelerazione (moltiplicando per la massa della Luna avremmo la forza agente sulla Luna) necessaria a tenere la Luna sulla circonferenza, v2 (11) u Nel limite dell’intervallo di tempo tendente a zero, l’ultima relazione diventa un’uguaglianza. Conclusione: il moto della Luna non può avvenire senza la presenza di una forza, perché un corpo per muoversi su di una circonferenza deve essere soggetto ad una forza esterna. Il risultato è in contrasto con le aermazioni di Aristotele. d = 12 Allora, seguendo Newton, diremo che deve esistere una forza che costringe la Luna a girare intorno alla Terra. Lo stesso tipo di analisi vale per un qualunque pianeta che giri intorno al Sole. Il nostro scopo, ora, è determinare, in maniera esplicita, la forma di questa forza. Assumeremo vera, con Newton, la terza legge di Keplero (essa è il risultato di un’analisi accurata fatta da Keplero sulle osservazioni astronomiche di Ticho Brake e stabilisce che i quadrati dei periodi di rotazione dei pianeti sono proporzionali ai cubi delle distanze dal Sole) e faremo l’ipotesi (semplificatrice) che i pianeti si muovono di moto circolare uniforme su orbite circolari. Mostreremo, come fece Newton, che vi deve essere una forza, prodotta dal Sole e agente sui pianeti (ovvero dalla Terra sulla Luna) che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza reciproca (forza di gravitazione universale). Abbiamo mostrato che un corpo in rotazione è soggetto ad una accelerazione data da v2 u Se indichiamo con W il periodo di rotazione sull’orbita, avremo vW = 2u, e la precedente relazione diventa: d= 42 u (12) W2 D’altra parte abbiamo assunto la validità della terza legge di Keplero d= W 2 = n0 u3 (13) dove n0 è una costante di proporzionalità. Sostituendo tale relazione nella (12) avremo: d= 4 2 1 n0 u2 (14) Infine, usando la definizione di Forza I = P d, troveremo la forma della forza che mantiene i pianeti in orbita intorno al Sole: I = 42 P 1 n0 U2 (15) Ma Newton non si è fermato al solo moto dei pianeti intorno al Sole. Egli ha intuito che la forza responsabile del moto dei pianeti intorno al Sole aveva un carattere universale. Egli, infatti, aermò che tutti i corpi dell’universo sono soggetti e ne sono loro stessi sorgenti della forza di Gravitazione universale. Più precisamente, egli aermò che tra due corpi puntiformi si esercita una mutua attrazione (forza gravitazionale) che è diretta lungo la congiungente i due corpi e il cui modulo è espresso dalla relazione, IJ nJ 13 p1 p2 u2 (16) dove m1 ed m2 sono due costanti intrinseche di ciascun corpo, dette masse gravitazionali, r è la distanza tra le due particelle e G una costante che dipende solo dalle unità di misura scelte. La massa gravitazionale è, in principio, dierente dalla massa inerziale di un corpo: la prima caratterizza la forza con la quale un corpo viene attirato (e attira) da un altro corpo, secondo la (16), mentre la massa inerziale è una misura della di!coltà di un corpo a farsi variare di velocità. Osservazione: Vogliamo subito precisare che aermare la validità della (16) non significa, in alcun modo, spiegare la natura e l’origine della forza di gravitazione universale. Nella meccanica che stiamo costruendo le varie forme di forze non sono spiegate, ma solo giustificate da una verifica sperimentale. A tale proposito riportiamo un passo di E. Mach sul problema: ”Per Newton la gravitazione universale era un fatto reale. Egli stesso disse di non essere riuscito a trovare una spiegazione di questo fenomeno, né di aver su esso inventato ipotesi. Che il problema però continuasse a occuparlo lo si vede da una sua nota lettera a Bentley. Gli sembrava assurdo ammettere che la gravitazione sia essenziale e intrinseca alla materia, così che un corpo possa agire direttamente su un altro attraverso lo spazio vuoto; né volle decidere se l’agente intermedio fosse materiale o immateriale (spirituale?). Come altri scienziati prima e dopo di lui, Newton ha sentito il bisogno di spiegare la gravitazione con una specie di azione per contatto. É comunque certo che i risultati che egli ottenne in astronomia, assumendo a fondamento della deduzione le forze a distanza, mutarono in modo considerevole lo stato della scienza. Gli scienziati presero l’abitudine di considerare le forze a distanza come il dato da cui muove ogni spiegazione, lasciando cadere il problema della loro origine.”. Per sviluppare una teoria delle interazioni, per azioni a contatto, bisognerà attendere i lavori sul campo elettromagnetico svolti da Faraday e Maxwell. Occorre, tuttavia, avvertire fin d’ora, che mentre ambedue le formulazioni (azioni a distanza e azione per contatto) sono possibili in un ambito di fenomeni che si svolgono a velocità basse paragonate con quelle della luce, nella fisica delle particelle veloci (particelle elementari) solo una descrizione in termini di campo è fisicamente possibile. La forza di gravitazione universale troverà una sua spiegazione solo in tale ambito. 6.3 La forza peso e ”l’esperimento” di Galilei Supponiamo che nella (16) uno dei due corpi sia la Terra (p2 = pW ) e l’altro un arbitrario punto materiale di massa gravitazionale p1 che si trovi vicino alla Terra. L’applicazione della (16) richiede che i due corpi siano puntiformi. Ora, è evidente che, se si confronta la Terra con i corpi che solitamente le sono vicini, essa non può considerarsi puntiforme e l’utilizzo della (16) diventa quantomeno discutibile. Tuttavia, il procedimento di considerare la Terra, anche in questo caso, puntiforme (con tutta la massa concentrata nel suo centro) sarà provato corretto in capitolo successivo. Per ora, assumiamo che sia corretto pensare la Terra come un punto materiale, la cui massa (inerziale o gravitazionale, per ora non ha importanza) pW e la cui posizione sia nel centro della Terra stessa. 14 Quindi, un corpo poggiato al suolo avrà dal centro della Terra una distanza UW , che rappresenta il raggio della Terra (i valori del raggio e della massa della Terra sono UW = 6> 34 × 103 np e pW = 5> 98 × 1024 nj). Al punto materiale p1 , come ad ogni punto materiale che si muove, è possibile associare anche una massa inerziale P1 , in modo che l’equazione che descrive il suo moto si possa scrivere: p1 pW uu (17) u2 ove uu è il versore della retta congiungente il centro della Terra con il corpo. Per i corpi prossimi alla superficie della Terra, la precedente equazione, può approssimarsi con P1 a1 = nJ p1 pW P1 a1 uu = nJ UW2 (18) Per procedere ulteriormente utilizzeremo un risultato sperimentale ”trovato”, per primo, da Galilei: tutti i corpi di massa trascurabile rispetto alla massa della Terra, se si trascura l’attrito dell’aria, cadono con la stessa accelerazione. Chiameremo quest’ultima accelerazione di gravità e la indicheremo con g. A!nché la (18) spieghi l’esperimento di Galilei, deve essere a1 = g ovvero, il secondo membro della (18) deve essere costante e indipendente dai corpi: g = p1 pW nJ 2 uu P1 UW Allora, possiamo aermare che, l’accelerazione g è diretta dal corpo al centro della Terra e il sul modulo è j= p1 pW nJ 2 P1 UW (19) A!nché, il secondo membro di tale equazione sia costante e indipendente p1 dalla massa dei corpi, il rapporto P deve essere una costante adimensionale, 1 15 cioè la massa inerziale e quella gravitazionale di un qualunque corpo, devono essere proporzionali P 2p e la costante di proporzionalità deve dipendere solo dal sistema di unità di misura adottato. Facciamo riferimento al Sistema Internazionale. Il valore del modulo dell’accelerazione j , che si trova alla nostra latitudine è j = 9> 81 p v2 Questo vuol dire che possiamo scrivere U2 p j W = nJ pW P ovvero $ ¢2 ¡ 6> 34 × 106 p = 9> 81 × nJ P 5> 98 × 1024 p3 p nJ = 6> 59 × 1011 2 P v nj A questo punto occorre fare una scelta. Il valore numerico al secondo membro p può fornire il prodotto di P con nJ e non il solo valore del rapporto. Si è convenuto di porre il rapporto tra le masse uguale ad uno: p =1 (20) P e di associare il valore numerico alla sola costante nJ , chiamata costante di gravitazione universale. Essa sarà indicata con la lettera J: J = 6> 59 × 1011 Q p2 nj 2 Il valore di J più preciso è 6> 67×1011 Q p2 @nj 2 . Possiamo scrivere la forza di gravitazione universale FJ = J p1 pW uu u2 (17a) D’ora in poi, parleremo solo di massa associata ad un corpo senza alcuna distinzione tra inerziale e gravitazionale. Con tale scelta, il valore delll’accelerazione di gravità (vedi la (19)), può scriversi, per i corpi prossimi alla superficie terrestre, j=J pW UW2 (21) Notiamo, tuttavia, che la proporzionalità tra massa inerziale e massa gravitazionale non trova alcuna spiegazione teorica all’interno della teoria Newtoniana ma è una pura conseguenza dell’esperimento di Galilei. 16 Con la posizione (21) i corpi che si muovono vicino alla superficie della Terra e la cui massa è trascurabile rispetto alla massa della Terra, sono soggette alla forza peso: FJ = Fs P g (22) La direzione di g è lungo la congiungente il centro della Terra e il corpo; il verso va dal corpo alla Terra. Allora, la forza peso è un’approssimazione della forza di gravitazione universale. In altre parole, possiamo aermare che le forze che si esercitano tra i corpi celesti e quelle che si esercitano tra la Terra e i corpi che gli stanno vicini sono le stesse. In definitiva, Newton ha mostrato l’unicità della fisica del moto nel cielo e sulla Terra e ciò, nel linguaggio della Fisica moderna, rappresenta il primo esempio di unificazione tra due forze apparentemente distinte. Alcune considerazioni tra massa e peso di un corpo: Un corpo di un kg, alle nostre latitudini, esperimenta una forza Fs pari a 9> 8Q . Ciò vuol dire che un corpo di massa P = 1nj "pesa" 9> 8Q . La massa, ricordiamo, è una misura della quantità di materia posseduta dal corpo (oppure è una misura della sua inerzia, oppure una misura del suo contenuto gravitazionale), mentre il suo peso è la misura dell’azione (forza!) che la Terra esercita su di esso. Su di un altro pianeta, per esempio, il valore del peso di un corpo (misura della forza con cui il pianeta lo attira) cambierebbe, mentre il valore della sua massa rimarrebbe invariato. Quando si usa una bilancia, si fa una misura di intensità di forza (forza peso), tuttavia, poiché j è la stessa per tutti i corpi, si può dire che la bilancia misura anche la massa di un corpo. 6.4 La forza di Coulomb Oltre alla massa, alcuni corpi posseggono anche una carica elettrica, T. Tali corpi, oltre a sperimentare una forza di gravitazione universale, sperimentano, cioè sono soggetti e producono, una forza detta elettrica o di Coulomb. Definizione: Si verifica sperimentalmente (tale esperimento fu eseguito per la prima volta da Coulomb) che due cariche elettriche puntiformi T1 e T2 si respingono (se sono dello stesso segno) o si attraggono (se sono di segno contrario) secondo la seguente legge (detta di Coulomb): T1 T2 (23) u2 dove r indica la distanza tra le due cariche e n0 è una costante (detta di Coulomb) che dipende dal sistema di unità di misura adottato. Nel Sistema Internazionale n0 = 8> 98 × 109 Q p2 @F 2 dove F stà per Coulomb, ed indica l’unità di carica elettrica. Il valore della carica dell’elettrone (e anche del protone) th , nel S.I., è 1> 6 × 1019 F. La forza di Coulomb è circa 1040 più forte della forza gravitazionale. I0 n0 17 6.5 La forza elastica Alcuni corpi macroscopici, quando sono sottoposti all’azione di una forza esterna, subiscono una deformazione solo temporanea. In altri termini, un corpo macroscopico sottoposto all’azione di una forza esterna si "deforma", ma è in grado di annullare la deformazione avvenuta, non appena cessa l’azione della forza esterna. Tale proprietà dei corpi è detta elasticità. La determinazione della forza elastica con cui il corpo macroscopico reagisce alle sollecitazioni esterne è, in generale, di!cile. Tuttavia per alcuni corpi e per sollecitazioni esterne di limitata intensità la forza di richiamo elastica ha un’espressione semplice. Per fissare le idee useremo il corpo elastico per eccellenza: la molla. Pensiamo di ancorare una molla ad un so!tto. Se non vi è alcun corpo legato all’altra estremità, la molla avrà una certa lunghezza, o. Se appendiamo un corpo essa si allunga (si deforma!) e, per deformazioni non troppo grandi, si può mostrare che la sua reazione elastica è direttamente proporzionale alla deformazione subita (il verso è sempre opposto alla deformazione). Allora, particelle legate a molle deformate sono, sotto certe condizioni, sottoposte ad una forza proporzionale alla deformazione della molla. Possiamo allora procedere alla definizione di forza elastica. Definizione: Sia {0 l’ascissa di una particella ferma. Su tale particella si esercita, nella direzione dell’asse x, una forza detta elastica di richiamo, se tale forza può esprimersi nel seguente modo: Ih n ({ {0 ) (24) dove k è una costante (positiva) detta costante elastica. La forza elastica agisce sempre nella direzione opposta allo spostamento. Se l’origine del sistema di riferimento si sceglie nel punto di riposo {0 : 18 allora la (24) si può scrivere Ih = n{ (25) La (25) viene anche chiamata legge di Hooke. Una forza di questo tipo, come abbiamo già detto, può essere prodotta da una molla (supposta senza massa) fissata per un’estremità ad una parete, e collegata con l’altra estremità ad un punto materiale, libero di scorrere senza attrito su di un piano orizzontale, per spostamenti su!cientemente piccoli. 6.6 Reazioni vincolari e tensione nei fili Un altro aspetto dell’elasticità dei corpi macroscopici si manifesta nel vincolare altri corpi in determinate posizioni o, più in generale, su determinate traiettorie. Un tavolo con un piano orizzontale (corpo macroscopico elastico), su cui è poggiato un corpo, reagisce con una forza elastica opponendosi alla forza peso agente sul corpo; come risultato, il corpo rimane fermo sul tavolo (a meno che non sia tanto pesante da sfondarlo). Più precisamente assumeremo che, nel caso di reazioni vincolari esercitate da superfici, la reazione vincolare Fu , è sempre uguale, ma di segno opposto, alla risultante delle forze ortogonali alla superficie vincolare (vincoli lisci). Un corpo appeso ad un filo (o fune) lo tende e questo reagisce con una forza di natura elastica capace di contrastare il peso del corpo. Il corpo resta sospeso nel vuoto, cioè rimane vincolato. 19 Osservazione: La reazione del vincolo non è dovuta al principio di azione e reazione. Nel caso del tavolo, per esempio, è la Terra che attira il corpo verso il suo centro (forza peso) e quindi, per il principio di azione e reazione, sulla Terra il corpo esercita una forza uguale e di segno contrario. Questa forza non è disegnata. La reazione vincolare è invece esercitata dal tavolo sul corpo stesso. In conclusione, sul corpo agiscono due forze, una dovuta alla Terra ed una dovuta al tavolo. Le forze che obbediscono al principio di azione e reazione, agiscono su due corpi dierenti, in interazione reciproca. 6.7 La forza di attrito Supponiamo di avere un corpo macroscopico, inizialmente fermo, poggiato su di un piano orizzontale. Tra il corpo ed il piano vi sarà una superficie di contatto, dove possiamo pensare applicata la reazione del piano al peso del corpo. Se proviamo ad applicare al corpo una forza F, parallela alla superficie di contatto, si può verificare la situazione in cui il corpo non si muove. Diremo, allora, che tra i due corpi vi è un attrito statico. Poiché il corpo non si muove dobbiamo concludere che il tavolo esercita su di esso una forza uguale e di segno contrario a quella che abbiamo applicato. La situazione di immobilità del corpo rimarrà tale fino a che, aumentando l’intensità della forza applicata, non si raggiunge un determinato valore. A questo punto il corpo inizia a muoversi. Se il valore della forza è tale che, una volta messo in moto, il corpo si muove con velocità costante, allora, e gli esperimenti lo hanno dimostrato, il valore della forza di attrito dipenderà dalla natura dei due corpi e dal peso del corpo (si badi che il valore di tale forza non dipende dalla superficie di contatto o, se si preferisce, non dipende da ciò che si chiama "pressione": forza agente sull’unità di superficie). Infine, sempre sulla base degli esperimenti, si è constatato che l’attrito, che questa volta chiameremo dinamico, non dipende dalla velocità con cui il corpo scivola sul piano. 20 Da un punto di vista sperimentale si verifica che la forza necessaria ad "innescare" il moto è più grande di quella necessaria a mantenerlo. Possiamo allora dire che, all’istante in cui il corpo incomincia a muoversi, l’intensità della forza di attrito statico è proporzionale al peso del corpo, attraverso un coe!ciente di proporzionalità statico v ; mentre nel caso dinamico avremo una proporzionalità con la forza peso espressa da un coe!ciente dinamico . Si verifica sperimentalmente che, tra il coe!ciente di attrito statico e quello dinamico, si ha la seguente relazione: v Diamo due esempi di coe!cienti di attrito statico e dinamico: Giaccio su giaccio: v = 0> 78; = 0> 42; acciaio su acciaio: v = 0> 05; = 0> 04. La condizione di velocità costante serve a determinare il valore della forza di attrito. Una volta determinata quantitativamente la forza di attrito, il corpo in moto, essendo soggetto a forze subirà delle accelerazioni. Passiamo alla definizione di forza di attrito. Definizione: Se un corpo si muove, mantenendosi in contatto con un’altro corpo, su di esso si manifesta una forza (detta di attrito) che si oppone al moto relativo dei due corpi. Si verifica sperimentalmente che la forza di attrito, Fd , ha direzione e verso tali da opporsi sempre al moto e modulo proporzionale alla componente normale della reazione vincolare Fu , tra i due corpi: Id = Iq (26) Il coe!ciente di attrito ha una semplice interpretazione geometrica. Abbiamo detto che nel caso di vincoli lisci la loro reazione elastica è assunta ortogonale alla loro superficie. Questa assunzione nei casi di superfici reali è un’approssimazione perché la reazione del vincolo Iu , in seguito all’azione di una forza tangenziale non è mai perfettamente orizzontale: Se decomponiamo la reazione del vincolo, Fu , in una componente normale Fq ed una tangenziale Fd , come si vede subito dalla figura, troveremo: tan = Id = Iq (27) In conclusione, il coe!ciente di attrito è una misura della reazione vincolare, non perfettamente normale, che un vincolo reale esercita su di un corpo. 21 7 Uso dell’equazione fondamentale Lo scopo degli esercizi di questa sezione è quello di mostrare come si utilizza l’equazione fondamentale in alcuni esempi piuttosto consueti. Per la risoluzione della equazione fondamentale si consiglia di procedere nel seguente modo. Si riporta l’equazione fondamentale Pa = F poi, individuando tutte le forze che agiscono sul punto materiale, la si riscrive nello specifico: P a = F1 + F2 + === + Fq Per semplificare la notazione e la discussione supponiamo che sul punto materiale in esame agisca solo una forza: P a = F1 (28) Se i vettori sono utili per descrivere le leggi fisiche in maniera generale, ma non possono essere utilizzati in maniera diretta per la risoluzione dei problemi fisici. La (28), se si sceglie un sistema di assi cartesiani, si può scrivere P (d{ u{ + d| u| + d} u} ) = I1{ u{ + I1| u| + I1} u} (29) Uguagliando le componenti omologhe, si hanno le seguenti tre equazioni scalari: P d{ = I1{ P d| = I1| P d} = I1} (30) La risoluzione dell’equazione fondamentale è stata così ridotta alla risoluzione di tre equazioni (dierenziali, del secondo ordine) scalari. La risoluzione completa dipende dalla determinazione, per ciascuna di tali equazioni, di due costanti, dette condizioni iniziali (le componenti della posizione e della velocità iniziali lungo il corrispondente asse cartesiano). Nella quasi totalità degli esempi che faremo, la risoluzione di tali equazioni avverrà per integrazioni successive. Note quindi le forze, sono note le accelerazioni e da queste si risale prima alle velocità e poi alle posizioni. In tale ottica, come abbiamo già osservato nel primo capitolo, l’operazione d’integrazione appare come un procedimento inverso rispetto all’operazione di derivazione. Commento: Le equazioni Newtoniane appena definite sono dette deterministiche. Esse, infatti, note le forze e le condizioni iniziali, consentono di conoscere la traiettoria passata e futura di ogni punto materiale. 7.1 Caduta libera dei corpi Un corpo vicino alla Terra viene attratto verso il centro di essa (cioè cade) dalla forza peso. Se si trascura l’attrito dell’aria, l’equazione che governa tale movimento, è 22 Pa = Pg (E1) a=g (E2) ovvero Per poter risolvere esplicitamente il problema del moto, occorre passare alle equazioni scalari associate alla (2). La scelta del sistema di riferimento diventa, a questo punto, un’operazione importante. Prendiamo un sistema di assi cartesiani, con l’asse delle y rivolto verso l’alto e passante per il punto materiale. Le condizioni iniziali del problema sono: posizione iniziale ({s = 0> |s = k> }s = 0) e velocità iniziale nulla. Le equazioni scalari corrispondenti all’equazione (E2) sono: d| = j d{ = 0 d} = 0 (E3) Come si vede, lungo i tre assi cartesiani, il valore dell’accelerazione è costante. Nel precedente capitolo, abbiamo derivato, nel caso di accelerazioni costanti, le espresssioni della velocità e dello spazio, in funzione del tempo: v (w) = v0 + d0 w (E4) 1 (E5) v (w) = v0 + v0 w + d0 w2 2 Si tratta ora di applicare queste equazioni al caso in esame, per ciascuna componente. Il moto avviene sicuramente nel piano {|. Lungo x, non vi è velocità iniziale e la sua componente è zero. Allora, lungo { avremo: v{ (w) = 0 { (w) = 0 Il moto procede lungo l’asse |: 23 (E6) In relazione all’asse y, la componente della velocità è nulla, mentre la posizione iniziale è k: 1 | (w) = k jw2 2 v| (w) = jw (E7) Possiamo avere diverse informazioni sul moto, esaminando le (E7). In particolare, il tempo che il corpo impiega a raggiungere il suolo è ( si pone | (w) = 0): s 2k w= (E8) j e la velocità con cui vi arriva è (si sostituisce la (E8) nella prima delle (E7)) p (E9) vv = 2jk La caduta di un corpo, soggetto alla sola forza peso, avviene lungo la verticale. Se si pone, nella seconda delle (E7), | (w) = 0> segue anche k= 1 2 jw 2 ovvero k 1 = j = frvwdqwh (E10) w2 2 Tale relazione è stata trovata, per la prima volta, da Galilei. Egli sosteneva di avere le prove che il rapporto tra lo spazio percorso nella caduta ed il quadrato del tempo impiegato a percorrerlo fosse costante per tutti i corpi. Poiché la (E10) è una conseguenza della (E1), che a sua volta è conseguenza della forma della forza peso, possiamo asserire, con Galilei, che la (E10) è una prova indiretta del fatto che tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione, ovvero della proporzionalità tra massa inerziale e gravitazionale. In realtà, Galilei non misurò neppure direttamente la relazione (E10), ma la dedusse per estrapolazione dalle misure fatte sulla discesa dei corpi lungo piani inclinati. Se si vede l’esempio sul moto dei corpi che scivolano, senza attrito, lungo piani inclinati di un angolo , si trova 24 1 w= sin s 2k j (E11) Quando è di 90 gradi, tale equazione diventa proprio la (E10). Si potrebbe allora pensare che Galilei abbia realmente fatto delle misure su dei piani inclinati a diversi angoli (per esempio, da angoli prossimi a zero ad angoli prossimi a 90 gradi) estrapolando poi il risultato ad angoli molto vicini a 90 gradi. In realtà, ogni tentativo di sperimentare la precedente equazione con piani di varia inclinazione hanno mostrato che per angoli maggiori di circa 10 gradi essa non può essere verificata. La conclusione cui si giunge è che Galilei, da pochi dati, abbia estrapolato risultati sperimentali e descritto correttamente la caduta dei gravi. La spiegazione del perché, cioè delle cause, è stata poi una deduzione di Newton. Risoluzione mediante l’uso dell’integrazione: Si procede nel seguente modo (riferiamoci al solo asse delle |). Utilizzando la definizione di accelerazione si ha gv| = j gw che diventa gv| = jgw Poi si integra tra l’istante iniziale e uno generico w (gli estremi di integrazione della velocità sono la velocità iniziale e quella corrispondente al tempo w) Z v| Z w 0 gv| = j gw0 w0 v0| e dopo l’integrazione si ottiene v| (w) = v0| jw (E12) dove il tempo iniziale w0 è stato posto uguale a zero. Tale equazione ci consente di determinare, ad ogni istante, il valore della componente della velocità lungo l’asse |. Per ottenere la traiettoria bisogna integrare ancora una volta la (4). Ricordando la definizione di velocità: g| = v0| jw gw Eettuandone l’integrazione, e utilizzando le condizioni iniziali, si ottiene | (w) = k 25 jw2 2 (E13) 7.2 Moto di un proiettile Si consideri il moto di un punto materiale che, avendo una velocità iniziale v0 , non nulla, si muova nelle vicinanze della superficie terrestre, nell’ipotesi che si possa trascurare la resistenza dell’aria. Il moto del punto materiale è piano ed è deducibile dalla seguente equazione del moto: Pa = Pg (E1) a=g (E2) ovvero dove g è l’accelerazione di gravità. Le equazioni sono identiche a quelle relative alla caduta libera, ma vedremo che le dierenti condizioni iniziali porteranno ad una soluzione del moto dierente. Questo significa che le equazioni stabiliscono l’ambito del "possibile", vale a dire tutti i possibili moti, ma poi sono le condizioni iniziali (condizioni al contorno) che determinano il moto eettivo di un corpo. L’altro aspetto interessante dello studio del moto del proiettile è la composizione del moto lungo i due assi, che nella caduta libera non avevamo. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano nel piano (x,y). Le componenti iniziali della velocità saranno indicate con (v0{ > v0| ). Lungo l’asse x, non essendoci forze, l’accelerazione è nulla. Lungo l’asse y l’accelerazione è prodotta dalla forza peso. Con la scelta degli assi da noi fatta, le due componenti dell’accelerazione sono d| = j d{ = 0 (E3) le equazioni sono identiche a quelle relative alla caduta libera, tuttavia le condizioni iniziali, determineranno dierenti soluzioni. Si trova, lungo l’asse x: v{ (w) = v0{ { (w) = v0{ w (E4) mentre, lungo l’asse x 1 | (w) = v0| w jw2 2 v| (w) = v0| jw 26 (E5) L’insieme di queste equazioni descrive completamente il moto di un proiettile. Mostriamo alcuni risultati che si possono ottenere dalle precedenti equazioni A) Determinazione delle coordinate della massima altezza cui può arrivare un proiettile. La massima altezza è caratterizzata dalla proprietà di avere nulla la componente verticale della velocità: Possiamo, allora, porre nella (E5) v| (w) = 0. Essa si riduce a v0| jwP = 0 dove wP indica il tempo impiegato dal punto materiale a raggiungere l’altezza massima. Dalla precedente relazione troviamo wP = v0| j (E6) Sostituendo tale valore nella (E5), per lo spazio, otteniamo l’ordinata della massima altezza, |P : |P = v0| µ v0| j ¶ 1 j 2 µ v0| j ¶2 = 2 1 v0| 2 j (E7) Sostituendo il tempo dato dalla (E7) nellequazione (E4) troviamo anche l’ascissa della massima altezza: ¶ µ v0| v0{ v0| {P = v0{ (E8) = j j B) Possiamo determinare la "gittata", ovvero la massima distanza raggiungibile dal proiettile rispetto alla sua posizione di partenza. 27 Sarà su!ciente porre | (w) = 0 nella (E5): 1 0 = v0| wJ jw2J 2 dove wJ indica il tempo impiegato dal punto materiale per raggiungere il luogo di massima distanza dall’origine del sistema di riferimento. Risolvendo tale equazione, avremo due soluzioni: wJ = 0, che indica il tempo in cui è partito il proiettile, e wJ = 2v0| j (E9) L’ascissa della gittata si otterrà sostituendo il valore (E9) nella (E4): {J = v0{ 2v0| 2v0{ v0| = j j (E10) Notiamo che {J = 2{P (E11) C) Dimostriamo che la curva descritta dal proiettile è una parabola. Facendo sistema tra le equazioni (E4) e (E5) ed eliminando il tempo da entrambe (si prenda w = {@v0{ dalla (E4) e lo si sostituisca nella (E5)) si ottiene |= 1 j 2 v0| { 2 { v0{ 2 v0{ (C12) che rappresenta una parabola passante per l’origine del sistema di riferimento. 7.3 Moto lungo un piano inclinato senza attrito Si abbia un punto materiale di massa M che scivoli lungo un piano inclinato privo di attrito, la cui lunghezza sia o e la cui altezza sia k. Sul corpo, nell’ipotesi che si possa trascurare la resistenza dell’aria, agiscono la forza peso Fs e la reazione del piano Fu : 28 La forza peso Fs ha direzione verticale, mentre la reazione vincolare Fu è ortogonale al piano inclinato. Il moto che si osserva avviene lungo il piano inclinato. Tale moto è dovuto alla risultante Fw , della forza peso e della reazione vincolare e la sua direzione è tangente al piano inclinato. L’intensità della reazione vincolare del piano può esprimersi in termini della forza peso: per definizione di reazione di un vincolo liscio, tale intensità è uguale e di segno contrario alla componente normale Fq della forza peso. Sul corpo agiscono la forza peso e la reazione vincolare. Si decompone la forza peso in una componente tangente al piano e una ad esso ortogonale. Lungo la direzione ortogonale non vi è moto, perché la reazione è pari alla componente ortogonale della forza peso; non rimane che la componente tangenziale della forza peso a determinare il moto. Ora, usando argomentazioni geometriche, calcoliamo esplicitamente l’intensità della forza risultante Fw , responsabile del moto del corpo. Possiamo valutare tale intensità usando la similitudine tra i triangoli ABC e DEF. Avremo GI : FE = GH : FD ovvero P j : o = Iw : k da cui P jk = P j sin (E1) o dove indica l’inclinazione del piano. Scegliendo l’asse x lungo il piano inclinato, possiamo utilizzare l’equazione del moto di un punto materiale e scrivere Iw = 29 jk (E2) o Il punto materiale, durante la sua discesa, si muove con un’accelerazione costante P d{ = P jk (E3) o L’accelerazione non dipende dalla massa del corpo, come i corpi in caduta libera. Poiché o è maggiore di k, l’accelerazione di un punto materiale, lungo un piano inclinato, è inferiore all’accelerazione di un corpo in caduta libera. Essa è inferiore di un fattore k@o. Se il punto materiale, parte al tempo t=0, con velocità nulla, troveremo che la velocità lungo l’asse x sarà µ ¶ jk w (E4) v{ (w) = o d{ = mentre, lo spazio percorso sarà: { (w) = 1 2 µ jk o ¶ w2 (E5) Quando il punto materiale sarà arrivato alla fine del piano inclinato, avrà percorso il tratto o; il tempo, wo , impiegato dal punto materiale per percorrere l’intero piano inclinato, si otterrà dalla (5) ponendo { = o: µ ¶ 1 jk 2 o= wo 2 o Risolvendo rispetto a wo , otteniamo s o 2k o wo = = wk k j k (E6) dove abbiamo introdotto il tempo wk , impiegato da un punto materiale, in caduta libera, a raggiungere il suolo da un’altezza k. Il tempo che impiega un punto materiale a percorrere tutto il piano inclinato è o@k volte più grande del tempo che impiega un corpo a cadere, in caduta libera, da un’altezza k. Il risultato (E6) non dipende dalla massa del punto materiale, quindi non dipende dal corpo (come il tempo nella caduta libera). Possiamo dire che, se si trascura la resistenza dell’aria, tutti i corpi, approssimabili a dei punti materiali che, partendo dalla sommità di un piano inclinato, privo di attrito, scivolano lungo lo stesso piano inclinato, impiegano lo stesso tempo ad arrivare alla fine del piano inclinato La velocità che possiede un qualunque punto materiale quando arriva alla fine del piano inclinato, si ottiene sostituendo il valore di wo , dato dalla (6), nell’equazione (4): 30 jk o v (wo ) = o k s 2k p = 2jk j (E7) La velocità di arrivo alla fine del piano inclinato è uguale alla velocità di arrivo al suolo di un qualunque punto materiale che cade in caduta libera da un’altezza h. La velocità di arrivo al suolo, in assenza di attriti, non dipende dalla strada che si sceglie (caduta libera o piano inclinato). 7.4 Moto lungo un piano inclinato, con attrito Si abbia un piano, inclinato di un angolo rispetto al suolo e di altezza h. Un punto materiale che scivola lungo tale piano sarà soggetto alla forza peso Fs , alla reazione del vincolo Fu ed alla forza di attrito, Fd L’equazione del moto sarà allora P a = Fs + Fu + Fd (E1) Scegliendo gli assi come in Figura, le equazioni scalari associate alla (E1) sono P d{ = P j sin P j cos P d| = P j cos P j cos ovvero d{ = j sin (1 cot ) d| = 0 Non c’è moto lungo l’asse y. Risolviamo l’equazione lungo l’asse x, nell’ipotesi di velocità iniziale nulla, per un corpo che parte dalla sommità del piano. Le espressioni che si ottengono per la velocità e lo spostamento sono rispettivamente v{ (w) = j sin (1 cot ) w { (w) = 1 j sin (1 cot ) w2 2 31 (E2) (E3) Ci proponiamo di calcolare la velocità con cui il corpo giunge al suolo ed il tempo impiegato. Dalla (E3) si può ottenere immediatamente il tempo, imponendo il valore della lunghezza del piano, cioè risolvendo la seguente equazione: k 1 = j sin (1 cot ) w2 sin 2 La soluzione che si ottiene, è r 2jk 1 w= j sin 1 cot Sostituendo la (E4) nell’espressione della velocità, eq.(E2), si trova p vv = 2jk (1 cot ) Nell’ipotesi di assenza di attrito, le due ultime equazioni diventano s 1 2k w= sin j p vv = 2jk (E4) (E5) (E6) (E7) Dai risultati di questo e di quelli del precedente esempio si deduce che la velocità di arrivo al suolo, in un campo gravitazionale, non dipende, in assenza di attrito, dal percorso fatto (vv è identica per la caduta di un grave lungo la verticale e per il moto lungo il piano inclinato). D’altro canto, il tempo impiegato dipende dal percorso. Le precedenti equazioni consentono di calcolare anche il coe!ciente di attrito statico. Nel caso in cui il punto materiale è in quiete sul piano inclinato, la risultante delle forze deve essere nulla: Fs + Fu + Fd = 0 In particolare, lungo l’asse x, dovendo essere il valore della coordinata sempre nullo qualunque sia il valore di t, dalla (E3) si ottiene, ovvero, 1 v cot = 0 v = tan 8 (E8) Il moto circolare: approfondimento Prima di procedere all’applicazione dell’equazione fondamentale ai corpi in moto su traiettoria circolare conviene approfondire alcuni aspetti del moto circolare. Per fare ciò, ricordiamo che il vettore posizione si scrive r = u (w) uu (w) 32 (31) Sia il versore che il modulo del vettore posizione dipendono dal tempo. Se prendiamo la derivata temporale avremo gu guu g g r= [uuu ] = uu + u gw gw gw gw (32) Abbiamo bisogno di sapere la derivata del versore radiale. Il versore radiale forma un angolo ! con l’asse delle x: In termini dei versori degli assi potremo scrivere uu = cos ! (w) u{ + sin ! (w) u| (33) Prendiamo la derivata temporale: g g! g! g uu = [cos ! (w) u{ + sin ! (w) u| ] = sin ! (w) u{ + cos ! (w) u| gw gw gw gw da cui g! g uu = uw (34) gw gw dove abbiamo introdotto il versore tangenziale, la cui espressione, come si evince dal grafico, dovendo essere ortogonale al versore radiale è uw = sin ! (w) u{ + cos ! (w) u| (35) Allora, la velocità si può scrivere v= g! gu (w) uu + u (w) uw gw gw (36) Nel moto circolare la distanza del punto materiale dal centro è sempre la stessa, di conseguenza gu (w) =0 gw In definitiva, la velocità, nel moto circolare, come sapevamo, ha solo una componente tangenziale della velocità: v =u g! uw gw 33 (37) Passiamo alle accelerazioni. Prendiamo la derivata temporale della (37): ¸ · g g! g u uw v= gw gw gw da cui · g! guw g g! a=u uw + gw gw gw gw ¸ (38) Dobbiamo conoscere la derivata temporale del versore tangenziale. Prendiamo la derivata della (35) g g g! g! uw = [ sin ! (w) u{ + cos ! (w) u| ] = cos ! (w) u{ sin ! (w) u| gw gw gw gw cioè, g g! uw = [cos ! (w) u{ + sin ! (w) u| ] gw gw In definitiva, g! g uw = uu gw gw (39) L’accelerazione (38) diventa a=u · g g! g! g! uw uu gw gw gw gw ¸ cioè g$ uw (40) gw Questa è la forma generale dell’accelerazione nel moto circolare. Esiste una componente radiale ed una tangenziale dell’accelerazione in un moto circolare: a = u$ 2 uu + u du = u$ 2 dw = u g$ gw (41) Nel caso del moto circolare uniforme, poiché g$ =0 gw avremo v2 uu (42) u Nel moto circolare uniforme esiste solo la componente radiale e questa coincide con l’accelerazione centripeta trovata nel precedente capitolo. Esaminiamo il caso in cui l’accelerazione tangenziale sia diversa da zero, ma costante. In tal caso, g$ = 0 gw a = u$ 2 uu = 34 Possiamo, prima scrivere, g$ = 0 gw e poi integrare. Avremo, la velocità angolare, in funzione del tempo, $ (w) = $ 0 + 0 w (43) che riscriviamo come g ! (w) = $ 0 + 0 w gw e poi, dopo una seconda integrazione, otterremo la funzione angolare in funzione del tempo: 1 ! (w) !0 = $ 0 w + 0 w2 (44) 2 Nel caso in cui l’accelerazione angolare tangenziale fosse nulla, riotterremmo, i risultati del moto circolare uniforme: $ (w) = $ 0 9 ! (w) = !0 + $ 0 w (45) Esempi: moto su traiettoria circolare piana Se la traiettoria di un punto materiale è circolare uniforme, il corpo è soggetto ad un’accelerazione, detta centripeta, pari a v2 U dove v è la velocità del corpo ed U il raggio. La direzione di tale accelerazione è lungo la congiungente il punto materiale e il centro della circonferenza, mentre il verso è dal punto materiale verso il centro della circonferenza. Ora esamineremo due casi che ci aiuteranno a determinare le forze che producono tale accelerazione. Esempio 1: Forza di attrito. Nella vita quotidiana, quando un auto o una moto aronta una curva, la sua inerzia tenderebbe a farlo uscire di strada. Il fatto che il veicolo rimane sulla strada ci consente di aermare che esiste una forza che lo costringe a percorrere la strada; tale forza è una forza di attrito. df = 35 Potremo, allora, scrivere l’equazione fondamentale come segue: v2 = Id (E1) U Se, la reazione vincolare si riduce alla sola reazione al peso del corpo, potremo scrivere P P v2 = P j U (E2) da cui v2 = j (E3) U Poiché j è nota, conoscendo due dei rimanenti parametri, si può ricavare il terzo. Esempio 2: Creare una pendenza alle strade curve Un modo per aiutare gli automobilisti a non uscire di strada in curva è di progettare quest’ultima prevedendo una pendenza verso l’interno. In altre parole, la strada , in curva, presenta una sezione trasversale assimilabile ad un piano inclinato verso il centro della curvatura. Per mostrare l’utilità della pendenza mostreremo che anche in assenza di attrito, il vincolo introdotto genera una forza su!ciente a far rimanere il corpo sulla strada curva. Dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulla reazione vincolare perché, ora, è tale forza che origina l’accelerazione centripeta. Notiamo che in questo caso, sul piano inclinato, conviene scegliere gli assi cartesiani paralleli alla direzione orizzontale (asse x) ed a quella verticale (asse y). La forza che stiamo cercando è la componente x, della reazione vincolare. Avremo I{ = Iu sin (E4) Non rimane che determinare la reazione vincolare. Se l’unica forza agente sul corpo in moto è la forza peso, avremo 36 Iu cos = P j da cui Iu = Pj cos (E5) Sostituendo nella (E4), si ottiene I{ = P j tan (E6) L’equazione del moto, nella direzione x è P v2 = P j tan U da cui v2 = j tan U Se si confronta la (E7) con la (E3) ritroviamo la relazione = tan (E7) (E8) La pendenza (cioé il vincolo), svolge, anche in assenza di attrito, la funzione di mantenere il corpo sulla strada. Ovviamente, la velocità di moto, in ogni caso, è determinante per non finire fuori strada. Esempio 3: Mostrare che, nell’ipotesi in cui i pianeti abbiano un moto uniforme su delle orbite circolari, l’assunzione della legge di gravitazione universale tra i pianeti e il Sole, comporta che il rapporto tra il cubo del raggio dell’orbita e il quadrato del periodo di rotazione sia costante u3 = nJ W2 Ci proponiamo di determinare il valore della costante nJ . Un pianeta, in rotazione uniforme su una circonferenza è soggetto ad una accelerazione centripeta v2 u dove v è la velocità tangenziale del pianeta ed u il raggio della sua orbita. L’equazione del moto del pianeta, nella direzione radiale, è df = P v2 PV P =J 2 u u da cui deduciamo v2 = J 37 PV u (E1) D’altra parte, poichè il moto è circolare uniforme, avremo v= 2u W ovvero 42 u2 W2 Dal confronto, delle (E1) e (E2), segue v2 = J (E2) PV 4 2 u2 = u W2 da cui deduciamo che J u3 PV = 4 2 W2 Quindi, PV 42 Esempio 4: Determinare la massa del Sole nell’ipotesi che le orbite dei pianeti siano circolari. Se si approssimano le orbite dei pianeti con delle circonferenze, la terza legge di Keplero si può scrivere nJ = J u3 PV = 2 (E1) 2 4 W dove PV è la massa del Sole, r è il raggio orbitale di un pianeta e T il suo periodo di rivoluzione. Dalla precedente relazione segue J 42 u3 (E2) J W2 Per il calcolo della massa del Sole si può usare un pianeta qualsiasi del sistema solare. Usando la Terra, con u = 14> 96 × 1010 p e W = 31> 56 × 106 v si trova che PV = PV = 1> 92 × 1030 nj (E3) Esempio 5: Determinare il raggio dell’orbita di un satellite artificiale in orbita geostazionaria intorno alla Terra. Le orbite geostazionarie sono circolari ed hanno lo stesso periodo di rotazione della Terra intorno al suo asse.Per le orbite circolari, la terza legge di Keplero si può scrivere J P0 u3 = 4 2 W2 38 (E1) dove P0 è la massa della Terra, r il raggio dell’orbita geostazionaria e T il periodo di rotazione della Terra su se stessa. Risolvendo per r, si trova u=W 2@3 µ ¶1@3 P0 J 2 4 (E2) Sostituendo i valori (J = 6> 67 × 1011 Q p2 @nj 2 , P0 = 5> 98 × 1024 nj e W = 24 × 3600v) si trova u = 4> 23 × 107 p. 10 Il moto armonico semplice Alcuni corpi macroscopici, quando sono sottoposti all’azione di una forza esterna, si deformano temporaneamente. Questi corpi, appena cessata la causa della deformazione, tendono a riprendere la forma originaria. Tale proprietà dei corpi è detta elasticità. Il corpo elastico per eccellenza è la molla. Si fissi un’estremità della molla ad un sostegno, mentre all’altra estremità si leghi un corpo di massa P che possa muoversi liberamente su di un piano orizzontale. Trascuriamo la massa della molla e studiamo il moto del corpo P , assimilandolo ad un punto materiale. La forza peso viene equilibrata dalla reazione del tavolo e se la molla è nella posizione di riposo il punto materiale M rimane fermo (chiameremo la posizione di P in tale punto posizione di riposo). Portiamo P nella posizione D, tirando la molla, anche se di poco. Lasciamo libero il punto materiale. Esso incomincerà ad oscillare intorno alla posizione di riposo, tra i punti D e E. La forza agente su P , ad ogni istante, risulta essere indipendente da P , proporzionale allo spostamento misurato dalla posizione di riposo e di verso ad esso opposto. La costante di proporzionalità, indicata con n, dipende solo dalla molla. Scelto un sistema di riferimento con l’origine posta nella posizione di riposo e l’asse { nella direzione RD, possiamo scrivere Fh = n{u{ (46) Il moto risulta essere periodico. Un’oscillazione completa è il movimento di P , che parte da {D , arriva in {E e poi ritorna in {D . Il tempo impiegato dal punto materiale per eseguire una oscillazione completa è detto periodo dell’oscillazione, sarà indicato con W e, come mostreremo tra breve, sarà uguale a: 39 W = 2 r P n (47) L’ampiezza dell’oscillazione è la lunghezza RD = {D (oppure RE). Essa rappresenta la massima distanza, dalla posizione di riposo, alla quale arriva il punto materiale durante le sue oscillazioni. Un corpo, soggetto ad una forza elastica, obbedisce alla seguente equazione del moto: P d{ = n{ (48) Una soluzione per tale equazione si scrive { (w) = D cos ($ n w) + E sin ($ n w) (49) dove D e E sono due costanti che dipendono dalle condizioni iniziali e $ n , r n $n = (50) P è detta pulsazione. Per mostrare che la (49) è soluzione della (48), con la posizione (50) prendiamo la derivata di ambo i membri della (49): v{ (w) = $ n D sin ($ n w) + E$ n cos ($ n w) Prendendo l’ulteriore derivata avremo d{ (w) = $ 2n [D cos ($ n w) E sin ($ n w)] cioé, d{ (w) = $ 2n { (w) (51) Sostituendo l’espressione dell’accelerazione trovata nella (48) avremo: ¡ ¢ P $ 2n { = n{ che è una identità se è vera la (50). Allora, la (49), con la posizione (50), è una possibile soluzione della (48). Riguardo alla periodicità del moto essa è una conseguenza della periodicità delle funzioni seno e coseno: $ n W = 2 da cui W = che per la (50) diventa W = 2 2 $n r 40 P n (52) Andiamo ad indagare il significato fisico delle costanti D e E. Abbiamo detto che tali costanti dipendono dalle condizioni iniziali. Indichiamo con {0 e v0 la posizione e la velocità iniziale della particella al tempo iniziale w = 0. Avremo per la posizione { (w = 0) = { 0 = D cos ($ n 0) + E sin ($ n 0) = D e per la velocità iniziale v (w = 0) = v0 = D$ n sin ($ n 0) + E$ n cos ($ n 0) = E$ n In definitiva, la soluzione generale della (48), esplicitando la posizione e la velocità iniziale si scrive v0 { (w) = {0 cos ($ n w) + sin ($ n w) (53) $n Nella figura sottostante sono mostrate le quantità presenti nella soluzione (49): Commento: La soluzione (49) (soluzione come somma di due soluzioni indipendenti) presuppone la validità di un principio, detto principio di sovrapposizione, che non ha validità generale nella realtà fisica. Tale principio sarà incontrato diverse volte nei corsi di fisica ma occorre ricordare che esso è limitato alla validità del tipo equazioni (lineari) adottate. Le equazioni dell’elettricità e del magnetismo sono equazioni lineari e anche per esse, come per la (48), varrà il principio di sovrapposizione. Altre forme di soluzione della (48) La soluzione (49) si può anche porre nella forma { (w) = F cos ($ n w + !) (54) dove F è detta ampiezza e ! fase iniziale. Ricordando che F cos ($ n w + !) = F [cos ($ n w) cos ! sin ($ n w) sin !] si trova il legame tra le quantità F e ! (che saranno legate alle condizioni iniziali): D = F cos ! E = F sin ! (55) 41 da cui s ¶ µ ¶ µ E v0 ! = arctan = arctan D $ n {0 (56) Nella figura sottostante sono mostrate le quantità presenti nella soluzione (54): p F = D2 + E 2 = {20 + v02 $ 2n Anche la funzione, { (w) = F sin ($ n w + !) (57) è una soluzione della (48). 10.1 Moto armonico semplice e moto circolare Ora immaginiamo di costruire una circonferenza di raggio pari all’ampiezza dell’oscillazione e centro nella posizione di riposo del punto materiale. Man mano che P oscilla, una semiretta ortogonale all’asse x e passante per P interseca la circonferenza. L’eetto che si ottiene è quello di un punto geometrico che si muove sulla circonferenza, man mano che P oscilla. Si può mostrare (vedi sotto) che il moto che descrive il punto geometrico sulla circonferenza è un moto circolare uniforme, con lo stesso periodo W di P . Guardando al punto geometrico che si muove di moto uniforme sulla circonferenza, si può dedurre, in maniera semplice, l’andamento della velocità del punto materiale P che oscilla: 42 In A, quando il punto materiale P ha il massimo spostamento, la sua velocità è nulla, poi cresce fino ad un valore massimo, quando P passa per la posizione di riposo O, poi decresce fino a ridiventare nulla quando P si trova nel punto B; poi cambia verso, ricominciando a crescere, fino a riavere il valore massimo quando P ripassa per O e infine decresce fino ad annullarsi di nuovo quando P arriva in A. Sebbene $ n sia uguale numericamente alla velocità angolare $ con cui ruota il punto geometrico sulla circonferenza associata, le due quantità sono dierenti ; $ n si riferisce al moto unidimensionale del punto materiale soggetto alla forza elastica, mentre $ si riferisce ad un moto circolare piano. Mostriamo, più in dettaglio, il legame di un punto che si muove su una circonferenza e il moto armonico sugli assi. Si abbia un punto materiale che si muove di moto uniforme, su di una circonferenza di raggio D ed angolo polare . La sua equazione del moto, visto che D è costante, sarà data da (w) = $w + dove è l’angolo che il punto materiale forma con l’asse delle x, al tempo w = 0. Se si prende un sistema di assi cartesiani con origine sul centro della circonferenza, le proiezioni sugli assi saranno { = D cos = D cos ($w + ) ³ ´ | = D sin = D sin ($w + ) = D cos $w + 2 Lungo i due assi le equazioni orarie sono quelle di un moto armonico di uguale periodo. Questo giustifica la discussione qualitativa precedente proposta. 11 Il pendolo semplice Si abbia un filo con un’estremità fissata ad un sostegno. Alla estremità libera del filo leghiamo un corpo di massa M. Il filo si tende ed una forza di natura elastica, detta tensione del filo, F , contrasta il peso del corpo. Il corpo rimane sospeso, cioè vincolato. Per ogni filo esiste un valore massimo della tensione oltre il quale esso si spezza. Tale valore massimo dipende dalla sostanza con 43 cui è costruito il filo e dalla sua sezione. Possiamo sintetizzare, il precedente discorso, dicendo che un corpo di massa M, di dimensioni trascurabili rispetto alla lunghezza o del filo (quindi approssimabile ad un punto materiale), quando è appeso ad un filo è soggetto, oltre alla forza peso Fs , anche ad una tensione esercitata dal filo che indicheremo con F . Il sistema appena descritto, nell’ipotesi che la massa del filo sia trascurabile, rispetto a quella del corpo M, è detto pendolo semplice. Ci proponiamo di esaminare il moto del punto materiale di massa M, nell’ipotesi che esso compia oscillazioni, intorno alla posizione di equilibrio, indicata dal punto C. Per piccole oscillazioni, il moto del punto materiale M risulta essere periodico. Un’oscillazione completa è il movimento completo di M che, parte da A, arriva in B e poi ritorna in A. Il tempo impiegato da M per eseguire un’oscillazione completa è detto periodo dell’oscillazione e sarà indicato con W . L’ampiezza dell’oscillazione è la lunghezza CA (oppure CB). Essa rappresenta la massima lunghezza, dalla posizione di equilibrio, che percorre M durante le sue oscillazioni. Ci proponiamo di determinare la forza risultante responsabile del moto di M, di provare che essa è una forza elastica e quindi determinare il periodo di oscillazione del pendolo. Il moto del punto materiale M è sulla circonferenza di raggio o. La risultante Fw , tra la forza peso Fs e la tensione del filo F , ha la direzione della tangente alla circonferenza: 44 L’intensità della tensione può essere valutata in termini della forza peso. La tensione, come si evince anche dal grafico precedente, è uguale alla componente radiale Fq della forza peso, cioè I = Iq . Per determinare il modulo della forza risultante Fw , usiamo la similitudine tra i due triangoli OFA e ADE. Avremo DH : RD = DG : I D che diventa, posto FA=y (si immagimi un sistema di riferimento con centro in O, l’asse delle x diretto verso il basso e l’asse delle y diretto da F ad A; vedi più avanti), P j : o = Iw : | cioé Pj | (58) o L’intensità della forza risultante, Iw , responsabile del moto, è proporzionale alla distanza y del punto materiale dalla verticale. Essa è del tipo Iw = Iw = n| con Pj (59) o Essa è di tipo elastico ed è diretta lungo la tangente alla circonferenza descritta dal punto materiale. n= Per piccole oscillazioni, l’angolo è molto piccolo, quindi la forza Fw è praticamente uguale alla sua proiezione I , lungo l’asse y. In altre parole, il moto lungo la circonferenza, per piccole oscillazioni, si può confondere con il moto lungo l’asse y. Allora, possiamo scrivere che la forza agente sul punto materiale, che ora si muove lungo l’asse y, è, per piccole oscillazioni, data da: F = n|u| 45 (60) Corpi soggetti a forze di questo tipo, dette elastiche, si muovono di moto armonico semplice. Tali moti sono periodici e il loro periodo è, come abbiamo già visto, uguale a r P W = 2 (61) n Se si sostituisce il valore di k, dato dalla (59), in quest’ultima equazione, si trova s o (62) W = 2 j Possiamo concludere dicendo che il moto del pendolo, per piccole oscillazioni è periodico, con un periodo dato dalla (62). Se si graficano, in funzione del tempo, i valori dell’ampiezza (o in maniera equivalente i valori dell’ampiezza lungo l’asse y), si ottiene una funzione sinusoidale (al tempo w = 0 il punto materiale era in C): Approfondimento matematico: Nello studio delle caratteristiche cinematiche del moto su di una circonferenza, abbiamo mostrato che l’accelerazione è sempre decomponibile in una componente tangenziale ed in una componente radiale: a = dw uw + df uu dove v2 gv g$ g2 ! =U =U 2 df = gw gw gw U Nel caso in esame, il raggio della circonferenza è la lunghezza del filo: dw = g2 v2 df = 2 gw o Abbiamo visto che la risultante e!cace è dw = o 46 (63) Iw = P j sin Allora, l’equazione del moto significativa è Po g2 = P j sin gw2 ovvero, j g2 = sin 2 gw o Per piccoli angoli, il seno si confonde con l’angolo, sin ' , j g2 = 2 gw o La soluzione di tale equazione si può porre nella seguente forma: (w) = 0 cos ($ o w + !) (64) (65) (66) dove $o = 11.1 r j o (67) Esempio: Il pendolo circolare Un corpo di massa P sospeso ad un filo inestensibile di lunghezza o che si muove di moto uniforme su di una circonferenza di raggio U, è un pendolo circolare. Sia, inoltre, l’angolo che forma il filo con la perpendicolare passante per il punto di ancoraggio del filo. Ci proponiamo di determinare il periodo di oscillazione del pendolo (tempo impiegato a percorrere un’intera circonferenza): Questo esempio potrebbe essere considerato come un modo per mantenere un corpo su una circonferenza (si veda l’uso dell’attrito e della pendenza per mantenere un corpo su circonferenza). Infatti, le forze che agiscono sul corpo 47 sono la forza peso Fs e la tensione del filo F . Possiamo decomporre la tensione F in una componente radiale ed una componente nella direzione della forza peso. Esse sono I sin I cos La componente radiale produce l’accelerazione centripeta: P v2 = I sin U mentre l’altra componente è uguale alla forza peso: I cos = P j (E1) (E2) Dalla (E2) ricaviamo I : I = Pj cos (E3) che sostituito nella (E1) ci darà P v2 = P j tan U ovvero v2 = j tan U Ora possiamo riscrivere la tangente dell’angolo. Oserviamo che, (E4) U = o sin Poiché, per piccoli angoli il seno e la tangente sono praticamente uguali, possiamo scrivere tan ' U o (E5) Con questo risultato la (E4) diventa U v2 =j U o ovvero jU2 = v2 (E6) o D’altra parte, poiché il corpo si muove di moto uniforme sulla circonferenza, avremo 2U = vW , da cui 42 U2 = v2 W2 48 (E7) Dal confronto delle due ultime equazioni, deduciamo che s o W = 2 j (E8) che coincide con il periodo del pendolo semplice (anche se fisicamente sono due moti distinti). 12 Complementi In questa sezione vogliamo discutere di alcuni esercizi che hanno bisogno di una conoscenza matematica più complessa. 12.1 Forza periodica Ci proponiamo di risolvere la seguente equazione del moto: P gv = F0 sin ($w) gw (E1) dove F0 , è un vettore costante e le condizioni iniziali sono v (0) = 0 e r (0) = 0. La precedente equazione, riscritta come gv = F0 sin ($w) gw P può essere integrata, componente per componente, (la dipendenza funzionale del seno dal tempo è nota) è si ottiene: v = v (w) = F0 (1 cos $w) P$ (E2) L’ulteriore integrazione è anche immediata: r (w) = 12.2 F0 ($w sin $w) P $2 (E3) Forza d’attrito nei fluidi Ci proponiamo di risolvere la seguente equazione del moto: P gv = v gw con le condizioni iniziali, v (0) = v0 ed r (0) = 0. 49 (E4) Scrivendo l’equazione per i moduli: gv = gw v P la si può integrare subito, ln µ v v0 ¶ = w P Poiché hln { = {, la precedente relazione si può riscrivere: ³ ´ v (w) = v0 exp w P (E5) L’ulteriore integrazione della (E5) conduce poi a r (w) = v0 12.3 ´ P³ 1 h P w (E6) Oscillazioni smorzate L’equazione che ci proponiamo di risolvere è la seguente: P g{ g2 { 2 = n{ gw gw (E7) Ponendo n P 2P (E8) g2 { g{ + 2 + $ 20 = 0 gw gw2 (E9) $ 20 = = l’equazione iniziale diventa: La quantità è detta coe!ciente di smorzamento. Per risolvere la (E9) si cerca una soluzione del tipo { = exp (uw) (E10) La (E9) diventa una equazione per r (equazione caratteristica), la cui soluzione è q u = ± 2 $ 20 50 La soluzione cercata diventa allora: ´ ´ ³ ³ s s + 2 $ 20 w + 2 $ 20 w + f2 h { (w) = f1 h (E11) Esamineremo tale soluzione generale nell’ipotesi che ? $0 Poiché (E12) p p 2 $ 20 = l $ 20 2 , ponendo q $ = $ 20 2 (E13) la (E11) diventa ¢ ¡ { (w) = h w f1 hl$w + f2 hl$w Definendo n1 = f1 + f2 e n2 = l (f1 f2 ) la precedente equazione si scrive { (w) = h w [n1 cos ($w) + n2 sin ($w)] Questa è la forma della soluzione cercata. soluzione la si può ottenere ponendo D= q n12 + n22 (E14) Una ulteriore espressione della wj! = n2 n1 In tal caso, la soluzione assume la forma seguente: { (w) = D exp ( w) cos ($w + !) (E15) Un movimento che si eettua secondo le modalità descritte dalla (E14) è detto di oscillazioni smorzate. La frequenza di oscillazione $ è più piccola della frequenza delle oscillazioni libere $ 0 (si veda la (E13)) e l’ampiezza decresce in modo esponenziale (si veda la (E14)). Tuttavia, viene impiegato sempre lo stesso intervallo di tempo per compiere ciascuna oscillazione. Sotto è mostrato il grafico della funzione { (w) = exp (w) cos (5w) 51 spazio 0.75 0.5 0.25 0 1.25 2.5 3.75 5 tempo -0.25 -0.5 52 (Chapter head:)Leggi di Newton: seconda parte Una forza agente su di un punto materiale ne causa una variazione di velocità. Inoltre, più intensa è la forza agente, più grande è la variazione di velocità che subisce il punto materiale. Della durata dell’azione della forza non abbiamo ancora parlato. Esamineremo ora, in maggiore dettaglio, il legame che esiste tra una forza agente su di un punto materiale, la durata della sua azione e la variazione di velocità che il punto materiale subisce. 1 Quantità di moto e impulso di una forza L’equazione del moto di un punto materiale di massa M, soggetto ad una forza F, si scrive Pa = F (1) Limitiamoci per la nostra discussione, ad un moto in una sola dimensione. Avremo, allora, una forza che agisce sul punto materiale, per esempio, lungo l’asse positivo delle x. Lungo tale asse il punto materiale subirà delle variazioni di velocità. Se la forza non varia troppo rapidamente, si può scegliere un intervallo di tempo w , su!cientemente piccolo, in modo da ritenere praticamente costante la forza agente durante l’intervallo di tempo w scelto. L’equazione del moto del punto materiale M, nell’intervallo considerato, può scriversi, P v =F w ovvero P v = Fw (2) Esplicitando l’operatore avremo P [v (w + w) v (w)] = Fw (3) Si definisce quantità di moto il prodotto della massa per la velocità del corpo: p = Pv (4) Chiameremo inoltre, variazione della quantità di moto, durante l’intervallo di tempo w, la quantità p = P v (w + w) P v (w) = p (w + w) p (w) (5) Allora, l’equazione fondamentale del moto del punto materiale, durante l’intervallo di tempo w, può anche scriversi p = Fw (6) Quest’ultima equazione è una forma alternativa dell’equazione fondamentale, nell’intervallo di tempo considerato. La quantità Fw è detta impulso della forza 1 F (costante) durante l’intervallo di tempo w e sarà indicato con Iw . Possiamo leggere la precedente equazione dicendo che, la variazione della quantità di moto di un punto materiale, durante l’intervallo di tempo considerato, è uguale all’impulso della forza agente sul punto materiale, durante lo stesso intervallo di tempo. Poiché la precedente equazione è vettoriale, essa è equivalente alle tre seguenti equazioni scalari s{ = I{ w s| = I| w s} = I} w (7) dove abbiamo usato le seguenti rappresentazioni cartesiane: 2 p = s{ u{ + s| u| + s} u} (8) F = I{ u{ + I| u| + I} u} (9) Conservazione della quantità di moto Nel caso di forza arbitraria, la relazione tra variazione della quantità di moto ed impulso, diventa (vedi i complementi): Z p = F(w)gw (10) La quantità al secondo membro è detta impulso di una forza. La (10) è la forma integrale dell’equazione fondamentale. Se su di un corpo non agiscono forze, vuol anche dire che su di esso non viene esercitato alcun impulso. L’equazione fondamentale della dinamica, in forma integrale, si riduce a p = 0 ovvero p (w + w) = p (w) (11) qualunque sia w. Possiamo dire che in assenza di forze agenti su di un punto materiale, la sua quantità di moto si mantiene costante nel tempo (conservazione della quantità di moto). Tale risultato costituisce una forma alternativa del Principio d’inerzia. 3 Esempi Esempio 1: Determinare la velocità con cui un punto materiale tocca il suolo in caduta libera. Abbiamo già determinato tale velocità nel precedente capitolo; ora mostreremo una dierente derivazione. Per determinare la velocità di arrivo al suolo 2 usando l’impulso, dobbiamo conoscere sia la forza agente che il tempo durante il quale la forza agisce. Noi conosciamo ambedue queste due quantità: s 2k IS = P j w = j dove h è l’altezza da cui viene lasciato libero il punto materiale. L’impulso sarà s p 2k Is w = P j = P 2jk j Tale impulso è uguale alla variazione della quantità di moto: p P v = P 2jk Poiché la velocità iniziale è assunta nulla, la variazione della velocità coincide con la velocità di arrivo al suolo e troviamo p v = 2jk Esempio 2: Determinare la velocità di arrivo al suolo di un punto materiale che scivola senza attrito lungo un piano inclinato di altezza h e lunghezza o. Anche in questo caso, conosciamo sia la risultante della forza agente sul punto materiale che il tempo durante il quale la forza agisce: s s k 2k 1 o 2k w = = IS = P j sin = P j o sin j k j Allora, l’impulso sarà ko Is w = P j ok s p 2k = P 2jk j e, uguagliando tale risultato alla variazione della quantità di moto, ritroviamo p v = 2jk I due precedenti risultati ci riconfermano che la velocità di arrivo al suolo, in presenza della sola forza peso, non dipende dal percorso che il punto materiale compie. Notiamo inoltre che i tempi di percorrenza sono dierenti e sono deerenti le forze agenti sul punto materiale lungo le due traiettorie. 3 4 Complementi 4.1 Il diagramma dell’impulso Ora esamineremo, in maniera più rigorosa, la relazione che lega la variazione della quantità di moto all’impulso di una forza. Supponiamo che la forza agente sul punto materiale sia variabile. Sia wl l’istante in cui la forza inizia la sua azione sul punto materiale e wi l’istante in cui l’azione termina. Decomponiamo la forza I nelle sue componenti cartesiane F = I{ u{ + I| u| + I} u} e svolgiamo le nostre considerazioni per la componente x. Dividiamo l’intervallo temporale wi wl in intervalli di tempo w , all’interno di ciascuno dei quali la componente x della forza è praticamente costante (indicheremo con I{ (wq ) il valore di I{ all’interno dell’intervallo (wq > wq+1 )). Per ciascun intervallo temporale potremo scrivere s{>m = I{ (wm )w (C1) La variazione totale della quantità di moto lungo l’asse x, durante l’intervallo di tempo totale wq w0 sarà s{ = q1 X s{>m m=0 In maniera analoga, l’impulso totale lungo l’asse x, durante l’intervallo di tempo totale wQ w0 sarà L{>wq w0 = q1 X I{ (wm )w (C2) m=0 Nel caso in cui w tende a zero (w $ 0), ovvero il numero di tempi intermedi tra w0 e wq diventa infinito 4 il secondo membro della (C2) si scrive lim w$0 4 X I{ (wm )w m=0 Tale espressione si chiama ”integrale di I{ (w) tra gli estremi w0 e wq ” e si scrive Z wq w0 I{ (w)gw = lim w$0 4 X I{ (wm )w (C3) m=0 Allora, per (w $ 0), la (C2) diventa Z wq L{>wq w0 = I{ (w) gw (C4) w0 e l’equazione del moto lungo l’asse x, può scriversi Z wq s{ = I{ (w)gw (C5) w0 Ripetendo le stesse considerazioni per le altre componenti avremo Z wq F(w)gw p = (C6) w0 cioè, la variazione della quantità di moto subita da un punto materiale è uguale, anche nel caso di una forza variabile, all’impulso della forza agente sul punto materiale, durante l’intervallo di tempo in cui essa agisce. 4.2 Deflessione in presenza di gravità Proviamo a determinare il valore della deflessione che subisce un asteroide di massa P , nel passare nelle vicinanze del Sole, applicando i principi della meccanica newtoniana. La descrizione dei corpi sotto l’azione di una forza gravitazionale è semplificato dal fatto che tutti questi moti sono piani. La Terra, nel suo moto intorno 5 al Sole, rimane sempre su di uno stesso piano e lo stesso dicasi per tutti gli altri analoghi moti. Ciò riduce la trattazione del moto di un corpo sotto l’azione di una forza gravitazionale ad una descrizione del moto di un corpo in un piano. Solo due componenti saranno necessarie a descrivere il moto dell’asteroide sotto l’azione gravitazionale del Sole. Il Sole sarà rappresentato da una circonferenza, avente un raggio U¯ ed una massa P¯ noti. L’asteroide, proveniente da molto lontano avrà una velocità iniziale v: La direzione AB rappresenta la direzione dell’asteroide non deflesso (AB è quantità di moto iniziale), quella di AC quella dell’asteroide deflesso (AC è la quantità di moto finale) e l’angolo tra le due direzioni è la deflessione. Tale deflessione è la vera grandezza fisica che caratterizza l’evento che stiamo studiando, perché il rapporto tra arco e raggio di una circonferenza, ovvero l’angolo espresso in radianti, non dipende dalla circonferenza scelta. Per piccoli angoli, il nostro triangolo è approssimabile con uno spicchio di circonferenza. Il valore dell’angolo, che per piccoli angoli si confonde con la sua tangente, si ottiene con semplici considerazioni trigonometriche: FE (C7) DE Non ci rimane che mostrare come si possano calcolare i due segmenti al secondo membro della (C7). Due altre assunzioni serviranno a semplificare ulteriormente il problema. La prima è che, non vi è alcuna forza nella direzione del moto. La forza di gravitazione universale prodotta dal Sole sull’asteroide è, istante per istante, diretta lungo la congiungente l’asteroide ed il centro del Sole. Decomponendo tale forza in due componenti, una lungo la direzione iniziale del moto (asse x) e una ad essa ortogonale (asse y), è quest’ultima l’unica e!cace. Abbiamo, allora, semplificato ulteriormente la descrizione del moto: lungo l’asse x, l’asteroide si muoverà con velocità costante, mentre la forza di gravitazione universale agirà solo lungo l’asse y. Il problema fisico da risolvere è, pertanto, ridotto alla determinazione di ciò che accade lungo l’asse ortogonale al moto dell’asteroide. La forza di gravitazione universale è inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra l’asteroide ed il centro del Sole (abbiamo applicato quella proprietà della forza gravitazionale che assicura che l’azione gravitazionale di un corpo sferico su di un punto materiale, esterno ad esso, dipende dal quadrato dell’inverso della distanza del punto dal centro del corpo sferico; in altre parole tutto procede come se la massa del corpo sferico fosse tutta concentrata nel suo tan = 6 centro). Col crescere della distanza tra i due corpi, l’intensità della forza decresce rapidamente e possiamo assumere ragionevolmente che la forza gravitazionale prodotta dal Sole sull’asteroide sia e!cace solo quando l’uno è nelle immediate vicinanze dell’altro (la zona di influenza del Sole sull’asteroide è la regione tra le due rette parallele tratteggiate la cui dimensione lineare è O = 2U¯ ). Sebbene la distanza dell’asteroide, dal centro del Sole, all’interno della regione di e!cacia della forza gravitazionale, sia variabile, la assumeremo costante, ipotizzando che ciò sia una buona approssimazione. In conclusione, la natura specifica della forza di gravitazione universale e le nostre ipotesi semplificatrici ci consentono di determinare sia la forza (costante!) che agisce lungo la direzione ortogonale a quella del moto dell’asteroide sia la durata temporale dell’azione di tale forza: I| = J P P¯ 2 U¯ w = 2U¯ v (C8) Notiamo che la precedente analisi ha diviso lo spazio in tre zone fisicamente dierenti. Una prima, nella quale l’asteroide ed il Sole non interagiscono, una seconda, di dimensioni lineari 2U¯ , nella quale l’asteroide sente l’azione del Sole (ma anche il viceversa!) ed una terza regione nella quale l’asteroide e il Sole tornano ad ignorarsi. Risulta anche evidente che la posizione e la velocità dell’asteroide nella terza zona, dopo l’interazione, dipende fortemente da quello che è accaduto nella zona centrale. L’equazione fondamentale della meccanica classica, nel caso che stiamo analizzando, cioè nel caso in cui la forza è diversa da zero solo nella direzione dell’asse y e lungo tale direzione l’intensità è anche costante, si scrive: s| = I| w (C9) dove le quantità al secondo membro sono date dalla (C8) e s| = Pi v| (C10) La sostituzione delle espressioni (C8) nella (C9) consente di scrivere: s| = 2JP P¯ U¯ v (C11) La deflessione dell’asteroide, per piccoli angoli di deflessione, quando la tangente di un angolo può confondersi con l’angolo stesso, tan ' , si può scrivere FE s| 2JP P¯ 1 2JP¯ = = = = DE Pv U¯ v P v U¯ v2 (C12) Conclusione: a parità di velocità iniziale la deflessione non dipende dalla massa della particella deflessa. In presenza della sola forza di gravitazione universale, tutti i corpi ”cadono”, ovvero vengono deflessi nello stesso modo. Abbiamo trovato una generalizzazione dell’esperimento di caduta libera di Galilei. 7 4.3 Deflessione di una particella carica Consideriamo una particella di massa P1 e carica elettrica t1 che si muova con velocità v1 verso una particella di massa P2 e carica elettrica t2 , supposta inizialmente in quiete. Assumeremo che tra le due particelle si eserciti, istante per istante, solo la forza coulombiana repulsiva F (w) = t1 t2 uu (w) u2 (w) (C13) dove r è la distanza relativa tra le due particelle ed uu è il versore di r, orientato dalla particella 2 alla particella 1 (l’origine del sistema di riferimento è sulla particella 2). Ci proponiamo di calcolare l’angolo di deflessione, rispetto alla direzione incidente, della particella 1, sotto l’influenza della forza (C13) prodotta dalla particella 2. Faremo le seguenti assunzioni: a)- La particella 2 è solo il centro della forza, non partecipa alla collisione direttamente, per cui durante tutto il processo rimane immobile (ipotesi di massa infinita del centro diusore); in altre parole ci siamo ricondotti alla descrizione del moto di una sola particella (si veda in seguito il problema dei due corpi per capire meglio l’approssimazione usata qui). b)- La forza esercitata dalla particella 2 sulla 1 può trasferire momento solo nella direzione ortogonale al moto, cioè la traiettoria della particella 1 è essenzialmente una retta (la componente della velocità della particella 1 non muta lungo questa direzione). Il processo è descritto in Figura Utilizzando la seconda ipotesi, scriviamo l’equazione fondamentale come p = s{ u{ e quindi Z +4 s{ = I{ (w) gw (C14) 4 Adesso, procederemo come nel caso della deflessione dell’asteroide da parte del Sole. Assumiamo che la forza agente sulla particella 1 agisca solo nel tratto DE = 2e 8 sia costante e di valore pari a I = t1 t2 @e2 , allora Z wE s{ = I gw = I f (C15) wD dove f , è il tempo durante il quale agisce la forza costante, f = 2e vl (C16) Sostituendo, si ottiene 2t1 t2 1 vl e s{ (C17) La deflessione , che rappresenta l’angolo tra la direzione finale della particella deflessa indicata dalla velocità finale vi e la direzione della particella incidente, può scriversi: tan = v s 1 s{ 1 = ' vl P1 vl P1 vl Per piccoli angoli quest’ultima relazione si riduce gE e (C18) 2t1 t2 P1 vl2 (C19) dove gE = è stato chiamato, da Niels Bohr, diametro collisionale. 9 4.4 Esempi di deflessioni Esempio 1: Deflessione in presenza di un parete liscia infinita Una parete liscia è un corpo di massa infinita che esercita sulla particella che collide con essa una forza ortogonale alla propria superficie. Assumeremo inoltre che nel processo di collisione il modulo della velocità non cambi il suo valore. Più avanti impareremo che questo implica che ci si sta riferendo ad un urto elastico. Sia l’asse z diretto nella direzione ortogonale alla superficie. La (15) si scrive: Z w2 0 I} (w) gw (E1) s} s} = w1 s0| s| = 0 s0{ s{ = 0 (E2) dove l’apice indica le quantità dopo che la particella ha urtato la parete. Dalle (E2) deduciamo che s0| 2 = s2| s0{ 2 = s2{ (E3) Avendo ipotizzato la conservazione del modulo della velocità della particella, nel processo di urto con la parete, possiamo scrivere s2{ + s2| + s2} = s0{ 2 + s0| 2 + s0} 2 (E4) Facendo uso della (E3) ricaviamo s0} = ±s} (E5) Poiché la particella incidente non può attraversare la parete, deve essere in generale s0} 6= s} , e la scelta fisica del segno nella (E5) è s0} = s} (E6) Si può facilmente mostrare che le (E2) e (E6) ci dicono che una particella, in seguito ad un urto con una parete liscia, viene riflessa dalla parete secondo le stesse leggi di riflessione Cartesiane della luce: l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione. 10 Esempio2: Deflessione da una sfera liscia: legame tra parametro d’urto e angolo di deflessione. Il movimento di una particella in presenza di una sfera liscia di raggio finito presenta una caratteristica molto interessante, rispetto alla parete liscia infinita: la particella, (che, ricordiamo, è senza dimensioni) può o non può incontrare la sfera nel suo moto (se l’incontra il suo urto con la sfera seguirà le leggi della riflessione cartesiana). Per tener conto di ciò, conviene anche quì introdurre una quantità (parametro d’urto) e, che ci dica quando l’urto avviene. Se con e, indichiamo la distanza tra la direzione iniziale della velocità della particella e la parallela passante per il centro della sfera, possiamo dire che la particella urterà la sfera se e U0 , dove U0 è il raggio della sfera (il problema di capire come la probabilità sia legata all’ urto lo discuteremo nel prossimo paragrafo) e cerchiamo la relazione tra il parametro d’urto e l’angolo di deflessione . Con semplici considerazioni geometriche avremo: e = U0 sin (E1) Poiché 2 + = , la relazione tra l’angolo di incidenza (o riflessione) e l’angolo di deflessione, sarà: = 2 (E2) Ricordando che sin ( ± ) = sin cos ± cos sin otteniamo sin = sin µ 2 2 ¶ = cos 2 (E3) (E4) In definitiva, la relazione cercata tra parametro d’urto ed angolo di deflessione sarà: cos e = 2 U0 11 (E5) 4.5 Sulla deflessione delle particelle cariche: trattamento rigoroso Ora, riconsidereremo la deflessione di particelle cariche. Riconsideriamo la relazione (14): Z s{ = +4 I{ (w) gw (14) t1 t2 cos (w) gw u2 (w) (E1) 4 che riscriviamo s{ = Z +4 4 dove l’angolo è mostrato nella figura. Poiché la velocità incidente è costante lungo l’asse y, possiamo introdurre la nuova variabile | = v1 w ed utilizzando le relazioni e cos = p 2 e + |2 u2 (w) = e2 + | 2 (E2) (b è il parametro d’urto), possiamo scrivere la (E1) come segue Z e 2 4 t1 t2 p s{ = g| 2 2 2 v 0 e +| e + |2 Introducendo la variabile = |@e, otteniamo Z 2t1 t2 4 g s{ = ¡ ¢3@2 ve 0 1 + 2 L’integrale al secondo membro vale 1, pertanto si ricava 2t1 t2 1 (E3) v e La deflessione , che è l’angolo tra la direzione della velocità finale, vi e quella della particella incidente, può scriversi: s{ 12 tan = s 1 s{ 1 v = ' v P1 v P1 v Per piccoli angoli quest’ultima relazione si riduce ' gE e (E4) 2t1 t2 P1 v2 (E5) dove gE = 13 (Chapter head:)Energia e lavoro La dinamica newtoniana descritta nei precedenti capitoli, permette di risolvere tutti i quesiti relativi al moto del punto materiale una volta note le forze in gioco. In questo capitolo, parleremo dei concetti di energia e lavoro. Esistono varie forme di energia. Il nostro scopo è quello di definire le due forme di energia meccanica, quella cinetica e quella potenziale, e di introdurre il concetto di lavoro, che consente di confrontare tra loro le varie forme di energia. In generale, noi diremo che un corpo (e più in generale un sistema fisico) possiede una quantità di energia se esso è capace di compiere un certo lavoro. 1 L’energia meccanica Ora, introdurremo le due forme di energia che si incontrano nello studio della Meccanica. 1.1 L’energia cinetica Se un punto materiale di massa P è in movimento, possiede una certa velocità. Assumeremo che esso possegga anche un’energia, detta cinetica, pari a 1 P v2 2 (1) Poiché la massa di un corpo è sempre positiva, dobbiamo concludere che l’energia cinetica posseduta dai corpi in movimento è una quantità sempre positiva. 1.2 L’energia potenziale gravitazionale Un punto materiale di massa P che si trova in prossimità della Terra è sottoposto alla sua azione gravitazionale. Assumeremo che un punto materiale, posto ad una altezza k dal suolo, possegga anche un’energia, detta energia potenziale gravitazionale: Us = P jk (2) Questo vuol dire che un punto materiale che si trova sulla superficie della Terra, poggiato al suolo, possiede una energia potenziale gravitazionale il cui valore è zero Us = 0 (3) Infine, se un punto materiale si trova ad una profondità k, rispetto alla superficie terrestre, possiede una energia potenziale gravitazionale negativa, pari a Us = P jk (4) Possiamo allora dire che l’energia potenziale gravitazionale, posseduta da un qualunque punto materiale, posto in un qualsiasi punto dello spazio in prossimità della Terra, può essere positiva, negativa o nulla. 1 Le due forme di energia appena introdotte sono di natura totalmente dierente. La prima, quella cinetica, dipende dal movimento del punto materiale (in assenza di movimento un punto materiale non possiede energia cinetica), la seconda, quella potenziale gravitazionale, dipende dalla presenza della Terra. Un punto materiale, in assenza della Terra, non possiederà alcuna energia potenziale gravitazionale. Osserviamo che, in base all’espressione (2) dell’energia potenziale gravitazionale, un punto materiale posto a distanza infinita dalla Terra dovrebbe possedere un’energia potenziale infinita. Questa conclusione è errata, perché la (2) vale solo per i corpi che sono in prossimità della Terra. Per tali corpi non ha senso parlare di distanza infinita. Possiamo dire che la forma di energia potenziale gravitazionale, data dalla (2), è valida in tutti i punti in cui la legge di gravitazione universale si può approssimare con la forza peso. L’unità di misura di una qualunque forma di energia è, nel Sistema Internazionale, il Joule (M). Le dimensioni dell’energia, che si possono dedurre direttamente dalle due espressioni delle energie, sono: £ ¤ P O2 [W 2 ] 2 Il concetto di lavoro Riconsideriamo la caduta libera: Abbiamo visto che un punto materiale, lasciato libero di cadere da un’altezza h arriva al suolo con una velocità p v = 2jk 2 Il segno meno è legato al fatto che la direzione della velocità di arrivo al suolo è in direzione opposta alla direzione positiva dell’asse y. Riesaminiamo quello che accade al punto materiale. Questo è inizialmente fermo all’altezza h dal suolo e, in base alle precedenti definizioni, possiede nella sua posizione iniziale un’energia potenziale gravitazionale, il cui valore è dato da Xs = P jk Quando s arriva al suolo ha un’energia potenziale nulla, ma avendo una velocità v = 2jk, possiede una energia cinetica il cui valore è ´2 1 ³ p 1 P v2 = P 2jk = P jk 2 2 Tale valore è uguale all’energia potenziale che il corpo possedeva, quando era fermo all’altezza k dal suolo: ”qualcuno” ha trasformato la sua energia potenziale iniziale in energia cinetica al suolo. Ma noi sappiamo che l’unica azione esercitata sul punto materiale è quella gravitazionale della Terra, mediante la forza peso Is = P j Possiamo, allora, dire che tale forza ha trasformato l’energia potenziale, che possedeva il punto materiale quando era fermo all’altezza k, in energia cinetica quando il punto materiale è arrivato al suolo. Notiamo che durante la sua discesa il punto materiale ha subito uno spostamento k, nella direzione della forza peso; se moltiplichiamo tale forza per lo spostamento subito troviamo Is k = P jk Il prodotto della forza per lo spostamento subito dal punto materiale è esattamente uguale all’energia posseduta dal corpo. Questa coincidenza suggerisce che il prodotto "forza per spostamento" è un concetto, diverso da quello di energia prima definito, ma che contiene l’informazione sia su chi (la forza!) ha eettuato la trasformazione dell’energia sia sulla traiettoria (lo spostamento!). Conviene, comunque, sottolineare che la forza peso è costante, lungo tutta la traiettoria della caduta, in modulo, direzione e verso. L’esempio descritto contiene risultati di carattere generale: le energie possono essere trasformate le une nelle altre dall’azione di qualche forza e il prodotto della forza per lo spostamento contiene l’informazione su come avviene questa trasformazione ed è una misura della quantità d’energia che può essere trasformata. 2.1 Il lavoro di una forza costante lungo una traiettoria rettilinea Un punto materiale, soggetto all’azione di una forza F , in generale, si sposta da una posizione iniziale D ad una posizione finale E. Indicheremo con OI (D $ E) 3 il lavoro meccanico (o semplicemente lavoro) fatto dalla forza F per spostare il punto materiale dalla posizione D a quella E; il pedice I specifica il tipo di forza che compie il lavoro: per esempio, OIs (D $ E) indicherà il lavoro fatto dalla forza peso.Il lavoro è una quantità scalare. Il soggetto che compie un lavoro meccanico (o semplicemente lavoro) è sempre almeno una forza. Le forze agendo sui corpi ne producono il movimento. Il lavoro fatto da una forza su di un punto materiale dipende sia dalla forza che dalla traiettoria del punto materiale. Abbiamo visto che il lavoro deve essere costituito dal prodotto di una forza per uno spostamento. Tuttavia, essendo la forza e lo spostamento due vettori, il modo più semplice di ottenere uno scalare da questi due vettori è di moltiplicarli scalarmente: OI (D $ E) = F · r (5) Questa definizione di lavoro è corretta solo se ci si limita al caso di una forza costante e di un punto materiale che, sotto l’azione di tale forza, si muove lungo una traiettoria rettilinea. L’angolo tra la forza e lo spostamento è determinante alla fine del valore del lavoro, come la definizione di prodotto scalare insegna. Mostriamolo con un piccolo esempio. Possiamo decomporre la forza F in due componenti: una Fk , parallela alla direzione del moto, e l’altra FB , ortogonale alla stessa direzione. Per definizione di prodotto scalare la componente FB contribuisce con un valore nullo al lavoro. Il lavoro fatto dalla forza F per portare il corpo dalla posizione D alla posizione E sarà, allora, uguale all’intensità della componente della forza Ik , parallela al moto, per lo spostamento subito dal punto materiale OIk (D $ E) = Ik g 2.2 Il lavoro: definizione generale Se la forza è arbitraria, il lavoro che essa compie, per spostare un punto materiale da una posizione iniziale D ad una posizione finale E, è definito dalla seguente relazione (vedi anche i complementi): OI (D $ E) = Z E F · gr (6) D dove gr è lo spostamento infinitesimo che, ricordiamo, ha in ogni punto della traiettoria, la direzione della tangente alla traiettoria, cioé della velocità. L’integrando, 4 al secondo membro, cioé F · gr, definisce il lavoro infinitesimo fatto dalla forza F per spostare un punto materiale di un tratto infinitesimo gr, gOI = F · gr (7) Si dice che il lavoro infinitesimo fatto da una forza F per spostare un punto materiale di un tratto infinitesimo gr è il prodotto scalare tra il vettore forza F e il vettore spostamento infinitesimo gr e si intende F · gr = I gu cos (8) dove è l’angolo compreso tra la forza e lo spostamento infinitesimo. 2.3 Rappresentazione cartesiana del lavoro Il lavoro infinitesimo gOI fatto dalla forza F per spostare, di un tratto infinitesimo gr, un punto materiale è per definizione data dal prodotto scalare di F e gr: gOI = F · gr Se si esprimono sia la forza che lo spostamento in termini delle rispettive componenti cartesiane: F = I{ u{ + I| u| + I} u} gr = g{u{ + g|u| + g}u} possiamo anche scrivere gOI = I{ g{ + I| g| + I} g} (9) Il secondo membro di tale relazione è la rappresentazione cartesiana del lavoro infinitesimo. 2.4 Alcune proprietà sul calcolo del lavoro L’espressione del lavoro di una forza OI (D $ E) ha alcune proprietà che sono piuttosto utili per il suo calcolo. i) Il lavoro fatto dalla forza F per spostare un punto materiale dalla posizione D alla posizione E, lungo una determinata traiettoria, è uguale, ma di segno opposto al lavoro fatto dalla stessa forza per spostare il punto materiale dalla posizione E alla posizione D, lungo la stessa traiettoria, e scriveremo OI (D $ E) = OI (E $ D) (10) OI (D $ E) = OI (D $ F) + OI (F $ E) (11) ii) Se F indica una qualunque altra posizione del punto materiale, lungo la traiettoria, tra D e E, allora il lavoro fatto dalla forza F per spostare il punto materiale dalla posizione D alla posizione E è uguale alla somma del lavoro fatto dalla stessa forza per spostare il punto da D a F e poi da F a D : 5 3 Teorema dell’energia cinetica Un corpo di massa P che al tempo w ha una velocità v, possiede, come abbiamo detto, un’energia cinetica E data da 1 P v2 (12) 2 Mostriamo che quando una forza compie un lavoro su di un punto materiale tale lavoro produce sempre, se è positivo, un aumento dell’energia cinetica del corpo, mentre, se è negativo, una diminuzione della stessa. Limitiamoci al caso in cui la forza agente sia costante e la traiettoria del punto materiale sia rettilinea. Ricordiamo che OI (D $ E) = F · r dove r = rE rD . Poiché P a = F e r = vw, possiamo scrivere OI (D $ E) = P a · vw = P v · aw = P v · v dove, nell’ultimo passaggio, abbiamo usato la relazione v = aw. Mostriamo che v · v = 1 (v · v) 2 Infatti, avremo (v · v) = v · v + v · v = 2v · v Il lavoro potrà essere riscritto come segue P P ¡ 2¢ OI (D $ E) = (v · v) = v = 2 2 In definitiva, possiamo scrivere 6 µ P 2 v 2 ¶ 1 1 2 2 P vD (13) P vE 2 2 Questo risultato, dimostrato da noi in un caso particolare, è vero in generale: il lavoro fatto da una forza su di un punto materiale è sempre uguale alla variazione dell’energia cinetica del punto materiale. Poiché il lavoro esprime anche una misura della quantità di energia che può essere trasformata (o che è stata trasformata) possiamo dire che il lavoro di una forza, responsabile di un determinato spostamento, è una misura della variazione di energia cinetica del punto materiale nello spostamento subito e non dell’energia cinetica posseduta dal punto materiale in una determinata posizione della traiettoria. Questo risultato è noto come ”teorema dell’energia cinetica” o ”teorema delle forze vive”. Le dimensioni del lavoro sono le stesse dell’energia: £ ¤ P O2 [W 2 ] OI (D $ E) = e anche l’unità di misura del lavoro, nel S.I. è il Joule (indicata con M). 4 L’energia potenziale Abbiamo introdotto l’energia potenziale gravitazionale posseduta da un punto materiale, come una forma di energia legata alla posizione che il punto materiale occupava, nelle vicinanze della Terra. Questa proprietà dello spazio intorno alla Terra, ovvero della forza peso, che consente di assegnare ad un punto materiale una energia posizionale è posseduta anche da altre forze. 5 L’energia potenziale elastica Un punto materiale legato ad una molla che oscilla, senza attrito su di un piano orizzontale, è soggetto ad una forza elastica. Se { è lo spostamento che il punto materiale ha subito, rispetto alla posizione di riposo, 7 la forza cui è soggetto il punto materiale legato alla molla è Ih ({) = n{ Al punto materiale posto nella posizione {D noi assegneremo un’energia potenziale elastica, Uh ({D ): 1 (14) Uh ({D ) = n{2D 2 La funzione energia potenziale elastica è una parabola con il vertice coincidente con il centro degli assi: Punti equidistanti dalla posizione di riposo della molla hanno la stessa energia potenziale. 5.1 Il lavoro della forza peso Su di un punto materiale in caduta libera si esercita la forza peso Fs = P g. Sia {D la coordinata del punto materiale quando viene lasciato libero di cadere ed {E la coordinata di una posizione occupata successivamente dal punto materiale (l’origine del sistema di riferimento è posto sulla superficie della Terra, cioè sul suo suolo): Il lavoro fatto dalla forza peso per portare il punto materiale dalla posizione D alla posizione E, sarà OIs (D $ E) = P j ({E {D ) = P j ({D {E ) 8 (15) Se la posizione E coincide con la superficie della Terra che, per nostra scelta, è l’origine del sistema di riferimento, il lavoro si scriverà OIs (D $ E) = P j{D 5.2 (16) Il lavoro della forza elastica Ci proponiamo di calcolare il lavoro fatto dalla forza elastica per spostare il punto materiale da una posizione {D ad una posizione {E . Il lavoro sarà OIh (D $ E) = Z {E {D n{g{ = 1 1 2 n{ n{2 2 D 2 E (17) Se la posizione finale E coincide con la posizione di riposo della molla, avendo scelto come origine degli assi proprio la posizione di riposo della molla, allora {E = 0 e la precedente espressione diventa OIh (D $ E) = 5.3 1 2 n{ 2 D (18) Espressioni di energia potenziale Esaminiamo più da vicino i risultati del calcolo del lavoro nel caso della forza peso e della forza elastica. Caso della forza peso: Nel calcolo del lavoro fatto dalla forza peso, nella caduta libera, abbiamo trovato 9 OIs (D $ E) = P j ({D {E ) dove P è la massa del punto materiale, j l’accelerazione di gravità, {D e {E le altezze rispetto al suolo dei punti D e E. Usando la funzione Us ({), (l’energia potenziale gravitazionale), Xs ({) = P j{ (19) potremo scrivere il lavoro fatto dalla forza peso, per spostare un punto materiale dalla posizione D alla posizione E, come OIs (D $ E) = Xs ({D ) Xs ({E ) = Xs ({) (20) Caso della forza elastica: Un punto materiale, legato ad una molla, che oscilla senza attrito su di un piano orizzontale, è soggetto ad una forza elastica. Il lavoro fatto dalla forza elastica, abbiamo mostrato che si scrive 1 1 2 n{D n{2E 2 2 dove n è la costante elastica ed {D e {E sono le distanze, dalla posizione di riposo della molla cui è legato il punto materiale, dei punti D e E. Usando la funzione Xh ({), (l’energia potenziale elastica), OIh (D $ E) = 1 2 n{ (21) 2 il lavoro fatto dalla forza elastica, per spostare un punto materiale dalla posizione D alla posizione E, sarà uguale alla variazione dell’energia potenziale, cambiata di segno: UXh ({) = OIh (D $ E) = Xh ({D ) Xh ({E ) = Xh ({) (22) Le forze per le quali si può definire una energia potenziale sono dette forze conservative. Conclusione: Il lavovo fatto da una forza conservativa, per spostare un punto materiale da una posizione iniziale ad una finale è uguale alla variazione dell’energia potenziale, cambiata di segno. Come nel caso dell’energia cinetica il lavoro misura una variazione di energia potenziale (il segno meno è una convenzione) e non l’energia posseduta dal punto materiale. L’energia potenziale è un’energia di posizione, vale a dire che il valore di tale energia dipende dalla posizione che il punto materiale, soggetto alla forza conservativa, occupa nello spazio, rispetto ad una posizione di riferimento. Notiamo inoltre che, nel caso di forze conservative, il lavoro dipende solo dalla posizione iniziale e finale del corpo. In altre parole, non è specificata alcuna traiettoria, quindi il lavoro di una forza conservativa è indipendente dalla traiettoria che il corpo descrive. Questo è un risultato notevole e in qual modo sorprendente, perché sia la definizione di lavoro che lo stesso teorema dell’energia cinetica (in quest’ultimo compare solo l’energia cinetica finale e quella iniziale, 10 ma per conoscere il valore eettivo della velocità del corpo nel punto finale occorre conoscere la traiettoria) faceva supporre che il lavoro dovesse dipendere sempre dalla particolare traiettoria. Questa indipendenza dalla traiettoria si evince in maniera ancora più evidente se si considera una traiettoria chiusa, ma arbitraria e si analizza il lavoro di una forza conservativa. Dalle (20) e (22) si trova che se D = E, il punto materiale parte da D e ritorna in D, lungo una qualunque traiettoria, si avrà: OI (D $ D) = 0 Il lavoro di una forza conservativa, lungo una traiettoria chiusa, è nullo. 6 La conservazione dell’energia meccanica Il lavoro fatto da una forza su di un punto materiale produce, di norma, un aumento oppure una diminuzione della sua energia cinetica (teorema dell’energia cinetica). Ora impareremo che, per alcune forze, un aumento (una diminuzione) dell’energia cinetica avviene perché l’energia associabile alla posizione (energia potenziale) che occupa un punto materiale, è diminuita (aumentata). Abbiamo visto che, nel caso di forze conservative, è possibile associare alla posizione che un punto materiale occupa nello spazio un’energia potenziale. Ora vogliamo mostrare qualcosa di più preciso. La parte di energia cinetica che viene persa (guadagnata) viene esattamente trasformata in un aumento (diminuzione) di energia potenziale dello stesso punto materiale. In altre parole, durante l’azione di una forza corservativa, la somma dell’energia cinetica e di quella potenziale di un punto materiale si mantiene costante nel tempo, lungo tutta la traiettoria percorsa dal punto materiale. La prova di un tale risultato è semplice. Il lavoro fatto da una qualunque forza F per spostare un punto materiale da una posizione D ad una posizione E è sempre uguale alla variazione di energia cinetica subita dal punto materiale (teorema dell’energia cinetica): 1 1 2 2 P vD (23) P vE 2 2 Nel caso di forze conservative, lo stesso lavoro può anche scriversi in termini di energia potenziale: OI (D $ E) = OI (D $ E) = X ({D ) X ({E ) (24) Essendo uguali i primi membri delle (23) e (24), saranno uguali anche i secondi membri: 1 1 2 2 P vD = X ({D ) X ({E ) P vE 2 2 Separando i termini riferiti alla posizione D da quelli riferiti alla posizione E, avremo: 11 1 1 2 2 + X ({D ) = P vE + X ({E ) (25) P vD 2 2 Come si vede, la somma dell’energia cinetica e potenziale nella posizione D è uguale alla somma dell’energia cinetica e potenziale nella posizione E. Poiché D e E sono arbitrari, possiamo concludere dicendo che, in presenza di sole forze conservative, il moto di un punto materiale si svolge in maniera tale che la somma dell’energia cinetica e potenziale si mantiene costante lungo tutta la traiettoria del punto materiale. La somma dell’energia cinetica e potenziale viene chiamata energia meccanica Xwrw = 6.1 1 P v2 + X ({) 2 (26) Esempi grafici Ora mostreremo, in maniera grafica, come si trasforma l’energia lungo la traiettoria di un punto materiale soggetto a forze conservative. Esempio 1: Caduta libera (in assenza di attriti): Nella posizione D, il corpo si suppone abbia solo energia potenziale (è supposto inizialmente fermo); nel punto E il corpo possiede sia energia potenziale che cinetica, mentre in F avrà solo energia cinetica (F è lo zero dell’energia potenziale) Esempio 2: Il pendolo (in assenza di attriti). Nella posizione D, il corpo si suppone abbia solo energia potenziale (è supposto inizialmente fermo); nel punto E il corpo possiede sia energia potenziale che cinetica, mentre in F avrà solo energia cinetica (F è lo zero dell’energia potenziale) 12 mentre in F avrà solo energia cinetica (F è lo zero dell’energia potenziale) 6.2 L’energia meccanica elastica Un’altro caso interessante di conservazione dell’energia è il caso di un soggetto alla sola forza elastica. Nella posizione di massima elongazione, corpo possiede solo energia potenziale. In una posizione intermedia, {E , posizione di riposo della molla e la posizione di massimaa elongazione il possiede sia energia potenziale che cinetica, corpo {D , il tra la corpo Nella posizione di riposo della molla l’energia posseduta dalla particella sarà tutta cinetica Descriveremo ora, in dettaglio, il grafico dell’energia potenziale elastica. Tale energia, nel caso in cui si scelga di porla uguale a zero in corrispondenza della posizione di riposo della molla, si scrive 13 1 2 n{ (27) 2 dove n è la costante elastica della molla. Tale funzione rappresenta una parabola, con il vertice posto nell’origine degli assi: U ({) = Abbiamo mostrato che nella posizione di massima elongazione il corpo possiede solo energia potenziale. In tale posizione, il punto materiale ha un’energia potenziale uguale all’energia totale meccanica. Per una qualunque altra posizione, ad esempio {S , la conservazione dell’energia meccanica, si potrà scrivere, 1 1 1 1 P vs2 + X ({s ) = X ({P ) $ P vs2 + n{2s = n{2P (28) 2 2 2 2 dove vs è la velocità che il punto materiale possiede alla distanza {s dalla posizione di riposo della molla. La precedente equazione ci dice che la somma dell’energia cinetica del punto materiale in {s e dell’energia potenziale posseduta da esso nello stesso punto è uguale all’energia potenziale posseduta dal corpo quando esso è alla massima distanza dalla posizione di riposo della molla (a tale distanza il corpo è istantaneamente fermo). Possiamo riscrivere la (28) nel modo seguente: 1 1 1 1 $ (29) P vs2 = X ({P ) X ({s ) P vs2 = n{2P n{2s 2 2 2 2 Allora, la dierenza tra il valore dell’energia potenziale alla massima distanza ed il valore dell’energia potenziale in {S rappresenta il valore dell’energia cinetica, posseduta del punto materiale nello stesso punto. Nell’origine del sistema di assi il valore dell’energia cinetica è al massimo ed uguaglia il valore dell’energia totale. 7 L’energia potenziale è definita a meno di una costante Abbiamo definito l’energia potenziale gravitazionale e quella elastica nel modo seguente X (k) = P jk X ({) = 14 1 2 n{ 2 (30) Vogliamo ora stabilire se questa definizione è unica e se essa sia completa. Questa verifica può essere fatta se ci chiediamo cosa si può realmente misurare, quando si parla di energia. Fissiamo la nostra attenzione sull’energia potenziale gravitazionale. Abbiamo assegnato ad ogni punto posto ad un’altezza k dal suolo un ben preciso valore, come se questo valore fosse l’unico possibile. Supponiamo di assegnare allo stesso corpo, nello stesso punto, un’energia potenziale: X (k) = P jk + F (31) dove F è una costante arbitraria. Nella precedente definizione, eq.(30), la costante è stata posta uguale a zero. Come facciamo a verificare quale delle due definizioni è quella corretta? L’unico modo per farlo è quello di usare la definizione di lavoro e applicarla alla forza peso. Abbiamo mostrato che, qualunque sia la forza conservativa, se con U si indica la funzione energia potenziale associata alla forza conservativa, allora deve accadere che OI (D $ E) = X ({D ) X ({E ) Se usiamo la prima forma di energia potenziale troviamo OIs (D $ E) = P jkD P jkE Se usiamo la seconda forma, troviamo OIs (D $ E) = (P jkD F) (P jkE F) = P jkD P jkE Le due forme danno lo stesso risultato e quindi possono essere entrambe usate, perché ciò che può essere misurato, e quindi definito, è solo la variazione di energia potenziale tra la posizione A e quella B del punto materiale. Notiamo che le due forme si dierenziano per il valore che assegnano all’energia potenziale nel punto k = 0. La prima assegna il valore zero a tale punto, mentre la seconda il valore F. Possiamo dire che, il valore dell’energia potenziale in ogni punto, dipende sia dalla scelta della posizione di riferimento (un punto sulla superficie della Terra, cioè h=0) e sia dal valore scelto per l’energia potenziale nella posizione di riferimento. Allora, quando abbiamo assegnato ad un punto materiale posto ad un’altezza k il valore P jk abbiamo commesso una imprecisione, perché P jk rappresenta la dierenza di energia potenziale posseduta dal punto materiale tra la posizione k e la sua posizione sul suolo. Questa dierenza è l’unica quantità che si può misurare. La variazione di energia potenziale tra le due posizioni, A e B dello spazio non dipende né dalla scelta della posizione di riferimento e né dal valore scelto per l’energia potenziale nella posizione di riferimento. Allora, l’arbitrarietà nelle due assunzioni può essere vista come una opportunità che ci viene concessa, dalle proprietà dell’energia potenziale, per semplificarne il suo calcolo. In maniera analoga, quando si scrive l’energia potenziale elastica come X ({) = 15 1 2 n{ 2 si è fissata come posizione di riferimento, la posizione di riposo della molla e si è anche assunto che in tale posizione il valore dell’energia potenziale debba valere zero. 8 Il lavoro, per le forze non conservative, dipende dal percorso Un corpo che si muove, in prossimità della Terra, è sottoposto anche alla resistenza della aria. Tale forza, come abbiamo già visto, è proporzionale alla velocità del corpo in movimento ed essendo una forza di attrito si oppone al moto. L’espressione di tale forza è del tipo F = v (32) dove è una costante. Consideriamo il lavoro infinitesimo fatto da questa forza di attrito quando un punto materiale si sposta di un tratto infinitesimo gr. Avremo, F · gr = v · gr = v · vgw ovvero OI (D $ E) = Z wE v2 (w) gw (33) wD Per calcolare esplicitamente il lavoro dobbiamo sapere il valore della velocità nel corso del tempo, ovvero abbiamo bisogno di conoscere la traiettoria. Se cambia la traiettoria cambia anche il valore del lavoro. Questo risultato serve a ricordare che, in generale, il lavoro dipende dalla traiettoria che il punto materiale percorre e solo nel caso di forze conservative ne risulta indipendente. 9 Il concetto di potenza Un modo per valutare l’intensità di una forza rispetto ad un’altra è quello di calcolare, durante lo stesso intervallo temporale, il lavoro compiuto dalle due forze. Maggiore è il lavoro compiuto, nella stessa unità di tempo, più intensa è la forza che lo ha compiuto. Più precisamente, si chiama potenza di una forza, e si indica con Z , il lavoro che essa compie nell’unità di tempo. Si scrive gOI (34) gw L’unità di misura della potenza, nel Sistema Internazionale, è il Watt (W). Le sue dimensioni sono quelle di un energia (J) su secondi (s), ovvero £ ¤ P O2 M Z = = v [W 3 ] Z = 16 Un’interessante espressione per la potenza di una forza è la seguente Z =F·v (35) cioé, è il prodotto scalare della forza per la velocità del punto materiale. Per provare questa relazione osserviamo che l’energia cinetica di un punto materiale si può anche scrivere 1 2 1 1 P v2 = s = (p · p) (36) 2 2P 2P dove p = P v è la quantità di moto del punto materiale. Inoltre, l’azione dell’operatore sull’energia cinetica (variazione dell’energia cinetica) si può anche scrivere µ ¸ ¶ · 1 1 1 1 P v2 = (p · p) = (p · p) = p · p (37) 2 2P 2P P mentre la variazione di energia cinetica nell’intervallo di tempo w diventa ¡ ¢ 21 P v2 1 p p = · =F·v w P w P Poiché il lavoro è sempre uguale ad una variazione di energia cinetica abbiamo completato la dimostrazione. 10 Complementi Ora ripresenteremo, con un maggiore approfondimento, anche formale, alcuni argomenti già trattati e ne introdurremo dei nuovi che non possono essere totalmente omessi in una presentazione sulle energie e sul lavoro. 10.1 Il diagramma del lavoro Ci proponiamo di definire e calcolare il lavoro nel caso di forze variabili in modulo, ma costanti in direzioni e verso. Supponiamo di avere una forza variabile che produce lo spostamento di un punto materiale nella direzione dell’asse x. Se la forza avesse un’intensità costante, diciamo I0 , in un diagramma che avesse sull’asse delle ascisse le coordinate della posizione del punto materiale e sulle ordinate il valore dell’intensità della forza, avremmo il seguente grafico: 17 dove {D e {E rappresentano le posizioni del corpo nella posizione iniziale e finale rispettivamente. Chiameremo tale grafico, diagramma del lavoro. In base alla discussione fatta per il lavoro di una forza costante, possiamo dire che l’area sotto la curva della forza, compresa tra le coordinate iniziale e finale, rappresenta il lavoro fatto dalla forza per spostare il punto materiale dalla posizione A alla posizione B. Il tal caso il lavoro si può scrivere OI0 (D $ E) = I0 ({E {D ) Se la forza variasse di intensità il suo diagramma del lavoro sarebbe dove abbiamo posto {D = {0 e {E = {q e diviso l’intervallo ({q {0 ) in tanti intervalli {, all’interno dei quali l’intensità I ({m ) della forza è praticamente costante. In tal caso, OI ({m $ {m+1 ) = I ({m ) { (C1) rappresenta il lavoro compiuto dalla forza, quando il punto materiale si sposta dalla posizione {m alla posizione {m+1 . Inoltre, sommando i dierenti contributi potremo scrivere q1 X m=0 O ({m $ {m+1 ) = q1 X I ({m ) { (C2) m=0 Nel caso in cui { tenda a zero ({ $ 0), ovvero il numero di posizioni intermedie tra {0 e {q diventi infinito, 18 il secondo membro della (C2) lim {$0 4 X I ({m ) { m=0 si chiama integrale di F(x), tra gli estremi {D e {E e si scrive Z {E {D I ({) g{ = lim {$0 4 X I ({m ) { (C3) m=0 Nello stesso limite, il primo membro della (2) indicherà il lavoro fatto dalla forza per spostare il corpo dalla posizione {D alla posizione {E : OI (D $ E) = lim {$0 q1 X m=0 O ({q $ {m+1 ) (C4) Possiamo allora dire che, per una forza variabile in intensità, ma costante in direzione e verso, lungo l’asse {, il lavoro fatto dalla forza per spostare il punto materiale dalla posizione iniziale A alla posizione finale B è Z {E OI (D $ E) = I ({) g{ (C5) {D Se la forza ha la stessa direzione, ma verso opposto allo spostamento, essa viene riportata come negativa: In tal caso, il lavoro al di sotto dell’asse x va considerato negativo. 19 10.2 Il lavoro di una forza arbitraria Consideriamo il caso di un punto materiale che si muova su di una traiettoria arbitraria, sotto l’azione di una forza F arbitraria. Siano A e B due posizioni occupate dal punto materiale in istanti dierenti. Supponiamo di approssimare la traiettoria con tanti tratti (spostamenti) r e che in tali tratti la forza Fq sia praticamente costante in modulo, direzione e verso. Sia q l’angolo formato dal vettore Fq ed il vettore r : La quantità Iq u cos q , cioé il prodotto dell’intensità della forza per il modulo dello spostamento per il coseno dell’angolo compreso tra la direzione della forza e la direzione dello spostamento, rappresenta il lavoro compiuto dalla forza F per spostare il punto materiale dalla posizione rq alla posizione rq+1 : OIq (rq $ rq+1 ) = Iq u cos q (C6) Se gli spostamenti r sono N e si pone rD = r0 e rE = rQ dove N è il numero totale di spostamenti che servono per percorrere tutta la traiettoria, allora il lavoro totale fatto dalla forza F per spostare il punto materiale dalla posizione A alla posizione B si potrà scrivere, in maniera approssimata, OI (D $ E) ' Q1 X Iq u cos q (C7) q=0 Nel limite in cui u tende a zero, ovvero che il numeno N tende all’infinito la somma al secondo membro tende ad un integrale, detto integrale di linea tra gli estremi A e B, che si suole indicare con Z E F · gr = lim D u$0 4 X Iq u cos q (C8) q=0 dove gr è lo spostamento infinitesimo che, ricordiamo, ha in ogni punto della traiettoria, la direzione della tangente alla traiettoria, cioé della velocità. L’integrando, al primo membro, cioé F · gr, definisce il lavoro infinitesimo fatto dalla forza F per spostare un punto materiale di un tratto infinitesimo gr, gOI = F · gr 20 (C9) Si dice che il lavoro infinitesimo fatto da una forza F per spostare un punto materiale di un tratto infinitesimo gr è il prodotto scalare tra il vettore forza F ed il vettore spostamento infinitesimo gr e si intende F · gr = I gu cos (C10) dove è l’angolo compreso tra la forza e lo spostamento infinitesimo. Il lavoro infinitesimo gOI fatto dalla forza F per spostare di un tratto infinitesimo gr un punto materiale è, per definizione, dato dal prodotto scalare di F e gr: gOI = F · gr Poiché F = I{ u{ + I| u| + I} u} gr = g{u{ + g|u| + g}u} possiamo anche scrivere gOI = I{ g{ + I| g| + I} g} (C11) Il secondo membro di tale relazione è la rappresentazione cartesiana del lavoro infinitesimo 10.3 Il teorema dell’energia cinetica Ridiscutiamo il teorema dell’energia cinetica per fare delle ulteriori osservazioni. Un corpo di massa M e velocità v possiede una energia cinetica data da 1 P v2 2 (C12) Prendiamo il dierenziale: g µ P 2 v 2 ¶ Ricordando che v2 = v · v, si può scrivere: µ ¶ P 2 g v = P a · gr 2 (C13) (C14) Infatti, si trova µ ¶ P 2 P g v = g (v · v) = P v · gv =P v · agw = P a · vgw 2 2 e quindi, usando l’equazione fondamentale, arriviamo alla seguente equazione µ ¶ P 2 g (C15) v = F · gr 2 21 La quantità al secondo membro è il lavoro infinitesimo e si potrà scrivere: µ ¶ P 2 g (C16) v = gO 2 Prima di procedere oltre conviene fare un’osservazione. Nello scrivere la (C15) (o la (C16)) abbiamo commesso una dimenticanza. Il modo più generale di scrivere la precedente uguaglianza è: µ ¶ P 2 g v + G = gO (C17) 2 dove G è una costante, a priori, del tutto arbitraria (positiva, negativa o nulla). A questo punto, nella meccanica newtoniana si fa una scelta precisa della costante G: La si pone uguale a zero, scegliendo così di assegnare all’energia posseduta dai corpi solo quella legata al loro moto (l’energia cinetica). Fino agl’inizi di questo secolo, non si aveva alcuna indicazione, su energie intrinseche ai corpi a riposo. La scelta di porre G uguale a zero è stata quindi abbastanza naturale. D’ora in avanti porremo G = 0, e la precedente equazione ridiventa µ ¶ P 2 g (C16) v = gO 2 oppure, passando alle corrispondenti quantità finite, µ ¶ Z E P 2 v = F · gr 2 D (C18) dove con D e E indichiamo le posizioni iniziale e finale del punto sulla traiettoria. La (C18) ci dice che: la variazione di energia cinetica tra due posizioni occupate dal punto mobile lungo una qualunque traiettoria è uguale al lavoro della forza calcolato lungo la traiettoria che collega la posizione iniziale con quella finale. Ribadiamo, come abbiamo già detto, che il lavoro può misurare solo variazioni di energie cinetiche. In forma compatta, la (C18), dopo aver posto OI (D $ E) diventa Z E F · gr P 2 P 2 v (E) v (D) = OI (D $ E) 2 2 Questo risultato è stato già discusso in precedenza 22 (C19) D (C20) 10.4 Il lavoro della forza di gravitazione universale Negli esempi che abbiamo fatto, sul calcolo del lavoro, abbiamo dedotto che in natura esiste una suddivisione delle forze rispetto al modo di calcolare il lavoro. Da una parte vi sono quelle forze il cui lavoro non dipende dalla conoscenza della traiettoria del corpo, ma solo dalle posizioni iniziali e finali, come per esempio la forza peso e la forza elastica, e dall’altra quelle forze il cui lavoro dipende dalla conoscenza della traiettoria che il corpo percorrerà. Le prime sono dette conservative mentre le seconde non conservative. É importante sottolineare che le forze conservative da noi prese in considerazione dipendono solo da una lunghezza. In futuro, senza ulteriore precisazione, intenderemo sempre che le forze conservative debbano dipendere solo da una lunghezza opportuna. Poiché la forza peso è una forma approssimata della forza di gravitazione universale, ci aspettiamo che anche la forza di gravitazione universale sia conservativa. Ci proponiamo di trovare la forma esplicita dell’energia potenziale gravitazionale. Più precisamente, passiamo ora al calcolo del lavoro fatto dalla forza di gravitazione universale prodotta da un punto materiale di massa P2 su di un punto materiale di massa P1 , per portare un punto materiale di massa P1 da una posizione D ad un’altra E. Potremo scrivere, Z rE P1 P2 OIJ (D $ E) = J u · gr (C21) U2 rD dove abbiamo introdotto, oltre ai vettori posizione (rD > rE ) dei punti iniziali e finali, il vettore spostamento infinitesimo gr su cui integriamo. Per semplificare la notazione supponiamo di prendere l’origine del sistema di riferimento sulla particella P2 . Sia R il vettore posizione del punto materiale P1 ed u il corrispondente versore. Il prodotto scalare nell’integrale può scriversi in termini di componenti dello spostamento lungo la direzione che congiunge i due corpi: gU = u · gr OIJ (D $ E) = JP1 P2 23 Z UE UD gU U2 (C22) dove, ovviamente UD = uD ed UE = uE . L’integrale è, ora, immediato e si ottiene ¶ µ 1 1 OIJ (D $ E) = JP2 P1 (C23) UE UD Come si può vedere, il lavoro fatto dalla forza gravitazionale, generata da P2 , per spostare P1 , dalla posizione D a quella E, dipende dalla distanza relativa dei punti D e E da P2 , sorgente della forza. Inoltre, per avere in mente un caso concreto supporremo che P2 , sorgente della forza che compie il lavoro, sia la Terra. Inoltre, porremo il centro del sistema di riferimento nel centro della Terra. Ciò implica che le posizioni D e E saranno misurate dal centro della Terra. Potremo scrivere, indicando ora il corpo P1 con P : ¶ µ 1 1 OIJ (D $ E) = P JP (C24) UE UD Il lavoro, pur dipendendo, in generale, dalla traiettoria, siamo riusciti a calcolarlo senza conoscere prima la traiettoria. Abbiamo, solo, bisogno di conoscere la distanza dei punti A e B dal centro della Terra. Vediamo cosa accade con due dierenti posizioni dello zero dell’energia potenziale. Indichiamo la posizione finale con la lettera R: µ ¶ 1 1 OIJ (D $ R) = P JP (C25) UR UD Consideriamo due casi reali di scelta del punto R dello spazio, intorno alla Terra. Caso a) La posizione finale, cioè il punto R è a distanza infinita dal centro della Terra. La precedente equazione si riduce a OIJ (D $ R = 4) = P JP UD Caso b) La posizione finale è presa sulla superficie della Terra. La (C25) diventa ¶ µ 1 1 OIJ (D $ R = U ) = P JP U UD (C26) (C27) L’espressione del lavoro nei due casi è diversa e lo sarebbe comunque se scegliessimo un qualsiasi altro punto dello spazio. Supponiamo, tuttavia, di accordarci per un punto qualunque e calcoliamo per tutti gli altri punti dello spazio il lavoro da fare contro la forza gravitazionale della Terra per spostare il corpo di massa P da ogni punto dello spazio al punto R scelto. Per fissare meglio le idee, facciamo la scelta del caso a (il punto R è all’infinito!). In tal caso, il lavoro che dobbiamo fare, contro la forza di gravitazione terrestre, per spostare il punto materiale dal punto B all’infinito si scrive: 24 P JP (C28) UE La stessa operazione può ripetersi per tutti i punti dello spazio; sarà su!ciente conoscere la distanza dei punti dello spazio dal centro della Terra. Fatta la scelta del punto R all’infinito per tutti i punti dello spazio, proviamo a calcolare, il lavoro fatto per portare il corpo da un punto generico A ad un’altro qualunque B. Poiché il lavoro dipende solo dalle posizioni iniziale e finale, possiamo immaginare di andare prima da A ad O e poi da O a B. Avremo allora: OIJ (E $ R) = OIJ (D $ E) = OIJ (D $ R) + OIJ (R $ E) = OIJ (D $ R) OIJ (E $ R) ovvero P JP P JP + UD UE Tale risultato coincide con l’espressione (C24). Se ripetessimo lo stesso calcolo scegliendo il caso b (il punto R è preso sulla superficie della Terra!) ritroveremmo ancora il risultato (C24). Alla stessa conclusione si giunge qualunque sia la scelta del punto R nello spazio. In definitiva, scelto in modo del tutto arbitrario il punto R nello spazio, si passa a calcolare, per tutti gli altri punti il lavoro necessario per portare un punto materiale da essi al punto R scelto. Questo procedimento, mentre da un lato dà origine ad espressioni dierenti dell’energia potenziale gravitazionale associata ad ogni punto dello spazio, dall’altro non modifica il valore dell’espressione del lavoro tra due punti arbitrari dello spazio. In conclusione, per le forze conservative, la precedente discussione ci consente di definire la seguente funzione: Definizione: Le forze conservative consentono di definire una funzione di punto, detta Energia potenziale: Un punto materiale che si muove sotto l’azione di una forza conservativa passa attraverso i diversi punti dello spazio cui è associato un ben determinato valore della funzione energia potenziale, X (r). Il valore che viene associato al generico punto rD è uguale al lavoro che la forza compie sul punto materiale per spostarlo dal punto D ad un altro R, preso come punto di riferimento per D e tutti gli altri punti dello spazio in cui agisce la forza. Allora, per le forze conservative è possibile definire la seguente funzione OIJ (D $ E) = X (rD ) X (D) = O (D $ R) (C29) Se E è un altro punto dello spazio, si avrà X (E) = O (E $ R) Scegliendo una traiettoria che vada da D a E passando anche per R, possiamo scrivere X (D)X (E) = O (D $ R)O (E $ R) = O (D $ R)+O (R $ E) = O (D $ E) 25 cioè O (D $ E) = X (D) X (E) X (C30) gO = gX (C31) gO = g (X + F1 ) (C32) In forma dierenziale, la (C30) diventa La presenza del segno meno è solo legata alla definizione di energia potenziale cioè al fatto che abbiamo scelto di far lavorare la forza dal punto D al punto R e non viceversa. Se è vera la (C31), possiamo anche scrivere dove F1 è una costante arbitraria. Oppure O (D $ E) = Z E g (X + F1 ) (C33) D Cosa accade alla costante F1 ? Tale costante la si può porre uguale a zero. Abbiamo visto che l’energia potenziale in un punto dello spazio dipende dalla scelta del punto R ma, nello stesso tempo, questa dipendenza non cambia il valore della dierenza di energia potenziale tra due punti. Pertanto, possiamo dire che l’energia potenziale in un punto è definita a meno di una costante arbitraria e qualunque sia il valore di F1 esso muterebbe solo il valore dell’energia potenziale nei punti dello spazio (una sorta di spostamento del valore dell’energia potenziale in ogni punto dello spazio) ma il valore del lavoro tra due punti rimarrebbe immutato. Quindi possiamo porre F1 = 0 e scrivere d’ora in avanti: O (D $ E) = X (D) X (E) 10.5 (C30) L’energia potenziale per le forze centrali Definiamo forze centrali quelle che hanno il modulo della forza che dipende solo dalla distanza dal punto fisso, origine della forza. Per noi una forza centrale si scriverà: F = i (u) uu (C34) dove uu è il versore della direzione radiale nel verso che si allontana dal polo, origine della forza. Supponiamo, per semplificare i calcoli, che l’origine del nostro sistema di riferimento sia nel punto fisso, origine della forza centrale. Dalla definizione di lavoro Z rE Z rE O (D $ E) = F · gr = i (u) uu · gr rD rD Il prodotto scalare uu · gr non è altro che la proiezione del vettore gr che, ricordiamo, ha la direzione della tangente alla traiettoria, nella direzione radiale e che indicheremo con gU . Avremo allora, 26 O (D $ E) = Z UE i (U) gU (C35) UD L’integrando è il dierenziale della funzione i della sola variabile radiale U e quindi l’integrale ammette una funzione primitiva che dipende solo dalla distanza radiale. In altre parole, per le forze centrali è sempre possibile scrivere: O (D $ E) = X (UD ) X (UE ) (C36) ossia, sono conservative e la funzione energia potenziale è funzione della sola distanza dal centro delle forze. La forza di gravitazione universale è una forza centrale. 10.6 Derivazione della forza dall’energia potenziale Abbiamo derivato fino ad ora l’energia potenziale a partire dalla forza. Il problema che vogliamo ora discutere è la possibilità di derivare dall’energia potenziale la forza associata. Per la proprietà delle forze conservative F · gr = gX (r) (C37) che, in coordinate cartesiane, si scrive I{ g{ + I| g| + I} g} = gX ({> |> }) (C38) Nell’ipotesi che la forza agisca in una sola direzione, per esempio quella del l’asse x, possiamo semplificare la precedente relazione e otteniamo I{ g{ = gX ({) = gX ({) g{ g{ (C39) da cui gX ({) (C40) g{ Per calcolare la componente della forza nella direzione dell’asse x dobbiamo derivare rispetto ad x l’espressione dell’energia potenziale e cambiarla di segno. Analogo risultato si otterrebbe per le altre componenti. I{ = 10.7 Energia potenziale, equilibrio e moto oscillatorio Abbiamo imparato che i responsabili del movimento sono le forze. Un corpo fermo, su cui non agiscono forze rimane in quiete (il corpo è in equilibrio). Nel precedente paragrafo abbiamo mostrato che, se una forza è conservativa, nel caso di moto unidimensionale, il legame tra forae ed energia potenziale si scrive: I{ = 27 gX g{ (C41) Se il corpo è in equilibrio, la risultante delle forze e le sue componenti sono nulle; Il primo membro della (C41) è nullo e così sarà del secondo. Quindi, dalla (C41) si ottiene, gX =0 (C42) g{ Supponiamo che la funzione energia potenziale abbia un minimo in un certo punto x0 . In tal caso, sappiamo che devono essere soddisfatte le seguenti condizioni: µ 2 ¶ ¶ µ g X gX ({) =0 A0 (C43) g{ g{2 {={0 {={0 Scegliamo un sistema di riferimento con l’origine nel punto x0 e spostiamo di poco il punto materiale dall’origine degli assi (posizione di minimo). Poiché lo spostamento è piccolo possiamo calcolare come varia l’energia potenziale, sviluppando U ({) in serie di potenze di x intorno all’origine. Avremo: µ ¶ µ 2 ¶ gX g X {2 X ({) = X (0) + +··· (C44) {+ 2 g{ {=0 g{ {=0 2! Il primo termine, essendo costante, si può trascurare. Il secondo è nullo e la precedente relazione si riduce a X ({) = n {2 2 (C45) dove si è posto n= µ g2 X g{ ¶ (C46) {=0 Constatiamo che, nell’intorno di un punto in cui l’energia potenziale presenta un minimo, questa ha la forma di un’energia potenziale elastica. Possiamo, allora, dire che, quando un punto materiale si allontana di poco da una posizione in cui l’energia potenziale presenta un minimo, una forza (elastica) tende a riportare il corpo nella posizione di minimo. Si dice che la particella oscilla intorno alla posizione di minimo dell’energia potenziale. 11 Esempi Tra gli esempi che ora mostreremo ve ne sono alcuni che sono già stati svolti nel secondo capitolo. La ripetizione serve al confronto tra i diversi approcci. Esempio 1: Caduta libera di un corpo. Calcoliamo la velocità con cui arriva al suolo un corpo di massa M, cadendo da una altezza h, nell’ipotesi che su di esso agisca la sola forza peso. Poiché quest’ultima è una forza conservativa, l’energia meccanica in due punti arbitrari della traiettoria è la stessa. Si può allora scrivere 28 1 1 (E1) P jk + P vk2 = P v02 2 2 con l’ovvio significato dei simboli. Risolvendo rispetto alla velocità di arrivo al suolo, si trova q v0 = vk2 + 2jk che coincide con il risultato trovato utilizzando l0 equazionefondamentale.Tuttavia, si riconosce l’estrema facilità di questo metodo. Esempio 2: Il piano inclinato. Determinare la velocità di arrivo al suolo di una particella che scivola con attrito lungo un piano inclinato. Poiché è presente l’attrito, il teorema di conservazione dell’energia meccanica non si può più applicare. Tuttavia il teorema dell0 energia cinetica è sempre applicabile. Nel caso specifico si può scrivere: Z r0 1 1 (Fs + Fd ) · gr = P v02 P vk2 2 2 rk Indicando con d la lunghezza del piano, la precedente equazione diventa 1 1 P v02 P vk2 2 2 Risolvendo rispetto alla velocità di arrivo al suolo, otteniamo µ ¶ 2 2 v0 = vk + 2jk 1 tan (P j sin P j cos ) g = Anche in questo caso, la semplicità del metodo appare evidente. Esempio 3: Bilancia a molla. Una particella è mantenuta in quiete, su di una molla, in posizione verticale di riposo. La particella viene lasciata libera e produce una compressione della molla. Trovare, in funzione dei parametri fisici in gioco, la compressione massima della molla (bilancia a molla). La particella nelle fasi iniziale e finale ha velocità nulla. Le forze presenti sono conservative. Si può allora scrivere 1 2 n{ + P jki 2 Risolvendo rispetto ad x, si ottiene r 2P j (kl ki ) {= n Esempio 4: Si determini l’espressione dell’energia totale di un pianeta del sistema solare nell’ipotesi che le orbite dei pianeti siano circolari. L’equazione radiale del moto di un pianeta di massa M, in moto su di una circonferenza di raggio r è P jkl = 29 v2 PV P =J 2 (E1) u u dove v è la velocità tangenziale del pianeta. Dalla precedente relazione, l’energia cinetica del pianeta si può scrivere P v2 1 PV P = J (E2) 2 2 u L’energia potenziale dello stesso pianeta, nell’ipotesi che lo zero dell’energia potenziale sia posto a distanza infinita, si scrive P PV P u L’energia totale si trova sommando la (E2) e la (E3) X (u) = J (E3) 1 PV P PV P 1 PV P v2 +X = J J = J (E4) 2 2 u u 2 u L’energia totale è la metà di quella potenziale ed è negativa. Esempio 5: La velocità di fuga dalla Terra è la minima velocità necessaria ad un corpo per lasciare la Terra. Determinare tale velocità. Scriviamo la conservazione dell’energia meccanica per un corpo che deve lasciare la Terra. Scriveremo l’energia totale meccanica in due punti della sua eventuale traiettoria: nel punto A posto sulla superficie della Terra e nel punto B posto a distanza infinita.La conservazione dell’energia si scrive: X =P 1 P0 P 1 2 2 P vD J = P vE 2 U0 2 (E1) dove P0 e U0 sono, rispettivamente, la massa e il raggio medio della Terra. La condizione di minima energia si otterrà ponendo vE = 0, quindi P0 P 1 P vi2 J =0 2 U0 (E2) da cui vi = r 2JP0 U0 (E3) La velocità di fuga non dipende dal corpo ma solo dal pianeta. Nel caso della Terra, sostituendo i valori alle varie quantità (J = 6> 67 × 1011 Q p2 @nj 2 , P0 = 5> 98 × 1024 nj e U0 = 6> 38 × 106 p) si trova vi ' 11> 2np@v ' 40200np@k 30 (Chapter head:)Dinamica di due o più punti materiali Finora abbiamo studiato il moto ed alcune proprietà del singolo punto materiale. In particolare, nella descrizione fatta del moto della Terra e dei pianeti intorno al Sole, data la grande dierenza tra la massa del Sole P¯ = P1 e la massa della Terra P = P2 (o degli altri pianeti) abbiamo considerato praticamente fermo il Sole. Nel fare ciò, abbiamo approssimato il moto dei due corpi, per esempio il sistema Sole-Terra, al moto della sola Terra intorno al Sole. Ci proponiamo di esaminare il problema di due corpi (penseremo sempre al sistema Sole-Terra), senza alcuna approssimazione. 1 Il problema dei due corpi Ora, dobbiamo fare un passo avanti e cercare di capire come un sistema di due particelle possa essere descritto. Ci limiteremo al caso di due punti materiali. Le equazioni fondamentali, per due punti materiali di massa P1 ed P2 sono: P2 a2 = Fh2 + F21 P1 a1 = Fh1 + F12 (1) dove con il pedice ”1” indicheremo il Sole e con il pedice ”2” la Terra. La forza F12 è la forza gravitazionale esercitata dalla Terra sul Sole, mentre la forza F21 è la forza gravitazionale che il Sole esercita sulla Terra. Per la terza legge di Newton, avremo Fh1 Fh2 F12 = F21 (2) abbiamo indicato le risultanti di tutte le forze che il e Inoltre, con restante universo esercita, sul Sole e sulla Terra, rispettivamente. Nella descrizione del moto del sistema Sole-Terra, si possono trascurare le azioni gravitazionali degli oggetti fuori dal sistema solare. Anzi, potremo pensare, con buona approssimazione, che la sola forza esterna agente sul sistema Sole-Terra sia la forza gravitazionale esercitata dalla Luna su entrambi. 1 Dobbiamo allora risolvere il problema del moto del sistema Sole-Terra, sotto la sola azione della forza di gravitazione universale della Luna. Il metodo di risoluzione di un tale problema consiste nel separare l’azione delle forze esterne dalle quella delle interne. Si procede nel modo seguente. Sommiamo membro a membro le due precedenti equazioni: P1 a1 + P2 a2 = Fh1 + F12 + Fh2 + F21 Per il principio di azione e reazione, la somma delle forze interne è nulla, quindi la precedente equazione si riduce a P1 a1 + P2 a2 = Fh1 + Fh2 1.1 (3) Il Centro di Massa Questa equazione può essere interpretata in termini di equazione del moto di un singolo punto materiale fittizio, detto Centro di Massa, cui viene assegnata una massa, indicata con Pfp , pari alla massa totale del sistema in esame Pfp = P1 + P2 (4) e una posizione, indicata da rfp , espressa dalla relazione r0fp (5) Nella (5), r1 e r2 sono i vettori posizione dei punti materiali ”1” e ”2”, rispetto ad un sistema di riferimento inerziale. 2 Poiché le masse dei corpi sono costanti, il punto materiale Centro di Massa si muoverà con velocità vfp = P1 v1 + P2 v2 Pfp (6) dove v1 e v2 sono le velocità dei punti materiali ”1” e ”2”, rispetto ad sistema di riferimento inerziale. Infine, se si indicano con a1 e a2 le accelerazioni dei punti materiali ”1” e ”2”, l’accelerazione del Centro di Massa sarà P1 a1 + P2 a2 Pfp Quest’ultima relazione può essere riscritta nel modo seguente: afp = Pfp afp = P1 a1 + P2 a2 (7) (8) Se si confronta la (8) con la (3), si ha: Pfp afp = Fh1 + Fh2 (9) Per completare la nostra interpretazione di tale equazione in termini di singolo punto materiale, dobbiamo assumere che la risultante delle forze esterne, Fhfp = Fh1 + Fh2 (10) agisca sul solo Centro di Massa. In tal caso, l’eq.(3), ovvero l’equazione (9), diventa Pfp afp = Fhfp (11) La soluzione di tale equazione ci risolverà il problema del moto del Centro di Massa: rfp = rfp (w) (12) Si può, allora, dire che l’azione delle forze esterne governa il moto del Centro di Massa. In particolare, se si possono trascurare le azioni delle forze esterne, Fhfp = 0, avremo 3 Pfp afp = 0 ed il Centro di Massa si muoverà di moto rettilineo uniforme o sarà fermo: vfp = frvwdqwh Per il sistema di due punti materiali questa è la forma che assume il principio d’inerzia. Avendo risolto il problema dell’azione delle forze esterne sul sistema di due particelle, possiamo pensare al problema del moto per le sole forze interne. 1.2 La massa ridotta Le equazioni (1), escludendo le forze esterne per le quali abbiamo già risolto il problema, si riducono a P1 a1 = F12 P2 a2 = F21 (13) che possiamo riscrivere come: a1 = F12 P1 a2 = F21 P2 Sottraendo, membro a membro, la prima dalla seconda, avremo a2 a1 = F12 F21 P2 P1 Poiché F12 = F21 , per il principio di azione e reazione, la precedente equazione diventa a2 a1 = F21 F21 + P2 P1 ovvero a2 a1 = µ 1 1 + P1 P2 ¶ F21 (14) Anche questa equazione, come quella per le sole forze esterne, può essere interpretata in termini di un singolo punto materiale, fittizio, detto massa ridotta. La massa di tale punto è, per definizione, data dall’espressione P = P1 P2 P1 + P2 (15) e la sua posizione sarà individuata dal vettore r = r2 r1 4 (16) Il corpo di massa ridotta è stato messo al posto della particella reale P2 e il suo vettore posizione ha origine sul punto, in precedenza occupato dal corpo di massa P1 . Su di esso si esercita la forza che prima veniva esercitata su P2 . Si poteva anche porre il punto di massa ridotta al posto della particella di massa P1 . In tal caso avremmo avuto r = r1 r2 e la forza agente sul corpo di massa ridotta sarebbe stata F12 . La velocità del punto materiale di massa ridotta sarà v = v2 v1 (17) mentre la sua accelerazione sarà a = a2 a1 (18) Se si tiene conto della eq.(18) e della definizione di massa ridotta, eq (15), l’equazione del moto, per le sole forze interne, diventa µ ¶ 1 a = F21 P ovvero P a = F21 (19) La soluzione di tale equazione ci risolverà il problema del moto della massa ridotta: r = r (w) (20) Possiamo dire che le forze interne governano il moto del punto materiale di massa ridotta. Abbiamo ricondotto il problema del moto dei due punti materiali P1 ed P2 , al problema del moto di due punti materiali fittizi, il Centro di Massa, PFP e la Massa Ridotta, P . 1.3 La soluzione del problema Risolto il problema del moto dei due punti materiali fittizi, cioè attenuta la forma esplicita delle (12) e (20), si può risalire, usando la 5 rfp = P1 r1 + P2 r2 Pfp (5) e la r = r2 r1 (16) al problema del moto eettivo, cioè trovare r1 = r1 (w) r2 = r2 (w) Infatti, usando la (5) e la (16) si trova r1 (w) = rfp (w) 1.4 P2 r (w) P1 + P2 r2 (w) = rfp (w) + P1 r (w) P1 + P2 (21) Il problema Terra-Sole Trascuriamo l’azione delle forze esterne. In tal caso, vfp = frvwdqwh Il moto del centro di massa è rettilineo uniforme: 0 rfp (w) = r0fp + vfp w (22) e note le posizioni e le velocità del Sole e della Terra sono note anche le posizioni e le velocità iniziali del centro di massa: r0fp = P1 r01 + P2 r02 Pfp 0 vfp = P1 v10 + P2 v20 Pfp (23) e quindi le soluzioni delle nostre equazioni diventano: r1 (w) = P1 r01 + P2 r02 P1 v10 + P2 v20 P2 + w r (w) Pfp Pfp P1 + P2 (24) r2 (w) = P1 r01 + P2 r02 P1 v10 + P2 v20 P1 + w+ r (w) Pfp Pfp P1 + P2 (25) I moti saranno determinati se determineremo r (w). Abbiamo ridotto il problema della determinazione del moto di due punti materiali alla determinazione del moto di un solo punto materiale, P . Per determinare il moto del secondo, ed unico punto materiale, dobbiamo determinare il moto del corpo di massa ridotta. Il vettore posizione del punto di massa ridotta ha origine sul punto P1 (il Sole). Allora, la risoluzione del problema dei due corpi è ridotta alla determinazione del moto di un solo corpo, quello di massa ridotta visto da un sistema di riferimento posto su P1 (il Sole). 6 Abbiamo ridotto le equazioni da due a una equazione. La tecnica adottata, in assenza di forze esterne, ha ridotto il sistema di due equazioni ad una sola equazione: la tecnica usata abbassa di una unità il numero di equazioni da risolvere. In conclusione, il problema dei due corpi (problema di Keplero) si è ridotto alla determinazione del moto del corpo di massa ridotta esaminato da un sistema di riferimento con l’origine nel centro del Sole (P1 ) e la sola equazione da risolvere sarà P a = J P1 P uu u2 (26) dove u è la distanza tra il centro del Sole e il centro della Terra. Il problema può essere ulteriormente semplificato se si osserva che la massa ridotta del sistema Terra-Sole è praticamente la massa della Terra: P = P1 P2 ' P2 P1 + P2 (27) Si avrà anche r1 (w) = rfp (w) P2 r (w) ' rfp (w) P1 + P2 (28) e r2 (w) = rfp (w) + P1 r (w) ' rfp (w) + r (w) = r1 (w) + r (w) P1 + P2 (29) Conoscere il moto del centro di massa equivale a conoscere il moto del punto materiale P1 (il Sole): r1 (w) ' rfp (w) = r01 + v10 w (30) Note le condizioni iniziali, il moto del punto materiale P1 è completamente determinato. In tal caso, il problema di problema di Keplero si è ridotto alla determinazione del moto della Terra esaminato da un sistema di riferimento con l’origine nel centro del Sole e la sola equazione da risolvere sarà PW aW = J PV PW uu u2 dove r è la distanza tra il centro del Sole e il centro della Terra. 7 (31) 1.5 Cosa si può generalizzare per un sistema di N punti materiali Nel caso di N punti materiali è possibile introdurre il concetto di Centro di Massa Q X Pq (1N) Pfp = P1 + P2 + ====== + PQ = q=1 rfp P1 r1 + P2 r2 + ===== + PQ rQ = = P1 + P2 + ====== + PQ Q X Pq rq q=1 Pfp (2N) E’ sempre possibile, scrivendo N equazioni del tipo (1), sommarle e usando il principio di azione e reazione eliminare le forze interne: P1 a1 + P2 a2 + ====== + PQ aQ = Fh1 + Fh2 + ==========FhQ che diventa Pfp afp = Fh1 + Fh2 + ==========FhQ (3N) Allora, le forze esterne governano, in ogni caso, il moto del Centro di Massa e in assenza di forze esterne il Centro di Massa si muove di moto rettilineo uniforme. Tuttavia, non è possibile introdurre il corpo di massa ridotta per abbassare il numero di equazioni da N ad N-1 e poi eventualmente ad N-2 e così via. In realtà, è stato dimostrato che il problema di tre corpi non è risolvibile esattamente.Per la sua risoluzione bisognerà usare delle tecniche di approssimazione. Possiamo concludere dicendo che non è possibile risolvere, in maniera esatta, il problema del moto di N particelle. 1.6 Esempi Ora mostreremo alcune applicazioni del problema dei due corpi. Esempio 1: Si abbiano due corpi poggiati su di un piano orizzontale privo di attrito. Essi siano legati da una fune inestensibile e di massa trascurabile. Al corpo di massa P2 è applicata una forza I . Con riferimento alle figure precedenti, nella parte destra sono analizzate le forze agenti su ciascun corpo. Si può osservare che la tensione della fune svolge il ruolo di forza interna mentre la forza I quella di forza esterna al sistema. Le 8 due tensioni sono uguali e di segno contrario. Le equazioni del moto per le due particelle sono: P2 a2 = F + F P1 a1 = F (E1) Sommando membro a membro si ottiene P1 a1 + P2 a2 = F (E2) da cui, poiché il filo è inestensibile, si ha a1 = a2 = a (E3) (P1 + P2 ) a = F (E4) e quindi L’accelerazione con cui si muovono i due corpi è uguale a quella con cui si muove il Centro di Massa del sistema. Nota l’accelerazione, dall’equazione P1 a = F (E5) otteniamo la tensione della fune. 2 La prima equazione cardinale Ora ,deriveremo delle equazioni che riguardano il comportamento globale del sistema di due particelle. Considerando due particelle possiamo definire la quantità di moto totale del sistema pwrw , come segue: pwrw P1 v1 + P2 v2 = p1 + p2 (32) Abbiamo dimostrato, nella precedente sezione, che l’equazione del moto delle due particelle si può ridurre a: P1 a1 + P2 a2 = Fh1 + Fh2 (33) Il primo membro si può anche scrivere g (p1 + p2 ) = Fh1 + Fh2 gw ovvero gpwrw (34) = Fh1 + Fh2 gw cioè, la variazione nell’unità di tempo della quantità di moto del sistema è uguale alla risultante delle forze esterne. In particolare, se il sistema è isolato Fh1 + Fh2 = 0 9 la quantità di moto totale si mantiene costante nel tempo: gpwrw =0 $ pwrw = p0wrw (35) gw Osservazione importante: Nella derivazione della (3) e quindi della (4), è implicito che le forze interne debbano ubbidire alla terza legge di Newton, altrimenti non possiamo eliminarle. Dobbiamo, allora, concludere che se incontrassimo forze che non obbediscono alla terza legge, la conservazione della quantità di moto totale, in un sistema isolato, non può essere valida. Questo caso si presenterà con la forza di Lorentz (tale forza non soddisfa la terza legge di Newton) e sarà naturale concludere che per due particelle cariche in moto, non si conserverà la loro quantità di moto totale. D’altra parte, la conservazione della quantità di moto è considerata, a giusta ragione, uno dei principi basilari della fisica moderna. Il dilemma si risolve se si tiene anche conto della quantità di moto associata al campo elettromagnetico. Ciò che si conserva è la quantità di moto delle particelle e del campo. Analoghe considerazioni valgono per il momento della quantità di moto, che discuteremo nel capitolo della meccanica della rotazione. 2.1 Cosa si può generalizzare per un sistema di N punti materiali Nel caso di Q particelle, definita la quantità di moto totale del sistema, come pwrw Q X Pq vq = q=1 Q X pq (4N) q=1 procedendo come si è fatto per le due particelle si ottiene Q X gpwrw = Fhq gw q=1 (5N) La variazione della quantità di moto di un qualunque sistema di particelle è uguale alla risultante delle forze esterne. 3 Lavoro ed energia cinetica Se si hanno due particelle, abbiamo imparato che occorre tener conto sia delle forze interne che di quelle esterne al sistema. Ciascuna forza potrà compiere un lavoro sul corpo su cui agisce. Possiamo dire che sulla particella P1 agiranno sia una forza interna che la risultante delle forze esterne, quindi ci saranno due forze che potranno compiere un lavoro sulla particella P1 . Lo stesso dicasi per la seconda particella. In conclusione, su un sistema di due particelle ci devono essere quattro possibili contributi al lavoro totale esercitato da forze sul sistema. Andiamo ad esaminare questi contributi e il loro esito sul moto dei due corpi. 10 Come ovvia generalizzazione del caso di singola particella, l’energia cinetica totale del sistema di due particelle, si scriverà: 2 X 1 1 1 P1 v22 + P1 v22 = Pq vq2 2 2 2 q=1 (36) Ricordiamo che, nel caso di particella singola, abbiamo dimostrato che il lavoro è sempre uguale alla variazione di energia cinetica: 1 1 2 2 P vE P vD (37) 2 2 Nel caso di due particelle si dimostra che la somma del lavoro fatto sia dalle forze interne che da quelle esterne è ancora uguale alla variazione di energia cinetica totale tra due configurazioni OI (D $ E) = Ohwrw (D $ E) + Olwrw (D $ E) = 2 2 X X 1 1 Pq vq2 (E) Pq vq2 (D) 2 2 q=1 q=1 (38) Prova: Riscriviamo l’equazione fondamentale per ciascuna delle singole particelle: P1 a1 = Fh1 + F12 P2 a2 = Fh2 + F21 Moltiplichiamo scalarmente la prima r1 e la seconda per r2 : P1 a1 · r1 = Fh1 · r1 + F12 · r1 P2 a2 · r2 = Fh2 · r2 + F21 · r2 Sommando membro a membro, si ottiene P1 a1 · r1 + P2 a2 · r2 = Fh1 · r1 + Fh2 · r2 + F12 · r1 + F21 · r2 (39) Al secondo membro abbiamo quattro contributi. I primi due sono dovuti alle forze esterne e li indicheremo come lavoro delle forze esterne, Ohwrw (D $ E): Fh1 · r1 + Fh2 · r2 = Ohwrw (D $ E) (40) Gli ultimi due contributi sono dovuti all’azione delle forze interne e le indicheremo come Olwrw (D $ E): F12 · r1 + F21 · r2 = Olwrw (D $ E) In definitiva, la (39) è diventata: 11 (41) P1 a1 · r1 + P2 a2 · r2 = Ohwrw (D $ E) + Olwrw (D $ E) (42) Inoltre, in analogia con le dimostrazioni fatte sulla particella singola, 1 1 2 2 P vD P vE 2 2 deve aversi, al primo membro della (42) P a · r = P1 a1 · r1 = 1 1 P1 v12 (E) P1 v12 (D) 2 2 (43) e 1 1 (44) P2 v22 (E) P2 v22 (D) 2 2 dove abbiamo aggiunto le parentesi (D) e (E) per indicare che ci riferiamo a due configurazioni temporali successive, ma ogni volta per entrambe le particelle. P2 a2 · r2 = Il primo membro della (42) diventa: P1 a1 · r1 + P2 a2 · r2 = 1 1 1 1 P1 v12 (E) P1 v12 (D) + P2 v22 (E) P2 v22 (D) 2 2 2 2 (45) che riscriviamo come P1 a1 · r1 + P2 a2 · r2 = In definitiva, la (42) diventa 2 2 X X 1 1 Pq vq2 (E) Pq vq2 (D) 2 2 q=1 q=1 2 2 X X 1 1 Pq vq2 (E) Pq vq2 (D) = Ohwrw (D $ E) + Olwrw (D $ E) 2 2 q=1 q=1 12 (46) (47) Abbiamo così dimostrato la (3). Essa ci dice che la variazione dell’energia cinetica totale del sistema tra due configurazioni è uguale alla somma dei lavori totali fatti, sia dalle forze esterne che dalla forze interne, per portare il sistema da una configurazione all’altra (la (3) è anche nota come il teorema dell’energia cinetica per i sistemi con più particelle). 3.1 Cosa si può generalizzare ad N corpi Nel caso di Q particelle tutte le equazioni della precedente sezione si possono generalizzare. Infatti, definendo l’energia cinetica totale come Q X 1 1 1 2 2 P1 v2 + ===== + PQ vQ = Pq vq2 2 2 2 q=1 (6N) si può generalizzare il teorema dell’energia cinetica Q Q X X 1 1 Pq vq2 (E) Pq vq2 (D) = Ohwrw (D $ E) + Olwrw (D $ E) 2 2 q=1 q=1 (7N) dove il lavoro, sia esterno che interno, deve essere esteso a tutte le forze e lo spostamento è riferito a tutte le particelle. 4 Esempi Esempio 1: Due corpi di massa nota P1 e P2 sono a contatto come è mostrato in figura. Tra i due corpi vi è attrito ed il coe!ciente di attrito statico v è anch’esso noto. Il corpo P2 è poggiato su di un piano senza attrito, mentre P1 è sospeso. Su P1 si esercita una forza I . Determinare il valore minimo di I a!nchè il corpo non cada. Come si vede dal grafico, fra le forze agenti sui due corpi, ve ne sono due interne: la forza di attrito Id e la reazione dei due corpi.Iu . Le equazioni del moto dei singoli corpi sono: P1 a1 = F + Fd + P1 g + Fu 13 (E1) P1 a1 = Fu + Fd + P2 g + Fu (E2) dove Fu è la reazione vincolare esercitata dal tavolo su P2 . Decomponiamo lungo gli assi le due equazioni. P1 d{1 = I Iu (E3a) P1 d|1 = Id P1 j (E3b) $ P2 d{2 = Iu d{2 = Iu P2 P2 d|2 = Iu Id P2 j (E4a) (E4b) A!nché il corpo P1 non scivoli, non vi deve essere moto lungo l’asse y; dalla (3b) segue: 0 = Id P1 j $ Id = P1 j (E5) Ma, per definizione di forza di attrito, Id = v Iu $ IU = Id P1 j = v v (E6) Anche il corpo P2 non si muove lungo l’asse y e dalla (4b) segue: 0 = Iu Id P2 j $ Iu = Id + P2 j (E7) I due corpi avranno la stessa accelerazione nella direzione dell’asse: d{1 = d{2 = d (E8) Sommando membro a membro la (E3a) e la (E4a) si trova: (P1 + P2 ) d = I (E9) Usando la (E4a), avremo (P1 + P2 ) IU =I P2 (E10) ed infine, usando la (E6) si otterrà il risultato cercato: (P1 + P2 ) 1 P1 j =I P2 v (E11) Osservazione: Notiamo che nel precedente esempio la forza di attrito, che è una forza interna, non è conservativa; pertanto, in questo caso, non si può definire un’energia interna e quindi un’energia propria. Solo l’introduzione del Primo Principio della Termodinamica potrà portare chiarezza al problema della conservazione dell’energia. 14 5 Collisioni elastiche Siano dati due punti materiali di massa P1 ed P2 . Chiameremo collisioni binarie (o urto binario) tra i due punti materiali, l’evento fisico, estremamente breve nel tempo ed estremamente localizzato nello spazio, durante il quale i due punti materiali variano bruscamente le proprie velocità. Se v1 e v2 sono le velocità prima dell’urto, le velocità delle stesse particelle dopo l’urto saranno indicate con v10 e v20 : Inoltre, durante l’urto, le forze esterne si possono trascurare sempre. In virtù di quest’ultima proprietà dell’urto, l’equazione fondamentale della dinamica dei due punti materiali, come si evince dallo studio del problema dei due corpi, ci dice che: a) La quantità di moto totale del sistema dei due punti materiali è costante nel tempo, in particolare prima e dopo l’urto, ovvero P1 v1 + P2 v2 = P1 v10 + P2 v20 (48) b) Il momento quantità di moto totale del sistema dei due punti materiali è costante nel tempo, in particolare prima e dopo l’urto, ovvero j1 + j2 = j01 + j02 (49) c) Inoltre, poiché l’urto è estremamente localizzato nello spazio, l’energia potenziale interna del sistema non varia durante l’urto, ossia, l’energia iniziale posseduta da un punto materiale è solo cinetica. Si dice che l’urto è elastico, quando l’energia cinetica del sistema delle due particelle prima dell’urto è uguale all’energia cinetica del sistema delle due particelle dopo l’urto: 1 1 1 1 P1 v12 + P2 v22 = P1 v10 2 + P2 v20 2 (50) 2 2 2 2 Se la precedente relazione non è verificata l’urto sarà detto anelastico. In tal caso, è chiaro che, in qualche modo, si sta verificando che il corpo non è più puntiforme. Possiamo concludere dicendo che le equazioni che governano le collisioni elastiche sono, in un sistema inerziale generico S, 15 ½ P1 v1 + P2 v2 = P1 v10 + P2 v20 1 1 1 1 2 2 02 02 2 P1 v1 + 2 P2 v2 = 2 P1 v1 + 2 P2 v2 (51) Notiamo che le equazioni che esprimono la conservazione della quantità di moto sono vettoriali, mentre quella che esprime la conservazione dell’energia cinetica è scalare. 5.1 Esempi Esempio 1: Un punto materiale di massa P1 urta elasticamente un punto materiale di massa P2 , inizialmente fermo. Determinare la velocità di P2 , dopo l’urto, in funzione dell’angolo di rinculo, !2 , del rapporto di massa e della velocità di P1 prima dell’urto. Nella figura, gli angoli !1 e !2 sono gli angoli di deflessione, rispetto alla direzione incidente, delle particelle P1 ed P2 rispettivamente. Le ipotesi sull’urto ci consentono di scrivere le due seguenti equazioni: P1 v1 = P1 v10 + P2 v20 (E1) 1 1 1 P1 v12 = P1 v10 2 + P2 v20 2 (E2) 2 2 2 dove gli apici sulle velocità indicano le quantità dopo l’urto. Introducendo la quantità D P2 P1 (E3) le precedenti equazioni diventano Ricavando v10 v1 = v10 + Dv20 (E4) v12 = v10 2 + Dv20 2 (E5) dalla (E4) e sostituendo nella (E5) si trova 2v1 · v20 = v20 2 (D + 1) 16 ed esplicitando il prodotto scalare 2v1 v20 cos !2 = v20 2 (D + 1) si ottiene il risultato cercato: 2v1 cos !2 (E6) D+1 Chiameremo urto centrale l’urto caratterizzato da un angolo di rinculo nullo, !2 = 0. In tal caso, le due particelle dopo l’urto si potranno muovere solo lungo la direzione della particella incidente. Esempio 2: Un punto materiale di massa P1 urta elasticamente un punto materiale di massa P2 , inizialmente fermo. Determinare l’energia cinetica di P2 , detta energia trasferita, dopo l’urto, in funzione dell’angolo di rinculo !2 , del rapporto di massa e dell’energia di P1 prima dell’urto. v20 = Indicheremo con W> l’energia trasferita. La velocità di P2 dopo l’urto è stata determinata nel precedente esempio: 2v1 v20 cos !2 = v20 2 (D + 1) (E1) dove D = P2 @P1 . Quadrando la (E1) e moltiplicando per P2 @2, troveremo W = 4P1 P2 1 P1 v12 cos2 !2 (P1 + P2 ) 2 2 (E2) Introducendo la quantità 4P1 P2 (P1 + P2 )2 (E3) la precedente equazione diventa 1 W = P1 v12 cos2 !2 2 ovvero, introducendo anche la notazione 1 WP P1 v12 2 17 (E4) (E5) avremo W = WP cos2 !2 (E6) La quantità WP rappresenta la massima energia trasferibile in un urto binario ed elastico e si ottiene in un urto centrale (la particella 2 rincula nella stessa direzione della particella incidente). Esempio 3: Un punto materiale di massa P1 urta elasticamente e centralmente un punto materiale di massa P2 , inizialmente fermo. Determinare le velocità di P1 e P2 , dopo l’urto, in termini del rapporto di massa P2 @P1 = D e della velocità di P1 prima dell’urto, nel caso in cui D AA 1. Le equazioni di partenza sono: P1 v1 = P1 v10 + P2 v20 (E1) 1 1 1 P1 v12 = P1 v10 2 + P2 v202 2 2 2 (E2) Ricaviamo v10 dalla (E1) v10 = P1 v1 P2 v20 P1 (E3) che sostituita nella (E2) ci darà: [(1 + D) v20 2v1 ] v20 = 0 (E4) Questa equazione ammette due soluzioni: v20 = 0 v20 = 2 P1 v1 = 2 v1 1+D P1 + P2 La prima soluzione, comporta anche che v10 = v1 , v20 = 0 v10 = v1 corrisponde al caso in cui l’urto non è avvenuto e quindi va scartata. Rimane la seconda soluzione, che esplicitata è 18 v10 1D = v1 = 1+D µ P1 P2 P1 + P2 ¶ 2 P1 v1 = 2 v1 (E5) 1+D P1 + P2 v20 = v1 Nel caso in cui, D AA 1, le precedenti equazioni diventano 2 (E6) v20 = v1 D cioè, P1 rimbalza su P2 ed P2 prosegue nella direzione della particella incidente. v10 = v1 6 Collisioni anelastiche Un modo per definire l’anelasticità di una collisione binaria è quello di introdurre un termine T, che inglobi tutta l’energia non più rintracciabile sotto forma di energia cinetica. La conservazione dell’energia totale, non più solo quella cinetica, si scriverà: 1 1 1 P1 v12 = P1 v102 + P2 v202 + T 2 2 2 (C1) o anche ¡ 2¢ 2 2 s1 (s0 ) (s0 ) = 1 + 2 +T 2P1 2P1 2P2 La conservazione della quantità di moto è ancora: p1 = p01 + p2 (C2) (C3) Ci limiteremo ai casi di urti, nei quali l’energia cinetica totale, dopo l’urto, è inferiore a quella cinetica prima dell’urto (parte dell’energia cinetica è stata usata per modificare lo stato interno di uno od entrambi i partners collisionali). 6.0.1 Collisioni anelastiche con il coe!ciente di restituzione Le equazioni di partenza degli urti binari anelastici si possono descrivere usando il coe!ciente di restituzione % e sono: 0 P1 v1 + P2 v2 = P1 v10 + P2 v20 0 v2 v1 = % (v2 v1 ) (C4) Caso di masse uguali: P1 = P2 . Avremo: 0 v1 + v2 = v10 + v20 0 v2 v1 = % (v2 v1 ) Limitiamoci al caso in cui l’urto è centrale. In tal caso, 0 0 0 0 v2 v1 = % (v2 v1 ) v2 + v1 = v1 + v2 19 (C5) Sommando membro a membro le due ultime equazioni si trova 0 v1 = 1 [v1 (1 %) + v2 (1 + %)] 2 (C6) 1 [v1 (1 + %) + v2 (1 %)] 2 In caso di urto elastico (% = 1) si otterranno le seguenti soluzioni: 0 v2 = 0 0 v1 = v2 v2 = v1 (C7) (C8) Le particelle dopo l’urto si sono scambiate le velocità. In caso di urto totalmente anelastico (% = 0) si ottiene: 0 v1 + v2 v1 + v2 v2 = 2 2 Le particelle dopo l’urto viaggiano unite. Caso di masse dierenti: P1 6= P2 . Le equazioni di partenza sono, ora: 0 v1 = ³ 0 ´ ´ ³ 0 P1 v1 v1 = P2 v2 v2 0 (C9) 0 v2 %v2 = v1 %v1 (C10) Moltiplicando la seconda per P1 e sommando membro a membro, si trova 0 v1 = 1 [P1 v1 + % (P1 P2 ) v1 + P2 v2 % (P1 P2 ) v2 ] 2P2 0 v2 = 7 1 [P1 v1 (1 + %) + v2 (P2 P1 %)] 2P2 (C11) (C12) Problemi 1. Un punto materiale di massa P1 = 0> 12nj è fermo nell’origine di un sistema di riferimento. Lungo l’asse x è posto un punto materiale di massa P2 = 0> 25nj. Se P2 si avvicina, con una velocità costante di v metri al secondo, si determini la velocità del centro di massa. Soluzione vfp = P2 v P1 + P2 20 (Chapter head:)Dinamica relativa Finora il problema del moto è stato esaminato da un solo osservatore. Ci proponiamo, in questo capitolo, di rispondere ad alcune domande: a)se due osservatori, in moto l’uno rispetto all’altro, descrivono la realtà fisica allo stesso modo; b) se per i due osservatori le leggi newtoniane della Meccanica sono le stesse e sotto quali condizioni; c) se per i due osservatori le leggi sono dierenti, stabilirne la nuova forma. 1 L’intervallo temporale Si abbia un sistema di riferimento nella cui origine supporremo di collocare un osservatore. Il sistema di riferimento in cui vale l’equazione della dinamica del punto materiale P Pa = I è, per Newton, il Sistema di Riferimento Assoluto. Tale riferimento privilegiato, secondo Newton esiste realmente. In esso, oltre all’equazione del moto, vale la terza legge di Newton: Ad ogni istante ed indipendentemente dal moto relativo di due corpi che interagiscono, le mutue interazioni sono di uguale intensità e di segno opposto. Se questo principio è vero, le interazioni tra i corpi devono essere istantanee, ovvero la propagazione delle interazioni nello spazio deve avvenire a velocità infinita. Con un segnale che viaggia a velocità infinita, eventi che sono simultanei per un osservatore sono tali per tutti gli osservatori, indipendentemente dal loro stato di moto relativo. Due esplosioni, avvenute in due luoghi distinti A e B, e ritenute simultanee da un osservatore posto in un sistema di riferimento saranno simultanee per qualunque altro osservatore posto nell’origine di un dierente sistema di riferimento. Possiamo allora dire che nella meccanica newtoniana la simultaneità degli eventi fisici è un concetto assoluto. Consideriamo due eventi che per un osservatore posto nel sistema V sono rispettivamente l’istante iniziale e finale di un moto periodico; gli stessi eventi saranno considerati come stato iniziale e finale dello stesso moto periodico da tutti gli osservatori, qualunque sia il loro moto relativo, rispetto ad V. Si 1 potrebbe prendere come intervallo temporale unitario, il tempo trascorso tra i due eventi, e concludere dicendo che nella meccanica newtoniana gli intervalli temporali sono gli stessi per tutti gli osservatori, qualunque sia il loro moto relativo: w = w0 w e w0 sono i tempi segnati in due distinti sistemi di riferimento. Nella meccanica newtoniana il tempo è un concetto assoluto. Nelle formule matematiche, riporteremo con lo stesso simbolo ”w” il tempo indicato in un qualunque sistema di riferimento. Possiamo concludere dicendo che insieme alla massa dei corpi, nella meccanica newtoniana, anche gli intervalli temporali sono gli stessi per tutti gli osservatori, indipendentemente dal loro stato di moto. 2 L’addizione delle velocità Supponiamo di avere due osservatori posti rispettivamente nell’origine dei sistemi di riferimento, V ed V 0 in moto relativo l’uno rispetto all’altro. Supponiamo che l’osservatore posto nell’origine del sistema V 0 si muova di moto rettilineo uniforme rispetto all’osservatore posto in V. Sia R (w) la posizione dell’osservatore R0 rispetto ad R. Indicheremo con RR0 la posizione di R0 , rispetto ad O, al tempo w = 0. La velocità V di R0 , rispetto ad R, sarà detta velocità di trascinamento di V 0 rispetto ad V. Ovviamente, V sarà la velocità di trascinamento dell’osservatore R posto in V rispetto ad V 0 . Ad un qualunque istante di tempo potremo scrivere 2 r (w) = r0 (w) + R (w) (1) dove, essendo il moto di R0 rispetto ad V rettilineo uniforme, sarà descritto dalla R (w) = RR0 + Vw (2) Dopo un intervallo di tempo w, si potrà avere la seguente configurazione: che ci consente ancora di scrivere: r (w + w) = r0 (w + w) + R (w + w) (3) Se si sottrae, membro a membro, la (1) dalla (3), si trova r (w + w) r (w) = r0 (w + w) r0 (w) + R (w + w) R (w) che riscriviamo come r (w) = r0 (w) + R (w) (4) cioé, i vettori spostamenti sono dierenti nei due riferimenti. Dividendo per w ambo i membri, troviamo r0 (w) R (w) r (w) = + (5) w w w cioé, la velocità media, dello stesso punto materiale, dipende dalla velocità media di R0 rispetto ad R. Quando w tende a zero, le velocità medie tendono alle rispettive velocità istantanee e si ottiene v (w) = v0 (w) + V (6a) v0 (w) = v (w) V (6b) ovvero Se sono assegnati due osservatori, in moto relativo rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro, la velocità di un punto materiale rispetto ad un osservatore è sempre uguale alla somma vettoriale della velocità che il punto materiale ha 3 rispetto al secondo osservatore e della velocità di trascinamento di un osservatore rispetto all’altro (addizione delle velocità). L’insieme delle equazioni (1) e (2), possono ridursi alla sola equazione seguente r (w) = r0 (w) + RR0 + Vw (7) Le equazioni (7) sono dette trasformazioni di Galilei. Nel caso in cui, al tempo w = 0 i due osservatori sono nello stesso punto, le precedenti equazioni diventano r (w) = r0 (w) + Vw (8) Supponiamo che gli assi dei due sistemi siano paralleli e che l’osservatore R0 si muova di moto rettilineo uniforme, lungo la direzione dell’asse {, le trasformazioni di Galilei, esplicitate nelle diverse componenti, diventano { (w) = {0 (w) + Y w | (w) = | 0 (w) } (w) = } 0 (w) (9) Se l’osservatore R0 si muove di moto arbitrario rispetto ad V, la legge di addizione delle velocità continua a valere, ma le trasformazioni delle coordinate non saranno più quelle di Galilei. 3 La distanza tra due punti è un assoluto Abbiamo fin qui provato che nella meccanica newtoniana, gli intervalli temporali e la massa dei corpi sono degli invarianti, mentre la loro velocità non lo sono. Proveremo, ora, che anche la distanza tra due punti è un invariante. Ci limiteremo a trasformazioni di tipo (9). Nel fare ciò non si perde di generalità perché è sempre assunto, in fisica, che lo spazio e il tempo siano omogenei e lo spazio anche isotropo. Siano D e E due punti, sull’asse {. Se al tempo w = 0, i due sistemi di riferimento coincidono, la distanza tra i due punti è la stessa rispetto ai due osservatori e possiamo scrivere: {E (w = 0) {D (w = 0) = {0E (w = 0) {0D (w = 0) 4 (10) Ad un tempo successivo, si avrà, assumendo valide le trasformazioni di Galilei, {E (w) {D (w) = {0E (w) + Y w [{0D (w) + Y w] ovvero, {E (w) {D (w) = {0E (w) {0D (w) (11) cioé, la distanza tra i due punti, uguale rispetto ai due osservatori al tempo w = 0, rimane uguale in un qualunque istante di tempo successivo. Poiché rispetto ad R i due punti sono fermi, la loro distanza non può essere cambiata nel corso del tempo e si potrà scrivere: {E (w = 0) {D (w = 0) = {E (w) {D (w) (12) Se si confrontano le (11) e (12) si arriva alla relazione: {E (w = 0) {D (w = 0) = {0E (w) {0D (w) (13) cioè, la distanza tra i due punti, rispetto ad R0 al tempo w, è uguale alla distanza tra i due punti rispetto ad R, al tempo iniziale. Diremo che la distanza tra due punti (la lunghezza di un oggetto) è un invariante per trasformazioni di Galilei. Poiché le trasformazioni di Galilei sono le trasformazioni della meccanica newtoniana, possiamo concludere dicendo che oltre alla massa e agli intervalli temporali, ora anche la distanza tra due punti è un invariante nella meccanica newtoniana. 4 Il principio di relatività galileiana Supponiamo di avere due osservatori R e R0, in moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. Sia V la velocità di trascinamento di R0 rispetto ad R. Se v è la velocità di un punto materiale di massa P rispetto ad R e v0 la velocità di P rispetto ad R0 , queste due velocità saranno legate della legge di addizione delle velocità: 5 v (w) = v0 (w) + V (6) Dopo un intervallo di tempo w, poiché P si muove di moto arbitrario le sue velocità, misurate rispetto ad R e R0 saranno cambiate. In ogni caso potremo sempre scrivere, per la legge di addizione delle velocità: v (w + w) = v0 (w + w) + V (14) Se si sottrae, membro a membro la (6) dalla (14) si trova v (w + w) v (w) = v0 (w + w) v0 (w) ovvero v (w) = v0 (w) Se si divide per w, ambo i membri, si ottiene v (w) v0 (w) = w w si può aermare che le accelerazioni medie sono le stesse nei due sistemi di riferimento. Quando w tende a zero, le accelerazioni medie diventano accelerazioni istantanee, e potremo scrivere a = a0 (15) In due sistemi di riferimento, in moto relativo rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro, le accelerazioni dei corpi sono le uguali. Se si moltiplica per la massa M del corpo la precedente relazione diventa P a = P a0 (16) La (16) esprime l’uguaglianza formale tra le forze rispetto ai due osservatori: F = F0 (17) L’insieme delle (15) - (17) ci consentono di concludere dicendo che rispetto a due osservatori, in moto relativo rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro, le leggi delle forze (la forma delle espressioni delle forze) sono identiche. Una prima conseguenza di tale risultato è una restrizione sulla dipendenza funzionale delle forze newtoniane dalle grandezze fisiche: le forze devono dipendere da grandezze fisiche che non mutano per trasformazioni di Galilei. Allora possiamo dire, utilizzando i risultati delle precedenti sezioni, che le forze newtoniane possono dipendere dalla massa, dal tempo, dalla distanza relativa tra i corpi e dalle accelerazioni, ma non dalle velocità dei corpi (la velocità non si conserva per trasformazioni di Galilei: addizione delle velocità). Quando si parlerà, 6 nel corso di elettromagnetismo, della forza di Lorentz (si può mostrare che la carica di un corpo è un invariante), poiché essa dipende dalla velocità, potremo aermare che essa non è newtoniana e non è invariante per trasformazioni di Galilei. Ora, possiamo scrivere l’equazione della dinamica del punto materiale, rispetto all’osservatore R0 : P a0 = F0 cioé, la forma delle leggi della meccanica è la stessa rispetto a tutti gli osservatori che si muovono di moto rettilineo uniforme rispetto al sistema di riferimento assoluto di Newton, quello nel quale si assume che valga l’equazione della dinamica del punto materiale, nella forma Pa = F Tutti i sistemi nei quali gli osservatori scrivono l’equazione della dinamica del punto materiale nella forma consueta sono detti sistemi inerziali. L’invarianza in forma delle leggi della meccanica nei sistemi inerziali si può anche esprimere dicendo che è impossibile, facendo solo esperienze di moto, in un qualunque sistema inerziale, stabilire se esso sia fermo o in moto rettilineo uniforme (invarianza galileiana). Concludiamo la sezione osservando che, sebbene la forma delle equazioni sia la stessa per tutti gli osservatori inerziali, la traiettoria di un punto materiale, a causa delle dierenti condizioni iniziali, è diversa nei dierenti osservatori. 5 Le forze apparenti Un punto materiale che si muove di moto circolare uniforme su di una circonferenza di raggio U, per un osservatore fermo e posto nel centro della circonferenza, è soggetto ad una accelerazione centripeta diretta verso il centro della circonferenza: af = V2 = $2U U 7 (18) dove V è la velocità lineare del punto materiale ed $ la sua velocità angolare. Supponiamo che al punto, in moto sulla circonferenza, sia ancorato un secondo osservatore R0 posto nell’origine di un sistema di riferimento, V 0 . Possiamo dire che anche l’osservatore R0 sarà soggetto alla stessa accelerazione centripeta (1). Analizziamo il moto di un punto materiale di massa P rispetto ad R e ad R0 . Se indichiamo con v (w) la velocità di P rispetto ad R e con v0 la velocità di P rispetto ad R0 , la legge di addizione delle velocità ci dice che v (w) = v0 (w) + V (w) dove della velocità V, cambia solo la direzione ad ogni istante. Passando alle accelerazioni di P , rispetto ai due osservatori avremo V2 uU U dove uU è il versore variabile del vettore posizione di O’ rispetto ad O. La precedente equazione ci dice che l’accelerazione del punto materiale P , rispetto ad R0 , cioè a0 , si scrive a = a0 V2 uU (19) U essa è la somma dell’accelerazione di P , misurata rispetto ad R, cioè a e dell’accelerazione a0 = a + V2 uU U detta accelerazione centrifuga. Se si moltiplica la (19) per la massa P del punto materiale, si ottiene P a0 = P a + P V2 uU U Poiché P a = F, potremo anche scrivere P a0 = F + P 8 V2 uU U (20) Per descrivere il moto di un punto materiale, rispetto ad un osservatore R0 che si muove, a sua volta, di moto circolare uniforme, rispetto ad un sistema inerziale, è necessario aggiungere alle forze F presenti nel sistema inerziale, che abbiamo chiamato forze newtoniane, una nuova forza V2 uU (21) U detta forza centrifuga. La forza centrifuga, che non è presente nel sistema inerziale, appartiene ad una nuova categoria di forze, dette apparenti (o fittizie o non inerziali). Mentre le forze newtoniane si spiegano tutte in termini di azioni tra i corpi, negli stessi termini non si può spiegare l’origine delle forze apparenti. All’interno della meccanica newtoniana si può solo aermare che gli osservatori accelerati rispetto ai sistemi inerziali devono aggiungere delle nuove forze la cui espressione dipende dal tipo di accelerazione cui è soggetto l’osservatore accelerato. Gli osservatori che devono aggiungere le forze apparenti sono detti osservatori non-inerziali e non inerziali i sistemi di riferimenti ad essi associati. Possiamo ora generalizzare il precedente risultato. Indichiamo con aR0 l’accelerazione di R0 rispetto ad V, supposto inerziale. Quando si vuole descrivere il moto di un punto materiale P , rispetto ad R0 , la forza non-inerziale da aggiungere alle forze newtoniane dell’osservatore inerziale, è Ff = P Fdss = P aR0 (22) P a0 = F + Fdss (23) di modo che per l’osservatore R0 , l’equazione del moto diventa dove con F abbiamo indicato tutte le forze newtoniane agenti sul punto materiale P . Dal confronto delle (21) e (22) si può vedere che nell’esempio discusso aR0 = 5.1 V2 uU U Similarità tra gravitazione e sistemi non inerziali Le forze non-inerziali hanno un’interessante proprietà. Supponiamo che su un punto materiale non agiscano forze newtoniane. Allora, rispetto all’osservatore R, avremo Pa = 0 (24) cioè, rispetto ad R, il moto di M segue la legge dell’inerzia. Rispetto ad R0 , poiché F = 0, avremo P a0 = P aR0 9 ovvero a0 = aR0 (25) In assenza di forze newtoniane, tutti i corpi, rispetto ad osservatori accelerati, sono soggetti alla stessa accelerazione. In altre parole, per gli osservatori non-inerziali il moto dei corpi non soggetti a forze non è rettilineo uniforme, bensì uniformemente accelerato. In ciò, riconosciamo una similarità tra la gravitazione terrestre e le forze apparenti. Notiamo infine che, dalla forma dell’equazione del moto rispetto ad R0 , cioè dalla (20), deduciamo che facendo solo esperimenti di meccanica possiamo distinguere se un osservatore è inerziale o non-inerziale. In altre parole, non vale più l’invarianza di Galilei. 6 Esempi Esempio1: Un punto materiale di massa P è fermo sul pavimento di un ascensore. Si spezza il cavo che regge la cabina e l’ascensore precipita. Descrivere il moto di P , rispetto ad un osservatore solidale con l’ascensore in caduta libera. Un tale osservatore ha un’accelerazione (g) rispetto ad un sistema solidale con la Terra (quest’ultimo sistema è supposto inerziale!). L’equazione del moto del punto materiale che cade, visto dall’osservatore solidale con l’ascensore, è P a0 = Fs + Fdss Poiché, nella direzione verticale, Idss = P (j) Is = P j si trova P d0 = P j + P j da cui d0 = 0 10 (E1) Per l’osservatore solidale con un corpo che cade, la forza apparente è esattamente compensata dalla forza gravitazionale terrestre e il corpo si comporta, rispetto a tale osservatore, come un particella libera. Esempio 2: In un vagone ferroviario, che si muove con velocità costante rispetto al suolo (un riferimento solidale con la Terra, in questo esercizio, viene supposto inerziale) cade dal so!tto un corpo (punto materiale in questo problema); ci proponiamo di stabilire qual è la traiettoria del corpo e di confrontare il risultato ottenuto con quello che ottiene un osservatore solidale con la Terra. Scegliamo il sistema di riferimento in modo tale che l’asse | coincida, all’istante in cui il corpo inizia a cadere, con la verticale passante per la posizione iniziale del corpo. Il punto cruciale del nostro problema è costituito dal valore della velocità iniziale: poiché il corpo era agganciato al vagone esso ha una velocità iniziale pari alla velocità del vagone e nella stessa direzione; l’osservatore solidale con il vagone ha la velocità iniziale è nulla, anche nella direzione del vagone. L’equazione fondamentale è P a0 = P g 0 (E1) 0 che risolta per gli assi { ed | , darà le seguenti soluzioni {0 (w) = 0 v{0 (w) = 0 1 | 0 (w) = k jw2 2 v|0 (w) = jw 11 (E2) (E3) Il moto del corpo avviene lungo l’asse | 0 , esattamente come nella caduta di un grave sulla Terra. Esaminiamo lo stesso evento fisico, da un riferimento V fisso sulla Terra, ma che al tempo in cui il corpo inizia la sua caduta, l’asse verticale coincide con l’asse verticale del precedente sistema. Rispetto a tale riferimento, il corpo ha una velocità iniziale v0 . L’equazione del moto è ancora Pa = Pg (E4) ma la soluzione è ora j | (w) = k w2 2 { (w) = v0 w v| (w) = jw v{ (w) = v0 (E5) (E6) La traiettoria non è lungo l’asse verticale, ma è una parabola: | =k j 2 { 2v02 Esempio 3: Esaminiamo la caduta di un corpo, come nel precedente esercizio, ma nell’ipotesi che al momento in cui il corpo inizia la sua caduta, il vagone inizi a fermarsi con una decelerazione costante a0 . Con la scelta delle condizioni iniziali, come nel precedente esercizio, l’equazione fondamentale P a0 = P g P a0 (E1) può essere facilmente risolta e si ottiene jw2 2 2 d0 w v{0 (w) = d0 w {0 (w) = 2 La traiettoria non è lungo la verticale, ma è una retta | 0 (w) = k v|0 (w) = jw (E2) (E3) j 0 { (E4) d0 Esempio 4: Il valore dell’accelerazione di gravità è, alle nostre latitudini, di 9,81 p@v2 . In generale il valore di j varia con la latitudine. |0 = k 12 Vogliamo capire l’origine della variazione dell’accelerazione di gravità con la latitudine. La Terra gira con velocità angolare costante $ , ossia un osservatore solidale con la Terra non è inerziale, in quanto il sistema è sottoposto all’accelerazione centripeta: v2 (E1) uu = $ 20 uuu u Ogni punto materiale solidale con la superficie della Terra descrive una circonferenza il cui raggio u è legato al raggio della Terra dalla relazione af a0 = u = U0 cos (E2) dove è la latitudine. In conseguenza della (E2) nei sistemi di riferimento solidali con la Terra, si esercita su un corpo di massa P , una forza apparente P v2 (E3) uu = P $ 20 uuu u che è chiamata forza centrifuga. Notiamo che tale forza varia a seconda della latitudine e in particolare cresce al crescere della distanza del corpo dall’asse di rotazione. Supponiamo che la Terra sia sferica e rigida. Un corpo fermo sulla superficie è sottoposto, nel sistema solidale con il corpo stesso, all’azione di tre forze: l’attrazione della Terra, la forza centrifuga e la reazione vincolare della Terra. Quest’ultima forza merita qualche commento. In un sistema accelerato per determinare la reazione vincolare dobbiamo considerare sia le forze newtoniane che quelle apparenti. Esaminiamo, per chiarire la nuova situazione, due eventi diversi. Supponiamo che la Terra sia ferma. In tal caso, su un corpo fermo sulla Terra si esercita solo la forza peso (che indicheremo ora con P g0 ), e nella direzione radiale si avrà Fdss = P a0 = Q = P j0 che è ciò che misureremmo con una bilancia, ossia il peso del corpo. 13 (E4) Nel caso reale della Terra che gira, la presenza della forza centrifuga riduce la reazione, diciamo Fu , di modo che lungo la direzione radiale, si avrà Iu = Idss cos P j0 = P $ 20 u cos P j0 ,o utilizzando la (E2) Q = P $ 20 U0 cos2 P j0 (E5) Il nuovo peso sarà l’opposto di questa reazione vincolare F0 = P g (E6) ed il nuovo valore dell’accelerazione di gravità sarà j = j0 U0 $ 20 cos2 (E7) L’eetto della rotazione comporta una riduzione dell’accelerazione di gravità (riduzione del peso); in particolare, si va da una riduzione massima all’Equatore ad una riduzione nulla ai Poli. Esempio 5: Un corpo di massa P è appoggiato su di una piattaforma orizzontale, priva di attrito. Il corpo è inoltre legato ad un’estremità di una molla di costante elastica n, come in figura: All’istante w = 0, la piattaforma comincia a muoversi verso sinistra con accelerazione costante d0 . Scrivere l’equazione del moto e la sua soluzione nel sistema solidale con la piattaforma e con origine nella posizione di riposo di P , prima che la piattaforma iniziasse il suo moto. Il sistema solidale con la piattaforma non è inerziale e l’equazione del moto, in tale sistema, si scrive: P a0 = F + Fdss (E1) dove F rappresenta le forze newtoniane e Fdss , invece, le forze apparenti: Fdss = P a0 (E2) Ai fini del moto, la sola forza newtoniana e!cace è la forza elastica, per cui, lungo l’asse {, l’eq. (1) diventa 14 P d{0 = n{0 + P d0 (E3) P P d{0 = {0 + d0 n n (E4) ovvero Cambiando variabile P d0 n (E5) g2 n =0 + P gw2 (E6) = {0 + la (E4) diventa La soluzione di tale equazione è (w) = D cos Ãr n w + !0 P ! (E7) dove D è l’ampiezza e !0 è la fase iniziale. Usando la (E5), otteniamo la soluzione cercata: Ãr ! n P P {0 (w) = + d0 = D cos w + !0 + d0 n P n 7 7.1 Complementi Il pendolo di Foucalt e la forza di Coriolis Su un punto materiale M, che si muove con velocità v0 , rispetto ad un sistema R0 , solidale con la Terra (quindi non-inerziale) 15 agisce, oltre alle forze newtoniane e alla forza centrifuga, anche una nuova forza apparente, detta di Coriolis, la cui espressione è FF = 2P $ 0 a v0 (C1) dove $ 0 è la velocità angolare della Terra intorno al suo asse. La forza di Coriolis dipende dal prodotto vettoriale tra la velocità angolare della Terra e la velocità del punto materiale rispetto all’osservatore R0 . Se un corpo è fermo, la forza di Coriolis è nulla. Esamineremo qualitativamente l’azione della forza di Coriolis in un esperimento ideale, molto vicino ad un esperimento fatto realmente da Foucalt, nel 1851, a Parigi (pendolo di Foucalt). Immaginiamo di voler studiare il moto di un pendolo semplice, che esegue le sue oscillazioni al Polo Nord. Se la Terra non ruotasse, poiché la forza risultante, tra la tensione F e la forza peso, che fa oscillare il pendolo è la componente tangenziale della forza peso il corpo che oscilla deve rimanere sempre nello stesso piano e quindi il piano di oscillazione del pendolo non cambierà nel corso del tempo. Ma la Terra ruota su se stessa. Da un riferimento fisso nello spazio, il cui piano ({|) è parallelo al piano tangente alla Terra nel Polo Nord (vedi figura sotto a sinistra), si vedrà la Terra ruotare in senso antiorario intorno al piano di oscillazione del pendolo, con velocità angolare $ 0 . Nel riferimento solidale con la Terra che gira (vedi figura sopra a destra), per spiegare il moto del pendolo semplice, un osservatore dovrà introdurre anche 16 la forza di Coriolis. Tale forza è ortogonale al piano individuato dalla velocità angolare della Terra e dalla velocità del punto materiale stesso. Il risultato dell’azione di questa forza è tale che l’osservatore R0 , solidale con la Terra, vedrebbe ruotare, in senso orario, il piano di oscillazione del pendolo e in 24 ore tale piano farebbe un giro completo. Se l’esperimento venisse eseguito ad una latitudine , la velocità angolare del piano del pendolo sarebbe data da $ = $ 0 sin 7.2 (C2) I sistemi di riferimento solidali con la Terra L’equazione del moto in un sistema non-inerziale si scrive P a0 = F P aR0 (C3) dove F rappresenta l’insieme delle forze newtoniane agenti sul punto materiale di massa M e aR0 è l’accelerazione del sistema non-inerziale rispetto ad un sistema inerziale. Inoltre, (P aR0 ) è la forza apparente da aggiungere, nei sistemi non-inerziali, alle forze newtoniane per descrivere correttamente il moto del punto materiale P . La Terra ruota intorno ad un asse che passa per il Polo Nord e il Polo Sud. Il suo periodo di rotazione è di 24 ore. Indicheremo con $ 0 la velocità angolare costante della Terra. Qualunque osservatpre ancorato alla superficie della Terra è un osservatore non-inerziale. Più precisamente, un osservatore solidale con la Terra si muove di moto circolare uniforme, con velocità angolare pari a $0 = 2 udg = 7> 29 × 105 24 × 3600 v (C4) su di una circonferenza di raggio u (con U0 indicheremo il raggio medio della Terra che è circa U0 = 6> 27 × 106 p). Per individuare su quale circonferenza, rispetto all’equatore 17 abbiamo ancorato l’osservatore non-inerziale R0 , possiamo usare la latitudine . Il raggio della circonferenza su cui gira l’osservatore non-inerziale si può scrivere in termini della latitudine e del raggio medio della Terra: u = U0 cos (C5) 0 Un corpo di massa P , esaminato da R sarà soggetto, oltre alle forze newtoniane, anche ad una forza centrifuga, la cui espressione è Fdss = $ 20 uuu (C6) Tale forza tenderà ad allontanare P dalla Terra. Valutiamo l’ordine di grandezza dell’accelerazione centrifuga prendendo come valore di u, il raggio medio della Terra. Avremo 2 10 df = (7> 29) × 10 µ udg v ¶2 × 6> 37 × 106 p = 3> 38 × 102 p v2 (C7) Tale valore è circa il 3 % dell’accelerazione di gravità terrestre j. In molte applicazioni numeriche, visto il basso contributo della forza centrifuga, la si può trascurare. 18 7.3 Centro di Massa e sistema solidale con il Centro di Massa In un precedente capitolo abbiamo introdotto il Centro di Massa. Ora, vogliamo mostrare che un sistema di riferimento solidale con il Centro di Massa ha delle importanti proprietà. Si abbia un sistema di due particelle di massa P1 e P2 , Si definisce centro di massa del sistema di due particelle il punto materiale fittizio, di massa uguale alla massa totale del sistema Pfp = P1 + P2 (C1) Inoltre la posizione del centro di massa è individuata dal seguente vettore posizione rfp = P1 r1 + P2 r2 P1 + P2 (C2) Notiamo subito che, dalle (C1) e (C2), segue Pfp rfp = P1 r1 + P2 r2 (C3) Pfp Vfp = P1 v1 + P2 v2 (C4) ovvero dove Vfp è la velocità con cui si muove il centro di massa. La precedente equazione, ci dice che la quantità di moto totale del sistema dei due punti materiali è uguale alla quantità di moto posseduta dal punto materiale fittizio, centro di massa. Per alcune considerazioni, si potrà ”sostituire” il sistema dei due punti materiali con il centro di massa. Consideriamo un secondo osservatore situato proprio nel centro di massa e che costituisce l’origine di un secondo sistema di riferimento: 19 Data l’importanza che questo nuovo osservatore ha nella Fisica, per individuare le grandezze fisiche misurate da un tale osservatore, le identificheremo ponendoci sopra una tilde: d̃. Nel precedente grafico, si vedono i vettori posizione, r̃1 e r̃2 misurati dall’osservatore solidale con il centro di massa, insieme ai tradizionali vettori posizione e al vettore posizione del centro di massa rispetto all’osservatore inerziale R. Usando la regola di somma dei vettori troviamo subito il legame tra i tre vettori posizione e le rispettive velocità: r1 = rfp + r̃1 r2 = rfp + r̃2 (C5) v1 = vfp + ṽ1 v2 = vfp + ṽ2 (C6) dove ṽ1 e ṽ2 sono le velocità delle due particelle, misurate dall’osservatore solidale con il centro di massa. Moltiplichiamo ambo i membri delle due precedenti equazioni (C6), per le rispettive masse P1 v1 = P1 vfp + P1 ṽ1 P2 v2 = P2 vfp + P2 ṽ2 e poi sommiamo membro a membro P1 v1 + P2 v2 = P1 vfp + P2 vfp + P1 ṽ1 + P2 ṽ2 Questa equazione la si può riorganizzare in maniera tale da ottenere: P1 v1 + P2 v2 Pfp vfp = P1 ṽ1 + P2 ṽ2 (C7) Ma per la (C4), il primo membro dell’ultima equazione è nullo, quindi 0 = P1 ṽ1 + P2 ṽ2 (C8) La (C8) ci dice che, la quantità di moto totale di un sistema di due particelle, quando è misurata dall’osservatore solidale con il centro di massa, è sempre nulla. Questa è la proprietà più importante del sistema del Centro di Massa ed è vera sempre, per qualunque numero di particelle. Riscriviamo la (C7) come segue 20 P1 v1 + P2 v2 = Pfp vfp + P1 ṽ1 + P2 ṽ2 (C9) che possiamo leggere dicendo che, la quantità di moto totale di un sistema di due particelle, in un generico sistema di riferimento inerziale S, è la somma della quantità di moto posseduta dal centro di massa, Pfp Vfp , e dalla quantità di moto totale dello stesso sistema, misurata dall’osservatore solidale con il centro di massa, P1 ṽ1 + P2 ṽ2 . Tuttavia, per la (C8), sappiamo che quest’ultima quantità vale zero; quindi P1 v1 + P2 v2 = Pfp vfp (C10) La quantità di moto, posseduta da un sistema di punti materiali, in un qualunque sistema inerziale, è sempre uguale alla quantità di moto posseduta dal centro di massa del sistema rispetto all’osservatore inerziale. 7.3.1 L’energia cinetica in dierenti sistemi di riferimento Siano dati due punti materiali di massa P1 ed P2 e siano v1 e v2 le loro velocità misurate da un osservatore posto in un sistema di riferimento inerziale S. L’energia cinetica totale del sistema dei due punti materiali è 2 X 1 1 1 Pq vq2 = P1 v12 + P2 v22 2 2 2 q=1 (C11) Introduciamo un osservatore solidale con il centro di massa e misuriamo la stessa energia cinetica totale del sistema dei due punti materiali rispetto a questo nuovo osservatore. Dalla figura si vede che, i vettori posizione e velocità sono legati dalle seguenti relazioni: r1 = rfp + r̃1 r2 = rfp + r̃2 v1 = vfp + ṽ1 v2 = vfp + ṽ2 (C12) (C13) dove le quantità con la tilde (r̃1 > r̃2 > ṽ1 > ṽ2 ) sono misurate dall’osservatore solidale con il centro di massa. Usando la (C13), si può riscrivere la (C11), come segue: 21 2 X 1 1 1 2 2 Pq vq2 = P1 (vfp + ṽ1 ) + P2 (vfp + ṽ2 ) 2 2 2 q=1 (C14) Analizziamo i due quadrati al secondo membro. Avremo 2 (vfp + ṽ1 ) = (vfp + ṽ1 ) · (vfp + ṽ1 ) dove abbiamo usato, al secondo membro, il prodotto scalare tra due vettori. Sviluppando il secondo membro avremo 2 (vfp + ṽ1 )2 = vfp + ṽ12 + 2vfp · ṽ1 (C15a) In maniera analoga, potremo scrivere 2 (vfp + ṽ2 )2 = vfp + ṽ22 + 2vfp · ṽ2 (C15b) La (C14), usando la (C15a) e la (C15b), diventa 2 X ¢ 1 ¢ ¡ 2 ¡ 2 1 1 + ṽ12 + 2vfp · ṽ1 + P2 vfp + ṽ22 + 2vfp · ṽ2 Pq vq2 = P1 vfp 2 2 2 q=1 che possiamo riscrivere come 2 X 1 1 1 1 2 + P1 ṽ12 + P2 ṽ22 +vfp ·(P1 ṽ1 +P2 ṽ) (C16) Pq vq2 = (P1 + P2 ) vfp 2 2 2 2 q=1 Ma la quantità di moto totale del sistema dei due punti materiali, quando è misurata dall’osservatore solidale con il centro di massa, è nulla P1 ṽ1 + P2 ṽ2 = 0 (C17) Allora, la (C16) si riduce a 2 2 X X 1 1 1 2 Pq vq2 = Pfp vfp + Pq ṽq2 2 2 2 q=1 q=1 (C18) dove abbiamo introdotto l’energia cinetica del centro di massa: 1 1 2 2 = Pfp vfp (P1 + P2 ) vfp 2 2 (C19) La (C18) ci dice che l’energia cinetica totale, del sistema dei due punti materiali, misurata da un generico sistema inerziale V, è la somma dell’energia cinetica posseduta dal centro di massa e dell’energia cinetica totale misurata dall’osservatore solidale con il centro di massa. Poiché l’energia cinetica è sempre positiva, possiamo sempre scrivere che 22 2 2 X X 1 1 Pq vq2 Pq ṽq2 2 2 q=1 q=1 (C20) cioè, l’energia cinetica totale del sistema, quando è misurata dall’osservatore solidale con il centro di massa, risulta sempre essere minore o uguale alla stessa energia cinetica misurata in un qualunque altro sistema inerziale V. Ovvero, il sistema solidale con il centro di massa è il sistema energeticamente più conveniente. Sul momento della quantità di moto in dierenti sistemi di riferimento discuteremo nel capitolo sulle rotazioni. 7.4 Cosa si può generalizzare per i sistemi di N punti materiali Tutti i risultatati dei paragrafi precedenti sono generalizzabili al caso di Q particelle. Per la quantità di moto, avremo Q X Pq vq = Pfp vfp (C1N) q=1 Per l’energia cinetica si trova sia la generalizzazione della (C18) Q Q X X 1 1 1 2 + Pq vq2 = Pfp vfp Pq ṽq2 2 2 2 q=1 q=1 (C2N) che quella della (C20) Q Q X X 1 1 Pq vq2 Pq ṽq2 2 2 q=1 q=1 L’interpretazione di questi risultati è ovvia. 23 (C3N) (Chapter head:)Meccanica delle rotazioni Forse il moto che ha più interessato gli uomini, fin dai tempi antichi, è stato il moto dei pianeti del nostro sistema isolato. Abbiamo visto che Aristotele riteneva che il moto ”naturale” degli astri fosse quello circolare e che tale moto non avesse bisogno di alcuna forza per potersi esplicare; esso era una sorta di moto inerziale ed eterno, non essendoci alcun attrito nello spazio celeste. Abbiamo imparato nel secondo capitolo che, per la meccanica newtoniana, il moto circolare necessita di una forza che ”costringa” i corpi a rimanere sulla circonferenza, perché altrimenti per inerzia (”naturalmente” diremmo con Aristotele) i corpi tenderebbero ad allontanarsi lungo la tangente alla traiettoria. La forza che costringe i corpi a rimanere sulla circonferenza ha una proprietà interessante: essa è diretta sempre verso il centro della circonferenza. Questo fa sì che il centro della circonferenza è un punto, per così dire, ”diverso” dagli altri punti dello spazio; esso è "privilegiato" perché un osservatore posto in tale punto descrive il moto nella maniera più semplice. Per ogni altro punto dello spazio la descrizione del moto circolare è molto più complicata di quella descritta dal centro della circonferenza. Questo risultato fu palese anche ai contemporanei di Copernico, quando egli sostituì nella descrizione dei moti dei pianeti la Terra con il Sole. La descrizione eliocentrica è più semplice di una descrizione geocentrica. Non che non sia possibile fare una descrizione del moto dei pianeti assumendo un riferimento con centro sulla Terra (anzi siamo naturalmente costretti a farlo), ma la descrizione ne acquista in semplicità se il riferimento viene posto sul Sole. Queste osservazioni introduttive servono a spiegare l’operazione che ci accingiamo ora a fare. La meccanica descritta dalle leggi spiegate nel secondo capitolo è su!ciente a spiegare tutti i moti. Tuttavia, se ci si ferma solo ai principi esposti nel secondo capitolo si perdono delle prospettive che possono migliorare la nostra comprensione dei moti e più in generale dei fenomeni fisici. Impareremo, per esempio, che il moto più generale di un corpo rigido (vedi il prossimo capitolo) è la composizione di una traslazione e di una rotazione intorno ad un asse. Allora, conviene sviluppare un’analisi dei moti intorno a qualche punto privilegiato. Tale sviluppo porterà, tra le altre cose, all’introduzione di un nuovo concetto, il momento della quantità di moto (o momento angolare) che si è rivelato, nel tempo, un concetto fondamentale della fisica, tanto da sopravvivere alla stessa meccanica newtoniana. 1 Moto intorno ad un asse Abbiamo già studiato i moti piani e tra questi il moto circolare. Ricordiamo alcune considerazioni svolte. 1 Abbiamo definito la variazione angolare ! = ! (w + w) ! (w) e definita la velocità angolare ! w$0 w $ = lim (1) Ci si può chiedere se la velocità angolare sia una quantità vettoriale, e se la risposta fosse aermativa dovremmo chiarire la sua direzione e verso. Risulta evidente che la eventuale natura vettoriale di $ dipende dalla eventuale natura vettoriale del secondo membro della (1). Iniziamo col verificare se ! è una grandezza vettoriale. La natura vettoriale di una grandezza fisica si verifica analizzando se essa obbedisce nella somma alla regola del parallelogramma. Ma la regola del parallelogramma stabilisce anche che se si hanno due vettori deve aversi a+b=b+a e nel caso della variabile spostamento angolare dovremmo verificare che !1 + !2 = !2 + !1 In figura sono mostrate alcune operazioni grafiche assuciate alle precedente relazione : 2 Dobbiamo concludere che le variazioni angolare finite non sono quantità vettoriali e di conseguenza la velocità angolare media non è un vettore. Ma la velocità angolare è ottenuta con un procedimento di limite da quella media e dobbiamo verificare se tale procedimento non cambia la natura della velocità angolare media. In figura sono mostrate altre operazioni grafiche, relative alla precedente relazione, ma con variazioni angolari molto più piccole: I risultati finali sono quasi simili. Possiamo, senza di!coltà, ritenere che se usassimo le variazioni angolari infinitesime, troveremmo risultati identici. Possiamo aermare che le variazioni angolari infinitesime sono vettori, cioé si può scrivere g! = g!u! (2) e quindi la velocità angolare è anch’esso un vettore e si può scrivere $= g! u! gw (3) Non rimane che chiarire come si presentano la direzione e il verso di questi nuovi vettori. Per poterlo fare studieremo il moto circolare ma da un sistema di riferimento la cui origine è posta fuori dal piano ove risiede la circonferenza 3 Possiamo, inoltre, fissare l’asse } del sistema di riferimento in modo tale che passi per il centro della circonferenza e sia ortogonale al piano della stessa. In tal caso, l’asse } diventa un asse di rotazione per il punto che si muove sulla circonferenza. Nella sua rotazione intorno all’asse } il punto si mantiene sempre alla stessa distanza U dall’asse (raggio della circonferenza) e dall’origine del sistema di riferimento (vettore posizione). Aermiamo che il vettore di rotazione infinitesimo ha il modulo g! e la direzione e verso coincidente con l’asse z: g! = g!u} (4) Noi dimostreremo che, con questa definizione, la relazione tra le quantità angolari e scalari del moto circolare v = $u si trasforma in una relazione vettoriale ben precisa v =$ar (5) gr = g!u} a r (6) Iniziamo col dimostrare che Il secondo membro della (6) è, in modulo, |g!u} a r| = g!u sin Inoltre, U = r sin (7) per cui |g!u} a r| = g!U che è l’arco sotteso, sulla circonferenza dall’angolo g!. Ma questo è uguale a gu. Mostriamo che gr è ortogonale sia ad u} che al vettore posizione. L’ortogonalità al vettore posizione discende dal fatto che r in modulo è costante, quindi gr@gw = v è ortogonale ad r. Inoltre, poiché v è nel piano della circonferenza, esso è ortogonale all’asse } e quindi a u} . La (6) è stata dimostrata. Esplicitiamo i dierenziali nella (6) e dividiamo per gw v= g! u} a r = $u} a r gw Risulta naturale porre $ $u} e la precedente relazione diventa v =$ar Notiamo che, indipendentemente dalla posizione dell’origine del sistema di riferimento sull’asse di rotazione il modulo della velocità è anche uguale a: 4 g! U (8) gw risultato in perfetto accordo con la precedente analisi sul moto circolare. Infine, osserviamo che le rette individuate dai vettori (uU > v> $) sono mutuamente ortogonali. La relazione (5) ci consente di definire anche il vettore accelerazione e di stabilire il legame tra l’accelerazione angolare e quella lineari (tangenziale e centripeta) già incontrate nel secondo capitolo. Dalla (5) si ottiene: v = $U = g$ gr ar+$a gw gw Al secondo membro abbiamo l’accelerazione tangenziale a= aw g$ ar gw (9) (10) e quella centripeta af $ a v = $ a ($ a r) (11) $ a ($ a r) = ($ · r) $ $ 2 r (12) Poiché possiamo anche scrivere g$ a r + ($ · r) $ $ 2 r (13) gw Se l’origine del sistema di riferimento, posto sull’asse di rotazione, viene preso nel piano del moto, allora potremo scrivere a= g$ a R + ($ · R) $ $ 2 R gw che si riduce, essendo $ ed R ortogonali, alla relazione: a= g$ a R $2R (14) gw Se il moto è circolare uniforme, ritroviamo che l’accelerazione centripeta ha la seguente forma semplificata: a = $ 2 R a= 5 2 Vettori assiali e polari La velocità angolare e quella lineare sono entrambi vettori. Ma vi deve essere una dierenza nella loro natura vettoriale perché la velocità angolare deriva con un procedimento di limite da una quantità che non è un vettore, mentre la velocità lineare deriva con un procedimento di limite da una quantità finita che è un vettore. Ci proponiamo di analizzare questa dierente natura vettoriale. Consideriamo le seguenti due terne cartesiane: esse rappresentano la trasformazione $ (u{ > u| > u} ) (u{ > u| > u}0 ) = (u{ > u| > u} ) (15) detta riflessione rispetto al piano ({> |). A sinistra abbiamo una terna destrorsa ed a destra una terna sinistrorsa. Come si rappresentano in queste due terne i vettori velocità lineare ed angolare? Per la velocità lineare troviamo nella terva destrorsa v = v{ u{ + v| u| + v} u} (16) v = v{ u{ + v| u| v} u}0 (17) e in quella sinistrorsa Per trovare come la velocità angolare si rappresenta nelle due terne utilizzeremo la relazione $ =r×v e le componenti si ottengono ¯ ¯ u{ u| ¯ ¯ { | ¯ ¯ v{ v| dai seguenti ¯ u} ¯¯ } ¯¯ v} ¯ Si trova nella terna destrorsa $ { = |v} }v| determinanti ¯ ¯ u{ u| u}0 ¯ ¯ { | } ¯ ¯ v{ v| v} $ | = }v{ {v} 6 ¯ ¯ ¯ ¯ ¯ ¯ $ | = {v| |v{ e in quella sinistrorsa $ { = (|v} }v| ) $ | = (}v{ {v} ) $ | = {v| |v{ Possiamo sintetizzare i risultati scrivendo per la terna destrorsa $ = $ { u{ + $ | u| + $ | u} (18) $ = $ { u{ $ | u| + $ | u} 0 (19) e in quella sinistrorsa I due vettori si trasformano in maniera diversa. Chiameremo polari i vettoli che si trasformano cole il vettore velocità, mentre chiameremo assiali quelli che si trasformano come la velocità angolare. Graficamente, in una riflessione i due vettori si trasformano come nella figura sotto: 3 Il momento della quantità di moto Una caratteristica della meccanica newtoniana è quella di assegnare l’origine delle forze sui corpi. La Terra si muove intorno al Sole perché sul Sole ha sede la forza (forza di gravitazione universale) che attira la Terra. La posizione del Sole è allora un punto privilegiato per il moto della Terra nello spazio (la Terra è ”vincolata” al Sole). Questo privilegio che hanno dei punti dello spazio rispetto ad altri e che si manifesta in genere come un ”vincolo” per il moto della particella in esame, viene meglio compreso se si introducono i concetti di polo, momento della quantità di moto rispetto ad un polo e di momento di una forza rispetto ad un polo (la rotazione intorno ad un asse, che abbiamo discusso nel precedente paragrafo è un caso particolare). Sia S un punto arbitrario su di una traiettoria, v la sua velocità ed P la sua massa. Definizione: Si definisce momento della quantità di moto o momento angolare di una particella, rispetto ad un polo O, il vettore J (S R) a P v (20) Se R è scelto come origine di un sistema di riferimento, (S R) nella (14) è il vettore posizione del punto mobile. 7 Si può allora anche scrivere: J = r a p = r a Pv (21) dove r è il vettore che indica la posizione del punto materiale misurato dal polo R, ora anche origine di un sistema di riferimento Sebbene non sia necessaria, la coincidenza del polo con l’origine del riferimento sarà assunta per semplificare la notazione. Il momento della quantità di moto è un vettore assiale. 4 La seconda equazione fondamentale della dinamica Applichiamo l’operatore delta alla (21): J = (r a P v) = r a P v + r a (P v) Dividiamo per w: J r (P v) = a Pv + r a w w w e passiamo al limite, per w $ 0. Si ottiene gJ = v a Pv + r a Pa (22) gw Il primo termine al secondo membro è nullo perché i due vettori sono paralleli; il secondo termine, per l’equazione fondamentale, contiene la forza, per cui la (22) si riduce a gJ =raF (23) gw Quest’equazione è nota come seconda equazione cardinale della dinamica. La stessa equazione, in forma integrale, diventa 8 J = Z wi gw (r a F) wl (24) Notiamo che la derivazione della precedente equazione dipende dalla validità dell’equazione fondamentale della meccanica, e in questo senso ne é una semplice conseguenza. Il linea di principio non ci si dovrebbe aspettare grandi nuove conseguenze. Tuttavia, la (23) (o la sua equavalente (24), contiene nuovi aspetti fisici, che non sono presenti nell’equazione fondamentale. Inoltre, queste nuove quantità ed alcune delle sue conseguenze sopravvivranno alle stesse leggi di Newton. Il motivo essenziale di ciò risiede nel fatto che alcune delle conseguenze di questa nuova equazione si possono dedurre da principi, legati direttamente alle proprietà dello spazio-tempo, che sono più generali della stesse leggi di Newton. 4.1 Il momento di una forza Definizione: Si definisce momento di una forza, rispetto al polo R, il vettore (S R) a F (25) Il momento di una forza dipende sia dal punto S su cui agisce la forza (il punto S è detto punto di applicazione della forza) sia dalla forza stessa.Il momento di una forza è un vettore assiale. Per esempio, due forze uguali, applicate in due punti dierenti della traiettoria, hanno momento diverso, rispetto allo stesso polo. Il momento di una forza dipende dal polo, come si può vedere rapidamente. Infatti, se R0 è un nuovo polo avremo: R0 = (S R0 ) a F = (S R) a F + (R R0 ) a F ovvero R0 = R + (R R0 ) a F 9 (26) A meno che (R R0 ) non sia parallelo alla forza, il momento dipende dal polo scelto. Nello studio del momento di una forza è importante anche il concetto di retta di applicazione (o retta d’azione) Con riferimento alla figura precedente, per definizione di prodotto vettoriale, il modulo del momento della forza è uguale all’area del parallelogramma di lati (S R) e I , cioè al prodotto I e, dove con e, indichiamo la distanza tra la retta passante per I ed il polo. La distanza e è detta braccio, mentre la retta passante per la forza è detta retta di applicazione. Notiamo che, comunque si prenda il punto di applicazione S sulla retta di applicazione, il valore del momento della forza non cambia. Ponendo, come per il momento della quantità di moto, l’origine del sistema di riferimento sul polo, avremo raF (27) Possiamo, ora, riscrivere l’equazione fondamentale come segue gJ = (28) gw e possiamo dire che la derivata temporale del momento della quantità di moto di una particella rispetto ad un polo R è uguale al momento, rispetto allo stesso polo, della forza applicata sulla particella. Oppure, in analogia con l’impulso di una forza e il suo legame con la variazione della quantità di moto, la precedente equazione si può anche scrivere: Z wi gw (29) J = wl Le dimensioni del momento di una forza sono £ ¤ P O2 = [W 2 ] Non è stata data alcun nome a questa unità di misura. Anche l’energia ha queste dimensioni. Tuttavia, poiché fisicamente sono quantità dierenti, l’unità di misura dell’energia nel S.I. può avere un nome, il joule. 10 5 Il momento angolare e le forze centrali Abbiamo imparato nel precedente capitolo che, senza conoscere la traiettoria di un punto mobile, possiamo spiegare alcuni importanti fenomeni. In questo paragrafo, mostreremo che per una intera categoria di forze, quelle dette centrali, è possibile determinare alcune caratteristiche generali per le loro traiettorie, anche senza calcolarle direttamente. Sia S un punto mobile su di una traiettoria. Diremo che la forza agente sul punto materiale è centrale, se su tutta la sua traiettoria la forza è sempre diretta lungo la congiungente S con un punto R detto centro delle forze. Noi, converremo sempre di scegliere l’origine del sistema di riferimento su tale centro e scriveremo una forza centrale come segue Ff = ±i (u) uu (30) dove la funzione i (u) è una funzione solo della distanza relativa del punto mobile dal centro delle forze. Notiamo che essendo sempre paralleli la forza ed r, il momento di una forza centrale è sempre nullo. Ciò comporta che l’equazione fondamentale diventa J = 0 (31) J = frvwdqwh (32) ovvero Nei moti centrali il momento angolare è una costante del moto. La costanza della direzione del vettore momento angolare ci assicura che i moti centrali sono moti piani: Il moto di una particella soggetta all’azione di una forza centrale si svolge sempre nel piano individuato dal vettore posizione (misurato a partire dal centro della forza) e dal vettore velocità. Non è quindi una restrizione l’uso delle coordinate piane nel caso di moti centrali. Dimostriamo che per i corpi soggetti a forze centrali, la costanza del momento della quantità di moto equivale alla costanza della velocità areolare (seconda legge di Keplero: il raggio vettore che congiunge il Sole con un pianeta descrive aree uguali in tempi uguali). 11 Supponiamo che una particella si muova su di un piano. Il raggio vettore, al muoversi della particella, descrive un’area. La variazione temporale di tale area è detta velocità areolare (o areale), vdu .Per definizione, il modulo del prodotto vettoriale tra due vettori è uguale all’area del parallelogramma da essi individuato, quindi la variazione areale si può scrivere: (Area) = 1 |r a r| 2 (33) Dividendo per w: (Area) 1 = |r a r| w 2w e passando al limite per w $ 0, si ottiene 1 |r a v| 2 Ricordando la definizione di momento della quantità di moto potremo scrivere vdu = vdu = M 2P (34) che è ciò che volevamo mostrare. La conservazione del momento della quantità di moto ha una semplice applicazione. Nel moto della Terra intorno al Sole, in due dierenti punti D e E della traiettoria, essendo la massa della Terra costante, la conservazione del momento della quantità di moto si riduce nella costanza del seguente prodotto: rD v! (D) = rE v! (E) (35) dove con v! abbiamo indicato la componente non radiale della velocità: Basta osservare che sin = cos Allora, il prodotto della distanza di un pianeta dal Sole per la componente ortogonale alla direzione radiale della velocità istantanea è sempre costante.. 12 6 La seconda equazione cardinale della dinamica Se abbiamo due particelle, possiamo definire il momento angolare totale o momento della quantità di moto totale Jwrw , del sistema, rispetto ad un polo scelto come origine del sistema di riferimento, la seguente quantità: Jwrw = r1 a P1 v1 + r2 a P2 v2 = r1 a p1 + r2 a p2 (36) Prendiamo la derivata di ambo i membri g g gJwrw = (r1 a P1 v1 ) + (r2 a P2 v2 ) gw gw gw Ma gr1 gv1 gr2 gv2 gJwrw = a P1 v1 + r1 a P1 + a P2 v2 + r2 a P2 gw gw gw gw gw Poiché v1 a P1 v1 = 0 e v2 a P2 v2 = 0, rimane gJwrw gv1 gv2 = r1 a P1 + r2 a P1 gw gw gw ovvero gJwrw = r1 a P1 a1 + r2 a P1 a2 (37) gw Il secondo membro può essere ulteriormente modificato. Ripartiamo dalle equazioni del moto per le due particelle: P1 a1 = Fh1 + F12 P2 a2 = Fh2 + F21 Esse possono essere trasformate, rispettivamente, in r1 a P1 a1 = r1 a Fh1 + r1 a F12 r2 a P2 a2 = r2 a Fh2 + r2 a F21 Sommiamo membro a membro r1 a P1 a1 + r2 a P2 a2 = r1 a Fh1 + r1 a F12 + r2 a Fh2 + r2 a F21 e riscriviamo, usando la terza legge di Newton, ancora come r1 a P1 a1 + r2 a P2 a2 = r1 a Fh1 + r2 a Fh2 + r1 a F12 r2 a F12 cioé 13 r1 a P1 a1 + r2 a P2 a2 = r1 a Fh1 + r2 a Fh2 + (r1 r2 ) a F12 (38) Ma la quantità (r1 r2 ) a F12 = 0 (39) perché i due vettori sono paralleli: Allora, la (38) è diventata r1 a P1 a1 + r2 a P2 a2 = r1 a Fh1 + r2 a Fh2 (40) Le quantità al secondo membro definiscono il momento totale delle forze esterne hwrw : hwrw = r1 a Fh1 + r2 a Fh2 = h1 + h2 (41) Le equazioni (40) diventeranno r1 a P1 a1 + r2 a P2 a2 = hwrw (42) Il confronto tra la (38) e la (42) ci porta: gJwrw = hwrw (43) gw La variazione, nell’unità di tempo, del momento della quantità di moto rispetto ad un polo è uguale al momento delle forze esterne rispetto allo stesso polo. Se il sistema è isolato, wrw = 0: gJwrw =0 $ Jwrw = J0wrw gw cioè, in un sistema isolato, il momento angolare totale si conserva. 14 (44) 6.1 Forze parallele e Centro di Gravità Come applicazione dei risultati precedenti consideriamo il caso in cui tutte le forze agenti sulle singole particelle siano parallele. Questo è il caso, per esempio, della forza di gravità terrestre. Se facciamo riferimento alla forza di gravità la risultante delle forze si può facilmente calcolare: Fhwrw = P1 g+P2 g = (P1 +P2 ) g (45) Ma noi abbiamo dimostrato che l’equazione per le sole forze esterne si può scrivere Pfp afp = Fhwrw dove Pfp = P1 +P2 . Allora, dalle precedenti equazioni deriviamo la relazione: (P1 +P2 ) afp = (P1 +P2 ) g ovvero afp = g Questa uguaglianza suggerisce che, nel caso di forze parallele, la risultante delle forze esterne si può pensare come se fosse applicata nel centro di massa. Allo stesso suggerimento si arriva se si calcola il momento delle forze esterne parallele. hwrw = r1 a F1 + r2 a F2 = r1 a P1 g + r2 a P2 g = P1 r1 a g + P2 r2 a g ovvero hwrw = (P1 r1 + P2 r2 ) a g Se si ricorda il vettore posizione del centro di massa, avremo: hwrw = Pfp rfp a g Allora, la somma dei momenti delle forze peso rispetto ad un qualunque polo (scelto come origine degli assi) è uguale al momento della forza risultante applicata nel centro di massa rispetto allo stesso polo. Il fatto che il centro di massa sia il possibile punto ove si possa pensare applicata la risultante della forza peso, fa sì che lo stesso punto, individuato dalla relazione rfj = P1 jr1 + P2 jr2 P1 r1 + P2 r2 = P1 j + P2 j P1 + P2 venga anche chiamato Centro di Gravità. 15 6.2 Cosa si può generalizzare al caso di N punti materiali Nel caso di Q particelle potremo ottenere i seguenti risultati. Definito il momento della quantità di moto totale del sistema, rispetto ad uno stesso polo preso come origine del sistema di riferimento, Jwrw = Q X q=1 avremo rq a pq (1N) gJwrw = hwrw gw dove hwrw = Q X q=1 rq a Fhq = (2N) Q X hq (3N) q=1 Infine, sono riscrivibili tutte le equazioni sulle forze parallele e il centro di gravità. 7 7.1 Complementi Il momento della quantità di moto in dierenti sistemi di riferimento Siano dati due punti materiali di massa P1 ed P2 e siano v1 e v2 le loro velocità misurate da un osservatore posto in un sistema di riferimento inerziale S. Introduciamo il sistema di riferimento solidale con il centro di massa. Le relazioni tra i vettori posizione e velocità, nei due sistemi di riferimento, sono r1 = rfp + r̃1 r2 = rfp + r̃2 (C1) v1 = vfp + ṽ1 v2 = vfp + ṽ2 (C2) Se moltiplichiamo le (C2) per le rispettive masse, troviamo le relazioni tra le quantità di moto nei due sistemi di riferimento: P1 v1 = P1 vfp + P1 ṽ1 P2 v2 = P2 vfp + P2 ṽ2 (C3) Introduciamo il vettore momento della quantità di moto totale del sistema dei due punti materiali, nel generico sistema inerziale S: Jwrw = r1 a P1 v1 + r2 a P2 v2 (C4) Lo stesso vettore, nel sistema solidale con il centro di massa, si scriverà, J̃wrw = r̃1 a P1 ṽ1 + r̃2 a P2 ṽ2 (C5) Ci proponiamo di trovare la relazione che intercorre tra quest’ultime due quantità vettoriali.Usando la (C1) e la (C3), la (C4) si può riscrivere come 16 Jwrw = (vfp + r̃1 ) a (P1 vfp + P1 ṽ1 ) + (rfp + r̃2 ) a (P2 vfp + P2 ṽ2 ) che, ancora, può essere riscritta come Jwrw = Jfp + (P1 r̃1 + P2 r̃2 ) a vfp + rfp a + (P1 ṽ1 + P2 ṽ2 ) (C6) dove abbiamo introdotto il momento della quantità di moto del punto materiale fittizio, Centro di Massa: Jfp = rfp a (P1 + P2 ) vfp = rfp a Pfp vfp (C7) Ma la quantità di moto totale, quando è misurata dall’osservatore solidale con il Centro di Massa, è sempre nulla P1 ṽ1 + P2 ṽ2 = 0 Allora, la (C6) si riduce a Jwrw = Jfp + (P1 r̃1 + P2 r̃2 ) a vfp + J̃wrw (C8) P1 r̃1 + P2 r̃2 = 0 (C9) Mostriamo che Moltiplichiamo ciascuna relazione, contenuta nelle (C1) r1 = rfp + r̃1 r2 = rfp + r̃2 per la massa corrispondente P1 r1 = P1 rfp + P1 r̃1 P2 r2 = P2 rfp + P2 r̃2 e sommiamo membro a membro P1 r1 + P2 r2 = (P1 + P2 ) rfp + P1 r̃1 + P2 r̃2 ovvero P1 r1 + P2 r2 (P1 + P2 ) rfp = P1 r̃1 + P2 r̃2 (C10) Il primo membro della (C10) è nullo. Infatti, dalla definizione di vettore posizione del centro di massa, rfp = P1 r1 + P2 r2 P1 + P2 segue (P1 + P2 ) rfp = P1 r1 + P2 r2 17 (C11) che dimostra che il primo membro della (C10) è nullo. In definitiva, la relazione (C8) tra i due momenti della quantità di moto totali, si riduce a Jwrw = Jfp + J̃wrw (C12) che ci dice che il momento della quantità di moto totale, misurato in un sistema inerziale S è la somma del momento della quantità di moto posseduto dal centro di massa, e del momento della quantità di moto misurato dall’osservatore solidale con il centro di massa. 7.2 Cosa si può generalizzare ad un sistema di N punti materiali Nel caso di Q particelle si ottiene Q X q=1 rq a Pq vq = Jfp + Q X q=1 r̃q a Pq ṽq (C1N) dove Jfp = rfp a Pfp vfp con rfp = 8 Q 1 X Pq rq Pfp q=1 (C2N) (C3N) Esempi Esempio 1: Supponiamo di avere un punto materiale legato ad un filo che, a sua volta, passa attraverso un tubo. Inizialmente il punto gira a velocità costante vl su di una circonferenza di raggio Rl . Ad un certo istante si incomincia a tirare il filo fino a portare il punto su di una circonferenza di raggio Ri , dove il corpo si muove con un’altra velocità costante, vi . Calcolare la velocità finale in termini degli altri parametri. La soluzione di un tale problema, estremamente complessa se si utilizzasse l’equazione fondamentale, è invece immediata se si utilizza la conservazione del momento angolare. Infatti, P Ul vl = P Ui vi da cui vi = Ul vl Ui Esempio 2: Il pendolo semplice. Ci proponiamo di derivare ancora una volta l’equazione del moto del pendolo semplice, utilizzando l’equazione fondamentale per le rotazioni: 18 g J= gw Tale equazione diventa, g (P ov) = P oj sin gw Poiché v = og@gw, se si pone L = P o2 la precedente equazione, per piccoli angoli, diventa g2 P oj + =0 L gw2 Tale espressione è esattamente uguale alle precedenti. Abbiamo introdotto la quantità L (momento d’inerzia) per poter confrontare questo risultato con il pendolo fisico discusso in un prossimo capitolo. 19 (Chapter head:)Corpo rigido: elementi Non sempre gli oggetti fisici sono approssimabili con punti materiali né tanto meno sono riducibili ad un insieme discreto di punti materiali. Occorre quindi sviluppare un formalismo che sia adatto a descrivere il moto dei corpi macroscopici. Abbiamo visto che, in generale, l’azione di forze esterne su corpi estesi può produrre delle deformazioni più o meno permanenti dei corpi stessi. Per semplificare la descrizione dei corpi estesi introdurremo un modello ideale di corpo esteso nel quale l’azione delle forze applicate non produce alcuna deformazione: il corpo rigido. Il corpo rigido è un sistema di molte particelle le cui distanze relative sono invariabili. 1 Cinematica relativa: un’approfondimento Ritorniamo a due sistemi di riferimento S ed S’ in moto relativo l’uno rispetto all’altro: Abbiamo mostrato che per essi vale sempre il teorema di addizione delle velocità: v (w) = v0 (w) + VR0 (w) (1) dove v (w) è la velocità del punto materiale rispotto all’osservatore S, v0 (w) quella dello stesso punto materiale rispetto ad S’ e VR0 (w), quella di O’ (origine del sistema di riferimento S’) rispetto ad S. Supponiamo di voler descrivere il moto del Sistema di Riferimento S’ rispetto ad S, osservando che un sistema di riferimento è un corpo rigido. Lo faremo supponendo di lavorare nel piano. Per descrivere il sistema S’ è su!ciente individuare, oltre all’origine O’, un punto A sull’asse x’ e un punto B sull’asse y’: 1 I punti A e B sono fermi rispetto all’osservatore S’ (si dice che sono solidali con S’). La (1) diventa vD (w) = VR0 (w) vD (w) = VR0 (w) (2) Ma è corretto aermare che la velocità di un qualunque punto solidale con il corpo è la stessa indipendentemente dal moto di S’ rispetto ad S? La risposta è no. La (2) è valida in un caso molto particolare di moto, il moto puramente traslatorio 1.1 Moto puramente traslatorio Un moto puramente traslatorio è descritto in figura In questo caso la (2) è valida. Tutti i punti solidali con il sistema S’ si muovono con la stessa velocità rispetto ad S. 1.2 Moto puramente rotatorio In figura è descritto un moto puramente rotatorio 2 In questo caso abbiamo VR0 (w) = 0 mentre le velocità dei due punti saranno vE = $ × r0E vD = $ × r0D (3) dove $ è la velocità angolare con cui S’ ruota intorno ad S. Nel caso di pura rotazione la (2) non è più valida. 1.3 Moto rototraslatorio Questo moto è ottenibile dalla composizione di due moti, uno puramente traslatorio e uno puramente rotatorio, per cui vD = VR0 (w) + $ × r0D vE = VR0 (w) + $ × r0E (4) Se si sottrae la prima dalla seconda si ottiene vE = vD + $ × (r0E r0D ) (5) Possiamo esprimere i risultati contenuti nelle (4) e (5) usando solo quantità misurabili dal sistema S. Poiché r0D = rD RR0 (w) r0E = rE RR0 (w) 3 (6) si otterrà al posto della (4) vD = VR0 (w) + $ × (rD RR0 (w)) vE = VR0 (w) + $ × (rE RR0 (w)) (7) e al posto della (5) vE = vD + $ × (rE rD ) (8) Poiché le posizioni sono quantità note, possiamo concludere dicendo che la velocità di un punto qualunque B è determinata se sono note la velocità di un’altro punto qualunque A e la velocità angolare $ di tutto il sistema S’. Questi risultati sono estendibili a un qualunque corpo rigido: il più generale moto di un corpo rigido è sempre ottenibile da una traslazione di un punto qualunque e da una rotazione intorno ad un asse istantaneo passante per il punto. Data la posizione concettuale del centro di massa nella meccanica dei sistemi di punti materiali possiamo anche sceglierlo come punto di riferimento e scrivere v = vfp + $ × (r rfp ) (9) Diremo, allora, che il più generale moto di un corpo rigido è sempre ottenibile da una traslazione del centro di massa e da una rotazione intorno ad un asse istantaneo passante per il centro di massa. 1.4 Momento della quantità di moto e momento d’inerzia in una rotazione pura Supponiamo di avere un corpo rigido costituito da N punti materiali. Facciamo coincidere l’origine del sistema S con il centro di massa. Il moto rispetto al sistema S coinciderà con il moto rispetto al Sistema del Centro di Massa, cioè rq = r̃q . Il moto del corpo rigido sarà di sola rotazione istantanea intorno ad un asse passante per l’origine di S (coiè passante per il centro di massa). Sia $ la sua velocità angolare istantanea. Per ciascun punto del corpo rigido possiamo scrivere: 4 vq = $ × rq (10) il momento della quantità di moto, rispetto all’origine, diventa: J= Q X Pq rq × vq = q=1 Q X Pq rq × ($ × rq ) q=1 Utilizzando la relazione a × (b × c) = b (a · c) c (a · b), otteniamo: J= Q X q=1 ¢ ¡ Pq uq2 $ (rq · $) rq (11) Proiettiamo ambo i membri sull’asse {: M{ = Q X q=1 ¢ ¡ Pq uq2 $ { (rq · $) {q (12) Poiché rq · $ = {q $ { + |q $ | + }q $ } raccogliendo i termini con fattori comuni, si ottiene: M{ = L{{ $ { + L{| $ | + L{} $ } dove L{{ Q X q=1 Q ¢ ¢ X ¡ ¡ Pq |q2 + }q2 Pq uq2 {2q = (13) (14) q=1 L{| L{} Q X Pq {q |q (15) Pq {q }q (16) q=1 Q X q=1 La quantità L11 è chiamata momento d’inerzia relativo all’asse z, mentre le altre due quantità sono detti prodotti d’inerzia rispetto allo stesso asse. Si può ripetere lo stesso procedimento di proiezione sugli altri due assi. I risultati che si ottengono sono: M| = L|{ $ { + L|| $ | + L|} $ } 5 (17) M} = L}{ $ { + L}| $ | + L}} $ } (18) dove abbiamo posto L|| Q X q=1 ¢ ¡ Pq {2q + }q2 L}} Q X q=1 ¢ ¡ Pq {2q + |q2 L|} = Q X Pq {q }q q=1 (19) e inoltre L|{ = L{| L}{ = L{} L}| = L|} (20) Le precedenti equazioni ci suggeriscono di associare ad ogni calcolo di momento angolare, in una rotazione pura, la seguente matrice simmetrica, detto tensore d’inerzia (gli elementi opposti alla diagonale sono uguali): 3 4 L{{ L{| L{} C L|{ L|| L|} D (21) L}{ L}| L}} Ogni matrice di tal fatta (simmetrica!) può essere diagonalizzata, cioè la si può trasformare in una del tipo: 3 4 L1 0 0 C 0 L2 0 D (22) 0 0 L3 Da un punto di vista fisico, l’esistenza della precedente trasformazione equivale alla possibilità di trovare sempre un opportuno sistema di riferimento solidale con il corpo rigido (gli assi di tale riferimento sono indicati con 1, 2, e 3) rispetto al quale le uniche quantità diverse da zero sono i momenti d’inerzia (detti principali ), rispetto a questi stessi assi, indicati con (L1 > L2 > L3 ). Gli assi di un tale sistema di riferimento sono chiamati assi principali d’inerzia. Tutti e tre gli assi principali d’inerzia passano per il centro di massa, che per tale proprietà è anche detto centro d’inerzia. Se indichiamo con ($ 1 > $ 2 > $ 3 ) le componenti del vettore $ rispetto a tali assi principali, cioè $ = $ 1 u1 + $ 2 u2 + $ 3 u3 il momento della quantità di moto si può scrivere J = L1 $ 1 u1 + L2 $ 2 u2 + L3 $ 3 u3 6 (23) dove si sono introdotti i versori degli assi principali d’inerzia. Si badi che il sistema di riferimento i cui assi sono quelli principali, essendo solidale con il corpo rigido, non è inerziale in generale. Pur una rotazione intorno ad un asse d’inerzia, la (23) si riduce a: J = L1 $ 1 u1 (24) Nel caso in cui i tre momenti d’inerzia principali fossero uguali, cioè L1 = L2 = L3 = L , la (23) diventa J = L ($ 1 u1 + $ 2 u2 + $ 3 u3 ) = L$ (25) I risultati di questo paragrafo possono essere così riassunti: Nel caso di una pura rotazione, in un sistema solidale con il corpo rigido con l’origine coincidente con il centro di massa del sistema e con gli assi coincidenti con gli assi principali d’inerzia, il momento della quantità di moto può sempre scriversi nella forma (23). Per descrivere le rotazioni dei corpi rigidi sarà su!ciente conoscere la posizione del centro di massa, gli assi principali d’inerzia ed i relativi momenti d’inerzia principali. 1.5 L’energia cinetica in una rotazione pura Scriviamo, in una pura rotazione, l’energia cinetica totale di un corpo rigido costituito da N particelle. L’energia cinetica totale si scrive: Q Q X X 1 1 1 2 Pq vq2 = Pq ṽq2 + Pwrw vfp 2 2 2 q=1 q=1 (26) In una rotazione pura, con il sistema S che coincide con il sistema del centro di massa, l’energia del centro di massa è nulla e Q Q X X 1 1 Pq vq2 = Pq ṽq2 2 2 q=1 q=1 Calcolare l’energia cinetica rispetto ad S equivale a calcolare l’energia cinetica rispetto al sistema del centro di massa. Procedendo si avrà Q Q Q X 1X 1X 1 2 Pq ($ a rq ) = Pq $ 2 uq2 sin2 q Pq vq2 == 2 2 2 q=1 q=1 q=1 ovvero Q Q i h X 1X 1 2 Pq $ 2 uq2 ($ · rq ) Pq vq2 = 2 2 q=1 q=1 7 (27) Moltiplichiamo la (11), scalarmente per $ : J·$ = Q X q=1 Q h i X ¤ £ 2 Pq $ 2 uq2 ($ · rq ) Pq uq2 $ (rq · $) rq · $ = q=1 Si può cioè scrivere Q X 1 1 Pq vq2 = J · $ 2 2 q=1 (28) dove il momento della quantità di moto è ovviamente scrivibile secondo la (23). Potremo allora scrivere, Q X 1 1 Pq vq2 = (L1 $ 1 u1 + L2 $ 2 u2 + L3 $ 3 u3 ) · ($ 1 u1 + $ 2 u2 + $ 3 u3 ) 2 2 q=1 da cui Q 3 X X 1 1 Pq vq2 = Lm $ 2m 2 2 q=1 m=1 (29) Il confronto con l’energia cinetica della singola particella suggerisce di vedere i momenti d’inerzia come la ”massa” del sistema ruotante. Le dimensioni del momento d’inerzia sono quelle di una massa per il quadrato di una lunghezza: £ ¤ L = [P ] O2 1.6 L’equazione del moto in una rotazione intorno ad una asse Abbiamo mostrato che l’equazione cardinale di un sistema di N particelle, per il momento della quantità di moto, si scrive gJ = h (30) gw dove abbiamo eliminato il pedice ”tot” per non appesantire la notazione. Questa equazione è equivalente a tre equazioni scalari. Se ci si limita al moto del nostro corpo rigido, intorno all’asse z, considerato come asse principale d’inerzia, potremo considerare solo l’equazione: gM} = h} gw Poiché, vale la (24), troveremo g (L} $) = h} gw 8 (31) da cui L} 2 g$ = h} gw (32) Rotolare senza strisciare Un moto particolare dei corpi rigidi è il rotolamento puro (senza strisciare). Illustriamo tale moto pensando ad una ruota che rotola. La presenza dell’attrito tra la ruota e la strada fa sì che, istante per istante, la linea di contatto tra la ruota e la strada sia fissa. Il moto può essere descritto in due modi. Nel primo, si può pensare ad una traslazione del centro della ruota e ad una rotazione intorno ad un asse passante per il centro della ruota (grafico centrale). Nel secondo caso (grafico a destra), la descrizione del moto è quella di una rotazione, istante per istante, intorno alla linea di contatto tra ruota e strada. La velocità angolare istantanea con cui avviene la rotazione intorno all’asse passante per il centro della ruota o all’asse passante per la linea di contatto tra ruota e strada, è la stessa. Ci proponiamo di determinare il legame tra la velocità di traslazione Yfp del centro della ruota (Centro di Massa della ruota) e la velocità angolare, attorno ad un asse passante per il centro della ruota. All’istante t, sia a il punto di contatto tra la ruota ed il piano stradale. Il punto B, invece, rappresenta il punto di contatto tra la ruota e la strada al tempo w + w. Dalla figura segue: DE = U! 9 (33) D’altra parte, durante l’intervallo temporale w, il Centro di Massa si è spostato da O ad O’. per cui, DE = RR0 = vfp w (34) Allora, U! = vfp w da cui, nel limite per w $ 0, si ha U$ = vfp (35) che è la relazione cercata. 3 Teorema di Huygens-Steiner Consideriamo un corpo rigido discreto costituito da N particelle. Mostriamo che il momento d’inerzia L} relativo ad un arbitrario asse z è uguale al momento d’inerzia Lfp , relativo al un asse passante per il centro di massa e parallelo al prescelto asse z, più il prodotto della massa totale del sistema per il quadrato della distanza g tra i due assi: L} = Lfp + Pwrw g2 (36) Consideriamo un sistema di riferimento con l’origine nel centro di massa ed un asse parallelo all’asse z. Si consideri un piano ortogonale all’asse z. Sia O l’intersezione dell’asse con il piano, dove porremo gli assi x ed y. Un punto generico del sistema può riferirsi sia ad O che al Centro di Massa, CM; siano rq e r̃q i vettori posizione del generico punto del sistema rispetto ad O e all’SCM. Si può scrivere rq = r̃q + d (37) dove d è il vettore posizione del CM rispetto ad O. Utilizzando la precedente equazione, la (36) diventa L} = = Q X Pq uq2 = Q X q=1 q=1 Q X Q X Pq r̃2q + q=1 Pq (r̃q + d)2 2 Pq g + 2d · q=1 Poiché 2 X Pq r̃q = 0 q=1 10 2 X q=1 Pq r̃q e Lfp = 2 X Pq ũq2 q=1 la relazione (36) è dimostrata. 4 Momenti d’inerzia per corpi estesi Finora abbiamo considerato il corpo rigido come un insieme discreto di punti materiali. In realtà quando si pensa ad un corpo rigido si pensa ad un corpo macroscopico che, sebbene costituito da atomi e molecole, è visto come una distribuzione continua di materia. Questo significa che stiamo assumendo di suddividere un corpo rigido in un gran numero di piccole parti, per ciascuna delle quali vale la meccanica precedentemente descritta e le varie quantità del corpo rigido totale sono ottenute usando il calcolo integrale. Per capire come si usa, in questo caso, il calcolo integrale proseguiamo come segue. Supponiamo che il corpo rigido sia costituito da un numero discreto di parti. In tal caso, rq è la distanza media della generica parte dall’asse e il momento d’inerzia rispetto all’asse scelto sarà X L= Pq uq2 (38) q dove con Pq abbiamo indicato la massa associata alla generica parte in cui abbiamo pensato suddiviso il corpo rigido. Nel caso in cui la suddivisione del corpo rigido aumenti ulteriormente, identificando masse via via sempre più piccole (Pq $ 0) la precedente somma diventa un integrale: Z L = u2 gP (39) Inoltre gP = g3 u (40) dove è la densità di massa del corpo e g3 u è il volume infinitesimo contenente la massa infinitesima dM. Sostituendo la (40) nella (39) si trova Z L = u2 g3 u (41) Applichiamo la precedente equazione al caso di una sbarretta omogenea di lunghezza O e sezione D, la cui rotazione avviene intorno ad un asse perpendicolare alla sua lunghezza, e passante per il suo centro. 11 Il calcolo consiste, essenzialmente, nella determinazione di gP e nel fissare gli estremi d’integrazione. Un elemento infinitesimo di massa gP che sia ad una distanza u dal centro della sbarretta, può pensarsi contenuto in un volume di base A e altezza gu di modo che gP = Dgu D’altra parte, avendo supposto omogenea la sbarretta, la sua densità si può scrivere = Pwrw @DO. In questo modo il momento d’inerzia diventa: L= Pwrw O Z O@2 guu2 = O@2 1 Pwrw O2 12 (42) Senza procedere ad ulteriore calcoli, diamo qui di seguito alcune espressioni di momenti d’inerzia di corpi a densità uniforme, di uso frequente. a) Momento d’inerzia di un guscio sferico, rispetto ad un asse coincidente con un qualunque diametro: Si trova L= 2 Pwrw U2 3 (43) dove R è il raggio del guscio. b) Momento d’inerzia di una sfera piena, rispetto ad un asse di rotazione coincidente con un qualunque diametro: L= 2 Pwrw U2 5 (44) dove R è il raggio della sfera. c) Momento d’inerzia di un disco pieno, rispetto all’asse passante per il centro ed ortogonale al disco: Si trova L= 1 Pwrw U2 2 dove R è il raggio del disco. 12 (45) 5 Esempi Esempio 1: Si determini il momento d’inerzia di una sfera piena, rispetto ad un asse tangente alla sfera, il cui raggio è R. Utilizzando il teorema di Huygens-Steiner Lw = Lfp + Pwrw U2 = 2 Pwrw U2 + Pwrw U2 5 (E1) ovvero 7 Pwrw U2 (E2) 5 Esempio 2: Una sfera piena di massa M e raggio R, rotola senza slittare dalla sommità di un piano inclinato di altezza k ed inclinazione . Si trovino le equazioni del moto della sfera. Lw = Nel caso in esame le forze in gioco sono le seguenti: una forza peso pensabile applicata al CM, la reazione del piano Fu , applicata nel punto di contatto tra piano e sfera e, nello stesso punto, la forza di attrito (statico) Fd . L’equazione del moto per il CM è: P dfp = P j sin Id (E1) mentre quella del momento angolare, rispetto al Centro di Massa, è g$ = UId gw (il momento della reazione e della forza peso sono entrambi nulli); Poiché L = 2P U2 @5, l’ultima equazione si scrive L g$ 5 Id = (E2) gw 2 PU Abbiamo due equazioni e tre incognite (dfp > > Id ) . Osservando che l’accelerazione lineare del CM è pari a quella di un punto tangente alla sfera, istante per istante, si può scrivere dfp = U che è la terza equazione. 13 g$ gw (E3) Esempio 3: Della sfera del precedente esempio, si determini la velocità di arrivo in fondo al piano inclinato, se la velocità iniziale della sfera è nulla L’unica forza che compie lavoro diverso da zero è quella peso. Si può allora scrivere 1 1 2 P jk = P Yfp + Lfp $ 2 (E1) 2 2 dove 2 P U2 (E2) 5 Sostituendo le (2) nella (1) e risolvendo rispetto alla velocità, si trova r 5 Yfp = (2jk) 7 Yfp = U$ Lfp = Esempio 4: Un corpo di massa M è appeso ad un filo (senza peso) avvolto intorno ad una ruota di raggio R e momento d’inerzia I, rispetto ad un asse che passa per il suo centro e ortogonale alla ruota (la ruota gira senza attrito intorno a questo asse di simmetria). Si determini l’accelerazione di M, nonché la tensione del filo. Abbiamo due corpi da prendere in considerazione. Il corpo M che scende e la ruota che gira. L’equazione del moto di M è P d = P j I Mentre l’equazione per la ruota che gira è g$ = gw dove è l’accelerazione angolare e il momento della forza applicata. L’unica forza agente sulla ruota è la tensione del filo, per cui = UI . Le equazioni da risolvere sono L d=j 14 I P g$ = UI gw ¢ ¡ Poiché le incognite sono tre d> I > g$ gw , ci occorre un’altra equazione. L’equazione che deriveremo, di natura puramente geometrica, consente, in una pura rotazione, di collegare l’accelerazione lineare con quella angolare. Quando la ruota gira di un angolo , un punto sul bordo della ruota si è spostato di un tratto v = U; dello stesso tratto si svolge il filo e si sposta verso il basso il corpo di massa M. Quindi L { = U da cui g2 g$ 2 = U gw gw che rappresenta la terza equazione. Risolvendo le tre equazioni si ottiene: d=U p LU2 j I = Pj P + LU2 P + LU2 Esempio 5: Il pendolo fisico Un qualsiasi corpo rigido, sospeso per un punto O, diverso dal CM, si pone in oscillazione intorno alla posizione di equilibrio se viene da essa allontanato. Se L0 è il momento d’inerzia rispetto ad O e g la distanza di O dal CM, ci proponiamo di determinare il periodo di oscillazione di tale pendolo. d= Siamo nel caso di pura rotazione intorno ad O, e l’equazione del moto g J= gw si scrive in tal caso g2 = Pwrw g sin gw2 Per piccoli angoli di oscillazione, la precedente equazione si riduce a LR g2 + $2 = 0 gw2 15 dove $2 = Pwrw jg L0 (E1) s (E2) Il periodo cercato è allora 2 = 2 W = $ L0 Pwrw jg In particolare, la quantità ou = L0 Pwrw g (E3) è detta lunghezza ridotta. Esempio 6: Mostriamo che il lavoro delle forze interne in un corpo rigido è nullo. Presi due punti del corpo rigido, possiamo scrivere (rl rm )2 = frvwdqwh ovvero g (rl rm )2 = 0 gw 2 (rl rm ) · (vl vm ) = 0 da cui rlm risulta ortogonale vlm . Quando calcoliamo il lavoro delle forze interne possiamo procedere a coppie (ij) e scrivere Flm · grl + Fml · grm = Flm · (grl grm ) = Flm · g (rl rm ) ovvero Flm · grl + Fml · grm = Flm · (vl vm ) gw Poiché Flm ha la direzione di rlm e questi è ortogonale a vlm segue che la precedente espressione è nulla. Ripetendo per ogni coppia si ottiene la prova completa. 16 Il moto dei pianeti e la costituzione della materia hanno da sempre attirato l’interesse degli uomini. Il successo della meccanica di Newton, anche presso i suoi contemporanei, fu senza dubbio legato alla capacità della sua meccanica di spiegare le leggi che regolavano il moto dei pianeti. La descrizione di questo importante evento della storia della scienza è uno degli argomenti di questo capitolo. D’altro canto, la fisica contemporanea è rivolta, per gran parte, verso la risoluzione di problemi del mondo microscopico e in un corso universitario non si può mancare di descrivere il tentativo della meccanica classica di avvicinarsi a tale mondo. Mostreremo che lo stesso formalismo usato per risolvere il moto dei pianeti può introdurci al mondo microscopico. Questa similarità di formalismo ha indotto, inizialmente, gli scienziati a rappresentare il mondo microscopico (l’atomo) in maniera simile al mondo planetario (modello planetario dell’atomo). Ancora oggi, sebbene su altre basi, l’infinitamente piccolo viene sempre più avvicinato all’infinitamente grande. Tutto ciò avvalora il tentativo di questo capitolo di avvicinare, fin dal primo corso di Fisica, il mondo del molto piccolo al mondo del molto grande secondo la meccanica classica. La deduzione delle leggi di Keplero come conseguenza della forza di gravitazione universale tra il Sole ed i pianeti del Sistema Solare, va sotto il nome di problema di Keplero. Keplero nel 1600 fu preso come assistente dall’astronomo danese Tycho Brahe, nel suo laboratorio di Praga, con il compito preciso di fare un modello eliocentrico che descrivesse l’orbita di Marte, in accordo con i precisi dati sperimentali raccolti da Brahe. Dopo anni di tentativi fatti con curve geometriche a base di circonferenza, trovando un disaccordo di appena 8 minuti di arco tra i valori dei suoi modelli e i valori di Brahe, decise di abbandonare l’ipotesi millenaria che voleva i pianeti su orbite circolari. Eliminata tale ipotesi, l’indagine di Keplero approdò alle orbite ellittiche (era compiuta un’altra grande rivoluzione rispetto alla visione aristotelica del mondo!). 1 L’equazione polare delle coniche Una sezione conica (o semplicemente conica) è una curva piana, descritta da un punto che durante il suo moto, mantiene costante il rapporto tra, la sua distanza da un punto fisso (detto fuoco) e la sua distanza da una retta (detta direttrice). Il rapporto costante è detto eccentricità e lo indicheremo con h. 1 In Figura è indicato un generico tratto di sezione conica, con il fuoco F e la distanza dalla direttrice og . Sono inoltre indicate le coordinate polari che utilizzeremo per descrivere le coniche. Con semplici considerazioni geometriche possiamo scrivere h= che può poi riscriversi IS u = ST og u cos (C1) og h 1 + h cos oppure, introducendo il parametro di scala u= = og h (C2) si ottiene = 1 + h cos (C3) u Se 0 ? h ? 1 , la sezione conica è una ellisse; se h = 1 è una parabola e se h A 1 è una iperbole. Nel caso h = 0 si ottiene un cerchio. Poiché cos () = cos , tutte le sezioni coniche sono simmetriche rispetto all’asse passante per il fuoco ed ortogonale alla direttrice. 1.1 L’ellisse Il caso 0 ? h ? 1, abbiamo detto che descrive l’ellisse: Il semiasse maggiore è indicato con d, mentre quello minore con e. Il punto più vicino al fuoco, ove risiede il Sole, ossia il punto indicato con A, è detto perielio (il suo valore è us = 1> 47·108 np), quello più lontano dal fuoco, indicato con B, è detto afelio (il suo valore è ud = 1> 52 · 108 np). I valori delle velocità della Terra al perielio ed all’afelio sono rispettivamente vs = 30> 2np@v e vd = 29> 2np@v. Come si può vedere sono delle velocità ragguardevoli se confrontate con quelle cui siamo abituati nella vita quotidiana. 2 Ci proponiamo di derivare alcune di queste grandezze geometriche in funzione dell’eccentricità e del parametro di scala. A)- Il perielio, us : Dalla (C3), per = 0 1+h B)- L’afelio, ud : Dalla (C3), per = us = (C4) (C5) 1h Noti i valori dell’afelio e del perielio, dalle due precedenti equazioni, possiamo derivare i valori dell’eccentricità e del parametro di scala. Si trova ud = h= ud us = 0> 0167 ud + us = 2ud us = 1> 72np ud + us (C6) C)-Il semiasse maggiore:Poiché 2d = us + ud segue 1 h2 D)-Il semiasse minore: Dal triangolo OCF segue p e = RF = FI 2 RI 2 d= (C7) Ma RI = RD I D = d us = dh (C8) Inoltre, da FI@FG = h segue FI = h (FG) = h (RI + og ) = d (C9) In definitiva e= 2 q p d2 (dh)2 = d 1 h2 (C10) La terza legge di Keplero Nel caso di un’orbita ellittica il semiasse maggiore è dato dalla (C7): 1 h2 Se si sostituiscono in tale equazione, i valori trovati per l’eccentricità e il parametro di scala, troveremo d= 3 d= n 2 |H0 | (C11) da cui n JPV P = (C12) 2d 2d cioè, l’energia totale di un’orbita ellittica dipende dalla massa del Sole, dalla massa del pianeta e dal semiasse maggiore. Sappiamo che la velocità areolare è data da |H0 | = g M Duhd = gw 2P possiamo, integrando rispetto al tempo, trovare la relazione tra l’area dell’ellisse ed il tempo impiegato a percorrere l’intera orbita (cioè, il periodo T di rivoluzione) M Area = 2P da cui, poiché Duhd = de, 2 W = µ Z W gw = 0 2P M ¶2 M W 2P (de)2 (C13) (C14) Utilizzando la (C10) e la relazione = M 2 @P n si trova W2 = 4 2 P 3 4 2 3 d = d n JPV (C15) cioè, il quadrato del periodo di un pianeta è direttamente proporzionale al cubo del suo semiasse maggiore (Terza legge di Keplero). La costante di proporzionalità dipende dalla massa del Sole e dalla costante di gravitazione universale. 3 Il problema di Keplero e l’equazione fondamentale Ci proponiamo di risolvere l’equazione del moto della Terra soggetta alla forza gravitazionale del Sole: P JPV P0 gv = uu gw u2 (C16) Poiché g gv (r a v) = r a gw gw 4 (C17) utilizzando l’espressione dell’accelerazione data dall’equazione fondamentale possiamo scrivere: µ ¶ g JPV (r a v) = r a 2 uu gw u Poiché il secondo membro è nullo, il vettore hrav (C18) è un vettore costante (è la conservazione del momento angolare!). Notiamo che il moto è piano perché r rimane ortogonale ad h: r · h = r · (r a v) = 0 (C19) Calcoliamo, ora, la quantità gv JPV a h = 2 uu a (r a v) gw u Poiché h è costante, la precedente equazione diventa g JPV (v a h) = 2 uu a (r a v) gw u (C20) (C21) Inoltre rav =rau guu gw e la (C21) diventa µ ¶ g guu (v a h) = JPV uu a uu a gw gw Ricordando che a a (b a c) = (a · c) b (a · b) c, possiamo scrivere ¶ µ guu guu uu a uu a = gw gw (C22) (C23) e l’equazione (C22) diventa g guu (v a h) = JPV gw gw 3.1 (C24) Il vettore di Runge-Lenz La precedente equazione asserisce che il vettore bUO v a h JPV uu (C25) detto di Runge-Lenz, è una costante del moto. Moltiplichiamo scalarmente il vettore di Runge-Lenz e scriviamo 5 r · (v a h) = r · bUO + r · JPV uu che semplificata diventa k2 = u (JPV + eUO cos (uu · uUO )) ovvero JPV + eUO cos (uu · uUO ) 1 = (C26) u k2 Scegliendo come asse polare la direzione del vettore di Runge-Lenz, la precedente equazione si riduce a = 1 + h cos u se si pone k2 JPV h eUO JPV (C27) Abbiamo ritrovato l’equazione della conica. Potremmo anche dire che l’esistenza, nel caso del potenziale 1/r, di una traiettoria chiusa è attribuibile alla conservazione del vettore di Runge-Lenz. 4 La gravità terrestre Ci apprestiamo a fare un’analisi più approfondita della forza e dell’energia potenziale gravitazionale, in particolare di quella associata a corpi estesi, di densità costante ed essenzialmente sferici (la Terra sarà assimilata a tali corpi). Il motivo di passare all’analisi dei corpi estesi è evidente. Non sempre la Terra, per esempio, può considerarsi un corpo puntiforme. Anzi la nostra esperienza quotidiana ci dice che essa è enorme rispetto a noi. Allora, dobbiamo sviluppare una meccanica adatta ai corpi macroscopici. In attesa di approfondire meglio questo aspetto nella sua forma generale in capitoli successivi, ora proveremo a derivare alcuni risultati sulla forza di gravitazione prodotta da corpi estesi sferici, utilizzando le proprietà di simmetria del problema; mostreremo che la forza agente su una particella posta dentro una sfera piena è diversa dalla forza agente sulla stessa particella posta all’esterno della sfera. Vogliamo precisare che la particella che useremo, per derivare l’espressione della forza, sia all’interno che all’esterno della sfera, deve essere tanto piccola da non influenzare la forza gravitazionale prodotta della sfera. Tale particella viene detta particella di prova e la sua massa sarà anch’essa detta massa di prova. Abbiamo già avuto modo di discutere diversi aspetti della forza di gravitazione universale: FJ = JP1 P2 uu u2 6 (C28) Abbiamo già visto che essa è conservativa, produce moti piani e spiega le leggi di Keplero. La consuetudine vuole che la forma dell’energia potenziale nel caso della Terra sia diversa per i corpi lontani dalla Terra, da quella per i corpi vicini ad essa. Se si prende il punto O, che serve a definire l’energia potenziale, all’infinito si trova la seguente espressione: JP0 P u il cui andamento viene delineato in figura a sinistra: U (u) = (C29) mentre, prendendo lo stesso punto sulla superficie della Terra, si ottiene U (u) = JP0 P JP0 P U0 u (C30) il cui andamento grafico è nella figura di destra. La (C30) si può scrivere µ ¶ JP0 JP P 0 U0 JP P 0 U (u) = (u U0 ) = k=P k 2 uU0 uU0 U0 u dove k è l’altezza del corpo rispetto al suolo. Poiché j = JP 0 @U02 , si ha U0 u Vicino alla Terra, u ed U0 sono praticamente uguali e ritroviamo il risultato derivato dalla forza peso, cioè: U (u) = P jk U (k) = P jk (C31) Tale espressione è allora una forma approssimata dell’energia potenziale (C30). 7 4.1 L’energia potenziale della Terra come energia di legame Ci proponiamo di calcolare la velocità minima necessaria ad un corpo per fuggire dalla Terra. Sebbene abbiamo già calcolato tale quantità, ripeteremo il suo calcolo usando il teorema di conservazione dell’energia meccanica. Scriviamo l’energia meccanica del corpo, che vogliamo far uscire dalla Terra, in due punti della sua traiettoria: sulla superficie della Terra, quando il corpo parte con una certa velocità iniziale ed a distanza praticamente infinita, dove il corpo arriva con velocità nulla. In tal caso, si ha 1 JP P0 P vi2 = 2 U0 da cui vi = r 2JP 0 U0 o, utilizzando la definizione dell’accelerazione di gravità p vi = 2jU0 (C32) (C33) Come si vede, la velocità di fuga è indipendente dalla massa del corpo (o dalla sua iniziale orientazione): ogni corpo ha bisogno della stessa velocità iniziale per fuggire dalla Terra, a parità di latitudine. Usando per j il valore di 9> 81p@v2 e per U0 il valore di 6> 37 × 103 np si trova vi = 11> 2np@v ' 40200np@k. Il problema della velocità di fuga dalla Terra può anche essere visto sotto un altro aspetto. Dalla (C32) si vede che un corpo la cui energia cinetica sulla superficie della Terra è inferiore all’energia EO JP P 0 U0 (C34) non potrà mai lasciare la Terra e sarà sempre nella sua attrazione. Per tale motivo l’energia EO si chiama talvolta energia di legame della Terra. Un sistema Terra-punto materiale è detto legato o non legato a seconda che l’energia cinetica del corpo sulla superficie della Terra è minore o maggiore dell’energia di legame. 4.2 La gravità all’interno della Terra La forza peso, abbiamo visto, è un caso particolare della forza di gravitazione universale. Siamo stati, tuttavia, un pò grossolani nelle nostre precedenti considerazioni. Poiché vogliamo anche indagare il comportamento della forza gravitazionale all’interno della Terra stessa, sarà meglio rivedere in maggior dettaglio, le precedenti analisi. La forza di gravitazione universale è applicabile rigorosamente solo per corpi che si possono considerare puntiformi, ovvero per corpi posti a distanza relativa molto più grande delle loro dimensioni fisiche. Per un corpo prossimo alla Terra, questa non può certo considerarsi puntiforme e le nostre precedenti considerazioni appaiono quantomeno poco rigorose. D’altra 8 parte, le precedenti conclusioni erano certamente corrette: il moto dei corpi nelle vicinanze della Terra è governato dalla forza peso. In altre parole, la Terra si comporta per i corpi prossimi ad essa, come se tutta la sua massa fosse concentrata nel suo centro. Cosa rende possibile un tale risultato? La risposta è nella natura stessa della forza gravitazionale (forza centrale, con la particolare dipendenza funzionale: inverso del quadrato della distanza) come proveremo tra breve. 4.2.1 Il guscio sferico Vogliamo conoscere la forma dell’energia potenziale e della forza gravitazionale prodotta da un corpo la cui massa è uniformemente distribuita su una sfera cava (guscio) di raggio U0 . Analizzeremo il problema separatamente, prima nel caso in cui il punto ove vogliamo conoscere la forza sia esterno al guscio e poi il caso in cui il punto sia interno al guscio. Caso a: Il punto P, di massa M, è esterno al guscio. Dividiamo il guscio in tante strisce circolari, aventi tutte il centro sulla congiungente il centro del guscio con il punto P. Il raggio della striscia è U0 sin e la sua larghezza è U0 g. Quindi, l’area di una generica striscia può scriversi: Dvw = (2U0 sin ) (U0 g) = 2U02 sin g (C35) Sia Pjx la massa totale del guscio. Allora Pjx @4U02 è la massa per unità di area del guscio. La massa della generica striscia sarà: Pvw = Pjx Pjx sin g 2U02 sin g = 4U02 2 (C36) Se R è la distanza comune, di tutti i punti della striscia, dal punto P, allora, possiamo scrivere (Pjx @2) sin g P Pjx = J sin g U 2U Se r è la distanza tra P ed il centro del guscio, possiamo scrivere gU = JP U2 = U02 + u2 2U u cos (C37) (C38) Poiché U ed r sono costanti, dierenziando ambo i membri, si ottiene 9 2UgU = 2U0 u sin g da cui sin g = UgU U0 u (C39) Sostituendo tale relazione nella (C39), otteniamo l’energia potenziale prodotta dalla striscia nel punto P gUvw = J P Pjx gU 2U0 u (C40) Per ottenere l’energia gravitazionale, prodotta in P da tutto il guscio, dobbiamo sommare il contributo di tutte le strisce, in cui possiamo pensare diviso tutto il guscio, ovvero integrare la (C40). Poiché in A, R vale u U0 ed in B vale u + U0 , otteniamo Ujx (u) = J Z P Pjx 2U0 u u+U0 uU0 gU = J Pjx P u (C41) E la forza è, ovviamente, Pjx P (C42) u2 La forza gravitazionale, prodotta dal guscio, nei punti ad esso esterni, è uguale alla forza gravitazionale prodotta da un punto materiale, di massa pari a quella del guscio, posto nel centro del guscio. Se la Terra fosse un guscio, con massa uniformemente distribuita, le conclusioni del secondo capitolo sarebbero rigorosamente dimostrate. Caso b: Il punto P, di massa M, è interno al guscio. Ijx = J Il procedimento è identico al precedente fino alla (C41). Nel calcolo dell’integrale cambiano gli estremi di integrazione. Si trova Ujx = J Pjx P 2U0 u Z U0 +u U0 u e la forza diventa 10 gU = J Pjx P U0 (C43) Ijx = 0 (C44) La forza all’interno del guscio è nulla. 4.2.2 La sfera piena Supponiamo di avere un corpo sferico uniformemente riempito di materia. Tale sfera può pensarsi come la somma di tanti gusci, uno dentro l’altro. Anche in tal caso distingueremo i punti esterni da quelli interni. Caso a: Il punto P, di massa M, è esterno alla sfera. Nella (C42) l’unica cosa che dierenzierebbe un guscio da un altro è la massa. Quindi la forza prodotta dalla sfera piena, nei punti esterni può scriversi Ivi = J P Pvi PX Pjx = J u2 jx u2 (C45) cioè, una sfera, omogeneamente piena, produce nei punti ad essa esterni, una forza uguale a quella che produrrebbe una particella puntiforme di massa uguale a quella della sfera, posta nel centro della sfera stessa. Se la Terra è assunta essere una sfera omogeneamente piena, i risultati del secondo capitolo sono rigorosamente validi. Caso b: Il punto P, di massa M, è interno alla sfera. Fissato un punto P, interno alla sfera piena, possiamo pensare alla sfera geometrica che passa per il punto P. Tale sfera divide il corpo sferico (la Terra) in due regioni: la regione esterna alla sfera passante per il punto P; la massa contenuta in tale regione genera una forza risultante nulla (ciascun guscio esterno esercita una forza risultante nulla); la regione interna alla sfera passante per il punto P; il campo in P è proporzionale alla massa contenuta nella sfera passante per P. Sarà su!ciente, in tal caso, calcolare solo la massa contenuta in questa sfera. Se P0 è la massa totale della Terra, 0 = P0 4 3 3 U0 (C46) è la massa per unità di volume (densità) della Terra. La massa contenuta nella sfera passante per P è P0 4 3 u3 u = P 0 4 3 3 U03 3 U0 (C47) La forza gravitazionale, nei punti interni alla sfera, è Fvi = J P P0 u3 P P0 Pj uuu uu = J uuu = 3 3 2 u U0 U0 U0 (C48) ove g è l’accelerazione di gravità. La gravità all’interno della Terra è proporzionale alla distanza del punto P dal centro (la forza aumenta, perché la 11 gravità va come u2 mentre la massa va con u3 ). Nella Figura sotto sono rappresentati gli andamenti delle equazioni (C45) e (C48). Notiamo che, se riscriviamo la massa della Terra in termini della sua densità, la (46) si può anche scrivere come segue: 4 Fvi = J 0 uuu 3 5 (C49) Esempi Esempio 1: Calcolare l’energia gravitazionale di una sfera piena, omogenea e uniforme. Tale energia è prodotta dall’interazione reciproca di tutti i punti materiali che costituiscono la sfera. Se si pensa che inizialmente le particelle costituenti la sfera attuale fossero a distanza reciproca infinita, allora l’energia propria è pari al lavoro che bisogna compiere contro le forze gravitazionali per costituire. Per calcolare tale energia si può procedere come segue. Supponiamo che U sia il raggio della sfera e P la sua densità. Consideriamo l’interazione della sfera piena di raggio u (u ? U) con lo strato di materia compreso tra u e u + gu. Possiamo scrivere: gU (u) = J Pvi Pvw u (E1) da cui gU (u) = J u µ 4 3 u P 3 ¶ Integrando tra 0 e U, otteniamo ¢ ¡ (4P )2 4 4u2 guP = Ju gu 3 3 2 U = J (4P ) u5 5 (E2) 3 P2 U = J 5 U (E3) ovvero 12 2 × 1041 M. Se L’energia propria del Sole, con tale formula è U (Vroh) = 2 2 si sostituisce JP con th , dove con th indichiamo la carica dell’elettrone, otteniamo 3 th2 J (E4) 5 U che rappresenta l’energia potenziale (energia propria) di una distribuzione sferica uniforme di cariche. Esempio 2: Supponiamo di poter scavare una galleria attraverso tutta la Terra, passando per il suo centro. Determinare l’equazione del moto, di un corpo che è posto nella galleria, inizialmente fermo, ad una distanza di u0 = 100p; ( u0 ¿ U0 ) dal centro della Terra. Si stabilisca, inoltre, la sua posizione, dopo un secondo. U= La forza gravitazionale esercitata dalla Terra su di un corpo che si trova ad una distanza r dal suo centro è, per la (C48): F = J P P0 Pj uuu = uuu 3 U0 U0 L’equazione del moto sarà, lungo la direzione radiale: P du + Pj u=0 U0 (1) ovvero du + $ 2 u = 0 (2) $ 2 = j@U0 (3) dove abbiamo posto La soluzione di tale equazione, come sappiamo, è u = D cos ($w + !) Poiché al tempo w = 0, (u = u0 > v = 0), avremo 0 = D sin ! u0 = D cos ! 13 ovvero D = u0 > ! = 0. La soluzione finale sarà allora: u (w) = u0 cos ($w) Sapendo che j = 9> 81p@v2 e U0 = 6> 34 × 106 p, si troverà prima $ = 1> 2 × 103 udg@v e poi u (w = 1v) = 99> 9p. Esempio 3: Determinare l’equazione del moto di un corpo che invece di oscillare lungo il diametro della Terra oscilla lungo una corda di lunghezza O. Se r è la distanza del corpo dal centro della Terra, la forza (radiale) sarà sempre F= Pj ruu U0 Poiché il corpo è vincolato a muoversi lungo la corda, di tale forza occorrerà considerare la componente lungo la corda. Essa in modulo vale, I{ = Pj r sin U0 che diventa I{ = Pj { U0 per cui l’equazione del moto del corpo sarà d{ + $ 2 { = 0 dove abbiamo posto, come nel precedente esempio $ 2 = j@U0 . Se il corpo è lasciato cadere lungo il tunnel, a partire dalla superficie della Terra con velocità iniziale nulla troveremo { (w) = O cos ($w) 2 14 6 Problemi 1. Fuori dal nostro sistema solare esiste un pianeta la cui massa è volte la massa della Terra, cioé P = P0 . Come la Terra, il pianeta ha la sua Luna che orbita su una circonferenza di raggio U = UO , dove UO è il raggio medio dell’orbita della Luna intorno alla Terra. Si determini, il periodo di rivoluzione della Luna del pianeta, in unità del periodo di rivoluzione della Luna della Terra, WO , nell’ipotesi che la traiettoria di rivoluzione della Luna, intorno alla Terra, sia una circonferenza e che il suo moto sia determinato solo dalla Terra. Soluzione: s 3 WO W = 2. In un nuovo sistema solare esiste un pianeta la cui massa è volte la massa della Terra, cioè P = P0 . Si determini l,accelerazione di gravità, in unità dell’accelerazione di gravità della Terra, j0 , del nuovo pianeta, supposto sferico e di densità uniforme, se il suo raggio è U = U0 dove U0 è il raggio medio della Terra. Soluzione j= j0 2 3. Si scopre un nuovo sistema solare, con una sola stella ed un solo pianeta. Supponendo che il pianeta si muova, intorno alla stella, su di una orbita circolare di raggio u = u0 , dove u0 è il raggio orbitale medio della Terra, nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole ed abbia un periodo di rivoluzione W = W0 , dove W0 è il periodo di rivoluzione della Terra, si determini la massa della stella, in unità di masse solari, PV . Soluzione 3 PV 2 P= 4. Si determini la velocità di fuga del pianeta Marte dal sistema solare. Soluzione r 2JP vi = U 5. Si determini il raggio dell’orbita circolare di un satellite che ruota, con un periodo T, intorno ad un pianeta del sistema solare, per il quale la costante nJ = 4 2 @JP sia uguale a 0> 99 × 1013 v2 @p3 . Soluzione u= µ 1 nJ ¶1@3 15 W 1@3 1 APPENDICI MATEMATICHE Ora sintetizzeremo alcune conoscenze di matematica indispensabili per poter affrontare il corso di meccanica. 2 Funzioni trigonometriche Sebbene tali funzioni siano definite usando un cerchio goniometrico esse sono più utilizzate all’interno di un triangolo rettangolo. Si abbia un triangolo rettangolo, dove r è l’ipotenusa, ed x ed y sono detti cateti. Inoltre sia φ l’angolo opposto ad y. Valgono le seguenti definizioni: sin φ = y r cos φ = x r tan φ = y x cot φ = x y sec φ = r x csc φ = (1) Notiamo che, dalle (1) seguono le seguenti identità: tan φ = sin φ cos φ cot φ = sin2 φ + cos2 φ = 1 cos φ sin φ sec φ = 1 cos φ sec2 φ = 1 + tan2 φ csc φ = 1 sin φ csc2 φ = 1 + cot2 φ (2) (3) Inoltre, valgono le seguenti formule di addizione sin (α + β) = sin α cos β + cos α sin β (4) cos (α + β) = cos α cos β − sin α sin β (5) tan (α + β) = e duplicazione sin 2α = 2 sin α cos α tan α + tan β 1 − tan α tan β cos 2α = 2 cos2 α − 1 = cos2 α − sin2 α 1 (6) (7) r y e bisezione α sin = 2 e prostaferesi sin α + sin β = 2 sin r α cos = 2 1 − cos α 2 α+β α−β cos 2 2 r 1 + cos α 2 cos α + cos β = 2 cos (8) α+β α−β cos 2 2 (9) Valgono, inoltre, per un qualunque triangolo, il teorema di Carnot: c2 = a2 + b2 − 2ab cos γ (10) e quello dei seni: sin α sin β sin γ = = (11) a b c dove a, b, e c sono i lati del triangolo e α, β, e γ sono gli angolo opposti ai precedenti lati. Tra angoli complementari si hanno le seguenti relazioni: sin ³π ´ − φ = cos φ cos ³π ´ + φ = cos φ cos 2 ³π ´ − φ = sin φ ³π ´ + φ = − sin φ 2 tan ◦ mentre, tra angoli che differiscono di 90 , si ha: sin 2 2 ³π 2 tan ´ − φ = cot φ (12a) ³π 2 ´ + φ = − cot φ (12b) e infine, tra angoli supplementari, si hanno le seguenti relazioni. sin (π − φ) = sin φ cos (π − φ) = − cos φ tan (π − φ) = − tan φ (12c) Alcuni valori utili delle funzioni trigonometriche. 2 1 sin 30 = 2 √ 3 cos 30◦ = 2 √ 3 ◦ tan 30 = 3 ◦ ◦ sin 0 = 0 0 cos 0 = 1 tan 0◦ = 0 cot 0◦ = ∞ √ 2 sin 45 = 2 √ 2 cos 45◦ = 2 ◦ √ cot 30◦ = 3 √ 3 sin 60 = 2 ◦ 1 cos 60 = 2 ◦ tan 45◦ = 1 √ tan 60◦ = 3 cot 45◦ = 1 √ 3 ◦ cot 60 = 3 sin 90◦ = 1 (13) ◦ cos 90 = 1 (14) tan 90◦ = ∞ (15) cot 90◦ = 0 (16) Ricordiamo che 0◦ = 0 3 30◦ = π 6 45◦ = π 4 60◦ = π 3 90◦ = π 2 Funzioni esponenziali e logaritmiche La funzione esponenziale è definita dalla seguente serie x2 x3 + + ......... 2! 3! exp (x) = 1 + x + ovvero ex = 1 + x + x2 x3 + + ......... 2! 3! (1) (2) dove ¶n µ 1 1+ ' 2.71 (3) n→∞ n è il numero di Neper. Il grafico della funzione esponenziale, per x > 0 è: e = lim y 125 100 75 50 25 0 1.25 2.5 3.75 5 x 3 Si definisce logaritmo naturale, ln x, la funzione inversa della funzione esponenziale, quindi: x = eln x (4) x = ln (ex ) (5) 1 = ln e (6) ovvero da cui segue anche che Valgono le seguenti regole: ln (xy) = ln x + ln y ln Data la relazione ³y´ x ln (xa ) = a ln x = ln y − ln x b = ax (7) (8) con a, b > 0 ed a 6= 1 , la soluzione si chiama logaritmo in base a di b: loga b = x (9) Si possono usare differenti basi, quella che usa il 10 si chiamo logaritmo decimale, log x. Si ha log 1 = 0 log 10 = 1 (10) Il legame tra il logaritmo naturale e quello decimale è il seguente. Se N è un numero positivo qualunque e si pone x = ln N N = ex → Se si prende il logaritimo decimale di entrambi i membri si ottiene: log N = log ex = x log e → x= log N log e Se si confrontano le due espressioni di x, si trova ln N = log N log N = log e 0.43 (11) Si chiama funzione logaritmica in base a, con a > 0 ed a 6= 1 , la funzione f (x) = loga x 4 (12) 4 Approssimazioni Molto utile, in varie applicazioni, è lo sviluppo della potenza di un binomio: (1 + x)n = 1 + nx + n (n − 1) 2 n (n − 1) (n − 2) x + + ................ 2! 3! (1) Usando la (1) si ottengono le seguenti approssimazioni, al primo ordine, (1 + x)n ' 1 + nx (2) √ x 1 + x = (1 + x)1/2 ' 1 + 2 (3) x 1 √ = (1 + x)−1/2 ' 1 − 2 1+x (4) da cui 5 Alcune regole di derivazione Se uno scalare k non dipende dal tempo, la sua derivata temporale è nulla: d k=0 (A.1) dt Se la dipendenza temporale di una funzione è del tipo tn , dove n è un numero intero arbitrario, allora d n t = ntn−1 dt Come caso particolare, riche: d dt t (A.2) = 1. Le derivate di alcune funzioni trigonomet- d (sin t) d (cos t) = cos t = − sin t dt dt Se k non dipende dal tempo e f(t) è una funzione di t, allora d d kf (t) = k f (t) dt dt Se f(t) e g(t) sono due funzioni di t, (A.3) (A.4) d d d [f (t) + g (t)] = f (t) + g (t) dt dt dt (A.5) d [F (g (t))] dF dg (t) = dt dg dt (A.6) Se F(g(t)), allora 5 Come applicazione di quest’ultima proprietà (derivata di funzione di funzione) consideriamo il caso di F (g (t)) = sin (ωt) dove ω non dipende dal tempo. Si trova d sin (ωt) = ω cos (ωt) dt (A.7) dg (t) df (t) d [f (t) g (t)] = f (t) + g (t) dt dt dt (A.8) db (t) da (t) d [a (t) b (t)] = a (t) + b (t) dt dt dt (A.9) db (t) da (t) d [a (t) · b (t)] = a (t) · + · b (t) dt dt dt (A.10) db (t) da (t) d [a (t) ∧ b (t)] = a (t) ∧ + ∧ b (t) dt dt dt (A.11) Inoltre 6 Serie di Taylor e Mac Laurin Se si assume che una funzione f (x) ammetta derivate fino all’ordine n, nell’intervallo (x0 , x) allora si può scrivere 2 3 (x − x0 ) 00 (x − x0 ) 000 f (x0 ) + f (x0 ) + ..... 2! 3! n−1 n (x − x0 ) (n) (x − x0 ) (1) .+ f (n−1) (x0 ) + f (σ) (n − 1)! (n)! f (x) ' f (x0 ) + (x − x0 ) f 0 (x0 ) + dove σ è un conveniente punto compreso tra x0 e x. La (1) è detta serie di Taylor di punto iniziale x0 ed il termine n (x − x0 ) (n) f (σ) (n)! è detto resto. Se si pone x0 = 0 nella (1), si ottiene la serie di Mac Laurin: f (x) ' f (0)+xf 0 (0)+ x2 00 x3 xn−1 (n−1) (x)n (n) (0)+ f (0)+ f 000 (0)+......+ f f (σ) 2! 3! (n − 1)! (n)! (2) Alcuni esempi: sin x ' x − x3 x5 x7 + − + ...... 3! 5! 7! (3) cos x ' 1 − x2 x4 x6 + − + ...... 2! 4! 6! (4) 6 ex = 1 + x + e−x = 1 − x + x2 x3 + + ........ 2! 3! x2 x3 − + ........ 2! 3! 1 = 1 + x + x2 + x3 + ...... 1−x 1 = 1 + 2x + 3x2 + 4x3 + ...... (1 − x)2 7 (5) per per (6) −1<x<1 −1<x<1 (7) (8) Sull’integrazione La risoluzione dell0 equazioni del moto comporta la necessità di ottenere le espressioni della velocità e dello spazio a partire dalle espressioni (equazioni) contenenti l’accelerazione. Molto spesso la risoluzione comporta un’operazione di integrazione. Lo scopo di questo paragrafo è di presentare l’operazione d’integrazione come un procedimento inverso rispetto al procedimento che consente di ottenere velocità ed accelerazione dal vettore posizione. L’operazione d’integrazione è affermata da un teorema che nella notazione moderna, si scrive: µZ t ¶ d f (x) dx = f (t) (B.1) dt a e si legge: la derivata (temporale) di un integrale rispetto all’estremo superiore di integrazione t(a è l’estremo inferiore di integrazione) è uguale alla funzione integranda f(x), valutata in t, cioè f(t). Stabilita l’esistenza della operazione d’integrazione, proponiamoci di vedere in che cosa consiste il calcolo di un’integrazione. Innanzitutto, non sempre, almeno in termini analitici (cioè in termini di funzioni note) è possibile effettuare un’operazione di integrazione. Essa diventa possibile quando esiste una funzione primitiva F(x) di f(x), tale che Z t f (x) dx = F (t) − F (a) (B.2) a cioè, deve esistere una funzione F(x), tale che il valore dell0 integrale (integrale definito tra a ed t) sia uguale alla differenza tra i valori della funzione negli estremi dell0 intervallo di integrazione. Dalle due ultime equazioni (teoremi!) segue, d [F (t) − F (a)] = f (t) dt ovvero, poiché F(a) non dipende da t, d F (t) = f (t) dt 7 (B.3) cioè, l’operazione di integrazione è possibile quando esiste una funzione primitiva F(t) di f(t) ed inoltre la derivata di tale primitiva è esattamente la funzione di partenza. Quando la primitiva esiste, si scrive Z f (x) dx = F (x) + A (B.4) dove A è una costante arbitraria. Il primo membro si chiama integrale indefinito di f(x). La variabile di integrazione è una variabile fittizia, nel senso che ai fini dell’integrazione si può usare un qualsiasi simbolo per indicare la variabile rispetto a cui si effettua l’integrazione. Di seguito diamo alcune espressioni di primitive di funzioni: Z tn+1 ctn = c + A (n 6= −1) (B.5) n+1 Z (B.6) t−1 dt = ln t + A (t > 0) Z Z Z ect = cos (ωt) dt = 1 sin (ωt) + A ω sin (ωt) dt = − Z Z ect + A (c 6= 0) c 1 cos (ωt) + A ω (B.7) (ω 6= 0) (ω 6= 0) tan tdt = − ln (cos t) + A Z 1 = arctan t + A 1 + t2 1 √ dt = arcsin t + A 1 − t2 Z ³ ´ p 1 √ dt = ln t + t2 − 1 + A t2 − 1 8 (B.8) (B.9) (B.10) (B.11) (B.12) (B.13)