L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove? Dagli Usa all'Europa e all'Italia: interpretazioni d’autore Recessione Opinioni a confronto na cosa, purtroppo, è certa. Sarà dura, molto dura. Le opinioni dei maggiori studiosi ed economisti, i guru del pensiero economico contemporaneo, sulla crisi che stiamo vivendo non si discostano certo dal sentore degli imprenditori e degli attori dell’economia che maggiormente vivono, nel loro lavoro quotidiano, le conseguenze di questa pesante recessione su scala globale. E tutti sembrano concordare decisamente sulla rilevanza e l’impatto assai forte che questa crisi avrà ancora per molto tempo negli anni a venire. U La crisi vista dagli Usa È questo ciò che emerge passando in rassegna le opinioni, le dichiarazioni e le valutazioni di alcuni dei principali economisti odierni. In parecchi concordano sul fatto che l’inizio della spinta verso questa crisi va fatto coincidere con l’abrogazione, nel 1999, del Glass-Steagall Act (che datava al '33), una disposizione legislativa che vietava alla banche commerciali (e alle società da esse controllate) di sottoscrivere, detenere, comprare o vendere titoli emessi da imprese private, sancendo così nei fatti una rigida separazione tra le banche commerciali e quelle di investimenti. La rimozione di questa barriera tra le due tipologie di attività ha innescato così alcune modalità perverse le cui conseguenze, col passare del tempo, sono divenute Gli imprenditori stanno vivendo in diretta tutta la durezza della crisi. Ma gli studiosi, gli economisti, i guru del pensiero economico contemporaneo quali giudizi danno della difficile situazione mondiale? E quali proposte formulano per uscirne? di Massimiliano Panarari dirompenti. E, difatti, anche Eric Maskin, professore a Princeton e premio Nobel 2007 (insieme a Leonid Hurwicz e Roger Myerson), imputa la responsabilità della crisi alla mancata regolamentazione del mercato finanziario, che è soggetto in misura assai significativa alle cosiddette esternalità, e necessita, quindi, decisamente di regole, a differenza di numerosi altri mercati in grado di funzionare bene (anzi, meglio) in loro assenza. Dunque, secondo lui, occorre introdurre un nuovo sistema di regolamentazione senza, tuttavia, eccedere: ovvero, sì a un sistema di regole capace di evitare l’innescarsi di altre involuzioni dannose o addirittura devastanti come oggi, ma evitando di spegnere quello spirito di intrapresa e di libera iniziativa che si colloca alle radici stesse del capitalismo. A suo giudizio, il governo statunitense deve agire, come sta facendo, sui mercati di credito come controllore e shareholder degli istituti bancari provati dalla congiuntura, ma, una volta ripreso il loro OUTLOOK 27 L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove? funzionamento ordinario, deve restituirne il controllo ai titolari privati. Il capitalismo, quindi, non è morto, né morirà in seguito alla crisi; il vero errore, afferma Maskin, va imputato ai decisori politici che si sono fatti travolgere da quella che chiama la «fede nella deregolamentazione» e nel laissez-faire, abolendo via via molte delle regole precedentemente in vigore. Una tesi, quella della responsabilità prevalente della politica, assai diffusa tra gli economisti, che liquidano, invece, come populistica l’idea dell’avidità sfrenata dei finanzieri e dei banchieri, puramente intenti ad assecondare la massimizzazione del profitto in assenza di controlli e di regole certe. In ogni caso, è il pensiero di Maskin, gli Stati Uniti, per quanto notevolmente indeboliti da questa crisi, resteranno ancora per parecchio tempo la prima potenza economica planetaria prima di cedere lo scettro a qualche altra nazione: l’economista di Princeton non vede, infatti, l’emergere di nessun competitor abbastanza forte da insidiarli sul serio. Nouriel Rubini (professore alla New York University, analista e consulente globale di alto livello) viene considerato la «Cassandra» del momento, poiché già due anni prima dell’esplosione della crisi dei mutui subprime, aveva ripetutamente evocato il rischio della vigilia di un nuovo Ventinove. Le sue ricette per superare la crisi sono la nazionalizzazione di talune banche e la ricapitalizzazione del Fondo monetario internazionale da utilizzare per la stabilizzazione dei Paesi in maggiore difficoltà, insieme a un coordinamento più intenso tra gli attori del sistema economico internazionale, tra cui, per l’appunto, il Fmi e il Financial Stability Forum (emanazione del G7, presieduto dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi). Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia 2008, docente di Economia e relazioni internazionali all’Università di Princeton, e capofila degli economisti di impostazione liberal e neokeynesiana (che nel 1999 si era già occupato delle crisi esplose in Asia e America latina), ha, in merito, una posizione sempre più radicale. La sua tesi è quella del ritorno allo spirito del New Deal, le politiche di protezione sociale fatte approvare dal celebre presidente Franklin Delano Roosevelt proprio per contrastare e rimettere in piedi il Paese durante il periodo della Grande Depressione, la cui influenza si è protratta fino a tutti gli anni Sessanta del Novecento. Krugman sostiene tradizionalmente che la spina dorsale della Eric Maskin Nouriel Rubini Ben Bernanke docente alla Princeton University Secondo il Nobel all’Economia 2007 la crisi è frutto della mancata regolamentazione del mercato finanziario: il governo statunitense deve agire come controllore e shareholder degli istituti bancari, ma, una volta ripreso il loro funzionamento ordinario, deve restituirne il controllo ai titolari privati docente alla New York University Considerato una «Cassandra» perché prima della crisi dei mutui subprime aveva evocato il rischio di un nuovo Ventinove. Le soluzioni anti-recessione? Nazionalizzazione di alcune banche e ricapitalizzazione del Fondo monetario presidente della Federal Reserve Voce ottimistica e in controtendenza: una volta stabilizzati definitivamente i mercati, dal 2010 dovrebbe cominciare il rallentamento della crisi, seppur con un tasso elevato di disoccupazione, in particolare negli Usa, dove potrebbe arrivare a oltre il 10% 28 OUTLOOK nazione americana coincide con la middle class, le sue classi medie, le autentiche protagoniste della forza degli Usa, produttrici di benessere per tutto il Paese, animate dalla convinzione profonda, come ha sempre previsto il «sogno americano», che il duro lavoro e l’impegno consentano davvero di migliorare la propria condizione socioeconomica di partenza. Ma gli anni del neoliberismo di Reagan e di Bush, nota l’economista, hanno bloccato l’ascensore sociale e interrotto la possibilità di ascesa per tantissimi, aumentando a dismisura le disparità e le disuguaglianze, e stremando, per l’appunto, quella classe media da cui dipendono, in ultima istanza, il tenore di vita e la ricchezza complessiva degli americani. Una sorta di ritorno alle ineguaglianze della fine dell’Ottocento, al punto che (dato del 2005), le politiche monetariste, di supply-side e neoliberali applicate dai repubblicani hanno prodotto risultati eccessivi, concentrando il 44,3 per cento della ricchezza del Paese nelle mani di una minoranza di ricchi (il 10 per cento della popolazione) e un altro 17,4 per cento in quelle di un 1 per cento di ricchissimi. Tra «Cassandre» e ottimisti Molte delle idee lanciate da Barack Obama sono state elaborate (o sono state sottoscritte) da Krugman, ma ora stanno emergendo tutte le sue critiche nei confronti del piano di stimoli economici della presidenza, accusato di non essere all’altezza della drammaticità della fase attuale (visione condivisa dall’oggi ultranovantenne premio Nobel Paul Samuelson che fu consigliere di Kennedy). Una bocciatura quasi senza appello; da un lato, l’economista liberal trova la manovra Obama ancora largamente inadeguata sotto il profilo delle risorse, col rischio di perdere un trilione di dollari rispetto al potenziale produttivo dell’economia Usa e, dall’altro, contesta la decisione governativa di intervenire sulla leva fiscale con sgravi amplissimi (per il 95 per cento della popolazione), anziché aumentare la spesa pubblica (che, secondo i suoi calcoli, moltiplica ogni dollaro investito su di essa in 1,50 dollari di incremento del Pil), corrispondente solamente al 60 per cento degli interventi deliberati. Il suo orientamento è favorevole alla nazionalizzazione (provvisoria) di certe banche disastrate per procedere alla loro ristrutturazione: una posizione condivisa, fino ad oggi in maniera non sospettabile, da Alan Greenspan, ex presidente della Federal Reserve (dal 1987 al 2006), da sempre inflessibile alfiere dei mercati liberi e non regolamentati. Secondo Krugman, per ogni investimento di 200 miliardi di dollari si ottiene un incremento dell’occupazione pari all’1 per cento. L’economia Usa perde 600mila occupati al mese e raggiungerà alla fine del 2009 un tasso di disoccupazione del 9-10 per cento. Le previsioni di Krugman sono terribili per l’anno in corso, mentre si dichiara motivatamente fiducioso per il 2010. Dopo i risultati delle politiche neoliberali dei precedenti governi, ci si aspettava molto dal neo presidente. Ma a pochi mesi dall’ingresso di Barack Obama alla Casa Bianca, nel suo esecutivo emergono divergenze che rischiano di rendere meno incisiva l’azione del governo OUTLOOK 29 L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove? L’ex banchiere e avvocato d’affari Charles R. Morris (autore del libro «Crack», edito da Elliot, 2009; testo lodato da «The Economist») attribuisce, come vari altri, la responsabilità primaria della crisi attuale alla stagione di Greenspan, che aveva deciso di supportare massicciamente l’economia del «dopo 11 settembre» con un periodo prolungato di bassi tassi di interesse. Il mix di ingegnerizzazione spinta della finanza e di deregulation dei mercati, unite al basso costo del denaro per le banche, ha così prodotto l’esplosione della bolla speculativa e la crisi dei mutui subprime. Secondo Morris la recessione dovrebbe durare almeno un biennio, trascinando il dollaro in una condizione permanente di debolezza e certificando il declino degli Stati Uniti come potenza egemone del sistema delle relazioni internazionali. Il contributo italiano Alberto Alesina (docente a Harvard) e Francesco Giavazzi (professore all’università Bocconi e al Mit di Boston) si sono caratterizzati all’interno del dibattito culturale ed economico italiano per le loro posizioni liberiste e nettamente a favore dell’apertura dei mercati e delle liberalizzazioni, e quali sostenitori degli effetti positivi della globalizzazione e degli scambi commerciali internazionali (nonché dell’introduzione di massicce dosi di meritocrazia nel nostro sistema-Paese). In un loro recente libro («La crisi», edito da Il Saggiatore, 2009), insistono sull’idea della crisi quale apertura di possibilità e potenzialità, e non solamente momento negativo, in continuità con la visione del capitalismo come processo di continua «distruzione creatrice» resa celebre da uno dei maggiori economisti del XX secolo, l’austriaco Joseph Schumpeter. L’invito è a evitare di farsi travolgere dalle tentazioni del protezionismo e dello statalismo e a rifuggire dal populismo (a loro giudizio, pseudo-rimedi che finirebbero per risultare peggiori del male da curare), mentre le ricette che propongono consistono nell’obbligo per le banche di detenere un maggior quantitativo di capitale, inducendo così le operazioni più fortemente speculative, da interdire agli istituti bancari, a «migrare» verso gli hedge funds, nella regolamentazione delle agenzie di rating e nell’allineamento della retribuzione (e specialmente degli incentivi) del management ai rischi effettivi da loro fatti assumere agli istituti creditizi. Nel cuore del terremoto, gli Stati Uniti, il presidente Barack Obama ha chiamato al governo alcuni dei più Paul Krugman Josè Barroso Mario Draghi docente alla Princeton University Per il Nobel all’Economia 2008 la risposta alla crisi è il ritorno allo spirito del New Deal. Ma la manovra economica di Obama è ancora inadeguata e pessima la decisione di intervenire sulla leva fiscale con sgravi amplissimi anziché aumentare la spesa pubblica che moltiplica ogni dollaro investito in 1,50 dollari di incremento del Pil presidente della Commissione Ue Nessuno è in grado di stabilire con precisione la durata e tutte le implicazioni future della crisi: il cuore del problema sta nella revisione delle regole contabili e nel rafforzamento della vigilanza Governatore della Banca d’Italia Ribadisce con forza l’esigenza di fare ripartire il credito all’economia e di non innalzare i requisiti minimi di capitale per le banche in questa fase di difficoltà. La sua valutazione è che la recessione proseguirà in modo significativo per la durata di tutto il 2009 30 OUTLOOK L'opinione | Pier Luigi Celli: non sprechiamo la crisi a crisi è una fase di disagio e sofferenza, ma, come in tutti i momenti di grande cambiamento, si possono anche aprire quelle che gli anglosassoni sono soliti chiamare «finestre di opportunità». Ecco cosa pensa al riguardo Pier Luigi Celli, noto manager di lungo corso (dall’Olivetti sino alla Rai e Unicredit), attualmente amministratore delegato e direttore generale dell’Università Luiss. «Ci sono vari modi per attraversare i momenti di difficoltà», spiega Celli, «anche quelli che si presentano con i tratti di una crisi apparentemente violenta. Il più sbagliato è annaspare per cercare una soluzione qualsiasi, pur di tamponare il vuoto che sembra crescere L intorno alle nostre certezze. L’ansia è una cattiva consigliera: non vede. Ma non è semplicemente che non vede soluzioni o risposte, impedisce, purtroppo, di inquadrare il problema nella sua complessità, di definirlo correttamente. Per trovare i rimedi bisogna avere coscienza piena dei guai e riuscire a razionalizzarli, per quanto possibile. È per questo che, nella situazione che stiamo vivendo, serve di più fermarsi a riflettere: cercare interlocutori credibili, mettere a fuoco i termini del problema, tentare di collocarsi rispetto all’andamento generale del mercato, dell’economia e del lavoro. Soprattutto, rendersi conto che le crisi, quando non passeg- celebrati «cervelli» dell’economia e del mondo accademico per cercare di traghettare il Paese fuori dall’emergenza. E, tuttavia, si stanno palesando tra di loro alcune divergenze che rendono meno incisiva l’azione dell’esecutivo in un momento in cui la coesione e la tempestività delle decisioni risultano chiaramente determinanti. In special modo, si rivelano significative le diversità di vedute tra il ministro del Tesoro, Timothy Geithner, e il presidente del National Economic Council (ovvero, il primo, influentissimo, consigliere economico del presidente, già ministro di Clinton e rettore dell’ateneo di Harvard), Larry Summers. Geithner continua a opporsi duramente a qualsiasi ipotesi di nazionalizzazione delle banche, mentre Summers è apparso recentemente sempre più possibilista. Si aggiunge poi la questione della reintroduzione o del ritorno al Glass-Steagall Act, che vede decisamente favorevole un altro dei consiglieri economici di Obama, Paul Volcker (già a capo della Federal Reserve durante gli anni della presidenza di Bill Clinton) e contrario Geithner, mentre Summers non ha ancora preso al riguardo una posizione pubblica. Una voce ottimistica, e piuttosto in controtendenza, è quella di Ben Bernanke, presidente in carica della Fed, secondo cui il rischio di depressione (di cui si intravedevano le avvisaglie nell’ottobre del 2008) sarebbe stato effettivamente scongiurato e, una volta conseguita la definitiva stabilizzazione dei mercati, con l’inizio dell’an- gere o congiunturali, ristrutturano tutto il campo delle variabili in gioco, per cui è possibile che cambino anche le regole con cui si deve operare. È quasi certo che dalle grandi difficoltà del momento, se si vuole uscire senza decidere definitivamente, sia necessario pensare in modo nuovo e creativo. Questo vuol dire, se ci si mette dal punto di vista dei ragazzi che si apprestano ad entrare nel mercato del lavoro in un momento in cui questo ha perso gran parte delle proprie certezze, che il tipo di insegnamento deve modificarsi: puntare sulla commistione anticipata con esperienze di assunzione diretta di responsabilità anche minima, sullo sviluppo di una disponibilità all’imprenditorialità personale e di gruppo, e quindi sulla capacità di affrontare condizioni di rischio che abilitano alla produzione di soluzioni, alla generazione di idee, alla propensione a negoziare e a far valere le proprie ragioni. Le crisi sono spesso benefiche. Bisogna farne un buon uso, e non sprecarle semplicemente deprecandole». no prossimo dovrebbe finalmente cominciare il rallentamento della crisi (seppur con un tasso elevato di disoccupazione, in particolare negli Stati Uniti, dove potrebbe arrivare a superare il 10 per cento). Le preoccupazioni dell'Europa Venendo al Vecchio continente, aleggia sempre, a giudizio di vari economisti, un rischio default di alcune economie dell’Est Europa che continuano a rimanere nettamente più deboli di quelle occidentali, alle prese, a loro volta, con un «problema dissanguamento». La Banca centrale europea di Francoforte (Ecb) segnala infatti, nel proprio Bollettino ufficiale, un «diffuso deterioramento» dei conti pubblici delle nazioni di Eurolandia, determinato dalle ingenti risorse stanziate per i piani anti-crisi. In particolare, per quanto concerne l’Italia, la previsione è che il nostro Paese non rispetterà nel 2009, e neppure nel 2010, il parametro del 3 per cento del deficit-Pil. Intanto, i calcoli dell’Istat sul Pil nel quarto trimestre 2008 rilevano un –1,9 per cento rispetto ai mesi precedenti e addirittura un –2,9 per cento in rapporto allo stesso periodo del 2007: una flessione così massiccia non si aveva dagli anni Settanta. E, ancora, l’esposizione del nostro sistema bancario al settembre scorso (dati Bri-Banca dei regolamenti internazionali) consisteva in cinque miliardi di euro, cioè il 5 per cento del totale dell’attivo, e risulta concentrata in buona parte in cinque nazioni dell’Europa orientale OUTLOOK 31 L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove? Azioni | Le risposte dei governi stranieri Stati Uniti Germania I più rapidi nel predisporre misure anticrisi sono stati gli Usa, epicentro della crisi, anche se alcuni osservatori mettono in evidenza, fino ad ora, una loro ridotta efficacia, a causa del contrasto di vedute tra le diverse figure chiamate a decidere le linee di politica economica: centinaia di miliardi di dollari sono stati spesi per salvare banche e assicurazioni, mentre lo Stimulus Bill (che contiene anche la misura, piuttosto controversa, del buy american) prevede una serie di politiche di spesa pubblica (di tipo sostanzialmente keynesiano) di rilancio e riassetto delle infrastrutture, di investimento su scuola ed educazione e di interventi per sviluppare un’«economia ecologica» e un «capitalismo verde». La Germania, prima potenza industriale del continente, ha iniziato con un «ombrello» anti-crisi di 480 miliardi di euro per il salvataggio delle banche, quindi ha approvato un primo «pacchetto congiuntura» dell’ammontare di 61 miliardi da investire sino al 2010 in sgravi fiscali (compresi gli incentivi per le rottamazioni) e infrastrutture. A febbraio è partito il secondo «pacchetto-congiuntura» del valore di 50 miliardi con l’incremento del sussidio di disoccupazione, il taglio della tassazione per i redditi più bassi, l’ampliamento della no-tax area e l’introduzione del bonus-bebé. Gran Bretagna La Gran Bretagna ha deciso di affrontare i dissesti delle banche attraverso il Banking Act 2009, che prevede tre modalità operative: passaggio della banca insolvente a un privato oppure a una «banca ponte» o, ancora, in via temporanea, allo Stato. Sono stati stanziati 40 miliardi di euro per gli interventi di salvataggio delle banche, è stata abbassata l’Iva ed è stata introdotta una tassazione extra per i redditi più elevati. Francia La Francia ha concentrato il suo intervento sul comparto dell’auto e ha stanziato dieci miliardi di euro in anticipazioni sui rimborsi fiscali per fare fronte alla crisi di liquidità di cui stanno soffrendo le aziende. Spagna La Spagna ha destinato, in primis, 200 milioni di euro per il settore auto e, poi, ulteriori risorse agli enti locali, con l'obiettivo di creare maggiore occupazione. Mario Monti Giulio Tremonti Alberto Alesina presidente dell’Università Bocconi Sono deleterie le chiusure nazionali e le tendenze protezionistiche. La cattiva governance dell’economia americana inciderà sfavorevolmente sulla capacità degli Usa di esercitare ancora una leadership. Misure efficaci? Liberalizzazioni e idonei strumenti di disciplina pubblica sui mercati liberalizzati ministro dell’Economia Ha dato vita agli «Osservatori per il credito alle imprese», coordinati dai prefetti. Si è pronunciato per una vigilanza sistemica delle banche europee da attribuire alla Bce. Ha varato i «Tremonti bond». Sostiene che bisogna evitare il panico, ingigantito colpevolmente dai mass media, e che la crisi può costituire un’importante opportunità docente alla Harvard University 32 OUTLOOK Francesco Giavazzi docente alla Bocconi e al Mit di Boston La situazione attuale può aprire nuove possibilità e potenzialità. Le ricette per il futuro? Obbligare le banche a detenere più capitale; regolamentare le agenzie di rating; allineare la retribuzione del management Quanto vale la crisi Classifica in base alla % del Pil destinata ai piani antirecessione (Ungheria, Russia, Polonia, Croazia e Slovacchia). Stati Uniti ed Europa divergono sulle ricette per affrontare la recessione. I primi insistono sugli stimoli economici e sulle risorse (tra pacchetto Stimulus e Omnibus hanno già varato piani di aiuti per una cifra pari a 1200 miliardi di dollari), chiedendo agli europei di seguire la stessa strada. Le nazioni europee e la Commissione ritengono invece che il punto decisivo sia quello della governance e che gli Usa debbano accettare un sistema di regolazione globale reale dei mercati finanziari. Se lo stesso Krugman accusa l’Europa di eccessive titubanze e la Banca centrale di Francoforte di scarsa lungimiranza e di lungaggini nel tagliare i tassi di interesse, la risposta europea insiste sulla differenza tra i due casi e sulla presenza nel nostro continente di ammortizzatori sociali, inesistenti negli Usa, che hanno effetti reali sull’economia. Oltre ai piani discrezionali dei vari governi europei (pari a circa 180 miliardi di euro), vanno conteggiati anche i 200 miliardi di «stabilizzatori automatici», gli incrementi di spesa per cassa integrazione, sussidi di disoccupazione e ammortizzatori a beneficio del mercato del lavoro, arrivando così alla percentuale totale del 3,3 per cento del Pil europeo. Josè Barroso, presidente della Commissione Ue, ha ripetutamente dichiarato che nessuno è in grado di stabilire con precisione la durata e tutte le implicazioni future di questa crisi, e che il cuore del problema coincide con la revisione delle regole contabili e col rafforzamento della vigilanza (oggetto del «rapporto de Larosière», da cui si è detto però deluso il consigliere esecutivo Bce Lorenzo Bini Smaghi, fautore di un allargamento dei poteri della Banca centrale di Francoforte in materia di vigilanza bancaria, tale da allinearli a quelli della Fed). E, allora, chi ci salverà dalla crisi? Il quotidiano britannico «Financial Times», una delle bibbie dell’economia globalizzata, stila l’elenco delle 50 personalità che, per le loro caratteristiche e la loro influenza sui processi decisionali, possono traghettare il mondo fuori dalla catastrofica congiuntura odierna. Oltre alle figure di maggiore spicco del governo americano che affiancano Obama (tra cui anche il ministro dell’Energia, lo scienziato Steven Chu), si trovano una sfilza di banchieri centrali, accanto a quelli della Bce (Jean-Claude Trichet) e della Fed (Bernanke), Stati Uniti Debito pubblico in % del Pil 2008 Incentivi in miliardi di $ Incentivi in % del Pil 2008 60,8 787,0 5,9 Cina Debito pubblico in % del Pil 2008 Incentivi in miliardi di $ Incentivi in % del Pil 2008 15,7 204,3 4,8 Spagna Debito pubblico in % del Pil 2008 Incentivi in miliardi di $ Incentivi in % del Pil 2008 38,5 75,3 4,5 Germania Debito pubblico in % del Pil 2008 Incentivi in miliardi di $ Incentivi in % del Pil 2008 62,6 130,4 3,4 Giappone Debito pubblico in % del Pil 2008 Incentivi in miliardi di $ Incentivi in % del Pil 2008 170,4 104,4 2,2 Regno Unito Debito pubblico in % del Pil 2008 Incentivi in miliardi di $ Incentivi in % del Pil 2008 47,2 40,8 1,5 Francia Debito pubblico in % del Pil 2008 Incentivi in miliardi di $ Incentivi in % del Pil 2008 64,4 20,5 0,7 Tutti i governi del mondo sono alle prese con lo tsunami che ha investito l'economia. E tutti hanno iniziato a mettere in campo misure per contrastare la forza della recessione, che mette in discussione posti di lavoro, attività imprenditoriali e produzione. Nell'elenco dei principali Paesi si pone in evidenza quanto vale il debito pubblico in rapporto al Pil nazionale, la quantità di finanziamenti anti-crisi stanziati e il valore di questi incentivi rispetto al Prodotto interno lordo India Debito pubblico in % del Pil 2008 Incentivi in miliardi di $ Incentivi in % del Pil 2008 59,0 6,5 0,5 Italia Debito pubblico in % del Pil 2008 Incentivi in miliardi di $ Incentivi in % del Pil 2008 103,7 7,0 0,3 OUTLOOK 33 L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove? Previsioni | Essere pronti per quando l'economia ripartirà Penso che le misure di politica ecouali sono le valutazioni sulle pronomica adottate (politiche espansispettive e sulle caratteristiche ve di riduzione delle imposte e di della crisi di Confindustria? Lo abbiaincremento della spesa pubblica) mo chiesto a Luca Paolazzi, direttore nonché la riduzione dei prezzi delle del Centro Studi di viale materie prime e del petrolio, la dell'Astronomia: «A ben guardare, la discesa dell’inflazione e la riduziocrisi attuale, per quanto violenta e ne dei tassi di interesse siano eleintensa si riveli, presenta al proprio menti che operano tutti verso interno alcuni elementi che possiamo Luca Paolazzi, considerare contro natura rispetto alle l’espansione, ma ovviamente direttore del dinamiche consuete che accomparichiederanno tempo per dispiegare Centro Studi gnano questo tipo di fenomeni econoappieno la loro efficacia». Confindustria «Noi immaginiamo che l’economia mici». «La nostra opinione», commenta Paolazzi, «è che la contrazione della domanda reale possa uscire dalla crisi verso la seconda cui assistiamo non possa essere durevole. metà di quest’anno», afferma il direttore del Siamo in presenza di una componente di com- Centro studi di Confindustria. «Naturalmente, pressione dal lato della domanda, come pure con un’avvertenza: la precondizione perché ciò della produzione, con un meccanismo di decu- avvenga è che il sistema del credito torni rapimulo molto brusco delle scorte che, non appena damente a un funzionamento in modo quasi ritornerà la fiducia tra gli attori economici, regolare. Gli interventi degli Stati vanno in quedovrebbe far rimbalzare il sistema economico. sta direzione, contenendo le ripercussioni della Q come il cinese Zhou Xiaochuan, il giapponese Masaaki Shirakawa; il solo italiano della lista è Mario Draghi. I nuovi scenari e l'Italia E in Italia? Draghi ribadisce con forza l’esigenza di fare ripartire il credito all’economia e di non innalzare i requisiti minimi di capitale per le banche in questa fase di difficoltà. Insieme all’Fmi, dalla sua posizione di presidente del Financial Stability Forum (che ricomprende di fatto tutti i componenti del G20), sta predisponendo un sistema di early warning, una sorta di «antenna» volta a individuare in anticipo i segnali delle crisi e annuncia per giugno le istruzioni della Banca d’Italia (prima autorità monetaria a farlo nel mondo) sulle remunerazioni dei banchieri che dovranno avere un «corretto bilanciamento» tra parte fissa e variabile e, per quanto concerne i bonus, dovranno introdurre parametri legati ai risultati ottenuti nell’arco di più esercizi. Il governatore ritiene, inoltre, utile che vengano corretti gli svantaggi fiscali penalizzanti le banche nazionali e insiste affinché le amministrazioni pubbliche accelerino il saldo dei pagamenti in sospeso con le aziende private, oggetto di una dilazione che affatica fortemente il nostro sistema 34 OUTLOOK riduzione della leva in termini significativi. E ciò che è stato fatto dal governo italiano, come ha notato la presidente Marcegaglia, vanno nella giusta direzione, dai Tremonti bond al Fondo di garanzia a favore del credito per le piccole e medie imprese alla dimostrazione di buona volontà nell’accelerare i pagamenti delle pubbliche amministrazioni alle infrastrutture». Ma per Paolazzi non è ancora sufficiente a fronte dell’intensità della crisi: «Occorre sostenere la patrimonializzazione delle imprese e incentivare gli investimenti. Sul piano quantitativo, la nostra preoccupazione è che le misure varate non siano sufficienti per sostenere l’impatto con le difficoltà attuali. Per quanto concerne gli ammortizzatori sociali, bisogna, infatti, capire in quanto consistano le risorse di cassa e in quanto quelle di competenza. E ancora, come noto, le disposizioni vigenti configurano la Cassa integrazione ordinaria come una misura solo temporanea, a fronte di una gravità della congiuntura che richiede un suo significativo prolungamento. Altrimenti le imprese rischiano di perdere in via definitiva quelle risorse umane che si riveleranno fondamentali al momento della ripresa dell’economia». imprenditoriale. La sua valutazione è che la recessione proseguirà in modo significativo per la durata di tutto il 2009. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti (già autore del libro best-seller «La paura e la speranza», edito da Mondadori, nel quale avanza una marcata critica della globalizzazione cosiddetta «mercatista») ha posizioni che, non di rado, differiscono da quelle del governatore Draghi. Contro il razionamento del credito ha dato vita all’operazione «Osservatori per il credito alle imprese», coordinati dai prefetti e si è pronunciato per una vigilanza sistemica delle banche europee da attribuire alla Bce. Per stimolare la ripresa dell’economia e della produzione italiane, il ministro ha varato i «Tremonti bond», che dovrebbero sortire un effetto leva per le imprese. La tesi del ministro è che bisogna evitare il panico, ingigantito colpevolmente, a suo giudizio, dai mass media di tutto il globo, e che la crisi può costituire un’importante opportunità di innovazione e progresso tecnologico. Tremonti sostiene che gli Stati sarebbero dovuti entrare più prontamente e da prima nel capitale degli istituti di credito, evitando così il prodursi dei crack, e che gli interventi delle altre nazioni contro la crisi hanno portato a una L’approfondimento maggiore concorrenza sul mercato dei titoli pubblici, con esiti positivi per l’Italia. Insieme ad Alesina e Giavazzi, anche Stefano Micossi, Tito Boeri e il rettore dell’Università Bocconi Guido Tabellini hanno sottoscritto (con vari economisti internazionali) l’appello (lanciato sul sito de «La voce.info») «La crisi finanziaria europea»: un invito ad agire, nel quale, rimarcando come le crisi non abbiano una natura e un decorso prevedibili, ma risentano fortissimamente di componenti psicologiche (come il panico) e di effetti a catena non pianificabili, suggeriscono la ricapitalizzazione del settore bancario mediante l’iniezione di fondi pubblici o la conversione obbligatoria del debito in capitale azionario e una regolamentazione adeguata a livello europeo dei mercati finanziari e delle banche. Mario Monti, presidente della Bocconi (e già stimato commissario europeo), invita a evitare chiusure nazionali e tendenze protezionistiche e segnala come la cattiva governance dell’economia americana (con i gravi effetti generati dall’espansione monetaria dell’epoca Greenspan) inciderà sfavorevolmente sulla capacità futura degli Usa di esercitare ancora una leadership nella promozione dell’economia di mercato. La linea di condotta corretta, a suo giudizio, doveva consistere nell’introduzione, al tempo stesso e parallelamente, di liberalizzazioni e idonei strumenti di disciplina pubblica sui mercati liberalizzati. Una considerazione da applicare con qualche avvertenza speciale all’Italia, nel cui caso, sottolinea Monti, l’insufficienza e il ritardo di vari settori rispetto al mercato impongono di far sì che una maggiore rilevanza dello Stato, in questa fase ritenuta necessaria, si accompagni all’impegno a far crescere l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e a evitare qualunque arbitrarietà o discrezionalità che già fanno da deterrente alla crescita dell’attrattività del nostro Paese nei confronti degli investitori internazionali. Lunghezza 12 m. Larghezza 2,5 m. Peso 15.000 kg. Al sicuro nelle nostre casse. INDUSTRIE IMBALLAGGI CHIMAR - SpA - Limidi di Soliera (MO) Via Archimede, 175 Tel. 059 8579611 - Fax. 059 858095 www.chimarimballaggi.it [email protected] PEFC/18-31-89 Certificazione UNI EN ISO 9001:2000 N. 50 100 5128