Opinioni a confronto - Confindustria Modena

L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove?
Dagli Usa all'Europa e all'Italia: interpretazioni d’autore
Recessione
Opinioni
a confronto
na cosa, purtroppo, è certa. Sarà
dura, molto dura. Le opinioni dei
maggiori studiosi ed economisti, i
guru del pensiero economico contemporaneo, sulla crisi che stiamo vivendo non si
discostano certo dal sentore degli imprenditori e degli attori dell’economia che maggiormente vivono, nel loro lavoro quotidiano, le
conseguenze di questa pesante recessione su
scala globale. E tutti sembrano concordare
decisamente sulla rilevanza e l’impatto assai
forte che questa crisi avrà ancora per molto
tempo negli anni a venire.
U
La crisi vista dagli Usa
È questo ciò che emerge passando in rassegna le opinioni, le dichiarazioni e le valutazioni di alcuni dei principali economisti
odierni. In parecchi concordano sul fatto che
l’inizio della spinta verso questa crisi va fatto
coincidere con l’abrogazione, nel 1999, del
Glass-Steagall Act (che datava al '33), una
disposizione legislativa che vietava alla banche commerciali (e alle società da esse controllate) di sottoscrivere, detenere, comprare
o vendere titoli emessi da imprese private,
sancendo così nei fatti una rigida separazione tra le banche commerciali e quelle di investimenti. La rimozione di questa barriera tra
le due tipologie di attività ha innescato così
alcune modalità perverse le cui conseguenze, col passare del tempo, sono divenute
Gli imprenditori stanno vivendo in diretta tutta la durezza
della crisi. Ma gli studiosi, gli economisti, i guru
del pensiero economico contemporaneo quali giudizi
danno della difficile situazione mondiale?
E quali proposte formulano per uscirne?
di Massimiliano Panarari
dirompenti. E, difatti, anche Eric Maskin,
professore a Princeton e premio Nobel 2007
(insieme a Leonid Hurwicz e Roger
Myerson), imputa la responsabilità della
crisi alla mancata regolamentazione del
mercato finanziario, che è soggetto in misura
assai significativa alle cosiddette esternalità, e necessita, quindi, decisamente di regole,
a differenza di numerosi altri mercati in
grado di funzionare bene (anzi, meglio) in
loro assenza. Dunque, secondo lui, occorre
introdurre un nuovo sistema di regolamentazione senza, tuttavia, eccedere: ovvero, sì a
un sistema di regole capace di evitare l’innescarsi di altre involuzioni dannose o addirittura devastanti come oggi, ma evitando di
spegnere quello spirito di intrapresa e di
libera iniziativa che si colloca alle radici stesse del capitalismo. A suo giudizio, il governo
statunitense deve agire, come sta facendo,
sui mercati di credito come controllore e shareholder degli istituti bancari provati dalla
congiuntura, ma, una volta ripreso il loro
OUTLOOK 27
L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove?
funzionamento ordinario, deve restituirne il controllo ai
titolari privati. Il capitalismo, quindi, non è morto, né
morirà in seguito alla crisi; il vero errore, afferma
Maskin, va imputato ai decisori politici che si sono fatti
travolgere da quella che chiama la «fede nella deregolamentazione» e nel laissez-faire, abolendo via via molte
delle regole precedentemente in vigore.
Una tesi, quella della responsabilità prevalente della
politica, assai diffusa tra gli economisti, che liquidano,
invece, come populistica l’idea dell’avidità sfrenata dei
finanzieri e dei banchieri, puramente intenti ad assecondare la massimizzazione del profitto in assenza di controlli e di regole certe. In ogni caso, è il pensiero di
Maskin, gli Stati Uniti, per quanto notevolmente indeboliti da questa crisi, resteranno ancora per parecchio
tempo la prima potenza economica planetaria prima di
cedere lo scettro a qualche altra nazione: l’economista di
Princeton non vede, infatti, l’emergere di nessun competitor abbastanza forte da insidiarli sul serio.
Nouriel Rubini (professore alla New York University,
analista e consulente globale di alto livello) viene considerato la «Cassandra» del momento, poiché già due anni
prima dell’esplosione della crisi dei mutui subprime,
aveva ripetutamente evocato il rischio della vigilia di un
nuovo Ventinove. Le sue ricette per superare la crisi sono
la nazionalizzazione di talune banche e la ricapitalizzazione del Fondo monetario internazionale da utilizzare
per la stabilizzazione dei Paesi in maggiore difficoltà,
insieme a un coordinamento più intenso tra gli attori del
sistema economico internazionale, tra cui, per l’appunto,
il Fmi e il Financial Stability Forum (emanazione del G7, presieduto dal governatore della Banca d’Italia Mario
Draghi).
Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia 2008,
docente di Economia e relazioni internazionali
all’Università di Princeton, e capofila degli economisti di
impostazione liberal e neokeynesiana (che nel 1999 si
era già occupato delle crisi esplose in Asia e America latina), ha, in merito, una posizione sempre più radicale. La
sua tesi è quella del ritorno allo spirito del New Deal, le
politiche di protezione sociale fatte approvare dal celebre
presidente Franklin Delano Roosevelt proprio per contrastare e rimettere in piedi il Paese durante il periodo
della Grande Depressione, la cui influenza si è protratta
fino a tutti gli anni Sessanta del Novecento. Krugman
sostiene tradizionalmente che la spina dorsale della
Eric Maskin
Nouriel Rubini
Ben Bernanke
docente
alla Princeton University
Secondo il Nobel all’Economia
2007 la crisi è frutto della
mancata regolamentazione del
mercato finanziario: il governo
statunitense deve agire come
controllore e shareholder degli
istituti bancari, ma, una volta
ripreso il loro funzionamento
ordinario, deve restituirne il
controllo ai titolari privati
docente
alla New York University
Considerato una «Cassandra»
perché prima della crisi dei
mutui subprime aveva evocato
il rischio di un nuovo Ventinove.
Le soluzioni anti-recessione?
Nazionalizzazione di alcune
banche e ricapitalizzazione del
Fondo monetario
presidente
della Federal Reserve
Voce ottimistica e in controtendenza: una volta stabilizzati
definitivamente i mercati, dal
2010 dovrebbe cominciare il
rallentamento della crisi,
seppur con un tasso elevato di
disoccupazione, in particolare
negli Usa, dove potrebbe
arrivare a oltre il 10%
28 OUTLOOK
nazione americana coincide con la middle class, le sue
classi medie, le autentiche protagoniste della forza degli
Usa, produttrici di benessere per tutto il Paese, animate
dalla convinzione profonda, come ha sempre previsto il
«sogno americano», che il duro lavoro e l’impegno consentano davvero di migliorare la propria condizione socioeconomica di partenza. Ma gli anni del neoliberismo di
Reagan e di Bush, nota l’economista, hanno bloccato
l’ascensore sociale e interrotto la possibilità di ascesa per
tantissimi, aumentando a dismisura le disparità e le
disuguaglianze, e stremando, per l’appunto, quella classe media da cui dipendono, in ultima istanza, il tenore di
vita e la ricchezza complessiva degli americani. Una
sorta di ritorno alle ineguaglianze della fine
dell’Ottocento, al punto che (dato del 2005), le politiche
monetariste, di supply-side e neoliberali applicate dai
repubblicani hanno prodotto risultati eccessivi, concentrando il 44,3 per cento della ricchezza del Paese nelle
mani di una minoranza di ricchi (il 10 per cento della
popolazione) e un altro 17,4 per cento in quelle di un 1 per
cento di ricchissimi.
Tra «Cassandre» e ottimisti
Molte delle idee lanciate da Barack Obama sono state
elaborate (o sono state sottoscritte) da Krugman, ma ora
stanno emergendo tutte le sue critiche nei confronti del
piano di stimoli economici della presidenza, accusato di
non essere all’altezza della drammaticità della fase
attuale (visione condivisa dall’oggi ultranovantenne premio Nobel Paul Samuelson che fu consigliere di
Kennedy). Una bocciatura quasi senza appello; da un
lato, l’economista liberal trova la manovra Obama ancora largamente inadeguata sotto il profilo delle risorse, col
rischio di perdere un trilione di dollari rispetto al potenziale produttivo dell’economia Usa e, dall’altro, contesta
la decisione governativa di intervenire sulla leva fiscale
con sgravi amplissimi (per il 95 per cento della popolazione), anziché aumentare la spesa pubblica (che, secondo i
suoi calcoli, moltiplica ogni dollaro investito su di essa in
1,50 dollari di incremento del Pil), corrispondente solamente al 60 per cento degli interventi deliberati. Il suo
orientamento è favorevole alla nazionalizzazione (provvisoria) di certe banche disastrate per procedere alla loro
ristrutturazione: una posizione condivisa, fino ad oggi in
maniera non sospettabile, da Alan Greenspan, ex presidente della Federal Reserve (dal 1987 al 2006), da sempre inflessibile alfiere dei mercati liberi e non regolamentati. Secondo Krugman, per ogni investimento di 200
miliardi di dollari si ottiene un incremento dell’occupazione pari all’1 per cento. L’economia Usa perde 600mila
occupati al mese e raggiungerà alla fine del 2009 un
tasso di disoccupazione del 9-10 per cento. Le previsioni
di Krugman sono terribili per l’anno in corso, mentre si
dichiara motivatamente fiducioso per il 2010.
Dopo i risultati
delle politiche
neoliberali dei
precedenti
governi, ci si
aspettava molto
dal neo
presidente.
Ma a pochi mesi
dall’ingresso
di Barack Obama
alla Casa Bianca,
nel suo esecutivo
emergono
divergenze che
rischiano di
rendere meno
incisiva l’azione
del governo
OUTLOOK 29
L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove?
L’ex banchiere e avvocato d’affari Charles R. Morris
(autore del libro «Crack», edito da Elliot, 2009; testo lodato da «The Economist») attribuisce, come vari altri, la
responsabilità primaria della crisi attuale alla stagione
di Greenspan, che aveva deciso di supportare massicciamente l’economia del «dopo 11 settembre» con un periodo
prolungato di bassi tassi di interesse. Il mix di ingegnerizzazione spinta della finanza e di deregulation dei mercati, unite al basso costo del denaro per le banche, ha così
prodotto l’esplosione della bolla speculativa e la crisi dei
mutui subprime. Secondo Morris la recessione dovrebbe
durare almeno un biennio, trascinando il dollaro in una
condizione permanente di debolezza e certificando il
declino degli Stati Uniti come potenza egemone del sistema delle relazioni internazionali.
Il contributo italiano
Alberto Alesina (docente a Harvard) e Francesco
Giavazzi (professore all’università Bocconi e al Mit di
Boston) si sono caratterizzati all’interno del dibattito culturale ed economico italiano per le loro posizioni liberiste
e nettamente a favore dell’apertura dei mercati e delle
liberalizzazioni, e quali sostenitori degli effetti positivi
della globalizzazione e degli scambi commerciali internazionali (nonché dell’introduzione di massicce dosi di
meritocrazia nel nostro sistema-Paese). In un loro recente libro («La crisi», edito da Il Saggiatore, 2009), insistono
sull’idea della crisi quale apertura di possibilità e potenzialità, e non solamente momento negativo, in continuità con la visione del capitalismo come processo di continua «distruzione creatrice» resa celebre da uno dei maggiori economisti del XX secolo, l’austriaco Joseph
Schumpeter. L’invito è a evitare di farsi travolgere dalle
tentazioni del protezionismo e dello statalismo e a rifuggire dal populismo (a loro giudizio, pseudo-rimedi che
finirebbero per risultare peggiori del male da curare),
mentre le ricette che propongono consistono nell’obbligo
per le banche di detenere un maggior quantitativo di
capitale, inducendo così le operazioni più fortemente
speculative, da interdire agli istituti bancari, a «migrare»
verso gli hedge funds, nella regolamentazione delle
agenzie di rating e nell’allineamento della retribuzione
(e specialmente degli incentivi) del management ai rischi
effettivi da loro fatti assumere agli istituti creditizi.
Nel cuore del terremoto, gli Stati Uniti, il presidente
Barack Obama ha chiamato al governo alcuni dei più
Paul Krugman
Josè Barroso
Mario Draghi
docente
alla Princeton University
Per il Nobel all’Economia 2008
la risposta alla crisi è il ritorno
allo spirito del New Deal.
Ma la manovra economica di
Obama è ancora inadeguata e
pessima la decisione di
intervenire sulla leva fiscale
con sgravi amplissimi anziché
aumentare la spesa pubblica
che moltiplica ogni dollaro
investito in 1,50 dollari di
incremento del Pil
presidente
della Commissione Ue
Nessuno è in grado di stabilire
con precisione la durata e tutte
le implicazioni future della
crisi: il cuore del problema sta
nella revisione delle regole
contabili e nel rafforzamento
della vigilanza
Governatore
della Banca d’Italia
Ribadisce con forza l’esigenza
di fare ripartire il credito
all’economia e di non innalzare
i requisiti minimi di capitale
per le banche in questa fase
di difficoltà.
La sua valutazione è che la
recessione proseguirà in modo
significativo per la durata
di tutto il 2009
30 OUTLOOK
L'opinione | Pier Luigi Celli:
non sprechiamo la crisi
a crisi è una fase di disagio e
sofferenza, ma, come in tutti
i momenti di grande cambiamento, si possono anche aprire
quelle che gli anglosassoni sono
soliti chiamare «finestre di
opportunità». Ecco cosa pensa al
riguardo Pier Luigi Celli, noto
manager di lungo corso (dall’Olivetti sino alla
Rai e Unicredit), attualmente amministratore
delegato e direttore generale dell’Università
Luiss. «Ci sono vari modi per attraversare i
momenti di difficoltà», spiega Celli, «anche
quelli che si presentano con i tratti di una crisi
apparentemente violenta. Il più sbagliato è
annaspare per cercare una soluzione qualsiasi,
pur di tamponare il vuoto che sembra crescere
L
intorno alle nostre certezze.
L’ansia è una cattiva consigliera: non vede. Ma non è semplicemente che non vede soluzioni o risposte, impedisce, purtroppo, di inquadrare il problema nella sua complessità, di
definirlo correttamente. Per
trovare i rimedi bisogna avere coscienza piena
dei guai e riuscire a razionalizzarli, per quanto
possibile. È per questo che, nella situazione che
stiamo vivendo, serve di più fermarsi a riflettere: cercare interlocutori credibili, mettere a
fuoco i termini del problema, tentare di collocarsi rispetto all’andamento generale del mercato, dell’economia e del lavoro. Soprattutto,
rendersi conto che le crisi, quando non passeg-
celebrati «cervelli» dell’economia e del mondo accademico per cercare di traghettare il Paese fuori dall’emergenza. E, tuttavia, si stanno palesando tra di loro alcune
divergenze che rendono meno incisiva l’azione dell’esecutivo in un momento in cui la coesione e la tempestività
delle decisioni risultano chiaramente determinanti. In
special modo, si rivelano significative le diversità di
vedute tra il ministro del Tesoro, Timothy Geithner, e il
presidente del National Economic Council (ovvero, il
primo, influentissimo, consigliere economico del presidente, già ministro di Clinton e rettore dell’ateneo di
Harvard), Larry Summers. Geithner continua a opporsi
duramente a qualsiasi ipotesi di nazionalizzazione delle
banche, mentre Summers è apparso recentemente sempre più possibilista. Si aggiunge poi la questione della
reintroduzione o del ritorno al Glass-Steagall Act, che
vede decisamente favorevole un altro dei consiglieri economici di Obama, Paul Volcker (già a capo della Federal
Reserve durante gli anni della presidenza di Bill Clinton)
e contrario Geithner, mentre Summers non ha ancora
preso al riguardo una posizione pubblica.
Una voce ottimistica, e piuttosto in controtendenza, è
quella di Ben Bernanke, presidente in carica della Fed,
secondo cui il rischio di depressione (di cui si intravedevano le avvisaglie nell’ottobre del 2008) sarebbe stato
effettivamente scongiurato e, una volta conseguita la
definitiva stabilizzazione dei mercati, con l’inizio dell’an-
gere o congiunturali, ristrutturano tutto il
campo delle variabili in gioco, per cui è possibile che cambino anche le regole con cui si deve
operare. È quasi certo che dalle grandi difficoltà del momento, se si vuole uscire senza decidere definitivamente, sia necessario pensare in
modo nuovo e creativo. Questo vuol dire, se ci si
mette dal punto di vista dei ragazzi che si
apprestano ad entrare nel mercato del lavoro in
un momento in cui questo ha perso gran parte
delle proprie certezze, che il tipo di insegnamento deve modificarsi: puntare sulla commistione anticipata con esperienze di assunzione
diretta di responsabilità anche minima, sullo
sviluppo di una disponibilità all’imprenditorialità personale e di gruppo, e quindi sulla capacità di affrontare condizioni di rischio che abilitano alla produzione di soluzioni, alla generazione di idee, alla propensione a negoziare e a far
valere le proprie ragioni. Le crisi sono spesso
benefiche. Bisogna farne un buon uso, e non
sprecarle semplicemente deprecandole».
no prossimo dovrebbe finalmente cominciare il rallentamento della crisi (seppur con un tasso elevato di disoccupazione, in particolare negli Stati Uniti, dove potrebbe
arrivare a superare il 10 per cento).
Le preoccupazioni dell'Europa
Venendo al Vecchio continente, aleggia sempre, a giudizio di vari economisti, un rischio default di alcune economie dell’Est Europa che continuano a rimanere nettamente più deboli di quelle occidentali, alle prese, a loro
volta, con un «problema dissanguamento». La Banca centrale europea di Francoforte (Ecb) segnala infatti, nel proprio Bollettino ufficiale, un «diffuso deterioramento» dei
conti pubblici delle nazioni di Eurolandia, determinato
dalle ingenti risorse stanziate per i piani anti-crisi. In
particolare, per quanto concerne l’Italia, la previsione è
che il nostro Paese non rispetterà nel 2009, e neppure nel
2010, il parametro del 3 per cento del deficit-Pil. Intanto,
i calcoli dell’Istat sul Pil nel quarto trimestre 2008 rilevano un –1,9 per cento rispetto ai mesi precedenti e addirittura un –2,9 per cento in rapporto allo stesso periodo del
2007: una flessione così massiccia non si aveva dagli anni
Settanta. E, ancora, l’esposizione del nostro sistema bancario al settembre scorso (dati Bri-Banca dei regolamenti
internazionali) consisteva in cinque miliardi di euro, cioè
il 5 per cento del totale dell’attivo, e risulta concentrata in
buona parte in cinque nazioni dell’Europa orientale
OUTLOOK 31
L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove?
Azioni | Le risposte dei governi stranieri
Stati Uniti
Germania
I più rapidi nel predisporre misure anticrisi sono stati gli Usa, epicentro
della crisi, anche se alcuni osservatori mettono in evidenza, fino ad ora,
una loro ridotta efficacia, a causa del contrasto di vedute tra le diverse
figure chiamate a decidere le linee di politica economica: centinaia di
miliardi di dollari sono stati spesi per salvare banche e assicurazioni,
mentre lo Stimulus Bill (che contiene anche la misura, piuttosto controversa, del buy american) prevede una serie di politiche di spesa pubblica
(di tipo sostanzialmente keynesiano) di rilancio e riassetto delle infrastrutture, di investimento su scuola ed educazione e di interventi per sviluppare un’«economia ecologica» e un «capitalismo verde».
La Germania, prima potenza industriale del continente, ha iniziato con un
«ombrello» anti-crisi di 480 miliardi di euro per il salvataggio delle banche, quindi ha approvato un primo «pacchetto congiuntura» dell’ammontare di 61 miliardi da investire sino al 2010 in sgravi fiscali (compresi gli
incentivi per le rottamazioni) e infrastrutture. A febbraio è partito il secondo «pacchetto-congiuntura» del valore di 50 miliardi con l’incremento del
sussidio di disoccupazione, il taglio della tassazione per i redditi più
bassi, l’ampliamento della no-tax area e l’introduzione del bonus-bebé.
Gran Bretagna
La Gran Bretagna ha deciso di affrontare i dissesti delle banche attraverso il Banking Act 2009, che prevede tre modalità operative: passaggio
della banca insolvente a un privato oppure a una «banca ponte» o, ancora, in via temporanea, allo Stato. Sono stati stanziati 40 miliardi di euro
per gli interventi di salvataggio delle banche, è stata abbassata l’Iva ed è
stata introdotta una tassazione extra per i redditi più elevati.
Francia
La Francia ha concentrato il suo intervento sul comparto dell’auto e ha
stanziato dieci miliardi di euro in anticipazioni sui rimborsi fiscali per fare
fronte alla crisi di liquidità di cui stanno soffrendo le aziende.
Spagna
La Spagna ha destinato, in primis, 200 milioni di euro per il settore auto
e, poi, ulteriori risorse agli enti locali, con l'obiettivo di creare maggiore occupazione.
Mario Monti
Giulio Tremonti
Alberto Alesina
presidente
dell’Università Bocconi
Sono deleterie le chiusure
nazionali e le tendenze
protezionistiche. La cattiva
governance dell’economia
americana inciderà
sfavorevolmente sulla capacità
degli Usa di esercitare ancora
una leadership. Misure efficaci?
Liberalizzazioni e idonei
strumenti di disciplina pubblica
sui mercati liberalizzati
ministro
dell’Economia
Ha dato vita agli «Osservatori
per il credito alle imprese»,
coordinati dai prefetti.
Si è pronunciato per una vigilanza sistemica delle banche
europee da attribuire alla Bce.
Ha varato i «Tremonti bond».
Sostiene che bisogna evitare
il panico, ingigantito
colpevolmente dai mass media,
e che la crisi può costituire
un’importante opportunità
docente alla Harvard University
32 OUTLOOK
Francesco Giavazzi
docente alla Bocconi
e al Mit di Boston
La situazione attuale può
aprire nuove possibilità
e potenzialità.
Le ricette per il futuro?
Obbligare le banche a detenere
più capitale; regolamentare
le agenzie di rating; allineare
la retribuzione
del management
Quanto vale
la crisi
Classifica in base alla % del Pil destinata ai piani antirecessione
(Ungheria, Russia, Polonia, Croazia e Slovacchia).
Stati Uniti ed Europa divergono sulle ricette per
affrontare la recessione. I primi insistono sugli stimoli
economici e sulle risorse (tra pacchetto Stimulus e
Omnibus hanno già varato piani di aiuti per una cifra
pari a 1200 miliardi di dollari), chiedendo agli europei di
seguire la stessa strada. Le nazioni europee e la
Commissione ritengono invece che il punto decisivo sia
quello della governance e che gli Usa debbano accettare
un sistema di regolazione globale reale dei mercati finanziari. Se lo stesso Krugman accusa l’Europa di eccessive
titubanze e la Banca centrale di Francoforte di scarsa lungimiranza e di lungaggini nel tagliare i tassi di interesse,
la risposta europea insiste sulla differenza tra i due casi e
sulla presenza nel nostro continente di ammortizzatori
sociali, inesistenti negli Usa, che hanno effetti reali sull’economia.
Oltre ai piani discrezionali dei vari governi europei
(pari a circa 180 miliardi di euro), vanno conteggiati
anche i 200 miliardi di «stabilizzatori automatici», gli
incrementi di spesa per cassa integrazione, sussidi di
disoccupazione e ammortizzatori a beneficio del mercato
del lavoro, arrivando così alla percentuale totale del 3,3
per cento del Pil europeo.
Josè Barroso, presidente della Commissione Ue, ha
ripetutamente dichiarato che nessuno è in grado di stabilire con precisione la durata e tutte le implicazioni future
di questa crisi, e che il cuore del problema coincide con la
revisione delle regole contabili e col rafforzamento della
vigilanza (oggetto del «rapporto de Larosière», da cui si è
detto però deluso il consigliere esecutivo Bce Lorenzo Bini
Smaghi, fautore di un allargamento dei poteri della
Banca centrale di Francoforte in materia di vigilanza
bancaria, tale da allinearli a quelli della Fed).
E, allora, chi ci salverà dalla crisi? Il quotidiano britannico «Financial Times», una delle bibbie dell’economia
globalizzata, stila l’elenco delle 50 personalità che, per le
loro caratteristiche e la loro influenza sui processi decisionali, possono traghettare il mondo fuori dalla catastrofica
congiuntura odierna. Oltre alle figure di maggiore spicco
del governo americano che affiancano Obama (tra cui
anche il ministro dell’Energia, lo scienziato Steven Chu),
si trovano una sfilza di banchieri centrali, accanto a quelli della Bce (Jean-Claude Trichet) e della Fed (Bernanke),
Stati Uniti
Debito pubblico in % del Pil 2008
Incentivi in miliardi di $
Incentivi in % del Pil 2008
60,8
787,0
5,9
Cina
Debito pubblico in % del Pil 2008
Incentivi in miliardi di $
Incentivi in % del Pil 2008
15,7
204,3
4,8
Spagna
Debito pubblico in % del Pil 2008
Incentivi in miliardi di $
Incentivi in % del Pil 2008
38,5
75,3
4,5
Germania
Debito pubblico in % del Pil 2008
Incentivi in miliardi di $
Incentivi in % del Pil 2008
62,6
130,4
3,4
Giappone
Debito pubblico in % del Pil 2008
Incentivi in miliardi di $
Incentivi in % del Pil 2008
170,4
104,4
2,2
Regno Unito
Debito pubblico in % del Pil 2008
Incentivi in miliardi di $
Incentivi in % del Pil 2008
47,2
40,8
1,5
Francia
Debito pubblico in % del Pil 2008
Incentivi in miliardi di $
Incentivi in % del Pil 2008
64,4
20,5
0,7
Tutti i governi del
mondo sono alle
prese con lo
tsunami che ha
investito
l'economia.
E tutti hanno
iniziato a
mettere in
campo misure
per contrastare
la forza della
recessione, che
mette in
discussione posti
di lavoro, attività
imprenditoriali e
produzione.
Nell'elenco dei
principali Paesi
si pone in
evidenza quanto
vale il debito
pubblico in
rapporto al Pil
nazionale, la
quantità di
finanziamenti
anti-crisi
stanziati e il
valore di questi
incentivi rispetto
al Prodotto
interno lordo
India
Debito pubblico in % del Pil 2008
Incentivi in miliardi di $
Incentivi in % del Pil 2008
59,0
6,5
0,5
Italia
Debito pubblico in % del Pil 2008
Incentivi in miliardi di $
Incentivi in % del Pil 2008
103,7
7,0
0,3
OUTLOOK 33
L’approfondimento | Il 2009 come il Ventinove?
Previsioni | Essere pronti
per quando l'economia ripartirà
Penso che le misure di politica ecouali sono le valutazioni sulle pronomica adottate (politiche espansispettive e sulle caratteristiche
ve di riduzione delle imposte e di
della crisi di Confindustria? Lo abbiaincremento della spesa pubblica)
mo chiesto a Luca Paolazzi, direttore
nonché la riduzione dei prezzi delle
del
Centro
Studi
di
viale
materie prime e del petrolio, la
dell'Astronomia: «A ben guardare, la
discesa dell’inflazione e la riduziocrisi attuale, per quanto violenta e
ne dei tassi di interesse siano eleintensa si riveli, presenta al proprio
menti che operano tutti verso
interno alcuni elementi che possiamo
Luca Paolazzi,
considerare contro natura rispetto alle
l’espansione, ma ovviamente
direttore del
dinamiche consuete che accomparichiederanno tempo per dispiegare
Centro Studi
gnano questo tipo di fenomeni econoappieno la loro efficacia».
Confindustria
«Noi immaginiamo che l’economia
mici». «La nostra opinione», commenta Paolazzi, «è che la contrazione della domanda reale possa uscire dalla crisi verso la seconda
cui assistiamo non possa essere durevole. metà di quest’anno», afferma il direttore del
Siamo in presenza di una componente di com- Centro studi di Confindustria. «Naturalmente,
pressione dal lato della domanda, come pure con un’avvertenza: la precondizione perché ciò
della produzione, con un meccanismo di decu- avvenga è che il sistema del credito torni rapimulo molto brusco delle scorte che, non appena damente a un funzionamento in modo quasi
ritornerà la fiducia tra gli attori economici, regolare. Gli interventi degli Stati vanno in quedovrebbe far rimbalzare il sistema economico. sta direzione, contenendo le ripercussioni della
Q
come il cinese Zhou Xiaochuan, il giapponese Masaaki
Shirakawa; il solo italiano della lista è Mario Draghi.
I nuovi scenari e l'Italia
E in Italia? Draghi ribadisce con forza l’esigenza di
fare ripartire il credito all’economia e di non innalzare i
requisiti minimi di capitale per le banche in questa fase
di difficoltà. Insieme all’Fmi, dalla sua posizione di presidente del Financial Stability Forum (che ricomprende di
fatto tutti i componenti del G20), sta predisponendo un
sistema di early warning, una sorta di «antenna» volta a
individuare in anticipo i segnali delle crisi e annuncia per
giugno le istruzioni della Banca d’Italia (prima autorità
monetaria a farlo nel mondo) sulle remunerazioni dei
banchieri che dovranno avere un «corretto bilanciamento» tra parte fissa e variabile e, per quanto concerne i
bonus, dovranno introdurre parametri legati ai risultati
ottenuti nell’arco di più esercizi. Il governatore ritiene,
inoltre, utile che vengano corretti gli svantaggi fiscali
penalizzanti le banche nazionali e insiste affinché le
amministrazioni pubbliche accelerino il saldo dei pagamenti in sospeso con le aziende private, oggetto di una
dilazione che affatica fortemente il nostro sistema
34 OUTLOOK
riduzione della leva in termini significativi. E ciò
che è stato fatto dal governo italiano, come ha
notato la presidente Marcegaglia, vanno nella
giusta direzione, dai Tremonti bond al Fondo di
garanzia a favore del credito per le piccole e
medie imprese alla dimostrazione di buona
volontà nell’accelerare i pagamenti delle pubbliche amministrazioni alle infrastrutture».
Ma per Paolazzi non è ancora sufficiente a fronte dell’intensità della crisi: «Occorre sostenere
la patrimonializzazione delle imprese e incentivare gli investimenti. Sul piano quantitativo, la
nostra preoccupazione è che le misure varate
non siano sufficienti per sostenere l’impatto
con le difficoltà attuali. Per quanto concerne gli
ammortizzatori sociali, bisogna, infatti, capire
in quanto consistano le risorse di cassa e in
quanto quelle di competenza. E ancora, come
noto, le disposizioni vigenti configurano la
Cassa integrazione ordinaria come una misura
solo temporanea, a fronte di una gravità della
congiuntura che richiede un suo significativo
prolungamento. Altrimenti le imprese rischiano di perdere in via definitiva quelle risorse
umane che si riveleranno fondamentali al
momento della ripresa dell’economia».
imprenditoriale. La sua valutazione è che la recessione
proseguirà in modo significativo per la durata di tutto il
2009.
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti (già autore
del libro best-seller «La paura e la speranza», edito da
Mondadori, nel quale avanza una marcata critica della
globalizzazione cosiddetta «mercatista») ha posizioni
che, non di rado, differiscono da quelle del governatore
Draghi. Contro il razionamento del credito ha dato vita
all’operazione «Osservatori per il credito alle imprese»,
coordinati dai prefetti e si è pronunciato per una vigilanza sistemica delle banche europee da attribuire alla Bce.
Per stimolare la ripresa dell’economia e della produzione
italiane, il ministro ha varato i «Tremonti bond», che
dovrebbero sortire un effetto leva per le imprese. La tesi
del ministro è che bisogna evitare il panico, ingigantito
colpevolmente, a suo giudizio, dai mass media di tutto il
globo, e che la crisi può costituire un’importante opportunità di innovazione e progresso tecnologico. Tremonti
sostiene che gli Stati sarebbero dovuti entrare più prontamente e da prima nel capitale degli istituti di credito,
evitando così il prodursi dei crack, e che gli interventi
delle altre nazioni contro la crisi hanno portato a una
L’approfondimento
maggiore concorrenza sul mercato
dei titoli pubblici,
con esiti positivi per
l’Italia.
Insieme ad Alesina e Giavazzi, anche
Stefano
Micossi,
Tito Boeri e il rettore dell’Università Bocconi
Guido Tabellini hanno sottoscritto (con vari
economisti internazionali) l’appello (lanciato
sul sito de «La voce.info») «La crisi finanziaria europea»: un invito ad agire, nel quale,
rimarcando come le crisi non abbiano una
natura e un decorso prevedibili, ma risentano fortissimamente di componenti psicologiche (come il panico) e di effetti a catena non
pianificabili, suggeriscono la ricapitalizzazione del settore bancario mediante l’iniezione di fondi pubblici o la conversione obbligatoria del debito in capitale azionario e una
regolamentazione adeguata a livello europeo dei mercati finanziari e delle banche.
Mario Monti, presidente della Bocconi (e
già stimato commissario europeo), invita a
evitare chiusure nazionali e tendenze protezionistiche e segnala come la cattiva
governance dell’economia americana (con i
gravi effetti generati dall’espansione
monetaria dell’epoca Greenspan) inciderà
sfavorevolmente sulla capacità futura degli
Usa di esercitare ancora una leadership
nella promozione dell’economia di mercato.
La linea di condotta corretta, a suo giudizio, doveva consistere nell’introduzione, al
tempo stesso e parallelamente, di liberalizzazioni e idonei strumenti di disciplina
pubblica sui mercati liberalizzati. Una considerazione da applicare con qualche
avvertenza speciale all’Italia, nel cui caso,
sottolinea Monti, l’insufficienza e il ritardo
di vari settori rispetto al mercato impongono di far sì che una maggiore rilevanza
dello Stato, in questa fase ritenuta necessaria, si accompagni all’impegno a far crescere l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e a evitare qualunque arbitrarietà o
discrezionalità che già fanno da deterrente
alla crescita dell’attrattività del nostro
Paese nei confronti degli investitori internazionali.
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