PUBLIO TERENZIO AFRO Pagine digitali
Un teatro che si oppone
alle convenzioni
Il modello di commedia che risulta congeniale alla penna di Terenzio è senza dubbio la cosiddetta stataria, vale a dire un intreccio che si mantiene aderente al vero e conduce una serie di riflessioni su argomenti e tematiche di attualità per la società dei tempi. Il pubblico però, come si
sa, non apprezzava molto questo tipo di teatro e allora il poeta dovette venire a un compromesso,
dando vita a commedie mixtae, vale a dire intrecci in cui accanto agli elementi innovativi erano
presenti residui del teatro tradizionale. I passi presenti nel percorso sono esempi di ciò. A intrecci, personaggi e situazioni che potremmo definire convenzionali si accompagnano elementi
innovativi, che rivelano il pensiero di Terenzio e la sua personale e convinta adesione ai principi
dell’humanitas.
ITA
TESTO 1 Hecyra, vv. 841-880
ITA
TESTO 2 Phormio, vv. 465-484
LAT/ITA TESTO 3 Adelphoe, vv. 806-839
TESTO 1
Servus e meretrix: la rottura
delle convenzioni Hecyra, vv. 841-880
È la scena finale della commedia, immediatamente successiva al monologo di Bacchide. Oltre a Bacchide e a Panfilo, compare sulla scena anche Parmenone. Ciò permette a Terenzio di capovolgere ancora una volta i moduli della commedia plautina: il servus, che in quella era motore ed elemento risolutore della vicenda, qui appare svilito nel suo ruolo e non si rende neanche conto di quanto stia
accadendo, della portata del messaggio che gli è stato affidato e del motivo per cui lo reca a Panfilo.
Spicca invece la figura di Bacchide, di fronte alla quale gli altri personaggi appaiono sminuiti. Si comporta sempre con onestà e lealtà, fino a complimentarsi con Panfilo per la sua sposa. È il personaggio che maggiormente rompe le convenzioni, tanto da assumere le vesti di eroina tragica più che comica, generosa e altruista fino all’abnegazione.
Il registro stilistico del brano è duplice: comico nelle parole del servo ed elegiaco negli atti e nelle parole dei due giovani che si danno l’addio definitivo.
Compare, infine, cosa piuttosto desueta in Terenzio, un accenno di metateatro nelle parole di Panfilo
(vv. 866 sgg.): è una dichiarazione molto significativa dello scarto che Terenzio avvertiva tra il suo
teatro e quello tradizionale, quasi una degna conclusione di quanto siamo andati dicendo sul modo
di presentare personaggi e intrecci.
PANFILO, PARMENONE, BACCHIDE
PANF.
PARM.
PANF.
(riconducendo in scena Parmenone) Mio caro Parmenone, accertati ancora, se non ti dispiace, di
avermi dato informazioni proprio sicure e chiare, per non gettarmi in una felicità ingannevole
e troppo breve.
Mi son già accertato.
Sicuramente?
A. DIOTTI, S. DOSSI, F. SIGNORACCI, Res et fabula © SEI 2012
1
Un teatro che si oppone alle convenzioni
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PARM.
Sicuramente.
Se è così, sono un dio!
PARM.
Vedrai che è la verità. (fa per andarsene)
PANF.
Aspetta un poco, per favore: io temo di credere una cosa, mentre tu me ne annunzi un’altra
diversa.
PARM.
Aspetto.
PANF.
Così tu hai detto, mi pare, che Mirrina ha trovato il suo anello in dito a Bàcchide.
PARM.
Esattamente.
PANF.
Quello che una volta io le avevo regalato. E ti ha ordinato lei di venirmelo a dire. È questo il
fatto?
PARM.
È così, ti dico.
PANF.
Chi è più fortunato di me? chi più traboccante di gioia? Che cosa potrei regalarti in cambio di
questa notizia? Che cosa? non so.
PARM.
Ma lo so ben io.
PANF.
Che cosa?
PARM.
Ma niente! perché non capisco che cosa ci sia di tanto buono per te, o nella notizia o in me
stesso.
PANF.
E io ti lascerei andar via senza compenso, dopo che dal buio dell’Orco mi hai riportato alla
luce, quando ero ormai come morto? Ah, mi credi troppo vigliacco! Ma ecco, vedo Bàcchide
ritta davanti alla porta. Penso che mi aspetti; ci vado.
BACC.
(avvicinandosi) Salve, Pànfilo!
PANF.
O Bàcchide! O mia Bàcchide! Salvezza mia!
BACC.
Tutto va bene, e ne ho piacere.
PANF.
I tuoi atti mi inducono a crederti, e tu conservi davvero la gentilezza di un tempo; così che
l’incontrarti, il parlarti, il vederti giungere in qualsiasi luogo è sempre motivo di gioia.
BACC.
Sei tu, per Càstore, che hai conservato i tuoi modi e il tuo carattere di un tempo; e non ci sarà
mai un solo uomo, fra quanti ne vivono al mondo, più amabile di te.
PANF.
Ah! Ah! Ah! Sei tu che dici questo?
BACC.
Avevi ragione, Pànfilo, di amare tua moglie. Prima di oggi, io non l’avevo conosciuta né vista
coi miei occhi. Mi è parsa molto distinta.
PANF.
Di’ la verità!
BACC.
È così, per l’amore degli dei!
PANF.
Dimmi, di queste faccende hai già detto qualche cosa a mio padre?
BACC.
Niente.
PANF.
E non bisogna dir nulla. Dunque, non fiatare! Desidero che non accada qui come nelle commedie, dove tutti vengono a sapere tutto. Quelli ch’era giusto che venissero a sapere, ormai
sanno; e quelli che non devono sapere, non apprenderanno né sapranno.
BACC.
Anzi, io ti darò il mezzo di credere anche più facilmente che la cosa può essere tenuta segreta.
Mirrina ha detto a Fidippo che lei ha fiducia nel mio giuramento, e che così, per lei, tu sei lavato da ogni macchia.
PANF.
Benissimo! e spero che questa faccenda si possa concludere con nostra soddisfazione.
PARM.
(avvicinandosi) Padrone, si può sapere che cos’è che io ho fatto di buono oggi? o che cos’è
questa faccenda di cui parlate?
PANF.
Non si può.
PARM.
Eppure, io ne ho il sospetto. (a parte, riflettendo) «Io l’ho riportato dal buio dell’Orco alla luce,
quando ormai era morto...» In che modo?
PANF.
Tu non sai, Parmenone, quanto giovamento m’hai recato oggi e da che immensa tribolazione
mi hai liberato.
PARM.
E invece io lo so; non ho mica agito senza sapere quello che facevo!
PANF.
Quanto a questo, ne sono convinto.
PARM.
Potrebbe mai Parmenone fallire per sbadataggine un colpo che si deve fare?
PANF.
Seguimi in casa, Parmenone.
PARM.
Ti seguo. (a parte) In verità, ho fatto un maggior bene oggi, senza saperlo, di quanto ne abbia
mai fatto, sapendolo, fino ad oggi!
IL CANTORE Applaudite!
PANF.
(trad. di A. Ronconi)
A. DIOTTI, S. DOSSI, F. SIGNORACCI, Res et fabula © SEI 2012
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Un teatro che si oppone alle convenzioni
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TESTO 2
Un insieme di amici animati
da buoni sentimenti Phormio, vv. 465-484
La commedia da cui è tratto il passo è definita mixta, perché in essa convivono elementi propri delle
commedie statariae e altri più conformi alla tradizione comica di tipo plautino. Sappiamo infatti che
Terenzio dovette venire a compromesso con il suo pubblico, che mal digeriva gli intrecci troppo riflessivi, ispirati ai principi dell’humanitas. La scena presentata risulta emblematica di questa mescolanza. Siamo all’inizio del terzo atto e ritorna dopo una lunga assenza Antifone, pentito di essersi
comportato da codardo e di aver abbandonato la difesa di Fanio, la giovane moglie che aveva sposato all’insaputa del padre e grazie all’intervento del servo Formione. La trama è quindi debitrice alla
tradizione plautina perché presenta intrighi, raggiri, trappole ed equivoci propri di quel modello comico. Il carattere dei personaggi, invece, sembra rispecchiare il modo di intendere di Terenzio. Lo si
vede dal comportamento che assume Antifone, pentito per le scelte compiute e prodigo di riconoscimenti e gratitudine verso tutti quelli che in un modo o l’altro lo hanno aiutato. Ne esce una pagina
grondante di buoni sentimenti, secondo le migliori intenzioni terenziane.
ANTIFONE, GETA
ANT
GE
ANT
GE
ANT
GE
ANT
GE
ANT
GE
ANT
GE
ANT
GE
ANT
GE
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GE
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GE
ANT
GE
ANT
GE
(Arrivando dalla parte della piazza, tra sé) Sei un vero pusillanime, Antifone! Che comportamento deplorevole: andartene via così, e mettere la tua vita in mano agli altri! Davvero pensavi
che gli altri avessero a cuore i tuoi interessi più di te? In ogni caso, poi, non avresti dovuto disinteressarti di lei: quella poveretta è in casa tua, si fida di te, ripone in te tutte le sue speranze;
non deve soffrire per colpa tua!
Eh sì, padrone: è un bel pezzo che ti mandiamo accidenti, perché te ne sei andato!
Cercavo proprio te.
Comunque, ce la siamo cavata lo stesso.
Parla, ti scongiuro! Qual è la mia sorte, la mia condizione? Mio padre sospetta qualcosa?
Ancora niente.
Dunque, non ci sono speranze?
Non lo so.
Ah!
Certo, Fedria ti sta dando una bella mano.
Questa non è una novità.
E Formione, come sempre del resto, è stato davvero formidabile.
Cosa ha fatto?
Ha risposto per le rime a tuo padre, che era arrabbiatissimo.
Bravo Formione!
E anch’io ho fatto quello che ho potuto.
Oh Geta: come ti voglio bene!
La cosa s’è incanalata come t’ho detto. Per il momento è tutto tranquillo: tuo padre ha deciso
di aspettare che arrivi qui tuo zio.
Perché mai?
Diceva che vuole farsi consigliare da lui in questa faccenda.
Ah, Geta: adesso tremo al pensiero del ritorno di mio zio! Se è vero quel che dici, il suo parere
può significare la vita o la morte per me.
Ecco che arriva Fedria.
Dov’è?
Eccolo lì: sta uscendo dal campo di battaglia.
(trad. G. Zanetto)
A. DIOTTI, S. DOSSI, F. SIGNORACCI, Res et fabula © SEI 2012
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TESTO 3
Nella vita non ci sono regole assolute
Adelphoe, vv. 806-839
Il passo è tratto dall’ultima commedia composta da Terenzio, in cui si affronta il tema dell’educazione
dei figli. Al modello tradizionale, basato sul cosiddetto mos maiorum, l’opera di Terenzio ne oppone
uno nuovo che trova nei principi dell’humanitas il suo fondamento. L’autore tuttavia non esplicita una
scelta di campo; preferisce presentare affiancati i due modelli, ciascuno con i propri vantaggi e difetti. Tocca allo spettatore compiere una riflessione e decidere quale dei due sistemi educativi è – a
suo parere – più convincente. Il testo presentato è esempio di questa problematicità terenziana. Il discorso che Micione rivolge a Demea mostra chiaramente la posizione dell’autore, secondo cui non si
possono imporre regole universalmente valide, semplicemente perché non esistono norma assolute,
soprattutto quando si tratta di progetti pedagogici. L’errore, sia da parte dei genitori, sia da parte dei
figli, è considerato parte della natura umana. Il messaggio di Terenzio sembra ispirato alla fiducia che
sia sempre possibile rimediare a un errore, rivedere le proprie posizioni se si è educatori, ricondurre
sulla retta via chi sbaglia, senza ricorrere a metodi eccessivamente coercitivi. Interessante appare
anche l’esortazione a non essere troppo attaccati al denaro, ad allontanarsi da un atteggiamento di
eccessiva parsimonia, che era ossequiente alla tradizione romana ma finiva per diventare gretto,
ostacolando i rapporti tra vecchie e nuove generazioni.
MIC
DE
MIC
DE
MIC
Ascoltami, Demea, se non ti spiace: sarò breve. In primo luogo, se il tuo cruccio sono le spese
che fanno i ragazzi, tieni ben presente questo fatto, ti prego. Una volta tu allenavi tutti e due
secondo i tuoi mezzi, credendo che la tua sostanza dovesse bastare ad entrambi: naturalmente, allora eri convinto che io avrei preso moglie. Continua pure nella tue vecchia idea:
metti da parte, guadagna, risparmia, fa’ in modo di lasciare loro più che puoi – questa gloria
tienila tutta tu. Ma permetti che godano dei miei soldi, una volta che se li sono trovati contro
ogni attesa. Dal tuo capitale non verrà a mancare nulla: quel che ti sarà aggiunto da parte
mia, fa’ conto che sia guadagnato. Se vorrai considerare nel tuo animo le cose come veramente stanno, Demea, smetterai di tormentare me, te e loro.
I soldi, lasciali pure stare. Ma è il loro modo di vivere…
Aspetta, lo so: vengo anche a questo. Negli uomini ci sono molti segni, Demea, da cui si possono trarre delle previsioni; e da quando due persone fanno la medesima cosa, spesso accade
di dire: «Questo può farla impunemente, quello no» - non perché sia diversa la cosa, ma perché è diverso colui che la fa. Questi segni io li vedo nei nostri ragazzi, e mi fanno sperare che
saranno uomini come noi li desideriamo. Vedo che sono assennati, intelligenti, che al momento opportuno hanno rispetto, che si vogliono bene. La loro indole e il loro animo sono
buoni, si vede: e il giorno che vorrai, li riporterai al loro dovere. Forse hai paura che siano un
po’ troppo trascurati per quanto riguarda l’interesse. Mio caro Demea, in ogni altra cosa diventiamo più ragionevoli con l’età, soltanto questo vizio viene agli uomini insieme con la vecchiaia: stiamo troppo attenti alla roba, più di quanto sia necessario. saranno gli anni a renderli
più assennati per quest’aspetto.
Purché questi bei ragionamenti, Micione, e questa tua bontà d’animo non ci mandino in rovina!
Sta’ zitto, non sarà così. Lascia perdere una buona volta queste idee. Mettiti nelle mie mani,
oggi, non tenere il muso.
(trad. di D. Del Corno)
A. DIOTTI, S. DOSSI, F. SIGNORACCI, Res et fabula © SEI 2012
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Un teatro che si oppone alle convenzioni
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RIEPILOGO DEL PERCORSO
1 I passi del percorso presentano delle rotture rispetto alla tradizione latina:
a dove cogli la presenza di una morale diversa da quella tradizionale?
b in che cosa consiste precisamente questa diversità?
c da quali elementi è influenzata la nuova morale proposta da Terenzio?
d è possibile stabilire un raffronto con Plauto su questa tematica? In che senso?
e in che modo si risentono i principi dell’humanitas nella costruzione delle trame?
2 Prova a concentrarti sui personaggi incontrati:
a in che cosa sono diversi da quelli delle commedie di Plauto?
b perché si può parlare di una minore tipizzazione?
c appaiono realistici nei loro sentimenti e nei loro atti? Perché?
d quale personaggio rompe maggiormente le convenzioni? Perché?
3 Concentrati ora sugli aspetti più propriamente scenici e narrativi:
a le situazioni presentate risultano fortemente comiche? Sapresti giustificare la tua risposta anche mediante precisi riferimenti ai testi?
b in che cosa si differenzia la messa in scena di questi personaggi da quella che troviamo nelle commedie di Plauto?
c su quali elementi narrativi sembra insistere Terenzio? Con quali finalità?
d come si rapportano tra loro i sentimenti dei personaggi e le azioni che compiono sulla scena?
e In che senso gli intrecci appaiono meno convenzionali?
A. DIOTTI, S. DOSSI, F. SIGNORACCI, Res et fabula © SEI 2012