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MODULO DI ESPERIENZE APPLICATIVE SUI CORRELATI MOLECOLARI
DELLE FUNZIONI MENTALI – UNIVERSITÀ DI PISA
- A.A. 2006-2007 – PROF. RICCIARDI
La misurazione nell’uomo delle variazioni del metabolismo glucidico e dell’apporto ematico
regionale sta diventando un metodo sempre più potente di identificazione in vivo delle aree
cerebrali coinvolte in specifiche funzioni del cervello: la maggior parte delle tecniche di
neuroimmagine si basa attualmente sulla misurazione dei cambiamenti regionali del flusso ematico
o di fenomeni ad essi correlati, come la variazione della concentrazione dei composti
ossiemoglobinici nella risonanza magnetica funzionale. Tuttavia, l’applicazione di queste
metodiche nasce dall’assunzione che i valori del flusso ematico correlano con quelli del
metabolismo glucidico e del consumo di ossigeno e quindi con la spesa energetica cerebrale, indice
questa dell’attività sinaptica neuronale. Infatti, in condizione fisiologiche, il cervello umano utilizza
il glucosio come unica fonte di energia e dipende dal flusso cerebrale per un costante apporto sia di
glucosio che di ossigeno.
È da almeno cento anni che gli scienziati speculano, sinergicamente o dialetticamente, sul
“coupling”, un termine generico con il quale si definisce la relazione attività sinaptica - consumo di
energia - metabolismo glucidico - consumo di ossigeno - flusso sanguigno cerebrale. Per primi, nel
1890, Roy e Sherrington formularono la teoria del “coupling” cerebrale, così come oggi la
intendiamo, nella cosiddetta “ipotesi omeostatica” del metabolismo cerebrale: «…the chemical
products of cerebral metabolism contained in the lymph which bathes the walls of the arterioles of
the brain can cause variations of the calibre of the vessels...in this reaction the brain possesses an
intrinsic mechanism by which its vascular supply can be varied locally in correspondance with
local variations of functional activity». Durante più di un secolo, la maggior parte degli studi di
fisiologia cerebrale ha confermato questa ipotesi: sono ormai leggendari alcuni esperimenti animali
capaci di mettere in evidenza come ad una variazione funzionale conseguisse una variazione
metabolica locale del flusso sanguigno. – importanti esperimenti sono quelli nel 1912 di Alexander,
che notò una diminuzione nella differenza di concentrazione arterovenosa di ossigeno nel cervello
durante la presentazione di uno stimolo visivo, fenomeno che venne già interpretato all’epoca come
conseguente all’aumento del flusso sanguigno localmente; quelli di Cobb e Talbot, che mostrarono
come uno stimolo olfattivo possa indurre vasodilatazione nel bulbo olfattorio, o di Schmidt e
Hendrix nel 1937, che quantificarono l’aumento del flusso in regione occipitale durante una
stimolazione visiva; gli esperimenti di Serota e Gerard nel 1938 (elevazione della temperatura dopo
stimolazione luminosa selettiva nelle vie visive, vista come un’aumento della produzione di energia
da parte dei neuroni e una vasodilatazione).
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La ricerca per capire l’organizzazione funzionale del cervello umano, usando tecniche che
valutassero i cambiamenti nella circolazione cerebrale, è incominciata con un fisiologo italiano,
Angelo Mosso, che era solito registrare le pulsazioni della corteccia umana in pazienti con difetti
craniali post-chirurgici e correlare il loro aumento in frequenza con l’esecuzione di attività mentali.
Lo stesso Mosso, come anche Hans Berger e Paul Broca, si interessò alle variazioni di temperatura
dello scalpo successive all’attivazione funzionale di un’area cerebrale. Nonostante il lavoro di Roy
e Sharrington, il primo quarto del XX secolo vide cessare parzialmente l’interesse in questo campo
di ricerca, a causa sia della mancanza di mezzi tecnici adeguati a tale tipo di esplorazione in vivo sia
ad un importante lavoro di Leonard Hill, che andava affermando come non potesse esistere alcuna
correlazione tra flusso e metabolismo cerebrale. A risollevare l’interesse nel campo, fu nel 1928
John Fulton, che rese pubbliche su “Brain” le sue osservazioni su un paziente dotato di un soffio
occipitale, udibile in sede calcarina, la cui frequenza di pulsazione aumentava proporzionalmente
con la maggiore difficoltà dei compiti visivi a cui il paziente veniva sottoposto, rilevando in modo
evidente una correlazione tra attività cerebrale e flusso ematico. Alla fine della guerra negli anni
‘50, Seymour Kety e i suoi colleghi del National Institutes of Mental Health, fra i quali Walter
Freygang, svilupparono il primo metodo quantitativo per la misura del flusso ematico e del
metabolismo dell’intero encefalo umano, rivoluzionando completamente il mondo delle
neuroscienze, e poco dopo il metodo del deossiglucosio introdotto da Louis Sokoloff permise la
misurazione del metabolismo del glucosio negli animali di laboratorio e, con i successivi
adattamenti della PET, anche nell’uomo. Hanno contribuito al moderno sviluppo dell’esplorazione
funzionale in vivo anche David Ingvar e Neils Lassen, che idearono nel loro laboratorio una specie
di “elmetto provvisto di detettori di scintillazione”, capace in questo modo di misurare in vivo le
variazioni del flusso ematico regionale. Nel 1973 Godfrey Hounsfield introdusse la tomografia a
raggi X e sulla base di questo modello si sviluppò negli anni ’70 la Tomografia ad Emissione di
Positroni, che permise di acquisire in vivo autoradiogrammi della funzione cerebrale basandosi su
misurazioni del consumo del glucosio o del flusso cerebrale. L’integrazione delle scienze cognitive,
delle tecniche di neuroimmagine, delle neuroscienze dei sistemi stava facendo nascere una strategia
di studio caratteristica del “mapping” funzionale dell’attività neuronale.
Come lavora il cervello
Il cervello umano è composto da circa 1000 miliardi di neuroni - un numero destinato a diminuire
lievemente con l’età a causa della perdita di 300 neuroni al minuto dopo i 20 anni - da una quantità
di cellule gliali tre volte più grande e da cellule definite nell’insieme come cellule vascolari,
comprendenti elementi endoteliali, muscolari lisci e connettivali. I neuroni fanno parte di complessi
circuiti nervosi e la loro attività metabolico-funzionale è il risultato degli effetti di migliaia di
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contatti sinaptici. È in questo modo che generano, trasmettono e immagazzinano informazioni. Il
sistema cellulare gliale presenta una numerosa differenziazione citologica e garantisce diverse
funzioni: trofiche e di immagazzinamento di energia, di sostegno e immunitarie, di schermaggio
elettrico e di mantenimento dell’equilibrio ionico, di sintesi e risintesi biochimiche.
Neuroni e glia occupano l’80-85% del volume cerebrale, circa il 5% è invece lasciato alla
vascolarizzazione, mentre il resto è spazio extracellulare.
Il cervello rappresenta approssimativamente il 2% del peso corporeo totale, ma necessita di circa il
20% del consumo basale totale di ossigeno di tutto il corpo umano (nel bambino invece richiede
circa il 50%, riflettendo presumibilmente una richiesta extra di energia per i processi biosintetici
collegata con la crescita e lo sviluppo) ed estrae circa il 10% del glucosio ematico. Questa macchina
ad alta energia usa il glucosio come il suo per lo più esclusivo substrato (benché riceva e consumi
anche amminoacidi, acidi grassi e vitamine) e non interrompe mai l’enorme richiesta di energia ed il
consumo di ossigeno. Anche durante il sonno non si ha alcuna riduzione dell’attività metabolica
cerebrale, che anzi aumenta notevolmente nella fase del sonno REM. Il consumo cerebrale di
ossigeno serve principalmente per soddisfare le richieste energetiche, circa 4x1021 molecole
ATP/min, e in minima parte per mantenere l’integrità funzionale e strutturale del cervello. Tale
apporto indispensabile è garantito dalla circolazione sanguigna, essendo le riserve cerebrali di O2
del tutto inadeguate alla velocità di consumo. Il flusso ematico cerebrale (800 ml/min
corrispondente al 15% della gettata cardiaca) regola anche l’apporto di glucosio che in condizioni
normali è pressoché l’unico substrato energetico del cervello. Soltanto in casi eccezionali il cervello
utilizza substrati energetici differenti dal glucosio. Un substrato metabolico alternativo al glucosio
ematico è il glicogeno presente nel tessuto cerebrale immagazzinato soprattutto negli astrociti; il
contenuto di glicogeno è tuttavia assai ridotto e in assenza di glucosio può soddisfare l’attività
metabolica per meno di 5 minuti, con un tasso di catabolismo a 19 µmol/kg/min. In caso di digiuno
prolungato, invece, si verifica un considerevole uptake cerebrale di corpi chetonici (D-βidrossibutirrato e acetoacetato), prodotti dal catabolismo degli acidi grassi nel fegato. Normalmente
i livelli ematici dei corpi chetonici sono molto bassi, ma aumentano rapidamente nel sangue in caso
di digiuno, quando le riserve di glucosio sono esaurite e la gluconeogenesi è insufficiente a
soddisfare la domanda energetica cerebrale. Essi arrivano a consumare, per la loro completa
ossidazione, il 50% dell’ossigeno captato: in questo modo costituiscono un substrato ossidabile
alternativo al glucosio, ma da soli in assenza di glucosio sono incapaci di sostenere o ripristinare le
normali attività del cervello.
La maggior parte del glucosio viene completamente ossidata a CO2 e H2O attraverso il consumo di
O2 nel ciclo degli acidi tricarbossilici o ciclo di Krebs, con la formazione di 36 legami fosfati ad alta
energia: un 20% residua dalla via glicolitica, distribuendo il carbonio rimasto nella produzione
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cerebrale di lattato, piruvato e altri derivati glicolitici, o nella via degli acidi tricarbossilici, o nei
pools di neurotrasmettitori.
La combinazione di un quoziente respiratorio ∼1, di una relazione per lo più stechiometrica tra
l’uptake dell’ossigeno e il consumo del glucosio e dell’assenza di un’effettiva differenza
arterovenosa per qualsiasi altro substrato ricco dal punto di vista energetico, sono forti evidenze che
il cervello ottiene la sua energia esclusivamente dall’ossidazione del glucosio.
Il glucosio, infatti, è trasportato attraverso la BEE con un meccanismo saturabile di trasporto, la cui
capacità aumenta durante l’attivazione cerebrale. L’endotelio dei capillari cerebrali è, infatti, molto
ricco di trasportatori stereospecifici per il glucosio: tali carriers trasportano selettivamente lo
stereoisomero D-glucosio in quantità due o tre volte superiori a quella normalmente metabolizzata
dal cervello. Il glucosio è quindi trasportato dallo spazio extracellulare all’interno della cellula,
dove è fosforilato dall’esochinasi con il consumo di una molecola di ATP. Il glucosio-6-P, così
creato, non può attraversare la membrana cellulare, è presente in minime quantità e rappresenta un
intermedio metabolico essenziale, perché può essere metabolizzato in tre differenti diverse vie
metaboliche: diventare substrato per la sintesi del glicogeno (una piccolissima quantità), entrare
nella via dei pentosi come substrato della glu-6-P deidrogenasi (solo 1-8% - porta alla sintesi di
nucleotidi, genera NADPH per la riduzione del glutatione o per l’idrossilazione nella sintesi della
dopamina, noradrenalina, adrenalina), seguire la via glicolitica. La glicolisi converte con diverse
reazioni metaboliche, il glucosio in piruvato. È regolata a tre livelli, precisamente dall’attività
dell’esochinasi, della fosfofruttochinasi e della piruvatochinasi: in sintesi, tutte le attività che
consumano ATP e producono ADP stimolano il processo glicolitico. Il piruvato viene trasformato
in lattato (anche quando il cervello è a riposo) o partecipa alla sintesi di alcuni amminoacidi, ma
questo accade solo in minima quantità. La via preferenziale è l’entrata nel ciclo di Krebs: le reazioni
metaboliche si spostano adesso dal citoplasma al mitocondrio. Questi particolari organuli cellulari
non sono distribuiti casualmente, ma la loro localizzazione riflette il consumo energetico necessario
per l’attività sinaptica: nei dendriti il 60% dell’area di sezione tissutale viene occupata dai
mitocondri, il 10% nei terminali assonici, il 6% negli assoni, il 3% dei corpi astrocitari. Lo scopo
del ciclo di Krebs è la produzione di ATP, tramite la produzione di NADH e FADH2, che, entrando
nella catena di trasferimento degli elettroni, completano con l’ATP sintetasi associata alla
membrana mitocondriale il processo di fosforilazione ossidativa. L’energia fornita dal catabolismo
del glucosio (36-38 molecole di ATP per una molecola di glucosio) viene indirizzata per la massima
parte a processi collegati ai flussi ionici, necessari al mantenimento e al ripristino delle
caratteristiche eccitatorie delle cellule nervose, e cioè al lavoro della pompa del Na+ o Na+/K+ATPasi. Con la spesa di una molecola di ATP, la pompa garantisce il trasporto di 3 ioni Na+ fuori
dalla cellula e 2 ioni K+ all’interno, ripristinando le variazioni nelle concentrazioni ioniche prodotte
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dall’apertura dei canali ionici di membrana e dai flussi ionici tra i diversi compartimenti
intracellulari, soprattutto a livello postsinaptico neuronale. Il ruolo fondamentale della Na+/K+ATPasi nel bilancio della spesa energetica è stato verificato con la somministrazione di uabaina, la
quale, bloccando il funzionamento della pompa, annulla l’aumento nel consumo del glucosio
conseguente alla stimolazione elettrica di preparati in vivo di cellule nervose.
Per far fronte agli improvvisi aumenti dell’attività biologica, è contenuta anche una riserva di
legami ad alta energia di idrolisi di pronto impiego costituito dal creatin fosfato (CP), che è presente
nel cervello in quantità superiore all’ATP stessa (ATP e CP rispettivamente 3,2 e 3,8 mM). Il suo
ruolo è fornire legami fosfati per la fosforilazione dell’ADP in condizioni di ipossia e regolare
l’attività mitocondriale, in cellule come i neuroni la cui distribuzione mitocondriale risulta essere
estremamente eterogenea.
Attività sinaptica
Sia che il cervello sia vigile, addormentato, in uno stato di coscienza o incoscienza, i neuroni si
scambiano segnali elettrici: questa comunicazione interneuronale è strettamente correlata a
cambiamenti nelle concentrazioni ioniche attraverso la membrana cellulare. I rapidi cambiamenti
elettrici di membrana dipendono a loro volta da processi biochimici quali l’apertura e la chiusura di
diversi canali transmembrana e conseguenti modificazioni nelle concentrazioni ioniche intra-ed
extra-cellulari, la sintesi/rilascio/reuptake di neurotrasmettitori, la produzione e gli effetti di secondi
o terzi messaggeri.
L’attivazione neuronale incomincia con la depolarizzazione dei neuroni, che a turno aprono i canali
del Na+, altri canali cationici voltaggio dipendenti o regolati da trasmettitori, i canali voltaggio
dipendenti del Ca2+ - il risultato netto di tali aperture è un aumento del K+ extracellulare e del Na+ e
del Ca2+ intracellulari, cambiamenti che stimolano l’attivazione della pompa Na+/K+, la quale viene
attivata anche dai meccanismi di reuptake neurotrasmettitoriali. Tutti questi eventi conducono ad un
aumento del consumo di ATP della pompa e della concentrazione di ADP e Pi nel citosol attivando
gli enzimi del metabolismo ossidativo, che portano ad un riequilibrio del rapporto
[ATP]/[ADP][Pi], mentre i meccanismi tamponi della fosfocreatina e dell’adenilchinasi aiutano a
mantenere una concentrazione adeguata di ATP. Infatti il Pi attiva l’esochinasi e la
fosfofruttochinasi glicolitiche, l’ADP attiva la piruvato chinasi, il piruvato stimola la formazione di
acetilCoA, lo squilibrio tra NAD/NADH e l’aumentata concentrazione intramitocondriale di Ca2+
stimolano gli enzimi della via glicolitica.
Durante l’entrata del Na+ la membrana si depolarizza e può anche raggiungere un potenziale
positivo: si sviluppa quindi un potenziale di membrana che si propaga lungo l’assone, raggiungendo
il potenziale presinaptico, dove tramite l’apertura di canali al Ca2+, stimola il rilascio di vescicole
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ricche di neurotrasmettitore. Il neurotrasmettitore secreto determina un potenziale postsinaptico
eccitatorio (EPSP), cioè una depolarizzazione, o inibitorio (IPSP), viceversa una iperpolarizzazione.
Una volta chiarito che il consumo del glucosio risulta essere, almeno in parte, dipendente dalla
scarica neuronale, resta il problema di individuare quale porzione cellulare (il soma, il cono
d’emergenza assonale, il terminale assonale, i dendriti) sia maggiormente coinvolta in tale consumo
di energia. Kadekaro e coll. mostrarono come una stimolazione elettrica del moncone terminale del
nervo sciatico sezionato incrementasse il consumo di glucosio, misurato con il metodo
autoradiografico del deossiglucosio, in maniera dipendente dalla frequenza di scarica nel corno
posteriore del midollo spinale soltanto, mentre nessuna variazione del metabolismo glucido veniva
osservata nelle cellule gangliari della radice dorsale: da questo si deduce come l’aumentato
consumo di glucosio sia localizzato a livello del terminale assonico, cioè a livello della sinapsi.
Fisiologia del circolo cerebrale
Le sostanze necessarie al sistema neurogliale (ossigeno, glucosio, aminoacidi, acidi grassi e
vitamine) sono garantite dal sangue arterioso, ma per giungervi devono superare, prima, l’ostacolo
capillare (normalmente relativamente impermeabile agli ioni, alle grosse molecole e alle sostanze
altamente polari o idrofile), poi, la serrata delle cellule astrogliali, che circonda i capillari stessi.
Questa organizzazione gliocapillare sviluppa così la barriera emato-encefalica (BEE), che, mentre
da un lato necessita di meccanismi di trasporto facilitato o di trasporto attivo per le sostanze
neurotrofiche, dall’altro garantisce il cervello da pericolosi cambiamenti nelle concentrazioni
ioniche, dall’azione inappropriata o dannosa degli anticorpi, dalle sostanze tossiche endogene o
esogene.
La Tomografia ad Emissione di Positroni
I metodi di neuroimmagine attualmente sviluppati non solo garantiscono informazioni sulla
struttura cerebrale, ma consentono anche di investigare lo stato funzionale del cervello umano. Una
distinzione generale è fra le tecniche di neuroimmagine che direttamente guardano alla funzione
neuronale attraverso la misurazione dei correlati elettrici o magnetici dell’attività neuronale (come
l’elettroencefalografia - EEG o la magnetoencefalografia - MEG) e le metodiche che invece
valutano la funzionalità cerebrale indirettamente attraverso gli eventi vascolari che accompagnano
la stimolazione delle attività del cervello (come la PET, la fMRI, la SPECT, la NIRS). Il “coupling”
neuronale-vascolare
induce
variazioni
nel
volume
sanguigno
locale,
nell’ossigenazione
dell’emoglobina, nella concentrazione di metaboliti o marcatori. Le varie tecniche indirette
considerano aspetti differenti di questa correlazione: alcune, come la PET, misurano il flusso
cerebrale dopo la somministrazione di un tracciante liberamente diffusibile in accordo con la
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tecnica di Kety e Schmidt, altre usano traccianti puramente intravascolari (come la MRI con
DTPA), altre ancora infine misurano la concentrazione di sostanze che cambiano la loro
concentrazione con l’attivazione funzionale (come la Risonanza Magnetica Funzionale e la NIRS).
Benché le tecniche dirette sembrino più avvantaggiate, una migliore risoluzione spazio-temporale
delle attivazioni cerebrali ci viene fornita dagli approcci che misurano i fenomeni flusso-correlati.
Lo scopo delle tecniche di esplorazione funzionale diviene quindi quello di fornire mappe
funzionali indirette con una risoluzione spaziale e temporale sempre più vicina alle mappe reali
sottostanti delle attivazioni neuronali. Tuttavia il fatto di avere una misura non diretta dell’attività
neuronale (attivazione neuronale Î modificazione vascolare Î fenomeno flusso correlato Î
misura del fenomeno Î mappa acquisita con una tecnica indiretta) implica che rimanga comunque
una lieve distorsione spazio-temporale della mappa reale di attivazione. Molti neuroscienziati sono,
tuttavia, ancora preoccupati di valutare che cosa in realtà si misuri con le tecniche indirette di
esplorazione funzionale, cioè capire se gli indicatori, che vengono misurati, siano, alla fine,
veramente correlati all’attività neuronale.
La sviluppo della PET, la sua successiva evoluzione, l’uso di differenti composti radiomarcati
offrono misure del metabolismo cerebrale del glucosio, del flusso ematico e del metabolismo
neurotrasmettitoriale in una varietà di condizioni fisiologiche e in una valutazione degli effetti delle
patologie psichiatriche e neurologiche.
Lo scanner PET: come funziona
La Tomografia ad Emissione di Positroni è una tecnica d’immagine analitica sviluppata per usare
composti marcati con radioisotopi positrone-emittenti come sonde molecolari per acquisire
immagini e misurare processi biochimici in vivo della biologia dei mammiferi.
A) Principi fisici
I radionuclidi usati nella PET sono sostanze con un eccesso di protoni, energeticamente instabili,
che tendono spontaneamente a decadere per acquisire una maggiore stabilità energetica nucleare
emettendo positroni, l’antimateria degli elettroni, particelle, cioè, con massa uguale e carica di
segno opposto. I positroni vengono emessi con un’energia cinetica di contenuto variabile (“Positron
Range”) e tale da percorrere un tratto di pochi millimetri. Dissipata l’energia cinetica e raggiunta la
condizione di riposo cinetico, un positrone interagisce con un elettrone della materia: l’effetto è la
scomparsa della massa delle due particelle (annichilazione) e, per il principio di conservazione
dell’energia, la formazione di due fotoni di annichilazione di 511 KeV (l’energia di 511 KeV di
ciascun fotone è equivalente alla massa di riposo di un elettrone o di un positrone). I due fotoni, due
raggi gamma per esattezza, si dipartono dal punto di annichilazione con velocità uguale (e prossima
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a quella della luce) e direzione opposta (180°), formando così una retta definita “linea di
annichilazione”.
I due fotoni di annichilazione raggiungono il tomografo colpendo quasi contemporaneamente una
coppia di detettori diametralmente opposti e collegati ad un circuito elettrico di coincidenza
computerizzato. Quando un fotone colpisce il cristallo contenuto nel detettore questo emette luce
attraverso il fenomeno della scintillazione; la luce viene amplificata da un fotomoltiplicatore e
convertita in segnale elettrico. Quando il sistema computerizzato registra due cariche elettriche in
un intervallo di tempo di 5-20 nanosecondi (“intervallo di coincidenza”) codifica un evento di
annichilazione. La linea che unisce i due detettori opposti è detta “linea di coincidenza”; essa
coincide con la linea di annichilazione e passa per il punto di annichilazione. Gli eventi di
annichilazione danno origine ad altrettante linee di coincidenza.
B) I radionuclidi
I radionuclidi vengono prodotti artificialmente mediante uso di un acceleratore lineare di particelle,
il ciclotrone. I principali radionuclidi disponibili oggi per gli studi PET sono 18F (viene usato come
un sostituto dell’idrogeno, che non può emettere positroni),
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O, 15O,
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C,
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N; sono usati anche
nuclidi positrone-emittenti del Cu, Zn, K, Br, Rb, I, P, Fe, Ga e altri. Il radionuclide è utilizzato per
marcare una sostanza e consente di misurare in vivo una variabile fisiologica connessa con la
cinetica o la dinamica della sostanza marcata. Si presuppone quindi la conoscenza della cinetica e
della dinamica della sostanza che deve essere marcata: i radionuclidi determinano variazioni
modeste e correggibili della cinetica (“Isotope Effect”), ma non modificano le proprietà fisiologiche
o biochimiche della sostanza da marcare. L’introduzione dei radionuclidi all’interno del nostro
organismo può avvenire sia per endovena (H215O;
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Fluoro-2-deossi-D-glucosio) sia per via
inalatoria (C15O2), a seconda delle proprietà cinetiche e fisiche della sostanza marcata.
Il metodo del deossiglucosio
Il metodo del [18F]fluorodeossiglucosio (18FDG) per la misura quantitativa del rCMRglc è stato
sviluppato circa 20 anni fa, inizialmente usato con la Tomografia Computerizzata ad Emissione di
Fotoni Singoli (SPECT) e poco dopo con la PET.
Questo modello metodologico, formulato da Louis Sokoloff, deriva da un’analisi cinetica del
comportamento biochimico del 2-deossi-D-glucosio; successive modifiche a questo modello
consentono oggi di calcolare il rCMRglc in vivo nell’uomo.
Il 2-deossi-D-glucosio (DG) è un analogo del glucosio che si differenzia dal glucosio per l’assenza
nell’atomo di carbonio in posizione C2 di un gruppo ossidrile -OH; tuttavia ha la stessa affinità del
glucosio per il carrier transmembrana, con cui viene trasportato bidirezionalmente attraverso la
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BEE, per l’esochinasi e la glu-6-P fosfatasi, di cui diviene substrato. Glucosio e DG hanno identici
valori per l’affinità tra il glucosio ed il trasportatore (o l’enzima) di membrana, e quindi per la
velocità di trasporto (o di reazione) di glucosio dal plasma al tessuto cerebrale e viceversa. Poiché la
velocità
di
una
reazione
biochimica
è
uguale
al
rapporto
concentrazione
del
prodotto/concentrazione del substrato, il rapporto tra concentrazione di DG-6-P/DG è uguale al
rapporto tra la concentrazione di glucosio-6-P/glucosio ed uguale alla velocità netta della reazione
catalizzata dall’enzima esochinasi.
A differenza del glucosio-6-P, il DG-6-P non è un substrato del successivo enzima della catena
glicolitica (l’esofosfatoisomerasi) e pertanto non può essere ulteriormente degradato nella via
glicolitica. Ecco come virtualmente tutto il DG-6-P prodotto a livello neuronale dall’enzima
esochinasi si accumula nel citoplasma almeno per i primi 45 minuti in funzione della velocità netta
della reazione catalizzata dall’enzima e, indirettamente quindi, in funzione dell’attività neuronale,
dal momento che neppure sono presenti trasportatori intra- od extracellulari neuronali di DG-6-P,
che l’attività dell’enzima glucosio-6-P-fosfatasi neuronale è molto bassa e che trascurabile è la
quota di DG-6-P trasformata a glicogeno.
Il rCMRglc è espresso in micromoli di glucosio per 100 grammi di tessuto cerebrale al minuto
(µmoli/100g/min) oppure in milligrammi di glucosio per 100 grammi di tessuto cerebrale al minuto
(mg/100g/min).
I valori di rCMRglc, rCBF e rCMO2 cerebrali globali, della sostanza grigia e della sostanza bianca
nel giovane adulto sono riportati nella tabella sottostante.
globale cerebrale
sostanza grigia
sostanza bianca
28 - 32
28 - 41
16 - 19
rCBF (ml/100g/min)
41 - 71
28 - 58
20 - 24
rCMRO2 (ml/100g/min)
3.5 - 4
3.1 - 4.7
1.2 - 1.9
rCMRglc
(µmoli/100g/min)
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