Il trionfo della castità di Santo Alessio. Il dramma religioso come

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Grazia Carbonella
Il trionfo della castità di Santo Alessio.
Il dramma religioso come antenato dell’opera buffa
1. Introduzione
Dalla fine del Seicento, e poi per tutto il Settecento, grazie ai finanziamenti e
al sostegno manifestato dal viceré, il duca di Medinaceli, Napoli conquistò un indiscusso primato nella produzione operistica.1 E così, le classi dominanti che nel Seicento frequentavano il teatro San Bartolomeo per assistere all’opera seria per svago
e per coltivare relazioni sociali,2 dall’inizio del Settecento cominciarono a recarsi
anche al teatro dei Fiorentini, dove a partire dal 1709 iniziarono ad essere rappresentate le prime commedeje pe mmuseca.3 Si trattava di uno spettacolo in due o tre
atti destinato ad entrare ben presto in concorrenza con l’opera seria. Interamente
scritto in dialetto napoletano portava sulle scene quadretti di vita quotidiana tratti
dalla realtà popolare. Oltre alla protezione delle autorità e dei ceti nobiliari anche
l’ottimo sistema di istruzione musicale praticato dai celebri Conservatori,4 in cui si
rappresentavano drammi sacri come saggi finali della carriera scolastica degli allievi
più meritevoli, concorse a favorire la produzione operistica napoletana.
1
Per una panoramica sulle prime apparizioni dell’opera a Napoli cfr. Michael F. ROBINSON, L’opera napoletana, Venezia, Marsilio, p. 20 e segg.
2
Le famiglie più altolocate affittavano i palchetti, che venivano arredati con mobili e stemmi di famiglia,
e si recavano tutte le sere a teatro, soprattutto nel periodo di carnevale – che cominciava il 26 dicembre e
terminava il martedì grasso. Nei singoli palchi non si faceva solo conversazione, ma si allestivano anche
rinfreschi e, talvolta, vere e proprie cene che i servitori potevano preparare in locali appositi. Cfr. Mario
CARROZZO - Cristina CIMAGALLI, Storia della musica occidentale, Roma, Armando, 2001, 3 voll.: vol. II, pp.
290-291.
3
Il capostipite comunemente riconosciuto di questo genere fu La Cilla di Francesco Antonio Tullio, rappresentato con musica di Michelangelo Faggioli il 26 dicembre 1707 nel palazzo dei principi di Chiusano, al
cospetto del viceré. Cfr. Paolo GALLARATI, Musica e maschera. Il libretto italiano del Settecento, Torino, EDT,
1984, p. 107.
4
Nati nel Cinquecento per accogliere i bambini poveri, abbandonati o orfani, i Conservatori napoletani
divennero ben presto celebri per la formazione musicale impartita grazie alla presenza di musicisti di prim’ordine in qualità di insegnanti. Col passare del tempo agli ospiti indigenti si affiancarono allievi a pagamento,
i cosiddetti pensionisti. A partire dal Settecento l’insegnamento fu organizzato a piramide, per cui gli alunni
più valenti, designati sotto il nome di “mastricelli” insegnavano agli alunni principianti. Per la storia dei Conservatori cfr. Francesco FLORIMO, La scuola musicale di Napoli e i suoi Conservatori, Bologna, Forni, 1969, 4
voll.: vol. II; Carlantonio VILLAROSA, Memorie dei compositori di musica del Regno di Napoli, Napoli, Stamperia Reale, 1840, pp. VIII-XV; Fabrizio DORSI - Giuseppe RAUSA, Storia dell’opera italiana, Milano, Bruno
Mondatori, 2000, p. 77.
203
Il trionfo della castità di Santo Alessio. Il dramma religioso come antenato dell’opera buffa
Oggetto della nostra indagine è per l’appunto il libretto di uno di questi saggi: Il trionfo della castità di Santo Alessio,5 del giurista Nicola Corvo6 con musiche
di Leonardo Leo,7 dramma allestito nel 1713 presso il Conservatorio Santa Maria
della Pietà dei Turchini di Loreto. L’allestimento di questi drammi, interamente
composti, eseguiti e messi in scena dagli allievi dei Conservatori che, del resto, erano largamente impiegati dalle principali istituzioni civili, ecclesiastiche e private
della città8 durante il corso dei loro studi,9 faceva parte, come già accennnato, a
pieno titolo delle attività didattiche.
Il nostro libretto è un esempio di dramma sacro, genere che, a cavallo tra Sei
e Settecento, ha risentito profondamente dell’influenza del teatro spagnolo attraverso l’impiego di modelli di riferimento quali gli autos sacramentales e le comedias de
5
Sul frontespizio del libretto si legge: Il / trionfo / della castità / di / Santo Alessio / dramma / di Nicola
Corvo / dedicato / All’illustriss. ed Eccellentiss. Sig. / la Sig. Contessa / CAMILLA BARBERINI BORROMEI
/ Vice-regina nel regno di Napoli. / Da Rappresentarsi nel Real Conservatorio, / detto delli Turchini, / con
musica /di Lionardo LEO / Figliuolo dello stesso Conservatorio. Il libretto è citato nel catalogo Sartori dove
sono indicati solamente due esemplari conservati rispettivamente presso il Civico Museo Bibliografico Musicale e presso la Biblioteca Universitaria di Bologna. In realtà un esemplare è conservato anche presso la Biblioteca Provinciale di Foggia, rilegato in un unico volume insieme a Il Gaudio de’ pastori o sieno I sette doni
dello Spirito Santo di Marco Pasquale Garzillo, Il Goffredo o sia La Gerusalemme liberata, tragicommedia e
Il simbolo della Grazia ovvero La Cassilda di Filippo Itto. Sono tutti drammi sacri, ma solo Il trionfo della
castità di Sant’Alessio è destinato alla musica. Nel catalogo Sartori viene riportato anche il frontespizio di una
seconda impressione risalente al 1719: Drama sacro di Nicola Corvo dedicato all’eminentissimo […] cardinale
Wolfango Annibale di Scrattenbach […] viceré, luogotenente e capitano generale in questo regno. Seconda
impressione. Per rappresentarsi nuovamente nel regal Conservatorio detto de’ Turchini in quest’anno 1719.
Con musica del sig. Lionardo Leo in tempo ch’egli era figliolo dello stesso conservatorio. Di questa edizione
sembra ci sia un solo esemplare conservato presso la Thomas Fisher Rare Book Library dell’Università di
Toronto.
6
Avvocato, fu anche Presidente della Regia Camera della Sommaria. Per ulteriori notizie su Nicola Corvo
cfr. Pietro MARTORANA, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napoletano, Bologna,
Forni, 1972, pp. 159-174.
7
Compositore di origine pugliese (S. Vito dei Normanni (Brindisi) 1694 - Napoli 1744) visse a Napoli al
servizio della cappella reale, prima in qualità di organista, poi come maestro di cappella. Insegnò in vari Conservatori napoletani ed ebbe tra i suoi allievi Jommelli e Piccinni. Esponente della ‘scuola napoletana’, che
dominò le scene dei palcoscenici settecenteschi di tutta Europa, compose oltre settanta opere tra serie e comiche, oltre a sette oratori, musica sacra e strumentale. Cfr. M. CARROZZO - C. CIMAGALLI, Storia della musica
occidentale …, cit., pp. 298 e 326.
8
“Cresciuto di molto il numero degli ammessi [nei Conservatori], fu necessario di rinvenire nell’opera
stessa i mezzi come sostenere le spese del mantenimento del pio luogo […]. Fu dunque messa a profitto
l’opera degli alunni medesimi, dei quali, alcuni dei più piccoli furono destinati a servir le messe in diverse
chiese della città […]; altri fra i piccoli medesimi furono destinati a fare da angioletti attorno ai cadaveri dei
fanciulli; ed altri più grandicelli, a trasportarli nelle bare, sulle spalle o a mano, ed a seppellirli. Fra i mezzani
ed i più grandi di età, divisi in più sezioni che si chiamavano Paranze, c’erano alcuni piccoli Sopranelli e
Contraltini, addetti all’esecuzione delle musiche pagate. […] Pertanto non vi era giorno in cui non uscissero
da ciascun conservatorio, oltre i ragazzi suddetti pel servizio delle messe e per le esequie dei morticelli, tre o
quattro di dette paranze, non solo per eseguire le musiche da chiesa […], ma ben anche per andare avanti alle
processioni dei santi e far delle musiche che si chiamavano flottole, per cantare il Libera me Domine attorno ai
cadaveri nelle case private, per andare nelle medesime a sonare nelle feste da ballo o altri divertimenti, passandovi l’intera notte, per andar recitando commedie, in tempo di carnevale nei monasteri di frati e di monache,
trattenendosi nei luoghi lontani per un mese o due, e finalmente per servir da coristi nei teatri […]”. Cfr. F.
FLORIMO, La scuola musicale ..., cit. pp. 75-76.
9
Cfr. F. DORSI - G. RAUSA, Storia dell’opera…, cit., p. 77.
204
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santos, in cui i personaggi napoletani sostituivano i graciosos.10 Grazie alla mediazione dei Conservatori, dove abbiamo visto questi drammi essere rappresentati periodicamente,11 si definì un repertorio di situazioni musicali legate al linguaggio e
ai tipi partenopei, destinato a confluire poi nell’opera buffa.
In realtà, lo stesso Croce ricorda come questi drammi si rappresentassero “un
po’ dappertutto, nei conventi, nei collegi, nelle case private, nel palazzo reale e nei
teatri pubblici durante la quaresima”.12
All’interno di questa produzione, che ebbe larghissima fortuna, soprattutto tra
le classi più umili fino all’Ottocento, è inoltre possibile individuare echi di un’altra
tradizione teatrale: quelli del teatro gesuitico.13 Del resto, nella stessa Ratio studiorum
della Compagnia del Gesù,14 redatta tra il 1580 e il 1630, in cui si definivano le caratteristiche di ogni nuova istituzione educativa e le basi della formazione da impartire,
si ribadiva l’importanza della retorica, considerata un fondamentale segno di distinzione e di prestigio, insistendo prevalentemente sul suo aspetto orale. Per questo
presso la Congregazione la retorica stabilì ben presto una proficua osmosi con il
teatro, tanto che nel 1727 Francesco Lang realizzò una specifica Dissertatio de actiones
scenica. Era infatti largamente condivisa la convinzione che il forte impatto della rappresentazione scenica sull’immaginazione degli spettatori potesse esaltare l’espressione del pensiero, che assumeva così, sebbene temporaneamente, un’efficacia superiore ad altre forme di espressione, quali ad esempio, il foglio stampato. In realtà già
nel Medioevo fu riconosciuto pieno valore didattico agli exempla e ben presto ci si
accorse che quella narrazione, se ridotta a rappresentazione visiva, poteva acquistare
una più incisiva potenzialità di penetrazione da parte del pubblico.15 Per cui il teatro
non era soltanto un’occasione per gli allievi di verificare la propria preparazione retorica, ma era anche un modo per raggiungere la persuasio del pubblico, obiettivo perseguito costantemente durante tutta la storia della Compagnia.16 La commistione tra
lingua dialettale e temi sacri presente in questi drammi non deve stupire se pensiamo
10
Si deve a Lope de Vega l’impiego sistematico della “figura del donaire” o “graciosos”, che probabilmente
risale al pastore “parvo” del Cinquecento iberico, impiegato nelle egloghe drammatiche da Encina. Sarà tuttavia solo nel teatro seicentesco che questo personaggio diventerà il fulcro della commedia, favorendo la mescolanza e la confusione di situazioni comiche e serie, tipica della tragicommedia. Cfr. Spagna, in Silvio D’AMICO,
(a cura di), Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Sadea/Le Maschere, 1954-1962, 9 voll.: vol. IX, p. 168.
11
Il primo di questi sembra sia stato Il fido campione di Giovan Francesco del Gesù detto Apa, rappresentato nel 1656 presso il Conservatorio di S. Maria di Loreto. Cfr., F. DEGRADA, L’opera napoletana, in Storia
dell’opera, Torino, UTET, 1977, 6 voll.: vol. I, p. 281.
12
Cfr. Benedetto CROCE, I teatri di Napoli dal rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Bari, Laterza,
1926, p. 110.
13
Cfr. F. DEGRADA, L’opera napoletana, cit., pp. 280-281.
14
La potente Congregazione ebbe un ruolo notevole nella formazione del clero post-tridentino, nello svolgimento di una poderosa attività missionaria e nell’acculturazione delle masse popolari, ponendosi sempre come
guida spirituale delle classi dirigenti. Cfr. Gian Paolo BIZZI, (a cura di), La “Ratio studiorum”. Modelli culturali
e pratiche educative dei Gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 8-9.
15
Cfr. Josè Antonio MARAVALL, Teatro e letteratura nella Spagna barocca, Bologna, il Mulino, 1995, pp. 13-14.
16
Cfr. G.P. BIZZI, La “Ratio studiorum”…, cit., pp. 78-92.
205
Il trionfo della castità di Santo Alessio. Il dramma religioso come antenato dell’opera buffa
al dichiarato scopo di educare il popolo propugnata dai gesuiti che veicolavano il
tema della vittoria del bene sul male attraverso il messaggio controriformistico, affidato ad angeli, diavoli e santi, commisto a forme di cultura popolare, con la funzione
di catturare l’attenzione del pubblico e di alleggerire l’azione teatrale.17
Il libretto de Il trionfo della castità di Santo Alessio testimonia inoltre anche
una stretta parentela con la commedia per musica e, quindi, con la commedia
napoletana in prosa che proprio in questi anni nasceva come ulteriore frutto della
ricca letteratura napoletana. E lo stesso Nicola Corvo altri non è che il misterioso
Agasippo Mercotellis18 autore della prima commedia dialettale in musica Patrò
Calienno de la Costa, rappresentata al Teatro dei Fiorentini nel 1709 con musica
di Antonio Orefice, inaugurando una lunga stagione che darà origine, in un secondo tempo e in seguito alla diffusione nazionale, all’ ‘opera buffa’. L’identificazione si basa in gran parte sul fatto che lo stesso Corvo era l’autore di La Perna,
una commedia che con pochi tagli è per l’appunto il Patrò. Quindi, sul tronco
drammaturgico della commedia in prosa sembrano essersi innestate le forme dell’aria e del recitativo, mentre l’uso del dialetto va interpretato come il rifiorire di
una tradizione culturale autoctona, in opposizione alla dominazione spagnola.
Artefici di questo innesto furono in gran parte autori appartenenti al ceto forense
che per il loro stesso ruolo professionale conoscevano profondamente e direttamente la vita del popolo.19
Da questa panoramica appare chiaro come nel dramma sacro siano confluite tradizioni molto diverse: il teatro gesuitico, la commedia musicale e la commedia in prosa. Ognuna di queste ha lasciato una traccia in un genere teatrale, quello
religioso, che ha potuto così vantare una vasto e sommerso passato, senza avere
un vero futuro.
2. Il libretto
Il trionfo della castità di Santo Alessio è un dramma in tre atti in cui si muovono quindici personaggi: il Coro di Demoni, che interviene poco e solo all’inizio
del dramma, Lucifero, Astarot, Levietan, Asmodeo, Angelo, Alessio, Eufemiano
(padre di Alessio), Aglesia (madre di Alessio), Ersilia (sua promessa sposa), Valerio
17
Cfr. Pino SIMONELLI, Lingua e dialetto nel teatro musicale napoletano del ‘700, in Lorenzo BIANCONI Reato BOSSA (a cura di), Musica e cultura a Napoli dal XV al XIX secolo, Firenze, Olschki, 1983, pp. 225-235.
18
L’identificazione è stata fatta da Benedetto Croce. Cfr., B. CROCE, I teatri di Napoli…, cit., p. 135. Per
ulteriori notizie relative alla produzione di Corvo cfr. Vittorio VIVIANI, Storia del teatro napoletano, Napoli,
Guida Editori, 1969, pp. 26-27 e pp. 250-291.
19
“[…] lo spettatore non è più trasportato su terre straniere, in tempi remoti; ma qui sulla scena è sempre un
sobborgo di Napoli, con in fondo la nostra marina e i nostri poggi infiorati. Vi si sente la viva voce del popolo,
il frizzo indigeno e la canzone popolare; e si assiste non più al succedersi di scene bislacche e stravaganti, bensì
di tanti bozzetti colti dal vero”. Cfr. Michele SCHERILLO, L’opera buffa napoletana, Napoli, Remo Sandron,
1916, p. 56.
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(pretendente di Ersilia), Masullo (servo napoletano di Eufemiano), Calista (vecchia
di casa), Cecchino (paggio) e Giampietro (servo calabrese). Si tratta di personaggi
seri, comici e di mezzo carattere che conducono l’azione intrecciando la vicenda
religiosa e intima della fedeltà al voto compiuta da Alessio e la disperazione dei suoi
cari per la sua assenza, con elementi comici e leggeri. Sul libretto mancano indicazioni sceniche particolari: sono infatti elencate solo cinque vedute: l’inferno con il
trono di Lucifero, il cortile di Eufemiano, l’anticamera, la stanza di Alessio e la
scena finale dell’estati. Non sono previsti quindi molti cambi di scena, né tanto
meno l’impiego di una sfarzosa scenografia. Non è certo il luogo dove questo dramma fu rappresentato.20
La storia è quella della tradizione basata sulla leggenda orientale diffusasi in
Occidente nel X secolo in una redazione prosastica latina, parafrasata in versi nella
Vie de saint Alexis francese dell’ XI secolo. La leggenda ebbe molta fortuna in Italia
e alimentò prose, versi e canti popolari, tra cui il noto Ritmo di Sant’Alessio.21
Alessio, appartenente ad una nobile famiglia romana, conduce una vita agiata e
spensierata, ma in fondo al suo animo già è forte il richiamo alla vita religiosa. Poco
prima di convolare a nozze con Ersilia, sua promessa sposa, parte romito per terre
lontane. Dopo molti anni di assenza, ritorna come pellegrino ospite della sua famiglia;
ovviamente nessuno lo riconosce, eppure tutti nutrono una forte simpatia nei suoi confronti. Durante la sua permanenza è continuamente tentato dal demonio Asmodeo
affinché riveli la sua vera identità, ma confortato dalla preghiera e dall’intervento di un
Angelo riesce a mantenere il suo segreto fino a quando subentra il momento del trapasso in cui rivela alla sua famiglia, tramite una lettera, la sua vera identità.
Questa è la trama essenziale, così come era stata sostanzialmente impiegata
nel celebre antenato di questo dramma: Il Sant’Alessio di Giulio Rospigliosi rappresentato con musiche di Stefano Landi a Roma nel 1632.
Il nostro libretto si apre con una lunga scena ambientata nell’inferno in cui i
demoni al cospetto di Lucifero raccontano, in una sorta di prologo, la storia di Alessio
e di come abbiano cercato di insidiarlo senza successo. Quindi Lucifero affida nuovamente ad Asmodeo l’incarico di far recedere Alessio dal voto di castità. In questi versi
traspare chiaro il richiamo alla tradizione gesuitica e alla loro disciplina:
20
Ralf Krause dice che prima che Leo concludesse i quattro anni di studio compose due drammi sacri: S.
Chiara o L’infedeltà abbattuta e, per l’appunto, S. Alessio che trovarono unanime plauso nelle esecuzioni al
teatro del Conservatorio e al Palazzo Reale nella stagione di carnevale del 1712 e del 1713. Cfr. Ralf K RAUSE,
La musica sacra di Leonardo Leo. Un contributo alla storia musicale napoletana del ‘700, Brindisi, Provincia
di Brindisi, p. 3. Fétis, dal canto suo, parla de Il Santo Alessio cantata religiosa eseguita dagli alunni del Conservatorio di Sant’Onofrio davanti alle porte del monastero di Santa Chiara. Cfr., Francois Joseph FÉTIS,
Biographie universelles des musiciens et bibliographie générale de la musique, Paris, Firmin Didot, 1868-1869,
8 voll.: vol. V, p. 274.
21
Si tratta di un esemplare unico legato all’ambiente benedettino marchigiano, risalente alla fine del XII - inizio
XIII sec., copiato nei primi anni del Duecento all’interno di un codice del monastero di Santa Vittoria in Matenano,
nella diocesi di Fermo. Il testo, che ci è giunto mutilo, è considerato una delle prime testimonianze della letteratura
italiana in lingua volgare, probabilmente una registrazione di un testo orale, ad uso dei giullari. Cfr. Enrico MALATO
(a cura di), Storia della letteratura italiana, Roma, Salerno, 1995, 12 voll.: vol. I, pp. 244-245.
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Il trionfo della castità di Santo Alessio. Il dramma religioso come antenato dell’opera buffa
Levietan
Non vuol del Padre il Giovan discreto
Contraddire ’l disìo:
Di veste ricche, e d’oro
In nobile lavoro
Sagace non ricusa,
Che apparisca fra gli altri ’l corpo adorno;
Ma poi di sotto intorno
Sopra la nuda carne
Con duri ferri aspre punture innesta;
In passatempi, e’n sesta
Tra compagni, ed amici non ischiva
Ritrovarsi per poco;
Ma nel più chiuso loco
Di sua Casa ridotto, quivi piange
Colli suoi l’altrui falli,
Al suo Signore orãdo, in chi sol si trova
Vero contento, e pace,
E così noi deride, e al Ciel piace.
(I,1)
3. Arie
Dall’analisi del libretto risultano impiegate 35 arie con da capo,22 di cui 6 di
sortita23 e 9 di entrata.24 Negli altri casi l’aria è collocata al centro della scena, nel
bel mezzo del recitativo che precede e segue come in un discorso diretto: siamo
ancora lontani da quella tendenza che si stava diffondendo nel melodramma serio
in cui, grazie alla riforma di Zeno, l’aria era separata dall’azione drammatica. Così
Eufemiano canta piangendo, proprio con lo stesso Alessio, il figlio disperso:
Eufemiano
*Alessio25
E non dovev’almeno
Sia da vicina, o da lontana parte
Scrivermi un foglio?
Oh Dio
22
Si tratta di una forma che ebbe un enorme successo nel Settecento e comprendeva due sezioni nettamente
distinte, seguite dalla ripetizione della prima parte (forma aba). Da un punto di vista musicale le due sezioni a
e b sono totalmente indipendenti e quasi sempre la sezione b non si conclude nella tonalità iniziale, ma in una
vicina, rendendo quindi necessaria la ripresa della sezione a per riconquistare la tonalità d’impianto. Cfr.
CARROZZO - CIMAGALLI, op. cit., p. 308.
23
È l’aria che apre la scena, in cui il personaggio uscendo dalle quinte sul palcoscenico si presenta. Ha una
funzione propulsiva rispetto alla vicenda. Cfr. ibid., p. 84.
24
È l’aria che chiude la scena, dopo di che il personaggio rientra fra le quinte; ha una funzione drammaturgia più statica perché quasi sempre il personaggio commenta quanto accaduto in scena. Cfr. ibid.
25
L’uso dell’asterisco, così come compare sul libretto, indica che il personaggio parla da parte.
208
Grazia Carbonella
Eufemiano
Da’ forza al petto mio
Figlio amato
Se sei vivo,
Non più ingrato
Mi far privo
D’un avviso almen di te:
E se morte
L’aspra sorte
Gia ti die,
Per consuolo
Del mio duolo
L’ombra bella veng’a me:
Figlio & c.
(I,3)
In questo libretto, così come nelle prime commedie in musica napoletane, è
forte l’influsso della commedia recitata, in cui il comico si accompagna al gusto per
il mezzo carattere, tanto da sfumare in momenti di malinconia e di introspezione. È
una comicità piuttosto lontana da quella della commedia dell’arte, impostata su
topoi e su personaggi fissi, sul gioco di parole e su allusioni oscene. L’elemento
comico qui agisce su due piani diversi: quello di Masullo e di Giampietro, e quello
di Cecchino. Se con i servi gli episodi comici nascono dalla rappresentazione del
quotidiano - e si tratta di buffonerie leggere e schiette - con Cecchino si avverte
tutto il Barocco e la sua dissimulazione, il servire con astuzia e con circospezione.
Così, rimproverando ad Alessio di mangiare pane a tradimento da ben diciassette anni in casa dei suoi padroni, Masullo dice:
Masullo
Mperzone
Commico statte zitto,
Già che te vene bona, tira nnante,
Ca è na bell’arte fare lo berbante.
A me che so de Napole,
Ammico de Salemme,
Co fà lo ghiemme ghiemme
Non me la suone no:
Sto ntiso de ste trapole;
A stì patrune racchie,
Rechiamme de vernacchie
Puo dì chello che buo.
A me che so & c.
(I,4)
È una comicità fresca quella di Masullo, è la voce del popolo che si esprime
con toni di accesa misoginia deridendo l’innamoramento di Valerio per Ersilia:
209
Il trionfo della castità di Santo Alessio. Il dramma religioso come antenato dell’opera buffa
Masullo
Chi fid’a femmena
Malanne femmena
Cridel’a me
Accossi dissero
Chille che morzero,
Accossi diceno
Chille che campano
E lo mmedesemo
Derranno ll’autre
Ch’appriesso veneno,
Ch’accossi è
Chi & c.
(II,8)
Diversa è la comicità di Cecchino, più sottile e più subdolo il personaggio.
Quando rivela di derubare puntualmente il cesto del pranzo destinato ad Alessio
così canta, chiudendo la scena:
Cecchino
Mangia pur’ a tuo piacere,
E puoi bere a sazietà
Ah, Ah, Ah
Che tu mangi, io mangerò,
E tu bevi, io beverò
Ma la pancia io m’empirò,
La tua vuota resterà.
Ah, Ah, Ah
Mangia & c.
(I,8)
Dello stesso stampo è l’aria in cui Cecchino descrive Alessio dopo che
Asmodeo, in forma umana, ha accusato di diffamare Eufemiano e tutti gli abitanti
della casa, suoi benefattori:
Cecchino
Vero, verissimo:
Certo, certissimo:
Tutt’e malizia,
Tutt’è tristizia,
da capo a piè:
Quel languidetto
Umil visetto,
Quell’occhio basso,
Quel tardo passo,
Per ingannare,
210
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Per funfantare
Fatto sol’è.
Vero & c.
(II,4)
Ma Cecchino è anche portavoce di una forte critica sociale:
Cecchino
[…]
Perché piange il Padrone
Ha da pianger la Corte? e pur’è questa
Del corteggian la vita.
Se vita puo chiamarsi
(Come disse colui) quella, che in Corte
È registrata al libro della morte:
Se non fosse in ver peccato,
Chi mi pose in questo stato
Vorrei sempre maledir:
Star soggetto de’ Padroni
Agli umori, or mali, or buoni
È un tormento da morir:
Se non fosse, & c.
S’essi piangon, s’ha da piangere,
S’essi ridon, s’ha da ridere,
E di piangere,
E di ridere,
Non avrai forse disir.
Star, & c.
Nella Corte in conclusione
Regna solo la finzione,
Non v’è amor, ne carità,
E chi fingere non sa
Mille torti ha da soffrir.
Se non fosse, & c.
(II,11)
Ed è indicativo come c’era ancora una certa cautela a esprimere palesemente
idee come queste, tanto che sul libretto è indicato di non mettere in musica questa
sezione. In queste parole si percepisce ancora tutto il peso del secolo appena trascorso, in cui la pratica della dissimulazione26 aveva contraddistinto qualunque atteggiamento di vita sociale.
26
“Affrontata dal pensiero classico e medievale come un problema eterno dell’uomo, del rapporto tra apparenza e realtà, tra menzogna e verità, essa fu considerata nel tardo Cinquecento e nel secolo successivo soprat-
211
Il trionfo della castità di Santo Alessio. Il dramma religioso come antenato dell’opera buffa
4. Concertati
Ci soffermiamo ad analizzare le due scene di alterco che nel Il trionfo della
castità di Santo Alessio chiudono i primi due atti con il terzetto Calista-MasulloGiampietro e il duetto Masullo-Giampietro.
Calista
Giampietro
Calista
Masullo
Calista
Masullo
Calista
Giampietro
Masullo
Giampietro
Calista
Masullo
Calista
Così parli briccone
Di una Donna mia pare?
Un fare llu smargiassu
Cca dintra, jammu fora,
Se boui brutto anemale,
Che cuomo pittu srappa ssu gangale.
E ti farò ancor io
Assagiar l’ira mia.
Facitev’a tenere
Ca mme facite torcere.
Arrogante:
O’ sio Roggiero mio, sia sbratamente.
O’ che brave nnamorate
N’autra cocchia addove ll’ascie:
Bella razza de verlascie
Potarriano certo fa:
Mala lingua, furfantone
Ti farà questo bastone
Dir’assè la verità.
Cuzzalune malandrinu
Puorcu, fintu, cannaijnu
Và ti mbizza de parrà;
Calista comincia a bastonare Masullo
Ma ve siti allecordate
Troppo a tardo: chiano, chiano.
Dalle buono a ssu berbante.
Prendi questa ch’è galante
Te sia cionca quella mano
To quest’altra.
Masullo procurerà sempre
tutto come un aspetto della vita politica e del costume del tempo.” Nel 1641 Torquato Accetto scrive Della
dissimulazione onesta, libretto che sarà ripubblicato nel 1928 da Benedetto Croce che individua il fulcro di
quest’opera nel voler salvaguardare “con la pratica del “viver cauto”, la libertà interiore dell’individuo ed
esaltarne il valore”. Per la durezza dei tempi e l’oppressione politica e culturale, la verità doveva rifugiarsi
nell’intimo, giustificando così il paradosso dell’accostamento tra dissimulazione e onestà. Cfr. Rosario VILLARI,
Elogio della dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, Bari, Laterza, 1987, pp. 18 e 30.
212
Grazia Carbonella
Masullo
Giampietro
Masullo
Giampietro
Calista
Giampietro
Masullo
di risparmiar’ esso dalle bastonate, e che
colpiscano Giampietro.
Scappa, scappa.
Zuc’alleffe, sbruffa pappa
Un fa arruri, jeu sulu piscu.
Dalle forte.
Stignu friscu.
Oimè stanca son giá.
Ahi, Ahi.
Ah, Ah, Ah, Ah, Ah, Ah, Ah
(I,11)
Questo concertato in ottonari e l’altro “Jeu signu nnuzente” (II,15) in quinari
variamente rimati per la loro stessa struttura testuale presuppongono una forma
musicale altrettanto chiusa. Si tratta di concertati dialogici d’azione che nascono
proprio nelle scene d’alterco: “vivacissime scene di confusione dove la stratificazione
polifonica ‘imita’ ancora il sovrapporsi delle voci nel brulichio sonoro del battibecco; solo in seguito, nella loro progressiva emancipazione, i pezzi d’assieme giungeranno invece a rappresentare le situazioni e i sentimenti più diversi, sino agli abissi
del dolore e della tragedia spalancati dal teatro di Mozart dove i concertati si estenderanno a macchia d’olio”.27
5. Conclusioni
Diversamente da quanto si potrebbe pensare per l’impiego del dialetto e per
la presenza di personaggi comici, il libretto di questo dramma è il frutto di una
precisa volontà di rinnovamento, compiuto in piena consapevolezza culturale. Si
tratta di un testo colto quindi, in cui le stesse citazioni dantesche ribadiscono una
solida formazione umanistica dell’ autore.
Nella scena sesta del primo atto Asmodeo a Valerio, che confida le sue pene
d’amore per Ersilia, risponde proprio con le parole di Francesca da Rimini (Inferno, canto V).
Asmodeo
Amore’n cor gentil ratto s’apprende.
(I,6)
E ancora echi danteschi risuonano nella falsa lettera di Ersilia che Asmodeo
consegna a Valerio contenente una sua falsa dichiarazione d’amore:
27
P. GALLARATI, Musica e maschera…, cit., p. 117.
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Il trionfo della castità di Santo Alessio. Il dramma religioso come antenato dell’opera buffa
Valerio
Asmodeo
Valerio
Ersilia scrive?
Appunto.
O note care,
Dolce nome adorato.
Amor, che a un cor’amato
Non perdona l’amar, dalla mia mente
Sgombrato ogn’altro affetto
Gia m’accese ’l desio
D’esser tua serva, e sposa.
(II,2)
Legge
Così sembra di risentire Catullo e il suo amore per Lesbia,28 quando Valerio
s’illude per la confessione d’amore dichiarata nella falsa lettera da Ersilia e così
canta:
Valerio
Con cento baci, e cento
Pegni del mio contento,
Ricevo del mio ben
L’amato foglio:
E un di se bacerò
La man, che lo vergò
Per sempre nel mio sen
Tener lo voglio
Con, & c
(II,2)
Il carattere colto della composizione si evince dalla stessa dedica del dramma. Si tratta della contessa Camilla Barberini Borromei, vice regina del regno di
Napoli, come si legge sul frontespizio del libretto. Pronipote di Urbano VIII e
figlia del principe di Palestrina, aveva sposato nel 1689 Carlo Barberini che dal
1710 al 1713 era stato insignito della carica di viceré di Napoli, dopo che gli antichi
domini spagnoli d’Italia erano passati all’Austria.29 La dedica è firmata dal delegato
e dai governatori del Conservatorio e questo ci fa capire che il dramma era chiaramente un dono di riguardo e che non poteva che essere frutto di un accorto lavoro
tanto musicale che letterario.
28
29
Ovviamente si tratta del celebre Carmina V.
Cfr. http://www.borromeo.it/storia.htm, dicembre 2004.
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