UNIVERSIT A DEGLI STUDI DI TRIESTE FACOLT @A DI SCIENZE

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“Maraviglia sarebbe in te se, privo
d’impedimento, giù ti fossi assiso,
com’a terra quiete in foco vivo”.
Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.
(Par., I, 139-142 )
Ai miei genitori
Indice
Introduzione
3
1 Le pulsar
1.1 Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
7
1.2 Proprietà osservative delle pulsar . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.1 Caratteristiche degli impulsi radio. . . . . . . . . . . . . . . .
9
9
1.2.2
1.2.3
La popolazione galattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Periodi di rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.2.4 Campi Magnetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.3 Le pulsar gamma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.3.1 Dati osservativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.4 Modelli di emissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.4.1 Modello a rotatore obliquo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.4.2
1.4.3
Modello a rotatore allineato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
Modelli di emissione gamma: “polar cap models” ed “outer
gap models” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1.5 Predizioni per l’emissione ad alta energia . . . . . . . . . . . . . . . . 38
2 Il fondo gamma diffuso e le sorgenti gamma non identificate
41
2.1 Il fondo gamma diffuso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
2.1.1 Il fondo galattico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
2.1.2 Il fondo extragalattico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
2.2 Le sorgenti gamma non identificate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
3 Descrizione delle strumentazioni spaziali
3.1 I primi strumenti per la rivelazione dei raggi gamma: SAS2, COSB
52
ed EGRET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
1
2
INDICE
3.2 I telescopi futuri: AGILE e GLAST . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
3.2.1 Il satellite AGILE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
3.2.2
Il telescopio spaziale GLAST . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
4 Emissione gamma galattica da pulsar radio
65
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
4.2 Costruzione del codice numerico e riproduzione di un risultato noto
in letteratura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
4.2.1 Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
4.2.2
Riproduzione dei risultati della simulazione di Bailes e Kniffen
(1992) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
4.2.3
4.2.4
Generazione delle sorgenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
Confronto con il risultato di Bailes e Kniffen . . . . . . . . . . 80
4.2.5 Tests di consistenza del codice numerico . . . . . . . . . . . . 82
4.3 Ampliamento del codice numerico e predizioni relative ai più recenti
modelli di emissione gamma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
4.4 Studio dell’influenza dei diversi parametri significativi per il calcolo
dei flussi gamma sui modelli di emissione. . . . . . . . . . . . . . . . 106
4.4.1 Lo spazio dei parametri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
4.5 Predizioni relative alle osservazioni future da parte degli esperimenti
AGILE e GLAST . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
5 Conclusioni e sviluppi futuri
121
Bibliografia
123
Introduzione
Gli ultimi trent’anni, in concomitanza con la conquista dello spazio e con l’accresciuto interesse per tutta quella serie di fenomeni astrofisici che giocano un ruolo
chiave nell’evoluzione dell’Universo, hanno visto la nascita di una nuova ed affascinante branca della scienza: l’Astrofisica Gamma.
In ambito astrofisico, i raggi gamma sono in genere prodotti da processi fisici in
grado di accelerare particelle cariche ad energie elevatissime, tra qualche MeV e
qualche GeV. Si comprende pertanto come l’Astrofisica Gamma si occupi in realtà
degli stessi fenomeni fisici che hanno suscitato l’interesse dei fisici delle particelle
elementari nel corso dell’ultimo secolo. Non è un caso che gli strumenti di rivelazione usati nei due campi siano del tutto simili: un telescopio per i raggi gamma,
infatti, possiede degli elementi attivi in grado di evidenziare le traiettorie prodotte
dalle coppie elettrone-positrone che si originano dall’interazione dei fotoni altamente
energetici con la materia del rivelatore. La storia dell’esplorazione del cielo gamma
segue pertanto l’evoluzione delle tecniche di rivelazione usate negli esperimenti di
fisica nucleare e subnucleare e negli ultimi tre decenni si sono succeduti satelliti dalle
prestazioni sempre più elevate che hanno via via incrementato le nostre conoscenze
in questo campo.
I raggi gamma astrofisici possono essere diffusi o prodotti da sorgenti discrete;
queste ultime, a loro volta, possono essere di origine galattica o extragalattica.
In questa tesi ci occuperemo dell’emissione gamma di una particolare classe di sorgenti galattiche: le pulsar, che per questa ragione prendono il nome di pulsar gamma.
Dopo una breve sezione dedicata alle proprietà fisiche delle pulsar, nel capitolo 1 sono introdotte le conoscenze di base necessarie a descrivere quelle pulsar in grado di
produrre radiazione gamma. Tratteremo dapprima i principali modelli d’emissione,
inquadrandoli nel contesto storico all’interno del quale sono stati formulati; quindi
3
INTRODUZIONE
4
passeremo in rassegna le più importanti proprietà osservative delle pulsar gamma
conosciute, concludendo questa parte con una discussione circa i principali ambiti
di ricerca per le future missioni spaziali.
L’obiettivo centrale del nostro studio è stato il confronto tra le predizioni teoriche
da parte di alcuni tra i più significativi modelli di emissione gamma dalle pulsar ed i
risultati di EGRET (“Energetic Gamma Ray Experiment Telescope”), lo strumento
che, a bordo del CGRO (“Compton Gamma Ray Observatory”), si è dedicato alla
rivelazione dei raggi gamma di più alta energia.
Il satellite per raggi gamma CGRO è stato operativo nel periodo compreso tra il 5
aprile 1991 ed il 4 giugno 2000 ed ha ampliato notevolmente le nostre conoscenze
nel campo dell’astrofisica gamma. In particolare, EGRET ci ha fornito una mappa
dettagliata del cielo coprendo il range energetico tra 30 MeV e 30 GeV.
La sintesi di tali osservazioni, consistenti nella localizzazione di 271 sorgenti gamma
nel cielo e nella rivelazione di una parte di radiazione diffusa, costituisce l’argomento
del capitolo 2.
Attualmente sono in fase di progettazione numerose altre missioni spaziali nel
campo dell’astrofisica delle alte energie.
La più importante sulla scena internazionale è senza dubbio GLAST (“Gamma Ray
Large Area Space Telescope”), frutto della collaborazione internazionale tra le Agenzie Spaziali Americana (NASA), Europea (ESA) e Giapponese (NASDA) e che sarà
reso operativo nel 2006.
Complementarmente a questa e ad altre grosse imprese internazionali, dal dicembre
1998 AGILE (“Astrorivelatore Gamma a Immagini Leggero”) risulta al primo posto
nel programma di piccole missioni scientifiche promosso dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) nel 1997.
AGILE potrebbe essere definito come il ponte tra la generazione passata e quella
futura di missioni per raggi gamma, con le nuove missioni caratterizzate da un disegno dello strumento estremamente innovativo e basato su tecnologie sviluppate negli
ultimi anni nei campi della fisica delle particelle elementari e dello stato solido.
Questo satellite, il cui motto potrebbe essere “faster, cheaper, better” (più veloce,
meno costoso, migliore), risponde pienamente alle caratteristiche di una piccola missione: è leggero, limitato nei costi e rapido dal punto di vista della costruzione. È
INTRODUZIONE
5
il frutto di una collaborazione completamente italiana, formata da istituti scientifici quali il Centro Nazionale per le Ricerche (CNR), l’Istituto Nazionale di Fisica
Nucleare (INFN) ed industrie nazionali ed internazionali, e promette di ottenere
risultati di interesse mondiale per la comunità degli astrofisici gamma. Inoltre, esso
è progettato per lavorare nel periodo compreso tra il 2003 ed il 2006, quando non è
prevista nessun’altra missione per fotoni con questo spettro energetico.
Dedichiamo il capitolo 3 alla descrizione di questi due strumenti, mettendone in
evidenza le diverse e migliori prestazioni rispetto ai predecessori, i telescopi spaziali
SAS2, COSB ed EGRET.
Il confronto tra le predizioni teoriche ed i dati sperimentali riguardo l’emissione
gamma dalle pulsar sarà invece l’argomento discusso nel capitolo 4, che costituisce
per l’appunto la parte centrale e più rilevante di tutto il nostro studio.
In questo capitolo viene presentato un lavoro di simulazione numerica dell’emissione
gamma da una popolazione galattica di pulsar per mezzo di un codice che abbiamo
costruito appositamente per questo scopo.
I risultati di questa simulazione, consistenti nella riproduzione di un risultato noto
in letteratura e nella sua estensione nell’ambito dei modelli di emissione gamma più
recenti, vengono quindi discussi e messi in relazione con le possibilità osservative dei
futuri esperimenti AGILE e GLAST.
Infine, nel capitolo 5 vengono presentate una sintesi del lavoro svolto ed alcune
proposte di sviluppi futuri.
NOTA
Nel seguito di questo lavoro adotteremo per le pulsar la nomenclatura proposta da
A. Turtle ed A. Vaughan. Le pulsar vengono indicate con la sigla PSR seguita da
due gruppi di cifre: uno di quattro cifre indicanti ore e minuti di ascensione retta,
ed uno di due cifre, precedute dal segno + o −, indicanti la declinazione arrotondata
al grado intero. Nel caso di oggetti cosı̀ vicini nel cielo da risultare indicati con la
stessa sigla, la distinzione viene fatta con le lettere successive dell’alfabeto latino.
Per tutte le pulsar scoperte prima del 1992, le coordinate s’intendono riferite alle
INTRODUZIONE
6
posizioni dell’equatore e del punto dell’Ariete quali erano all’inizio dell’anno Besseliano 1950. Dal momento che tali riferimenti si spostano progressivamente per
effetto della precessione degli equinozi, dal 1992 le coordinate delle nuove pulsar che
vengono scoperte sono riferite all’inizio dell’anno Giuliano 2000; inoltre, vengono
indicati anche i minuti primi di declinazione. Per distinguere i due sistemi di riferimento, si premette una B (Bessel) oppure una J (Julianus). Ad esempio PSR
B1913+16 e PSR J0437−4715: la prima si trova a 19h 13m di ascensione retta e
+16◦ di declinazione con riferimento al 1950,0; la seconda a 4h 37m e −47◦ 15′ con
riferimento al 2000,0. Di solito, però, la B viene omessa.
Capitolo 1
Le pulsar
1.1
Premessa
Quello sulle pulsar è un lungo racconto iniziato nel luglio del 1967, quando Jocelin Bell, una giovane ricercatrice dell’Università di Cambridge, scoprı̀ un misterioso
segnale radio pulsato proveniente dal profondo del cielo. Questa sensazionale scoperta segnò l’inizio di uno dei più affascinanti capitoli della storia della scienza. Data la
brevità dell’impulso - 16 millesimi di secondo - e la sua estrema regolarità, si comprese fin dal principio che tale radiazione doveva originarsi da una ristretta regione
di un corpo stellare straordinariamente compatto. L’esistenza di oggetti astrofisici
dotati di queste caratteristiche era già stata proposta dai fisici teorici all’inizio degli anni trenta. Nel 1934 gli astronomi Baade e Zwicky avevano suggerito che essi
potessero essere i residui stellari dell’esplosione di supernovae.
Tutte le stelle producono energia per mezzo di reazioni termonucleari.
Nella prima fase della loro vita, tali reazioni bruciano l’idrogeno contenuto nel nocciolo convertendolo in elio. Quando quasi tutto il combustibile è stato consumato,
inizia una nuova fase in cui si innescano nuove reazioni termonucleari che trasformano l’elio in carbonio; per le stelle di grande massa, superiore a circa 8 masse solari,
questa successione di stati di equilibrio prosegue ininterrottamente con la produzione di elementi chimici sempre più pesanti, sino alla sintesi del ferro. Il nucleo di
ferro, trovandosi al picco della curva delle energie di legame, non può più trasmutarsi
in un nucleo di diversa specie liberando energia; può farlo soltanto assorbendone.
A questo punto la stella risulta costituita da un piccolissimo nocciolo di ferro, con
7
CAPITOLO 1. LE PULSAR
8
tutt’intorno una struttura a cipolla formata da elementi via via sempre più leggeri.
Consumato tutto il silicio disponibile, il nocciolo di ferro, non potendo più liberare
energia nucleare, collassa subitaneamente liberando un’enorme quantità di energia
gravitazionale che provoca un’apocalittica esplosione. Nel collasso, la temperatura
supera i 5 miliardi di gradi ed i nuclei di ferro si disintegrano in particelle α; quindi,
sotto l’enorme pressione, gli elettroni si assimilano con i protoni trasmutandoli in
neutroni con emissione di neutrini. La regione più interna del nocciolo raggiunge
densità pari a 4 × 1014 g/cm3 e, se la materia neutronizzata e cosı̀ compressa supera il limite di Chandrasekar di 2.6 masse solari, il collasso si arresta. La materia
esterna, che precipita con la velocità di 50 mila chilometri al secondo su tale nocciolo rigidissimo, sospinta dalla pressione elastica, rimbalza e, sospingendo gli strati
superiori ancora in caduta, genera un’onda d’urto che in uno o due giorni raggiunge
la superficie della stella. Nel tempo intercorrente fra il collasso e l’apparizione in superficie dell’onda d’urto la luminosità della stella aumenta di cento milioni di volte:
è il fenomeno delle supernovae. Della stella rimane un minuscolo corpo costituito
prevalentemente da neutroni, che racchiude una massa pari a circa quella del Sole
entro un raggio di una decina di chilometri: è nata una stella di neutroni, destinata
al lento raffreddamento su scala di tempo cosmologica. Tutt’attorno una nebulosa
in rapida espansione, che è il tipico residuo nebulare di una supernova e che svanisce
in capo a poche centinaia di migliaia di anni.
Le principali caratteristiche delle prime pulsar - questo fu il nome che si diede
alla nuova classe di radiosorgenti - erano l’estrema regolarità del periodo di rotazione
ed il suo lento e progressivo rallentamento. Sulla base di queste proprietà, la loro
identificazione con stelle di neutroni rotanti fu quasi immediata.
Allo stato attuale si conoscono circa 700 pulsar, un campione sufficientemente significativo da consentirne, attraverso l’analisi statistica dei dati osservativi, la formulazione di un modello evolutivo. Per la maggior parte di esse l’unica emissione
osservata è quella nella banda radio. Solo per un numero limitato di sorgenti ci
perviene anche radiazione di alta energia, sino al dominio dei raggi gamma.
9
CAPITOLO 1. LE PULSAR
1.2
1.2.1
Proprietà osservative delle pulsar
Caratteristiche degli impulsi radio.
L’emissione radio delle pulsar avviene attraverso successioni ad intervalli regolari di tempo di impulsi brevissimi, mentre la radiazione non pulsata è praticamente
nulla.
Il dominio radio utile per l’osservazione delle pulsar si estende tradizionalmente da
16 a 1600 MHz; il limite inferiore è posto dalla trasparenza atmosferica e quello superiore dalla natura stessa di tali sorgenti. Tuttavia recentemente, con attrezzature
particolarmente idonee e per particolari pulsar si è riusciti a fare osservazioni utili
su decine di GHz.
L’intensità degli impulsi aumenta con legge esponenziale via via che diminuisce la
frequenza ν di osservazione:
I = να,
(1.1)
dove l’esponente α, detto indice spettrale, è per lo più compreso fra −2 e −4.
Di solito, però, ad una certa frequenza si ha un’inversione ed il flusso diminuisce;
il massimo cade comunemente fra 100 e 200 MHz. Per tale ragione le osservazioni
vengono fatte prevalentemente a basse frequenze, solitamente a 400 MHz.
La radiazione che ci perviene dalle pulsar è molto debole: gli impulsi si elevano di
pochissimo sopra il rumore di fondo del radio telescopio.
L’intensità si misura in jansky (1 Jy = 10−26 watt m−2 Hz−1 ).
1.2.2
La popolazione galattica
La distribuzione angolare delle pulsar riproduce quella dei resti giovani di supernova e dei loro presunti progenitori, le stelle di tipo OB. La maggior parte delle
pulsar, infatti, si trova concentrata nel piano galattico entro uno spessore di circa 1
Kpc e ad una distanza radiale di circa 10 Kpc dal centro.
Questi dati sono consistenti con l’ipotesi che le pulsar si originino in seguito all’esplosione di supernovae, acquisendovi elevate velocità, dell’ordine di 200 Km/s.
Basandosi sulle stime relative alla popolazione delle stelle ritenute le progenitrici
delle stelle di neutroni, si ritiene che il numero di pulsar attive nella Galassia am-
CAPITOLO 1. LE PULSAR
10
monti a 105 − 106 .
La Fig. (1.1) riproduce la distribuzione galattica delle 558 pulsar conosciute fino al
1993.
Figura 1.1: Distribuzione galattica di 558 pulsar (da Taylor, Manchester & Lyne,
1993).
1.2.3
Periodi di rotazione
Accanto alle luminosità e alle distanze, i periodi di rotazione ed i corrispondenti
tassi di variazione temporale occupano, tra le grandezze fisiche direttamente misurabili dalle osservazioni, un ruolo di primo piano.
In Fig. (1.2) è indicata la distribuzione dei periodi di rotazione misurati per le 558
pulsar di Fig. (1.1).
Come si nota immediatamente, la maggior parte delle pulsar ruota con periodi
compresi tra 0.1 e 2 secondi; inoltre, accanto alla popolazione più numerosa, ve ne
è un’altra di dimensioni più ridotte, quella delle pulsar millisecondo.
Un’importante caratteristica messa in luce dalle osservazioni è che la rotazione delle
pulsar subisce un rallentamento progressivo, per lo più su una scala di 106 − 108
anni.
CAPITOLO 1. LE PULSAR
11
Figura 1.2: Distribuzione dei periodi di rotazione delle 558 pulsar di Fig. (1.1) (da
Taylor, Manchester & Lyne, 1993).
Dall’analisi delle distribuzioni dei periodi di rotazione e delle loro variazioni temporali, emerge un primo quadro evolutivo: le pulsar nascerebbero con periodi dell’ordine
di 100 millisecondi e frenerebbero progressivamente la propria rotazione come conseguenza dell’emissione di radiazione elettromagnetica, per spegnersi del tutto in
capo a qualche milione di anni. Questo comporterebbe una nascita ogni 50 anni,
consistentemente con l’ipotesi dell’origine delle stelle di neutroni dal collasso di supernovae di tipo II.
1.2.4
Campi Magnetici
Le stelle neutroniche sono sede di intensissimi campi magnetici, quali possono
risultare appunto dal collasso di una stella normale con un campo magnetico di un
centinaio di Gauss alla superficie. Conservandosi nel collasso il flusso magnetico,
l’intensità alla superficie della stella deve raggiungere un valore dell’ordine di 1012
G.
Come avremo modo di puntualizare meglio nel paragrafo 1.4 di questo capitolo,
riguardo l’evoluzione temporale del campo magnetico le opinioni degli studiosi sono
controverse: vi sono teorie secondo le quali il campo magnetico sarebbe costante nel
tempo, e teorie che ne ipotizzano il decadimento.
Una rappresentazione utilissima per studiare l’evoluzione delle pulsar è il diagramma
CAPITOLO 1. LE PULSAR
12
campo mgnetico-periodo di rotazione riportato nella Fig. (1.3).
Figura 1.3: Diagramma campo magnetico-periodo di rotazione per una popolazione
galattica di pulsar (da Tempesti, 1997).
Allungandosi il periodo, se il campo magnetico restasse costante, una pulsar nel
diagramma di Fig. (1.3) si sposterebbe verso destra lungo una linea orizzontale. Però
il diagramma mostra che la traccia ad un certo punto s’incurva rapidamente verso
il basso avvicinandosi asintoticamente alla verticale. Ciò può essere interpretato
dicendo che il diagramma, benchè il tempo non vi sia esplicitamente rappresentato,
mostra un fenomeno evolutivo.
Si nota che vi sono numerose pulsar di campo magnetico compreso fra 1011 e 1012 G
e periodo di rotazione tra 0.2 ed 1.3 s; pertanto, siccome col trascorrere del tempo
il periodo aumenta, se il campo magnetico restasse costante dovrebbero esistere
numerose pulsar con tali valori del campo magnetico e periodi di rotazione inferiori
a 0.2 s. Invece non ce n’è nemmeno una. La conclusione che si è portati a trarre è
che le pulsar nascano con campi magnetici dell’ordine di 1012 − 1013 G e poi, forse,
decadano a valori dieci volte inferiori.
Tuttavia, bisogna precisare che l’ordinata del diagramma di Fig. (1.3) non riporta
realmente il campo magnetico, la cui intensità non può essere misurata direttamente
dalle osservazioni e viene pertanto ricavata in modo indiretto sulla base di un modello
13
CAPITOLO 1. LE PULSAR
teorico che la pone in relazione con il periodo P ed il suo tasso di variazione temporale
Ṗ . Come vedremo meglio nel paragrafo 1.4 di questo capitolo, uno dei modelli teorici
più accreditati suppone che il campo magnetico B della stella di neutroni abbia una
distribuzione angolare dipolare; la relazione che lega Bp , la sua componente polare
perpendicolare all’asse di rotazione alle quantità P e Ṗ è data da:
3 I c3
Bp =
P Ṗ ,
(1.2)
8 π 2 R6 sin2 α
dove I ed R sono rispettivamente il momento d’inerzia ed il raggio della pulsar,
ed α è l’angolo compreso tra l’asse magnetico del dipolo e quello di rotazione.
2
Siccome ciò che realmente si misura e di cui si constata una diminuzione temporale è
la quantità P Ṗ , si potrebbe anche ammettere l’ipotesi che B sia costante nel tempo,
attribuendo l’assenza di pulsar nella parte sinistra del diagramma di Fig. (1.3) ad
una diminuzione dell’angolo α.
CAPITOLO 1. LE PULSAR
1.3
14
Le pulsar gamma
Sebbene per la maggior parte delle pulsar l’intensità degli impulsi sia massima
mediamente nelle frequenze comprese fra 100 e 2000 MHz e si attenui rapidamente
per frequenze maggiori fino a scendere sotto la soglia di rivelazione, ve ne sono alcune che sono state identificate anche nei domini spettrali più alti.
Un notevole apporto alle conoscenze in tale campo è venuto dai tre efficientissimi
satelliti - l’HUBBLE (il “Grande Telescopio Spaziale”), il ROSAT e il CGRO - che
hanno ricoperto completamente lo spettro delle alte frequenze.
I satelliti per le alte energie ROSAT (“Roentgen Satellite”, specializzato nei raggi X)
e il CGRO (“Compton Gamma Ray Observatory”) messi in orbita rispettivamente
nel giugno 1990 e nell’aprile 1991 hanno notevolmente ampliato le scarse conoscenze
sull’emissione delle pulsar nei domini X e gamma.
Per quanto concerne le caratteristiche strumentali dei principali satelliti per le alte
energie si rimanda al Capitolo 3.
1.3.1
Dati osservativi
Il telescopio spaziale EGRET a bordo del CGRO ha identificato sei pulsar gamma al di sopra dei 100 MeV. Esse sono la Vela (PSR B0833−45), la Crab (PSR
B0531+21), Geminga (PSR J0633+1746), la PSR B1055−52, la PSR B1706−44, la
PSR B1951+32. Accanto ad esse, la PSR B1509−58 è stata identificata solamente
ad energie più basse dagli altri tre strumenti presenti sul CGRO ma non da EGRET.
Le Fig. (1.4) e (1.5) riportano le curve di luce delle pulsar gamma attualmente
conosciute nei diversi domini energetici.
CAPITOLO 1. LE PULSAR
15
Figura 1.4: Curve di luce nei vari domini spettrali delle sette pulsar più energetiche,
in ordine crescente di età da sinistra a destra. In ascissa la fase, in ordinata il flusso
ricevuto (da Tempesti, 1997).
CAPITOLO 1. LE PULSAR
16
Figura 1.5: Curve di luce nelle bande X e gamma delle sette pulsar più energetiche,
in ordine crescente di età da sinistra a destra. Sono considerati i quattro domini
energetici: 0.5 − 2 KeV, 2 − 100 KeV, 100 KeV − 10 MeV e sopra i 100 MeV. Ogni
icona mostra una rotazione completa della stella di neutroni (da Thompson, 2001).
Da queste curve di luce emergono alcune caratteristiche peculiari:
• Esse non esibiscono la medesima forma a tutte le lunghezze d’onda. Questo
lascia supporre che vi sia una qualche combinazione della geometria e del
meccanismo di emissione strettamente dipendente dall’energia.
CAPITOLO 1. LE PULSAR
17
• Non tutte e sette le pulsar sono viste alle energie più alte. Come già anticipato,
la PSR B1509−58 è stata osservata al di sopra dei 10 MeV da COMPTEL, un
altro strumento a bordo del CGRO, ma non oltre i 100 MeV da EGRET.
• Le sei pulsar osservate da EGRET presentano la comune proprietà di possedere
tutte un doppio picco nelle relative curve di luce. Questa sembrerebbe essere
la naturale conseguenza dell’emissione di radiazione dalle calotte polari della
pulsar, il cui asse magnetico sia sufficientemente obliquo rispetto all’asse di
rotazione da far sı̀ che entrambi i coni investano l’osservatore entro ciascun
periodo.
Oltre alle sei pulsar elencate, EGRET ne ha viste altre tre con un livello di
confidenza di circa 5 ordini di grandezza inferiore a quello della più debole di esse.
Le curve di luce di queste sorgenti sono mostrate in Fig. (1.6).
Figura 1.6: Curve di luce delle tre candidate pulsar gamma PSR B1046−58, PSR
B0656+14 e PSR J0218+4232. Ogni icona mostra una rotazione completa della
stella di neutroni (da Thompson, 2001).
CAPITOLO 1. LE PULSAR
18
La Fig. (1.7) rappresenta le pulsar viste da EGRET in un diagramma P − Ṗ .
Come è possibile vedere dalla figura, le pulsar gamma, che sono indicate dai cerchietti più grossi, tendono a concentrarsi in regioni ad elevato campo magnetico e
relativamente giovani età. Inoltre tutte e dieci queste sorgenti presentano l’ulteriore
caratteristica comune di possedere un valore della differenza di potenziale di linea
di campo aperta alto rispetto alla maggior parte delle pulsar radio, fatto questo non
sorprendente data la natura del meccanismo di accelerazione.
Figura 1.7: Diagramma P − Ṗ relativo ad un campione significativo di pulsar. I
cerchietti piccoli indicano le pulsar radio, quelli grossi le pulsar gamma. I cerchietti
scuri rappresentano le sette pulsar gamma con il livello di confidenza più alto, quelli
chiari le altre tre meno probabili candidate (da Thompson, 2001).
In Fig. (1.8) sono indicate alcune proprietà osservative delle pulsar gamma conosciute.
Sono indicati, in ordine, il periodo di rotazione P , il suo tasso di variazione temporale
Ṗ , l’età caratteristica t definita per mezzo del rapporto P/2 Ṗ , il campo magnetico B, la distanza Dst e l’efficienza di emissione gamma η definita come frazione
dell’energia persa riemessa come fotoni gamma.
CAPITOLO 1. LE PULSAR
19
Figura 1.8: Proprietà delle pulsar rivelate da EGRET: P è il periodo di rotazione, Ṗ
la sua variazione temporale, t è l’età caratteristica P /2 Ṗ , B il campo magnetico, Dst
è la distanza ed η l’efficienza di produzione di raggi gamma definita come frazione
dell’energia persa riemessa come fotoni gamma.
Un fatto estremamente rilevante nell’emissione alle più alte energie è che essa è
dominata da uno solo dei due impulsi osservati nei domini energetici più bassi, come
risulta evidente dalla Fig. (1.9).
Figura 1.9: Curve di luce delle quattro pulsar gamma con la statistica migliore nei
range energetici sopra i 100 MeV e sopra i 5 GeV (da Thompson, 2001).
CAPITOLO 1. LE PULSAR
20
Inoltre, in tutti gli spettri ad alta energia si osserva una brusca discesa al di
sopra dei 10 GeV. D’altra parte, la soglia di rivelazione di EGRET è 30 GeV per
cui i dati misurati in questa parte dello spettro sono insufficienti a predire che cosa
succede intorno ai 100 GeV.
In mancanza di dati osservativi, le uniche fonti d’informazione sono rappresentate
dai modelli teorici relativi all’emissione gamma delle pulsar.
1.4
1.4.1
Modelli di emissione
Modello a rotatore obliquo
La prima soddisfacente teoria del meccanismo di emissione di radiazione elettromagnetica dalle pulsar venne elaborata indipendentemente da Pacini nel 1968 e da
Gunn ed Ostriker nel 1969.
Questo modello fa parte della classe di modelli detta a dipolo magnetico in cui si
suppone che il campo magnetico della stella di neutroni abbia una distribuzione
angolare dipolare, prevede che quest’ultimo sia orientato ad un angolo non nullo
rispetto all’asse di rotazione della stella ed è per tale ragione denominato modello a
rotatore obliquo.
Le stelle di neutroni sono infatti corpi rotanti originati dal collasso di supernovae;
dovendosi in tale collasso conservare sia il flusso magnetico che il momento angolare,
si comprende come tali stelle siano dotate fin dalla loro nascita di intensissimi campi
magnetici, tipicamente 1012 G, ed elevatissime velocità di rotazione.
L’idea fondamentale alla base del modello in questione è che il rallentamento osservato nella rotazione delle pulsar sia attribuibile alla perdita di energia per
emissione elettromagnetica dovuta all’azione frenante del campo di dipolo, unitamente al contributo relativo all’emissione di onde gravitazionali.
Pertanto l’emissione di radiazione da parte delle pulsar è ascrivibile ad un’emissione
elettromagnetica di dipolo.
Per ogni corpo stabile in equilibrio, ruotante uniformemente e rigidamente e che
perda la sua energia cinetica rotazionale su una scala temporale lunga rispetto al
periodo di rotazione, il tasso di perdita di momento angolare è:
21
CAPITOLO 1. LE PULSAR
1 dE
dJ
=
dt
Ω dt
mentre la perdita di energia cinetica rotazionale è:
d( 21 I Ω2 )
= I Ω Ω̇.
dt
(1.3)
(1.4)
All’ordine più basso nella velocità angolare Ω, le perdite di energia per emissione
di onde elettromagnetiche e gravitazionali sono rispettivamente (Landau & Lifshitz,
1951):
dEdipolo magnetico
2 m2⊥ Ω4
=−
dt
3 c3
(1.5)
e
2
dEquadrupolo gravitazionale
1 G D⊥
Ω6
=−
,
(1.6)
dt
45
c5
dove m⊥ ∼ R3 Bp sin α/2, D⊥ ∼ 17 ǫ I e Bp sono rispettivamente le componenti dei
momenti di dipolo magnetico, di quadrupolo gravitazionale e del campo magnetico
polare perpendicolari all’asse di rotazione, α è l’angolo tra l’asse di dipolo magnetico
e l’asse di rotazione, R è il raggio ed ǫ è l’ellitticità nel piano equatoriale della stella
di neutroni idealizzata con un ellissoide omogeneo e leggermente deformato.
Sostituendo nelle Eq. (1.5) ed (1.6) le espressioni per m⊥ e D⊥ , si ricavano le
relazioni esplicite per le perdite energetiche nei due casi:
dEdipolo magnetico
Bp 2 R6 Ω4 sin2 α
=−
,
dt
6 c3
(1.7)
e
dEquadrupolo gravitazionale
32 G 2 2 6
=−
I ǫ Ω.
(1.8)
dt
5 c5
Uguagliando l’Eq. (1.4) alle Eq. (1.7) ed (1.8), si ottengono i contributi rispettivi
all’allungamento del periodo di rotazione.
Nel caso di emissione di onde elettromagnetiche si ha (Manchester & Taylor, 1977):
B 2 = Bp 2 sin2 α =
3 I c3 P Ṗ ,
8 π 2 R6
(1.9)
dalla cui integrazione si ricava:
2
P =
P02
16 π 2 R6 2
+
B t.
3 I c3
(1.10)
22
CAPITOLO 1. LE PULSAR
Segue:
B 2 8 π 2 R6 .
(1.11)
P
3 I c3
Adottando per il raggio, la massa ed il momento d’inerzia della stella di neutroni i
Ṗ =
valori seguenti:
• R = 1.2 × 106 cm;
• M = 1.4M⊙ ;
• I = 1.4 × 1045 g cm2 ,
noti i valori di Ω ed Ω̇ di una pulsar è possibile calcolare i corrispondenti valori
dell’energia, della perdita di energia cinetica rotazionale e del campo magnetico in
corrispondenza del polo. Essi risultano tipicamente:
• E ∼ 1049 erg;
• Ė ∼ 1039 erg s−1 ;
• Bp ∼ 1012 G.
Inoltre, definiamo età caratteristica T al tempo presente la quantità:
Ω
6 I c3
=
T ≡−
,
Ω̇ 0 Bp 2 R6 sin2 α Ω0 2
(1.12)
dove Ω0 è la velocità angolare all’istante attuale.
Dall’integrazione delle Eq. (1.6) ed (1.7) si ottiene:
−1
2 Ωi 2 t 2
,
Ω = Ωi 1 +
Ω0 2 T
(1.13)
dove Ωi è la velocità angolare all’istante t = 0. Ponendo Ω = Ω0 nell’Eq. (1.13), si
trova che l’età attuale della pulsar è:
t≃
T
Ω0 2 T
1− 2 ≃
2
2
Ωi
per Ω0 ≪ Ωi .
(1.14)
Il valore di t predetto teoricamente nel caso della pulsar Crab può essere confrontato
con l’età reale deducibile a partire dalla data di esplosione della supernova, dando
un accordo soddisfacente.
23
CAPITOLO 1. LE PULSAR
Un ragionamento del tutto analogo può essere effettuato nel caso di emissione gravitazionale. Si trova in questo secondo caso che il valore predetto per l’età della
pulsar Crab è inconsistente con l’età reale, pertanto questa non può essere la sola
responsabile del frenamento, sebbene l’emissione di onde gravitazionali contribuisca
alla perdita totale di energia cinetica rotazionale; semmai, in un modello accurato,
bisognerebbe considerare un’opportuna combinazione dei due effetti.
L’età caratteristica rappresenta un limite superiore all’età vera e coincide con
essa se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
• il campo magnetico è di puro dipolo;
• il campo magnetico è costante nel tempo;
• il periodo iniziale è molto più piccolo di quello attuale.
Che il campo magnetico sia approssimativamente di dipolo è un’ipotesi oggi accettata pressochè all’unanimità (Tempesti, 1997).
Per quanto riguarda il suo decadimento, fino ad alcuni anni fa esso era ritenuto abbastanza rapido. Gunn ed Ostriker, supponendolo dovuto ad un effetto di dissipazione
Ohmica hanno ricavato la legge esponenziale:
t
B = B0 e− τ ,
(1.15)
con τ = 4 Myr.
Le equazioni (1.9) ed (1.10) divengono in questo caso:
r
8 π 2 R6 − 2τt
P = P02 + B02 τ
;
(1.16)
1
−
e
3 I c3
B0 2 8 π 2 R6 − 2 t
Ṗ =
e τ .
(1.17)
P
3 I c3
Tuttavia, esistono oggi anche modelli alternativi a quello del decadimento legato a
dissipazione Ohmica. Tra questi, l’idea della costanza nel tempo del campo magnetico trova un considerevole numero di sostenitori.
In maniera analoga, l’ipotesi secondo la quale il periodo iniziale è trascurabile rispetto a quello attuale è stata recentemente messa in discussione anche per alcune
pulsar antiche (Tempesti, 1997).
24
CAPITOLO 1. LE PULSAR
Il modello di frenamento più generale può essere desctitto dll’equazione:
Ω̇ = −K Ωn ,
(1.18)
con
Ω Ω̈
.
Ω̇2
Il parametro n è detto indice di frenamento.
Al posto delle Eq. (1.12) ed (1.13) si hanno in questo caso le relazioni:
n=−
(1.19)
1
Ω(t) = Ω0
t − n−1
,
1+
τ
(1.20)
dove τ è una costante d’integrazione e
1 Ω
T =−
.
n − 1 Ω̇ 0
(1.21)
Essendo per le Eq. (1.3) ed (1.6) B 2 (t) ∝ Ω̇ Ω−3 , si ricava l’andamento temporale
del campo magnetico nel caso generale:
n−3
B(t) = B0
t − 2 (n−1)
.
1+
τ
(1.22)
Inoltre, dall’Eq. (1.18) si vede che si ritrova il caso di frenamento di puro dipolo
magnetico nel caso in cui n = 3, ma sono in generale possibili altri valori di n
corrispondenti alle seguenti condizioni fisiche:
• se n è compreso fra 3 e 2, la rotazione è molto frenata;
• se n = 2 il periodo di rotazione è costante e non si ha rallentamento;
• infine, per n minore di 2 si ha addirittura che Ṗ crescerebbe al crescere di
P , ovvero il frenamento crescerebbe col rallentare della rotazione, situazione
questa di difficile giustificazione teorica; ancora più improbabile è ritenuta la
condizione in cui n assuma valori maggiori di 3.
Dall’Eq. (1.19) segue che è possibile effettuare una misurazione diretta di n qualora
si conosca la derivata seconda della velocità angolare di rotazione. Questo richiede una cronometria di altissima precisione condotta per tempi molto lunghi ed è
25
CAPITOLO 1. LE PULSAR
pertanto possibile solo per le pulsar molto giovani le quali subiscono un forte rallentamento.
A tutt’oggi l’indice di frenamento è stato determinato solo per quattro pulsar; i
valori corrispondenti sono indicati nella Tabella 1.1.
Tab.1.1.
PSR
n
Crab
1509 − 58
0540 − 69
Vela
2.515
2.837
2.01
1.4
Dunque si ha indicazione, almeno per le pulsar molto giovani, che n è compreso
fra 2 e 3: questo comporta che il frenamento non è dovuto unicamente al momento
torcente da dipolo magnetico.
Per spiegare questo fatto sono stati proposti diversi altri modelli di emissione. Il più
importante tra essi è il modello detto a rotatore allineato introdotto da Goldreich
e Julian nel 1969 e facente sempre parte della classe di modelli a dipolo magnetico.
C’è anche chi ha sostenuto l’ipotesi di un progressivo accrescimento del momento magnetico dovuto ad un aumento dell’intensità del campo o del suo angolo di
inclinazione rispetto all’asse di rotazione. Si tratterebbe in ogni caso però di un
fenomeno transitorio, della durata di poche migliaia di anni (Tempesti, 1997).
1.4.2
Modello a rotatore allineato
Il modello a rotatore obliquo esposto nel precedente paragrafo è basato su alcune
approssimazioni:
• si è ipotizzato che la regione circostante la stella di neutroni sia costituita da
vuoto e sia pertanto trasparente alla radiazione;
• non si è cercato di risolvere correttamente i campi elettromagnetici interni ed
esterni alla pulsar per valutarne esattamente il contributo alla superficie;
• si sono ignorati tutti gli effetti relativistici.
26
CAPITOLO 1. LE PULSAR
Nel 1969 Goldreich e Julian hanno dimostrato che non è lecito considerare le stelle
di neutroni magnetizzate e rotanti come immerse nel vuoto. Esaminando il caso in
cui il momento magnetico di dipolo è allineato con l’asse di rotazione, essi hanno
introdotto un nuovo modello di emissione secondo il quale il frenamento nella rotazione della pulsar è dovuto alla perdita di energia tramite l’accelerazione di particelle
cariche.
Infatti, la rotazione genera nella regione intorno alla stella degli intensissimi campi
elettrici in grado di strappare le particelle cariche dalla sua superficie.
L’ordine di grandezza di tali campi elettrici è di 1010 Volt/cm.
Secondo un teorema generale della magnetoidrodinamica (teorema di Alfvén), in un
plasma ionizzato e quindi a conducibilità infinita il campo magnetico viene trasportato dal moto del plasma stesso. Cioè il plasma trascina con sè il campo magnetico,
che, ancorato alla stella di neutroni, è costretto a corotare con essa.
Conseguentemente le pulsar devono possedere una densa magnetosfera.
Osserviamo che il campo magnetico di dipolo trova un limite là dove la sua
velocità di rotazione raggiunge la velocità della luce, dove cioè è soddisfatta la
condizione:
Ω RL = c,
(1.23)
essendo Ω la velocità di rotazione della stella ed RL la distanza dal suo asse.
Il cilindro definito dall’Eq. (1.22) prende il nome di cilindro luce e le linee del campo
magnetico che lo intersecano proseguono verso l’infinito anzichè rinchiudersi, dividendo cosı̀ la magnetosfera in due zone: l’una aperta, che include i poli magnetici, e
l’altra chiusa. Le due zone della stella attorno ai poli magnetici dalle quali emergono
le linee di forza aperte sono dette calotte polari magnetiche (in inglese, “polar caps”).
Data l’intensità dei campi magnetici, ogni componente di movimento delle particelle cariche non allineata con le linee di forza viene rapidamente smorzata dall’irraggiamento di sincrotrone, sicchè il moto e l’accelerazione delle particelle strappate
dalla superficie della stella di neutroni possono avvenire solo là dove l’orientazione
dei campi lo consente, cioè lungo le linee di forza del campo magnetico stesso.
Il moto complessivo di tali cariche varia a seconda che esse si muovano nella parte
aperta o chiusa della magnetosfera.
In generale, nel caso di un campo di dipolo B(r,θ,z) le linee di campo sono descritte
27
CAPITOLO 1. LE PULSAR
dall’equazione:
sin2 θ = costante
(1.24)
r
e sono rispettivamente aperte o chiuse a seconda che l’angolo θ con cui si dipartono
dai poli magnetici sia maggiore o minore dell’angolo θp che delimita l’estensione
della calotta polare.
La linea critica è quella che incomincia con r = R e θ = θp ; in corrispondenza del
cilindro luce, essa è invece definita da r = RL e θ = π/2.
Dall’Eq. (1.24) segue:
r
R
,
sin θp =
RL
da cui si ricava il raggio Rp della calotta polare:
r
R
Rp ∼
.
= R sin θp = R
RL
(1.25)
(1.26)
La differenza di potenziale tra il centro ed il limite esterno del “polar cap” risulta
essere:
Ω B R2 R
.
(1.27)
∆φ =
2 c RL
In Fig. (1.10) è indicato uno schema del modello di Goldreich e Julian per la
magnetosfera delle pulsar.
Goldreich & Julian hanno dimostrato che è la parte chiusa della magnetosfera
quella che possiede la proprietà di intrappolare le particelle cariche.
Nella parte aperta della magnetosfera invece, il plasma, sospinto dalla pressione
magnetica verso le zone dove il flusso di campo magnetico è minore, viene soffiato
verso l’esterno. Tale plasma porta con sè energia e momento di quantità di moto e
la sua eiezione comporta un rallentamento della velocità di rotazione della stella a
cui corrisponde una perdita energetica data da:
dEdipolo magnetico
K Bp 2 R6 Ω4 cos α
=−
,
dt
8 c3
(1.28)
dove K è un fattore numerico non molto diverso dall’unità.
Rispetto al comportamento del rotatore obliquo nel vuoto si vede come la principale
differenza stia nel fatto che mentre nel primo caso si ha il massimo di dissipazione
quando l’asse di rotazione e l’asse magnetico sono perpendicolari, in questo caso la
CAPITOLO 1. LE PULSAR
28
perdita energetica è massima quando essi sono paralleli. Notiamo che l’ordine di
grandezza previsto per la dissipazione dai due modelli è lo stesso.
Figura 1.10: Schema del modello a rotatore allineato per la magnetosfera delle pulsar (Goldreich & Julian, 1969). Le particelle ancorate alle linee di forza chiuse del
campo magnetico costituiscono un plasma corotante con la stella di neutroni, mentre
quelle che si muovono lungo le linee aperte riescono a fuoriuscire dalla magnetosfera. L’angolo θp delimita l’estensione della calotta polare, mentre la linea diagonale
rappresenta il luogo geometrico dei punti dove la componente Bz dal campo magnetico lungo l’asse z vale 0 e la carica spaziale cambia segno (da Goldreich & Julian
(1969)).
Goldreich & Julian hanno inoltre stimato che nelle regioni in cui la componente
Bz del campo magnetico lungo l’asse z è positiva la carica elettrica del plasma è
negativa; viceversa, dove essa è negativa la carica elettrica è positiva.
Alle particelle cariche cosı̀ prodotte si attribuisce la proprietà di emettere nella banda
radio un fascio collimato di radiazione che, quando l’asse magnetico della stella di
neutroni non è allineato con l’asse di rotazione, spazzola il cielo dando luogo, se
capita di intercettarlo, alla caratteristica radiazione pulsata. In alcune pulsar più
giovani, quindi più veloci e dotate di campi magnetici più alti, tale emissione pulsata
si estende fino alle bande ottica, X e γ.
CAPITOLO 1. LE PULSAR
1.4.3
29
Modelli di emissione gamma: “polar cap models” ed
“outer gap models”
Dopo la formulazione del modello di Goldreich & Julian che dimostra l’esistenza
della magnetosfera e la scoperta delle prime pulsar gamma, il principale interesse
degli studiosi è stato rivolto alla localizzazione delle regioni di emissione dei fotoni
gamma ed alla comprensione dei meccanismi di accelerazione delle particelle cariche.
Attualmente esistono due classi di modelli di emissione gamma: i polar cap models,
secondo i quali l’emissione ha luogo alla superficie della stella di neutroni in prossimità delle calotte polari magnetiche, e gli outer gap models, i quali assumono che le
particelle cariche vengano accelerate nella parte più esterna della magnetosfera, nelle
regioni vuote che si vengono a creare lungo le superfici a carica nulla (Fig (1.11)).
Figura 1.11: “Polar gaps” ed “outer gaps” (da Harding, 2000).
In entrambi i casi tali particelle decadono emettendo fotoni, i quali a loro volta
interagiscono con altre particelle cariche od altri fotoni dando origine alla radiazione
gamma osservata.
Nell’ambito di queste due classi principali, esistono poi delle ulteriori suddivisioni a
seconda della natura delle interazioni da cui si originano i fotoni di alta energia.
Una prima sottoclassificazione riguarda l’origine delle cariche sottoposte ad accelerazione da parte dell’intenso campo elettrico magnetosferico.
I “polar cap models” detti a flusso limitato di carica spaziale (Sturrock, 1971; Arons
& Scharlemann, 1979; Arons, 1983) suppongono, come del resto avevano fatto gli
30
CAPITOLO 1. LE PULSAR
stessi Goldreich & Julian, che le particelle cariche primarie che subiscono l’accelerazione siano quelle direttamente strappate dalla superficie stellare.
Uno scenario del tutto nuovo si è venuto a crere con l’introduzione dei “polar cap
models” detti a breakdown del vuoto o polar cap gap models (Ruderman & Sutherland, 1975; Zhang, Qiao, Lin & Han, 1997; Zhang, Qiao & Han, 1997).
Secondo questi modelli, il flusso uscente della carica spaziale dalle calotte polari
magnetiche è superiore a quello della carica entrante, sicchè queste ultime si circondano inevitabilmente di vuoto. Data l’intensità dei campi elettrici alla superficie
della stella di neutroni e considerando la condizione per la rottura elettrostatica del
vuoto:
E e h ≫ 2 me c2 ,
(1.29)
inserendovi i valori corretti per E, e, me e c si vede che essa è soddisfatta su scale
di altezza h di pochi centimetri. Questo significa che una stella di neutroni magnetizzata e ruotante si circonda inevitabilmente di un plasma di elettroni positivi e
negativi.
In questo contesto, pertanto, le particelle cariche primarie derivano dalla rottura
elettrostatica del vuoto che viene a crearsi in corrispondenza delle calotte polari
della pulsar.
Il moto delle cariche lungo le linee di forza del campo magnetico, generalmente curve, induce delle accelerazioni che provocano un particolare processo di emissione
da parte delle particelle relativistiche denominato radiazione di curvatura, da cui si
generano fotoni di alta energia attraverso un rapido processo di moltiplicazione a
valanga (Fig. (1.12)).
La discriminazione tra questi due sottogruppi di modelli a “polar cap” è una
questione tutt’oggi controversa, a causa dell’incompleta comprensione circa la composizione e la fisica della superficie delle stelle di neutroni.
Un altro importante fattore di disciminazione tra i “polar cap models” è costituito dallo stesso meccanismo di accelerazione delle particelle cariche primarie.
Indipendentemente dalla loro origine, i fotoni prodotti dal loro decadimento sono
responsabili della creazione di coppie elettrone-positrone, che a loro volta decadono
emettendo raggi gamma.
Il processo fisico alla base della produzione di coppie è:
31
CAPITOLO 1. LE PULSAR
Figura 1.12: Rottura elettrostatica del vuoto e produzione di sciami elettromagnetici. Un fotone di energia > 2 me c2 genera in 1 una coppia e+ − e− . Il campo
elettrico accelera il positrone e l’elettrone in direzioni opposte, sicchè mentre il primo viene sospinto al di fuori del “gap”, il secondo ricade verso la superficie stellare
muovendosi lungo una linea curva del campo magnetico e irradiando un fotone in 2.
Quest’ultimo si muove verso le regioni a potenziale elettrico più alto fino a quando ha
acquisito sufficiente energia da produrre un’altra coppia e+ − e− in 3 (da Ruderman
& Sutherland, 1975).
γ + A −→ e+ + e− ,
(1.30)
dove A indica un elettrone o un nucleo.
Secondo alcuni modelli (Sturner & Dermer, 1994; Dermer & Sturner, 1994), la
produzione di coppie è controllata da fotoni prodotti per scattering Compton inverso (ICS) e l’accelerazione delle particelle cariche è tale da far raggiungere a queste
particelle fattori di Lorentz dell’ordine di 105 − 106 .
Secondo altri autori (Harding, Tademaru & Esposito, 1978; Harding, 1981; Daugherty & Harding, 1994, 1996; Harding & Muslimov, 1998), i fotoni di tipo (ICS) non
riescono a schermare il campo elettrico, sicchè la produzione di coppie è prodotta
da fotoni emessi come radiazione di curvatura (CR) e le particelle cariche vengono
accelerate fino a raggiungere fattori di Lorentz dell’ordine di 107 .
Infine, uno tra i modelli più recenti (Zhang & Harding, 2000) chiama in causa entrambi i meccanismi: le coppie sarebbero cioè prodotte per decadimento di fotoni
32
CAPITOLO 1. LE PULSAR
primari di tipo CR, e secondari di tipo ICS.
Ad ogni modo, come la pulsar invecchia ed il suo periodo di rotazione si allunga, tali cascate generano sempre meno coppie ee il campo elettrico diminuisce di
intensità. Pertanto le particelle sono costrette a percorrere maggiori distanze per
produrre fotoni energetici e le zone di accelerazione divengono più estese. Quando i
campi elettrici indotti non riescono più a sostenere la produzione di coppie l’emissione si arresta e la pulsar smette di emettere radiazione elettromagnetica. Pertanto,
le pulsar giovani hanno “gaps” sottili, quelle più anziane sono contraddistinte da
“gaps” più spessi.
Il presupposto di base dei modelli ad “outer gap” (Cheng, Ho & Ruderman, 1986;
Romani & Yadigaroglu, 1995) è quello di tutti i modelli che prevedono l’esistenza di
“gaps”, cioè che in tali regioni il flusso di carica uscente lungo le linee di forza aperte
del campo magnetico sia tale da non venire compensato dal corrispondente flusso
di carica entrante, per cui in queste zone si viene a creare il vuoto. È plausibile che
il flusso di particelle emesse dai “polar caps” possa in qualche modo alimentare gli
stessi “outer gaps”, ma si tratta di un effetto che non è stato ancora ben compreso.
A differenza dei “polar cap models” dove le coppie sono create dall’interazione di
un fotone con un elettrone o un nucleo (cfr. Eq. (1.29)), in questo caso il processo
fisico alla base della produzione di coppie è:
γ + γ −→ e+ + e− .
(1.31)
All’interno di questi modelli, le pulsar vengono distinte in due classi: quelle di
tipo Crab (dalla pulsar B0531+21) e quelle di tipo Vela (dalla pulsar 0833−45). Sebbene i meccanismi alla base dell’emissione di radiazione differiscano nei due casi, si
assume che la radiazione primaria non sia in ogni caso osservabile direttamente, ma
agisca solo da tramite nella produzione della radiazione secondaria ritenuta invece
responsabile degli spettri osservati. Quanto all’origine di quest’ultima, vari meccanismi sono stati proposti (radiazione di sincrotrone (pulsar del “tipo Vela”) o di
sincrotrone auto-Comptonizzante delle coppie secondarie (pulsar del “tipo Crab”),
o combinazione di radiazione di sincrotrone e di curvatura delle coppie primarie). A
seconda delle situazioni, si hanno differenti morfologie delle zone di emissione: thin
outer magnetospheric gaps (Cheng & Ding, 1994) e thick outer magnetospheric gaps
33
CAPITOLO 1. LE PULSAR
(Cheng & Zhang, 1996; Zhang & Cheng, 1997, 1998).
Un’altra caratteristica peculiare degli “outer gap models” è che in questo caso la
produzione di coppie gioca un ruolo cruciale nella produzione della radiazione di alta
energia. La condizione per la sua occorrenza consiste in una relazione tra il campo
magnetico ed il periodo di rotazione espressa dalla cosiddetta linea di spegnimento
(Chen & Ruderman, 1993):
5 log Bp − 12 log P = 72.
(1.32)
Pertanto, nell’ambito di questa classe di modelli, l’emissione di radiazione di alta
energia può avere luogo solo a condizione she sia soddisfatta la condizione:
5 log Bp − 12 log P ≤ 72.
(1.33)
Vediamo ora un po’ più in dettaglio alcuni tra i modelli di emissione gamma
citati.
Modello a “polar cap” di Harding (1981).
Questo modello, che appartiene alla categoria dei “polar cap models”, ipotizza che
l’emissione gamma ad energie superiori a 100 MeV sia prodotta per emissione di
radiazione di curvatura da parte di particelle primarie nel campo magnetico in corrispondenza delle calotte polari della stella di neutroni.
Si assume che un fascio monoenergetico di particelle primarie di energia γ0 sia iniettato uniformemente al di sopra di ciascuna calotta polare ed inizi a muoversi lungo
le linee del campo magnetico di dipolo.
La perdita energetica dovuta all’emissione di radiazione è:
2 e2 c 2 4
γ ,
(1.34)
dt curv 3 me c3 Rc
dove Rc ≈ 34 ( θr ) è il raggio di curvatura delle linea di campo magnetico considerata.
dγ =
Harding ha ottenuto il seguente spettro di energia irradiata dalle particelle primarie
entro un elemento di volume della magnetosfera:
ǫ(ω, r, θ) = 0.9 π
− 21
R 13 R 3 1 1 c
1 1 0
c
−1
3
ω −
ω ×
N0 me c
3
c
r
2 Rc
3 γmax
2
(1.35)
34
CAPITOLO 1. LE PULSAR
erg s−1 Hz−1 cm−3 ,
dove:
• N0 è la densità di particelle primarie che emergono alla superficie stellare R0
dalla zona di accelerazione;
• si è supposto che N0 sia proporzionale alla densità di carica corotante ρc :
N0 = (n ρc /e);
• ω è la frequenza dei fotoni prodotti;
• γmax
è l’energia massima per particella ottenuta integrando l’espressione per
dγ
lungo una linea di campo.
dt
curv
In Fig. (1.13) sono riportati gli spettri calcolati per vari valori di γ0 , B e P .
Figura 1.13: Spettri calcolati al di sopra dei 100 MeV per diversi valori del periodo
di rotazione espresso in secondi e fissati B e γ0 (da Harding, 1981).
Integrando gli spettri calcolati sui valori di B e di P , si ottiene la seguente legge
che esprime la dipendenza della luminosità gamma ad energie superiori a 100 MeV
35
CAPITOLO 1. LE PULSAR
dall’intensità del campo magnetico misurato in unità di 1012 G e dal periodo di
rotazione, normalizzata al corrispondente valore per la pulsar Crab:
0.95 −1.7
Lγ (> 100 MeV) = 1.2 × 1035 B12
P
ph s−1 .
(1.36)
I valori per Lγ predetti da questa formula sono consistenti con lo spettro della
pulsar Vela.
La Fig. (1.14) elenca le pulsar con le più alte luminosità gamma predette, assieme
ad altri parametri fisici misurati (Manchester & Taylor, 1980).
Figura 1.14: Predizioni relative alle pulsar più energetiche (da Harding, 1981).
Definendo l’efficienza di emissione gamma come la frazione del tasso di perdita
dell’energia totale sotto forma di raggi gamma:
ηγ =
Lγ (> 100 MeV)
dE
dt
,
(1.37)
con
dE
Ṗ
= −I Ω Ω̇ = 4 π 2 I 3 erg s−1 ,
dt
P
l’efficienza al di sopra dei 100 MeV risulta:
(1.38)
36
CAPITOLO 1. LE PULSAR
1
2.0 × 1031 0.95 P 3
B12
.
(1.39)
ηγ =
4 π2 I
Ṗ
Usando l’Eq. (1.9) che lega la derivata del periodo di rotazione all’intensità del
campo magnetico (Manchester & Taylor, 1977) e ponendo:
• R = 106 cm
• I = 1045 g cm2 ,
si trova la dipendenza di nγ dall’età caratteristica τ :
nγ = 4 × 10−14 Ṗ 1.3 τ 1.8 ,
(1.40)
dove Ṗ è misurato in unità di 10−15 s s−1 e τ in anni (Fig. (1.15)).
Figura 1.15: Andamento dell’efficienza di emissione gamma moltiplicata per la
1
3
quantità ( ṖCrab
) in funzione dell’età caratteristica (da Harding, 1981).
Ṗ
L’Eq. (1.40) predice che l’efficienza di emissione gamma cresce con l’età, come
conseguenza del fatto che dE/dt decresce con l’età.
37
CAPITOLO 1. LE PULSAR
Poichè però tale efficienza di emissione gamma non può superare l’unità, deve esistere in questo modello un qualche meccanismo in grado di spegnere l’emissione
gamma.
Harding interpreta fisicamente questo fatto osservando che l’energia prodotta dalle
particelle primarie, che si è assunta costante nella derivazione dell’Eq. (1.40), decresce invece al crescere di P nel momento in cui i campi elettrici indotti non sono più
in grado di sostenere la produzione di coppie.
Diamo qui nel seguito le formule per la luminosità gamma di altri quattro modelli di emissione, precisamente due modelli a “polar cap” e due modelli ad “outer gap”.
Modello a “polar cap” di Zhang ed Harding (2000).
• produzione di coppie controllata da fotoni prodotti da scattering Compton
inverso.
Lγ (I) = 5.87 × 1035 B12 6/7 P −1/7 ph s−1
ed
(1.41)
e
(1.42)
Lγ (II) = 1.0 × 1035 B12 P −9/4 ph s−1 ,
rispettivamente nei due regimi:
B12 1/7 P −11/28 > 6.0
I:
II:
B12 1/7 P −11/28 < 6.0.
Modello a “polar cap” di Sturner e Dermer (1994).
• coppie prodotte per decadimento fotoni primari emessi come radiazione di
curvatura e secondari prodotti da scattering Compton inverso.
CAPITOLO 1. LE PULSAR
Lγ = 6.25 × 1035 B12 3/2 P −2 ph s−1 .
38
(1.43)
Le espressioni per le luminosità gamma predette nell’ambito degli “outer gap
models” non sono dedotte a partire dal calcolo del flusso di carica uscente lungo le
linee di campo aperte della magnetosfera, come invece avviene per i modelli a “polar
cap”, ma dipendono essenzialmente dalla frazione di tali linee che viene abbracciata
dalle zone in cui si crea il vuoto nella parte esterna della magnetosfera.
Facendo precise assunzioni sulla morfologia delle zone di emissione, sono stati proposti differenti modelli appartenenti a questa classe.
Modello ad “outer gap” di Romani e Yadigaroglu (1995).
Lγ = 1.56 × 1036 B12 0.48 P −2.48 ph s−1 .
(1.44)
Modello ad’ “outer gap” di Cheng e Zhang (1996).
Lγ = 3.93 × 1037 B12 0.3 P −0.3 ph s−1 .
1.5
(1.45)
Predizioni per l’emissione ad alta energia
Data l’enorme varietà di modelli di emissione, sono stati introdotti tre ambiti
di osservazione per le future missioni spaziali in grado di operare una distinzione
significativa, almeno tra le due principali categorie dei “polar cap models” ed “outer
gap models”.
• Cut-offs ad alta energia.
Tutti gli spettri osservati esibiscono un taglio alle alte energie.
Si ritiene che le modalità con cui tale attenuazione ha luogo differiscano tra i
modelli a “polar cap” e quelli ad “outer gap”. Infatti si crede che il fenomeno
sia regolato essenzialmente dall’intensità del campo magnetico, che nella parte
CAPITOLO 1. LE PULSAR
39
esterna della magnetosfera è molto più debole di quanto non lo sia in prossimità delle calotte polari della pulsar.
Pertanto i “polar cap models” prevedono andamenti molto più rapidi (andamento superesponenziale) degli “outer gap models” (andamento semplicemente
esponenziale), come si vede chiaramente nella Fig. (1.16) in cui sono rappresentati gli spettri previsti per la pulsar Vela nell’ambito di tre distinti modelli
di emissione.
Figura 1.16: Confronto tra gli spettri di emissione gamma previsti per la pulsar
Vela nell’ambito di tre distinti modelli ed i dati sperimentali relativi alle principali
campagne osservative (da Harding, 2000).
Come si vede dalla figura, le misure sperimentali di EGRET sono affette da
errori troppo grandi per permettere una discriminazione tra le due curve. Sarà
compito dei prossimi satelliti per raggi gamma, caratterizzati da una migliore
risoluzione angolare ed una maggiore sensibilità, dare finalmente una risposta
decisiva a questo proposito.
• Luminosità gamma.
Abbiamo già discusso il ruolo significativo giocato dalla linea di spegnimento,
per cui una prova schiacciante a sostegno dei “polar cap models” potrebbe
essere la mancata identificazione di pulsar molto più vecchie di Geminga.
Al tempo stesso, una notevole fonte d’informazione ci deriva dal confronto tra
le predizioni teoriche ed i dati sperimentali relativamente alle luminosità gamma individuali, cosı́ come all’emissione galattica complessiva da parte delle
pulsar.
Nel Capitolo 2 discuteremo brevemente i risultati delle osservazioni di EGRET
CAPITOLO 1. LE PULSAR
40
che hanno fornito una mappa dettagliata del cielo gamma coprendo il range
energetico tra 30 MeV e 30 GeV. Tali osservazioni hanno rivelato una parte
di radiazione diffusa, il cosiddetto fondo gamma diffuso, permettendo al contempo di localizzare circa 300 sorgenti gamma nel cielo, la maggior parte delle
quali è però attualmente non identificata.
Dal momento che ciascun modello di emissione gamma predice dipendenze diverse delle luminosità dagli altri parametri fisici quali il campo magnetico ed
il periodo di rotazione, un significativo test di attendibilità è costituito dalla
simulazione dell’emissione galattica da parte delle pulsar e dal confronto con
le misure sperimentali.
Come vedremo nel Capitolo 4, questo è stato proprio l’obiettivo centrale di
questa tesi.
• Statistica di popolazione.
L’ultimo grande spartiacque tra le due principali classi di modelli è costituito
dal diverso rapporto tra pulsar radio-loud e radio-quiet, come conseguenza
della diversa geometria delle regioni in cui vengono prodotti i raggi gamma e
della loro differente ubicazione rispetto alle zone di emissione radio.
In generale, ci si aspetta che i “polar cap models” diano una correlazione molto
più alta tra i due tipi di emissione.
Anche in questo caso, la simulazione delle rispettive popolazioni di pulsar radio
e gamma entro ogni modello di emissione permette di fare una previsione circa
il numero di pulsar di ciascun tipo che potranno essere viste dai prossimi
telescopi spaziali.
Capitolo 2
Il fondo gamma diffuso e le
sorgenti gamma non identificate
2.1
Il fondo gamma diffuso
Le nostre attuali conoscenze riguardo al cielo gamma sono raccolte in gran parte
nei dati prodotti dal telescopio spaziale EGRET che, in quasi dieci anni di osservazioni a bordo del satellite CGRO, ce ne ha fornito una mappa dettagliata coprendo
il range energetico compreso tra 30 MeV e 30 GeV.
Tali osservazioni hanno permesso di localizzare 271 sorgenti gamma nel cielo, tra
cui sono state identificate 7 pulsar e quasi 60 nuclei galattici attivi (AGN); tuttavia,
a causa delle prestazioni ancora limitate dello strumento, i dati raccolti sono insufficienti per stabilire la natura della maggior parte di tali sorgenti, che rimangono
pertanto non identificate.
Accanto a questa classe di oggetti puntiformi localizzati, EGRET ha rivelato una
parte di radiazione diffusa, nella quale è possibile distinguere due componenti: una
prima componente risulta concentrata nel piano della Galassia, mentre la seconda
appare distribuita uniformemente sulla volta celeste. Tale radiazione costituisce il
cosiddetto fondo gamma diffuso.
41
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
2.1.1
42
Il fondo galattico
EGRET ci ha fornito la seguente mappa del cielo gamma ad energie superiori a
100 MeV:
Figura 2.1: Mappa di EGRET del cielo gamma in coordinate galattiche per energie
superiori a 100 MeV. La fascia più luminosa al centro dell’immagine rappresenta
l’emissione diffusa originata dalle interazioni dei raggi cosmici con la materia del gas
interstellare della Galassia. Le sorgenti puntiformi sono riconoscibili per i loro colori
più brillanti: quelle vicine al piano galattico sono le pulsar gamma, mentre le altre
sono AGN o sorgenti non ancora identificate.
La componente galattica della radiazione gamma diffusa è prodotta dall’interazione dei raggi cosmici con la materia e la radiazione presenti nella Galassia.
Quest’ultima è formata da tre strutture principali: il disco, avente un raggio di
60000 anni luce, il rigonfiamento centrale (in inglese bulge), con un raggio di 6000
anni luce, e l’alone, il cui diametro misura approssimativamente 65000 anni luce.
Il disco ed il “bulge” sono composti, oltre che da stelle di popolazione I e II, da gas
e polvere interstellare. Sono proprio questi componenti, non presenti nell’alone, ad
interagire con i raggi cosmici producendo raggi gamma.
I raggi cosmici sono composti essenzialmente da protoni (85%) e da nuclei di elio
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
43
(12%); la componente rimanente è divisa tra nuclei più pesanti (1%) ed elettroni e
positroni (∼ 2%, nel rapporto di 5 ad 1).
Riassumiamoaora la distribuzione di materia nella Galassia.
• Idrogeno atomico (HI): nella parte più interna della Galassia, tra 2 e 13 Kpc
dal centro, è distribuito come un disco piatto di profilo gaussiano e spessore
di 0.2 Kpc.
Oltre questa distanza, invece, tale spessore cresce perdendo la simmetria nei
due versi perpendicolari al piano galattico.
Infine, alla distanza di 25 Kpc la scala di altezza è circa 10 volte quella nella
parte interna della Galassia.
• Idrogeno molecolare (H2 ): la distribuzione di questo gas è concentrata per lo
più nella parte interna della Galassia e risulta più schiacciata della precedente, raggiungendo un’altezza massima di 120 pc; inoltre, l’idrogeno molecolare
tende ad essere organizzato in nubi di varia dimensione e struttura.
• Idrogeno ionizzato (HII): è presente in proporzioni minori rispetto alle altre
due componenti, ma con una maggiore estensione verticale.
In Fig. (2.2) sono indicate le distribuzioni radiali per l’HI, l’HII e l’H2 adottate
dal modello di Strong e Moskalenko (1998).
Figura 2.2: Distribuzioni radiali per l’HI, l’HII e l’H2 (da Strong & Moskalenko
(1998)).
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
44
Illustriamo ora brevemente i meccanismi fisici responsabili di tale produzione.
• Interazioni nucleari tra raggi cosmici e materia interstellare.
Si tratta di interazioni nucleari del tipo p → p che generano come uno dei
prodotti mesoni π 0 che a loro volta decadono in circa 10−16 s in due fotoni
gamma da 68 MeV ciascuno nel sistema di riferimento del centro di massa. La
Fig. (2.3) riporta la sezione d’urto inclusiva per questo processo.
Figura 2.3: Sezione d’urto inclusiva per la reazione pp → π 0 X.
• Bremsstrahlung da elettroni relativistici interagenti con il gas interstellare.
Si tratta di radiazione emessa dalle particelle cariche quando vengono decelerate dal campo elettrico di un nucleo o di una qualsiasi altra particella carica.
La sezione d’urto inclusiva è, con buona approssimazione:
h4 4 E
E 2 i
dσ
A
γ
γ
,
=
−
+
dEγ
X0 NA Eγ 3 3 Ee
Ee
(2.1)
dove Eγ ed Ee sono rispettivamente l’energia del fotone e dell’elettrone, A è la
massa atomica dell’elemento interagente espressa in g/mole, X0 la lunghezza
di radiazione del processo ed NA il numero di Avogadro.
L’energia media del fotone generato è quindi proporzionale a quella dell’elettrone.
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
45
• Effetto Compton inverso da elettroni relativistici interagenti con i
fotoni di bassa energia emessi dalle stelle o appartenenti alla radiazione di fondo a 2.7◦ K.
In tal caso si ha:
4 Ee 2
h Eγ i ≃
hǫii,
(2.2)
3 me c2
dove ǫi è l’energia del fotone interagente ed me è la massa dell’elettrone.
Dal momento che i valori tipici per l’energia di un fotone emesso dalla luce
di una stella e dalla radiazione di fondo sono rispettivamente di qualche eV
e di 8 · 10−4 eV, dall’Eq. (2.2) segue che solamente gli elettroni con energia
maggiore di decine di GeV sono in grado di emettere fotoni gamma con energia
superiore a 100 MeV.
Si ritiene che questo potrebbe essere il processo fisico responsabile della debole
radiazione gamma ad alte latitudini di origine galattica osservata da EGRET.
Oltre a questi processi fisici primari, vi è l’ulteriore effetto dell’emissione di sincrotrone dagli elettroni nel campo magnetico interstellare da cui si origina
emissione gamma secondaria, il cui contributo è però da considerarsi insignificante.
Inoltre, accanto a queste emissioni con spettro continuo, sono presenti righe di
emissione dovute al diseccitamento di nuclei dopo l’interazione con i raggi cosmici
e all’annichilazione di positroni. L’energia dei fotoni gamma prodotti in tal modo è
rispettivamente 0.1 MeV < Eγ < 7 MeV ed Eγ = 0.511 MeV.
Assegnate le distribuzioni spaziali delle componenti (Bertsch & al., 1993; Strong
& Moskalenko, 1998), l’intensità della radiazione gamma diffusa di energia Eγ alle
coordinate galattiche l e b viene espressa nella forma generale:
Z ∞h
i
1
ce (ρ, l, b)qlm (Eγ ) + cn (ρ, l, b)qnm (Eγ )
j(Eγ , l, b) =
4π 0
h
i
× nHI (ρ, l, b) + nHII (ρ, l, b) + nH2 (ρ, l, b) dρ
Z
1 X ∞
ph
+
ce (ρ, l, b)qpi (Eγ , ρ)upi(ρ, l, b)dρ
,
2
4π i 0
cm s sr GeV
(2.3)
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
46
dove la variabile d’integrazione ρ denota la distanza dal Sistema Solare e si sono
utilizzate le grandezze seguenti:
• qem (Eγ ), qnm (Eγ ): funzioni di produzione di interazioni di Bremsstrahlung e
di interazioni nucleari per atomo di idrogeno bersaglio;
• ce (ρ, l, b), cn (ρ, l, b): rapporti tra le densita’ di elettroni e protoni nei raggi
cosmici rispetto alle loro densita’ locali;
si assume: ce (ρ, l, b) = cn (ρ, l, b) = c(ρ, l) , normalizzate ad uno per ρ = 0;
• nHI (ρ, l, b), nHII (ρ, l, b), nH2 (ρ, l, b): distribuzioni tridimensionali delle densità
di idrogeno atomico, ionizzato e molecolare;
• qpi (Eγ , ρ): funzione di produzione di interazioni di scattering Compton inverso;
• upi(ρ, l, b): distribuzione della densità di energia dei fotoni.
Il primo integrale rappresenta la produzione di interazioni tra i raggi cosmici e la
materia interstellare, mentre il secondo termine descrive il contributo che proviene
dallo scattering Compton inverso tra gli elettroni ed i fotoni.
Le figure (2.4) e (2.5) mostrano il confronto tra i dati sperimentali di EGRET e
le previsioni dei due modelli teorici di Bertsch e al. (1993) e di Strong e Moskalenko
(1998) per il fondo gamma diffuso nella regione galattica più interna.
Come si vede chiaramente, allo stato attuale i modelli non rendono totalmente
conto dell’emissione gamma ad energie maggiori di 1 GeV, prevedendo un’intensità
minore di circa il 40% rispetto a quella osservata. Spiegazioni plausibili sono una
non corretta conoscenza del processo di produzione dei π 0 e una variazione dello
spettro dei raggi cosmici in punti diversi della Galassia.
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
47
Figura 2.4: Spettro dell’emissione gamma diffusa nella regione galattica compresa
entro 300◦ < l < 60◦ e −10◦ < b < 10◦ . Sono evidenziati i singoli contributi dell’interazione nucleo-nucleo (NN), dell’effetto Compton inverso (IC), del Bremsstrahlung
di elettroni (EB) e della componente isotropa extragalattica (ID) (vedi sezione 2.1.2)
(da Bertsch & al. (1993)).
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
48
Figura 2.5: Spettro dell’emissione gamma diffusa nella regione galattica compresa
entro 300◦ < l < 30◦ e −5◦ < b < 5◦ . Sono evidenziati i singoli contributi del
decadimento del π 0 originato dall’interazione nucleo-nucleo (π 0 ), dell’effetto Compton inverso (IC), del Bremsstrahlung di elettroni (EB) e la sovrapposizione di tutti
questi effetti (TOTAL) (da Strong & Moskalenko (1998)).
2.1.2
Il fondo extragalattico
Accanto alla componente di origine galattica, EGRET ha rivelato una parte di
radiazione gamma isotropa proveniente dall’esterno della Galassia ( vedi figure (2.6)
e (2.7)).
Riguardo alla possibile origine di questa radiazione, negli ultimi anni sono state
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
49
proposte molte teorie facenti ricorso agli scenari più diversi, dall’evaporazione di
buchi neri primordiali, al collasso di buchi neri di milioni di masse solari, all’annichilazione di particelle supersimmetriche.
Tuttavia, la scoperta da parte di EGRET di un gran numero di blazars che emettono nello spettro gamma ad alte energie ha aperto a questo riguardo una nuova
possibilità, che cioè il fondo gamma diffuso extragalattico sia prodotto da oggetti
puntiformi non ancora identificati.
Figura 2.6: Spettro dell’emissione diffusa extragalattica per energie comprese tra 30
MeV e 120 GeV (da Sreekumar & al. (1998)).
50
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
Figura 2.7: Distribuzione del flusso gamma estragalattico per
100 MeV in unità di 10−5 ph cm−2 s−1 sr−1 . Sono escluse la
il piano galattico e quella intorno al centro galattico compresa
causa rispettivamente della dominanza dell’emissione galattica
modellizzazione di quest’ultima. (da Sreekumar & al., (1998)).
2.2
energie superiori a
regione contenente
entro −30◦ e 30◦ a
e della difficoltà di
Le sorgenti gamma non identificate
Oltre il 60% delle sorgenti localizzate da EGRET sono non identificate, in quanto
non sono state trovate controparti certe in altre frequenze di osservazione (vedi
Fig. (2.8)). Questo può essere dovuto ad una risoluzione angolare insufficiente che
impedisce di circoscrivere una zona del cielo in cui siano presenti solamente una o
poche sorgenti, ma è aperta la possibilità di una classe nuova di oggetti che emettano
la maggior parte dell’energia sotto forma di raggi gamma.
IL FONDO GAMMA DIFFUSO
51
Figura 2.8: Mappa in coordinate galattiche delle sorgenti gamma rivelate da EGRET
(dati presi dal Terzo Catalogo EGRET di sorgenti gamma (Hartmann & al., 1999)).
Capitolo 3
Descrizione delle strumentazioni
spaziali
3.1
I primi strumenti per la rivelazione dei raggi
gamma: SAS2, COSB ed EGRET
La caratteristica comune a tutti i primi rivelatori per raggi gamma è stata l’utilizzo come rivelatore di una camera a scintille.
Questa tecnica prevede che l’elettrone ed il positrone attraversino una camera riempita di gas, che al loro passaggio viene ionizzato. La sua ionizzazione viene rivelata
dalle scintille che scoccano perchè una serie di griglie metalliche, con opportuna differenza di potenziale, coprono la camera.
Mano a mano che il gas genera le scintille che mostrano la traccia delle particelle,
viene inquinato da altri ioni o molecole. Per questo motivo, per avere un’abbondanza di gas nobile efficiente per la ionizzazione, è necessario rifornire di nuovo gas la
camera.
Il tempo necessario alla camera a scintille per poter nuovamente tracciare il percorso
di una particella carica è di circa 100 millisecondi.
I tre più importanti satelliti per raggi gamma di prima generazione sono stati
SAS2, COSB e CGRO.
Il satellite americano SAS2 (vedi Fig. (3.1)) è stato operativo nel periodo compreso tra il 1972 ed il 1973 ed ha realizzato con grande successo la prima esplorazione
del cielo gamma coprendo il range energetico tra 20 MeV ed 1 GeV.
52
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
53
I suoi meriti sono l’aver determinato la presenza della componente gamma nella
radiazione diffusa dell’Universo, l’aver scoperto l’emissione gamma di due pulsar (la
Crab e la Vela) e la prima sorgente non identificata e l’aver individuato l’emissione
diffusa del disco galattico.
Figura 3.1: Schema del satellite SAS2.
La missione europea COSB (vedi Fig. (3.2)), concettualmente molto simile a
SAS2, ha avuto inizio nel 1975 e si è conclusa nel 1982.
Data la maggiore possibilità di carico, è stato possibile installare un calorimetro e
quindi espandere la zona di energia misurabile rispetto a SAS2 fino al limite inferiore
di 2 KeV.
Questo satellite ha realizzato una mappa dettagliata dell’emissione gamma della
Galassia ed ha individuato circa 20 sorgenti nel piano galattico tra cui la pulsar
Geminga.
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
54
Figura 3.2: Schema del satellite COSB.
Il grande osservatorio spaziale internazionale CGRO (“Compton Gamma Ray
Observatory”) ha compiuto osservazioni del cielo nel range energetico compreso tra
30 KeV e 30 GeV tra l’aprile 1991 ed il giugno 2000; esso è stato il primo satellite
gamma capace di realizzare una carta di tutto il cielo, recando a bordo strumenti
dotati di una sensibilità pari a circa 10 volte quella dei rivelatori di raggi gamma
precedenti, nonchè di una capacità di risoluzione angolare e di una precisione temporale molto maggiori.
Il satellite conteneva quattro strumenti dalle funzioni sinergiche, che funzionavano
su bande di energia diverse ma parzialmente sovrapposte, ciascuno specializzato in
un tipo diverso di osservazioni. BATSE (“Burst and Transient Source Experiment”)
è stato progettato per studiare fenomeni di breve durata come gli impulsi di raggi
gamma ed i “flares” solari; OSSE (“Oriented Scintillation Spectrometer Experiment”) si è dedicato alla misurazione dello spettro a bassa energia di varie sorgenti
celesti, mentre COMPTEL (“Imaging Compton Telescope”) ha prodotto immagini
e raccolto spettri di sorgenti che emettono raggi gamma di media energia. Infine
EGRET (“Energetic Gamma Ray Experiment Telescope”) (vedi Fig. (3.3) e (3.11))
ha rivelato i raggi gamma di energia più alta.
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
55
Figura 3.3: Schema del telescopio spaziale EGRET.
3.2
I telescopi futuri: AGILE e GLAST
Del tutto diverso è invece il metodo di rivelazione che sarà utilizzato dai telescopi
di prossima generazione.
Esso si basa, infatti, sul fenomeno della produzione di coppie. In questo caso, un
fotone incidente viene convertito in coppie e+ − e− da appositi strati di materiale
ad alto numero atomico Z. La direzione del fotone incidente viene ricostruita dall’analisi delle tracce delle coppie prodotte attraverso l’utilizzo di rivelatori al silicio
semiconduttore. Un calorimetro a CsI provvede quindi alla determinazione dell’energia del fotone incidente.
Il principale vantaggio di questo tipo di tecnologia è che i materiali semiconduttori non hanno problemi di usura nei tempi dell’esperimento. Il processo fisico in
questione, infatti, non altera la natura del materiale e, ogni volta che avviene uno
spostamento di carica, quest’ultimo si risistema da solo nella situazione di partenza.
Inoltre, il tempo di acquisizione è di circa 100 microsecondi, cioè mille volte più
piccolo che per una camera a scintille.
Nella Fig. (3.4) è riportato uno schema del principio di rivelazione dei telescopi
gamma a produzione di coppie, mentre in Fig. (3.5) si da’ una visualizzazione delle
missioni presenti e future, disposte in base al periodo di attività e all’intervallo di
energie a cui sono sensibili.
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
56
Figura 3.4: Principio di rivelazione di un telescopio gamma a produzione di coppie.
Figura 3.5: Schema delle missioni presenti e future, disposte in base al periodo di
attività e all’intervallo di energie a cui sono sensibili.
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
3.2.1
57
Il satellite AGILE
L’esperimento AGILE (“Astrorivelatore Gamma ad Immagini Leggero”) è un
piccolo telescopio tutto italiano che si inserisce nel ricco panorama di missioni previste per il prossimo decennio.
Il suo ruolo sarà di estrema importanza non solo dal punto di vista scientifico, ma
anche da quello tecnologico.
AGILE infatti nasce dalla consolidata esperienza degli istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) nel campo dell’astrofisica gamma, dalla lunga tradizione
di utilizzo dei rivelatori a semiconduttore come tracciatori di particelle da parte
dei laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dalla competenza
tecnologica nel settore delle industrie italiane.
Nato nel giugno 1997 ed approvato nel 1999, questo telescopio sarà il primo satellite
all’interno del programma di “Piccole Missioni Scientifiche” che l’Agenzia Spaziale
Italiana (ASI) promuoverà e comincerà ad essere operativo nel 2003, riempiendo il
vuoto delle missioni dedicate all’astrofisica gamma fino al 2006.
Le caratteristiche peculiari dello strumento sono il suo costo contenuto, la sua
leggerezza (lo strumento peserà in tutto 280 Kg) e la sua efficienza nel rivelare
ed osservare sorgenti gamma tra 30 MeV e 50 GeV con un campo di vista di 1/4
dell’intero cielo.
In Fig. (3.6) sono mostrati rispettivamente un disegno dello strumento parzialmente
assemblato con tutte le sue sottoparti funzionali ed il suo principio di funzionamento.
AGILE è costituito da un tracciatore di silicio-tungsteno, un mini-calorimetro a
barre di ioduro di cesio attivate al tallio per un totale di 1.5 lunghezze di radiazione,
un sistema di anticoincidenza ed una parte, denominata SuperAGILE, dedicata al
rivelamento di raggi X, oltre a veloci elettroniche di lettura ed elaborazione dati.
I fotoni gamma vengono rivelati dai piani di silicio tramite le coppie di elettroni e positroni prodotti dalla loro conversione negli strati di tungsteno del tracciatore. Alla
fine del loro percorso, gli elettroni interagiscono con il mini-calorimetro, permettendo di ricavare qualche informazione sull’energia del fotone primario. Il sistema di
anticoincidenza opera una prima reiezione di eventi prodotti dalle particelle cariche
di fondo.
Nonostante peso, consumo e costo di questa missione siano ridotti, le prestazioni rag-
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
58
Figura 3.6: Disegno del payload di AGILE parzialmente assemblato, in cui sono
indicati i principali sottosistemi che lo compongono e principio di funzionamento
dello strumento.
giungibili permetteranno di dare un contributo fondamentale all’astrofisica gamma.
Questo sarà reso possibile
• dalla superiore statistica e risoluzione con cui verrà rappresentata ogni sorgente
e porzione di cielo (vedi le figure (3.7)− (3.11)),
• dalla caratteristica unica di poter monitorare contemporaneamente alla banda
gamma anche quella X dura,
• dalla verifica dei modelli teorici dei fenomeni a rapidissima evoluzione (diminuendo di tre ordini di grandezza il tempo morto che caratterizzava i dati fino
ad oggi raccolti) e
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
59
• dall’estensione verso le alte energie dei fenomeni osservati, mettendo anche
in questo caso alla prova i modelli teorici esistenti, soprattutto quelli che
prevedono “cut-offs” sotto i 50 GeV.
Figura 3.7: Sensibilità per sorgenti puntiformi attesa per AGILE per un tempo di
esposizione effettivo di 106 s. È considerato solo il fondo gamma diffuso extragalattico, per cui questa figura si riferisce alla sensibilità per sorgenti al di fuori del piano
galattico.
La sostanziale differenza tecnologica di AGILE rispetto ai suoi predecessori è
senza dubbio l’uso dei rivelatori al silicio a microstrip come parti sensibili. Altra
caratteristica determinante di AGILE è un tempo morto introdotto dal processo di
lettura di 100 µs, cioè 1000 volte inferiore a quello di EGRET.
Inoltre, la mancanza di elementi di consumo come il gas delle camere a fili di EGRET
permetterà la costanza delle prestazioni durante tutta l’attività del satellite.
La tabella di Fig. (3.8) riassume le prestazioni attese per AGILE confrontate con
quelle raggiunte da EGRET.
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
60
Figura 3.8: Confronto delle prestazioni di EGRET ed AGILE.
Figura 3.9: Parte del cielo vista da AGILE comparata con quella vista da EGRET
nel caso di puntamento sul centro della Galassia.
Figura 3.10: Risoluzione angolare per singolo fotone in funzione dell’energia; la curva
rappresenta l’angolo contenente il 67% dei fotoni incidenti.
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
61
Figura 3.11: Mappe d’intensità per E > 100 MeV della regione dell’anticentro galattico per un tempo di esposizione di 7 giorni. Il codice a colori è espresso in unità di
fotoni cm−2 s−1 sr−1 . Il pannello superiore, in cui sono chiaramente riconoscibili le
pulsar Crab e Geminga, si riferisce ai dati di EGRET, mentre quello inferiore riproduce i risultati di una simulazione per AGILE evidenziando la possibile rivelabilità
di altre sorgenti gamma.
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
3.2.2
62
Il telescopio spaziale GLAST
Il satellite per raggi gamma GLAST (“Gamma Ray Large Area Space Telescope”) nasce dalla collaborazione internazionale delle agenzie spaziali NASA, ESA e
NASDA. ed è progettato per ricoprire il range energetico tra 10 KeV e 300 GeV
(vedi Fig. (3.12)).
Figura 3.12: Il telescopio spaziale GLAST.
GLAST si comporrà di uno strumento principale, LAT (“Large area Telescope”),
pesante 3000 Kg e dotato di area efficace, risoluzione angolare, campo di vista e
tempo morto tali per cui la sua efficienza di rivelazione di fotoni gamma sarà ben
30 volte superiore a quella del suo predecessore EGRET.
Inoltre, uno strumento più piccolo, GBM (“GLAST Burst Monitor”) sarà dedicato
allo studio dei gamma-ray bursts.
La data prevista per il lancio è il 2006.
Un confronto tra le prestazioni di EGRET e GLAST LAT è riportato in Fig. (3.13).
La Fig. (3.14) riporta uno schema di una delle 16 torri che compongono lo strumento LAT, evidenziandone il principio di funzionamento a produzione di coppie.
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
Figura 3.13: Confronto tra le prestazioni di EGRET e GLAST (LAT).
63
DESCRIZIONE DELLE STRUMENTAZIONI SPAZIALI
Figura 3.14: Lo strumento LAT.
64
Capitolo 4
Emissione gamma galattica da
pulsar radio
4.1
Introduzione
Come già anticipato nel Capitolo 1, le pulsar gamma attualmente conosciute
sono sette. D’altra parte, è opinione largamente condivisa che l’emissione gamma
sia una caratteristica comune alla maggior parte delle stelle di neutroni e che la
mancata identificazione di controparti ad alta energia per le quasi 700 sorgenti note
nella banda radio sia in realtà attribuibile alle limitate prestazioni degli strumenti
che hanno operato sino a questo momento.
La ricerca nel campo delle pulsar gamma segue tre linee essenziali.
• Lo sfruttamento delle sempre migliori potenzialità strumentali per la ricerca
di nuove candidate pulsar gamma.
• L’interpretazione come pulsar gamma delle circa 170 sorgenti gamma non identificate.
La mancata identificazione di queste pulsar nella banda radio può essere imputabile ad effetti di “beaming“ o alla ridotta sensibilità nel caso di periodi di
rotazione molto brevi, che si pensa essere tipici proprio delle pulsar nelle alte
energie.
• La stima del contributo delle pulsar al fondo gamma diffuso.
Sebbene, come abbiamo già visto, esso sia costituito in gran parte da fotoni
65
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
66
gamma prodotti dall’interazione dei raggi cosmici con il mezzo interstellare, si
ritiene che una sua parte significativa possa provenire da sorgenti puntiformi
non identificate.
La principale limitazione a questo tipo di studi consiste nell’incapacità di separare le due componenti di emissione a causa della limitata risoluzione angolare
degli strumenti di osservazione.
Lo scopo del presente lavoro di tesi consiste nella stesura di un codice numerico
in grado di simulare l’emissione gamma dalle pulsar e nell’operare un confronto con
i dati sperimentali prodotti dal telescopio spaziale EGRET.
Al fine di controllare la consistenza del codice, abbiamo scelto di incominciare con
una simulazione che riproducesse i risultati esposti in un articolo tratto dalla letteratura; una volta raggiunto questo obiettivo, abbiamo modificato il codice numerico
basandoci su modelli di emissione gamma galattica più dettagliati e recenti da utilizzarsi per gli scopi suddetti.
4.2
4.2.1
Costruzione del codice numerico e riproduzione di un risultato noto in letteratura
Premessa
Prima di procedere alla generazione del campione di pulsar del quale si è simulata
l’emissione gamma, abbiamo effettuato tutta una serie di tests preliminari con cui
abbiamo controllato la consistenza di ogni operazione matematica o logica utilizzata
nel codice numerico.
Qualora il lettore fosse interessato ad approfondire a questo punto della lettura questa parte, si rimanda al paragrafo 4.2.5 del presente capitolo.
Passiamo ora a descrivere la procedura seguita per riprodurre i risulatai della
simulazione di Bailes e Kniffen dell’emissione gamma da una popolazione galattica
di pulsar.
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
4.2.2
67
Riproduzione dei risultati della simulazione di Bailes
e Kniffen (1992)
La valutazione del contributo delle pulsar al fondo gamma diffuso si basa sul
confronto tra le predizioni teoriche circa il flusso emesso da tali sorgenti e le osservazioni sperimentali.
Per una sorgente irradiante isotropicamente ad una luminosità L da una distanza d
dall’osservatore, il flusso ricevuto in ogni istante è dato dalla relazione:
L
.
(4.1)
4 π d2
Pertanto, ogni modello che si proponga di descrivere l’emissione di radiazione da
una popolazione stellare deve tener conto di due fattori essenziali:
F =
• la distribuzione galattica delle sorgenti
• le luminosità individuali.
L’articolo di cui abbiamo riprodotto i risultati è “Galactic Gamma-Ray Emission from Radio Pulsars” (Bailes & Kniffen, 1992). La ragione della scelta è che si
tratta di un lavoro pionieristico sull’argomento e pertanto, almeno concettualmente,
abbastanza semplice da rappresentare un buon punto di partenza.
In questo studio viene effettuata una simulazione numerica della popolazione galattica delle pulsar radio per mezzo dell’assegnazione di un set di parametri fisici
iniziali; il campione creato viene quindi fatto evolvere nell’ambito di due distinti modelli galattici studiati rispettivamente da Emmering e Chevalier (1989) e da Lyne,
Manchester e Taylor (1984).
Nell’ipotesi comune a tutti i “polar cap models” che tutte le pulsar irradino su tutto lo spettro elettromagnetico, a ciascuna sorgente viene assegnata una luminosità
gamma seguendo il modello di emissione gamma formulato da Harding (1981) (cfr.
Cap.1, paragrafo 1.4.3).
Dopo aver calcolato il flusso emesso da ciascuna sorgente, viene ricavato il flusso
integrato sulle latitudini galattiche b entro il range −10◦ < b < 10◦ in funzione della
longitudine galattica l.
Infine, il risultato ottenuto nell’ambito di ciascuno dei due modelli viene rappresentato in un grafico insieme ai dati osservativi raccolti dal satellite SAS2.
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
68
Riassumiamo ora brevemente lo studio condotto a questo proposito da Bailes e
Kniffen. L’analisi di questi autori si basa sui dati osservativi relativi alle due sole
pulsar conosciute all’epoca della pubblicazione del loro lavoro: la Crab (0531+21) e
la Vela (0833−45). Tuttavia, fiduciosi nel fatto che la frazione di pulsar che emettono alle alte energie fosse molto più significativa, essi si sono chiesti quali proprietà
fisiche contraddistinguessero le candidate più probabili .
È possibile mostrare che la luminosità gamma integrata lungo il corso della vita di
una singola pulsar è influenzata in modo molto significativo dalle proprietà fisiche
della stella all’atto della nascita.
In tutti i modelli di emissione gamma da radio pulsar, tale funzione di luminosità
dipende da parametri quali l’intensità del campo magnetico, il periodo di rotazione
ed il suo tasso di variazione temporale, i quali a loro volta non sono costanti nel
tempo, ma, come già discusso nel Capitolo 1, seguono precisi modelli di evoluzione.
Costituendo questo lavoro di riproduzione di un risultato noto in letteratura solamente un esercizio preliminare volto a testare la nostra capacità di costruire un
codice numerico consistente, ci siamo limitati a studiare il caso di uno solo dei due
modelli di distribuzione galattica considerati da Bailes e Kniffen nell’articolo citato:
il modello di Emmering e Chevalier (1989).
Modello di distribuzione galattica (Emmering & Chevalier, 1989). Il
primo lavoro relativo ad un modello fisico per la popolazione galattica delle pulsar è
quello di Gunn e Ostriker (1970). In questo studio e nei successivi (Lyne, Manchester & Taylor, 1985; Prószyński & Przybycień, 1984; Chevalier & Emmering, 1986),
si fanno delle assunzioni circa le proprietà fisiche delle pulsar all’atto della nascita, la
loro distribuzione spaziale e la successiva evoluzione verso la configurazione attuale.
Per ottenere una stima accurata dei valori e degli andamenti delle varie grandezze
fisiche che intervengono nel modello, vengono utilizzati i dati sperimentali relativi
alle osservazioni nella banda radio.
Tra i parametri fisici rilevanti nell’influenzare la distribuzione galattica, un ruolo
decisivo è giocato dal periodo di rotazione iniziale P0 la cui determinazione non è
affatto semplice. Essa si basa sul confronto tra le osservazioni ed i valori predetti
teoricamente per la luminosità radio.
Studi accurati condotti sull’argomento (Prószyński & Przybycień, 1984) hanno ri-
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
69
cavato la seguente relazione empirica che lega la luminosità radio Lr alle grandezze
P e Ṗ :
log Lr (mJy kpc2 ) = α log P + β log Ṗ + γ,
(4.2)
dove Lr = S400 d2 ed α, β e γ sono, assieme alle grandezze fisiche iniziali, parametri del modello. (Secondo la convenzione, la luminosità radio delle pulsar viene
espressa per mezzo del prodotto tra la densità del flusso ricevuto su 400 MHz ed il
quadrato della distanza, eliminando in tal modo l’effetto della dipendenza da quest’ultima).
Il problema centrale messo in evidenza da Emmering e Chevalier consiste nel fatto
che tale relazione non può essere applicata alla popolazione “intrinseca” delle pulsar, ma solo a quella che risulta dalle osservazioni, che però sono affette da errori
sistematici considerevoli. A parte tutti gli effetti di selezione, viene sottolineato che
bisogna considerare la dipendenza della sensibilità di osservazione e del fattore di
beaming radio fr , che indica la dimensione angolare del fascio di radiazione che investe l’osservatore, dalla posizione nel cielo, dalla misura di dispersione e dallo stesso
periodo di rotazione.
Per studiare la dipendenza da questi effetti e quindi trovare le interpolazioni lineari
che forniscono i migliori valori iniziali del periodo di rotazione e del campo magnetico, Emmering e Chevalier prendono in considerazione due classi di modelli, a
seconda che fr dipenda o meno da P , ottenendo in tutto cinque modelli a ciascuno
dei quali corrisponde una determinata classe di parametri fisici.
Le pulsar sono localizzate con un sistema di coordinate cilindriche (ρ, z, φ), con origine nel centro della Galassia ed asse z perpendicolare al piano galattico.
Si assume inoltre che i valori di P0 , B0 , di ρ, z e della velocità per una data pulsar
siano statisticamente indipendenti, e che la popolazione delle pulsar sia simmetrica
rispetto all’asse z ed in stato stazionario, in quanto ci si aspetta che la vita media
di una pulsar sia molto minore dell’età della Galassia.
Quindi, ponendo:
u ≡ log P0
(4.3)
w ≡ log B0 ,
(4.4)
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
70
la probabilità per unità di tempo che una pulsar sia nata entro (ρ, z, φ) e (ρ +
d ρ, z + d z, φ + d φ), con u e w compresi negli intervalli (u, u + d u) e (w, w + d w) e
con componenti della velocità entro (vx , vy , vz ) e (vx + d vx , vy + d vy , vz + d vz ) può
essere scritta nella forma:
Π(u, w, ρ, z, φ, v) d ρ d z d φ d u d w d3 v = ψu (u) ψw (w) ψρ (ρ) ψz (z) ψv (v)
(4.5)
ρ d ρ d z d φ d u d w d3 v,
dove le funzioni ψ sono le funzioni di distribuzione per le quantità in parentesi.
Seguendo l’analisi svolta da Gunn ed Ostriker (1970), si assumono per ψu e per ψw
delle distribuzioni Gaussiane:
ψu (u) =
ψw (w) =
1
1
(2 π σu2 ) 2
1
(2 π σw2 )
1
2
e[u−hui]
2 /2 σ 2
u
e−[w−hwi]
,
2 /2 σ 2
w
(4.6)
.
(4.7)
Per le distribuzioni spaziali:
ψρ (ρ) =
1
(2 π σρ2 )
ψz (z) =
1
2
e−[ρ−hρi]
2 /2 σ 2
ρ
,
1 −|z|/H
e
,
2H
1
.
2π
Infine, si assume una distribuzione separabile nelle velocità::
ψφ (φ) =
ψv (v) = F (vx ) F (vy ) F (vz ),
(4.8)
(4.9)
(4.10)
(4.11)
dove per ciascuna funzione viene scelta la forma funzionale dedotta dalla distribuzione isotropa delle velocità trasverse ricavate dalle osservazioni (Lyne, Anderson
& Salter, 1982).
Una volta preparato secondo le equazioni (4.6)− (4.11), il campione viene fatto
evolvere nello spazio e nel tempo.
Dal momento che tmax , l’età massima alla quale una pulsar risulta rivelabile, è di
71
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
molto inferiore al periodo di rotazione del Sole attorno al centro della Galassia, nel
determinare le posizioni finali si considerano soltanto le velocità impartite alle pulsar
all’atto della nascita; vengono cioè trascurati gli effetti del potenziale galattico.
Pertanto la legge di evoluzione temporale è:
x = x0 + v t,
(4.12)
con x0 e x rispettivamente le posizioni iniziale e finale.
Nel calcolare le distribuzioni relative alle varie grandezze fisiche all’istante attuale,
si fanno evolvere i tempi soltanto entro il limite previsto da tmax , che viene posto
uguale a 5 Myr in accordo con Stollman (1987).
Detto br il tempo medio tra due nascite successive, le età delle pulsar risultano essere
multipli interi di br , ed il loro numero totale N è pari a: tmax /br .
Posto br = 10 yrs, si ha che: N = 5 × 105 .
Con queste distribuzioni e valori dei parametri viene prodotta una popolazione
sintetica di pulsar per mezzo di una simulazione con il metodo Montecarlo.
Dal confronto tra il flusso radio calcolato in questo modo e quello rivelato nell’ambito delle principali campagne osservative, i parametri del modello vengono modificati
in modo da risultare in accordo soddisfacente con i dati sperimentali.
Si trova che i “fits” migliori con le distribuzioni osservate si ottengono se alle pulsar
sono attribuiti periodi iniziali dell’ordine di 0.5 s, in accordo con i risultati di Narayan
(1987). Tuttavia, modelli nei quali le pulsar nascono ruotando più velocemente
possono risultare comunque consistenti con i dati osservativi, purchè si assuma che
il fattore di “beaming” sia indipendente dal periodo di rotazione.
Riportiamo i valori per le distribuzioni di P0 e B0 relativi ad uno dei due modelli
che tengono conto del “beaming”:
• fr ∝ P −0.33 (Lyne & Manchester, 1988);
• hP0 i = 0.50 s;
• u = −0.39;
• σu = 0.40;
• hB0 i = 2.39 × 1012 G;
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
72
• w = 12.38;
• σw = 0.33.
Facendo riferimento ai modelli descritti di Emmering e Chevalier e di Harding,
Bailes e Kniffen hanno ottenuto per il flusso integrato sulle latitudini galattiche b
entro il range -10◦ < b < 10◦ in funzione della longitudine galattica l il grafico
seguente:
Figura 4.1: Flusso integrato sulle latitudini galattiche b entro il range -10◦ < b <
10◦ in funzione della longitudine galattica l (da Bailes & Kniffen, 1992).
Com’è possibile vedere dal confronto con i dati di SAS2, sembrerebbe che il contributo delle pulsar al fondo gamma diffuso sia di qualche percento, che è proprio il
risultato atteso sottraendo al fondo misurato sperimentalmente l’emissione originata dall’interazione dei raggi cosmici con la materia interstellare calcolata a partire
dai modelli teorici circa le distribuzioni spaziali dei componenti (cfr. Capitolo 2,
Eq. (2.3)).
Bisogna però notare che questo risultato dipende strettamente dalla scelta delle distribuzioni delle grandezze fisiche all’istante iniziale (Eq. (4.6)− (4.11)). Infatti,
utilizzando l’altro modello di distribuzione galattica menzionato, gli stessi autori
pervengono ad un risultato radicalmente diverso.
Quello che si nota, comunque, è che l’emissione gamma osservata, cosı̀ come quella
simulata, proviene solo in minima parte dalle pulsar note nella banda radio. Questo
induce Bailes e Kniffen alla conclusione che la frazione di fotoni gamma prodotti
dalle pulsar radio dev’essere molto significativa, superiore al 50%.
Tuttavia si deve notare che il modello galattico esposto in questo capitolo non riesce
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
73
a predire nessuno dei picchi imputabili alla presenza di sorgenti puntiformi isolate
quali la Crab e la Vela. Questo, del resto, non deve sorprendere, dal momento che
tutte le distribuzioni spaziali che vi intervengono sono assegnate in modo statistico
e non vi è nessuna ragione per cui esse debbano coincidere con quelle delle pulsar
gamma conosciute, che, visto il loro numero limitatissimo, rappresentano probabilmente solo una minima frazione di quelle realmente esistenti e la cui localizazione è
legata unicamente a questioni di sensibilità strumentale.
4.2.3
Generazione delle sorgenti
Al fine di confrontare i risultati del nostro codice con quelli pubblicati da Bailes
e Kniffen, abbiamo riprodotto la sequenza di operazioni che conducono al calcolo del
flusso integrato mostrato nel paragrafo 2.2 del presente capitolo. Questa sequenza
ha come base di partenza il calcolo della popolazione sintetica di sorgenti.
In particolare, abbiamo creato N = 5 × 105 sorgenti con le seguenti distribuzioni
normalizzate ad N:
• distribuzione uniforme tra 0 e tmax = 25 Myr nelle età:
ρ(t) d t =
N
tmax
d t,
Z
tmax
ρ(t) d t = N.
(4.13)
0
In un sistema di coordinate cilindriche, abbiamo assegnato le posizioni iniziali:
• R0 con una distribuzione Gaussiana, dove hR0 i = 0.0 Kpc e σR0 = 5.66 Kpc;
Z +∞
2N
−|R0 −hR0 i|2 /2 σ2 R0
d R0 ,
ρ(R0 ) d R0 = N.
ρ(R0 ) d R0 =
1 e
0
(2 π σ 2 R0 ) 2
(4.14)
• z0 con una distribuzione esponenziale con altezza di scala zexp = 0.1 Kpc
sopra e sotto il piano galattico, in accordo con la scala di altezza approssimata
per le stelle delle classi spettrali O e B ritenute le probabili progenitrici delle
pulsar;
Z +∞
N −|z0 |/zexp
ρ± (z0 ) d z0 = ±
e
d z0 ,
[ρ+ (z0 ) + ρ− (z0 )] d z0 = N.
2 zexp
−∞
(4.15)
74
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
• φ0 con una distribuzione uniforme tra 0 e 2 π;
Z 2π
N
ρ(φ0 ) d φ0 =
d φ0 ,
ρ(φ0 ) d φ0 = N.
2π
0
(4.16)
Dopo essere passati dalle coordinate cilindriche alle coordinate cartesiane seguendo la trasformazione di coordinate:
x0 = R0 cos φ0 ,
(4.17)
y0 = R0 sin φ0 ,
(4.18)
z0 = z0 ,
(4.19)
abbiamo fatto evolvere la distribuzione spaziale in maniera uniforme assegnando
una velocità iniziale in ciascuna delle tre direzioni perpendicolari:
• distribuzione gaussiana con hv0 i = 0.0 Km/s e σv0 = 70 km/s in vx0 , vy0 e vz0
rispettivamente:
ρ(v0 ) d v0 =
N
1
(2 π σ 2 v0 ) 2
−[v0 −hv0 i]2 /2 σ2 v0
e
d v0 ,
Z
+∞
ρ(v0 ) d v0 = N.
−∞
(4.20)
Nell’ipotesi di assenza di forze legate al potenziale gravitazionale galattico, il
moto delle sorgenti è rettilineo ed uniforme e le leggi di evoluzione temporale
sono:
x = x0 + vx0 t,
(4.21)
y = y0 + vy0 t,
(4.22)
z = z0 + vz0 t.
(4.23)
75
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
Siamo quindi ritornati alle coordinate cilindriche, per poi passare da queste alle
coordinate galattiche eliocentriche.
Queste le leggi di trasformazione:
φ = arctan
R=
d=
y
x
,
(4.24)
p
x2 + y 2,
(4.25)
z = z;
(4.26)
q
2
R⊙
+ R2 − 2 R⊙ R cos φ + z 2 ,
(4.27)
R sin φ
,
l = arcsin p 2
R⊙ + R2 − 2 R⊙ R cos φ
(4.28)
z
b = arctan p 2
,
R⊙ + R2 − 2 R⊙ R cos φ
(4.29)
dove R⊙ = 8.5 Kpc è la distanza del Sole dal Centro Galattico e d, l e b indicano rispettivamente la distanza dal Sole, la longitudine e la latitudine galattica delle
pulsar.
A questo punto abbiamo assegnato le proprietà fisiche alle sorgenti. Esse sono il
campo magnetico, il periodo di rotazione ed il suo tasso di variazione temporale, la
luminosità gamma, il fattore di “beaming” gamma, il flusso gamma e l’efficienza di
emissione gamma.
Campo magnetico.
Abbiamo chiamato B0 il campo magnetico iniziale ed assegnato una distribuzione
Gaussiana in log B0 con valor medio hlog B0 i = 12.38 e deviazione standard σlog B0 =
0.33:
ρ(log B0 ) d log B0 =
N
(2 π σ 2
log B0 )
1
2
e−[log B0 −hlog B0 i]
2 /2 σ 2
log B0
d log B0 ,
(4.30)
76
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
Z
+∞
ρ(log B0 ) d log B0 = N;
−∞
Detto B il campo magnetico finale, la legge di evoluzione temporale è data
dall’Eq. (1.15):
B = B0 e−t/τ ,
(4.31)
con costante di decadimento τ = 5 Myr.
Periodo di rotazione.
Abbiamo chiamato P0 il periodo iniziale ed assegnato una distribuzione Gaussiana
in log P0 con valor medio hlog P0 i = −0.39 e deviazione standard σlog P0 = 0.40:
ρ(log P0 ) d log P0 =
N
(2 π σ 2
Z
log P0 )
1
2
e−[log P0 −hlog P0 i]
2 /2 σ 2
log P0
d log P0 ,
(4.32)
+∞
ρ(log P0 ) d log P0 = N;
−∞
Detto P il periodo finale, la sua evoluzione temporale è espressa dalla relazione
(cfr. Eq. (1.16)):
8 π 2 R6 (1 − e−2 t/τ ),
(4.33)
P 2 = P02 + B02 τ
3 I c3
dove R = 106 cm ed I = 1045 g cm2 .
Il tasso di variazione temporale del periodo di rotazione è (cfr. Eq. (1.17)):
Ṗ =
B02 8 π 2 R6 −2 t/τ
e
.
P
3 I c3
(4.34)
In maniera analoga abbiamo assegnato la luminosità gamma al di sopra della
soglia dei 100 MeV, il fattore di “beaming” gamma, il flusso gamma e l’efficienza di
emissione gamma secondo le seguenti espressioni (cfr. Harding (1981)):
0.95 −1.7
Lγ (> 100 MeV) = 1.2 × 1035 B12
P
ph s−1 ,
(4.35)
eB
Lγ = 1.2 × 1035 B12
P eP ph s−1 ,
fγ = 1,
(4.36)
77
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
Φγ = fγ
ηγ =
Lγ
,
4 π d2
20 −1.05 2.3
B
P ,
4 π 2 12
(4.37)
(4.38)
eB −2 4+eP
ηγ = K B12
P
,
dove abbiamo espresso le formule per Lγ ed ηγ in forma parametrica con i valori
dei parametri: eB = 0.95, eP = −1.7, K = 0.50.
Osservazione.
Dal momento che questo modello ammette che siano possibili valori di ηγ maggiori
di 1, abbiamo imposto un trattamento diverso alle pulsar corrispondenti.
Si sono dapprima trattati i due casi estremi in cui, quando ηγ > 1, tali pulsar:
• non vanno considerate affatto;
• vanno considerate assumendo che posseggano un’efficienza pari ad 1.
Le condizioni matematiche corrispondenti sono:
• Φγ (ηγ > ηγmax ) = 0,
essendo
ηγmax = 1;
• Φγ (ηγ > ηγmax ) = Φ∗γ ,
dove nel secondo caso si sono considerate separatamente le due classi di pulsar, a
seconda che esibissero o meno il comportamento corretto per ηγ , e ridefinite le distribuzioni dei periodi di rotazione per quelle del secondo gruppo in modo che fosse
rispettata la condizione ηγ = 1:
2−eB 1/4+eP
)
;
P ∗ = (K −1 B12
(4.39)
quindi, si sono ricalcolate le luminosità ed i flussi gamma: L∗γ = Lγ (P ∗ ) e Φ∗γ =
Φγ (L∗γ ).
Poichè però si può dimostrare che il numero di fotoni gamma prodotti dipende in
modo poco significativo dall’efficienza di emissione gamma al momento dello spegnimento della pulsar, sicchè ηγ non costituisce di per sè un parametro importante,
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
78
abbiamo creduto di operare la scelta in modo arbitrario trattando come definitivo
il caso intermedio tra i due estremi.
Seguendo la procedura descritta abbiamo creato un vettore la cui dimensione
è pari al numero totale di sorgenti e ciascuna componente del quale rappresenta il
flusso emesso da una singola pulsar.
Nella Fig. (4.2) è rappresentata la mappa della distribuzione spaziale delle sorgenti in coordinate galattiche stereografiche.
Figura 4.2: Mappa della distribuzione spaziale delle pulsar in coordinate galattiche
stereografiche.
Il passo successivo è stato suddividere il cielo in una griglia e calcolare il flusso
totale emesso da ciascun suo elemento. Si è trattato cioè di contare il numero totale
di sorgenti presenti in ognuno di tali elementi e calcolarne il flusso complessivo.
Su una sfera ideale in coordinate galattiche eliocentriche, di raggio abbastanza grande da contenere l’intera Galassia, abbiamo costruito una griglia di dimensioni (180◦ ×
360◦ ) con un passo (step) variabile che può essere fissato di volta in volta. L’idea
è stata quella di fare corrispondere la dimensione della grigliatura alla risoluzione
angolare del satellite con i cui dati sperimentali operare il confronto.
I punti della griglia sono stati definiti per mezzo di vettori lgrid ed bgrid .
Cosı̀ facendo, abbiamo realizzato la suddivisione del cielo in regioni di lato pari a
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
79
step 1 .
Abbiamo definito una matrice di flusso con tanti elementi quanti sono tali elementi
di superficie, assegnando a ciascuno di essi un valore pari alla somma dei flussi di
tutte le sorgenti (Q) che un contatore ha trovato al suo interno:
fij =
Q
X
(φγ k )ij ,
(4.40)
k=1
dove (φγ k )ij è il k−esimo flusso γ che cade nel punto griglia ij.
Abbiamo quindi creato un vettore le cui componenti per ogni valore di l fossero pari
ai flussi integrati lungo b entro il range -10◦ < b < 10◦ per unità di angolo l.
1
In realtà questi elementi di superficie giacciono su una superficie sferica e pertanto non sono quadrati, ma posseggono le dimensioni angolari step· cos b e step lungo le direzioni l e b
rispettivamente.
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
4.2.4
80
Confronto con il risultato di Bailes e Kniffen
Abbiamo riportato in un grafico i valori dei flussi integrati lungo la latitudine
galattica b in funzione della longitudine galattica l ed abbiamo confrontato il nostro
risultato con quello di Bailes e Kniffen già mostrato in Fig. (4.1):
Figura 4.3: Grafico dei valori dei flussi integrati lungo la latitudine galattica b entro
il range -10◦ < b < 10◦ in funzione della longitudine galattica l. La figura superiore
mostra il risultato ottenuto dalla nostra simulazione, quella inferiore quello di Bailes
e Kniffen.
Dal confronto tra i due grafici si vede che la consistenza è buona per quel che
riguarda la forma della distribuzione dei flussi integrati, che risulta fortemente piccata attorno al Centro della Galassia. Le posizioni e le altezze dei picchi laterali
invece presentano delle differenze significative, ma questo non è un dato rilevante in
quanto dipende dal fatto che si sta impiegando un metodo stocastico.
In conclusione, la corretta riproduzione del risultato ottenuto nell’articolo lascia intendere che il nostro codice numerico è consistente e può pertanto venire utilizzato
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
81
per simulare l’emissione gamma galattica delle pulsar a partire dai modelli più elaborati che introdurremo nel seguito di questo capitolo.
Prima di passare a fare ciò, però, spendiamo ancora alcune parole per illustrare
brevemente la procedura di testaggio per mezzo della quale abbiamo controllato la
consistenza di ogni singola operazione matematica o logica utilizzata nel codice numerico.
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
4.2.5
82
Tests di consistenza del codice numerico
a. Come prima cosa abiamo prodotto gli istogrammi di tutte le distribuzioni
iniziali e controllato che riproducessero i comportamenti richiesti.
N = 5 × 105 sorgenti
Distribuzione iniziale delle età:
ρ(t) d t =
N
tmax
d t,
R tmax
0
ρ(t) d t = N.
Distribuzione spaziale iniziale in coordinate cilindriche:
ρ(φ0 ) d φ0 =
ρ(R0 ) d R0 =
N
2π
d φ0 ,
2N
(2 π σ2
1
R0 ) 2
R 2π
0
ρ(φ0 ) d φ0 = N;
e−|R0 −hR0 i|
2 /2 σ 2
ρ± (z0 ) d z0 = ± 2 zNexp e−|z0 |/zexp d z0 ,
R0
d R0 ,
R +∞
−∞
R +∞
0
ρ(R0 ) d R0 = N;
[ρ+ (z0 ) + ρ− (z0 )] d z0 = N.
83
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
Velocità di allontanamento dalla posizione iniziale vx0 , vy0 , vz0 :
ρ(v0 ) d v0 =
N
1
(2 π σ2 v0 ) 2
e−[v0 −hv0 i]
2 /2 σ 2
v0
d v0 ,
R +∞
−∞
ρ(v0 ) d v0 = N.
Campo magnetico iniziale:
ρ(log B0 ) d log B0 =
R +∞
−∞
N
(2 π σ2
1
log B0 ) 2
ρ(log B0 ) d log B0 = N;
e−[log B0 −hlog B0 i]
2 /2 σ 2
log B0
d log B0 ,
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
84
Periodo di rotazione iniziale:
ρ(log P0 ) d log P0 =
R +∞
−∞
N
(2 π σ2
1
log P0 ) 2
e−[log P0 −hlog P0 i]
2 /2 σ 2
log P0
d log P0 ,
ρ(log P0 ) d log P0 = N;
b. Abbiamo seguito l’evoluzione di due pulsar, una appartenente alla categoria
con ηγ ≤ 1 e l’altra a quella con ηγ > 1.
Per ciascuna di esse abbiamo calcolato separatamente i valori di tutte le grandezze
fisiche e li abbiamo confrontati con quelli prodotti dal codice numerico, controllando
in tal modo la correttezza di tutto il procedimento che porta ad assegnare a ciascun
elemento del campione un valore del flusso gamma.
c. Una volta certi di avere creato una popolazione sintetica di pulsar fedele ai
propositi del modello di Bailes e Kniffen, abbiamo verificato la consistenza del metodo con cui si è effettuata l’integrazione sulle sorgenti ed ottenuto il risultato finale.
Abbiamo dapprima trattato il caso di distribuzione uniforme ed equispaziata in entrambe le direzioni; una volta testata la procedura in questo caso semplice, abbiamo
studiato separatamente il comportamento di ciascuno dei tre tipi di distribuzione
casuale utilizzati nel codice.
Distribuzione uniforme ed equispaziata nelle due direzioni.
Si è considerato il caso più elementare in cui le sorgenti sono poste tutte alla medesima distanza r dall’osservatore, ovvero su una calotta sferica, e posseggono tutte
la stessa luminosità L.
Abbiamo distribuito 8000 sorgenti su una griglia di 1000 elementi secondo lo schema
di Fig. (4.4) e calcolato i valori dei flussi gamma integrati lungo ciascuna direzione
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
85
azimutale.
Figura 4.4: Distribuzione uniforme ed equispaziata nelle due direzioni angolari θ e
φ. Le dimensioni della griglia in θ e φ sono rispettivamente 50 e 20.
Poichè in ogni elemento di griglia cadono 8 sorgenti ciascuna con il medesimo
flusso, il risultato atteso è una distribuzione dei flussi integrati costante lungo la direzione radiale e pari ad 8 volte il flusso emesso da ciascuna sorgente per il numero
di elementi di griglia nella direzione d’integrazione.
Ponendo:
r = 1 Kpc
ed
L = 1035 ph/s,
il flusso emesso da ciascuna sorgente è:
F = 8.52 × 10−10 ph/s cm2 .
Per il flusso integrato lungo θ ci si aspetta il valore:
Ftot = 1.36 × 10−7 ph/s cm2 .
L’istogramma ottenuto riproduce esattamente quanto previsto:
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
86
Distribuzione uniforme ed equispaziata lungo una direzione e casuale
lungo l’altra.
Come si vede dagli istogrammi seguenti, i profili delle distribuzioni dei flussi gamma
integrati lungo ciascuna direzione azimutale riproducono gli andamenti di ciascuna
distribuzione prodotta con il metodo Montecarlo.
• Distribuzione casuale uniforme
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
87
• Distribuzione casuale esponenziale:
• Distribuzione casuale gaussiana:
Appurato che il codice funziona nel caso più semplice separatamente per ciascuna delle distribuzioni prese in esame, questo deve continuare a valere in generale,
cioè indipendentemente dal sistema di coordinate usato per localizzare le sorgenti e
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
88
per ogni possibile combinazione delle distribuzioni stesse.
Questa serie di tests superati con successo ci ha confermato la correttezza del
codice e resi confidenti dei risultati che avremmo ottenuto in seguito, quando popolazioni sintetiche più complicate e l’evoluzione temporale sarebbero state calcolate.
Terminato questo studio preliminare, la parte centrale del nostro lavoro è consistita nell’ampliamento del codice numerico al fine di ottenere una stima del contributo delle pulsar al fondo gamma diffuso nell’ambito dei più recenti modelli di
emissione ad alta energia. Confrontando le nostre simulazioni con i dati di EGRET,
abbiamo trovato che alcuni modelli danno un accordo migliore con le osservazioni
rispetto ad altri.
A questo punto abbiamo studiato la dipendenza dai parametri entro ciascun modello, cercando di capire in che modo essi ne influenzino l’attendibilità. Abbiamo
trovato che alcuni parametri risultano essere molto significativi, tanto che una loro
variazione porta ad escludere modelli altrimenti ritenuti accettabili e a recuperarne
altri che per altre scelte dei parametri sarebbero da scartare.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
4.3
89
Ampliamento del codice numerico e predizioni relative ai più recenti modelli di emissione
gamma
Il primo passo nell’ambito di un processo di ampliamento del codice numerico
e predizioni relative ai più recenti modelli di emissione gamma è stato quello di
considerare un diverso modello di distribuzione galattica delle pulsar nell’ambito
dello stesso modello di emissione gamma già discusso (Harding, 1981).
Per definire le posizioni iniziali, abbiamo riprodotto le distribuzioni di Paczyński
(1990) normalizzate ad N in un sistema di coordinate cilindriche:
N aR R0 −R0 /Rexp
e
d R0 ,
ρ(R0 ) d R0 =
R2 exp
N −|z0 |/zexp
ρ± (z0 ) d z0 = ±
e
d z0 ,
2 zexp
N
d φ0 ,
ρ(φ0 ) d φ0 =
2π
Z
Z
+∞
ρ(R0 ) d R0 = N,
(4.41)
0
+∞
[ρ+ (z0 ) + ρ− (z0 )] d z0 = N, (4.42)
−∞
Z
2π
ρ(φ0 ) d φ0 = N,
(4.43)
0
dove si sono introdotte le costanti:
1
aR = h
1 − e−Rmax /Rexp 1 +
Rmax
Rexp
i ,
(4.44)
Rexp = 4.5 Kpc,
(4.45)
zexp = 0.075 Kpc,
(4.46)
Rmax = 20 Kpc.
(4.47)
Con tali distribuzioni, abbiamo definito la posizione iniziale di ciascuna stella di
neutroni assegnando un numero casuale X distribuito uniformemente tra 0 ed 1:
z0 = ∓ ln(X(N/2)) zexp
(4.48)
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
90
rispettivamente sopra e sotto il piano galattico,
φ0 = X(N) 2 π.
(4.49)
Per quanto riguarda la determinazione del raggio galattocentrico R0 , il metodo usualmente impiegato nel calcolo numerico consistente nell’invertire l’integrale
della distribuzione corrispondente avrebbe richiesto la risoluzione di un’equazione
trascendente; abbiamo pertanto approssimato la funzione ρ(R0 ) d R0 con un istogramma ottenendo una funzione invertibile in ciascun intervallo.
Osserviamo che questa distribuzione radiale contiene proprio la necessaria correzione, suggerita dagli stessi Bailes e Kniffen, a quella impiegata in precedenza per il
raggio galattocentrico.
Come si nota dalla Fig. (4.5), la principale differenza tra le due distribuzioni consiste
nel diverso andamento in corrispondenza del Centro Galattico.
Figura 4.5: Distribuzioni radiali delle pulsar secondo il modello di Narayan (linea
tratteggiata) e secondo quello di Paczyński (linea continua).
Infatti, la prima distribuzione era stata derivata dal modello di Narayan (1987),
formulato sulla base dei dati relativi alle osservazioni nella banda radio. Tuttavia,
come puntualizzano gli stessi Bailes e Kniffen, la popolazione delle pulsar più interna
alla Galassia non può essere campionata bene a partire dalle osservazioni a bassa
frequenza che sono affette da grandi incertezze, per cui è preferibile dedurre la relativa distribuzione radiale direttamente da quelle dei resti di supernova giovani (Leahy
& Wu, 1989) e del monossido di carbonio (Robinson & al., 1984) (cfr.Fig. (4.6) e
(4.7) ).
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
91
Figura 4.6: Densità superficiali di resti giovani di supernova in funzione del raggio
galattocentrico (da Leahy & Wu, 1989).
Figura 4.7: Distribuzioni radiali dell’emissività da CO nei due emisferi in corrispondenza di b = 0◦ tra i raggi galattocentrici 0.2R⊙ ed R⊙ e combinazione delle due
distribuzioni precedenti per b = 0◦ ed l = 294◦ − 70◦ (da Robinson & al., 1984).
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
92
La velocità complessiva di ciascuna pulsar è determinata dalla somma vettoriale
della velocità angolare di rotazione della stella alla nascita e della velocità impartita
dall’esplosione della supernova.
L’esatta valutazione della velocità angolare richiederebbe il calcolo completo delle
orbite all’interno di un potenziale gravitazionale galattico. Essendo questo piuttosto
complicato da fare dal punto di vista del calcolo numerico, abbiamo semplificato il
problema trascurando questo effetto.
Un notevole apporto alle conoscenze riguardo alle velocità delle pulsar è venuto
dagli studi compiuti a partire dal 1993, dopo che cioè è stato reso disponibile un
nuovo modello di distribuzione galattica degli elettroni liberi che ha permesso una
più accurata valutazione delle distanze, e soprattutto a seguito di più recenti determinazioni sui moti propri delle pulsar effettuate con nuovi e più sofisticati impianti
interferometrici (VLA e MERLIN).
Queste ricerche hanno fornito valori per le velocità delle pulsar prossimi a 350 Km/s,
molto più alti di quelli noti in precedenza.
Nel 1994 Lyne e Lorimer hanno messo in relazione tali risultati con l’associazione
delle pulsar con resti giovani di supernova, ipotizzando che le elevate velocità misurate derivino da spinte (kicks) inferte da esplosioni asimmetriche. Infatti, i calcoli
teorici mostrano che è sufficiente che nel collasso della supernova vi sia, ad esempio,
una piccola asimmetria nell’emissione di neutrini per imprimere le velocità richieste.
La velocità impartita dall’esplosione della supernova in ciascuna delle tre direzioni
perpendicolari è stata assegnata per mezzo della distribuzione di Sturner e Dermer
(1994):
4N ζ d ζ,
π 1 + ζ4
il cui integrale è normalizzato ad N:
ρ(ζ) d ζ =
Z
(4.50)
+∞
ρ(ζ) d ζ = N.
(4.51)
0
Quindi si è posto:
v = ζ120 Km/ s,
(4.52)
dove si è utilizato il valore di 120 Km/s è piuttosto che quello di 350 Km/s proposto
da Lyne e Lorimer, al fine di ottenere un migliore accordo con la distribuzione delle
93
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
pulsar lungo l’asse z (Gonthier & al., 2002).
La velocità ζ si ottiene invertendo la distribuzione (4.51):
r
π X(N) .
(4.53)
2
Avendo trascurato l’effetto del campo gravitazionale galattico, l’evoluzione temζ=
tan
porale delle pulsar è definita per mezzo delle semplici relazioni:
vx0 =
r
vy0 =
r
vz0 =
r
tan
π X(N) V,
(4.54)
tan
π X(N) V,
(4.55)
tan
π X(N) V,
(4.56)
2
2
2
con V = 120 Km/ s ed
x = x0 + vx0 t,
(4.57)
y = y0 + vy0 t,
(4.58)
z = z0 + vz0 t.
(4.59)
Abbiamo supposto che il campo magnetico ed il periodo di rotazione iniziali B0 e
P0 fossero descritti rispettivamente da una distribuzione Gaussiana in log B0 con valor medio hlog B0 i = 12.75 e deviazione standard σlog B0 = 0.40 ed una distribuzione
costante P0 = 0.03 s:
ρ(log B0 ) d log B0 =
N
1
2
e−[log B0 −hlog B0 i]
2 /2 σ 2
(2 π σ 2 log B0 )
Z +∞
ρ(log B0 ) d log B0 = N;
log B0
d log B0 ,
(4.60)
−∞
log B0 = Y (N)σlog B0 + hlog B0 i.
(4.61)
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
94
A questo punto abbiamo trattato separatamente i due casi di campo magnetico costante nel tempo e di decadimento esponenziale con costante di decadimento
τ = 5 Myr (Eq. (1.15)), mentre per l’evoluzione temporale del periodo di rotazione
abbiamo utilizzato le medesime leggi di trasformazione Eq. (1.10), (1.11), (1.16)
ed (1.17).
In Fig. (4.8) sono riportati gli istogrammi delle distribuzioni delle età, delle
distanze, dei campi magnetici, dei periodi di rotazione e dei corrispondenti tassi di
variazione temporale.
Figura 4.8: Istogrammi delle distribuzioni delle età, delle distanze, dei campi magnetici, dei periodi di rotazione e dei corrispondenti tassi di variazione temporale
per la popolazione sintetica delle pulsar. Le linee tratteggiate si riferiscono al caso
di campo magnetico costante, quelle continue al caso di decadimento esponenziale
(Eq. (1.15)).
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
95
Le figure (4.9) e (4.10) illustrano il digramma log P − log Ṗ , rispettivamente
nei casi di costanza e di decadimento esponenziale del campo magnetico.
Figura 4.9: Diagramma log P − log Ṗ nel caso di campo magnetico costante.
Figura 4.10: Diagramma log P −log Ṗ nel caso di campo magnetico con decadimento
esponenziale.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
96
Commento ai diagrammi di Fig. (4.9 ) e (4.10).
I due diagrammi precedenti esprimono la relazione tra i periodi di rotazione delle
pulsar ed i corrispondenti tassi di variazione temporale. Dal momento che le pulsar
evolvono entro un intervallo di tempo ben definito di estremi tmin e tmax , i punti di
ciascuno di tali diagrammi sono compresi entro la regione delimitata da log P (tmin ),
log P (tmax ), log Ṗ (tmin ) e log Ṗ (tmax ).
Inoltre, ciscuna distribuzione di punti all’interno della regione “permessa” riproduce
la corrispondente distribuzione Gaussiana del campo magnetico, il cui valore medio
tra gli istanti tmin e tmax si muove, nello spazio log P − log Ṗ , rispettivamente lungo
la retta (r) della Fig. (4.9) e lungo la curva (c) della Fig. (4.10).
Le equazioni che definiscono i luoghi geometrici r e c si ottengono imponendo alla
relazione (1.11), che esprime la dipendenza del periodo di rotazione delle pulsar dal
corrispondente tasso di variazione temporale, la condizione che la distribuzione dei
campi magnetici abbia varianza nulla.
Infine, nella Fig. (4.11) è rappresentata la mappa della distribuzione spaziale
delle sorgenti in coordinate galattiche stereografiche. Come si vede chiaramente,
questa distribuzione è molto meno piccata al centro di quella usata da Emmering e
Chevalier (cfr. Fig. (4.2)).
Figura 4.11: Mappa della distribuzione spaziale delle pulsar in coordinate galattiche
stereografiche.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
97
Assegnata la nuova distribuzione galattica di pulsar, abbiamo ripetuto il procedimento illustrato nella precedente sezione per il calcolo dei flussi integrati lungo la
latitudine galattica b entro il range −10◦ < b < 10◦ in funzione della longitudine
galattica l, confrontando quindi il profilo ottenuto con i dati di EGRET sul fondo
gamma diffuso, che abbiamo inserito direttamente nel nostro codice numerico (questi dati ci sono stati gentilmente concessi dal Prof. Sandro Mereghetti dell’ ”Istituto
di Fisica Cosmica”, CNR, Milano).
Nelle figure (4.12) e (4.13) sono riportati rispettivamente la mappa del cielo gamma
ed il profilo dei flussi integrati lungo b entro il range −10◦ < b < 10◦ in funzione di
l prodotto con tali dati.
Figura 4.12: Mappa del cielo gamma visto da EGRET ottenuta inserendo nel codice
numerico i dati delle osservazioni.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
98
Figura 4.13: Profilo dei flussi integrati lungo b entro il range −10◦ < b < 10◦ in
funzione di l a partire dai dati di EGRET.
Infine, abbiamo contato il numero di sorgenti previste dal modello di Harding
(1981), che abbiamo denominato modello H, al di sopra della soglia di rivelazione di
EGRET, il cui valore sul piano galattico per energie superiori a 100 MeV è di 107
ph s−1 cm−2 (cfr. Fig. (3.13)), e l’abbiamo confrontato con il numero di sorgenti
realmente osservate, che, come sappiamo, sono 7.
Nelle figure Fig. (4.14) e (4.15) sono riportati rispettivamente il grafico ottenuto
con la precedente distribuzione galattica (Emmering & Chevalier (1989), Fig. (4.3))
ed i risultati delle nuove simulazioni, sia nel caso di campo magnetico costante che
in quello di decadimento esponenziale.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
99
Figura 4.14: Grafico dei valori dei flussi integrati lungo la latitudine galattica b entro
il range −10◦ < b < 10◦ in funzione della longitudine galattica l.
Figura 4.15: Confronto tra il fondo gamma diffuso visto da EGRET (in viola) e le
previsioni del “polar cap model” di Harding (1981) (in blu). Sono rappresentate
rispettivamente le situazioni con e senza decadimento del campo magnetico. È
inoltre indicato il numero di pulsar previste oltre la soglia di rivelazione di EGRET
nell’ambito di questo modello. Le figure a destra sono dei semplici ingrandimenti
dei profili simulati.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
100
Commento alla Fig. (4.15).
Come già discusso nel Capitolo 2, il fondo gamma diffuso è costituito in gran parte
da fotoni gamma originati dall’interazione dei raggi cosmici con la materia interstellare. Questo contributo principale viene valutato per mezzo dell’Eq. (2.3)), dove le
distribuzioni spaziali dei componenti coinvolti in ciascuna interazione sono note a
partire da modelli teorici (Bertsch & al., 1993; Strong & Moskalenko, 1998). Dal
confronto tra il risultato di questo calcolo ed i valori dell’intensità della radiazione
gamma diffusa misurata sperimentalmente, ci si aspetta che il contributo delle sorgenti puntiformi al fondo gamma diffuso non superi il 10%.
Sulla base di questa considerazione, nel paragrafo 2.4.2 del Capitolo 2 avevamo stabilito che la combinazione dei modelli di Emmering e Chevalier (1989) e di Harding
(1981), rispettivamente per la distribuzione galattica e le luminosità delle pulsar
gamma, permetteva di raggiungere un accordo soddisfacente tra il risultato della
simulazione numerica e quello delle osservazioni.
Come si nota immediatamente dalla Fig. (4.15), anche la nuova distribuzione galattica prevede un contributo percentuale delle pulsar al fondo gamma diffuso inferiore al
10 %; inoltre, il numero di sorgenti al di sopra della soglia di rivelazione di EGRET,
che, ripetiamo, è di 10−7 ph cm−2 s−1 sul piano galattico per valori dell’energia superiori a 100 MeV, non è molto diverso da quello realmente osservato.
Pertanto, concludiamo che il modello di Harding sull’emissione gamma dalle pulsar
riproduce, almeno qualitativamente, le osservazioni di EGRET, indipendentemente
dalle distribuzioni impiegate.
Vi è tuttavia una sostanziale differenza tra i due modelli galattici considerati: infatti, la seconda distribuzione è meno piccata in corrispondenza del Centro Galattico,
come già osservato a proposito della Fig. (4.11).
Dato l’esiguo numero di pulsar gamma identificate, non possiamo dire nulla circa
la loro reale reale distribuzione nella Galassia e pertanto non possiamo basarci sulle osservazioni sperimentali per stabilire quale dei due modelli galattici trattati sia
migliore. Tutto ciò che possiamo dire a questo riguardo è che il secondo modello
poggia su argomentazioni teoriche più profonde, in quanto tutte le distribuzioni sono dedotte a partire dall’associazione delle pulsar con i resti di supernova giovani,
mentre nel primo caso tale deduzione avveniva in maniera empirica a partire dai
dati osservativi sulle pulsar radio, che sono affetti da numerosi errori sistematici difficili da quantificare. Per tale ragione, nel seguito delle nostre simulazioni abbiamo
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
101
scelto di adoperare le funzioni di distribuzione relative al modello che fa uso delle
distribuzioni di Paczyǹski (1990), Sturner e Dermer (1994) e Gonthier e al. (2002).
Sarà compito delle future missioni spaziali, grazie alla maggiore sensibilità dei telescopi che vi verranno impiegati, compiere osservazioni a distanze molto maggiori
e quindi dire qualcosa di più su quello che ci si aspetta accadere nelle regioni più
vicine al Centro della Galassia.
Osserviamo infine che, nell’ambito del modello di emissione gamma che stiamo considerando e per questi valori dei parametri, non vi è sostanziale differenza tra i casi
di campo magnetico costante e variabile nel tempo con decadimento esponenziale.
Abbiamo quindi considerato gli altri quattro modelli di emissione gamma elencati
nel paragrafo 1.4.3 del Capitolo 1, imponendo ai modelli ad “outer gap” la condizione
dettata dalla linea di spegnimento (Eq. (1.33)):
5 log B − 12 log P ≤ 72.
(4.62)
Per ciascuno di questi modelli si sono utilizzate la corrette espressioni per la
luminosità gamma (cfr. Eq. (1.41)− (1.45)) e si è imposto che, qualora l’efficienza
di emissione gamma delle pulsar prevista entro un particolare modello superasse il
valore del 100%, i corrispondenti flussi gamma venissero ridefiniti secondo la medesima prescrizione adottata per il modello di Harding (1981) (cfr. Eq. (4.39)).
Per ogni modello, abbiamo confrontato le predizioni teoriche riguardo l’emissione
gamma diffusa integrata sulle latitudini galattiche tra −10◦ e 10◦ in funzione della
longitudine galattica con le osservazioni di EGRET espresse per mezzo della curva
di Fig. (4.13), distinguendo i casi di campo magnetico costante e variabile nel tempo
con decadimento esponenziale.
Abbiamo inoltre calcolato in ciascun caso il numero di pulsar gamma al di sopra
della soglia di rivelazione di EGRET sul piano galattico e per valori dell’energia
superiori a 100 MeV.
Le figure corrispondenti sono rappresentate nelle pagine seguenti.
102
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
Modello a “polar cap” di Zhang e Harding, 2000 (modello ZH).
Lγ (I) = 5.87 × 1035 B12 6/7 P −1/7 ph s−1
ed
(4.63)
e
(4.64)
Lγ (II) = 1.0 × 1035 B12 P −9/4 ph s−1 ,
rispettivamente nei due regimi:
B12 1/7 P −11/28 > 6.0
I:
II:
B12 1/7 P −11/28 < 6.0.
Riportiamo in Fig. (4.16) il grafico corrispondente.
Figura 4.16: Confronto tra il fondo gamma diffuso visto da EGRET (in viola) e le
previsioni del “polar cap model” di Zhang e Harding (2000) (in blu). Sono rappresentate rispettivamente le situazioni con e senza decadimento del campo magnetico.
È inoltre indicato il numero di pulsar previste oltre la soglia di rivelazione di EGRET
nell’ambito di questo modello.
103
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
Modello a “polar cap” di Sturner e Dermer, 1994 (modello SD).
Lγ = 6.25 × 1035 B12 3/2 P −2 ph s−1 .
(4.65)
Riportiamo in Fig. (4.17) il grafico corrispondente.
Figura 4.17: Confronto tra il fondo gamma diffuso visto da EGRET (in viola) e le
previsioni del “polar cap model” di Sturner e Dermer (1994) (in blu). Sono rappresentate rispettivamente le situazioni con e senza decadimento del campo magnetico.
È inoltre indicato il numero di pulsar previste oltre la soglia di rivelazione di EGRET
nell’ambito di questo modello.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
104
Modello ad “outer gap” di Romani e Yadigaroglu, 1995 (modello RY).
Lγ = 1.56 × 1036 B12 0.48 P −2.48 ph s−1 .
(4.66)
Riportiamo in Fig. (4.18) il grafico corrispondente.
Figura 4.18: Confronto tra il fondo gamma diffuso visto da EGRET (in viola)
e le previsioni dell’ ”outer gap model” di Romani e Yadigaroglu (1995) (in blu).
Sono rappresentate rispettivamente le situazioni con e senza decadimento del campo
magnetico. È inoltre indicato il numero di pulsar previste oltre la soglia di rivelazione
di EGRET nell’ambito di questo modello.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
105
Modello ad “outer gap” di Cheng e Zhang, 1996 (modello CH).
Lγ = 3.93 × 1037 B12 0.3 P −0.3 ph s−1 .
(4.67)
Riportiamo in Fig. (4.19) il grafico corrispondente.
Figura 4.19: Confronto tra il fondo gamma diffuso visto da EGRET (in viola) e le
previsioni dell’ ”outer gap model” di Cheng e Zhang (1996) (in blu). Sono rappresentate rispettivamente le situazioni con e senza decadimento del campo magnetico.
È inoltre indicato il numero di pulsar previste oltre la soglia di rivelazione di EGRET
nell’ambito di questo modello.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
106
Commento alle figure (4.15)− (4.19).
Dal confronto tra i profili delle nostre simulazioni e quello relativo alle osservazioni di EGRET sul fondo gamma diffuso, nonchè tra il numero di pulsar previste e
realmente osservate in ciascun caso, emerge che solamente per due dei modelli considerati l’accordo è accettabile; tali modelli sono lo stesso modello di Harding già
discusso in precedenza (modello H ) ed il modello di Zhang ed Harding (modello
ZH ); rileviamo inoltre che non vi è alcuna sostanziale differenza tra le situazioni di
campo magnetico costante e variabile nel tempo con decadimento esponenziale in
nessuno dei casi presi in esame.
Da questo confronto emerge una prima indicazione su quali siano i modelli da preferirsi, limitatamente però all’ambito di una particolare scelta dei parametri fisici
che intervengono nel calcolo delle luminosità e quindi dei flussi gamma emessi dalle
pulsar.
In realtà, ogni altra combinazione dei parametri che non contraddica i presupposti di
esistenza delle stelle di neutroni e della loro capacità di emettere radiazione gamma
è in generale possibile ed influisce sulle previsioni circa l’emissione gamma dalle pulsar. Pertanto, perchè il confronto tra i diversi modelli sia significativo, esso non può
limitarsi ad una perticolare prescrizione circa i diversi parametri, ma è necessario
estendere la nostra discussione ad uno spazio parametrico il più generale possibile,
conferendo in tal modo carattere di generalità alle conclusioni inferte.
4.4
Studio dell’influenza dei diversi parametri significativi per il calcolo dei flussi gamma sui
modelli di emissione.
Nel paragrafo precedente abbiamo operato un primo confronto tra i cinque modelli di emissione gamma introdotti per una ben definita combinazione dei parametri
fisici che intervengono nel calcolo dei flussi gamma emessi dalle singole sorgenti.
Questa scelta era stata derivata dall’utilizzo di un particolare modello di distribuzione galattica formulato sulla base di conoscenze di tipo statistico relativamente
alla popolazione delle pulsar radio.
Quello che ci siamo proposti di fare a questo punto è stato definire uno spazio pa-
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
107
rametrico i cui valori estremi corrispondessero alle condizioni limite per le stelle di
neutroni capaci di emettere radiazione gamma pulsata e seguire l’evoluzione di un
punto rappresentativo all’interno di tale spazio.
4.4.1
Lo spazio dei parametri
I parametri fisici che influenzano maggiormente il calcolo dell’emissione gamma
galattica dalle pulsar sono il campo magnetico ed il periodo di rotazione iniziali,
nonchè la velocità di allontanamento dal Centro Galattico, che determina la ditribuzione delle distanze all’istante attuale.
Abbiamo definito quindi uno spazio dei parametri tridimensionale (hlog P0 i, hlog B0 i,
V ), delimitandone l’estensione per mezzo dell’assegnazione dei valori di queste grandezze fisiche nei punti estremi.
Periodo di rotazione.
In generale il periodo di rotazione P0 di una stella di neutroni può variare tra 0.01
secondi, valore in corrispondenza del quale l’intensità della forza centrifuga diviene
confrontabile con quella della forza gravitazionale che tiene insieme la stella, ed 1
secondo, dove per la scelta di tale limite superiore abbiamo fatto riferimento alle
osservazioni.
Campo magnetico.
In natura esistono differenti famiglie di pulsar, la cui origine è il risultato di processi
evolutivi molto diversi tra loro. Ciascuna di tali famiglie è caratterizzata da distribuzioni tipiche per ognuna delle grandezze fisiche che abbiamo visto essere rilevanti
in ogni modello di emissione di radiazione elettromagnetica, e gli stessi meccanismi
fisici responsabili di tale emissione differiscono radicalmente da una classe all’altra.
Pertanto, i modelli per le luminosità gamma delle pulsar sono formulati in maniera
indipendente per ciascuna delle principali famiglie che ne compongono la popolazione
galattica, che sono la famiglia delle pulsar isolate giovani, quella delle pulsar binarie,
la famiglia delle pulsar millisecondo e quella delle “magnetars”. In Fig. (4.20) sono
indicate le posizioni di ciacscuna di tali popolazioni in un diagramma che mette in
relazione il periodo di rotazione P al campo magnetico B.
Come si vede chiaramente dalla Fig. (4.20), vi è una graduale diminuzione nelle
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
108
Figura 4.20: Posizioni delle differenti famiglie di pulsar in un diagramma periodo di
rotazione − campo magnetico. I puntini semplici indicano le pulsar isolate giovani,
quelli circondati da cerchietti ed ellissi le pulsar appartenenti a sistemi binari. La
popolazione delle pulsar millisecondo è visibile nella parte del diagramma a sinistra
in basso (da Phinney & Kulkarni, 1994).
intensità dei campi magnetici passando dalle pulsar isolate giovani a quelle appartenenti a sistemi binari ed alle millisecondo. I rispettivi intervalli che definiscono le
intensità dei campi magnetici sono:
• 1011 − 1013 G per le pulsar isolate giovani,
• 1010 − 1011 G per le pulsar binarie e
• 108 − 109 G per le pulsar millisecondo.
Le “magnetars” sono una particolare classe di stelle di neutroni isolate caratterizzate
da campi magnetici elevatissimi, dell’ordine di 1014 − 1016 G.
È noto dall’elettrodinamica quantistica che esiste un valore per il campo magnetico
di una stella di neutroni in corrispondenza del quale il meccanismo fisico dominante
alla base della produzione di fotoni gamma non è più il decadimento delle coppie
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
109
elettrone-positrone (e+ e− → γ), ma lo splittig fotonico (γ → γ γ). Tale valore critico del campo magnetico vale Bcrit = 4.413 × 1013 G.
Pertanto, l’emissione gamma da parte di questi oggetti eccezionali è regolata da processi quantomeccanici che esulano dall’ambito entro il quale i modelli che vogliamo
confrontare sono stati formulati; questi modelli, invece, interessano le pulsar giovani,
i cui campi magnetici hanno intensità dell’ordine di 1012 G.
Per tale ragione, abbiamo imposto che i valori estremi per il campo magnetico B0
nel nostro spazio dei parametri fossero 1011 e 4.413 × 1013 G rispettivamente.
Velocità di allontanamento dal centro galattico.
Con riferimento a quanto detto nel paragrafo 4.4.3, abbiamo utilizzato come valori
estremi per V quelli proposti rispettivamente da Gonthier e al. (2002) (120 Km/s)
e da Lyne e Lorimer (1994) (350 Km/s).
Abbiamo rappresentato dunque la porzione di spazio parametrico di interesse
per mezzo di un cubo i cui lati fossero definiti dai valori estremi dei parametri stessi
e studiato il comportamento di un punto rappresentativo vincolato a muoversi al
suo interno (cfr. Fig. (4.21)).
Per ciascuno di questi punti, abbiamo confrontato le previsioni di tutti e cinque i
modelli da noi presi in considerazione con le osservazioni di EGRET, sia relativamente al contributo al fondo gamma diffuso che per quanto riguarda il numero di
sorgenti al di sopra della soglia di rivelazione dello strumento.
I grafici corrispondenti sono riportati nelle figure (4.22)− (4.29).
In ciascun grafico sono rappresentati unicamente i profili dei flussi integrati al di
sotto della soglia di rivelazione di EGRET.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
110
Figura 4.21: Rappresentazione tridimensionale dello spazio parametrico (hlog P0 i,
hlog B0 i, V ).
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
111
Figura 4.22: Confronto tra le osservazioni di EGRET e le previsioni relative ai
modelli di emissione gamma studiati in corrispondenza del punto X1 dello spazio
dei parametri.
Figura 4.23: Confronto tra le osservazioni di EGRET e le previsioni relative ai
modelli di emissione gamma studiati in corrispondenza del punto X2 dello spazio
dei parametri.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
112
Figura 4.24: Confronto tra le osservazioni di EGRET e le previsioni relative ai
modelli di emissione gamma studiati in corrispondenza del punto X3 dello spazio
dei parametri.
Figura 4.25: Confronto tra le osservazioni di EGRET e le previsioni relative ai
modelli di emissione gamma studiati in corrispondenza del punto X4 dello spazio
dei parametri.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
113
Figura 4.26: Confronto tra le osservazioni di EGRET e le previsioni relative ai
modelli di emissione gamma studiati in corrispondenza del punto X5 dello spazio
dei parametri.
Figura 4.27: Confronto tra le osservazioni di EGRET e le previsioni relative ai
modelli di emissione gamma studiati in corrispondenza del punto X6 dello spazio
dei parametri.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
114
Figura 4.28: Confronto tra le osservazioni di EGRET e le previsioni relative ai
modelli di emissione gamma studiati in corrispondenza del punto X7 dello spazio
dei parametri.
Figura 4.29: Confronto tra le osservazioni di EGRET e le previsioni relative ai
modelli di emissione gamma studiati in corrispondenza del punto X8 dello spazio
dei parametri.
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
115
Commento alle figure (4.22)− (4.29).
Per poter quantificare il livello di attendibilità di ciascuno dei modelli di emissione
gamma presi in esame, abbiamo scelto, come dato su cui basarci per il confronto,
le relative predizioni circa il numero di pulsar gamma al di sopra della soglia di
rivelazione di EGRET.
A tale fine abbiamo valutato, per ogni punto dello spazio dei parametri nel quale
abbiamo confrontato i diversi modelli, l’eccesso percentuale tra il numero di pulsar
previste da ciascun modello e quello realmente osservato da EGRET.
Riportiamo i risultati ottenuti nelle tabelle 4.1−4.8.
Tab.4.1. Eccesso percentuale per i parametri del punto X1 .
Modello
|Eccesso percentuale| = |#Previste − #Osservate|/#Osservate
H
ZH
SD
RY
CZ
13.42
120
80
17009
462
Tabella 4.1: Eccesso percentuale tra il numero di pulsar previste da ciascun modello
e quello realmente osservato da EGRET per i parametri del punto X1 .
Tab.4.2. Eccesso percentuale per i parametri del punto X2 .
Modello
|Eccesso percentuale| = |#Previste − #Osservate|/#Osservate
H
ZH
SD
RY
CZ
1
1
1
0.57
146
Tabella 4.2: Eccesso percentuale tra il numero di pulsar previste da ciascun modello
e quello realmente osservato da EGRET per i parametri del punto X2 .
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
116
Tab.4.3. Eccesso percentuale per i parametri del punto X3 .
Modello
|Eccesso percentuale| = |#Previste − #Osservate|/#Osservate
H
ZH
SD
RY
CZ
0.28
0.28
12
2.14
486
Tabella 4.3: Eccesso percentuale tra il numero di pulsar previste da ciascun modello
e quello realmente osservato da EGRET per i parametri del punto X3 .
Tab.4.4. Eccesso percentuale per i parametri del punto X4 .
Modello
|Eccesso percentuale| = |#Previste − #Osservate|/#)Osservate
H
ZH
SD
RY
CZ
0.71
0.85
3
0.71
479
Tabella 4.4: Eccesso percentuale tra il numero di pulsar previste da ciascun modello
e quello realmente osservato da EGRET per i parametri del punto X4 .
Tab.4.5. Eccesso percentuale per i parametri del punto X5 .
Modello
|Eccesso percentuale| = |#Previste − #Osservate|/#Osservate
H
ZH
SD
RY
CZ
9.71
96
64
13490
210
Tabella 4.5: Eccesso percentuale tra il numero di pulsar previste da ciascun modello
e quello realmente osservato da EGRET per i parametri del punto X5 .
EMISSIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
117
Tab.4.6. Eccesso percentuale per i parametri del punto X6 .
Modello
|Eccesso percentuale| = |#Previste − #Osservate|/#Osservate
H
ZH
SD
RY
CZ
1
1
1
0.85
55
Tabella 4.6: Eccesso percentuale tra il numero di pulsar previste da ciascun modello
e quello realmente osservato da EGRET per i parametri del punto X6 .
Tab.4.7. Eccesso percentuale per i parametri del punto X7 .
Modello
|Eccesso percentuale| = |#Previste − #Osservate|/#Osservate
H
ZH
SD
RY
CZ
0.42
0.28
11.42
2.14
219
Tabella 4.7: Eccesso percentuale tra il numero di pulsar previste da ciascun modello
e quello realmente osservato da EGRET per i parametri del punto X7 .
Tab.4.8. Eccesso percentuale per i parametri del punto X8 .
Modello
|Eccesso percentuale| = |#Previste − #Osservate|/#Osservate
H
ZH
SD
RY
CZ
0.85
0.85
2.85
0.85
220
Tabella 4.8: Eccesso percentuale tra il numero di pulsar previste da ciascun modello
e quello realmente osservato da EGRET per i parametri del punto X8 .
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
118
Infine, per ciascuno dei cinque modelli abbiamo stimato l’eccesso percentuale
totale tra il numero di pulsar previste e quello realmente osservato da EGRET su
tutto lo spazio dei parametri e concluso che il modello più attendibile è quello che
presenta l’eccesso percentuale totale minore.
Come si può vedere dalla Tab.4.9, tale modello è risultato essere il modello H.
Tab.4.9. Eccesso percentuale totale di ciascun modello su tutto lo spazio dei parametri.
Modello
H
ZH
SD
RY
CZ
|Eccesso percentuale totale| =
P8
i=1
|Eccesso percentuale(Xi )|
27
220
174
30506
2277
Tabella 4.9: Eccesso percentuale totale su tutto lo spazio dei parametri tra il numero
di pulsar previste da ciascun modello e quello realmente osservato da EGRET.
4.5
Predizioni relative alle osservazioni future da
parte degli esperimenti AGILE e GLAST
Nel paragrafo precedente abbiamo effettuato un confronto tra le previsioni dei
diversi modelli di emissione gamma ed i dati osservativi del telescopio spaziale
EGRET.
Da questo confronto è emerso che, tra i cinque modelli considerati, quello che si
accorda meglio con le osservazioni è il modello di Harding (1981).
Adottando pertanto questo modello, abbiamo stimato il numero di pulsar gamma
visibili dai futuri telescopi spaziali AGILE e GLAST.
Le soglie di rivelazione di questi strumenti sono rispettivamente 10−7 ph s−1 cm−2
e 6 × 10−9 ph s−1 cm−2 (cfr. Figg. (3.8) e (3.13)).
Siamo quindi passati alla definizione di un nuovo spazio parametrico, questa volta
molto più ristretto di quanto non si fosse fatto in precedenza, in quanto l’attendibilità
del modello nel caso più generale possibile era già stata sondata.
Per quanto riguarda le velocità di allontanamento dal Centro Galattico, già dal
confronto tra le figure (4.22)− (4.29) risulta evidente che questo parametro influisce
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
119
poco sul risultato finale. Abbiamo pertanto fissato il valore di V una volta per tutte,
ponendolo uguale alla media tra le due quantità usate in precedenza: V = 235
Km/s.
Nel fissare gli estremi del periodo di rotazione e del campo magnetico, abbiamo
utilizzato la rappresentazione data dalla Fig. (4.30).
Figura 4.30: Porzione bidimensionale dello spazio parametrico della Fig. (4.21).
Abbiamo quindi contato il numero di sorgenti i cui flussi gamma superavano le
soglie di rivelazione di AGILE e di GLAST per ciascuno dei cinque punti evidenziati
della Fig. (4.30).
I risultati di questo calcolo sono riportati nella Tabella 4.10.
Osserviamo che i punti X1 ed X4 riproducono rispettivamente la combinazione dei
parametri propria del modello di distribuzione galattica di Emmering e Chevalier
EMISIONE GAMMA GALATTICA DA PULSAR RADIO
120
(1989) e di quello di Gonthier e al. (2002) e che le previsioni circa il numero di nuove
pulsar gamma oltre la soglia di rivelazione strumentale sono, sia per AGILE che per
GLAST, notevolmente più ottimistiche nel secondo caso.
Tab.4.10. Pulsar gamma previste dal modello di Harding (1981) per AGILE e GLAST.
.
Punto Xi
Pulsar visibili da AGILE
Pulsar visibili da GLAST
X1
X2
X3
X4
X5
3
0
45
11
2
142
5
980
251
27
Tabella 4.10: Stima del numero di pulsar previste al di sopra della soglia di rivelazione di AGILE e GLAST per il modello di emissione gamma di Harding
(1981).
Dal momento che la sensibilità per la rivelazione di fotoni gamma di AGILE sarà
la stessa che per EGRET, anche il numero di pulsar gamma previste oltre la soglia
strumentale è confrontabile per i due esperimenti; le previsioni sono, invece, molto
più ottimistiche per GLAST, dal quale ci si aspetta che verrà scoperto un numero
considerevole di nuove pulsar gamma, aprendo nuove e promettenti frontiere nella
comprensione di questi misteriosi ed affascinanti oggetti celesti.
Capitolo 5
Conclusioni e sviluppi futuri
Come conclusione di questo lavoro di tesi, abbiamo stimato il numero di pulsar
gamma previste oltre la soglia di rivelazione strumentale dei futuri satelliti per l’Astrofisica Gamma AGILE e GLAST, nell’ambito del modello di emissione formulato
da Harding nel 1981.
Abbiamo scelto di utilizzare questo particolare modello per il calcolo delle luminosità gamma delle pulsar, in quanto abbiamo dimostrato che esso è, tra tutti quelli
presi in esame, il modello che meglio si accorda con le osservazioni sperimentali del
telescopio spaziale EGRET.
Le predizioni circa il numero di pulsar gamma visibili da AGILE e GLAST sono state effettuate per una serie di cinque combinazioni differenti dei due parametri fisici
che si ritiene influenzino maggiormente le previsioni dei modelli di emissione gamma
dalle pulsar, che sono il periodo di rotazione ed il campo magnetico delle stelle di
neutroni. Abbiamo ottenuto che tali previsioni differiscono sensibilmente da una
configurazione all’altra dello spazio dei parametri; pertanto, le future osservazioni
da parte di AGILE e GLAST potranno darci utili indicazioni circa l’ammontare di
tali parametri.
Abbiamo trovato che il numero di nuove pulsar gamma rivelabili da AGILE non differisce sostanzialmente da quello delle pulsar scoperte da EGRET; questo è del resto
ovvio, dato che il termine di paragone utilizzato nel nostro studio per confrontare le
predizioni dei modelli con i risultati sperimentali è la sensibilità alla rivelazione dei
fotoni gamma, che è pressochè identica per i due strumenti.
Tuttavia, va sottolineato che la sensibilità di rivelazione non è la caratteristica strumentale che fa di AGILE uno strumento competitivo rispetto ai suoi predecessori; la
121
CAPITOLO 5. CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
122
sua prerogativa consiste, invece, nel possedere una risoluzione angolare circa doppia
rispetto ad EGRET, il che ci rende confidenti circa la sua possibilità di localizzare
nuove pulsar gamma.
Il contributo principale in questa direzione verrà però fornito da GLAST, che, con
una sensibilità di rivelazione pari a 60 volte quella di EGRET ed una risoluzione
angolare doppia per energie superiori a 100 MeV, potrà effettivamente incrementare
in modo significativo il numero di pulsar gamma conosciute.
I risultati da noi ottenuti prevedono, in media, che il numero di pulsar gamma conosciute dopo che GLAST sarà stato reso operativo potrà aumentare anche di 20
volte.
La più importante informazione che si può ricavare da studi del tipo di quello affrontato in questa tesi riguarda il modo in cui un modello di emissione è sensibile
alle diverse scelte per i parametri.
Sarebbe altresı́ molto interessante seguire il procedimento opposto, e cioè fissare i
valori dei parametri e cercare di operare una discriminazione tra i differenti modelli.
Si sa che esistono alcuni ambiti principali nei quali le previsioni da parte delle due
classi principali di modelli, i “polar cap models” e gli “outer gap models’, differiscono considerevolmente.
L’ambito che ci sembra maggiormente investigabile facendo uso di un codice numerico come quello da noi elaborato riguarda la predizione circa il rapporto tra il numero
di pulsar “radio quiet” e quello di pulsar “radio loud”. Questa stima richiederebbe
l’introduzione nel nostro codice di una “routine” che simuli l’emissione radio delle
pulsar ed operi un confronto con i risultati delle principali campagne osservative
degli ultimi anni.
Inoltre, lo stesso codice numerico utilizzato per simulare l’emissione gamma può essere ottimizzato, introducendovi procedure che valutino effetti che si sono ignorati
a scopo semplificativo, quale ad esempio quello del moto delle pulsar entro un potenziale gravitazionale galattico.
Infine, un’altra interessante applicazione potrebbe essere l’estensione dell’intero procedimento a popolazioni di pulsar diverse da quella delle pulsar isolate giovani esaminate in questa tesi, come le pulsar millesecondo o i casi più “esotici” delle pulsar
anomale e delle “magnetars”.
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CAPITOLO 5. CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
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CAPITOLO 5. CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
Si sono consultati inoltre i seguenti siti Internet:
http://heasarc.gsfc.nasa.gov/docs/cgro/cgro.html
http://glast.gsfc.nasa.gov/
http://agile.ifctr.mi.cnr.it/Homepage/collaboration.shtml
129
Ringraziamenti
Desidero ringraziare innanzitutto il Prof. Guido Barbiellini Amidei per avermi
indirizzata verso quell’affascinante branca della scienza che è l’Astrofisica Gamma,
ma soprattutto per la fiducia ed il sostegno dimostrati in questo difficile percorso
che mi ha condotta alla stesura di questa tesi.
Una riconoscenza particolare sento di doverla alle due persone che in quest’ultimo
anno e mezzo mi hanno seguita e guidata, imponendomi quel rigore necessario al
conseguimento di qualsiasi risultato scientifico, ma dimostrando allo stesso tempo la
più grande disponibilità umana. Ringrazio pertanto il PhD. Luciano Rezzolla ed il
Prof. Sandro Mereghetti, che mi hanno accolta rispettivamente negli ambienti della
SISSA e del CNR di Milano.
Desidero ancora ringraziare lo staff, i ricercatori e gli studenti della SISSA e dell’Università di Trieste, Donatella Romano, Francesco Shankar, Shin’ichirou Yoshida,
Pasquale Panuzzo, Giancarlo Ghirlanda e Francesco Longo per l’aiuto che mi hanno
offerto e la grande disponibilità dimostrata.
Un grazie particolare sento di doverlo ai miei genitori, per avermi sostenuta
durante tutto il corso dei miei studi, condividendo con me le ansie e le aspettative
che caratterizzano ogni momento importante della vita.
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