Susanna Tamaro. Trieste 1957, vive a Orvieto ____________________________________________________________________ […] Ti sto scrivendo dal piccolo terrazzo della mia camera. C’è silenzio intorno. Nell’aria, odore di erba, di conifere, di mucche. Di fronte a me si innalzano, come uno smisurato iceberg di pietra, le pareti di una cima dolomitica. Una volta, al posto delle case e del bosco, c’era un oceano tropicale in cui nuotavano i primi crostacei e tutti quei minuscoli organismi dai quali poi si è sviluppata ogni forma di vita. La notte adesso è limpida. Le code luminose degli aerei si inseguono nella stessa invisibile scia, mentre, più in su, le stelle lampeggiano tremule come, in quest’epoca, le lucciole nei prati. Il sotto e il sopra si rispecchiano, testimoni muti del mistero che ci circonda. […] Da “Più Fuoco più Vanto”, Rizzoli, 2002 _________________________________________________________________________ Manca un mese a Natale. Da quassù, posso scorgere la grande stella cometa sulla strada principale del paese e tutto il corollario di lampadine bianche che la precedono e la seguono per congiungerla ad altre stelle. Un variopinto corteo di luci ricama anche le case, le villette, le fattorie. Abeti lampeggiano nel buio come semafori impazziti accanto a semplici arbusti, roseti o meli inanellati di lumi. Chi non ha alberi drappeggia di luce le balaustre, le inferriate, i davanzali. Tutto ciò che è avvolto in una discreta oscurità in queste notti brilla, illuminando ogni spazio intorno. Quando la notte inizia a divorare i pomeriggi, all’improvviso si scopre di aver nostalgia della luce, così le valli, le colline e le campagne si trasformano nel segno di questa mancanza. Luci sempre più mirabolanti, più chiassose mutano l’atmosfera raccolta dell’inverno nell’allegra visione di una sagra. Cosa si festeggia? Nessuno lo sa più, nessuno lo ricorda. Più che un festeggiamento, sembra una forma di resistenza. Si resiste al buio, ci si oppone a quella notte misteriosa che sta in fondo a ciascuno di noi, a quell’oscurità che, prima o poi, ci attende tutti. È facile, durante le giornate di primavera e d’estate, mandare questo spettro al confine. Tutto è luminoso. Ma quando il sole si ritira e il buio scende con le sue dita ghiacciate, quando quelle dita ci sfiorano, ricordando la nostra fragilità, tutto diventa più difficile. Siamo sottili sfere di vetro, basta un urto minimo per trasformarci in schegge. Quanto tempo ci vuole per ché poi queste schegge tornino ad essere la bella sfera iridescente? Nessun tempo a noi noto, perché nessun frammento è in grado di tornare ad essere forma. La luce allora è la nostra compagna, la nostra amica, il nostro antidoto. Staremo con lei fino a che i pomeriggi timidamente diverranno più chiari, fino a che gli uccelli, rotto il silenzio invernale, riempiranno l’aria con cinguettii già carichi di schermaglie amorose. Da “Per Sempre”, Giunti Editore, 2011 ________________________________________________________________________________________________ Non so se quella notte lo scoiattolo, appostato nei pressi della stamberga con le sue orecchie appuntite e pelose ascoltò tutto il mio discorso o se fu per un semplice caso che la mattina seguente ricomparve. Comunque, mentre con l'irroratrice sulle spalle stavo stancamente spruzzando le ultime rose sopravvissute con polvere di caffaro, lo vidi correre a testa in giù lungo un tronco di quercia... ...correva fermandosi ogni tanto, muovendo a scatti la coda e il capo e poi, quando fu a circa un metro di altezza dal suolo, con uno stridio d'unghie spiccò un salto e planò sul prato e da lì, alternando balzi a soste in cui restava verticale sulle zampe posteriori, si mosse nella mia direzione. Da quel mattino in poi cominciammo a incontrarci ogni giorno, diverse volte al giorno. Naturalmente non ero io a salire sugli alberi ma lui che, quando ne aveva voglia, scendeva giù dai tronchi e dopo avermi raggiunto con la solita andatura di corsette e pause, si fermava al mio fianco ad ascoltarmi. Allora io iniziavo a parlare, parlavo non raccontandogli i fatti della mia vita, cose che non l'avrebbero interessato, come l'imprevista vicenda di Oskar o la scomparsa di Spartaco, ma parlavo come in un dialogo, facendo domande. E fra tutte le domande gli posi soltanto quelle che ancora non avevo posto a nessuno. Da “La testa tra le nuvole”, Marsilio Editore