Large Animals Review, Anno 8, n. 3, Giugno 2002 3 INFEZIONI DA CIRCOVIRUS NELLE SPECIE AVIARI E NEL SUINO PATRIZIA CASAGRANDE PROIETTI, GIAMPAOLO ASDRUBALI Dipartimento di Scienze Biopatologiche Veterinarie - Sezione di Patologia e Igiene Veterinaria Università degli Studi di Perugia Riassunto I circovirus sono virus di piccole dimensioni, privi di envelope, di forma icosaedrica, unici tra i virus animali ad avere un genoma circolare a filamento singolo di DNA. La famiglia dei circovirus comprende attualmente il circovirus del suino, il virus della malattia del becco e delle penne degli psittacidi, il virus dell’anemia infettiva del pollo e in modo provvisorio quello dei piccioni. Inoltre sono stati descritti altri virus definiti circovirus-like, isolati in canarini, in gabbiani, in colombi in Senegal e in oche. L’infezione causata da tali virus si può considerare potenzialmente mortale, in quanto essi danneggiano il tessuto linfoide e causano pertanto immunodepressione. Scopo di tale rassegna è quello di riassumere le informazioni correnti sui circovirus classificati e su quelli ritenuti circovirus-like. Summary Circoviruses are small, non-enveloped, icosahedral viruses that are unique among animal viruses in having circular, single stranded DNA genomes. The circovirus family currently comprises three members, porcine circovirus, psittacine beak and feather disease virus and chicken anaemia virus, with pigeon circovirus being classified as a tentative member. Also have been reported additional circoviruses or circovirus-like viruses isolated in canaries, in southern black-backed gull, in Senegal doves and in geese. Infections with circovirus are associated with potentially fatal diseases in which virus-induced damage to lymphoid tissue and immunosuppression are common features. Aim of present review is to summarize the currently available information about the classified circoviruses and viruses that are regarded as circovirus-like. INTRODUZIONE In medicina veterinaria, come accade in medicina umana, notevoli progressi vengono realizzati anche in tempi relativamente brevi. Nuove malattie sono scoperte, mentre di altre vengono meglio conosciuti gli aspetti eziologici e conseguentemente diagnostici, profilattici e terapeutici. Nel caso specifico si fa riferimento ad alcune malattie che interessano varie specie animali e che sono causate da virus appartenenti alla famiglia Circoviridae identificata solo di recente. Le infezioni da circovirus sono da considerare di notevole interesse in quanto causano malattie emergenti a carattere immunodepressivo. Tischer et al. (1982) hanno dimostrato che virus di piccole dimensioni, privi di envelope, di forma icosaedrica, con un genoma circolare a filamento singolo di DNA contaminavano linee cellulari di rene di suino. Questa è stata la prima dimostrazione dell’esistenza di un virus animale con tali caratteristiche e sulla base di questa scoperta il virus è stato chiamato circovirus del suino. Successivamente il virus della malattia del becco e delle penne degli psittacidi (BFDV) e il virus dell’anemia infettiva del pollo (CAV) sono stati anch’essi caratterizzati come piccoli virus di forma icosaedrica contenenti un genoma circolare a filamento singolo di DNA (Gelderclom et al., 1989; Ritchie et al., 1989). I tre virus sono stati classificati dal Comitato Internazionale per la Tassonomia dei virus (ITCV) in un singolo genere chiamato circovirus, nell’ambito della famiglia Circoviridae (Lukert et al., 1995). Il circovirus del piccione (Pi CV) è stato successivamente incluso in modo provvisorio in questa famiglia sulla base della grandezza delle particelle virali, dei rilievi istopatologici e delle omologie riscontrate con BFDV nel DNA virale (Todd et al., 2000). Sulla base di differenze molecolari che esistono tra CAV e gli altri due circovirus classificati, al Congresso Internazionale di Virologia tenuto a Sidney nel 1999 è stata accettata dall’ITCV una proposta tassonomica che ha portato alla creazione di un nuovo genere chiamato Gyrovirus inserito all’interno della famiglia Circoviridae; a questo è stato assegnato CAV come unico virus, mentre PCV e BFDV sono 4 Infezioni da circovirus nelle specie aviari e nel suino rimasti appartenenti al genere Circovirus con PCV considerato il virus prototipo (Pringle, 1999). Dal 1994 sono stati descritti altri virus definiti circovirus-like, isolati in canarini (Goldsmith, 1995), in gabbiani (Mysore et al., 1995), in colombi in Senegal (Raidal e Riddoch, 1997) e nelle oche (Soike et al., 1999). INFEZIONE DA PCV NEL SUINO (PMSW) La Post-Weaning Multisystemic Wasting Sindrome (sindrome da deperimento del suino svezzato) è stata segnalata nel 1994 in Canada e negli anni successivi in Usa, Spagna, Francia, Germania, Irlanda e Giappone (Clark, 1997; Hinrichs, 1999; Segales, 1997; Allan, 1998b; Allan 1999b; Onuki, 1999). Nel corso del 1999 è stata identificata anche in Italia (Marcato, 1999). Nelle forme cliniche di PMSW è stato ripetutamente segnalato un virus a DNA appartenente alla famiglia delle Circoviridae (Allan, 1999a), che comprende virus di piccole dimensioni, privi di envelope e a simmetria icosaedrica (Lukert, 1999). Già nel 1974, un virus con queste caratteristiche era stato individuato come contaminante della linea stabilizzata di rene di suino PK 15 (Tischer, 1982), ma l’assenza di sintomi nell’infezione sperimentale generò la convinzione che si trattasse di un virus apatogeno (Allan, 1995). Solamente dopo un ulteriore isolamento di un altro Circovirus dai primi casi di PMSW si pensò di confrontare le caratteristiche antigeniche e la sequenza genomica di questo virus con quello contaminante le PK15 e si arrivò, pertanto, ad affermare che i due virus sono antigenicamente distinti e presentano epitopi diversi, differenziabili con i sieri policlonali o con anticorpi monoclonali (Allan, 1998a). I Circovirus del suino sono stati designati con l’acronimo PCV(Porcine Circovirus): quello correlato alle forme di PMSW è stato denominato PCV II, mentre al virus contaminante le cellule PK15 è stata attribuita la sigla PCV1. Secondo studi più recenti l’infezione naturale si realizza probabilmente nel corso dello svezzamento, immediatamente prima dell’espressione clinica (Suh, 1998; Lukert, 1999), per via respiratoria, mentre sembra sia da escludere la via transplacentare (Tischer, 1986, Jojnson, 1999). Eseguendo la PCR su visceri di suini colpiti da PMSW è stato possibile dimostrare la presenza di PCV II, talvolta associato a PRRS (Porcine Reproductive Respiratory Sindrome); tuttavia, il Circovirus è stato rilevato anche in animali asintomatici, facendo supporre una variabilità nella virulenza dei diversi stipiti virali (Larochelle, 1999a), oppure un’infezione subclinica o inapparente. A sostegno di quest’ultima tesi esiste anche il riscontro di anticorpi specifici per PCV II in aziende con anamnesi negativa per PMSW (Allan, 1998b; Cottrell, 1999). Per tali motivi, la riproduzione sperimentale della sindrome, nel pieno rispetto dei postulati di Koch, rappresenta un obiettivo importante, in quanto i numerosi tentativi fin qui condotti hanno fornito risultati diversi e spesso in aperto contrasto tra di loro. Si è tentato infatti di riprodurre l’infezione sperimentale sia inoculando suini svezzati con omogenati di tessuti infetti da PCV II (Balasc, 1988), senza, tuttavia, dare luogo al caratteristico corredo sintomatologico, sia a partire da PCV II prodotto su colture tissutali (Ellis, 1999a), che ha determinato lesioni istopatologiche da PMSW, ma non i segni clinici; accertamenti successivi e più accurati hanno tuttavia dimostrato che l’inoculo, nel secondo caso, non era costituito solo da PCV II, ma vi era presente anche uno stipite di parvovirus del suino (PPV) sfuggito ai controlli preliminari (Allan, 1999a). Per chiarire il ruolo dei parvovirus, sono stati confrontati diversi inoculi virali, infettando suini con PPV e PCV II, da soli o in associazione (Allan, 1999a) ed è stato dimostrato che, mentre PCV II da solo non è in grado di riprodurre alcun sintomo, l’associazione con PPV provoca il quadro clinico tipico della sindrome, associato alla morte e alle lesioni caratteristiche. Da un punto di vista patogenetico PCV II è in grado di replicare nei monociti e nei macrofagi e determina una grave deplezione del tessuto linfoide che conferma la capacità del virus d’interferire con le funzioni del sistema immunitario, favorendo la comparsa di gravi infezioni secondarie (Ellis, 1998; Segales, 1998b; Segales, 1999; Larochelle, 1999a). Per quanto riguarda l’aspetto clinico, gravità e diffusione della sintomatologia dipendono in larga misura dalla presenza di alcuni fattori condizionanti; stato sanitario preesistente (soprattutto la presenza di infezioni opportunistiche), sovraffollamento delle strutture e qualità dell’aria sono senza dubbio determinanti per quanto riguarda l’impatto sulla produzione, ma sono soprattutto le carenze nell’igiene ambientale a condizionare il danno economico. La PMSW si caratterizza principalmente per la presenza di tre sintomi: perdita progressiva di peso, ittero, di grande importanza nella diagnosi differenziale con la PRRS (Harding, 1997; Rosell, 1999) e manifestazioni respiratorie (Harding, 1997; Allan, 1999a); più occasionalmente, si osservano ipertermia, diarrea, meningiti e ulcere gastro-esofagee (Marcato, 1999). La PMSW compare mediamente tra le cinque e le sei settimane di vita, dopo 2-3 settimane dallo svezzamento (Harding, 1997; Spillane, 1998), più raramente interessa i lattonzoli in sala parto o i magroni subito dopo la messa a terra (Harding, 1998a; Lukert, 1999). Nelle produzioni a ciclo completo, la mortalità in svezzamento, strettamente legata alla presenza di condizioni predisponenti, è un parametro importante che da valori compresi tra il 2-3% può aumentare fino al 7-10%, raggiungendo anche il 50% in un focolaio epidemico (Lukert, 1999; Harding, 1998b). La sintomatologia respiratoria, caratterizzata da tosse, starnuti, tachipnea e dispnea, interessa il 15-20% degli animali (Spillane, 1998; Harding, 1998a) ed è costante anche il pallore cutaneo, conseguenza di una anemia progressiva. Le lesioni macroscopiche sono localizzate prevalentemente ai linfonodi mesenterici e inguinali superficiali (che presentano linfoadenopatia) (Lukert, 1999), al polmone, al fegato e al rene (Harding, 1997; Allan, 1999a). I polmoni appaiono più pesanti del solito e non collassati e i lobuli colpiti assumono colorazioni variabili dal giallo, al grigiastro al bruno, che conferiscono all’organo un aspetto caratteristicamente policromo (Balash, 1998). Il fegato si presenta atrofico, pallido o di colore gialloarancio, talvolta variegato (Allan 1999a; Lukert, 1999), mentre il rene è edematoso ed aumentato di volume, talo- Large Animals Review, Anno 8, n. 3, Giugno 2002 ra con focolai infiammatori biancastri sottocapsulari (Lukert, 1999). Il rilievo istopatologico tipico che si rinviene nella fase iniziale è costituito da infiltrazione istiocitaria degli organi linfoidi, del fegato e del rene (Rosell, 1999), da epatite e polmonite interstiziale, mentre nel rene e nel pancreas si osservano lesioni infiammatorie a carattere granulomatoso (Spillane, 1999). La deplezione del tessuto linfoide, osservabile tardivamente, associata alla comparsa di cellule giganti polinucleate e macrofagi e la presenza di corpi inclusi basofili intracitoplasmatici sono da considerare reperti di grande importanza diagnostica (Harding, 1997; Morozov, 1998; Segales, 1998). Diagnosi e controllo Qualsiasi accertamento diagnostico-sperimentale che dimostri la presenza di materiale antigenico riconducibile a PCV II deve essere interpretato con cautela e correlato con il quadro anatomo-clinico. L’esame immunoistochimico e la PCR mettono in evidenza l’antigene di PCV II nelle lesioni; inoltre sono disponibili tecniche biomolecolari in grado di discriminare tra PCV I e PCV II, come per esempio l’ibridazione in situ (Allan, 1998b; Morozov, 1998; Allan 1999b). L’isolamento è possibile su cellule primarie di rene di suino o sulla linea cellulare stabilizzata PK15 (Lukert, 1999). Recentemente sono state sperimentate e messe a punto alcune tecniche sierologiche, come l’immunofluorescenza indiretta o l’Elisa che discriminando gli anticorpi per PCV I e PCV II permettono una diagnosi retrospettiva tipo specifica (Suh, 1998; Allan, 1998b; Allan, 1999b; Lukert, 1999). In merito alla prevenzione è importante sottolineare che nelle sindromi polifattoriali è difficoltoso effettuare un controllo delle forme cliniche, nonché prevenire le infezioni e ciò è particolarmente vero in questo caso, in quanto non è stato ancora ben definito il ruolo patogenetico di PMSW. L’applicazione di misure igienico-gestionali, come la parcellizzazione dei reparti, il tutto pieno-tutto vuoto e le disinfezioni programmate rappresentano l’unica soluzione possibile, considerando che il danno economico è nella maggior parte dei casi la conseguenza di interazioni tra patogeni e ambiente. Non è ancora possibile utilizzare vaccini specifici; d’altra parte l’assenza di batteri come agenti complicanti riduce possibilità ed efficacia dell’impiego terapeutico e preventivo degli antibiotici (Harding 1998a). MALATTIA DEL BECCO E DELLE PENNE DEGLI PSITTACIDI (BFDV) La malattia del becco e delle penne degli psittacidi (Psit tacine Beak and Feather Disease) è stata descritta per la prima volta nella metà degli anni settanta nei pappagalli del sud del Pacifico (Perry, 1981). L’eziologia virale della BFDV è stata dimostrata tramite la trasmissione naturale e sperimentale della patologia 5 (McOrist, 1984). Il virus appartiene alla famiglia Circoviri dae, genere Circovirus, ha un diametro che va dai 14 ai 17 nm, senza envelope e il DNA virale è costituito da una catena singola circolare. Dal punto di vista epidemiologico la malattia del becco e delle penne colpisce esclusivamente gli psittacidi, (Gerlach, 1994) sia quelli allo stato libero dell’America meridionale e dell’Africa sia i soggetti in cattività a livello mondiale. Gli esami sierologici evidenziano in alcune specie una prevalenza molto alta dimostrando che l’infezione è più diffusa della malattia (Raidal et al., 1993). La malattia è stata riprodotta sperimentalmente in numerose specie di psittacidi attraverso l’inoculazione di omogenati di penne o preparazioni di virus purificato (Gerlach, 1994). In merito alla patogenesi l’impiumamento anormale è da attribuire ad un processo distrofico (Perry, 1981) ed il virus essendo epiteliotropo colpisce in particolare le cellule che si moltiplicano attivamente negli strati basali dell’epidermide (Latimer et al., 1991). La patologia ha un andamento cronico ed è caratterizzata da perdita di penne in modo simmetrico sostituite da penne più corte o penne deformate (Perry, 1981), da accrescimento abnorme del becco che presenta in alcuni punti delle fratture e da necrosi del palato. I soggetti colpiti solitamente non sopravvivono per più di un anno e la morte sopraggiunge per infezioni secondarie dovute a batteri, chlamidie e funghi che si instaurano in seguito all’immunodepressione causata dal virus. Istologicamente le principali lesioni a carico del becco e delle penne sono caratterizzate da necrosi, iperplasia, ipercheratosi dell’epidermide, (Perry, 1981; Pass e Perry, 1984; Latimer et al., 1991; Gerlach, 1994), da atrofia del timo e della borsa di Fabrizio in cui è anche possibile osservare focolai di tessuto necrotico e da infiammazione suppurativa dei follicoli delle penne con infiltrazione di eterofili, plasmacellule e macrofagi. È possibile inoltre osservare nell’epitelio dei follicoli delle penne inclusioni basofile nucleari e citoplasmatiche che al microscopio elettronico si presentano come strutture paracristalline costituite da particelle di virus (Latimer et al., 1991). Diagnosi e controllo La diagnosi della malattia non può essere eseguita basandosi sui segni clinici e anatomo-patologici poiché numerosi altri agenti eziologici determinano sintomi e lesioni macroscopiche simili. È possibile effettuare indagini istopatologiche per individuare la presenza di corpi inclusi nell’epitelio dei follicoli delle penne, ma benché questo reperto sia considerato diagnostico, alcuni autori hanno dimostrato che corpi inclusi simili a quelli causati da BFVD si rinvengono anche in caso di infezioni da adenovirus e polyomavirus (Ramis et al., 1994). Sono state sperimentate altre tecniche diagnostiche quali indagini di microscopia elettronica a trasmissione, metodiche di immunoistochimica, di ibridazione in situ e ancora tecniche sierologiche quali l’emoagglutinazione e l’inibizione dell’emoagglutinazione (Latimer et al., 1991, 1992; Ritchie et al., 1992a; Ramis et al., 1994). Secondo Ritchie (1995), comunque, il metodo che offre maggiore sensibilità e specificità è rappresentato dalla ricerca del DNA virale tramite sonde o PCR. 6 Infezioni da circovirus nelle specie aviari e nel suino ANEMIA INFETTIVA DEL POLLO L’anemia infettiva è stata descritta per la prima volta nel 1979, in Giappone, da Yuasa e collaboratori, anche se esistono segnalazioni precedenti di quadri morbosi ad essa riconducibili (Fadly et al., 1973). Successivamente la malattia è stata riscontrata in tutti i Paesi dove è praticato l’allevamento intensivo del pollo, determinando gravi perdite economiche anche nella forma inapparente, per la scarsa crescita, per l’aumento della mortalità e per il costo dei trattamenti relativi alle infezioni batteriche secondarie (McNulty, 1991). L’agente responsabile dell’anemia infettiva, denominato “chicken anaemia virus” (CAV), è uno dei più piccoli virus animali a DNA (McNulty, 1991) che presenta simmetria icosaedrica (McNulty et al., 1990b) ed è sprovvisto di envelope; il suo diametro è compreso tra 1722 nm (Murphy et al., 1995). Il genoma è costituito da un singolo filamento circolare di DNA (Todd et al., 1990), caratteristica questa che ne ha impedito per un certo tempo la classificazione tra le famiglie note dei virus aviari. Attualmente CAV risulta collocato nella Famiglia Circoviri dae, genere Gyrovirus (Pringle, 1999). Il pollo è il solo volatile sensibile all’infezione (McNulty, 1991) e, sebbene sperimentalmente possano infettarsi soggetti di tutte le età, la suscettibilità è massima nei pulcini che nascono da riproduttori infetti oppure da riproduttori che non sono mai venuti a contatto con il virus, perciò privi di anticorpi (Goryo et al., 1985). CAV si trasmette sia per via verticale (Chettle et al., 1989) che per via orizzontale (Yuasa e coll., 1980). Nel primo caso il virus viene trasmesso attraverso l’uovo ai pulcini che pertanto nascono infetti e diffondono il virus nell’ambiente fin dal primo giorno di vita contagiando quelli sani. La eliminazione del virus nei riproduttori infettati sperimentalmente avviene durante i primi 8-14 giorni dall’infezione, mentre nell’infezione di campo si protrae per circa 3-6 settimane (Vielitz & Landgraf, 1988; Chettle et al., 1989). Indagini epidemiologiche hanno dimostrato un’ampia diffusione di CAV negli allevamenti di polli riproduttori, da carne e ovaiole (McNulty, 1991; Otaki et al., 1992; Fadly et al., 1994; Tacconi et al., 1995). La sua elevata resistenza nell’ambiente mantiene alto il rischio di infezione (McNulty, 1991); a questo proposito va sottolineato il ruolo importante svolto dalla lettiera; infatti è stato dimostrato che l’ingestione di materiale contaminato dalle feci rappresenta la modalità di trasmissione orizzontale più probabile, anche se la penetrazione del virus per via respiratoria non può essere esclusa (McNulty, 1991). In seguito all’infezione i riproduttori diventano immuni e trasmettono alla progenie anticorpi che proteggono i pulcini dalla malattia, ma non dall’infezione, per l’intero ciclo di vita (McNulty, 1991). La patogenesi dell’infezione naturale da CAV è stata chiarita solo in parte da studi istopatologici (Taniguchi et al., 1983; Goryo et al., 1989; Smyth et al., 1993), ultrastrutturali (Goryo et al., 1989a; Goryo et al., 1989b) e immunocitochimici (Vielitz et al., 1989; Buchholz et al., 1993; Smyth et al., 1993); chiara è invece la sequenza degli eventi che caratterizzano la malattia indotta sperimentalmente. I pulcini inoculati con CAV nei primi 10 giorni di vita presentano malattia clinica, mentre l’infezione dopo i 14 gg. d’età rimane subclinica; infatti, pulcini inoculati a 3 settimane di vita sono ancora sensibili all’infezione e pur presentando sieroconversione, non manifestano sintomi apparenti. Recenti ricerche hanno dimostrato che cellule mononucleate prelevate da milza, midollo osseo e timo di pulcini di 6 e 28 gg. d’età sono ugualmente suscettibili all’infezione in vitro. La resistenza legata all’età non è pertanto dovuta alla carenza di cellule bersaglio, come si era supposto inizialmente, ma sembra invece mediata dalla risposta anticorpale; infatti l’effetto protettivo può essere contrastato dall’infezione concomitante con virus ad azione immunodepressiva anticorpale, come i virus della malattia di Gumboro (IBDV), della malattia di Marek (MDV) e della reticoloendoteliosi (REV) e inoltre dalla bursectomia (Hu et al., 1993), dall’intossicazione da sulfamidici e dagli stress ambientali. L’interazione tra IBDV e il virus dell’anemia infettiva è stata dimostrata da Yuasa et al. (1980) e successivamente da Rosenberger e Cloud (1989). Pulcini SPF infettati con IBDV ad un giorno di età e da 2 a 4 settimane di età con CAV sviluppano i segni dell’anemia infettiva, mentre questi non si osservano se i pulcini SPF vengono infettati solamente con CAV a 2 settimane di età. L’infezione con IBDV aumenta quindi la suscettibilità degli animali a CAV soprattutto da 1 a 21 giorni di età. È stato anche osservato che i pollastrelli infettati con la variante E di IBDV insieme a CAV presentano i sintomi dell’anemia infettiva una settimana prima rispetto a quando viene utilizzato il ceppo standard sierotipo 1 di IBDV. Cloud et al. (1992a) hanno studiato gli effetti specifici di IBDV e CAV sul sistema immunitario dimostrando che IBDV da solo o associato con CAV deprime i linfociti bursali e splenici. In uno studio successivo (Cloud et al., 1992b) è stato osservato che l’infezione simultanea ad un giorno di età con IBDV e CAV porta ad una diminuzione della percentuale di protezione nei confronti di NDV e persistenza delle lesioni dovute al virus vaccinale del diftero-vaiolo. La localizzazione del virus dell’anemia infettiva è stata studiata con l’immunoistologia mediante anticorpi monoclonali col sistema avidina-biotina perossidasi. L’antigene è stato riscontrato già dal terzo-quarto giorno p.i. nel timo, nella milza e nel midollo osseo e in seguito nei tessuti linfoidi di vari organi, particolarmente nel proventriglio, duodeno ascendente, polmone e fegato. Le cellule colpite sono inizialmente i linfoblasti timici e gli emocitoblasti intra ed extra sinusoidali del midollo e in seguito anche i linfociti T maturi e le cellule reticolari (Smyth et al., 1993). Risultati corrispondenti, migliori per la maggiore sensibilità delle prove, si sono ottenuti con l’ibridazione del DNA in prove di southern blotting, abbinate o meno alla PCR. In merito alla sintomatologia, la forma clinica si osserva nei pulcini infetti o privi di anticorpi materni alla nascita. I primi sintomi generalmente compaiono verso la fine della seconda settimana di vita e sono caratterizzati da anoressia, depressione, pallore della cresta, penne arruffate ed aumento della mortalità giornaliera. La malattia si manifesta in forma acuta con un picco di mortalità tra il 5° e il 6° giorno dalla comparsa dei primi sintomi, successivamente la mortalità declina per riportarsi ai valori normali entro i successivi 5-6 giorni (Engstrom & Luthman, 1984; Yuasa et al., 1987). Nei soggetti colpiti, la cute, in corrispondenza di alcune regioni del corpo come Large Animals Review, Anno 8, n. 3, Giugno 2002 le ali, la testa, il collo, i lati del torace e dell’addome e gli arti inferiori, assume un colore bluastro per la presenza di essudato siero-sanguinolento ed è sede di infezioni batteriche secondarie che evolvono in forme di dermatite gangrenosa (McNulty, 1991). Nei soggetti adulti l’anemia infettiva generalmente decorre in forma inapparente, tuttavia sono frequenti i casi in cui si osserva un rapido aumento della mortalità e la presenza di quadri complicati dal coinvolgimento di altri virus, come già detto, quali quello della malattia di Gumboro (Engstrom & Luthman, 1984), della reticoloendoteliosi (Yuasa et al., 1979) e della malattia di Marek (Otaki et al., 1988a, b). La mortalità è variabile, generalmente compresa tra il 5-10%, raggiungendo in alcuni episodi anche il 60% (Engstrom & Luthman, 1984); la morbilità può variare entro limiti compresi tra il 20-60% (Weikel et al., 1986). L’esame anatomo-patologico evidenzia alterazioni degli organi linfoidi e del midollo osseo e in particolare quest’ultimo assume una colorazione variabile dal rosa al giallastro (Fig. 1). Il timo può presentare vari gradi di atrofia che nei casi più gravi comporta la completa regressione dell’organo, mentre la borsa di Fabrizio è solo in pochi casi ridotta di volume. Il fegato si presenta ingrossato, pallido e cosparso di screziature emorragiche (Fig. 2) che si osservano anche nella mucosa del proventricolo, nel sottocute ed in alcuni muscoli scheletrici. Dal punto di vista istologico, nel midollo osseo dei soggetti anemici il tessuto ematopoietico, diventato atrofico, viene sostituito da tessuto adiposo e da proliferazione delle cellule dello stroma (Bulow et al., 1986). A carico del timo si osserva una deplezione linfocitaria che sembra interessare entrambe le regioni, corticale e midollare (Bulow, 1991) e nel fegato si evidenziano dilatazione dei sinusoidi e segni di sofferenza degli epatociti (Bulow, 1991). Diagnosi e controllo I segni clinici e le lesioni anatomo-patologiche forniscono una diagnosi di sospetto; per la diagnosi definitiva è necessario effettuare l’isolamento del virus o la dimostrazione diretta dell’antigene virale nei tessuti. Va tuttavia precisato che l’isolamento del virus effettuato in colture cellulari MDCC- MSB1 o in polli SPF (McNulty, 1998) è poco utilizzato perché costoso e non fornisce una risposta rapi- FIGURA 1 - Anemia infettiva del pollo. Midollo osseo. È presente atrofia e colorazione giallastra dell’organo. 7 da, mentre la dimostrazione degli antigeni virali in impronte d’organo e in sezioni al criostato mediante immunofluorescenza e immunoperossidasi risulta un’indagine molto più economica e rapida (Hoop e Reece, 1991; Mcneilly et al., 1991; Smith et al., 1993). Il rilevamento del virus in sezioni di timo fissate in formalina e incluse in paraffina è possibile anche mediante ibridazione in situ, ibridazione dot-blot e con la PCR (Bulow e Schat, 1997). È possibile effettuare anche una diagnosi sierologica per la ricerca di anticorpi attraverso la sieroneutralizzazione, l’mmunofluorescenza indiretta e in modo particolare attraverso l’Elisa che si è rivelato il test di scelta (Todd et al., 1999). Per quanto concerne la prevenzione, applicando correttamente norme di profilassi diretta è possibile ridurre considerevolmente la contaminazione ambientale e di conseguenza anche la trasmissione orizzontale del virus. Non è, comunque, da sottovalutare l’importante ruolo svolto dalla profilassi indiretta; l’immunizzazione di gruppi di “parents” alcune settimane prima della ovodeposizione previene in maniera efficace gli episodi di anemia infettiva nella progenie. Il trasferimento di lettiera da gruppi infetti a gruppi di giovani riproduttori (Vielitz et al., 1988) e la contaminazione in acqua da bere dei riproduttori con omogenati di tessuti di pulcini infetti per via naturale (Vielitz et al., 1986; Vielitz et al., 1988) sono risultate procedure efficaci, ma rischiose, poiché è impossibile stabilire che la concentrazione di virus sia sufficiente e che siano assenti altri agenti patogeni nelle preparazioni di tessuti. Allo stato attuale in diversi Paesi sono disponibili due tipi di vaccini vivi: il primo, costituito da virus virulento coltivato negli embrioni, si somministra nell’acqua di bevanda a circa 13-15 settimane di età, mai in ogni caso più tardi di 3-4 settimane prima della raccolta di uova da cova per evitare che il virus vaccinale diffonda attraverso l’uovo. Più recentemente si è ricorso all’uso di un secondo vaccino, costituito da virus attenuato da somministrarsi per via parenterale (Steenhuisen et al., 1994). INFEZIONE DA CIRCOVIRUS NEL PICCIONE (Pi CV) L’infezione da circovirus nei piccioni è stata segnalata per la prima volta in California nel 1993 (Shivaprasad et al., 1993; Woods et al., 1993) e nello stesso anno in Sud Africa, successivamente in tortore australiane (Pass et al., FIGURA 2 - Anemia infettiva del pollo. Fegato. Sono evidenti screziature emorragiche. 8 Infezioni da circovirus nelle specie aviari e nel suino 1994), in piccioni viaggiatori nell’Irlanda del Nord e in lnghilterra (Smyth et al., 1995 Gough et al., 1996). È stata inoltre descritta una particolare forma di atrofia degli organi linfatici primari nei piccioni da carne giovani esaminati al momento della macellazione, riconducibile, molto verosimilmente, ad infezione da circovirus (Asdrubali et al., 1997; Franciosini et al., 1998; Coletti et al., 1999). Il circovirus del piccione è distinto da un punto di vista antigenico dal virus della malattia del becco e delle penne degli psittacidi (PBFD), ma i due presentano delle omologie in alcune sequenze del DNA (Wodds et al., 1994). La trasmissione della malattia si realizza per via orizzontale e l’infezione colpisce in particolare i giovani. La patogenesi di questa malattia sembra essere molto simile a quella delle altre infezioni da circovirus come l’anemia infettiva e la malattia del becco e delle penne degli psittacidi. L’età degli animali, il momento in cui si infettano, o lo stadio di sviluppo della borsa di Fabrizio condizionano gli effetti del virus sul sistema immunitario; l’immunodepressione è infatti alla base dell’insorgenza in piccioni con PCI di tutte quelle infezioni secondarie che normalmente vengono tenute sotto controllo da un’efficiente immunità umorale o cellulo-mediata. La sintomatologia negli animali malati è molto variabile ed è caratterizzata da scarsa crescita, letargia, anoressia, scadenti performance atletiche dei piccioni viaggiatori, dimagrimento, disturbi respiratori e diarrea. Molto spesso il quadro si complica, come già menzionato, in seguito all’insorgenza di infezioni secondarie favorite dallo stato di immunodepressione indotto dal virus. In questi casi la sintomatologia dipende dalle caratteristiche di virulenza e dal tropismo degli agenti d’irruzione secondaria (paramyxovirus-1, pox virus, adenovirus, herpesvirus, Escherichia coli, Salmonella typhimurium, Mycoplasma spp., Pasteurella spp., e Pseudomonas) responsabili anche della morte dei soggetti (Gough et al., 1996; Shivaprasad et al., 1993; Shivaprasad et al., 1994; Wodds et al., 1993; Wodd et al., 1994). La mortalità può essere assente o nei giovani arrivare fino al 100%. All’esame anatomo-patologico è possibile osservare atrofia della borsa di Fabrizio (Wodds et al., 1993; Wodd et al., 1994) e del timo (Fig. 3), il quale, a volte, è difficile da reperire, mentre il midollo osseo nella maggior parte dei casi mostra colorazione giallastra (Asdrubali et al., 1997; Franciosini et al., 1998; Coletti et al., 1999). Dal punto di vista istologico le lesioni a carico della borsa di Fabrizio della milza e delle tonsille cecali variano da una condizione di iperplasia follicolare ad uno stato di deplezione linfoide di vario grado (Shivaprasad et al., 1994; Wodds et al., 1994; Smyth et al., 1995). È possibile inoltre osservare nelle cellule dell’epitelio bursale e nei macrofagi bursali e splenici corpi inclusi basofili intranucleari (Wodds et al., 1993; Wodd et al., 1994; Smyth et al., 1995; Asdrubali et al., 1997) (Fig. 4). Il midollo osseo presenta ipoplasia delle cellule della linea eritroide e di quella mieloide (Shivaprasad et al., 1994). A volte, infine, si può rilevare anche infiltrazione linfocitaria in fegato, pancreas, reni, surrenali, tiroide, testicoli, ingluvie e miocardio (Wodd et al., 1994). All’esame ultrastrutturale le inclusioni osservate nei macrofagi e nelle cellule dell’epitelio bursale appaiono come delle ampie aree elettrondense, di forma irregolare, che a maggior ingrandimento appaiono costituite da particelle virali icosaedriche sprovviste di envelope, delle dimensioni comprese tra 13 e 18 nm e disposte in strutture paracristalline (Franciosini et al., 1998) (Fig. 5). Diagnosi e controllo Attualmente la diagnosi di infezione da circovirus nel piccione si effettua esclusivamente sulla base di esami istologici e di microscopia elettronica, non essendo stato possibile isolare ancora il virus, nonostante i numerosi tentativi su uova embrionate di pollo o in monostrati cellulari di rene o di fibroblasti di embrione; è stata inoltre messa a punto una specifica sonda DNA ma non è ancora disponibile sul mercato. In merito alla prevenzione è possibile limitare il rischio d’infezione riducendo al massimo i contatti con gli altri piccioni e applicando correttamente le norme di biosicurezza. Inoltre effettuando una terapia contro le infezioni secondarie, che sono la principale causa di decesso, si riesce a ridurre la mortalità nei giovani piccioni. INFEZIONI DA CIRCOVIRUS-LIKE Pass et al. (1994), hanno descritto una malattia delle penne nei colombi in Senegal sovrapponibile istopatologicamente alla BFDV. FIGURA 3 - Infezione da circovirus nel piccione. Timo. È evidente una marcata atrofia dell’organo. Large Animals Review, Anno 8, n. 3, Giugno 2002 Le lesioni istologiche delle penne sono caratterizzate da necrosi focale delle cellule epidermiche ed è stata descritta la presenza di inclusioni citoplasmatiche all’interno di macrofagi; inoltre il follicolo delle penne si mostra infiltrato da eterofili, linfociti e plasmacellule. Non sono state riportate lesioni nel tessuto linfoide. Studi condotti successivamente da Ridal e Riddoch (1997) hanno dimostrato che questa malattia non è causata da BFDV, ma da un circovirus antigenicamente diverso. Soike et al. (1999) riportano una infezione da circovirus-like collegata ad una grave sindrome che ha causato mortalità e calo delle performance in allevamenti di oche in Germania. I soggetti colpiti nelle prime settimane di vita hanno presentato una sintomatologia caratterizzata da ritardo delle crescita e disturbi dell’impiumanento. L’infezione da circovirus nei gabbiani descritta da Twentyman et al. (1999), predispone i soggetti giovani all’aspergillosi determinando aerosacculite cronica che porta a morte gli animali. Dal punto di vista istologico sia nell’infezione delle oche che in quella dei gabbiani sono stati osservati vari gradi di deplezione linfocitaria della borsa di Fabrizio, della milza e del timo con fenomeni di istiocitosi. È stato possibile rinvenire nelle cellule bursali inclusioni formate da aggregati paracristallini costituiti da particelle di virus. 11 CONCLUSIONI Come già accennato, le infezioni da circovirus sono da considerare patologie emergenti e di notevole interesse, poiché danneggiando il tessuto linfoide causano immunodepressione e favoriscono pertanto l’insorgenza di infezioni secondarie che sono spesso causa di morte per i soggetti colpiti. È da sottolineare il fatto che il virus dell’anemia infettiva, quello della malattia del becco e delle penne degli psittacidi e il circovirus del suino sono escreti in grandi quantità per un lungo periodo di tempo e sono molto resistenti nell’ambiente esterno, il che giustifica lo loro diffusione in tutto il mondo. Nei colombi da carne, inoltre, le modalità relative al tipo di allevamento, che non consentono un vuoto sanitario, potrebbero essere responsabili della persistenza e della ulteriore diffusione del virus nell’ambiente, causando non tanto una sintomatologia clinica evidente, quanto una maggiore suscettibilità di questi animali ad infezioni intercorrenti e alla formazione di scarti. In conclusione si può affermare che i circovirus rappresentano una nuova generazione di virus con i quali i veterinari che si interessano soprattutto di animali da reddito dovranno confrontarsi per controllare i rischi sia di tipo sanitario che economico che questi agenti infettivi possono determinare. Parole chiave Circovirus, circovirus del suino, malattia del becco e delle penne degli psittacidi, anemia infettiva del pollo, circovirus del piccione, circovirus-like. Key words Circovirus, porcine circovirus, psittacine beak and feather disease virus, chicken anaemia virus, pigeon circovirus, cir covirus-like. FIGURA 4 - Infezione da circovirus nel piccione. Borsa di Fabrizio. Corpi inclusi basofili intranucleari in alcune cellule bursali. Col. Ematossilina-eosina. FIGURA 5 - Infezione da circovirus nel piccione. Borsa di Fabrizio. Microscopia elettronica. Materiale elettrondenso nel nucleo di una cellula bursale sotto forma di aggregati paracristallini. Bibliografia Adair B. M. 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