Nonni in palestra - ASL 4 Chiavarese

Nonni in palestra
Ormai è accertato: un’attività fisica regolare durante la terza età non può che fare bene. A ribadirlo due fonti
molto autorevoli, i CDC statunitensi e i Proceedings of the National Academy of Sciences, i primi sostenendo
la necessità di aggiungere alla propria routine fisica anche esercizi di forza, i secondi con uno studio che
attesta i benefici effetti del moto sull’invecchiamento cerebrale. Ma dove agiscono e quali sono i processi che
permettono una migliore qualità della vita nei soggetti che praticano un’attività fisica?
Perché lo sport?
Le ragioni non cambiano a qualsiasi età. Il movimento mette in azione meccanismi biologici che
interagiscono attraverso complicati processi chimici con tutti gli organi e apparati. Il cuore accelera i propri
battiti, il sangue scorre più velocemente, la respirazione si fa più profonda e frequente, la pressione del
sangue sale. Una serie di fenomeni che tra le altre cose proteggono a livello cardiovascolare, in particolare
dall’aterosclerosi e dalle sue complicanze cliniche. I grassi. infatti, vengono smaltiti con l’attività e non si
depositano più sulle pareti dei vasi. Anche l’osteoporosi, degenerazione delle ossa che si verifica sovente
nella terza età con fragilità delle stesse e pericolo di fratture, migliora in seguito all’attività fisica. Ecco perché
tra i risvolti di un’attività costante c’è anche un incremento di longevità, con riduzione del rischio di morte e
con un guadagno, rispetto ai sedentari, di 2,33 anni di vita. Sono queste le ragioni per cui 15 milioni di
americani in età avanzata, spinti dai loro medici, si dedicano al footing e al jogging. Ma – dicono i CDC –
ancora non basta.
Anche la potenza conta
Soltanto l’11% degli over-65 fa esercizi di potenza almeno due o tre volte alla settimana. L’obiettivo sarebbe
arrivare al 30% - sostiene l’istituzione statunitense sul suo bollettino ufficiale, Morbidity and Mortality Weekly
Report. Una posizione piuttosto rigida, supportata dal dato che tra quelli fisicamente attivi solo il 25%
raggiunge l’obiettivo. Un conto, infatti, è l’attività fisica di moderata intensità, cioè 30 minuti al giorno di
blanda attività, un altro sono venti minuti al giorno di esercizi più vigorosi almeno tre volte alla settimana.
Un’osservazione non da tutti condivisa, se è vero che recenti studi avevano concluso che lo sport ad alta
intensità può essere addirittura deleterio passati i 70. I CDC fanno, invece, esplicita richiesta a centri sociali,
chiese e palestre perché offrano programmi di fitness ai più anziani. Cinque gli obiettivi dichiarati: aumentare
la consapevolezza dei benefici del fitness; renderlo più accessibile; adattare l’offerta alle persone con
limitazioni fisiche; offrire trasporto e sollevare dal timore di infortuni gli aspirantio ginnasti. Ma non è finita
qui.
Mens sana in corpore sano
Lo studio di prossima pubblicazione sui Proceedings sostiene invece che l’attività fisica sia benefica anche per
il cervello. Ne basta poca– sostiene Arthur Kramer, autore dello studio – per elevare la funzionalità cerebrale
e mantenere il cervello in forma. Ciò non significa passare in breve dalla vita sedentaria alla maratona. Basta
camminare per pochi chilometri poche volte a settimana per conseguire l’effetto sperato. Già parecchi studi
animali hanno evidenziato che l’esercizio aerobico ha un effetto positivo sul cervello: aumenta la circolazione
cerebrale, incoraggia la formazione di nuovi neuroni e aumenta il numero delle sinapsi, le connessioni tra i
neuroni. Lo stesso ora sarebbe stato dimostrato sugli uomini. I ricercatori hanno effettuato due set di
esperimenti coinvolgendo soggetti anziani. Nel primo 41 pazienti, senza segni di demenza, sono stato
sottoposti a test per valutare il loro grado forma fisica. Inoltre è stata misurata la loro funzionalità cerebrale
in attività che richiedessero concentrazione. Ebbene i soggetti con un maggior grado di attività fisica hanno
evidenziato più brillantezza cerebrale. Nel secondo set sperimentale i partecipanti sono stati divisi in due
gruppi: il primo ha partecipato a test di stretching e tono muscolare per parecchi giorni, mentre l’altro
gruppo si è dedicato ad attività aerobica. Al termine dei 6 mesi di studio i soggetti nel gruppo aerobico
hanno migliorato in modo significativo la loro salute cardiovascolare. Un miglioramento cui ha fatto seguito
quello della soglia di attenzione. Poche, invece, le variazioni nell’altro gruppo. Un ulteriore conferma della
necessità di fare sempre attività fisica. Un invito da accogliere soprattutto in Italia, dove, secondo i numeri di
un recente convegno di medicina dello sport, solo il 20% degli ultrasessantenni fa sport.
Marco Malagutti