Lingua italiana nella musica(pages).

Lingua italiana nella musica
Nella storia della musica, il Rinascimento e il Barocco costituirono, in Italia, fra le epoche più
fervide dal punto di vista della produzione di opere (L'Orfeo di Claudio Monteverdi, 1640 ca.,
considerato il primo capolavoro nella storia del melodramma), nuovi forme compositive (il
concerto grosso messo a punto da Arcangelo Corelli a Roma negli anni '80 del Seicento),
invenzione e perfezionamento di strumenti (il pianoforte, costruito da Bartolomeo Cristofori nel
1702 [1]).
Gli artisti, in particolare i cantanti, venivano contesi dalle più importanti corti europee; i
compositori degli altri paesi dovettero adattare la propria produzione secondo impostazioni tipiche
dell'opera italiana e, spesso, in lingua italiana. In alcune città europee, come Vienna, gli italiani
costituirono uno dei centri più fervidi per quanto riguarda la stesura di libretti per melodramma.
Importanti poeti e librettisti, infatti, come Apostolo Zeno o Pietro Metastasio, sono considerati tra i
maggiori responsabili del successo del melodramma italiano. Fu proprio quest'ultimo a riformare
l'impostazione del melodramma secondo precisi schemi attenenti alle unità aristoteliche.
Il successo, nel Settecento, dell'italiano, come lingua per i testi cantati nel melodramma, le ha
conferito la proprietà di "lingua dell'opera"[2], un primato che, tutt'oggi, coloro che si preparano
alla professione del cantante lirico non possono esimersi dall'apprendere.
Infine, dal punto di vista del lessico, la maggior parte dei termini per indicare il tempo, la dinamica
e l'agogica sono scritti in lingua italiana [3] e vengono utilizzati ancora oggi negli spartiti di musica
classica in tutto il mondo.
La diffusione dell'italiano nell'opera fuori dall'Italia nel
Seicento e nel Settecento
Uno dei motivi principali della diffusione dell'italiano, nella fattispecie di lingua per musica nel
panorama europeo sei-settecentesco, è stato sicuramente la spinta di iniziativa da parte di artisti
(specialmente i cantanti) nella scelta del repertorio e dell'uso della nostra lingua. Nelle principali
corti d'Europa venivano chiamati, o giungevano di loro iniziativa, compositori, librettisti, cantanti
che grazie ad una fiorente attività di impresa, tipica dell'operismo italiano, potevano realizzare la
loro produzione artistica. La diffusione dell'italiano, in questo contesto musicale europeo, è da
interpretarsi quasi esclusivamente come un'esigenza artisti degli esecutori più che ad una preferenza
linguistica del pubblico, che nella maggior parte dei casi, passava sempre in secondo piano.
In Francia
La diffusione dell'opera italiana in Europa, e specialmente in Francia, si svolge in un periodo che va
all'incirca dalla fine della guerra dei Trent'anni fino alla metà del Settecento. I musicisti italiani,
virtuosi dell'epoca, con le loro tourneés, diffondono l'opera cantata presso corti, teatri pubblici di
altre nazioni europee, verso spettatori quindi, non capaci di intendere la lingua, ma altresì capaci di
intenderne l'espressività musicale e drammatica. Si assiste pertanto ad una sorta di italianismo
centrifugo[4] con un conseguente affermarsi definitivo di questo idioma come lingua europea del
melodramma e del canto nel panorama teatrale-musicale, in un periodo in cui il francese si
assicurava una diffusione come organo di comunicazione della cultura europa sia di alto profilo che
di uso quotidiano e intellettuale.
Contesto storico-culturale
Nel Seicento, la presenza dell'opera italiana in Francia si dovette confrontare con una tradizione
operistica seria (tragédie-lyrique o tragédie en musique) da parte di librettisti come Quinault o
addirittura Molière, o con forme musicali e di danza teatrale come il ballet de cour e la comédieballet da parte di Jean Baptiste Lully, musicista a corte di Luigi XIV, passando quindi in secondo
piano.
La diffusione dell'opera italiana in questo caso fu quindi molto limitata: tra il 1640 e il 1660 furono
introdotte da Mazzarino opere quali La finta pazza, del 1645 (libretto di Giulio Strozzi, musica di
Francesco Socrati) e Orfeo di Luigi Rossi 1647, subito osteggiate dal pubblico francese e
completamente oscurate dal melodramma lulliano che dominò indisturbato fino alla fine del secolo.
E' da notare, comunque, che nel privilegio reale emanato nel 1672 da Luigii XIV in favore di Lully
figura il riferimento alla possibilità dell'uso di altre lingue oltre al francese (Becker, 1981), mentre
nel privilegio concesso a Pierre Perrin tre anni prima si indicava come unica lingua delle
rappresentazioni operistiche il francese.[5]
Con il tramonto melodramma lulliano (anche se opere di Lully verrano eseguite fino agli anni '70
del Settecento), all'inizio del XVIII Secolo, si manifestano nuove influenze italiane veicolate da
nuove forme di musica teatrale come l'opéra-ballet e la comédie-lyrique e la lingua italiana viene
utilizzata per alcune arie nell'opera.
L'uso del francese è ancora legato alla tradizione nazionale e all'operismo di Jean Philippe Rameau,
ma la svolta a favore dell'opera italiana si avrà nella metà del '700 con la Serva padrona di
Pergolesi, che suscitò la ben nota Querelles des bouffons.
In Francia, la diffusione dell'italiano nel teatro musicale avviene in un contesto di generale
conoscenza della nostra lingua intesa come strumento di cultura e veicolo di grande e apprezzata
tradizione letteraria. Nonostante nel XVI secolo, in seguito a ragioni politiche (specialmente dopo la
morte di Caterina de' Medici), il prestigio e la diffusione della lingua italiana si ridussero
notevolmente, già nel XVII secolo si assiste ad un fenomeno di apprendimento della nostra lingua
da parte di amanti della nostra letteratura e commedia, come colte gentildonne. La diffusione e
l'apprezzamento dell'italiano sono così diffuse da far suscitare reazioni anti-italiane come quella del
Bouhours. La conoscenza dell'italiano è ancora maggiore nel XVIII secolo come testimonia il
Goldoni, nelle sue Mémoires, giunto a Parigi come precettore: "Cette Langue est en vogue en
France plus que jamais. Le goût de la nouvelle musique y a beacoup contribué (questa lingua è di
moda in Francia più che mai. Vi ha contribuito molto il gusto della nuova musica"[6]. Una
testimonianza di questa diffusione dell'italiano in Francia si ha in Voltaire, che considerava la nostra
lingua insieme all'inglese come indispensabile per la comunicazione culturale in un 'Europa
cosmopolita e pre-rivoluzionaria; una lingua da lui denominata langage des Dames, diffusa quindi
fra le colte signore dell'alta società, dove si compenetravano le caratteristiche di lingua dalla
conversazione galante e dai tratti aulici tipici del melodramma.
Una conferma della diffusione dell'italiano in Francia, oltre che testimonianze individuali,
dipendenti comunque da giudizi personali, è attestata da una notevole quantità di grammatiche e
vocabolari pubblicati per agevolare la comprensione della lingua, soddisfacendo una richiesta che
doveva essere alquanto ampia.
Nei paesi di lingua tedesca
L'opera italiana nei paesi di lingua tedesca conosce una sua diffusione generale dopo il 1720-1740,
cioè dopo la Pace di Westfalia che segna la fine della Guerra dei trent'anni nei territori del Sacro
Romano Impero. Non essendo ancora costituita una vera e propria tradizione operistica tedesca (pur
assistendo a tentativi di costruirne una) si assiste ad un duplice caso di diffusione: nelle città e corti
di maggiore importanza, si afferma l'opera italiana; nelle corti minori invece (con limitate
disponibilità economiche che quindi non consentivano di ospitare compositori, librettisti e cantanti
italiani) domina l'opera tedesca.
L'operismo italiano in Germania
L'opera italiana domina incontrasta nella Germania meridionale in città quali Dresda, Hannover,
Stoccarda, Berlino, Monaco di Baviera, Salisburgo e Vienna. In città come Amburgo, al Teatro
dell'Opera, si assiste al tentativo di costruire un operismo tedesco contrapposto volutamente a
quello italiano. Gli argomenti trattati derivano dalla tradizione veneziana (mitologia e storia antica)
e francese, ma la lingua dominante è quella tedesca; da notare che per alcune arie veniva usato
l'italiano e per le didascalie il francese: questo era influito fortemente dalla provenienza degli artisti,
in particolare i cantanti.
E' proprio a Vienna che l'opera italiana, a partire dagli anni '30 del Seicento (in particolare dalla
metà del secolo sotto l'imperatore Leopoldo I d'Asburgo), domina incontrastata fino alla metà del
Settecento. Gli artisti del teatro musicale (compositori, librettisti, cantanti, ballerini, scenografi)
venivano stipendiati dall'imperatore diventando un'autorità in questo campo. Da ricordare il caso di
Pietro Metastasio, principale librettista europeo che mantenne fervida la sua produzione letteraria
per sessant'anni.
Gli ultimi decenni del Settecento vedono però una cristi del teatro musicale italiano a Vienna, per
varie ragioni: la politica culturale di Giuseppe II (sebbene musicista ed conoscitore dell'opera), che
comunque prestava attenzione alla vita musicale di corte, in alcuni periodi vietò di comporre opere
in italiano (o che trattassero argomenti censurati dalla politica stessa) sia per ragioni politicoculturali sia per dare maggiore spazio all'opera tedesca, istituendo nel 1773 una compagnia di
Nationalsingspiel. Un ulteriore aggravarsi di questa crisi culturale a dispetto dell'opera italiana si
ebbe con il successore di Giuseppe II, Leopoldo II d'Asburgo-Lorena, non amante della musica e
sostenitore, insieme alla moglie Maria Luisa, dell'opera seria.
Il classicismo e il romanticismo decreteranno, con i principi del nazionalismo linguistico, la fine
dell'opera italiana in Austria e in Germania. Il Singspiel' , genere del tutto tedesco (dove il recitativo
è sostituito dai dialoghi), troverà sempre più spazio a partire dall'ultimo ventennio del secolo.
L'opera italiana, specialmente le grandi opere in italiano di Mozart, rimangono ancora in auge,
sebbene di lì a poco si affermerà sempre di più l'opera nazionale. E' senz'altro da aggiungersi che la
diffusione dell'italiano nei paesi di lingua tedesca non fu solamente sotto un profilo letterario, come
avvenne in Francia o in Inghilterra, ma fu accompagnata da una componente d'uso pratico della
lingua. Questa ragione è da ricercarsi nei secoli del tardo Medioevo, quando molti studenti tedeschi,
recatisi in Italia a studiare nelle università, iniziarono l'apprendimento della nostra lingua sotto un
aspetto turistico, commerciale e di cultura in generale. Un italiano, quindi, dalle caratteristiche
pratiche e colloquiali.
Nonostante però questa crisi culturale di fine secolo, l'opera italiana a Vienna poté vantarsi di
eminenti librettisti quali Lorenzo Da Ponte, Giambattista Casti, Giovanni Bertati, Caterino Mazzolà
e di compositori quali Antonio Salieri e Mozart.
Per quanto riguarda la comprensione della lingua italiana, possiamo accennare, su testimonianze di
Da Ponte, che il pubblico viennese, era ormai da tempo abituato ad ascoltare opere in italiano,
grazie alla grande diffusione della nostra lingua (anche in altri ambiti) e ne aveva un elevato indice
di comprensione.[7]
Ci sono stati casi, fuori da Vienna, di opere in stile italiano, con musica italiana, in lingua tedesca:
Metastasio, in una lettera del 1777 a Mattia Verazi a Mannheim dichiara di essere favorevole all'uso
del tedesco in opere italiane allo scopo di renderle più comprensibile linguisticamente, pur non
essendo, il tedesco, molto adattabile all'opera italiana. Casi, addirittura, di traduzione in tedesco di
opere di Mozart, si verificano nell'ultimo decennio del XVIII Secolo, sia a Vienna che in altre città.
Da citare, inoltre casi inversi come rappresentazioni in italiano dello Zauberflöte da parte di
Giovanni De Gamerra a Dresda nel 1794, un anno dopo la rappresentazione originale.
Nell'ambito delle singole personalità artistiche si hanno casi di compositori tedeschi, come Handel apprezzato in vita come grande operista, musicò opere quasi esclusivamente in italiano - e come
Haydn che si dedicò quasi totalmente ad un repertorio librettistico italiano, sia serio che comico.
Compositori più centrifughi, che operarono in Italia, in Francia e in città tedesche come Jommelli,
Traetta e lo stesso Salieri, molto attenti al rinnovamento delle forme musicali dell'epoca,
testimoniano con la loro produzione quanto l'uso dell'italiano sia ancora saldo nei paesi di lingua
tedesca, al contrario della Francia, dove la tradizione nazionale di operava per imporre la propria
lingua.
Non solo una lingua per musica
La diffusione dell'italiano si fa sempre più ampia sul finire del XVII secolo trovando spazio nelle
corti di Vienna, Salisburgo e anche in quella di Dresda. Testimonianze, come quella del 1675 di
Lorenzo Magalotti, fanno presente di come alla corte di Vienna non era necessario l'apprendimento
del tedesco, dal momento che l'italiano era parlato comunemente nell'alta società e che le dame di
corte lo utilizzavano non solo per comunicare con italiani ma anche tra di loro. Per quanto riguarda
il XVIII Secolo, sono lo stesso Metastasio e il Da Ponte, che, inseriti nell'ambiente operistico
italiano a Vienna, testimoniano la possibilità di vivere a Vienna senza dover imparare il tedesco.
Quest'ampia diffusione dell'italiano a Vienna è documentata inoltre dall'esistenza di giornali in
lingua italiana come il Corriere Ordinario (1671-1746), le Notizie diverse da Vienna (1778-1789),
la Vox Populi (1790-1791).
Nel caso specifico di Vienna, la lingua italiana, oltre che affermata lingua dell'opera ed essere
pertanto riconosciuta a corte (insieme al latino e al tedesco), era utilizzata come lingua della poesia,
come mezzo linguistico di comunicazione nelle accademie letterarie (diffusesi in Germania dopo la
nascita della prima accademia letteraria fondata da Ferdinando III nel 1650) e come lingua per
stilare alcuni tipi di documenti come testamenti. Questo prestigio dell'italiano, in altri settori oltre a
quello della musica, fu destinato al declino verso la fine del secolo (sebbene Maria Teresa, Giuseppe
II e Kaunitz parlassero e scrivessero in italiano) e, ridotto ad essere utilizzato come strumento
linguistico della chiesa, lasciò presto e definitivamente il posto al tedesco.
Un caso inverso è testimoniato da Carlo Denina il quale presenta una scarsa diffusione dell'italiano
in città come Berlino, dove la lingua di cultura nelle accademie era il francese.
I tedeschi parlavano un tipo di italiano alquanto diverso da quello dei francesi o degli inglesi, dalle
caratteristiche pratiche e colloquiali (con molte influenze del veneziano) che si mantenne separato
dall'italiano dell'opera invece utilizzato in uno specifico ambiente musicale.
Wolfgang Amadeus Mozart
Dell'ampia diffusione della lingua italiana nel XVIII Secolo in Austria, ne è un esempio lampante il
caso di Mozart (sebbene costituisca quasi un unicum nel panorama musicale europeo): egli apprese
l'italiano da bambino dal padre in maniera del tutto spontanea e lo utilizzò anche fuori dall'ambito
musicale in contesti familiari ed epistolari.
Nell'italiano di Mozart si trovano termini di molteplici valenze: volgare, provocatorio,
giocherellone, ma anche dalle caratteristiche colloquiali utilizzate dai tedeschi a quei tempi. Da
notare infatti la non influenza dell'italiano melodrammatico, tipico dei libretti, nell'uso colloquiale a
dimostrazione del fatto di come nei paesi di lingua tedesca questi diversi usi dell'italiano fossero
molto settoriali, come già accennato precedentemente. Fatto questo che non accadeva in Voltaire, il
cui italiano era alquanto influenzato dai libretti d'opera.
Il caso di Mozart, ad ogni modo, costituisce un esempio significativo di come l'italiano come lingua
per l'opera nei paesi di lingua tedesca, come Austria e Germania, avesse raggiunto il momento
culminante di supremazia linguistica.
In Inghilterra
L'opera italiana si diffonde in Inghilterra in un contesto ancora privo di una vera e propria
tradizione operistica, seppure si manifestassero saltuariamente tentativi di costruirne una che
esprimesse resistenza verso il nostro melodramma. La diffusione della lingua italiana conobbe
periodi di prestigio alternati a periodi di declino per tutta la durata dei secoli Seicento e Settecento,
ma rimase comunque relegata ad un contesto d'uso elitario proprio del melodramma, della
letteratura e della cultura in generale, da parte di personalità appartenenti all'alta società.
Contesto storico-culturale
Il contesto musicale teatrale nel Seicento inglese presentava, oltre che a musiche di scena per il
dramma (i cosiddetti plays with music), il masque, una forma di teatro musicale in cui si riconobbe
l'influsso del recitativo italiano. La produzione operistica locale è ridottissima; si possono citare
alcune opere: The Siege of Rhodes su libretto di William Davenant (1656), Albion and Albanius,
libretto di John Dryden e musica di Louis Grabu (1685), Venus and Adonis di John Blow e infine
Dido and Aeneas di Henry Purcell (1689) considerato il capolavoro della musica teatrale inglese.
E' subito dopo la morte di Henry Purcell (nel 1695) che l'opera italiana comincia a penetrare anche
in territorio inglese grazie anche ad alcune personalità rappresentative del canto italiano a Londra,
anche se comunque, per i primi decenni del Settecento, non si parla ancora di una vera e propria
dilagazione operistica italiana: vi era una diffusa una certa diffidenza verso lo spettacolo operistico
(italiano in particolare) rafforzata da una mentalità razionalistica e religiosa propria di quel
momento e dalla difficoltà di comprensione della nostra lingua.
Ad ogni modo, pur non imponendosi del tutto, la lingua italiana influenzò quella inglese: ne sono
esempi Rosamond di Thomas Clayton (1707) o Arsinoe, Queen of Cyprus su libretto di Tommaso
Stanzani (1705). Vi fu poi un periodo di compresenza di entrambe le lingue in una medesima opera
cantata: i personaggi principali cantavano in italiano, gli altri in inglese.
Con l'arrivo di Haendel in Inghilterra, nel 1711, l'operismo italiano di impose definitivamente,
soprattutto nei teatri di Haymarket e Covent Garden: furono investiti fondi nel reclutamento di
artisti e professionisti in generale del settore dell'opera. Una testimonianza di questa prolifica
diffusione del nostro melodramma a Londra, ci è data dal biografo di Haendel, Chrysander, che dal
1719 al 1728, la Royal Academy of Music (associazione di nobili fondata nel 1719) sostenne
economicamente l'opera in lingua straniera dando nei principali teatri di Londra, 487 esecuzioni di
opere italiane (245 di Haendel, 108 di Giovanni Maria Bononcini, 55 di Ottavio Ariosti e 79 di
altri).[8]
Fino al declino dell'operismo italiano dopo gli anni '80 del Settecento, la lingua italiana si mantenne
come mezzo di comunicazione principale dell'opera e fu contrastata da opere inglesi come quelle di
Thomas Augustine Arne. Per quanto riguarda la librettistica italiana, un grosso contributo fu dato da
Lorenzo da Ponte che trascorse a Londra gli anni dal 1792 al 1805; pur non essendo riportato nelle
sue Memorie le reazioni del pubblico o se la lingua veniva compresa, sappiamo comunque che i
suoi libretti recavano sempre una traduzione inglese.
Il melodramma italiano, in Inghilterra, non conobbe un successo come quello ottenuto in Germania:
rimase uno spettacolo elitario, non gradito al grande pubblico, che preferiva forme teatrali musicali
come il Masque o la popolare Ballad Opera (come la Beggar's Opera del 1728).
Apprendimento dell'italiano nell'Inghilterra del XVII e XVIII Secolo
La passione per l'opera italiana nel XVII e XVIII Secolo da parte del pubblico inglese costituì uno
degli stimoli principali ad apprendere la nostra lingua. Dopo una fase di grande diffusione avvenuta
nel Cinquecento, in cui l'inglese subì una forte influenza dell'italiano (tanto che si parlò di
italianised english, cioè quell'inglese imparato da inglesi che compivano viaggi in Italia o che
apprendevano da maestri italiani in Inghilterra), nel XVII Secolo, l'italiano subì una fase di
recessione, specie dopo la conclusione del regno di Giacomo I (nel 1625).
Per tutto il Seicento fino ai primi decenni del Settecento, la cultura e la letteratura italiana non
saranno più coltivate come prima, sebbene occorrano casi di viaggiatori del Grand Tour che si
avvicinano alla nostra lingua. Agli inizi del Settecento si assisterà ad un fenomeno di
apprendimento della lingua italiana per comprendere i libretti d'opera che, sebbene venissero
scrupolosamente tradotti in inglese in un primo tempo, quest'uso si ridurrà sensibilmente. Una
personalità che contribuì fortemente alla diffusione dell'italiano sotto un profilo altamente
qualitativo e professionale fu Giuseppe Baretti, grande maestro di lingua, di cultura e di letteratura.
Le motivazioni che spingevano gli inglesi ad apprendere la nostra lingua, oltre che all'amore per la
letteratura, ragioni turistiche, culturali e sociali vi era anche quella musicale, propria di artisti
(spesso cantanti) che si preparavano alla professione del melodramma italiano, e di ascoltatori e
spettatori che volevano poter godere meglio di questo tipo di spettacolo.
Negli altri paesi europei
Spagna
Durante Siglo de Oro il teatro musicale è unicamente in lingua spagnola; grandi autori come
Calderon de la Barca e Lope de Vega sono scrittori indiscussi di drammi per musica un genere
conosciuto come la zarzuela.
L'opera italiana penetra solo nel XVIII secolo introdotto da Filippo V che aveva sposato una
principessa italiana. Vengono chiamati a corte cantanti famosi come Carlo Broschi (detto il
Farinello) nel 1737 e da questo momento fino al 1760 l'opera italiana conosce una fase di grande
splendore. Fino a quel momento, sebbene la lingua delle rappresentazioni fosse l'italiano, i libretti
d'opera recavano sempre la traduzione in spagnolo e, comunque il pubblico veniva fornito di una
stampa bilingue.
Portogallo
In Portogallo, l'opera italiana trovò inizialmente un clima sfavorevole alla compenetrazione nelle
corti e nei teatri a causa di remore soprattutto religiose che non vedevano bene la rappresentazione
dei temi tipici del melodramma.
La situazione cambiò alla morte del re Giovanni V, con il successore Josè I il quale diede vita
all'opera di corte: fece costruire tre teatri e favorì con grandi investimenti l'opera metastasiana.
Questa stagione fortunata ebbe poco a durare a causa di un terremoto che nel 1755 colpì
gravemente, tra gli altri edifici, anche i centri teatrali della capitale.
Russia
La politica di europeizzazione di Pietro il Grande favorì l'opera italiana in ogni suo aspetto. In un
primo momento vennero reclutati musicisti tedeschi, soprattutto da parte della nipote dello zar Anna
Ivanovna e dal 1730 in poi furono aperte le porte all'opera italiana tramite la corte di Dresda che
fungeva da mediazione.
Alla corte russa giunsero artisti come i fratelli Ristori, e il compositore napoletano Francesco Araja
che giunto nel 1735 operò ivi per vent'anni. L'opera italiana conobbe un maggior splendore sotto il
regno di Elisabetta Petrovna, con la presenza di Giovanni Battista Locatelli e sotto il regno
dell'illuminata e appassionata di musica Caterina II, la quale chiamò a corte artisti come Galuppi,
Traetta, Paisiello, Sarti e Cimarosa.
L'opera italiana non tardò però a cedere il passo all'opéra-comique ben più gradita al pubblico
nobile di San Pietroburgo per via di ragioni di comprensione della lingua, tenendo in considerazione
la diffusione del francese allora in Russia.
Polonia, Danimarca e i Paesi Scandinavi
La Polonia accolse l'opera italiana insieme ad altri generi provenienti da altri paesi d'Europa come il
teatro drammatico e musicale francese e fece uso nell'ambiente del teatro di diverse lingue come
polacco, italiano, francese, latino, tedesco e altre lingue slave.
La Danimarca avviò un'attività operistica che prevedeva la rappresentazioni di opere in italiano e in
danese, inoltre accolse alla corte alcuni compositori e cantanti italiani; la Svezia ospitò con minore
favore, l'opera sia italiana che francese, per istituire poi nel 1770 una propria tradizione operistica
nazionale.
Questioni linguistico-musicali in Francia
In Francia si sviluppa una vera e propria querelle sulla lingua per l'opera, a differenza di altri paesi
europei che assistettero a casi isolati di espressione sull'uso e proprietà dell'italiano nel
melodramma.
La questione linguistica francese può essere suddivisa in due fasi principali: una del Seicento (che
vede come principali intellettuali Dominique Bouhours e François Raguenet) e una del Settecento
(la cosiddetta Querelle des bouffons nata dopo la messa in scena dell'opera La Serva Padrona di
Pergolesi). Le ragioni che causarono questa questione linguistica furono principalmente due: la
presenza di una tradizione operistica francese che si oppose alla diffusione dell'opera italiana e il
dibattito critico, svoltosi in ambiente prevalentemente più letterario che linguistico in cui si cercava
di imporre la superiorità della lingua francese sull'italiano.
La questione lingustica nella Francia del Seicento
Un primo accenno alla querelle si ritrova negli Entretiens d'Ariste et d'Eugène del gesuita
Dominique Bouhours nel 1672, un libello che suscitò grandi polemiche nel clima dell'Arcadia, ma
che testimoniava una presa di coscienza della cultura italiana nel panorama europeo. In questo
libello, il Bouhours sostiene la superiorità del francese sulla base dell'accento, a livello logicosintattico, della clarté e a livello sematico dell'esprit. (La Bruyère, 1688); inoltre attribuisce alla
lingua italiana, nell'opera lirica, un carattere "sospirante". Il Muratori replica nel Trattato della
perfetta poesia italiana di come l'italiano, invece di "sospirare", "buffoneggi", un retaggio ancora
legato alla commedia dell'arte. La visione illuminista di Voltaire, che rimase del tutto indifferente
alla musica, ma comunque molto attento al fenomeno del melodramma italiano, sosteneva che
l'immagine della lingua e della cultura italiana è prevalentemente legata all'opera lirica[9].
In un secondo tempo della querelle italo-francese si assiste ad una comparazione fra l'opera italiana
barocca e quella francese, da parte dell'abate François Raguenet, librettista francese, in un'opera
intitolata Parallèle des Italiens et des François en ce qui regarde la musique et les opéra. Raguenet,
librettista, grande sostenitore dell'opera di Jean Baptiste Lully, analizza gli impianti operistici
italiani e francesi prendendo in esame ogni elemento: la lingua, il libretto, i cantanti, le voci, gli
strumentisti, i recitativi, le arie, le sinfonie, le danze, le macchine, le decorazioni. Il suo giudizio
pende esclusivamente dalla parte francese, sostenendo che l'opera barocca italiana presenti forte
staticità in base al fatto che le arie sono preferite rispetto all'azione del recitativo. Un punto a favore
per l'opera italiana però è la sua lingua: Raguenet sostiene che "la lingua italiana ha un grande
vantaggio sulla lingua francese per il canto, in quanto tutte le vocali suonano molto bene, mentre
invece la metà delle vocali della lingua francese sono vocali mute, quasi prive di suono"[10].
La Querelle des bouffons
La questione della lingua per la musica raggiunge il massimo fervore nel 1752, con la Querelle des
bouffons, riguardo al nuovo stile musicale proposto dall'Opera buffa della Serva Padrona di
Pergolesi. Una reazione a questa novità stilistica musicale è raccontata nel Saggio sopra l'opera in
musica dell'Algarotti: "Quando ecco fu udito in Francia lo stile naturale ed elegante insieme della
Serva Padrona con quelle sue arie tanto espressive, con que' suoi graziosi duetti; e la miglior parte
de' Francesi prese partito a favore della musica italiana. Così quella rivoluzione che non poteron
operare per lunghissimi anni in Parigitante nostre elaboratissime composizioni, tanti passaggi, tanti
trilli, tanti virtuosi, lo fece in un subito un Intermezzo e un paio di buffoni"[11]. Gli enciclopedisti
francesi dell'epoca, come Voltaire, D'Holbach, Rousseau, Diderot e anche italiani (come Calzabigi
nella sua Lulliade), denotano temi quali la rivendicazione del comico e del quotidiano, l'espressività
vocale e sentimentale della natura, il legame tra la parola e la musica, una nuova poetica linguistica
e drammaturgia musicale.
In questo clima di nuove denotazioni stilistiche, l'italiano come lingua per la musica riceve un
nuovo fondamento nel panorama artistico musicale d'Europa, derivato da un'idea rinnovata
sull'italiano in relazione alla musica; anche grazie ad un capovolgimento degli argomenti del
classicismo e del razionalismo francese tipici del periodo. Rousseau, nella Lettre sur la musique
françoise (1753), espone che "qualsiasi musica trae il proprio carattere principale dalla lingua che
gli è propria"; in altre parole è la prosodia di una lingua che costituisce il suo carattere (tesi ripresa
in seguito da Mozart per sostenere la necessità di un'opera tedesca). Rousseau analizza l'italiano per
la musica nelle componenti che riguardano la melodia, l'armonia, il movimento, la misura,
cogliendo aspetti stilistici innovativi.
L'opera buffa italiana, grazie anche al contributo innovativo di Pergolesi, assunse una nuova
facciata: il canto, l'accompagnamento così aderenti alle parole fornirono un modello stilistico che
fecero della lingua italiana in rapporto alla musica un mito europeo, che, autori come Mozart o
Stendhal, sentirono molto vicino come immagine del loro tempo.
La visione illuminista sulla musicalità delle lingue
La superiorità di una lingua determina la superiorità della musica dato che la musica migliore è
quella la cui lingua si dimostra più adatta al canto: evidente è quindi il primato della musica italiana
su quella francese, la cui inadeguatezza linguistica comporta effetti e conseguenze negative sulla
musica stessa e sul modo di eseguirla[12].
Rousseau, riprendendo l'argomento della musicalità delle lingue in un trattato filosofico dal titolo
Essai sur l'origine des langues, delinea gli aspetti musicali di una lingua come accento musicale,
accento prosodico e accento vocale, asserendo che nessuna lingua moderna non possieda alcuna di
queste caratteristiche e nonostante neanche l'italiano sia una lingua di per se stessa musicale, si
presterebbe per la musica più del francese. Questo concetto viene ripreso anche nella voce "Opéra"
del Dictionnaire de la musique in cui si osserva di come le lingue antiche si prestassero molto bene
al canto al contrario delle lingue moderne e di come tra quest'ultime, quelle prive di musicalità e
flessibilità siano meno capaci di piegarsi al ritmo e alla melodia.
Sulla stessa linea di Rousseau, è la visione di Diderot, che in una lettera del 1751 intitolato Lettre
sur les sourds et les muets, sostiene il carattere passionale della lingua italiana rispetto a quello più
razionale e comunicativo della lingua francese. La maggiore appropriatezza al canto della lingua
italiana deriva infatti dalle sue caratteristiche di flessibilità, armonia, ritmo e di possibilità di
inversione. "La nostra è tra tutte le lingue la più castigata, la più esatta e la più stimabile [...] Il
francese è fatto per istruire, chiarire e convincere; il greco, il latino, l'italiano, l'inglese, per
persuadere, commuovere e ingannare; parlate greco, latino, italiano al popolo, ma parlate francese
al saggio" [13].
Termini italiani nella musica
La gran parte della terminologia musicale (presente nelle lingue europee), appartenente all'ambito
della musica classica, è di origine italiana. Non ci sono stati veri e propri studi e analisi specifici su
questa diffusione terminologica nei secoli passati, ma casi marginali e episodici, nel XVIII secolo,
da parte di critici italiani e stranieri sulla supremazia dell'italiano come lingua per la poesia e la
musica. [14]
Vari studi linguistici sono stati realizzati, sia su piano sincronico, come il Terminorum musicae
index septem linguae redactus (Pauly-Wissova, 1980) o il Practical vocabulary of music (Braccini,
1992-2005) che diacronico come il moderno Grove Dictionary of Music and Musicians, offrono
elementi per delineare un quadro complessivo della diffusione degli italianismi musicali utilizzati
nelle lingue d'europa. [15]
Infine uno dei contributi fondamentali alla ricostruzione della terminologia italiana in ambito
musicale è il dizionario di Harro Stammerjohann, ora disponibile online[16] .
Il livello della compenetrazione degli italianismi nelle lingue d'europa è tanto diversificato quanto
l'uso che ne viene fatto: si varia da un minimo rappresentato solo da indicazioni di partitura a un uso
vero e proprio dell'italiano come "esperanto della musica" [17]. Ovviamente le categorie semantiche
analizzate possono essere quelle relative a: voci teoriche, nomi di strumenti, indicazione di partitura
(tempo, dinamica, ecc.).
L'influenza della lingua italiana e di conseguenza la diffusione dei termini italiani nella musica si
staglia in un periodo che va dal XVII Secolo al XIX: la musica strumentale del Seicento (che ebbe
tra i maggiori esponenti Vivaldi, Corelli, Torelli e Albinoni), specie quella per archi; la
denominazione degli strumenti, sia a corda, che a fiato, che a tastiera; forme musicali come il
concerto grosso; forme poetiche come il madrigale, la canzone; la teoria musicale (di origine latina
e medievale) e infine il linguaggio della partitura, "un esperanto a base italiana diffusosi
velocemente e ampiamente laddove si praticava la musica moderna occidentale".[18] Questa
diffusione centrifuga dell'italiana si esaurì nel primo novecento quando si svilupparono genere
musicali tipicamente novecenteschi come il Jazz, in cui questa volta si ha a che fare con termini, ad
esempio per l'agogica, in lingua inglese e portoghese brasiliano (si pensi a termini come "Medium
Swing", "Up tempo Swing", "Fast Jazz", "Bossa" che si leggono nelle pagine degli spartiti del Real
Book) o generi che hanno portato alla nascita di nuovi strumenti musicali elettronici.
Se la lingua italiana ha esportato per oltre tre secoli termini musicali tutt'oggi utilizzati nella musica
colta, in tempi recenti è avventuto un fenomeno inverso, importando termini tipici della musica pop,
rock e jazz: band, blues, boogie-woogie, gospelsong, reggae, swing e termini tecnico-acustici:
decibel, pick up, playback, backing track, sound, transistor. Da citare termini spagnoli e portoghesi
della musica centro e sudamericana: marimba, marcas, rumba, salsa, samba, bossa. [19]
Italianismi musicali nel francese
Lo scambio di idee, concetti che si ebbe in ambito musicale fra Francia e Italia fu continuamente
alimentato e ispirato da una forte spinta competitiva e si svolse in un periodo che comprese
entrambi i secoli XVII e XVIII.
La grande tradizione violinistica, esportata dal Corelli in tutta Europa, investì e riformò tutta
l'attività di liuteria di cui la Francia teneva un primato di eccellenza, riformando anche tutta la
terminologia tecnica di questo settore; l'istituzione del Concert Spirituel accolse molti musicisti
italiani, tra cui i grandi virtuosi dell'epoca, per far eseguire brani appartenenti al repertorio sacro e
profano.
Di grande rilevanza, come responsabile della diffusione terminologica italiana negli spartiti, fu il
ruolo dell'editoria, pressoché assente in Italia, ma cospicua in Francia: i musicisti italiani facevano
stampare le loro musiche dagli editori stranieri, tra cui un ruolo di spicco avevano i francesi, e
questo avrà certamente avuto un notevole riflesso nella diffusione di una terminologia in massima
parte di origine italiana[22].
Tra le principali documentazioni degli italianismi in ambito musicale presenti nel francese possiamo
citare il Dictionaire de Musique di Sebastien de Brossard (1703) e il famoso Dictionaire de
Musique di Jean Jacques Rousseau (1767), più aperto verso le voci italiane il primo (su 1044
lemmi, 640 ca. sono italiani, il resto italianismi adattati[23]) e più purista il secondo (Rousseau
aveva criticato fortemente la troppa apertura del suo predecessore alle voci italiane).
Alcuni termini ancora utilizzati
Elenchiamo alcune voci di origine italiana che si mantengono tutt'ora in varie lingue europee. Nel
suo saggio La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese, tedesco, Ilaria
Bonomi, suddivide i termini più diffusi per: strumenti, canto e opera, teoria e composizioni, nelle
lingue francese, spagnola, inglese, tedesca, ungherese e russa (siglate come F, S, I, T, U, R):
Strumenti
•
Contrabbasso: F contrebasse / S contrebajo / I (double bass) / T Kontrabaß / U
kontrabassusz / R kontrabas;
•
viola: F alto / S viola / I viola / T Viola o Bratsche / U viola / R viola;
•
Violoncello: F violoncelle / S violoncelo, chelo / I violoncello, cello / T Violoncello, Cello /
U csello / R violončel';
•
Clavicembalo-cembalo: F clavecin / S clavicémbalo, clavecín / I cembalo-harpsichord / T
Cembalo, Klavier / U cembalo, csembaló / R čembalo, klavesin;
•
pianoforte: F pianoforte / S pianoforte / I pianoforte, piano / T Pianoforte, Klavier / U
zongora/ R fortepiano;
Canto e opera
•
baritono: F baryton / S baritono / I baritone / T Bariton / U bariton / R bariton;
•
basso: F basse / S bajo / I bass / T Baß / U basszus / R bas;
•
contralto: F alto, contralto / S contralto / I alto, contralto / T Alt, Altistin / U alt / R
kontral'to, alt;
•
soprano: F soprano / S soprano, tiple / I soprano / T Sopran / U szopran / Rsoprano;
•
tenore: F ténor / S tenor / I tenor / T Tenor / U tenor / R tenor;
•
aria: F air, aria/ S aria / I aria / T Aria/ U ária / R arija;
•
libretto: F livret / S libreto / I libretto, text / T Libretto, Operntext/ U librettó / R libretto;
Teoria e composizioni
•
cantata: F cantata / S cantata, cantada / I cantata / T Kantata / U kantáte / R kantata;
•
cavatina: F cavatine / S cavatina / I cavatina / T Kavatine / U cavatina / R kavatina;
•
concerto: F concerto / S concierto / I concerto / T Konzert / U koncert / R koncert;
•
duetto: F duetto / S dueto / I duet / T Duett / U duett / R duèt;
•
sonata: F sonate / S sonata / I sonata / T Sonate / U szonáta / R sonata;[20]
Da citare, in questo contesto, alcuni degli italianismi più usati in musica secondo la definizione del
dizionario di Stammerjohann:
•
velocità del tempo: allegro avv. mus. Av. 1566 "Da eseguire in modo abbastanza rapido, tra
il presto e l’andante". (GDU; LESMU).; adagio s. m. mus. 1758, presto s. m. mus. 1765
(TLF); andante agg. mus. 1687(LEI);
•
variazioni di tempo: accelerando [akseleʀɑ̃do, atʃeleʀando] s. m., pl. -dos mus. 1840
(accellerando, 1885 accelerando) (GR; TLF); rallentando avv. mus. 1826. "Con una
progressiva diminuzione della velocità; ritardando, ritenuto". (GDU).
•
dinamica: piano avv. mus. 1584. "Con bassa intensità sonora". (LESMU);
fortissimo s. m. mus. 1752. "Il massimo grado di sonorità". (LESMU, s.v. e s.n.
39232; GDU),
•
modalità di esecuzione: arpeggio s. m. mus. 1708. "Esecuzione in successione delle note di
un accordo". (GDU); legato († ligato ) agg. mus. Av. 1590. Da eseguirsi senza interruzione
fra due suoni consecutivi (note, un passaggio). (GDLI; LESMU, s.n. 00091: 1492 [‹ligata›]).
•
abbellimenti: trillo s. 1. mus. 1601. "Rapido alternarsi di una nota con un’altra superiore o,
più raramente, inferiore di un tono o di un semitono", mordente s. m. mus. 1723. "Varietà
molto breve di trillo". (LESMU), gruppetto s. m. mus. Ca. 1535. Abbellimento costituito da
un’acciaccatura doppia o tripla; il segno che simboleggia tale abbellimento. (GDU).,
acciaccatura s. f. mus. 1708. Abbellimento che consiste nella rapida esecuzione di note
accessorie prima della nota principale. (GDU: 1780; LESMU, s.n. 40410). [21]
Michele Tarabella
Note
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
↑ Massimo Mila, Breve storia della musica, p. 174.
↑ Ilaria Bonomi, Il docile idioma, p. 11.
↑ Ottó Károlyi, La grammatica della musica - La teoria, le forme e gli strumenti musicali,
pp. 48-51.
↑ Folena, Una lingua per la musica, p. 219.
↑ Ilaria Bonomi, Il docile idioma, pp. 38-39.
↑ Goldoni, Mémoires, p. 585.
↑ Ilaria Bonomi, Il docile idioma, pp. 45.
↑ Ilaria Bonomi, Il Docile Idioma, p. 52.
↑ Folena, Una lingua per musica, pp. 223.
↑ Folena, Una lingua per musica, p. 224.
↑ F. Algarotti, Saggi, pp. 165.
↑ Ilaria Bonomi, Il docile idioma, pp. 67.
↑ Ilaria Bonomi, Il docile idioma, p. 69 (il passo cit. a pag. 68, Diderot, saggi, 1975).
↑ Ilaria Bonomi, La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese,
tedesco, p. 185-186.
↑ Ilaria Bonomi, La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese,
tedesco, p. 186.
↑ Harro Stammerjohann, [www.italianismi.org OIM Osservatorio degli italianismi nel
mondo].
↑ Ilaria Bonomi, La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese,
tedesco, p. 187.
↑ Ilaria Bonomi, La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese,
tedesco, p. 190.
↑ Ilaria Bonomi, La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese,
tedesco, p. 192.
↑ Ilaria Bonomi, La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese,
tedesco, pp. 191-192.
↑ Harro Stammerjohann, OIM Osservatorio Italianismi nel mondo, pp. (voci del dizionario).
↑ Ilaria Bonomi, La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese,
tedesco, p. 193.
↑ Ilaria Bonomi, La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese,
tedesco, p. 194.
Bibliografia
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•
•
•
•
Gianfranco Folena, Una lingua per la musica in L'italiano in Europa, Torino, Einaudi, 1983,
pp. 219-234.
Ilaria Bonomi, L'uso dell'italiano nell'opera fuori d'Italia nel Seicento e nel Settecento in Il
docile idioma, Roma, Bulzoni Editore, 1998, pp. 35-58
Ilaria Bonomi, La penetrazione degli italianismi musicali in francese, spagnolo, inglese,
tedesco estratto da Studi di Lessicografia Italiana, Vol . XXVII, Firenze, Le lettere editore,
2010
Francesco Algarotti, Saggi, a cura di G. Da Pozzo, Bari, Laterza, 1963
Ottó Károlyi, La grammatica della musica - La teoria, le forme e gli strumenti musicali,
Einaudi, Torino, 1965