CINEMA E FILOSOFIA IL SALE DELLA TERRA regia di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado soggetto e sceneggiatura: Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado, David Rosier, Camille Delafon; fotografia: Hugo Barbier, Juliano Ribeiro Salgado; musiche originali: Laurent Petitgand; montaggio: Maxine Goedicke, Rob Myers; interpreti principali: Sebastiao Salgado (se stesso), Wim Wenders (narratore), Juliano Ribeiro Salgado (narratore), Hugo Barbier (se stesso), Jacques Barthélémy (se stesso), Lélia Wanick Salgado (se stessa). produzione: Decia Films, Amazonas Images, Digimage, Solares Fondazione delle arti; Officine UBU; origine: Brasile, Italia, Francia anno: 2014 distribuzione: durata: 110 minuti. (13)Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. (14)Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, (15)né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. (16)Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. (Mt 5,13-16) Beati quelli che hanno un gusto, foss’anche un cattivo gusto! E non solo beati, ma anche saggi, si può diventare solo in virtù di questa qualità: per cui i Greci, che in tali cose erano assai fini, designarono il saggio con una parola che significa l’uomo di gusto, e chiamarono la saggezza, artistica come filosofica, addirittura “gusto” (sophia). (F. Nietzsche, Umano, troppo umano, II, Adelphi, Milano, 1967) Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all'infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista. (K. Boulding) L’Impronta Ecologica media mondiale (cioè l’equivalente di risorse che ciascun abitante della Terra utilizza mediamente per i propri consumi annuali) ammonta a ca. 2,2 ha p.c. (dati riferiti al 2000) che risulta superiore al limite sopra indicato di 1,9 ha. Questo significa che ogni anno consumiamo collettivamente più risorse rinnovabili di quanto la natura sia in grado di rigenerare. In altri termini, stiamo sfruttando la biosfera oltre la sua cosiddetta capacità di carico. Un simile livello di consumi è per definizione insostenibile nel lungo periodo poiché comporta l’impoverimento dello stock di capitale naturale, compromettendo la capacità di rigenerazione delle risorse. (N. Chambers, C. Simmons, M. Wackernagel, Manuale delle Impronte Ecologiche. Principi, applicazioni, esempi, Edizioni Ambiente, Milano, 2002). Il risultato di tutto questo è chiaro. Tutte le volte che produciamo una Cadillac distruggiamo irreversibilmente un ammontare di bassa entropia che potrebbe essere invece usato per produrre un aratro o una vanga. In altre parole, tutte le volte che produciamo una Cadillac lo facciamo a prezzo della diminuzione del numero delle vite umane nel futuro. Lo sviluppo economico attraverso l'abbondanza di prodotti industriali può essere una benedizione per noi adesso, e per coloro che potranno goderne nel prossimo futuro, ma va sicuramente contro l'interesse della specie umana nel suo insieme, se questo interesse è di avere una durata nel tempo limitata soltanto dalla sua dotazione di bassa entropia. In questo paradosso dello sviluppo economico si manifesta il prezzo che l'uomo deve pagare per il privilegio che lo contraddistingue: la capacità di oltrepassare, nella sua lotta per la vita, i limiti biologici. […] E non c'è né cinismo né pessimismo nel ritenere che, quand'anche divenisse consapevole del problema entropico della specie umana, l'umanità non sarebbe disposta a rinunciare ai suoi lussi presenti per alleviare la vita di coloro che vivranno di qui a diecimila, o anche solo a mille anni. Ampliando i propri poteri biologici mediante gli artefatti industriali, l'uomo non soltanto è divenuto ipso facto dipendente da una fonte di sostegno della vita che è molto scarsa, ma si è contemporaneamente assuefatto ai lussi industriali. E come se la specie umana avesse deciso di avere una vita breve ma eccitante, lasciando alle specie meno ambiziose il destino di un'esistenza lunga ma monotona. (N. Georgescu-Roegen, Bioeconomia, Bollati Boringhieri, Torino, 2003) La teoria dell’Impronta Ecologica e le sue applicazioni empiriche indicano che, in un contesto di risorse limitate qual è il pianeta che noi tutti condividiamo, i paesi più sviluppati producono la loro ricchezza utilizzando molte più risorse di quanto sarebbe equo e sostenibile, sottraendo una cospicua quota di esse ai paesi più arretrati che in tal modo si ritrovano in una condizione di carenza per fare fronte alle necessità di base dei propri abitanti. Dunque, semplificando, la crescita dei consumi nei paesi ricchi è causa di impoverimento di risorse nei paesi poveri. Più in generale, dato che i ricchi e i poveri esistono anche all’interno di ogni paese, l’analisi dell’Impronta Ecologica suggerisce che la concentrazione di ricchezza, lungi dal favorire il benessere comune (come sembra affermare implicitamente la teoria economica che oggi va per la maggiore) si fonda sulla sottrazione di risorse naturali a svantaggio dei soggetti più deboli, determinando il perpetuarsi della fame e della miseria in cui versa oggi la metà circa della popolazione mondiale. ( B. Cheli, Alcune riflessioni sulla misurazione del benessere: dai paradossi del PIL all’ indice del benessere economico sostenibile, con uno spunto per l’analisi della povertà, Rivista Italiana di Economia, Demografia e Statistica, vol. LIV, n. 1, Gennaio – Marzo 2000) […] E ridurre drasticamente, se non sopprimere, l’enorme potere del denaro di creare denaro, cosa che già Aristotele aveva definito “contro-natura”. […] Abbiamo costruito, soprattutto in Occidente ma non soltanto, un mondo artificiale: quello della matematica. […] Un mondo in cui se si parte da 1000, in dieci anni con un tasso di crescita del 10 per cento si avrà 2000, e con un tasso del 2 per cento in duemila anni si avranno 160 milioni di miliardi, un risultato allucinante. Sfortunatamente, dimenticando che è una pura astrazione, ci siamo messi in testa che la realtà dovesse obbedire a questa fantasia matematica: è il delirio della ragione geometrica. Oggi siamo arrivati al punto che un capitale gigantesco, può appropriarsi di tutta la ricchezza creata grazie al fatto che si autoalimenta. […] Si tratta di un meccanismo mostruoso che la finanza chiama disinvoltamente return on equity, “giusto ritorno”. […] ma la situazione in cui ci troviamo … non è più sopportabile. (S. Latouche, L’economia è una menzogna, Bollati Boringhieri, Torino, 2014)