PEDAGOGIA, RECUPERO E INTEGRAZIONE TRA TEORIE E PRASSI

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Paolina Mulè
(a cura di)
PEDAGOGIA, RECUPERO E
INTEGRAZIONE
TRA TEORIE E PRASSI
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Ringraziamenti
8
Premessa: È tempo di unità. È tempo di sfide
MICHELE CORSI
9
Introduzione
PAOLINA MULÈ
17
PARTE PRIMA: LA DIMENSIONE TEORICA
21
Formazioni sociali, istituzioni dell’autonomia e pubblici poteri
nel processo di formazione della personalità e della cittadinanza
GIUSEPPE VECCHIO
23
Brevi riflessioni sull’integrazione scolastica
IGNAZIO VOLPICELLI
40
Integrazione e preparazione alla vita
LUIGI D’ALONZO E SILVIA MAGGIOLINI
46
Educazione dei minori in difficoltà tra istanze pedagogiche
e solidarietà sociale
LUIGI PATI
59
La pedagogia come problema dell’integrazione tra possibilità
e utopia. Alcune riflessioni
GIUSEPPE SPADAFORA
68
Il dialogo educativo centrato sull’empatia
ANTONIO BELLINGRERI
82
Formare per la democrazia e l’integrazione delle differenze:
la nuova paideia per una solidarietà come pratica educativa
STEFANO SALMERI
92
PARTE SECONDA: LA DIMENSIONE STORICO-TEORETICA
107
La pedagogia: in principio era integrazione sociale
GAETANO BONETTA
109
La formazione dei minori nella prospettiva della pedagogia critica
ANTONIA CRISCENTI
123
Oltre l’integrazione: le sfide della formazione e la democrazia
come compito nel mondo contemporaneo
LETTERIO TODARO
135
Il razionalismo critico come pedagogia dell’emancipazione
della persona
GIOVAMBATTISTA TREBISACCE
146
PARTE TERZA: LA DIMENSIONE APPLICATIVA
153
La qualità delle integrazioni per un percorso di vita inclusivo
GIUSEPPE ELIA
155
Dall’emarginazione all’integrazione. Percorsi, processi e approdi
VIVIANA BURZA
165
Il docente promotore dell’integrazione e dell’inclusione sociale
nella scuola dell’autonomia
PAOLINA MULÈ
176
I principi pedagogici della Costituzione italiana come problema
dell’integrazione sociale
CLAUDIO DE LUCA
191
Pratiche educative di speranza per l’integrazione dei giovani
ANGELA CATALFAMO
L’integrazione di genere nella letteratura latina.
Alcune considerazioni pratiche
CRISTINA DE LA ROSA CUBO
200
213
PARTE QUARTA: LA DIMENSIONE SCOLASTICA E
L’IMPEGNO SOCIALE
Ricerche e buone pratiche di integrazione tra Accademia e Scuola:
il ri-conoscimento della persona
ZINA BIANCA
Ripensare la scuola alla luce dello sviluppo professionale
FRANCESCA PULVIRENTI
227
229
240
Riflessioni sulle modalità di recupero per gli alunni in difficoltà
negli Istituti Secondari di II grado
GIOVANNI TORRISI
250
Il culto del progresso: meno certezze e qualche ragionevole dubbio.
L’educazione come profilassi per una società dell’integrazione
GIOVANNI VECCHIO
255
Esperienze d’integrazione nella Scuola Secondaria di I grado
TINA FALLICO
Le linee europee dell’integrazione: il dialogo e il confronto
oltre i confini
ALESSIO ANNINO
Musicoterapia a scuola per l’integrazione. Percorsi didattici
CORRADO MUSCARÀ
262
271
283
La co-costruzione di percorsi di cura e di ambienti inclusivi
attraverso il patrimonio culturale. Un’interpretazione pedagogica
MARIA GRAZIA BREDA
293
Indice dei nomi
305
Appendice
311
Indice degli Autori
315
Ringraziamenti
È mio dovere rivolgere un particolare ringraziamento a tutte le Autorità
Istituzionali, a tutti i colleghi, ai dirigenti scolastici, agli insegnanti, agli
assistenti sociali, agli studenti universitari e di scuole secondarie che hanno
colto l’invito a partecipare al Convegno, ai miei collaboratori per il lavoro
che hanno svolto.
Parimenti, come curatrice del volume, esprimo un sincero ringraziamento al mio Maestro prof. Giuseppe Spadafora, per i preziosi suggerimenti scientifici che mi ha proposto, al Direttore del Dipartimento di
Scienze Politiche e Sociali, prof. Giuseppe Vecchio, per l’inestimabile ed
incommensurabile sostegno di questi anni, al Presidente della Siped, prof.
Michele Corsi, per l’apporto scientifico e l’impegno politico-istituzionale
che nel corso di questi anni ha profuso nell’Associazione Siped, creando una pedagogia più unita e solida, tanto da lasciare ai giovani studiosi
un’impronta decisiva ed indelebile da tenere sempre in considerazione nel
proprio percorso di crescita culturale e professionale, nonché ai relatori, ai
dirigenti scolastici che ne hanno permesso la realizzazione.
Catania, aprile 2013
Paolina Mulè
8
Premessa
È tempo di unità. È tempo di sfide
MICHELE CORSI
Il tempo o lo spazio di una breve introduzione non possono che essere
fisiologicamente ristretti.
Mi limiterò, quindi, soltanto ad alcune rapide considerazioni sul vasto
e composito cristallo tematico dei contributi presenti in questo volume,
per passare, poi, ad alcune osservazioni di carattere generale sullo stato
complessivo di “salute” (a oggi in netto miglioramento) della pedagogia
italiana e a talune “sfide” (che considero prioritarie, fondamentali, irrinunciabili, nella particolare stagione del nostro Paese e dell’università)
cui corrispondere con ardore giovanile (e dunque creativo) e lungimiranza
(reale): prospettica, profetica e politica, del tutto adulta, se non addirittura
convenientemente “senile” (allorché in buone condizioni). Messi da parte,
e quanto più possibile archiviati, emozioni e interessi scarsamente commercializzabili.
Perché la presentazione di una monografia può essere opportunamente
colta anche come un’occasione per non parlare (o scrivere) solo “in pedagogia”, ma pure “sulla pedagogia”. E non soltanto implicitamente. Bensì
esplicitamente. Giacché la scelta di qualsivoglia argomento cui dedicarsi:
tradizionale o innovativo, letterario o di ricerca, è sempre, nondimeno, la
definizione di un particolare punto di vista, da parte di uno o più autori, che
muove da una disciplina e dal riconoscimento dello stato dell’arte disponibile su un oggetto specifico, per tendere al miglioramento e al progresso
sia di quella particolare materia di indagine che di quel peculiare settore
scientifico.
Da qui la mia decisione, in queste pagine, di rivolgere l’attenzione sia
a quanto questa monografia individua e propone, e cioè a un discorso “in
pedagogia”, sia di riflettere (nel senso etimologico del termine), a partire
9
anche da questa curatela, “sulla” odierna “pedagogia” italiana. A motivo
del ruolo di “servizio” da me svolto in questi ultimi anni.
Non senza ringraziare prima, però, l’amica e collega Paolina Mulè per
lo sforzo generoso di un’assise scientifica la cui traduzione operativa per
tutti, e rivolta pertanto a un pubblico vasto di lettori interessati (docenti
di ogni ordine e grado scolastici, studiosi di discipline pedagogiche e di
scienze limitrofe o confinanti, operatori dei servizi, studenti, genitori e,
auspicabilmente, politici e “curatori della cosa pubblica”, ecc.), è rappresentata, appunto, dalla pubblicazione di questa monografia affidata alla sua
cura attenta e sapiente.
E, con lei, ringraziare l’amico professore Giuseppe Vecchio, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, che ha inteso ospitare,
nella cornice geografica del suo Ateneo, la nascita di questa nuova e ponderosa fatica scientifica. Un insigne studioso di diritto privato, il collega
Vecchio, che ha particolarmente a cuore la presenza e lo sviluppo della
ricerca pedagogica nell’istituzione di cui è responsabile. Un motivo in più,
questo, e assolutamente non banale, per cui essergli sinceramente grati e
riconoscenti.
Unitamente alla professoressa Maria Luisa Carnazza, Prorettore
dell’Università di Catania, in nome e per conto del Magnifico Rettore: professor Antonino Recca, cui mi lega un’antica consuetudine di frequentazione accademica.
Dichiarando nondimeno, e da subito, che amo in modo del tutto speciale questa splendida terra di Sicilia, le persone che l’abitano, la sua storia,
la sua cultura, il suo incommensurabile fascino plurimillenario. Tanto da
esserci venuto spesso, sin dalla fine degli anni ’70, in vari ruoli e con diversi obiettivi di ricerca e di servizio. E ultimamente, nel giro di pochissimi
mesi: a ottobre del 2012 a Palermo ed Enna; e a febbraio 2013 a Catania,
per questo convegno e per il presente volume che ne raccoglie gli atti.
Così come non mi sono di meno care le sue quattro università: Catania,
per l’appunto, Messina, Palermo, sino alla più giovane Enna. Un sistema universitario, quello siciliano, che ha annoverato, tra le sue importanti
schiere di pedagogisti, nomi prestigiosissimi che hanno illustrato autenticamente la pedagogia italiana, varcando ampiamente i confini della loro
collocazione istituzionale e della loro origine. Tra quelli più vicini cronologicamente: Mario Manno e Leonardo Patanè, Fanny Giambalvo e Letterio
Smeriglio, sino alla straordinaria presenza scientifica di Gino Corallo e
Giuseppe Catalfamo.
Atenei, quelli siciliani, che hanno avuto pure, tra i loro docenti, molti
10
altri celebri colleghi pedagogisti italiani, tuttora in servizio o appena in
quiescenza, che vi hanno trascorso i loro iniziali anni di carriera, provenendo da ogni dove d’Italia.
E, insieme agli attuali e validissimi professori e professoresse incardinati, diversi giovani di valore, donne e uomini, che si stanno facendo
apprezzare e conoscere in Italia per i loro primi studi rigorosi e di qualità,
innovativi anche per le tematiche affrontate.
Venendo ora al tema specifico di questa importante assise e, quindi,
della curatela che ne è scaturita, esordisco con l’affermare che condivido
pienamente tutte le articolazioni e le proposte pedagogico-educative e di
“cultura civile e democratica” contenute nell’occhiello che ne accompagnava a suo tempo il programma, e che sono ricomprese interamente nei
saggi che compongono il volume.
Tali da poter essere sintetizzate complessivamente in quattro macroazioni fondamentali, da attuare con urgenza e perseguire irrinunciabilmente, quali, nella fattispecie, l’aprirsi alla storia e al “cambiamento opportuno”, e il fare sinergia ovunque e comunque (necessitata del resto, quest’ultima, dalla condizione “critica” e malmessa della nostra contemporaneità),
attraverso “l’incontro, il dialogo, la reciprocità e la differenza valorizzata”. Ridando spazio, e rinnovato vigore, alla scuola e alle famiglie tutte e,
dunque, a ogni persona, nessuna esclusa, di qualunque condizione fisica e
umana, che sia normodotata o con disabilità, oppure “differente” (com’è
di fatto ciascuno di noi) per nascita, ceto, cultura e scelta di vita, “nella società che vorremmo”, e che definiamo “umana”, ma che ancora umana non
è, emancipando piuttosto l’una e le altre. Con la dovuta e imprescindibile
attenzione alle categorie oggi più deboli e, tra queste, oltre naturalmente ai
soggetti portatori di handicap, ai giovani, rendendoli autenticamente competenti e flessibili, così da metterli in grado, anche in termini occupazionali, mediante la costruzione di una “coscienza” pure “etica”, non meno che
professionale, di abitare il presente e il futuro che li riguarda.
Sicché, a volere utilizzare le due “parole forti” di questa assise e dell’impianto generale del volume, si possa tendere davvero, attraverso il “recupero”, all’“integrazione”.
Che sono, poi, queste azioni e questi verbi “leader”, i “contesti” dei vari
“testi” ascoltati e prodotti a opera degli autorevoli esponenti del mondo
accademico e di quello scolastico, via via intervenuti o presenti nella monografia.
“Unità” e “sfide” che sono, peraltro, i due termini che ho utilizzato quali
parametri “di senso” per definire l’orizzonte tematico di questa introduzio11
ne (e non solo). Tali, a ogni modo, da connotare, effettivamente ed efficacemente, anche la proposta globale di questa monografia. Così da disporre
finalmente di un Paese: l’Italia, unito e unico, a vantaggio di tutti i suoi
cittadini e a una sola velocità, senza sacche ulteriori di esclusi, emarginati
e marginali.
Unità, in una duplice direzione.
Ad intra: ad esempio tra i pedagogisti italiani qui coinvolti, che rappresentano equamente le due grandi antropologie di riferimento della pedagogia accademica nazionale: quelle di ispirazione cristiana e di matrice
laica.
Ad extra: fra il mondo dell’università e quello della scuola militante.
Molti, infatti, i contributi dei dirigenti scolastici opportunamente ospitati in
queste pagine. Due macro-ambiti istituzionali: scuola e università, chiamati ancora a tessere una corretta strategia comune, pure a fronte dei diversi
Governi di turno, capace di superare antiche rivalità e pretestuose opposizioni, pregiudizi e “invidie”, disconoscimenti reciproci basati su false ed
erronee interpretazioni del pensare (la teoria) e del fare (l’azione), in una
situazione di parità sinergica e formativa nelle differenze che nondimeno li
caratterizzano, tuttora da costruire. In vista dell’unico “bene” da realizzare:
il bene della nostra nazione, della democrazia reale, di tutti i suoi cittadini,
uno per uno e nessuno escluso, dell’educazione e della piena cittadinanza.
E, poi, le “sfide” qui rappresentate.
L’integrazione scolastica e la “costituzione” di un autentico ethos democratico, l’educazione dei minori in difficoltà e la preparazione dei giovani alla vita, il disagio sociale e le tante forme di devianza oggi esistenti,
la formazione scolastica e professionale, come quella docente, iniziale, in
servizio e permanente, scuola e famiglia, normalità e disabilità, che sono,
per un verso, le architravi fondamentali della proposta culturale e pedagogica di questo volume e, per altro, le autentiche prove (o minacce) che
attendono al presente persona e società, tali da non essere ulteriormente
disattese ma, anzi, da accogliere e superare con sufficiente celerità. Recuperando pure le “virtù”, quali altre e diverse sfide nelle sfide, interconnesse
tra loro, del dialogo e della solidarietà, della speranza e dell’empatia, della
“memoria” e del “progresso” correttamente interpretati, come della possibilità “praticabile” e dell’utopia, in una sana relazione d’aiuto tra tutti gli
esseri umani, in grado di riconoscersi finalmente nella pari dignità esistenziale e nel rispetto reciproco.
Ho scelto però – come ho già scritto all’inizio – di non entrare più di
tanto o unicamente, in questa introduzione, nel merito dei contenuti te12
matici del volume, e delle loro conseguenti declinazioni, perché correrei
nondimeno il rischio, tutt’altro che remoto, di dar vita a un’operazione,
maldestra e inopportuna, o addirittura presuntuosa, di voler “quasi” sintetizzare gli interventi e i contributi dei colleghi. Col pericolo, in aggiunta,
d’interpretare quanto hanno scritto e adeguatamente argomentato, che è,
poi, il limite intrinseco di ogni possibile interpretazione. Lasciando piuttosto ai lettori, che mi auguro numerosi e sicuramente attenti, di apprendere
direttamente alla fonte quanto sarà certamente utile alla loro formazione,
vita e attività professionale.
Per tracciare qui, sugli stessi duplici orizzonti dell’unità e delle sfide,
anche una sintesi che definirei di natura “politica” (di politica societaria e di
prospettiva culturale in senso lato) di questi quasi cinque anni di “servizio”
quale presidente della Società Italiana di Pedagogia e coordinatore della
Consulta Nazionale di Pedagogia, ormai “felicemente al termine” per me e
per tutti i colleghi in interesse, indicando nel contempo alcune sfide tuttora
aperte (che consegno alla riflessione dell’intera compagine accademica, e
ai “tempi che verranno”), trattando, invece, di un’altra categoria “debole”
(accanto a quelle, ampiamente affrontate e resocontate nel volume, dei minori come dei disabili, dei giovani come delle istituzioni, ecc.): la pedagogia italiana. Ora fortunatamente “meno debole”, e dunque in buona misura
“recuperata” e “integrata”, a motivo delle azioni poste maggiormente in
essere almeno in questi ultimi sette-otto anni, e per le energie indistintamente profuse. In sintonia, del resto, con il tema stesso di questo convegno
e con le “operazioni di valore” proposte in queste pagine.
La sua “integrazione” ad intra e ad extra (parlo della “pedagogia italiana”), quale elemento di processo, raggiunta, sia pure con fatica, e in
larghissima parte (ma non totalmente, e sempre fragile e precaria), da non
far decadere, ma anzi incrementare.
E l’“inclusione”, in termini di prodotto, ormai conseguita, all’opposto
e in forma consistente, nel concerto delle scienze italiane, e in particolare
delle scienze umane e sociali, come delle istituzioni che le rappresentano: anche qui da rinforzare a livello sia nazionale che perlomeno europeo,
pena il declino delle stesse discipline pedagogiche.
Perché a tornare deboli ci vuole poco. E la storia, “maestra di vita”, lo
insegna con abbondanza.
I conflitti largamente risolti all’interno della compagine pedagogica nazionale, che mi auguro nessuno voglia più riesumare, di inutili e dannose
“guerre di religione” o di malesseri interpersonali, talora pure futili e banali, unitamente alla riflessione “virtuosa” che ha accompagnato questo
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processo parimenti virtuoso, all’insegna di orizzonti indefettibili da non
abbandonare – ma al contrario accrescere – quali il “merito” e la “cultura” (la cultura scientifica, politica, prospettica e progettuale – con antico
termine: la cultura realmente accademica), hanno permesso di volare più
in alto e di accreditarci o ri-accreditarci quali pedagogisti, e con stima, nel
rapporto con gli altri settori scientifico-disciplinari: dagli storici ai filosofi,
dagli psicologi agli antropologi, agli umanisti in genere, ma anche con i
rappresentanti delle cosiddette scienze “dure o esatte”.
All’interno dello stesso Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dove oggi la pedagogia italiana è accolta con rispetto.
In sede ANVUR, dove una consultazione continua e costante ha rimesso al centro l’ascolto della componente pedagogica nei processi connessi,
ad esempio, alla Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) in ordine
alla quale voglio augurarmi che gli esiti, che si conosceranno a breve, non
facciano registrare lo stesso fallimento che venne lamentato ai tempi del
CIVR, da cui la pedagogia uscì pressoché distrutta “per colpa soltanto dei
pedagogisti”. Voglio cioè sperare (cristianamente e laicamente alla Bertin)
che le operazioni di referaggio legate al “segreto dell’urna”, e connesse “al
ribasso” non già per inoppugnabili ragioni di minore validità scientifica,
bensì, magari, per calcoli levantini di corto respiro del tipo “peggio valuto
un collega, meglio si collocherà la mia sede”, o emozioni adolescenziali
quali il narcisismo o l’autolesionismo, umanamente sempre possibili, non
consegnino, ancora una volta, il risultato di una pedagogia “che si fa male
da sola”. Anche perché ora “non si scherza più”: bassa valutazione vuol
dire mancanza di quota premiale; questo vuol dire il fallimento dei bilanci
di ateneo e l’impossibilità a bandire; con concorsi – conseguentemente
pochi – che si apriranno subito dopo le abilitazioni, affollati da candidati,
bravi o bravissimi, che verranno da tutta Italia.
Oppure all’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), dove la migliore
considerazione della pedagogia italiana ha consentito una serena individuazione delle riviste scientifiche, specie di fascia A, per giunta in progress
dalla VQR all’ASN, così come il ripensamento avvenuto sulle case editrici
e sulla loro collocazione o distribuzione “di merito” (che tutti si temeva
come un “affaire economico” e basta, se non opportunamente mediato),
che ha offerto la possibilità di una riflessione più distesa e pacata, da condividere e costruire nel tempo tra società scientifiche e ANVUR.
Con la scelta, in ordine ad esempio alla VQR (e congiuntamente all’area
11 del Consiglio Universitario Nazionale: CUN), di quattro pedagogisti,
nel team principale di referaggio (da parte dell’ANVUR), che rivestivano,
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tra l’altro, importanti cariche istituzionali (di Presidente dell’allora Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Scienze della formazione e di Presidenti di due società scientifiche di ambito pedagogico) e, ancora, nemmeno
inopportunamente (con riferimento alle due antropologie di riferimento
che caratterizzano la pedagogia in Italia): due cattolici e due laici. Con la
nomina, a seguire, di Massimo Baldacci, past president della Società Italiana di Pedagogia, nella “Commissione per l’accreditamento delle riviste
scientifiche”. Ad altro ancora.
In sede CUN: dove gli ottimi rapporti stabilitisi, particolarmente nell’ultimo biennio, con i filosofi, gli storici, gli psicologi, gli antropologi, ecc.
hanno reso possibile (e mai prima nella “storia” della pedagogia di questo
Paese) l’elezione di un pedagogista nel Consiglio Universitario Nazionale.
Eppure, a votare, è andata soltanto una parte non rilevante o consistente dei
pedagogisti italiani. Con quale intelligenza politica, dimostrata al riguardo,
è un capitolo che meriterebbe un discorso a parte; ma, nondimeno, con un
impegno di presenza, e non di delega, su appuntamenti tanto importanti,
che va maggiormente realizzato e perseguito.
Che il clima è comunque cambiato nei confronti della pedagogia italiana, ne è inconfutabile riprova che, da molti mesi ormai, non si è più al
centro di attacchi inverecondi e ingiustificati sulla stampa nazionale.
Ora tocca, di nuovo e soprattutto, all’intera compagine pedagogica di
questo Paese.
Tra pochi mesi, infatti, lascio i miei mandati nazionali (come tra sette
anni il “servizio attivo”), e li lascio soddisfatto dei risultati raggiunti con
la piena solidarietà dell’intero Consiglio Direttivo della Società Italiana di
Pedagogia e dell’intera Consulta Nazionale di Pedagogia.
Li lascio consegnando, però, alcune sfide tuttora aperte, e non concluse.
La prima è quella di lavorare ancora di più a favore dell’unità della
pedagogia italiana. Una pedagogia di nuovo divisa e lacerata, per inconsulti malanimi, la farebbe ripiombare nell’angolo o nel dimenticatoio. Con
“vendette” a venire, che farebbero male soprattutto ai giovani in carriera
e, tra costoro, a quelli accademicamente più esposti o indifesi. Una pedagogia, quella italiana, che, nella continuità con gli stili e le prassi della
sua tradizione accademica e societaria, e soprattutto nella “pace” tra tutti,
deve poter esprimere, di volta in volta, un’“aristocrazia di governo” che
costruisca un futuro migliore da consegnare alle successive “aristocrazie di
governo”, nella più opportuna interpretazione della leadership scientifica
e culturale.
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La seconda è il miglioramento della produzione scientifica complessiva. Una produzione scientifica che, mentre non deve abbandonare i filoni
storici della più antica e gloriosa tradizione della ricerca pedagogica in
Italia, deve farsi più attenta alla contemporaneità, non già per un malinteso
nuovismo a tutti i costi, ma perché compresa del valore del dato empirico,
dell’approccio sperimentale (con metodologie serie e non evidentemente
fragili) e del fatto che l’educazione è un cristallo complesso a 360°. E non,
ora, quello o quell’altro angolo acuto. O, peggio, “ottuso”.
La terza è la crescita nazionale, e soprattutto internazionale, dei ricercatori e degli associati delle discipline pedagogiche incardinati nelle università italiane. I primi a credervi davvero, e a confidare totalmente in costoro,
devono essere i loro ordinari di riferimento. E quindi, “non temendone
l’ombra”, affidare loro, ad esempio, e il prima possibile, incarichi di prestigio togliendoli a se stessi, incrementarne il curricolo (si pensi ai titoli
e ai parametri richiesti per l’ASN, vigenti da larghissimo tempo nel resto
d’Europa) e altro ancora.
Perché la Società Italiana di Pedagogia o la Consulta Nazionale di Pedagogia possono “raccomandare” l’internazionalizzazione, come del resto
si sta facendo da almeno due-tre anni, o una produzione scientifica più
solida e innovativa al pari del giusto missaggio tra quantità e qualità, e con
criteri che valgono indistintamente per tutti e quattro i settori pedagogici e
i suoi articolati sotto-settori, pure nel riconoscimento delle differenze esistenti (che non può essere, però, un alibi o peggio), ma non può certamente
“imporre” l’adozione “di fatto” di siffatti e opportuni comportamenti, virtuosi da sempre e imprescindibili al presente.
Ma ho già rubato troppo spazio, e concludo. Augurando una felice lettura di quest’ampia e densa monografia, e ringraziando ancora una volta
Paolina Mulè, le colleghe e i colleghi catanesi, per l’opportunità che ci
hanno offerto durante il convegno, che ha permesso la nascita di questo
bel volume, di stare assieme e di crescere insieme, scientificamente e umanamente. E, ora, di goderne i frutti, con il dono di questa importante e
preziosa curatela che rappresenterà un significativo caposaldo di sintesi e
di proposta pedagogica per molti anni a venire.
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Introduzione
PAOLINA MULÈ
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
(Art. 3, Costituzione della Repubblica Italiana)
Il volume raccoglie gli Atti del convegno La pedagogia come problema
del recupero e dell’integrazione che si è svolto nell’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania, nei giorni 15 e 16 febbraio 2013. Il Convegno di Studio si è collocato
all’interno del Ciclo di Seminari: Problemi di politica della formazione tra
passato e presente. Dalla riflessione teorica all’impegno sociale, che da
circa 3 anni si svolge presso lo stesso Dipartimento, offrendo agli studenti,
ai dirigenti scolastici, ai docenti, agli operatori sociali (assistenti sociali,
educatori professionali), l’occasione per riflettere, questionare sulle prospettive di una disciplina pedagogica che di fatto è aperta storicamente e
vocazionalmente a molteplici piste di indagine ed ottiche diverse, spesso
anche apparentemente contrastanti ed inconciliabili tra loro.
Gli autori, pur nella ricchezza e nella varietà delle interpretazioni, hanno
cercato di esplorare alcune tematiche della ricerca pedagogica, focalizzando, in particolare, due nodi centrali specifici: 1. la complessità del sapere
pedagogico oscillante tra la teorizzazione e le sue possibili applicazioni; 2.
la problematicità e l’imprevedibilità del processo formativo, che si misura con la vita delle persone, che danno forma all’interno di contingenze
storiche e sociali alle loro complesse e problematiche esperienze di vita.
Il tentativo è stato quello di focalizzare gli impliciti pedagogici presenti
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all’interno del tema del recupero e dell’integrazione, non più e non solo
indagato in relazione ai diversamente abili, ma in relazione ai diversi e differenti gruppi umani, facendo leva sulla loro integrazione ed inclusione.
Il tentativo è stato quello di focalizzare gli impliciti pedagogici presenti
all’interno di questo tema del recupero e dell’integrazione, non più e non
solo indagato in relazione ai diversamente abili, ma in relazione ai diversi e
differenti gruppi umani, facendo leva sulla loro integrazione ed inclusione;
concetti questi ultimi concepiti come costrutti pedagogici con un forte senso teoretico, che chiamano in causa tutti i soggetti educandus (i cosiddetti
normodotati) ma anche i diversi soggetti istituzionali impegnati in azioni
educative, istruttive e formative come la famiglia, la scuola, l’extrascuola: dalle agenzie formative non formali a quelle informali. È stata perciò
l’occasione che ha condotto a ripensare, nell’età contemporanea, ruoli e
funzioni di docenti, dirigenti scolastici, famiglia ed istituzioni in genere,
nell’ottica dell’integrazione e dell’inclusione formativa e sociale.
Si è evidenziata la necessità di promuovere una pedagogia critica
dell’emancipazione volta ad analizzare, interpretare, disvelare tutte le categorie pedagogiche e scolastiche significative, al fine di dare senso e valore
all’esistenza del soggetto-persona che, oggi, sempre più appare disorientato in una società dell’incertezza e della precarietà. Questa prospettiva
è stata il fil rouge delle relazioni e delle comunicazioni presentate nelle
diverse sessioni del convegno, che nel volume si svelano, dalla prima, in
cui si affronta la questione della pedagogia come problema del recupero
e dell’integrazione in ordine alla dimensione teorica; alla seconda, in cui
si analizza la dimensione storico-teoretica del tema; alla terza, in cui si
sviluppa la dimensione applicativa ed, infine, alla quarta, in cui centrale
diventa la dimensione scolastica e l’impegno sociale.
In sintesi, nei saggi presentati nelle quattro sessioni emerge che la pedagogia, la scuola, le comunità e l’Università devono riappropriarsi di
quel senso di comunità per costruire una società democratica, chiamata a
realizzare l’integrazione e la piena inclusione formativa e sociale di tutti
i soggetti-persona da educare e formare. Emerge ancora che la pedagogia
ha il compito, oggi più che mai, di promuovere una nuova Paideia, una
nuova educazione alla democrazia aperta alle relazioni, all’incontro, alla
reciprocità, al dialogo, alla differenza valorizzata, ad un nuovo civismo.
In questo senso, la sfida della complessità pedagogica crea la molteplicità delle possibilità, generando in ragione della molteplicità la precarietà
di forme condivisibili socialmente, con la conseguenza che la pedagogia
ha il compito di riflettere sulla formazione e l’orientamento dei giovani
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per una società migliore, nonché di renderli sempre più competenti e consapevoli alla preparazione alla vita, a progettare la propria esistenza attraverso percorsi più umani possibili; di educarli per un futuro più vivibile;
di promuovere una coscienza europea; di costruire la coscienza etica sia
attraverso un’educazione alla comprensione disciplinare e, ad un tempo,
umana, sia attraverso l’analisi e la promozione di una nuova educazione,
di una nuova democrazia aperta alle relazioni, all’incontro con l’Altro, alla
partecipazione, alla condivisione di valori autentici, allo scambio reciproco, alle differenze, ad un nuovo senso civico, al senso della dignità umana
e, infine, allo sviluppo dell’antropoietica, presupposto essenziale per la
rigenerazione della solidarietà, della responsabilità etica e politica del XXI
secolo.
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PARTE PRIMA
LA DIMENSIONE TEORICA
Formazioni sociali, istituzioni dell’autonomia e pubblici
poteri nel processo di formazione della personalità e
della cittadinanza
GIUSEPPE VECCHIO
1. La rappresentazione della distinzione dei poteri e delle responsabilità nella modernità: Stato e Società
La stagione che stiamo vivendo rappresenta un momento di profonda
svolta e di significativa revisione di concezioni del rapporto fra Stato e
società (diffuse e radicate, ormai, da almeno un secolo).
L’idea di base che lo Stato sia il terminale ultimo delle esigenze e delle
istanze che vengono espresse dai “mondi vitali” è, probabilmente, il risultato di un complesso processo di strutturazione della Società e dello Stato
che risale allo stesso momento originario dell’individuazione e specificazione dei due concetti.
Tutte le volte che usiamo “Stato” e “Società” come termini di una (presunta) coppia oppositiva, probabilmente, incorriamo nell’errore di considerare ciascuno di loro come espressivo di un contenuto statico e atemporale.
Sarebbe opportuno che, invece, cominciassimo a ragionare a partire
dalla storica e contingente dimensione dell’uno e dell’altra, dalla loro configurazione filosofica nella modernità, dai limiti ideologici della costruzione e dell’uso della coppia, dalla constatazione del limite mobile delle
concezioni dell’interesse “pubblico” e del suo contrapposto “privato”.
Potrebbe essere altrettanto opportuno ricostruire le forme giuridiche
con le quali le stesse formule sono state rappresentate e istituzionalizzate
nel corso della storia, soprattutto dell’età moderna.
L’elemento più significativo del processo che esprime la coppia “Società/Stato” è probabilmente quello che istituisce la separazione delle varie
23
categorie d’interesse attraverso la loro configurazione simbolica (formale
e legale) come “diritti”.
La novità profonda e radicale della modernità successiva alla rivoluzione francese è quella della riorganizzazione formalizzata dei confini tra
aspetti “privati” e aspetti “pubblici” degli interessi della vita. La separazione dell’aspettativa “di diritto” dalle aspettative che possono essere soddisfatte solo per il tramite di una decisione superiore e “generale” costituisce
la “novità” bicentenaria attorno alla quale continuiamo a riflettere.
Di volta in volta, ci poniamo il problema del rapporto fra Società e
Stato, adottando uno schema di rappresentazione simbolico che riconduce
ad un’apparente e formale divisione ontologica: da una parte, ciò che è
solo una mobile demarcazione tra quello che possiamo fare da soli (magari
con la garanzia che nessuno possa interferire nel nostro agire); dall’altra,
quello che invece possiamo fare nell’esercizio di equilibri, compatibilità,
decisioni che solo l’esercizio di poteri collettivi ci consente.
Questo mobile confine è storicamente determinato da una complessa
concorrenza di condizioni. La stessa struttura sociale degli ambiti di soddisfazione dei bisogni vitali determina la configurabilità di ciascuna tipologia di azione come rilevante/irrilevante per la sfera dei comportamenti
formalizzabili.
Certamente non secondario risulta, in tale contesto, il condizionamento
dell’evoluzione delle conoscenze e dei sistemi tecnologici che ne consentono l’applicazione. Dal possesso individuale delle varie conoscenze (si
pensi all’area medica), alla disponibilità delle sempre più complesse attrezzature necessarie alle applicazioni tecnologiche (si pensi ai sistemi di
diffusione e condivisione dell’informazione), le relazioni significative tendono a oscillare fra gli ambiti di dominio diretto dei cittadini e gli ambiti di
necessario intervento collettivo.
Potrebbe essere utile sviluppare una “storia parallela” della concezione
dei diritti e dell’avanzamento tecnologico per coglierne l’intrinseca connessione sui vari piani della struttura dei poteri di appartenenza, di “manipolazione”, di influenza sulle stesse concezioni antropologiche.
Il terreno dei processi di formazione della personalità e di tutela
dell’identità individuale (fisica, psichica, relazionale) è certamente uno di
quelli sui quali si registra il più significativo intreccio di problemi di distinzione e di connessione della distinzione fra “pubblico” e “privato”, fra
Stato e Società.
Le storie dei regimi giuridici della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione potrebbero essere occasioni significative della ricostruzione della con24
cezione del “pubblico” e del “privato” nell’ambito del complesso processo
che “istituisce/istituzionalizza” i mondi vitali come scenari della rappresentazione del dramma dell’esistenza di ciascuno e di tutti gli uomini.
Per quel che ci riguarda, in questa sede, non possiamo andare oltre alcuni brevi cenni, rinviando, peraltro, ad altri approfondimenti già svolti,
sul tema dell’istruzione come modello dei processi di formalizzazione dei
rapporti1.
Non è possibile riprendere il tema della storia del processo di formalizzazione/istituzionalizzazione. È, invece, più opportuno soffermarci sui
profili di integrazione formalizzata fra ambiti giuridicamente rilevanti del
processo di istruzione nel modello normativo vigente.
2. Istruzione e formazione della personalità nel modello costituzionale
L’istruzione è contemplata espressamente all’art. 30 Cost. (diritto dovere dei genitori) e all’art. 34 Cost. (obbligo e gratuità dell’istruzione inferiore, sostegno economico ai capaci e meritevoli anche se privi di mezzi per
il raggiungimento dei più alti d’istruzione). Ambedue le disposizioni sono
contenute nel Titolo II, Rapporti etico-sociali.
All’art. 35 Cost. sono richiamate la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.
I soggetti che partecipano al processo di attuazione di ciascuno degli
obiettivi individuati sono i genitori e la Repubblica.
Le norme citate possono essere agevolmente ricondotte ai principi
fondamentali in quanto costituiscono chiara esplicitazione del principio
democratico (art. 1), del principio personalistico (art. 2), del principio di
eguaglianza (art. 3), del principio lavoristico (art. 4).
La carica promozionale dei valori personalistici che scaturisce dall’insieme delle norme richiamate è di immediata evidenza. Non ci può essere
democrazia senza un diffuso processo di crescita della personalità di ciascuno nel contesto generale dei rapporti di famiglia e dei rapporti di integrazione sociale che sono sottesi al complesso modello di collaborazioni
istituzionali e sociali richiamato dall’art. 5 Cost. e rafforzato dal nuovo
testo dell’art. 118 u.c. nella versione della novella costituzionale del 2001,
1
Sia consentito fare rinvio a G. Barone - G. Vecchio, Il diritto all’istruzione come “diritto sociale”. Oltre il paradigma economicistico, Esi, Napoli 2012.
25
nonché dall’art. 117 Cost., in particolare alla lett. n) del secondo comma e
al terzo comma.
L’istruzione costituisce un complesso processo di trasferimento di conoscenze ed abilità2 che contribuisce, insieme all’educazione (sostanzialmente riservata alla famiglia e, solo di recente, pattiziamente condivisibile
con il sistema scolastico), a garantire che i processi di apprendimento presupposti per la costruzione di una capacità relazionale si sviluppino adeguatamente.
Il sistema dell’istruzione è volto a «favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle
differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia,
nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti
dalla Costituzione»3. La formula sintetica e straordinariamente densa di
significati della normativa di principio vigente rappresenta il coagulo di
esperienze civili e pedagogiche che si sono sviluppate e confrontate, almeno, nell’arco degli ultimi novant’anni.
Nella “riforma Gentile” del 1923 non è dato riscontrare nel testo della
legge un articolato riferimento ai valori e ai principi ispiratori. Allo stesso
modo, nella legge del 1962, con la quale si istituiva la nuova scuola media unificata, non si faceva riferimento al quadro ispiratore. Non c’è alcun
dubbio sull’esistenza di ben precisi principi ispiratori dell’una e dell’altra
normativa. Ambedue, tuttavia, sembrano dare per scontato che il riferimento istituzionale del processo d’istruzione debba necessariamente essere quello dell’amministrazione statale. Non è un caso, infatti, se la più
2 Decreto Ministeriale 22 agosto 2007, n. 139, Regolamento recante norme in materia di
adempimento dell’obbligo di istruzione. «La proposta di Raccomandazione del Parlamento
europeo e del Consiglio del 7 settembre 2006. Il Quadro europeo delle Qualifiche e dei
Titoli contiene le seguenti definizioni:
• “Conoscenze”: indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relativi a un
settore di studio o di lavoro; le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche.
• “Abilità”: indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi; le abilità sono descritte come cognitive (uso del
pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di
metodi, materiali, strumenti).
• “Competenze”: indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo
professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termini di responsabilità e
autonomia».
3 Art. 1, L. 28 marzo 2003, n. 53.
26
tenace opposizione alla riforma Gentile sia venuta dal mondo cattolico e
se l’impianto concettuale della stessa sia ampiamente sopravvissuto ora ai
tentativi di “fascistizzazione” della “Carta della scuola” promossa da Bottai, ora all’avvento della Costituzione.
Non è questa la sede per affrontare il tema particolarmente impegnativo
del ruolo dello Stato nei processi di attuazione dei diritti. Ci pare sufficiente osservare che la declinazione legislativa vigente della previsione costituzionale dell’istruzione propone un quadro ben più ampio della tradizionale formula pubblicistica e fa riferimento all’intero quadro di sussidiarietà
pubblica e privata ricavabile dalla Costituzione.
Il processo di attuazione delle autonomie costituzionali, come si sa
bene, è stato particolarmente lento e complesso: l’attuazione delle Regioni
solo negli anni Settanta; la “democratizzazione” (parziale e debole) della
scuola pubblica, negli stessi anni; la riforma sanitaria in continuo travaglio
fra modelli amministrativistici e modelli privatistici di incerta qualificazione; il sistema socio-assistenziale, costantemente dilaniato da improbabili
modelli di sussidiarietà imprenditoriale. Si potrebbe continuare con analisi
più approfondite, ma ci possiamo pure limitare a riflettere sulla portata
della norma riformatrice e sulle difficoltà della sua attuazione.
3. Pluralità di attori e di ruoli nel concorso alla formazione della personalità del singolo
La norma si caratterizza per una specifica individuazione degli attori
del processo di istruzione: la persona umana, colta nella sua individualità;
la famiglia, come luogo “naturale” di formazione della personalità; i genitori, come specifici responsabili del processo di istruzione; la scuola, come
specifico ambito relazionale per la crescita dell’individuo come persona;
le istituzioni scolastiche autonome, come concreti contenitori dei processi
formativi.
A ciascuno degli attori individuati competono specifici diritti e doveri,
sia nei confronti degli altri attori del processo, sia nei confronti degli attori
istituzionali esterni, Stato, regioni, province, città metropolitane, comuni,
come pure istituzioni sociali (religiose, civili, volontaristiche, ecc.)4. L’in4
Legge 27 dicembre 2006, n. 296. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) (in Suppl. Ordinario n. 244 alla Gazz.
Uff., 27 dicembre, n. 299) (omissis) «622. L’istruzione impartita per almeno dieci anni è
obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola
27
dividuazione degli attori non è un fatto secondario rispetto al modello sostanzialmente gentiliano e amministrativo che ha retto la scuola per quasi
un secolo. Se è vero che alcuni degli attori individuati avevano un ruolo
sociale rilevante anche nel modello precedente, è anche vero che alcuni
(come gli alunni) disponevano di spazi di rilevanza particolarmente circoscritti e, quando riconosciuti, limitati solo alla rappresentanza.
A fronte del riconoscimento del ruolo degli alunni, si pone il riconoscimento del ruolo della concreta istituzione scolastica e della sua autonomia. Il rapporto (già) duale fra alunno e amministrazione scolastica (anche
se decentrata) si viene a riarticolare secondo un modello nel quale sono
significativamente differenziati i ruoli della “scuola” e delle “istituzioni
scolastiche autonome”.
Alla prima può competere il ruolo di interprete della funzione generale
di istruzione, comprensivo delle responsabilità e dei poteri di formazione
dell’indirizzo generale in ambito formativo, di definizione degli obiettivi
di cittadinanza, di definizione dei principi e dei contenuti che integrano le
conoscenze e le competenze essenziali.
Alla singola istituzione scolastica autonoma dovrebbe competere il ruolo di interprete della funzione formativa della personalità degli individui
nei singoli contesti reali.
La specificazione dei due ruoli dovrebbe costituire l’attuazione del processo di riconoscimento della specifica autonomia funzionale della scuola,
ormai costituzionalmente riconosciuta anche sul piano del sistema delle
fonti con l’esplicita “salvezza” espressa dall’art. 117, c. 3, Cost.
La famiglia, a sua volta, è l’ambito sociale specifico di formazione delsecondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. L’età per l’accesso al lavoro è conseguentemente elevata da quindici
a sedici anni. Resta fermo il regime di gratuità ai sensi degli articoli 28, comma 1, e 30,
comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226. L’adempimento
dell’obbligo di istruzione deve consentire, una volta conseguito il titolo di studio conclusivo del primo ciclo, l’acquisizione dei saperi e delle competenze previste dai curricula relativi ai primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore, sulla base di un apposito
regolamento adottato dal Ministro della pubblica istruzione ai sensi dell’articolo 17, comma
3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. L’obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi
di istruzione e formazione professionale di cui al Capo III del decreto legislativo 17 ottobre
2005, n. 226, e, sino alla completa messa a regime delle disposizioni ivi contenute, anche
nei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale di cui al comma 624 del
presente articolo. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle
province autonome di Trento e di Bolzano, in conformità ai rispettivi statuti e alle relative
norme di attuazione, nonché alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. L’innalzamento
dell’obbligo di istruzione decorre dall’anno scolastico 2007/ 2008».
28
la personalità individuale. Essa è la “formazione sociale” che consente il
riconoscimento dei diritti e dei doveri, rispettivamente, di ricevere e dare
educazione e istruzione dei minori e dei genitori.
I genitori, singolarmente considerati, a loro volta esercitano quei diritti
e quei doveri anche a prescindere dall’erogazione nell’ambito della specifica famiglia originaria, possibilmente in un ambito familiare.
La norma sembra orientata a dare risposta alla progressiva scomposizione dei rapporti sociali tradizionali e alla domanda di specificità dei
processi di costruzione della persona. In una sorta di sistema di vasi comunicanti e di reciproche compensazioni, il quadro centralistico e amministrativizzato del sistema scolastico tradizionale si scompone in un regime
di istituzioni che dovrebbero essere in grado di sostituire alla sempre più
debole specifica capacità formativa delle istituzioni sociali di prossimità un
modello “pubblico” di promozione della personalità dei minori5. Non è un
caso, dunque, se nella stessa legge vengono disciplinati come espressione
5 Legge 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. «Art. 2. (Sistema educativo di istruzione e di formazione)
1. I decreti di cui all’articolo 1 definiscono il sistema educativo di istruzione e di formazione, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) è promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze,
attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte
personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con
riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea;
b) sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata
ai principi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla
comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea;
c) è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni
o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età;
l’attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e
formazione professionale, secondo livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e mediante
regolamenti emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400,
e garantendo, attraverso adeguati interventi, l’integrazione delle persone in situazione di
handicap a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104. La fruizione dell’offerta di istruzione e formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionato; nei termini anzidetti
di diritto all’istruzione e formazione e di correlativo dovere viene ridefinito ed ampliato
l’obbligo scolastico di cui all’articolo 34 della Costituzione, nonché l’obbligo formativo
introdotto dall’articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni. L’attuazione graduale del diritto-dovere predetto è rimessa ai decreti legislativi di cui
all’articolo 1, commi 1 e 2, della presente legge correlativamente agli interventi finanziari
previsti a tale fine dal piano programmatico di cui all’articolo 1, comma 3, adottato previa
intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
29
di un omogeneo processo di socializzazione i percorsi di “istruzione” (art.
34 Cost.) e di formazione (art. 35 Cost.), anche se provenienti da separati
e diversi ambiti di disciplina costituzionale dei “rapporti” e, quindi, probabilmente inquadrati in regimi di tutela differenziati quanto ad autonomia
e garanzie.
La norma sull’autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche potrebbe, dunque, configurarsi come esempio di una nuova dimensione della
natura “pubblica” sia della funzione di istruzione, sia della funzione educativa, che sempre più spesso risulta integrata nella funzione scolastica6.
Il carattere “pubblico” non sarebbe più rappresentato dalla dipendenza
gerarchica e funzionale della struttura scolastica dalla struttura amministrativa statale. Esso sarebbe, piuttosto, l’espressione dell’autonomia di
istituzioni (non più “stabilimenti”) non dipendenti dall’autorità statale, capaci di stabilire rapporti differenziati con l’ambiente sociale circostante7.
1997, n. 281, e coerentemente con i finanziamenti disposti a norma dell’articolo 7, comma
6, della presente legge».
6 Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, Regolamento recante
norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge
15 marzo 1997, n. 59. «Art. 1, c. 2: 2. L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia
di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella
realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della
persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di
migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento».
7 Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e
compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la
semplificazione amministrativa, Art. 21.
«1. L’autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel
processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dell’intero sistema formativo. Ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche le funzioni
dell’Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione
del servizio di istruzione, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto
allo studio nonché gli elementi comuni all’intero sistema scolastico pubblico in materia
di gestione e programmazione definiti dallo Stato, sono progressivamente attribuite alle
istituzioni scolastiche, attuando a tal fine anche l’estensione ai circoli didattici, alle scuole
medie, alle scuole e agli istituti di istruzione secondaria, della personalità giuridica degli
istituti tecnici e professionali e degli istituti d’arte ed ampliando l’autonomia per tutte le
tipologie degli istituti di istruzione, anche in deroga alle norme vigenti in materia di contabilità dello Stato. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli istituti
educativi, tenuto conto delle loro specificità ordinamentali.
2. Ai fini di quanto previsto nel comma 1, si provvede con uno o più regolamenti da
adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nel termine
di nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei criteri genera-
30
li e principi direttivi contenuti nei commi 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10 e 11 del presente articolo. Sugli
schemi di regolamento è acquisito, anche contemporaneamente al parere del Consiglio di
Stato, il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Decorsi sessanta giorni dalla
richiesta di parere alle Commissioni, i regolamenti possono essere comunque emanati. Con
i regolamenti predetti sono dettate disposizioni per armonizzare le norme di cui all’articolo
355 del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, con quelle
della presente legge.
3. I requisiti dimensionali ottimali per l’attribuzione della personalità giuridica e dell’autonomia alle istituzioni scolastiche di cui al comma 1, anche tra loro unificate nell’ottica
di garantire agli utenti una più agevole fruizione del servizio di istruzione, e le deroghe
dimensionali in relazione a particolari situazioni territoriali o ambientali sono individuati
in rapporto alle esigenze e alla varietà delle situazioni locali e alla tipologia dei settori di
istruzione compresi nell’istituzione scolastica. Le deroghe dimensionali saranno automaticamente concesse nelle province il cui territorio è per almeno un terzo montano, in cui le
condizioni di viabilità statale e provinciale siano disagevoli e in cui vi sia una dispersione e
rarefazione di insediamenti abitativi.
4. La personalità giuridica e l’autonomia sono attribuite alle istituzioni scolastiche di
cui al comma 1 a mano a mano che raggiungono i requisiti dimensionali di cui al comma
3 attraverso piani di dimensionamento della rete scolastica, e comunque non oltre il 31
dicembre 2000 contestualmente alla gestione di tutte le funzioni amministrative che per
loro natura possono essere esercitate dalle istituzioni autonome. In ogni caso il passaggio al
nuovo regime di autonomia sarà accompagnato da apposite iniziative di formazione del personale, da una analisi delle realtà territoriali, sociali ed economiche delle singole istituzioni
scolastiche per l’adozione dei conseguenti interventi perequativi e sarà realizzato secondo
criteri di gradualità che valorizzino le capacità di iniziativa delle istituzioni stesse.
5. La dotazione finanziaria essenziale delle istituzioni scolastiche già in possesso di
personalità giuridica e di quelle che l’acquistano ai sensi del comma 4 è costituita dall’assegnazione dello Stato per il funzionamento amministrativo e didattico, che si suddivide in
assegnazione ordinaria e assegnazione perequativa. Tale dotazione finanziaria è attribuita
senza altro vincolo di destinazione che quello dell’utilizzazione prioritaria per lo svolgimento delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie di ciascuna tipologia e di ciascun indirizzo di scuola. L’attribuzione senza vincoli di destinazione comporta
l’utilizzabilità della dotazione finanziaria, indifferentemente, per spese in conto capitale
e di parte corrente, con possibilità di variare le destinazioni in corso d’anno. Con decreto
del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e
della programmazione economica, sentito il parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono individuati i parametri per la definizione della dotazione finanziaria ordinaria
delle scuole. Detta dotazione ordinaria è stabilita in misura tale da consentire l’acquisizione
da parte delle istituzioni scolastiche dei beni di consumo e strumenti necessari a garantire
l’efficacia del processo di insegnamento-apprendimento nei vari gradi e tipologie dell’istruzione. La stessa dotazione ordinaria, nella quale possono confluire anche i finanziamenti
attualmente allocati in capitoli diversi da quelli intitolati al funzionamento amministrativo e
didattico, è spesa obbligatoria ed è rivalutata annualmente sulla base del tasso di inflazione
programmata. In sede di prima determinazione, la dotazione perequativa è costituita dalle
disponibilità finanziarie residue sui capitoli di bilancio riferiti alle istituzioni scolastiche
non assorbite dalla dotazione ordinaria. La dotazione perequativa è rideterminata annualmente sulla base del tasso di inflazione programmata e di parametri socio-economici e
31
ambientali individuati di concerto dai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica, sentito il parere delle commissioni parlamentari competenti.
6. Sono abrogate le disposizioni che prevedono autorizzazioni preventive per l’accettazione di donazioni, eredità e legati da parte delle istituzioni scolastiche, ivi compresi gli
istituti superiori di istruzione artistica, delle fondazioni o altre istituzioni aventi finalità di
educazione o di assistenza scolastica. Sono fatte salve le vigenti disposizioni di legge o di
regolamento in materia di avviso ai successibili. Sui cespiti ereditari e su quelli ricevuti per
donazione non sono dovute le imposte in vigore per le successioni e le donazioni.
7. Le istituzioni scolastiche che abbiano conseguito personalità giuridica e autonomia ai
sensi del comma 1 e le istituzioni scolastiche già dotate di personalità e autonomia, previa
realizzazione anche per queste ultime delle operazioni di dimensionamento di cui al comma
4, hanno autonomia organizzativa e didattica, nel rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale.
8. L’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al
miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e
al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si esplica liberamente, anche mediante
superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo
classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali, fermi restando
i giorni di attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione dell’attività didattica in non meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi
annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere assolti
invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di un’apposita programmazione
plurisettimanale.
9. L’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta
educativa da parte delle famiglie e del diritto ad apprendere. Essa si sostanzia nella scelta
libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento,
da adottare nel rispetto della possibile pluralità di opzioni metodologiche, e in ogni iniziativa che sia espressione di libertà progettuale, compresa l’eventuale offerta di insegnamenti
opzionali, facoltativi o aggiuntivi e nel rispetto delle esigenze formative degli studenti. A tal
fine, sulla base di quanto disposto dall’articolo 1, comma 71, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662, sono definiti criteri per la determinazione degli organici funzionali di istituto, fermi restando il monte annuale orario complessivo previsto per ciascun curriculum e quello
previsto per ciascuna delle discipline ed attività indicate come fondamentali di ciascun tipo
o indirizzo di studi e l’obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione
della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi.
10. Nell’esercizio dell’autonomia organizzativa e didattica le istituzioni scolastiche realizzano, sia singolarmente che in forme consorziate, ampliamenti dell’offerta formativa che
prevedano anche percorsi formativi per gli adulti, iniziative di prevenzione dell’abbandono
e della dispersione scolastica, iniziative di utilizzazione delle strutture e delle tecnologie
anche in orari extrascolastici e a fini di raccordo con il mondo del lavoro, iniziative di
partecipazione a programmi nazionali, regionali o comunitari e, nell’ambito di accordi tra
le regioni e l’amministrazione scolastica, percorsi integrati tra diversi sistemi formativi.
Le istituzioni scolastiche autonome hanno anche autonomia di ricerca, sperimentazione
32
e sviluppo nei limiti del proficuo esercizio dell’autonomia didattica e organizzativa. Gli
istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi, il Centro europeo
dell’educazione, la Biblioteca di documentazione pedagogica e le scuole ed istituti a carattere atipico di cui alla parte I, titolo II, capo III, del testo unico approvato con decreto
legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sono riformati come enti finalizzati al supporto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche autonome.
11. Con regolamento adottato ai sensi del comma 2 sono altresì attribuite la personalità
giuridica e l’autonomia alle Accademie di belle arti, agli Istituti superiori per le industrie artistiche, ai Conservatori di musica, alle Accademie nazionali di arte drammatica e di danza,
secondo i principi contenuti nei commi 8, 9 e 10 e con gli adattamenti resi necessari dalle
specificità proprie di tali istituzioni.
12. Le università e le istituzioni scolastiche possono stipulare convenzioni allo scopo di
favorire attività di aggiornamento, di ricerca e di orientamento scolastico e universitario.
13. Con effetto dalla data di entrata in vigore delle norme regolamentari di cui ai commi
2 e 11 sono abrogate le disposizioni vigenti con esse incompatibili, la cui ricognizione è
affidata ai regolamenti stessi (periodo soppresso dalla L. 24 novembre 2000, n. 340).
14. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro del
tesoro, sono emanate le istruzioni generali per l’autonoma allocazione delle risorse, per la
formazione dei bilanci, per la gestione delle risorse ivi iscritte e per la scelta dell’affidamento dei servizi di tesoreria o di cassa, nonché per le modalità del riscontro delle gestioni delle
istituzioni scolastiche, anche in attuazione dei principi contenuti nei regolamenti di cui al
comma 2. È abrogato il comma 9 dell’articolo 4 della legge 24 dicembre 1993, n. 537.
15. Entro il 30 giugno 1999 il Governo è delegato ad emanare un decreto legislativo di
riforma degli organi collegiali della pubblica istruzione di livello nazionale e periferico che
tenga conto della specificità del settore scolastico, valorizzando l’autonomo apporto delle
diverse componenti e delle minoranze linguistiche riconosciute, nonché delle specifiche
professionalità e competenze, nel rispetto dei seguenti criteri:
a) armonizzazione della composizione, dell’organizzazione e delle funzioni dei nuovi
organi con le competenze dell’amministrazione centrale e periferica come ridefinita a norma degli articoli 12 e 13 nonché con quelle delle istituzioni scolastiche autonome;
b) razionalizzazione degli organi a norma dell’articolo 12, comma 1, lettera p);
c) eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali, secondo quanto previsto
dall’articolo 12, comma 1, lettera g);
d) valorizzazione del collegamento con le comunità locali a norma dell’articolo 12,
comma 1, lettera i);
e) attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 59 del decreto legislativo 3 febbraio
1993, n. 29, e successive modificazioni, nella salvaguardia del principio della libertà di
insegnamento.
16. Nel rispetto del principio della libertà di insegnamento e in connessione con l’individuazione di nuove figure professionali del personale docente, ferma restando l’unicità della
funzione, ai capi d’istituto è conferita la qualifica dirigenziale contestualmente all’acquisto
della personalità giuridica e dell’autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche. I
contenuti e le specificità della qualifica dirigenziale sono individuati con decreto legislativo
integrativo delle disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive
modificazioni, da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge,
sulla base dei seguenti criteri: a) l’affidamento, nel rispetto delle competenze degli organi
collegiali scolastici, di autonomi compiti di direzione, di coordinamento e valorizzazione
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4. La tipizzazione delle azioni e gli obiettivi costituzionalmente
rilevanti
Obiettivo dichiarato dell’azione di istruzione è favorire la crescita e la
valorizzazione della persona umana. Anche in questo caso ci troviamo di
fronte all’esplicitazione della finalità dell’azione della scuola, con una profonda differenza rispetto all’impostazione tradizionale della normativa.
Invece di definire livelli di istruzione, si individua un percorso personalizzato, tendenzialmente non esauribile nel conseguimento di un “titolo” di
studio, ma proiettato verso percorsi di formazione permanente e di integrazione culturale e sociale.
Lo stesso quadro dei destinatari, allargato alle “persone”, individua un
profondo e significativo cambiamento di indirizzo dell’azione scolastica.
Non si mira più alla formazione di competenze e/o alla diffusione di conoscenze in vista di obiettivi particolari. L’intero sistema è volto alla formazione di una capacità di base, permanentemente aggiornata, idonea a costidelle risorse umane, di gestione di risorse finanziarie e strumentali, con connesse responsabilità in ordine ai risultati; b) il raccordo tra i compiti previsti dalla lettera a) e l’organizzazione e le attribuzioni dell’amministrazione scolastica periferica, come ridefinite ai sensi
dell’articolo 13, comma 1; c) la revisione del sistema di reclutamento, riservato al personale
docente con adeguata anzianità di servizio, in armonia con le modalità previste dall’articolo
28 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29; d) l’attribuzione della dirigenza ai capi
d’istituto attualmente in servizio, assegnati ad una istituzione scolastica autonoma, che frequentino un apposito corso di formazione.
17. Il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici sarà disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree.
18. Nell’emanazione del regolamento di cui all’articolo 13 la riforma degli uffici periferici del Ministero della pubblica istruzione è realizzata armonizzando e coordinando i
compiti e le funzioni amministrative attribuiti alle regioni ed agli enti locali anche in materia di programmazione e riorganizzazione della rete scolastica.
19. Il Ministro della pubblica istruzione presenta ogni quattro anni al Parlamento, a
decorrere dall’inizio dell’attuazione dell’autonomia prevista nel presente articolo, una relazione sui risultati conseguiti, anche al fine di apportare eventuali modifiche normative che
si rendano necessarie.
20. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con propria legge la materia di cui al presente articolo nel rispetto e nei limiti dei
propri statuti e delle relative norme di attuazione. 20-bis. Con la stessa legge regionale di
cui al comma 20 la regione Valle d’Aosta stabilisce tipologia, modalità di svolgimento e
di certificazione di una quarta prova scritta di lingua francese, in aggiunta alle altre prove
scritte previste dalla legge 10 dicembre 1997, n. 425. Le modalità e i criteri di valutazione
delle prove d’esame sono definiti nell’ambito dell’apposito regolamento attuativo, d’intesa
con la regione Valle d’Aosta. È abrogato il comma 5 dell’articolo 3 della legge 10 dicembre
1997, n. 425».
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tuire la base d’impianto di competenze necessarie per garantire la capacità
di relazionarsi con la società e di comprendere i processi evolutivi delle
scienze e delle tecnologie, spendibili, anche, nel mondo del lavoro8.
La cooperazione tra scuola e genitori è riconosciuta come strumento
fondamentale del perseguimento degli obiettivi formativi per la persona
in età evolutiva. Da una parte viene esplicitato il tradizionale processo di
corresponsabilità sociale che ha visto i genitori responsabili del progetto
esistenziale dei figli, come affermato dall’art. 30 Cost. e da tutta la legislazione successiva in materia di diritto di famiglia. Dall’altra, si deve
riscontrare un ulteriore significativo elemento di “esternalizzazione” della
responsabilità educativa.
5. Il processo di formazione della personalità nel rispetto dei criteri
costituzionali
Il modello di relazioni che si viene a determinare, oltre a stabilire un
certo assetto delle posizioni dei singoli attori, fissa anche i criteri ai quali
8 Rapporto finale del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.m. 18 luglio 2001, n.
672 (Commissione Bertagna). «Per un verso, istruzione e formazione sono due processi diversi. La stessa legge costituzionale, del resto, traccia un confine tra “istruzione” tout court
e “istruzione e formazione professionale”. In termini epistemologici, si può ritenere che il
fine prioritario dell’istruzione, la sua differenza specifica, possa collocarsi nel conoscere,
nel teorizzare. Avrebbe a che fare con le idee e con le relazioni intellettuali formali tra le
conoscenze. La formazione, invece, avrebbe più a che fare col produrre, con l’operare, con
il costruire: immettere le idee (le conoscenze) nella realtà, mediante apposite operazioni di
progettazione e di trasformazione che diventano poi pratiche professionali esperte; potremmo dire trasformare stati ideali in stati reali.
Per l’altro verso, però, istruzione e formazione sono anche due processi unitari e sempre
integrati. L’unità e l’integrazione deriva loro da due circostanze.
Anzitutto, perché non si può conoscere senza produrre, operare e costruire, e viceversa.
Nessuno è in grado di elaborare theoría senza téchne, e nessuno può produrre nulla se non
concepisce idee e non ha conoscenze da concretizzare. La società globalizzata della conoscenza, d’altronde, ha esaltato questa connessione e ha reso inservibili le artificiose separazioni del passato tra sapere e lavoro, tra istruzione da una parte e istruzione/formazione
professionale dall’altra.
In secondo luogo, perché ambedue i processi sono chiamati ad essere educativi, nel
senso che l’uno e l’altro sono invitati a promuovere nel modo più integrato, armonico,
simultaneo e progressivo possibile tutte le dimensioni della personalità di ciascuno (intellettuale, affettiva, etica, operativa, motoria, espressiva, sociale, religiosa), non soltanto una
di esse. Come a dire che, pur mirando alla testa, l’istruzione non esiste se non coinvolge
anche il cuore e le mani, e analogamente, pur mirando alle mani, la formazione non esiste
se non coinvolge anche la testa e il cuore».
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deve attenersi ciascuno di loro perché il processo si sviluppi nella direzione
costituzionalmente orientata.
Il primo profilo che viene in evidenza è quello del “rispetto dei ritmi
dell’età evolutiva”. Il principio personalistico che orienta tutta la Costituzione si manifesta immediatamente come dovere di adeguamento dell’azione alle capacità del minore in formazione. Ovviamente, in nessuna norma
può essere esattamente definito il limite dell’età evolutiva. I tentativi di
definizione quantitativa per età o per durata del periodo formativo rappresentano solo presunzioni vincibili, come quella dell’acquisizione della capacità d’agire al conseguimento del diciottesimo anno d’età. È sufficiente
richiamare la norma sulla legittimazione alla sottoscrizione del “patto di
corresponsabilità educativa” (e la variabilità della previsione dell’età in
relazione all’iscrizione al ciclo di studi) per cogliere la misura variabile
della maturità evolutiva.
Il secondo profilo che emerge è quello “delle differenze e dell’identità di ciascuno”9. La tradizione scolastica nazionale ci fa pensare sempre
a “programmi ministeriali” che fissano in maniera univoca e non flessi9
Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero:
«Art. 38
(Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale)
(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 36
legge 30 dicembre 1986, n. 943, art. 9, commi 4 e 5)
1. I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico; ad essi
si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai
servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica.
2. L’effettività del diritto allo studio è garantita dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti
locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi ed iniziative per l’apprendimento della
lingua italiana.
3. La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da
porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a
tale fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e
della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni.
4. Le iniziative e le attività di cui al comma 3 sono realizzate sulla base di una rilevazione dei bisogni locali e di una programmazione territoriale integrata, anche in convenzione
con le associazioni degli stranieri, con le rappresentanze diplomatiche o consolari dei Paesi
di appartenenza e con le organizzazioni di volontariato.
5. Le istituzioni scolastiche, nel quadro di una programmazione territoriale degli interventi, anche sulla base di convenzioni con le Regioni e gli enti locali, promuovono:
a) l’accoglienza degli stranieri adulti regolarmente soggiornanti mediante l’attivazione
di corsi di alfabetizzazione nelle scuole elementari e medie;
b) la realizzazione di un’offerta culturale valida per gli stranieri adulti regolarmente
soggiornanti che intendano conseguire il titolo di studio della scuola dell’obbligo;
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bile il progetto formativo. L’esigenza che viene segnalata dalla norma è
quella di una “personalizzazione” del progetto formativo che va oltre la
stessa specificità della maturazione psico-fisica (riassunta nel concetto
di “età evolutiva”) e si spinge fino alla considerazione delle condizioni
culturali, economiche, sociali che determinano l’ambiente di inserimento
di ciascuna persona in formazione. I riferimenti normativi espressi sono
quelli all’integrazione degli stranieri e al sostegno agli alunni con difficoltà psico-fisiche. In verità è ben possibile allargare l’orizzonte e muoversi
verso forme di differenziazione dei progetti formativi capaci di equilibrare
“differenza” e “omogeneità”.
Il secondo criterio che emerge è quello del rispetto “delle scelte educative della famiglia”. Il quadro generale dei meccanismi di responsabilità e potestà nell’esercizio delle funzioni educative è caratterizzato da una
forte integrazione fra il carattere “pubblico” (a prescindere dalla natura
dell’istituzione erogante) del processo di istruzione e il carattere “privato”
della formazione sociale familiare che formula le scelte educative. Nella combinazione dei due elementi si concentrano le scelte fondamentali
c) la predisposizione di percorsi integrativi degli studi sostenuti nel Paese di provenienza al fine del conseguimento del titolo dell’obbligo o del diploma di scuola secondaria
superiore;
d) la realizzazione ed attuazione di corsi di lingua italiana;
e) la realizzazione di corsi di formazione, anche nel quadro di accordi di collaborazione
internazionale in vigore per l’Italia.
6. Le regioni, anche attraverso altri enti locali, promuovono programmi culturali per i
diversi gruppi nazionali, anche mediante corsi effettuati presso le scuole superiori o istituti
universitari. Analogamente a quanto disposto per i figli dei lavoratori comunitari e per i figli
degli emigrati italiani che tornano in Italia, sono attuati specifici insegnamenti integrativi,
nella lingue e cultura di origine.
7. Con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto
1988, n. 400, sono dettate le disposizioni di attuazione del presente capo, con specifica
indicazione:
a) delle modalità di realizzazione di specifici progetti nazionali e locali, con particolare
riferimento all’attivazione di corsi intensivi di lingua italiana nonché dei corsi di formazione ed aggiornamento del personale ispettivo, direttivo e docente delle scuole di ogni ordine
e grado e dei criteri per l’adattamento dei programmi di insegnamento;
b) dei criteri per il riconoscimento dei titoli di studio e degli studi effettuati nei paesi di
provenienza ai fini dell’inserimento scolastico, nonché dei criteri e delle modalità di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di mediatori culturali
qualificati;
c) dei criteri per l’iscrizione e l’inserimento nelle classi degli stranieri provenienti
dall’estero, per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi e per l’attivazione di specifiche attività di sostegno linguistico;
d) dei criteri per la stipula delle convenzioni di cui ai commi 4 e 5».
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dell’ordinamento sociale che caratterizza l’esperienza contemporanea nel
mondo “occidentale”.
Il terzo criterio è quello della “coerenza con il principio di autonomia
delle istituzioni scolastiche”. A fronte delle autonomie sociali, espresse
innanzitutto dalla famiglia, si pongono le “istituzioni scolastiche autonome”. Si tratta del riconoscimento della necessità di articolare il sistema e di
consentire il riconoscimento delle “differenze” anche sul piano dell’organizzazione scolastica. Il progetto di allentamento del sistema centralizzato
del potere d’indirizzo sul piano dei contenuti si proietta anche sul piano
del sistema istituzionale periferico. L’autonomia didattica richiede anche
un’autonomia organizzativa e istituzionale. Non si pensa più ad un’amministrazione centralizzata con articolazioni partecipative in forma consiliare, ma si tenta di sviluppare un sistema di istituzioni che introiettino la
specificità delle scelte formative e se ne facciano espressione.
Il rapporto fra i vari attori del processo di formazione della personalità,
infine, deve attenersi ai “principi sanciti dalla Costituzione”.
Sotto quest’ultimo profilo entra in gioco il complesso sistema di regole
e principi che abbiamo già richiamato e che impone la necessaria collaborazione fra famiglia (eventualmente supportata da altre agenzie sociali),
istituzioni scolastiche autonome, Stato e Regioni per il conseguimento di
un equilibrato sviluppo della personalità del singolo come presupposto della cittadinanza.
6. Persona e integrazione
Si possono concludere queste brevi considerazioni riconducendo il problema dell’integrazione (di tutti i tipi di integrazione) al quadro generale
del rapporto fra istanze private, istituzionali e pubbliche dello scenario costituzionale.
Immaginare un processo di costruzione della personalità e della capacità di interagire con l’ambiente sociale e istituzionale circostante è un
compito difficile che deve essere ricondotto alle competenze fattuali e sostanziali delle varie discipline e delle abilità specifiche messe in campo dai
singoli attori.
Il compito del diritto è complesso, anche se limitato rispetto alla dimensione concreta delle relazioni in gioco.
In primo luogo, si deve riconoscere che un ambito particolarmente significativo di rapporti che erano tradizionalmente devoluti alla sfera delle
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relazioni di fatto sta evolvendo verso assetti formalizzati e sempre più riconducibili alla giuridicità. Non si tratterà di stabilire in concreto attraverso
una sentenza i contenuti dell’insegnamento, del processo educativo, della
relazione interpersonale. Sarà certamente possibile fissare, tuttavia, limiti,
criteri, parametri e responsabilità degli attori; ricercare equilibri sulla base
della valutazione comparativa e bilanciata degli interessi e dei valori in
gioco; riconoscere tutele e poteri sostitutivi che rendano efficaci le ipotesi
di lavoro.
In secondo luogo, si deve riconoscere che il sistema diadico di attribuzione dei poteri e delle responsabilità al privato (famiglia) o al pubblico
(scuola) è in fase di superamento e che si sta sviluppando, anche grazie alla
struttura autonomistica delle istituzioni scolastiche, un processo di omogeneizzazione che impone una corresponsabilizzazione dei vari attori.
In terzo luogo, si deve ritenere definitivamente superato l’assetto autoritario dei processi di istruzione, in direzione della costruzione di una
comunità educante, partecipata da vari attori istituzionali.
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