Lemma 1
Involucro edilizio
Building envelope
Lucia Busa
Parole chiave:
Involucro, Facciata, Chiusura esterna, Pelle.
Keywords:
Envelope, Façade, Skin.
Abstract
Molto spesso nelle pubblicazioni dedicate all’argomento si trova un uso improprio del termine involucro, confuso ed
usato come sinonimo di altri vocaboli quali facciata, pelle, chiusura, ecc. L’obiettivo che il presente lavoro si prefigge
è quello di cercare di mettere chiarezza in tale campo, attraverso l’evoluzione del concetto di chiusura che diventa
involucro, passando attraverso il significato e le differenze dei termini ad essi correlati.
L’involucro da elemento superficiale e bidimensionale, la pelle appunto dell’edificio, si trasforma in un elemento
tridimensionale e complesso sia dal punto di vista architettonico che prestazionale, un elemento che si integra con gli
impianti, ne diventa un’appendice o addirittura diventa esso stesso l’impianto. Alla luce di tutto ciò la definizione che
più appare corretta del termine involucro è sistema di chiusura integrale dell’edificio.
Il termine involucro, il cui uso riferito all’edilizia è abbastanza recente (Matteoli, 1977), racchiude
in se stesso il concetto di globalità. Rispetto al concetto di chiusura, che presupponeva una netta
distinzione tra le parti dell’edificio considerate in unità distinte (pareti verticali opache, aperture
trasparenti, copertura, ecc.), l’involucro ha il suo fondamento, da una parte, nello sviluppo senza
soluzione di continuità e, dall’altra, nell’essersi svincolato dalla struttura portante dell’edificio.
Secondo Rem Koolhaas, tra i primi a fare uso di questo termine in architettura, la grande
dimensione di molti edifici contemporanei porta inevitabilmente a considerare la facciata come una
struttura indipendente dal resto, dotata di una sua vita autonoma: “(…) so that the building’s
envelope plays its own role in the life of the city and answers all the demands the contest asks”
(Koolhaas, 1994). Osservando alcuni suoi progetti come il Sea Trade Center a Zeebrugge (1989) e
la biblioteca Jussieu a Parigi (1992), si può notare come questi grandi edifici siano dei veri e propri
contenitori di altri elementi.
Si trova sempre più spesso nelle varie pubblicazioni sull’argomento un uso improprio di tale
termine, spesso confuso e usato come sinonimo di altri vocaboli quali facciata, pelle, chiusura, ecc.
Il lemma si propone di mettere chiarezza in tale campo, attraverso l’evoluzione del concetto di
chiusura che diventa involucro e il significato e le differenze dei termini ad essi correlati.
Da un’analisi etimologica delle parole emerge come ai concetti di facciata e di pelle si associ
prevalentemente un significato di aspetto esteriore e di strato superficiale (deriva infatti dal termine
latino facies). Il concetto di facciata è strettamente correlato alla struttura e conseguentemente alla
logica che regola l’interno dell’edificio; il termine stesso, “faccia”, esprime il volto dell’edificio che
ne rappresenta l’immagine all’esterno e attraverso il quale proietta al mondo la propria identità:
dalla lettura delle sue proporzioni e dei rapporti pieni-vuoti emerge all’esterno la concezione che sta
alla base di ciò che essa racchiude; inoltre è fortemente indipendente dalle altre parti sia a livello
formale che tecnologico.
Il termine involucro, che ha radice nel verbo invŏlvere, viceversa, non si limita solo all’aspetto
superficiale, ma indica tutto ciò che avvolge esternamente qualcosa, definendo quindi un sistema
più complesso che spesso diventa uno spessore-filtro ben leggibile in sezione. Questo spazio di
transizione, soglia tra interno ed esterno, è del tutto indipendente dal contenuto dell’edificio: nella
maggior parte dei casi rappresenta se stesso.
Si può pertanto definire l’involucro come un sistema di chiusura integrale dell’edificio: sistema in
quanto costituito da diversi elementi tecnici strettamente interdipendenti, e chiusura integrale grazie
alla continuità degli elementi che lo compongono.
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Un’opera in cui si esemplifica bene il concetto di involucro è il Caffarelli Congress Center a Tolosa
di Jourda e Perraudin: una grande gabbia vetrata ovoidale contiene un solido sospeso (la sala
congressi), esattamente come se l’involucro fosse una membrana che contiene un organo e lo
protegge.
L’involucro può altresì essere definito come il “luogo nel quale si concretizza uno specifico
linguaggio tecnologico” (Zambelli, 1994) e come tale rimane testimonianza dell’evoluzione tecnica
e produttiva del momento storico in cui viene realizzato, oppure come “quell’insieme di connessioni
tra interno ed esterno connaturate alle modalità di scambio desiderate tra uomo e ambiente fisico”
(Spadolini et altri, 1980).
L’utilizzo del termine membrana serve ad introdurre la narrazione di un processo evolutivo che ne
ha visto progressivamente ridursi lo spessore, amplificando nel contempo le sue capacità di risposta
alle sempre più articolate necessità e condizioni di benessere del fruitore. Come accade al sistema
corporeo in cui organi e muscoli si contraggono o si dilatano in funzione delle sollecitazioni esterne,
così accade sotto la pelle dell’organismo edilizio in cui sistemi cablati, automazione, regolazione
degli schermi solari, ecc. ne permettono la regolazione della vita.
Il concetto di una entità autonoma che assicura la chiusura e la copertura dell’edificio
indipendentemente dalla funzione portante non è apparsa fino alla seconda metà dell’800 (Ferrier,
1996). A partire dal Crystal Palace di Paxton (1851), le realizzazioni innovative riguardano
soprattutto i mercati, le stazioni, le gallerie e le costruzioni industriali; lontane dai rigidi formalismi
delle accademie, in esse si sperimentano i grandi temi tecnici e architettonici che caratterizzano la
concezione dell’involucro: la struttura in nervature di acciaio e le aperture vetrate a nastro continuo
con il deposito navale di Sheerness (1858), la chiusura in cui parti opache e vetrate possono disporsi
liberamente su una griglia in acciaio con la fabbrica Fagus (1911) e la continuità tra facciata e
copertura attraverso le pareti curve per l’officina del Werkbund (1914) di Colonia di Gropius e
Meyer, le architetture trasparenti di Mies van der Rohe. Foster nel 1974 supera una tappa decisiva
utilizzando pannelli modulari in alluminio sia per le pareti che per la copertura del prestigioso
edificio Sainsbury Centre for Visual Arts a Norwich: questa è una delle prime volte in cui viene
usato il sistema di pannelli modulari per un edificio per il quale non era previsto né un uso
commerciale, né un uso industriale (Brooks, Grech, 1992).
Negli ultimi decenni le strategie di involucro riguardano tutti i tipi di edificio e costituiscono gli
strumenti di una incredibile diversità di approccio all’architettura, dalle lamiere ondulate delle case
di Murcutt, alle serigrafie sull’involucro del magazzino Ricola a Mulhouse (1993) di Herzog & De
Meuron, passando per le invenzioni continuamente rinnovate di Piano, tanto per citarne alcune.
Su un altro versante, la costruzione di grandi involucri che sovrastano siti interi e consentono un
microclima piacevole indipendente dalla situazione meteorologica esterna è un antico sogno
dell’uomo. Quando negli anni ’60 Fuller mise su carta le sue idee utopistiche di cupole climatizzate
a copertura di interi quartieri urbani, fu spinto da motivi esclusivamente ecologici, idee che in tempi
recenti sono tornate di attualità, come nel progetto Eden di Grimshaw & Partners (2001).
L’involucro si complessifica e si arricchisce della pluralità di funzioni degli strati che lo
compongono e che separano l’ambiente interno controllato, dall’ambiente esterno mutevole e
imprevedibile. A partire dai primi del ‘900 in poi, le conquiste tecnologiche hanno portato verso un
uso massiccio dell’impiantistica, da cui deriva un modo di concepire l’involucro edilizio non attento
al contesto e al clima; la crisi energetica degli anni ’70, una crescente attenzione verso la qualità
degli ambienti interni, la necessità di una migliore integrazione con l’ambiente provoca ad un certo
punto una revisione di approcci troppo semplicisti e il riconoscimento del ruolo “energetico”
dell’involucro.
Questo, da elemento superficiale e bidimensionale, si trasforma in elemento tridimensionale e
complesso sia dal punto di vista architettonico che prestazionale, un elemento che si integra con gli
impianti, ne diventa un’appendice o addirittura diventa esso stesso l’impianto.
Relativamente alle prestazioni fisico-ambientali siamo passati dal concetto di massività, alle prime
esperienze di architettura bioclimatica e, infine, al concetto di superficie di confine
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tecnologicamente complessa, in grado di mutare automaticamente le proprie prestazioni e di
integrare dispositivi impiantistici di varia natura.
L’evoluzione è avvenuta nel senso della trasformazione delle strutture massive e pesanti in sistemi
più leggeri e sottili atti ad emancipare le funzioni dell’involucro da quelle dell’edificio. L’involucro
architettonico da elemento prevalentemente di barriera si è evoluto in quello che Mike Davies nel
1981 definisce come complesso sistema-filtro selettivo e polivalente. Egli sviluppa l’idea di una
parete dinamica che, a seconda delle necessità dell’utente, protegga dal sole o dal calore, riflettendo
o lasciando entrare nell’edificio l’energia termica e che si apra o si chiuda a piacere. A seguito delle
ricerche di Davies viene coniato il concetto di “parete di vetro intelligente”.
Per introdurre il concetto di pelle dell’edificio pare opportuno citare quanto Herzog dice nel 1995 “è
significativo parlare di un edificio come di una “pelle” e non meramente di una “protezione”,
qualcosa che “respira”, che regola le condizioni climatiche e ambientali tra interno ed esterno, in
analogia a quella delle creature umane”.
Roj e Rivera parlano inoltre di involucro ambientale, con un carattere di apertura sia verso l’esterno
che l’interno, in contrapposizione al concetto di involucro pellicola, destinato a rendere l’interno
impermeabile e quindi totalmente condizionato. Peraltro anche Argiolas afferma che tutte le
soluzioni tecniche che permettono di beneficiare e ottimizzare le risorse naturali collaborano a
trasformare l’involucro edilizio in involucro ambientale, non più separazione fisica, ma elemento
partecipe della vita dell’organismo.
Infine una tendenza attuale dell’involucro è quella che lo concepisce come un supporto per
immagini o per scritte elettroniche: è il caso di edifici utilizzati per inviare messaggi pubblicitari o
altre informazioni attraverso immagini che scorrono sui propri involucri. James Wines, cofondatore del gruppo SITE, parla della chiusura esterna come di un filtro che riceve e trasmette
molte informazioni proprio come un televisore. A questo proposito, tra le esperienze maggiormente
significative, ci sono quelle di Toyo Ito (Torre del Vento, 1986) e di Jean Nouvel (Mediapark a
Colonia, 1990), opere incentrate sulla forza espressiva di superfici cangianti, pensate per una
comunicazione multimediale.
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