Presentazione Le Buone Prassi delle Professioni Pedagogiche - Pedagogist Day Marche Dott.ssa Cristina De Angelis1 Benvenuti al primo congresso regionale della regione marche Pedagogist Day intitolato Le buone prassi delle professioni pedagogiche organizzato dall'Uniped Marche e in collaborazione con la fondazione Chiaravalle Montessori, Istituto ITARD, centro studi Itard, comune di chiaravalle, centro socio educativo francesca di Urbino. Ringrazio la Regione Marche, la Provincia di Ancona e l'Ufficio Scolastico Provinciale di Ancona per il patrocinio concesso a questo importante evento. Ringrazio il comitato scientifico del congresso e il Prof Crispiani vice presidente UN.I.PED. Ringrazio la Croce Gialla che ci ospita in questa giornata. Ringrazio tutti i relatori che parteciperanno a questo congresso:grazie per la loro professionalità e disponibilità. Ringrazio l'Uniped e il nostro presidente il Dottor Gian Luca Bellisario per la collaborazione. L’UNIPED Unione Italiana Pedagogisti è un’associazione professionale e culturale per la tutela, l'orientamento, il sostegno, la formazione, la cooperazione, lo sviluppo della professione del Pedagogista in scuola, enti locali, sanità, amministrazioni pubbliche, centri di riabilitazioni, servizi sociali, centri per anziani, servizi tecnici, studi privati, studi associati, editoria, servizi alla persona, ecc. L’UNIPED offre e promuove: orientamento e sostegno professionale; accesso all'albo Professionale Nazionale dei Pedagogisti della UNIPED; collegamenti in Rete tra pedagogisti; orientamenti per la formazione; orientamento epistemologico sulla professione; informazioni; opportunità. Lo Statuto dell’UNIPED prevede che l’ammissione dei soci avvenga in base al possesso di laurea in Pedagogia o in Scienze dell'educazione o in Scienze della Formazione Primaria, o di altra laurea in ambito pedagogico, ovvero dei titoli e requisiti indicati da appositi Regolamenti approvati dal Consiglio Nazionale QUALIFICA DI PEDAGOGISTA Ai sensi di quanto previsto dai Decreti Ministeriali 18.06.1998 e 09.07.2009, la qualifica di Pedagogista compete a chi sia in possesso delle lauree riportate di seguito: Laurea in Pedagogia (VO) - Laurea in Scienze dell’Educazione (VO) 1 Presidente UNIPED Marche 1 Classi specialistiche: 56/S – 65/S – 87/S Classi magistrali: LM/50 – LM/57 – LM/85 – LM/93 ALBI PROFESSIONALI La UNIPED gestisce i seguenti ALBI e REGISTRI professionali interni, in base al proprio Regolamento: - Albo Professionale Nazionale dei Pedagogisti - Registro Nazionale dei Pedagogisti Clinici - Registro Nazionale degli Specializzati in Pedagogia Clinica - Registro degli Educatori Pedagogisti - Albo straordinario dei Dottori Educatori - Registro Nazionale dei Dottori Professionisti in ambito pedagogico Chi è il pedagogista? È lo specialista dei processi educativi e della formazione. Il pedagogista è esperto in varie tecniche della ricerca educativa, imposta piani di ricerca – azione, formula profili pedagogici, predispone piani di intervento e trattamenti pedagogici e li realizza, verifica in itinere l'intervento effettuato. Obiettivo del convegno è dare risalto alla pedagogia e alla figura del pedagogista. La pedagogia( dal latino ex – ducere: tirare fuori....guidare, condurre , accompagnare) è la scienza che studia l'educazione e la formazione dell'uomo nella sua interezza e durante la sua vita durante le sue fasi. Il fine della pedagogia è l'Uomo che si relaziona con l'altro da sè(educazione) e che si relaziona con se stesso(formazione). Grazie ancora e buon lavoro! Il I° Congresso Regionale Marche - Pedagogist Day Marche ha come scopo di far conoscere e riconoscere la figura del Pedagogista e la sua professionalità. Il Pedagogista è un professionista esperto dei processi educativi e formativi , rivolge il suo studio e la sua attenzione all'uomo nella sua totalità e nei diversi momenti della vita. Obiettivo del Congresso è di fornire aggiornamenti scientifici , strumenti di riflessione e di conoscenza sulla figura del Pedagogista e delle tematiche che riguardano l'educazione e la formazione. Cristina De Angelis 2 1.Presentare la dislessia a scuola: il ruolo del pedagogista Dott.ssa Gentili Serenella2 L'interesse sul ruolo del pedagogista nella scuola, in particolare sul suo ruolo in riferimento ai progetti di formazione sul fenomeno della dislessia, nasce dall'esperienza della pratica professionale che ha fornito un valido punto di osservazione sulle criticità legate alla presentazione stessa di questi progetti. Questa riflessione prende avvio da una possibile lettura dell'esperienza: da una lettura che, se vuole essere il principio di una dotazione di senso, deve in qualche modo restituire il senso stesso dell'esperienza, passata e presente, decostruendola criticamente, con uno “sguardo clinico”, in grado di aggirarsi tra le pieghe delle pratiche, nei non detti dei discorsi, per comprendere più profondamente quali possibilità effettive, realistiche e concrete di pratica professionale si possano schiudere per il pedagogista. La riflessione volge verso l'indagine sulle modalità con cui il pedagogista, in virtù della propria professionalità e competenza, possa proporsi nella scuola come specialista e formatore su di un dominio complesso e articolato quale risulta essere la Sindrome Dislessica3. Per indagare le peculiarità dell’azione professionale del pedagogista, nella formazione relativa alle possibili modalità di presentazione della Dislessia a scuola, è importante richiamare l'attenzione sul fatto che il pedagogista è: professionista dei processi di apprendimento e di insegnamento e si occupa in forma centrale dell’apprendimento della lettura, della scrittura e delle abilità matematiche e si inserisce - con le proprie competenze - nell'analisi sia del processo di apprendimento del leggere, dello scrivere e del contare sia delle complesse dinamiche che regolano l'automatizzarsi dell'esercizio delle sopra citate competenze apprese. E' condizione fondamentale, per il buon esito dell'azione formativa di matrice pedagogica, che il pedagogista recuperi con forza e determinazione le proprie competenze professionali sulla tematica dei disturbi specifici di apprendimento, per poi darne dimostrazione all'interno dell'azione formativa stessa. L'atto con cui delineare il proprio ambito di lavoro permette al pedagogista stesso di differenziarsi dalle altre figure professionali che si interessano di dislessia, recuperando l'essenzialità e la specificità legata al suo ruolo. 2 3 Educatrice, Terapista Centro Italiano Dislessia, specializzata in Pedagogia Clinica. Con il termine Sindrome Dislessica ci si riferisce in maniera unitaria ai disturbi specifici dell'apprendimento, intesi come sindrome integrata per la costante compresenza di dislessia, disgrafia e discalculia, unitamente a disprassia e dislateralità. Cfr. P. Crispiani, Hermes 2012, junior, Parma, 2011, pag.111. Cfr. P.Crispiani, Dislessia come disprassia sequenziale, junior, Parma, 2011, pp.28-29. 3 Il ruolo del pedagogista Il pedagogista deve essere una figura professionale indispensabile nel processo di rinnovamento della scuola, in quanto si presenta come professionista dei processi di apprendimento e di insegnamento e si occupa in forma centrale dell’apprendimento della lettura, della scrittura e delle abilità matematiche. La sua stessa professionalità deve essere sganciata da qualsiasi condizione che ne limiti la sua operatività all’interno della stessa istituzione scolastica. Al fine di poter adempiere in maniera esaustiva al proprio compito, il pedagogista, in quanto professionista, deve avere chiare ed esplicite competenze per poter intervenire sui vari aspetti che concorrono al successo formativo degli alunni che presentano un quadro di dislessia. E' di fondamentale importanza dare dimostrazione di possedere un chiaro orientamento teorico-professionale e competenze metodologiche che permettano di delineare la propria professionalità; inoltre, per definire i propri ambiti di competenza, è essenziale possedere buone capacità organizzative e professionali quali una buona padronanza di strumenti conosciti e di valutazione, supportati da capacità progettuali. Nella scuola il pedagogista si può proporre con progetti che prevedono forme di consulenza, screening e formazione per i docenti sui Disturbi Specifici dell'Apprendimento. Inoltre, può farsi promotore, nel territorio, di attività volte alla sensibilizzazione della cittadinanza sulle problematiche legate alla Dislessia, e, in quanto specialista di tali difficoltà, può svolgere azione professionale orientata alla valutazione e abilitazione del singolo Soggetto. Il progetto pedagogico di screening e di formazione sulla dislessia a scuola Cerchiamo di analizzare le varie fasi di costruzione e di presentazione di un progetto pedagogico di screening e di formazione sui Disturbi Specifici di Apprendimento. In particolare, l'attenzione va posta su tre aspetti che possono essere ritenuti essenziali: il soggetto a cui proporre la propria azione formativa, i contenuti che si vogliono trasmettere, le modalità educativo-didattiche che si scelgono per condurre la propria azione formativa. Per la stesura del progetto ci si può avvalere di un protocollo che tenga in considerazione i seguenti punti: MOTIVAZIONI E OBIETTIVI DESTINATARI LUOGHI E TEMPI FIGURE PROFESSIONALI COINVOLTE 4 LINEE TEORICO- PROFESSIONALI COSTI Il progetto, completato in ogni suo aspetto, va consegnato al Dirigente Scolastico che avrà il compito di presentarlo e valutarlo insieme al corpo docente. Presentare la Dislessia a scuola L'azione formativa, vista come parte integrante e non secondaria del progetto di screening, permette al pedagogista di dichiarare il proprio orientamento in riferimento alla problematica specifica oggetto dello screening stesso. Di seguito si presenta una sintesi esemplificativa di conduzione dell'azione formativa rivolta al corpo docente, secondo l'orientamento teorico-professionale del C.i.d -Centro Italiano Dislessia4. Tale orientamento suggerisce di presentare i Disturbi Specifici di Apprendimento attraverso: • il Profilo descrittivo dell’allievo dislessico, • la Definizione della Sindrome dislessica ( concetti generali, i sintomi primari e secondari, i sintomi derivati, le situazioni critiche, le manifestazioni a scuola), •la presentazione di concetti quali Apprendimento, processi cognitivi, Dominanza laterale, prassie e disprassie •la Fisiologia della letto-scrittura •la Valutazione funzionale, gli screenings scolastici e lo sportello pedagogico •la Normativa. •le Avvertenze organizzative, gestione dei casi, Piano Didattico Personalizzato •le Avvertenze didattiche, il Polo SAF, strategie dell’azione didattica, misure sostitutive, misure compensative, misure dispensative. esercizio della letto-scrittura e delle abilità matematiche •le Avvertenze per la valutazione. Questa proposta operativa, non avendo la pretesa di essere esaustiva, assolve il compito di orientare l'azione condotta dal pedagogista, ma, al tempo stesso, lascia piena autonomia alla progettazione pedagogica che deve mantenere sempre i caratteri della ricerca-azione e della sperimentazione di nuove modalità di organizzazione del proprio lavoro, senza mai tralasciare la specificità dell'intervento progettuale che si intende realizzare. 4 www.centroitalianodislessia.it 5 BIBLIOGRAFIA P.Crispiani, Pedagogia Clinica, Edizioni junior, Parma, 2001. P. Crispiani, C. Giaconi,Diogene 2008 Manuale di diagnostica pedagogica, Edizioni junior, 2008. P.Crispiani, Dossier DSA 2011, Libreria Floriani, 2010 P.Crispiani, Dislessia come disprassia sequenziale, Edizioni junior, Parma, 2011. P. Crispiani, Hermes 2012, Edizioni junior, Parma, 2011. P.G. Rossi, E. Toppano, Progettare nella società della conoscenza, Carocci, 2009, Roma. SITOGRAFIA www.centroitalianodislessia.it 6 2.Lavoro e disabilità: una buona prassi per il collocamento mirato Dott. Stefano Defendi 5 Introduzione Mi chiamo Stefano Defendi, sono Laureato in Sociologia e quotidianamente mi occupo di inclusione sociale di persone con problematiche significative (patologia psichiatrica, problemi/ritardi cognitivi, detenuti ed ex, disabili fisici, problemi sociali, ecc..), attraverso progetti professionali disabili mirati al livello delle abilità possedute. Ho iniziato ad occuparmi di questa tematica circa 10 anni fa, per conto della Rete del Sollievo Ambito Territoriale Sociale 13, un progetto socio/sanitario rivolto a persone e familiari afferenti al Centro di Salute Mentale Sud di Osimo. Ad oggi, di questo progetto, sono il Coordinatore delle attività generali e all’interno di queste gestisco un’Agenzia Lavoro dove svolgo attività inerenti la progettazione professionale per persone con patologia psichiatrica che si inseriscono in interventi riabilitativi del Centro di Salute Mentale Sud. Parallelamente a questa attività, svolgo il ruolo di Coordinatore di unità Operativa per conto della Cooperativa Sociale Zanzibar Onlus di Ancona dove gestisco dal 2008, il Centro Lavoro Guidato, un progetto del Comune di Ancona rivolto a persone disabili, afferenti ai Servizi Sanitari del territorio, su cui è previsto, a livello riabilitativo, un intervento di natura professionale e/o un inserimento lavorativo. Sempre per la Zanzibar, svolgo il ruolo di Responsabile Scientifico del progetto S.L.I.D. (Social Labour Integration Disabled), un progetto Europeo (IPA Adriatic Crossborder Cooperation) che coinvolge 11 partner del bacino adriatico di Croazia, Italia, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Albania. Lo stesso è ideato per contribuire al miglioramento della qualità della vita di oltre 250.000 persone con disabilità che vivono nelle aree target, attraverso lo sviluppo di efficaci ed innovativi percorsi di cooperazione transfrontaliera per l’integrazione sociale e lavorativa delle persone disabili. La motivazione che nel tempo mi ha spinto ad approfondire la tematica del “Lavoro e della Disabilità” e realizzare una buona prassi metodologica di intervento, può essere ricondotta alle problematiche relative la valutazione e l’osservazione, logicamente strutturata, per la realizzazione delle progettazioni professionali sulle persone disabili, da fondare sulle componenti di salute e sulle abilità realmente possedute dalle stesse in un intervento riabilitativo, che usi un linguaggio consono al tessuto produttivo. In sintesi la valutazione è rivolta alla conoscenza del grado di abilità e di competenza della persona con disabilità, per tradurre agli eventuali soggetti ospitanti del tessuto produttivo, cosa la stessa 5 Sociologo,operatore di Progettazione Professionale Disabili 7 riesce a realizzare e fino a quale livello possiamo chiederle la produttività, senza che il raggiungimento di quest’ultima infici negativamente sulla condizione clinico/sanitaria. Interpretare le progettazioni professionali per persone disabili in questo senso, significa dare la possibilità agli individui direttamente coinvolti nella problematica, di essere riconosciuti nel tessuto produttivo come dei lavoratori (empowerment inteso come conferimento di potere ed autorità. Il potere di saper fare) e porre le basi per un percorso “lifelong”, che ponga gli stessi nelle condizioni di interiorizzare determinati strumenti per iniziare un processo di valorizzazione delle caratteristiche personali che li introduca verso percorsi di autonomia e responsabilizzazione. La progettazione professionale per persone disabili in ambito riabilitativo, come per tutte le persone alla ricerca di lavoro o di fronte a cambiamenti di quest’ultimo è: finalizzata ad una presa di coscienza dello spessore delle competenze degli interessati ed ad una autonoma gestione degli strumenti atti al reinserimento lavorativo (Boccato A.-Serra A. 2011). La metodologia in oggetto, quindi, è “simbolicamente” da considerare come una “cassetta di attrezzi” da utilizzare a seconda del tipo di intervento che si intende strutturare, usando quindi determinati “utensili” specifici. Questi ultimi saranno utili alla valutazione ed osservazione delle abilità e del livello di competenza sociale, con l’obiettivo di individuare e realizzare un progetto professionale per persone disabili, con annesso obiettivo professionale, che si basi sulle componenti di salute della persona, attraverso l’analisi delle esperienze pregresse della stessa. Questo approccio, quindi, non è una risposta immediata alle necessità di lavoro in generale (“trovami un lavoretto”) ma è una progettazione nel tempo che inizia con obiettivi raggiungibili (Morosini-Magliano-Brambilla 1998) sin da subito per le persone coinvolte per realizzare e formare nel tempo e nei limiti del possibile, una persona in grado di gestire la propria esistenza cercando di evitare fallimenti inutili che, spesso, potrebbero portare a situazioni di aggravamento clinico. Dalle parole appena espresse, è implicito che l’applicazione della metodologia in oggetto è realizzabile su più livelli di intervento e che la funzionalità della stessa aumenta se c’è la possibilità di applicarla in equipe. Quest’ultima, nei lavori “sociali” e nelle “relazioni di aiuto” può considerarsi una vera e propria ricchezza, soprattutto all’interno dei Servizi Territoriali ed è un buon metodo per favorire il raggiungimento degli obiettivi (Bonomo 2003). In sintesi l'équipe è uno specifico gruppo di persone con competenze differenti, che opera insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune. Avere un obiettivo comune significa lavorare in equipe per il suo raggiungimento, anche se lo stesso non è stato scelto dal singolo membro. L’equipe ha il compito generale di raccogliere, in maniera strutturata tutte le informazioni sulla 8 persona su cui progettare, ed attraverso le varie specializzazioni analizzare le informazioni, elaborare un progetto professionale per persone con disabilità, realizzarlo e monitorarlo. Concludendo, questo approccio fondato sull’osservazione e sulla valutazione delle abilità possedute e del livello di competenza sociale, risulta ogni giorno di più una necessità in quanto il mercato del lavoro, soprattutto in un momento storico come quello attuale, chiede professionalità e competenze ad alta qualificazione, che risultino funzionali alla logica di produzione. Da questo livello di osservazione, quindi, tutto il tessuto produttivo dalle Grandi alle Piccole e Medie Imprese, dalle Cooperative Sociali alle attività a conduzione familiare, inseriscono persone disabili che riescono, nel loro contesto sociale e con le loro componenti di salute, ad essere comunque portatrici di abilità e competenza, superando ampiamente l’approccio basato sul “fargli fare qualcosa” per solidarietà umana o perché lo impone la Legge. Il mercato del lavoro Il momento storico attuale pone in luce quanto il lavoro, nella sua accezione generale del termine, sia una risorsa preziosissima per l’essere umano. Sembra essere vero che delle cose ne comprendiamo l’importanza nel momento in cui non le abbiamo più. Il mio occuparmi quotidianamente di inclusione sociale attraverso il lavoro, per persone con situazioni di particolare svantaggio mi pone ogni giorno di più di fronte al valore del lavoro come strumento di sostegno e di “certezza sociale” (Ba 2003). Il lavoro non è solo un mezzo di sostentamento, non è solo un’applicazione di un diritto, il lavoro è una risorsa preziosa, è una necessità per l’essere umano che attraverso lo stesso riesce ad avere un’identità sociale fondata sulla sicurezza. Il lavoro è un’esperienza fondamentale nella vita della maggior parte degli individui (O’Toole, 1973). Nella nostra cultura, il lavoro ha un valore centrale in quanto il suo significato può essere letto su più livelli, psicologico, sociale, economico (Maeran 2011). Da questo quindi si evince che il lavoro ha una funzione esplicita di carattere economico poiché è uno strumento utile per la produzione di beni e ricchezza, ma lo stesso ha anche una funzione latente che agisce su più fattori, come ad esempio sulla strutturazione del tempo, sull’aumento delle interazioni e degli scambi sociali. Inoltre il lavoro è un fondamento della formazione dell’identità sociale degli individui ed è parametro di misura per lo status delle persone essendo lo stesso una risposta concreta al bisogno di agire nell’ambiente circostante dando la possibilità all’essere umano di mettere in relazione i propri obiettivi personali da conseguire e gli scopi generali della comunità di riferimento (Jahoda 1982). Ad oggi, Il lavoro sembra essere l’unica struttura in grado di rispondere ai bisogni dell’individuo e di soddisfare sia la funzione latente che manifesta. (Maeran 2011). Approfondendo il concetto di lavoro, notiamo come nel tempo lo stesso abbia subito profondi 9 cambiamenti, che a loro volta hanno agito sulle condizioni sociali e psichiche delle parti (impreselavoratori) del tessuto produttivo in una accezione allargata del termine. Ai lavoratori ad esempio, per essere ogni giorno di più “funzionali al sistema” (Luhmann 2001) produttivo di riferimento, sono richieste competenze (tecniche, sociali, cognitive, ecc.) sempre più elevate e soprattutto sono richieste capacità di adattamento strutturale (elasticità di orario, contratti a termine, ruoli multifunzionali, ecc.) legate alla nuova organizzazione del mercato lavorativo, la flessibilità (Incagli-Rustichelli 2002). Alla stessa maniera, le “organizzazioni” (Luhmann-De Giorgi 1995) dei tessuti produttivi devono rispondere positivamente alle richieste del mercato del lavoro. Queste ultime sono legate alla capacità interna dell’organizzazione ad essere flessibile nel cambiare velocemente il tipo di prodotto al minor prezzo ed all’abilità esterna nel gestire le nuove assunzioni ed i licenziamenti (Signorelli 2004). La flessibilità quindi, sembra essere nel moderno la “conditio sine qua non” per rimanere nel mercato sia per le organizzazioni che creano lavoro, sia per i lavoratori che offrono lavoro. Il concetto di flessibilità non è rivolto solamente alla relazione fra l’organizzazione ed il lavoratore per la produzione di merce, ma chiama in causa anche aspetti di natura sociale (Gallino 2003) che coinvolgono tutti i soggetti che roteano intorno a questa dimensione. Approfondendo questo livello, si può affermare che la flessibilità diventa dannosa per l’individuo nel momento in cui si trasforma in precarietà, creando insicurezza e assenza di certezza per il futuro. Questo nuovo modo di osservare il fenomeno, emerge nel momento in cui alla flessibilità del mercato del lavoro non vengono adattate le dovute tutele per i lavoratori (Maeran 2011). Questa assenza di tutele e questa trasformazione del mercato del lavoro ha creato un disagio nella forza lavoro dei tessuti produttivi, in quanto i lavoratori non vengono più considerati quale risorsa interna, ma come risorsa esterna che viene impiegata per il tempo necessario al raggiungimento dell’obiettivo di produzione, per poi essere re-inseriti nell’oblio della ricerca del lavoro dove i lavoratori più qualificati in riferimento all’obiettivo di produzione o più funzionali rispetto al sistema di riferimento(Luhmann-De Giorgi 1995), riescono ad essere ri-collocati. A sostegno di quanto scritto e come spunto di riflessione, evidenzio alcuni dati che dimostrano lo stato di disagio che vivono molte persone attualmente in Italia. Secondo quanto affermato dall’ISTAT, ad Ottobre 2012, il tasso di disoccupazione è collocabile al 11.1% pari a 2.870.000 persone, con un aumento mensile del 3.3% (93.000 unità). Su base annua si registra una crescita del 28.9% (644.000 unità). Nella classe di età dai 15 ai 24 anni il tasso di disoccupazione, sempre ad Ottobre 2012, era del 36.5% e le persone in cerca di lavoro rappresentano il 10.6% (639.000 unità) della popolazione nella stessa fascia di età. Le persone inattive, che hanno deciso di non ricercare più un’attività lavorativa in quanto hanno 10