MODULO 1
La nostra mente
Il fotografo ha sorpreso un errore nell’esecuzione di un’azione.
Errori del genere sono comuni: capitano a tutti e sono più frequenti
di quel che immaginiamo. Nel linguaggio tecnico si chiamano lapsus
di azione. Non ci rendiamo conto di quanto siano comuni i lapsus,
perché dopo averli commessi tendiamo a dimenticarli e perché
di molti neppure ci accorgiamo. Se ci capita di versare lo zucchero
fuori dalla tazza, sicuramente ce ne rendiamo conto, ma ci sono errori
che non hanno conseguenze così vistose, per cui non ci facciamo
caso. Ad esempio, se per un momento avviciniamo alla serratura
la chiave sbagliata e poi subito passiamo a quella giusta, per noi
non è successo nulla.
I ricercatori hanno chiesto ad alcune persone di annotare gli errori
commessi; hanno così scoperto che ciascuno ogni giorno ne segnalava
almeno uno e che esistono vari tipi di lapsus. Eppure, se non abbiamo
mai fatto l’esperienza di tenere un diario dei nostri lapsus, pensiamo
di non sbagliare nel far le cose o per lo meno di sbagliare raramente.
MODULO 2 ⓦ Comunicazione e relazione interpersonale
Non bastano
i discorsi per dirci
quel che abbiamo
da dirci?
Quando comunichiamo ci mandiamo addosso piogge di segnali che leggiamo
con grande abilità. A rifletterci, si tratta di un fatto alquanto strano. Per trasmetterci semplicemente messaggi e informazioni non c’è bisogno di inviare e leggere tanti segnali, anche perché disponiamo del linguaggio. Con le parole possiamo dire
qualsiasi cosa, del mondo che ci circonda, di noi stessi e anche su ciò che stiamo
dicendo. Che senso ha allora tanto spiegamento di forze?
Evidentemente la comunicazione interpersonale è più complessa di quello che
immaginiamo. Se ci inviamo piogge di segnali e le leggiamo è perché, quando
comunichiamo, facciamo altro oltre che scambiarci semplicemente messaggi e
informazioni.
● FACCIAMO IL PUNTO
Il senso comune tende a ridurre la comunicazione interpersonale alla trasmissione di messaggi e
allo scambio e condivisione di informazioni. In realtà si tratta di un fenomeno più complesso, come possiamo sospettare riflettendo sulla pioggia di segnali che normalmente inviamo e leggiamo
nel corso di una comunicazione. Cercheremo ora di capire che cosa vuol dire comunicare tra persone. Lo faremo procedendo per gradi, partendo dalla dotazione naturale che sta alla base della
comunicazione. Perciò getteremo uno sguardo sulla comunicazione nel regno animale.
2. CHE COSA CI INSEGNA
LA COMUNICAZIONE DEGLI ANIMALI
Ogni trasmissione
di informazioni
è comunicazione?
2.1. Perché i pipistrelli non comunicano con le farfalle. I pipistrelli nelle not-
ti d’estate inseguono le farfalle notturne per cibarsene. Le farfalle sono piuttosto brave a sfuggire: con manovre aeree o buttandosi al suolo, ottengono spesso che il pipistrello abbandoni l’inseguimento. I pipistrelli per muoversi al buio utilizzano una specie di sonar: lanciano
ultrasuoni e ascoltano gli echi che ritornano dagli oggetti circostanti. Con lo stesso sistema rintracciano le prede: per loro una
farfalla è un particolare eco. Senonché le farfalle dispongono di
speciali “orecchie ultrasoniche”, sensori specializzati nel rilevare
gli ultrasuoni dei pipistrelli che si trovano a meno di trenta metri. È grazie a questi sensori che riescono a sfuggire.
Possiamo dire che i pipistrelli comunicano con le farfalle?
Che le avvertono del loro arrivo? Certamente no. I pipistrelli
stanno semplicemente adoperando il loro sonar. Sono le farfalle a captare il segnale e ad usarlo per mettersi in salvo. Se potessero, i pipistrelli eviterebbero di far pervenire il segnale ul: Walter Linsenmaier, Insects of the world, 1972
trasonico alle farfalle.
In casi come questo abbiamo trasmissione di informazione
Fig. 4.2 • Una farfalla notturna insesenza comunicazione. Ecco un primo insegnamento: perché ci
guita da un pipistrello.
sia comunicazione occorre che chi passa l’informazione miri a
DISEGNO
182
UNITÀ 4 ⓦ La comunicazione interpersonale
qualche risultato. La comunicazione non è una qualsiasi trasmissione di informazione, ma trasmissione di informazione in vista di uno scopo.
Passiamo ora in rassegna alcuni esempi veritieri di comunicazione nel regno
animale. Impareremo qualcos’altro circa la natura della comunicazione.
2.2. La comunicazione delle api sulle fonti di cibo. Le api sono molto brave a raccogliere il cibo nel territorio intorno all’alveare. Alcune di loro – dette bottinatrici (da bottino) – escono in perlustrazione e, quando hanno individuato una
fonte di cibo, tornano all’alveare per avvertire le compagne. In questo modo si evitano viaggi a vuoto (fig. 4.3).
Lo zoologo austriaco Karl von Frisch, attraverso accurate indagini sperimentali,
ha scoperto che le bottinatrici comunicano con danze (Modulo 2, L1). Se eseguono la danza circolare, che consiste nel girare ripetutamente in cerchio ora in un
senso ora nell’altro, vuol dire che il cibo è vicino. L’intensità della danza segnala
quanto è ricca la fonte. Gli assaggi che la bottinatrice offre alle compagne danno
informazioni sulla qualità del cibo e l’odore che ha addosso sui fiori del posto. Siccome le api hanno una straordinaria memoria dei luoghi e degli odori e hanno ben
in mente la mappa del territorio, le informazioni fornite dalla danza circolare sono
sufficienti per ritrovare il cibo.
Nel caso di fonti di cibo lontane le api eseguono la danza dell’addome: muovendosi disegnano una figura a 8, con un tratto rettilineo centrale e due tracciati circolari. Questa volta la danza comunica con precisione le coordinate del posto: sarebbe difficile ritrovarlo facendo affidamento sulla memoria dei luoghi e degli odori, dato che non è nelle vicinanze. La direzione del tratto rettilineo indica la direzione da seguire e il tempo impiegato a percorrerlo la distanza da percorrere per
raggiungere la fonte di cibo.
2.3. Lo schooling dei pesci. Un banco di pesci si
muove compatto: tutti i pesci vanno nella stessa direzione e mantengono le posizioni reciproche, anche
quando c’è un rapido cambiamento di rotta. Si parla
di schooling, perché i pesci si comportano come
allievi in addestramento ben inquadrati (fig. 4.3).
Com’è possibile? I pesci si mantengono in formazione grazie al passaggio di informazioni dall’uno
all’altro. Ciascun pesce tiene costantemente d’occhio
le strisce degli altri e orienta il proprio corpo in modo da vedere le strisce sempre allo stesso modo.
Inoltre ciascun pesce nelle parti laterali del corpo è
sensibile agli spostamenti di acqua prodotti dagli altri e si regola in base a questi.
Lo scopo principale dello schooling è difendersi
dai predatori. Il banco compatto fa l’impressione di
un grosso organismo e difficilmente viene assalito.
Come riescono
le api a informare
le compagne
sulle fonti di cibo
avvistate?
FOTO: Planet Earth Pictures/Seaphot
Fig. 4.3 • Banco di pesci perfettamente inquadrati.
183
MODULO 1 ⓦ La nostra mente
Non meraviglia che i ricordi siano spesso distorti, che ci rappresentino la realtà in
modo deformato, anche se non proprio falso. Basta non selezionare le informazioni
giuste all’inizio e non fare i ragionamenti corretti quando dopo ricostruiamo per trovarci a credere di aver visto, vissuto, letto, studiato cose diverse da quelle effettive.
Noi continuiamo a pensare a quel che impariamo, ai fatti che ci capitano o di cui
la memoria siamo a conoscenza. Ne parliamo anche con gli altri, che ci dicono il loro parere su
dei testimoni
come intendere le cose. Ad esempio, dopo l’interrogazione ci rifletterò, cercherò di
capire come mai è andata così, ne parlerò con il docente, con i compagni, con i famigliari e ogni volta verrà fuori un’interpretazione diversa. Riflessioni e discorsi fatti dopo un’esperienza possono aiutare a renderne più realistico il ricordo, ma possono anche deformarlo sempre più, agendo come influenze distorcenti.
CERCHIAMO PROVE
esperimento
Lo psicologo inglese Bartlett in un suo famoso libro sulla memoria del 1932 è stato il primo a mettere in evidenza le distorsioni dei ricordi. Per dimostrarle dava da leggere ai suoi studenti delle storie
e controllava l’esattezza dei ricordi a distanza di tempo. Una di queste storie, La guerra degli spettri,
era una leggenda indiana, una vicenda di una cultura lontana da quella occidentale, in cui fenomeni
naturali e soprannaturali si mescolavano normalmente.
Gli studenti ricordavano la storia in maniera chiaramente deformata: tralasciavano le parti per loro
meno comprensibili o le trasformavano. I passaggi del racconto che riflettevano i valori e le convinzioni degli Indiani erano travisati e riformulati alla luce delle convinzioni occidentali. Ad esempio, nella
storia il protagonista sentiva un dovere morale nei confronti degli spiriti, ma gli studenti dicevano
che si sentiva in obbligo verso i suoi genitori. Per uno studente occidentale è più facile capire l’obbligo verso i genitori che l’obbligo verso gli spiriti, per cui quest’elemento della storia indiana veniva
tradotto in qualcosa di più comprensibile.
Le ricerche di Bartlett mostrano che possiamo deformare i ricordi sulla base dei nostri orientamenti
personali e culturali. Non ci dicono nulla però sulle deformazioni che possono intervenire dopo,
quando riflettiamo sulle cose e ne parliamo con gli altri. In tempi più recenti Loftus, una psicologa
americana, ha dimostrato che, quando parliamo con una persona di un episodio che gli è capitato,
basta usare una parola invece di un’altra perché i suoi ricordi cambino. Loftus faceva vedere alle persone il filmato di un incidente stradale e poi faceva domande su particolari. Le risposte erano diverse
a seconda delle parole usate nella domanda. Se chiedeva «a quale velocità grosso modo viaggiavano
le automobili quando si sono scontrate?», le persone stimavano la velocità superiore a 65 km orari.
Se invece chiedeva «a quale velocità grosso modo viaggiavano le automobili quando si sono toccate?»,
la velocità scendeva a 50 km orari circa. Se chiedeva «hai visto il faro anteriore rotto?», le persone
tendevano a dire di averlo visto, mentre non ricordavano di averlo visto se chiedeva «hai visto un faro
anteriore rotto?».
Come mai a volte
siamo convinti di
ricordare eventi
mai accaduti?
90
4.3. I falsi ricordi. Ci sono casi in cui abbiamo ricordi completamente falsi; ne
abbiamo visto un esempio in apertura dell’unità: sono sicuro di aver spento la luce, mentre non l’ho fatto. Dobbiamo tener presente che i ricordi arrivano in memoria sia dal mondo esterno sia dalla nostra esperienza interna. Quando ho pensato
di spegnere la luce, l’intenzione di farlo è entrata in memoria. Per dire se l’ho spenta, la mente deve stabilire se il ricordo in memoria è quello dell’intenzione o dell’azione. A volte si sbaglia e confonde le esperienze interne con le esterne.
UNITÀ 2 ⓦ La memoria
Dalle parole ai concetti
Attenzione. Sistema di
gestione delle risorse mentali, che le indirizza in modo
da poterle impiegare dove
occorrono. Il suo intervento
è decisivo nella memorizzazione a breve termine e
conseguentemente svolge
un ruolo anche in quella a
lungo termine.
Attività automatiche.
Attività che svolgiamo inconsapevolmente e con
grande efficienza, anche
se in modo ripetitivo, eseguendo gli script (➞) contenuti nella memoria procedurale (➞).
Catalogazione. Sistema
di memorizzazione (➞)
controllata, in cui si classificano gli elementi da ricordare, in base a categorie
superficiali, di senso o riferite a sé.
Consolidamento. Riconfigurazione del complesso dei collegamenti di
un dato depositato nella
MLT (➞), che ne rende più
facile il recupero.
Curva dell’oblio. Grafico, ottenuto sulla base di
indagini empiriche, che
descrive il declino della
memoria nel tempo.
Decadimento. Una delle
cause dell’oblio, che consiste nell’effettiva perdita
delle tracce dei ricordi presenti nel cervello.
Effetto di posizione
seriale. Fenomeno per
cui si ricordano più facilmente gli elementi posti
all’inizio, effetto primacy, e
alla fine di una serie, effetto
recency.
possono essere recuperate.
Falsi ricordi. Ricordi di
eventi che di fatto non si
sono verificati.
Memoria associativa.
Sistema della MLT (➞) dove
conserviamo le istruzioni
che automaticamente ci
fanno rispondere con determinati comportamenti a
determinati stimoli.
Grado ottimale di attivazione. Lo stato emotivo più adatto per memorizzare (➞), specie in modo
controllato, caratterizzato
da un tono emotivo né troppo basso (di noia), né troppo alto (di ansia).
Interferenza. Nella MBT
(➞) è il fenomeno per cui i
dati nuovi che entrano sostituiscono i vecchi, essendo
la capienza limitata. Nella
MLT (➞) l’interferenza è il fenomeno per cui, immettendo informazioni simili, favoriamo l’oblio di quelle immesse prima (interferenza
retroattiva) e di quelle immesse dopo (interferenza
proattiva).
Lapsus d’azione. Errori
nell’esecuzione di azioni,
dovuti a cadute di attenzione in passaggi cruciali in
cui occorre orientare coscientemente attività automatiche.
Memoria a breve termine (MBT). Deposito a
capacità limitata, dove le
informazioni restano per un
tempo breve (spontaneamente fino a 30 sec.) e sono presenti alla coscienza .
Memoria a lungo termine ( MLT ). Deposito a
capacità praticamente illimitata, dove le informazioni restano di solito permanentemente e da cui
Memoria dichiarativa.
Sistema della MLT (➞) dove
conserviamo le conoscenze che siamo in grado di
rappresentarci e riferire.
Memoria di lavoro. Sistema – formato da MBT
(➞), MLT (➞), coscienza e
un centro di controllo – che
serve a tenere pronti gli
elementi su cui si opera
quando si fa un ragionamento.
Memoria ecoica. Memoria sensoriale (➞) dei
suoni.
Memoria episodica.
Componente della memoria
dichiarativa (➞) fatta di eventi vissuti o comunque noti.
Memoria esplicita. Si
definisce così la memoria
dichiarativa (➞), in quanto i
suoi contenuti sono adoperati consapevolmente.
Memoria iconica. Memoria sensoriale (➞) delle
immagini visive.
Memoria implicita. Si
definiscono così la memoria procedurale (➞) e l’associativa (➞), perché i contenuti vengono tradotti direttamente in comportamenti senza passare per la
coscienza.
91
SCHEDA 5
LO STUDIO DELLA VITA SOCIALE E DELLA SOCIETÀ
BREVE STORIA DELLA SOCIOLOGIA
La nascita della consapevolezza
sociologica nel XX secolo
teva essere studiata sistematicamente, come oggetto a
sé stante, hanno colto anche l’importanza di uno studio del genere. Hanno cominciato a immaginare una
pianificazione intelligente della vita associata, basata
sulla conoscenza della realtà sociale e delle dinamiche che la caratterizzano.
Il cammino attraverso il quale nel XIX secolo è maturata la consapevolezza sociologica non è stato facile. Si
è trattato di un travaglio intellettuale simile a un risveglio,
perché ha portato a prendere coscienza di aspetti
dell’esperienza umana che per secoli erano rimasti trascurati e a guardare le cose con occhi diversi.
Come mai la consapevolezza sociologica si è sviluppata proprio nel XIX secolo? Senz’altro è stato determinante il fatto che gli intellettuali di quel periodo
avevano assistito alla modernizzazione, che aveva riconfigurato in breve tempo le società occidentali (Unità 11,
par. 6.4). Le grandi trasformazioni erano avvenute
per azione di forze sociali che i singoli non potevano
controllare: nella rivoluzione industriale, nelle rivoluzioni politiche, nell’esodo rurale e nell’urbanizzazione
era evidente l’importanza di fattori che andavano al
di là degli individui. D’altra parte cambiamenti così
massicci, rapidi e travolgenti inducevano a interrogarsi sulle sorti del mondo. Dove stava portando la
modernizzazione? Verso un mondo migliore o verso
un deterioramento della vita? Per rispondere bisognava studiare la società, questa realtà che fino ad allora
era stata trascurata.
Fin dall’antichità i filosofi si erano interessati alla vita sociale e alla società. Si erano chiesti come mai l’uomo sia
un animale tanto sociale, portato a vivere in gruppi altamente organizzati. Avevano discusso sulle forme di governo, sulle leggi e sui sistemi economici. Tuttavia l’idea di
uno studio sistematico della società e della vita sociale si
affaccia solo nel XIX secolo ed è tra il XIX e il XX secolo
che matura la sociologia scientifica.
A prima vista può sembrare che le cose siano andate come per la psicologia (Scheda 1): c’era qualcosa
di cui in filosofia ci si occupava già e che tra XIX e XX
secolo diviene oggetto di studio scientifico. In effetti c’è
un’importante differenza. La nascita della sociologia
ha richiesto uno sforzo in più. Non è bastato che studiosi cominciassero a occuparsi della società e della
vita sociale con una mentalità scientifica e che si arrivasse a fondare una nuova disciplina. È stato necessario sviluppare una consapevolezza che nella tradizione occidentale non c’era: quell’immaginazione sociologica di cui parla Wright Mills (Unità 11, apertura) e che permette di andar oltre il proprio angolo di
visuale per vedere la società.
Fino a quel momento gli intellettuali non avevano
chiaro che la vita sociale e la società sono realtà
ben precise con cui abbiamo a che fare e che incidono sulla vita di ciascuno di noi. Tendevano a con- Il contributo di Comte
fondere la società con l’organizzazione politica: il
Auguste Comte (1798-1857) assieme a Claude-Henri
governo, la magistratura, l’amministrazione, le leggi.
Non si rendevano conto che la politica fa parte del- de Saint-Simon (1760-1825), in Francia, e a John Stuart
Mill (1806-1873), in Inghilterra, è
la società, ma non è la società,
tra
i principali esponenti del positiche è qualcosa di più ampio e di
vismo, corrente filosofica incentrata
diverso. Tendevano anche a consull’idea che l’umanità grazie alla
fondere fatti sociali e fatti indiviscienza possa arrivare ad affermarsi
duali. Erano abituati ad analizzae a dominare la realtà. Il positivismo
re le vicende umane in termini di
francese – quello di Saint-Simon e
azioni e scelte di singoli. Ad esemdi Comte –, detto anche positivismo
pio, una guerra e una crisi econosociale, assegna particolare impormica venivano ricondotte alle decitanza alla conoscenza scientifica delsioni di un sovrano o dei suoi conla società.
siglieri o di un gruppo sociale.
Nella sua opera principale, il Corso
Non si coglievano le dinamiche
di
filosofia positiva, sei volumi pubblicomplesse che andavano al di là
cati tra il 1830 e il 1842, Comte sodegli individui, sfuggivano al loro
stiene che l’umanità è ormai matura
controllo e li condizionavano.
per fare il passo di estendere la menQuando nel XIX secolo gli studiotalità e i metodi scientifici allo studio
si hanno cominciato a rendersi condella società. Nei secoli passati, una
Auguste
Comte
to che esisteva la società e che po-
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