A11 447 Raffaele Perrotta Ascolti e silenzi Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A-B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2750-9 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre 2009 alla «scienza nuova» dell’ermeneuta Vico, filosofo della Storia attraverso l’etimologia delle parole storiche, in memoriam Non desiderat Tullius eloquentiam in philosopho, sed ut rebus et doctrina satisfaciat. Sciebat tam prudens quam eruditus homo, nostrum esse componere mentem potius quam dictionem, curare ne quid aberret ratio, non oratio. Attinere ad nos æn diaJései lógon, non attinere tòn æn prof}orÙ. Laudabile in nobis, habere Musas in animo et non in labris, (Pico della Mirandola a Ermolao Barbaro) Heureux celui qui [...] comprend sans effort Le langage des fleurs et des choses muettes! (Baudelaire, Élévation, in Les fleurs du mal) Auch Lieder, die ein kleiner Stamm gesungen, Indianer, Yakis mit Aztekenwort, längst von der Gier des weißen Manns bezwungen, leben als stille Ackerstrophen fort: [...] indes ein Vers der Völker Träume baut, die sie der Niedrigkeit entrücken, Unsterblichkeit im Worte und im Laut. (Benn, Verse, in Statische Gedichte) Bisogna che gli uomini sappiano che essi non resistono al tempo per le guerre che ànno scatenato, per le rivoluzioni che ànno fatto, ma per essere stati affermati dalla parola che li à narrati. (Comisso, Diario 1951-1964) invano interpellare le cifre delle scritture: silenzi alfabetici, autoreferenzialità di linguaggio neutro. (RP, dopoteatro, in Tracce. cahiers d’art, n. 9, 2008) 7 teatro è il luogo dove si assiste a uno spettacolo; teatro è il luogo dove l’atto attuantesi non è piú ripetibile; teatro è il luogo dell’eternale quie-ora. l’atto è il suo limite di atto, l’attore è in eccesso di atto - metáphérein - («la partita è giocata da alcuni supercampioni [non campioni, eh?], che eccedano il solista, che eccedano davvero il gioco della palla, del tennis, della boxe, che eccedano.» [Carmelo Beneenrico ghezzi, Discorso su due piedi]. insumma teatro è il tutto dell’accadimento ai suoi limiti svolgentisi di limite in limite un segnale meritevole d’attenzione per coloro che intendano esercitare la lettura cognitiva del linguaggio espressivo: Non ha l’ottimo artista alcun concetto c’un marmo solo in sé non circonscriva col suo superchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto. ovverosia Michelangelo lo si conosce nella scultura, nella pittura, nella architettura, nella urbanistica, nella poesia: è il segno costitutivo a farci conoscere il segnatore; o ancóra, la lettura cognitiva del linguaggio espressivo è condizionata dal segno costitutivo costituzione scultura, costituzione pittura, costituzione architettura, costituzione urbanistica, costituzione poesia - (stati di lettura cognitiva del complesso michelangiolesco nei segni costitutivi di ordini di discorso diversi; e, a seconda del segno costitutivo, il venire a conoscere la ‘storia’ operalautoriale) il linguaggio espressivo «ad arte», qualunque ne sía il segno costitutivo, è operalautoriale, non di genere, operalautoriale degenerativo; gli si adatta la lettura speciale 9 ricominciamento in cominciamento, problematica operalautoriale - il linguaggio a varietà di segno e il suo doppio, dell’opera ne è coinvòlto l’autore, un intreccio linguistico Diesen Ernsthaften diene zur Belehrung, dass ich von der Kunst als der höchsten Aufgabe und der eigentlich metaphysischen Thätigkeit dieses Lebens (Nietzsche, Vorwort an Richard Wagner, in Die Geburt der Tragödie) ma quanto di cui sopra di premessa o di metodo a composizione e a lettura non affranca né compositore né lettore - ricompositore - dal problema che è pro-blema il linguaggio... è del Linguaggio che qui parola parla; tutto, proprio tutto è «linguaggio»: Politeía di Platone, i Michelangelo che si sono citati, The Anatomy of Melancholy di Burton, L’Infinito dal monte Tabor, Wagner a Bayreuth, Guernica di Picasso, the Voice di Sinatra, Bertolt Brecht e George Brecht, il film œ l’espressività in ogni sua forma ancóra non avvenuti, l’antico e il nuovo Sole ‒ Linguaggio Materia e Materiali del Conoscere la Conoscenza e non un esempio, uno, (di) spettacolo-happening, perché le forme ‘teatrali’ d’avanguardia e neoavanguardia o postneoavanguardia (come potremmo essere noi storici e critici di quelle Furie), a volerle dire con nomi di titoli e ordini classificatori richiederebbe - ¿come si dice? «camp» - ‘un discorso troppo vietato al simmetrico’, e, con il politico in primo luogo, l’engagement è nella forma che pretende il contenuto ‒ the «medium» is the message. [ormai sono convinto dalla mia coscienza storicamente dibattuta senza tregua alcuna: mi sono messo a lèggere Das Kapital nella Cappella Sistina, dopo quelle 10 incomprensioni che mi venivano addossate per l’entusiasmo provato al tempo del Quarantotto-Sessantotto.] a questo punto, non si aspetti che il come quanto possa accadere di spettacolo; augurante che lo spettacolo sía æstrale, che faccia ‘viaggiare’; e del sotterraneo in animo di fare l’opera ancóra teatro, che so?, cinema-Welles musica-Stockhausen voce sola-Bene Godarddue o tre cose che so di lui, partitura spettacolo, si avviino le danze! un pezzo di bravura, e un nome è un nome pur quando il nome è Artaud: ¿perché attardarsi al dato di fatto? ¿non è già il filologo a preavvertire che il segno è - il - significante? se il segno è - il significante, il significante sta a significare il sé stesso di significante. il cosmo è un nome, il cosmo è il cosmo (almeno nella lingua che si parla; ¿e se fosse universo? per altri, mondo). in cerca del filosofo per trarsi dagl’impacci della nominazione (ma il filosofo restituirebbe nomi). e nomi, nomi di-in Eraclito Parmenide; il mio nome è il nome che mi è stato dato. si appunti ciò: conoscimento significa riconoscimento, il segno prima di tutto, l’elementare dell’opera autoriale, e non ci si formalizzi al benedetto segno, il segno segno è. a parlare dell’altro - di noi e da noi - in forma di materia e di essenza, di vita, è ammissibile purché metaermeneuticamente abbiamo da dire che il narratore ha sue storie da narrare - ma narrazione non da modello di schema - ‒ nazione œ popolo e Stato, cultura e civiltà, farsi di istituti e istituirsi degli stessi, l’uomo abita la terra. l’uomo è storico, la sua storia è delle e nelle differenze, e il singolo uomo è irripetibile, e la grandezza d’arte di colui che non è piú un semplice e comune uomo non ha ripetitori - Paganini non si ripete -, bensí altra nuova e diversificata arte. [¿so condurre il mio discorso nel senso della storia di quest’arte ben superiore a quell’«arte» di cui parla disinvoltamente l’estetica? mi rendo conto della difficoltà dell’argomento, ciononostante l’argomento stesso è da argomentare: 11 il problema è retorico e ermeneutico.] ¿si può andare a scuola di retorica? una volta v’erano di queste scuole, in séguito la retorica ha preso una brutta piega, come la grammatica. grammatica e retorica permangono discipline basiche ai fini della composizione del discorso. complesso l’uomo - non piú uomo - cólto. ma tutto lo storico è complesso. e non ci si inoltri in materia di cosmo! tuttavia la storicità è una regione cosmica. ¿trattare lo storico escludendo il cosmico? sarebbe culturalmente e intellettuamente una bestemmia. ¿tutto spiegabile, il tutto? forse, nei millenni avvenire. e si fa discorso, con parole correnti, soprattutto in aula magna. ¿ma sei tu ammesso a questo ammonimento, hai le carte per mostrare le tue parole affrancate da codici di maniera? ¿come ti chiami, come intenderesti nominare il tuo nome d’arte? non ho alcuna risposta da dare, so solo questo: mi danno alle parole per un principio di discorso. saggio o poema, non sta qui il punto, il punto è il discorso, e al suo principio. la forma che prende un discorso è indifferente ai generi letterari, la cui querelle è una schermaglia fra insistiti formalisti di confini. se proprio si vuole che una ricerca, uno studio síano in scrittura di prosa, ebbene si suggerisce di prendere nota: Adorno, Der Essay als Form, in Noten zur Literatur I. ¿della vita di un filosofo? ¿un resoconto di vita vissuta? ¿la mia vita - con il pensiero -? il costrutto, ancor prima che di linguaggi, delle lingue filosofiche. uno per tutti i filosofi che sono anche filosofi: Nietzsche e la scrittura; storicamente la filosofia non è un genere letterario determinato. il western non è un genere cinematografico, è un’opera cinematografica. in una storia déi generi è la storia della retorica applicata. struttura la composizione, ma perché si strutturi, a repentaglio le coordinate dell’uniformità. osservando le misure che si prendono per fare quadrato - l’avevi detto tu «quadrato» -, che testa e coda oppure figura retorico-geometrica si accampano sotto il sole al deciso tramonto... in altre parole o per lo piú da me riparlate come le hai tu parlate, dare a intendere fare di 12 discorso un discorso confacente a grammatica e sintassi fuse, una corona d’alloro ad ammuffire negli scantinati del Campidoglio. la corona d’alloro da strappare alla polvere. storicizziamo antichismi: la lingua greca di Platone non è la lingua greca di Omero, la lingua greca di Aristotele non è la lingua greca di Platone; e ancóra, il logos da Platone e da Aristotele non è il logos di Eraclito ‒ lingua e linguaggio, viene prima il linguaggio con la sua furia di linguaggio e dopo viene la lingua a sistemazione déi linguaggi tutti furenti, fuori di razionalizzazioni (ma si consideri che il «testo unico» è un arbitrio del dotto ‘giuridico’). la suprema sintesi, il filosofo a muso duro. (il lavoro reddittizio non è bello che si dica in pubblica piazza dopo le tante morti bianche, la filosofia ne ha preso nota e imperterrita non fa motto proseguendo per quella sua direzione che l’accompagnerà al confondersi dell’orizzonte con i lontani mari). come poté vivere è oscuro, studiò, questo sí, sopravvivendo al suo possibile vivere oscuro; la biografia di un uomo, seppure glorioso, è forse veramente in possesso del destino che lo sovrasta, e del destino non se ne conosce la storia; la biografia umana, la storia umana, tracce, rilievi, e poche parole passate sotto silenzio dai regolatori pubblici. l’oscurità! ¿perché il sole s’oscura? non ancóra il lieto fine, spasmodica attesa. si dovrebbe avere rispetto per le comunità. ¿ve ne sono? pagine addietro (ma non in questo libro), se ne è tratto un bilancio: la militanza del milite. il selvaticamente, il selvaggio noi e riprendere il cammino, e in cammino. filosofo, per filosofare deve vedersela da sé, ma non tutti i destini si destinano destinalmente. (¿che vuoi dire?) il rientro in patria è la nostalgia. l’io dell’io sono, a premessa e a promessa (¿peccato d’orgoglio?) (l’orgoglio non è peccato, è amor proprio). ar vincente non stravincente al diverso disperdendone le scritture già di per sé stesse caotiche. ma sía chiaro, non tutto quello che sarebbe stato necessario avere, dico nei termini dello strumentario e dell’ambiente stesso ove laboroperare all’altezza del proprium di genio e di 13 intelligenza - l’aristocrazia del proprium di cultura -, è stato dato dai pubblici ufficiali di un fattivo Stato che abbia cura del territorio e della comunità e dell’io dell’io sono; tutta una scrittura va a lettura a condizione che il lettore possa immaginare i possibili ostacoli ‘storici’ che avessero assillato lo scrittore nell’atto solo del concepirla, la scrittura, questa scrittura. ¿ma quale vita di vita e di scrittura è da attendersi da colui che proclami il disegno o di una problematica o di un verdetto? linguaggio segno parola scrittura ‒ ¡quali traversate di linguaggio segno parola scrittura in córso d’opera! riaccendersi nell’immaginarsi del sé di limite in limite. primato della retorica per fare discorso e conseguente stile da ricercarsi, e stile trovato: superamento dello stile. in altre parole… il tentato di parola sempre piú il tentato di parola. molto da dire della gloria e del destino: ¿molto da dire? molto da dire. ¿e perché non ne fai parola da dire? l’infinito a parola «fine», l’impossibile ‘fine’ come aver compiuta la missione «opera» e ‘fine’ come teleologia; per converso, l’ad infinitum dell’infinito. ¿ermeneutica a porsi nella problematica? ¿il silenzio dell’angelo a offuscare la visione e ottundere la mente? di questa scrittura si ponga mente ai limiti del segno tentato parola; ciascun segno patisce parola, se tentata. linguaggi complessi i segni complessi naturali e artificiali. una parola vale l’altra e una parola non vale l'altra, parole distinte. di questa scrittura si ponga mente ai limiti del segno tentato parola. misura per misura, del pensabile e dell’esprimibile, segno e limite. e perché filosofo abbia al fine una sua formulazione di figura allo studio lo si tratteggi per teoria di ufficio: intendendo portarsi ai gradi teoretici il filosofo non deve escludersi i microcosmi che s’intessano nel macroscosmo possibile a osservazione, cioè la materia di competenza propria del filosofo - se non intenda perdere i contatti con i microcosmi - il cui campo d’osservazione disciplinare è sia lo scientifico sia l᾿ umanistico -. conoscenza del conoscere le conoscenze in virtú di parola. ¿siamo noi 14 forse uno solo in significato? ¿ma da quale genio distinto a noi il significarci senza téma di ingannarci? da Eraclito, due parole, lógoj e shmaínein. e ancóra da Eraclito, ancóra lógoj: non ascoltando Eraclito ma ascoltando il logos. i pensamenti del conoscimento come riconoscimento, teoretico, l’ermeneutica per l’unità del tutto al limite storico. ¿quale autorità a significarne il prezzo? discorso vagheggiato e tagli di discorso. e sía il logos eracliteo la parola príncipe con le sue ricchezza e umbratilità semantiche a conoscenza ermeneutica, mentre il discorso l’altra parola príncipe, macro œ micro che sía quale espressione di valenza problematica del logos stesso. e ancóra in altre parole, un capitolo dedicato al filosofo e al senso proprio della parola composta «filo-sofo», e la discussione intorno ai processi cognitivi della «filosofia». sunto: «A che tante facelle?», «Le langage des fleurs et des choses muettes!». la rappresentazione linguistica - contributo alla conoscenza -: linguaggi concettuali le filosofie, simbolici le estetiche e formalizzati le scienze; «essere» «divenire» «vita», parole parole parole; per significare i linguaggi silenti si significano i linguaggi concettuali, i simbolici e i formalizzati. cosmo senza paradigma testimone. da cosmo a mondo, l’indeterminato determinato, chiaroscuro della coloritura segno. retorica e politica, ¿le parole ad accendere gli animi? ma si venga alla radice della questione per cui noi siamo qui convenuti: il segno e ancóra segno ‒ apriamo il libro di storia, il teatro ne è la terra, lo spettacolo che vi si offre è del segno, l᾿insegnarsi; e noi diciamo «siamo», non abbiamo dubbi di essere «esserci» in dignità di «esseri umani» e in qualità di «studiosi»: tutto fa presagire di poter intendere il problema che poniamo, quello del segno; e ne siamo tanto sicuri da affiancare al problema il sintagma «segno a segno», e al discorso l’espressione «il segno composto di segno a segno prima di ogni altro segno, prima della parola che segna la lezione assunta dal Segno in primis» - forti come ci riteniamo di essere a proposito del significato del discorso nel senso 15 del significato a discorso, ovvero la mera forma del segno ormai a nobiltà della parola (¿ma come nasce eletto a metodo e a protagonismo il segno del discorso che ha titolo di «filosofia»?) -. desertati in un’isola lontana dai libri di testo: il dover fare esperienza dello Studium, ma sin a ieri s’era conoscenze nuova struttura del limite in esercizi di segni a discorsi culture e stili, epocalizzazione limite di uno Stesso proposto alla nostra indagine teoretica e... ripresentarsi in noi dediti all’interrogare sovranità di segno l’ocearsi e l’inabissarsi dell’oceano e dell’abisso... lo Studium nostra esperienza; riempiamo di note i nostri taccuini, ‘brutta copia’, e si vorrebbe lo Stato a coronamento déi nostri studi, l’ontologia fondamentale! ¡ma se tutti questi nostri studi si svolgono in una lingua che possiede la sua semantica e la sua etimologia, cioè la sua magnifica ma ossessiva Grande Convenzione quando l’ob-iectum - che è il sub-iectum - è quel Neutro che sfugge all’altezza d’ingegno della parola piú pura! ritorniamo, come al solito, all’indirizzo dell’ermeneutica fra linguaggio e esegetica, dell’ermeneutica che sa di semiotica prima della funzione filologia che prevede il riconoscimento della testualità «segno complesso». [ma sono io, un professore di Belle Arti, a dare a intendere la dottrina del segno a déi giovani che ben poco hanno conosciuto di quei complessi che sono i segni a rappresentanza del Complesso Terra e Storia, e dico loro di questo e quello, di guerra e pace, di un autore maggiore e di un autore minore, insomma sono io a decidere la materia d’insegnamento, e la lettura è «la mia lettura».] ¿dove siamo arrivati con le interrogazioni? [e di nuovo, ¿sono io solo un professore, sono io solo un professore di filosofia e sue branche, o sono anche un filosofo che s’interroga sul suo stato di essere un filosofo? … ¿filosofo e quindi nominatore della terra e déi segni che la descrivono, segni del «mio segno»? inesausto filosofo del filosofema!] il filosofo è l᾿uomo teso a combattere con il proprio umus l umus stesso affinché l᾿uomo sía il filosofo «pensiero 16 pensante»; ma non si può procedere nel problematizzare compiendo il dovere di aver compiuto il proprio dovere di «discorsista: io qui affermo e non nego l’affermazione», quando c’è un principio, il principio che de rerum natura è semplicemente un titolo che il postero ha dato a un poema-saggio o un saggio-poema privo di titolo; altresí, i titoli indirizzano, orientano ma al contempo riducono il campo semantico in questione, il poema-saggio o il saggio-poema. … già l’Ora è scoccata, come la freccia scocca dall’arco, e anche oggi, non abbiamo ottenuto la nostra parte di eroismo intellettuale, le parole se ne vanno per il loro córso, e pare che amanuense perda la ‘presa’ di com‘prensione’, l’abitudine di significare il significato, dimenticando che il significato è il significato di una convenzione che sostiene la validità di ‘essere’ la Convenzione, come, per esempio, «l’esperienza e il racconto». ¿ma non sono esperienza l’esperienza e racconto il racconto? (mano tesa della tautologia, la semplificazione ermeneutica del passo-discorso nonostante che il limite ostacoli il punto fermo.) [lettera spedita agli amici teatranti: perbacco, sono vivo, cito e recito, il dramma sono io, cosí faccio teatro, considero di essere attore, non un ruolo mi è difficile da interpretare, caso mai è l’interpretazione che non soddisfa né il mio talento né il mio gusto, è una questione di ‘grammatica’, ¿a che debbo questo mio genio? (se lo si sapesse, non avremmo tanto da discutere intorno ai problemi che assillano i filosofi di competenza assiologica: il genio è Genius, una divinità).] quanto segue non è in fuori programma: ¿perché questa maschera a ricoprire il vólto: non è la maschera il tentativo del vólto a essere il vólto? ¿e se non ci fosse nessuno a indicare il fossato della conoscenza? per nostro costume intellettuale il che cosa? è il domandare secondo nostro diritto di attendere allo studio: non siamo animali randagi, e che ci si domandi se ci sía o meno un dottore che procuri all’aspirante allo studio le carte per lèggere strati e sottostrati del terreno ove s’innalza l’albero della conoscenza - ¿una richiesta di mito? ¿illuminismo o 17 illuminazione? - è una questione d’onore, l’onore che contraddistingue l’alunno ap‘prendente’ il conoscere del venire a conoscere. sía permesso l’intervento: ¿ma com’è che tu passi da semantema a semantema senza alcun rispetto del giovane che potrebbe rimanere spiazzato dal vortice che è il tuo discorso, vortice e fiume in piena? ciascuno a suo modo, venendo dalle lontananze del proprium di genio; ma non temere, il giovane, se buon studente, desideroso effettivamente di sapere il conoscere del venire a conoscere, segue con attenzione il mio discorso d’informazione, e io stesso, pur in cattedra ma non montando sui trampoli della stessa, sono continuamente a interrogarmi sul mio ruolo di cattedratico impartente lezioni sul generale delle possibilità mentali di infondere vita al dato bruto che per elementarità d’insegnamento si somministra al giovane studente. io come io so di lèggere di «storiæ» accorgendomi che storia di storie e pagina bianca di supporto sono una unica «realtà», e non so come possa andare a finire tutta questa faccenda. i possibili punti di riferimento sono i discorsi problematici aria nuova per un nostro possibile discorso indipendentemente dal semantema che vi si introduca -. un nome-mito: ¿chi può essere, per me o per te? ¿lo hanno ‘fabbricato’ (per me o per te)? un nome-mito necessario, nella cui risonanza ci si ispira per «altre opere»; ¿«altre opere», perché? ¿sopravvivere o piú che vivere? l’«opera»: nella quale ci si riconosca per la nostra aspirazione A...; la tavola delle léggi è scritta di volta in volta dalle epoche che sanno di essere l’«epocalmente». s᾿è sentito dire “la fabbrica déi sogni”, non è per noi; a lettura: critica all’opera, non ci sono mostri sacri. ma si ritorni alle parole prime, degne di essere considerate per la loro pregnanza semantica, di parole a costellazione, semantematica da discutere: mito e conoscenza; dalla conoscenza del mito al mito della conoscenza: problematicità; teorica e poetica: una ermeneutica della parola, fonte ispirativa a fuoco per l’uni-verso d’uni-verso silente, e, come a 18 immagine, teoretica della parola ‘sotto silenzio’, il clou del discorso déi discorsi che si susseguono nella storia delle letterature, locus testuale cercasi. complesso il complesso del discorso, causa gl’intrecci delle unità sintagmatiche costitutive e innervanti il discorso medesimo. pensosamente all’entità complessiva del discorso. il limite è ¿il... citiamo per nominare la parola «magia»? ¿è una parola che possa dare séguito al discorso - filosofico -? ¿quali sarebbero le parole opportune per il discorso - in filosofia -? non dalla platea una parola di conforto né dal palcoscenico dove si rappresenta la filosofia in gran gala. le rovine sono storiche; storia rude, il rudere è storico. filosofia neoretorica sofista - parola, l'antico λόγος greco -, parola è intelligenza di discorso, l’abbagliante parola, e siamo al punto dolente e non fermo. ¿la Storia magistra vitae? ¿quale Storia magistra vitae? Socrate, sapiente o solamente interrogante, non ha scritto, e non solo lui non ha scritto il suo discorso, come si sa anche dagl’ignoranti del come si fa un discorso: uomini sono che credono di fare o addirittura creare le storie della Storia - rileggere la figura dell᾿«eroe», ma dell᾿«eroe» storico -. a perdifiato i codici delle léggi corporative eticolinguistiche. ¿come parla la luce del cosmo? ‘il tempo non è maturo’ quando s’intenda promuovere la scuola del dettato... -. … la chiamata parola del giorno! la chimera risultanza. e dunque a linguaggio, ultimamente - destrutturando - ¿la psicologia dell’arte o la psicologia nell’arte? e ancóra: ¿dell’arte o nell’arte? e ancóra: ¿teoretica e colloquialismo antitetici? ¿è ancóra una questione di stile porre in questione lo stile perché vada in porto una sorta di discorso? s’imposti il discorso: (non se ne abbia l’officiante) in questo momento non si sa dell’estro come dell’astro - æstro -, invisibilità sul fronte operativo all’essere protagonista la chiave del discorso (legittimato?), e un furoreggiare di nomi piú o meno illustri (v.s. ‘un nome-mito’), possibili inaugurali geste, digressioni (devo lamentare che il tuo vocabolario non è poi cosí tanto ricco, ah, la magnifica angelica 19 dirittura d’arrivo di una cultura! grafica dell’iperbole tragica (nel córso del termine), (‘luogo chiuso’), parola cerchiata avviluppa discorso. se noi, ingegni che ci ingegniamo in studi superiori, in questi studi superiori si è dinamici - per stato inquieto -. ¿che dire dell’oceano dell’abisso? in oceano a inabissarci (ma v.s. ‘oceano’, ‘abisso’). piú taccuini alla prova déi nomi. il filosofo e la sua musica: è ora di parlarne. critica qui sta per rielaborazione del discorso, e non se ne trova il nucleo organico della semanticità; grammatica e retorica, storicamente limite. da quando è semiotica, prima pragmatismo - e non positivismo - e dopo fenomenologia godono dell’analisi del linguaggio; risalendo la storia della filosofia è l’ermeneutica: in questione, l’intendimento. ma, spettro all’opera, la voce del silenzio contrastante il problema istituente il significato del silenzio. in segno dell’astratto, i segni a seguire lo stato dell’incarnarsi segno semantematizzazione, in forma - ma non per ciò in formalismo (per quanto la coscienza vissuta testualmente in hoc signo è piú che prossima all’ambiguità del coscienziarsi in ‘presa’ di co-scienza com‘prendere’ - la barra dello spettacolo) -. Teatro dell’Opera multimediale, e ecco l’attore ‘corpo’ di segno plurimo, differenziazione a atto di qualificazione ‘corporareità’ - e se una identità chiama a sé il danzatore, ebbene l’attore è la danza, e cosí via -. ¿un’interpretazione i significati déi significanti? ¿che cos’è la via alla forma, oltre che metodo? variazioni del dubitare: non se ne esce dal pensiero della questione e il sistema è legato alla logica dell’ideale e il colore d’un colore non è il colore d’un colore bensí ‘materialistica’ di colore ‘in parola’ e infine i pellerossa originano per il modo di dire che un fenomeno umano ha nome «pellerossa» - lo stesso concetto di ‘pellerossa’ è da definizione in contesto di discorso - (il senso del semantema...) -. sempre problema, problema in atto; parola come se se ne avesse parola per poter parlare dell'entità èntica della parola. della bizzarria dell’«io»; pare che non se ne possa fare a 20 meno, dell’«io»: ¿cose vogliono eserciti di parole? suvvia, non si sía ridicoli! prima delle cose non è cosa, la cosa non vuole cosa e non vuole un esercito di parole; la cosa è un segno promosso a parola affinché la cosa che cosa non è possa distinguersi fra i silenzi del cosmico silenzio. ormai, dopo i discorsi teleologici e teologici, non è scientificamente sostenibile la tesi ‘asso pigliatutto’ della parola come Parola; φύσις, con cautela il fatidicamente lèggere e tradurre: una lingua sta per sé, e autori ne parlano: la φύσις. scolaro, sta al gioco la mossa dello scatto, la Carta non tranquillizzata. si scrive sillabando rialfabetizzazione, nebulosamente. negli austeri studi di tradizioni e negli avventurosi di avanguardie, non ci si volge che alla immancabile stella nera. non si sa chiudere il libro. parlando, il parlante a domandarsi di che cosa stia parlando. la Storia non ha una faccia sola, non è monotòna, la storia della terra e déi suoi esseri, machina mundi, il Capo il Maestro ¿l᾿unico, la sua opera a sfidare l᾿enigma universale? ¿può la parola piú delle sue parole? non il discorso organizzato, la parola d᾿ordine ‘darsi problema di questo tutto di limite che è il materico posto a segno del conoscere interrogativamente e pagine - interroganti - che vi s’ingialliscono’. segno è cifra, dalla malía, o magía, il portento! - ¿o quale altra designazione per il mistero æstrico non ancóra svelato e fatto proprio dalla conoscenza pura? -, non segue che segno, o parola innalzata a discorso in/in/terrotto; ¿e quanto resistente parola-discorso in/in/terrotto al percorso del tempo storico? - non si tratta di formalismo storicistico -. ¿lettore ha cuore per innalzarsi a paroladiscorso? il nodo focale, il sole non è ancóra un vecchio decrepito e il cielo si rabbuia. i linguaggi, il loro regno di linguaggio, saviezze mutile e erranze continue per il campo semantico a conoscenza. [«in ogni vólto il suo genio barocco»: traggo l’espressione riguardante uno déi miei æstri da una delle enciclopedie in voga per il pubblico non specialista in una disciplina letterario-scientifica o artistica, 21 espressione che dice e ridice il mio principio, quello di tentare di identificarmi, con un gioco degli specchi che porti all’autoreferenziale, in quei Narciso déi quali io sono ammiratore fanatico; in quel nome che m’attrae traggo la conseguenza che al candore focoso del mio animo s’accompagna il compagno di viaggio fra le distanze che coprono gli spazi; l’altra sera mi sono immaginato di lèggere pagine del Kapital di Marx trovandomi estasiato nella Cappella Sistina. io sono un italiano delle culture italiane che prende lezione tanto da Orson Welles quanto da Ernst Jünger: … il compagno di viaggio fra le distanze che coprono gli spazi... nominare Nomi! esserne capace...! ¿chi sono io che mi dico io sono? l’ossimoro, questo impertinente!, la fa da padrone nella mia forma mentis. qui-e-ora scrivo: ¿potrei venire meno a me stesso ego scriptor? memorioso del vivermi alla lontana. ¿un Giudice che giudica sé stesso in mancanza del suo alter-ego? ¿che ne sarà del Libro che consulto, e déi libri che non ho letto e che non leggo e che forse mai leggerò? ¿quante sorprese e ispirazioni avrei potuto avere qualora i libri mai da me letti li avessi letti?] ¿nulla da aggiungere? il bombardamento su Dresda, anteprima alle due bombe atomiche sganciate sul Giappone. ma ricomponiamoci, nonostante che i morti continuino a essere morti massacrati, viventi nelle loro morti massacrate: si ricominci con i nomi promossi dalle parole, parole, sí, perché nomi vengano nominati; e parole, ancóra, perché s’incanalino nelle corporazioni linguistiche delle filosofie e delle scienze, delle arti e déi mestieri. ¿un discorso di filosofo? ¿il filosofo quale magistero? piú della conoscenza è la conoscenza teoretica, la filosofia teoretica. si ha un cervello, il cervello la mente, la mente il pensiero, il pensiero l’idea, il pensiero può ideare, concettualizzare, significare: non perdere, o uomo, l᾿occasione di filosofare e del discorso stabilirne il testo! parola di filosofo. uno déi problemi che un filosofo debba affrontare è quello del ‘genere᾿, premessa all’avvio del discorso. 22 parlandoti senza peli sulla lingua, in questo tuo testo, di genere non ne vedo, se non un discontinuo modismo e nomadismo del discorso tuo testuale, e tu sai l’importanza che riveste il genere: il genere fa discorso, e con il discorso, fa stile, e con lo stile, fa conoscenza al limite della forma - ¿limite della forma? -. coronamento stilistico e ci si avventura, si rischia di romperci l’osso del collo e di rovinarci nella fanghiglia, e è motivo che la parola sbagliata venga ritenuta al posto giunto, mentre campioni e fuoriclasse, combattenti dello spirito, i motivatori, li passano in second’ordine. identità e alterità, i due corni di uno déi tanti problemi; essere ¿e non parola scissa? - da Parmenide a Emanuele Severino -. grezzi s’imparò a mandare a memoria tutto quello che offriva il mercato delle Lettere, rozzi s’imparò a incaponirci che i morti sono vivi e piú vivi déi vivi (ma ci si sbagliava di grosso, quei morti erano morti, non parlavano piú alle coscienze déi reali vivi). venuta la maturità (creduta almeno che maturità fosse), o qualcosa che effettivamente potesse essere equiparata alla maturità, s’imparò a pensare con la propria testa (mai un luogo comune fu tanto appropriato alla questione del rendiconto sugli studi svolti), pensare nel senso del ponderare, e s’imparò a convivere con le presenze altrui ma tenendo con quelle le debite distanze (e non per un fastidioso aristocraticismo): riconoscersi di avere dalla propria parte una parte difendibile e che venga rispettata da chi vuole importunare lo spirito critico - il cosiddetto ‘sommo bene’, non ne avremmo avuto sapere se non fosse stato che a insegnarci una via per il modo di dire fu uno squarcio di cielo nella persona dell’interrogante -. un libro che ci convinca, la terra è la terra, l’immediato a portata di mano; ma se è questo che ci frastuona e frastorna! paesaggistica spaesata... dicono che: epistemologia, drammatica ermeneutica (¿a ribaltare le proporzioni?); ¿accostare epistemologia a ermeneutica? accostare epistemologia a ermeneutica. ¿come si lègge? ¿che cosa si sta dicendo all’estremo? - l’estremo: ¿e il limite? -. le parole non sono piú vergini. 23