Analisi dei segnali con l’ Analizzatore di Spettro Teoria Unificata dei Segnali Osservati (TUSO) di Mario Bon 10 Aprile 2015 (revisione del 21 settembre 2016) Parte Prima : Segnali e Funzioni Parte Seconda: Classificazione dei Segnali Parte Terza : Sistemi Lineari Parte quarta : Analisi dei Segnali di Classe B Parte quinta : la Distorsione Introduzione La “Teoria Unificata dei Segnali Osservati” è una sintesi della “Teoria dei Segnali” ed è ha lo scopo di spiegare, in modo formalmente consistente, la teoria e l’uso dell’analizzatore di spettro. Questa teoria è “semplificata” perché riduce i segnali osservati a due sole classi: segnali di classe A segnali di classe B conoscibili (misurabili) non conoscibili (ma stimabili) Segnali cinematici Segnali dinamici insieme dei segnali che possono essere misurati con un errore prevedibile tutti i segnali non A Il criterio di suddivisione dei segnali nelle classi A e B è la prevedibilità dell’errore associato alla determinazione della forma analitica del segnale (ovvero dello spettro). Nel seguito saranno utilizzati o richiamati i seguenti concetti, postulati, definizioni e teoremi: Concetto di insieme e Proprietà di appartenenza (insiemistica) sono le “primitive” su cui si fonda l’ insiemistica e, di conseguenza, di tutta la matematica. Sono detti primitivi perché non possono essere spiegati se non ricorrendo a sinonimi o a concetti equivalenti. A questi si deve aggiungere il concetto ordinale di singolo, coppia, molteplicità e divenire. Isomorfismo (insiemistica) Dati due insiemi dotati di struttura, l’isomorfismo è una particolare corrispondenza biunivoca che richiede: - - la corrispondenza biunivoca tra gli elementi dei due insiemi la corrispondenza biunivoca tra le due strutture (tra le operazioni) la corrispondenza biunivoca tra i risultati di operazioni corrispondenti eseguite su elementi corrispondenti L’isomorfismo prescinde dalla natura degli enti degli insiemi isomorfi. Grazie all’isomorfismo possiamo sommare le mele utilizzando i numeri naturali e studiare delle funzioni in luogo dei segnali. E’ facile verificare l’isomorfismo tra spazi vettoriali. Infatti basta verificare la corrispondenza biunivoca tra i versori dei due sistemi di base. L’isomorfismo è una relazione di equivalenza e gode delle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva. Funzioni monodrome (analisi) Una funzione f(t) di variabile reale (R->R) si dice monodroma quando la si può esprimere nella forma y=s(t). I fenomeni che evolvono nel tempo devono essere rappresentati da questo tipo di funzioni perché il tempo va solo avanti. Osservare Osservabile Osservatore Osservato In questo contesto è sinonimo di misurare Qualsiasi fenomeno fisico. Un segnale è un fenomeno fisico. Colui che osserva ovvero lo strumento di misura. L’uomo è uno strumento di misura poco affidabile, poco accurato e poco preciso. La misura è un processo che associa un valore ad una grandezza (quantificazione). Il valore può essere monodimensionale o multidimensionale. Per esempio la temperatura è monodimensionale, lo spettro è multidimensionale. La rappresentazione che l’osservatore ottiene dell’osservabile. Il processo di misura causa la trasformazione dell’osservabile in osservato. Lo stato dell’osservato è determinato dall’osservazione. Lo stato del segnale osservato è determinato dall’analizzatore di spettro. (come risulterà alla fine di questa trattazione) Spazio L2 Spazio vettoriale lineare delle funzioni a quadrato sommabile definite su un intervallo chiuso . Il principio di Heisemberg Implicito nella Teoria di Fourier (in particolare tempo_energia o frequenza_energia). Non è possibile misurare contemporaneamente e con precisione arbitraria due variabili coniugate (posizione e velocità, tempo ed energia, banda passante e durata, ecc.) Stato di un sistema L’insieme dei valori assunti dalle variabili indipendenti che lo descrivono. Per un gas ideale i valori di Temperatura, Pressione e Volume in un certo istante. Per un sistema meccanico l’insieme dei valori assunti da posizione e velocità. Per un vettore la ennupla costituita delle sue componenti (che è quella che interessa in questo caso) La velocità della luce è limitata. La velocità di propagazione dei segnali è limitata Il tempo è omogeneo Conservazione dell’energia. I segnali trasportano una quantità finita di energia È possibile fissare arbitrariamente l’origine dell’asse temporale. Il tempo non è isotropo (va solo avanti) Prima e dopo. Causa ed effetto. Relazioni ingresso-uscita nei sistemi fisicamente realizzabili. Le funzioni che rappresentano i segnali sono monodrome Teoria di Fourier Il segnale analitico La forma analitica del segnale In particolare la serie di Fourier il segnale rappresentato come inviluppo e fase istantanea. La parte reale del segnale analitico è il segnale fisico (una funzione reale). La parte immaginaria si ottiene trasformando il segnale reale secondo Hilbert funzione y=s(t) associata al segnale. La trasformazione di Hilbert si applica solo a segnali con valor medio nullo. Per applicarla si deve limitare l’insieme dei segnali osservabili al sottoinsieme dei segnali a media nulla o prevedere un meccanismo per riconoscere e rimuovere la media. Il segnale analitico è una particolare rappresentazione dei segnali reali che facilita la rappresentazione dei segnali modulati. Parte Prima : segnali e funzioni Un segnale è una grandezza fisica che varia nel tempo e tale variazione è associata ad una informazione. L’informazione più semplice è si/no, esiste/non_esiste, true/false, buio/luce. I “segnali di fumo” dei pellirossa, il suono, le trasmissioni radio… sono esempi di segnali. I segnali si propagano attraverso opportuni canali. Il cavo del telefono è il “canale” lungo il quale si propagano i segnali elettrici tra un telefono e l’altro. Lo spazio (l’aria, il vuoto) è il canale attraverso il quale si propagano le onde elettromagnetiche, ecc. Il canale di trasmissione non è sempre unico. Esistono canali dispersivi e non dispersivi. In un canale non dispersivo un segnale si propaga conservando la propria forma (invarianza in forma). L’insieme dei segnali fisici comprende tutti i segnali presenti nell’Universo. Range di frequenza dei segnali fisici Il range teorico delle frequenze dei segnali fisici abbraccia circa 38 decadi: la frequenza più bassa corrisponde dall’inverso dell’età dell’Universo (1.4x109 anni, => f ≈ 10-17 Hz circa.). La frequenza più alta corrisponde all’inverso del tempo impiegato da un elettrone per percorrere uno spazio pari alla lunghezza d’onda di Compton alla velocità della luce (f ≈ 1021 Hz). Nella pratica l’intervallo delle frequenza osservate è limitato, verso l’alto, dalle capacità degli strumenti di misura e, verso il basso, dal tempo a disposizione (e rimane nell’ordine di 22 decadi) . In teoria tutti i segnali sono osservabili, ma di questi solo una parte ricade nel nostro raggio spazio-temporale (il sottoinsieme verde degli “osservabili raggiungibili” ). Tra gli osservabili raggiungibili una parte viene effettivamente raggiunta (insieme viola). Indipendentemente dalla loro natura, i segnali, per essere studiati, devono essere rappresentati da opportuni enti matematici. La condizione necessaria per formulare una qualsiasi Teoria dei Segnali è stabilire l’isomorfismo tra lo spazio dei segnali fisici osservabili e lo spazio delle funzioni destinate a rappresentarli. Senza tale isomorfismo non è possibile riferire ai segnali i risultati ottenuti operando sulle funzioni (e viceversa). Il primo passo è dimostrare che questo isomorfismo esiste (o almeno affermare che esiste e sperare di essere creduti). Per prima cosa individuiamo le proprietà che devono possedere le funzioni matematiche per rappresentare i segnali fisici. Utilizziamo il tempo come variabile indipendente. Partiamo dalle proprietà dello spazio-tempo e da alcune osservazioni: il tempo non è isotropo (va solo avanti) i segnali devono essere rappresentati da funzioni reali monodrome (esprimibili nella forma y =x(t) ). il tempo è omogeneo (non esistono istanti E’ possibile fissare arbitrariamente l’origine dell’asse privilegiati) temporale.Tutte le quantità misurate devono essere indipendenti dalla scelta dell’origine dell’asse temporale. L’ energia si conserva. Tutti i segnali hanno un inizio e una fine I segnali devono essere rappresentati da funzioni definite su un intervallo chiuso e che si annullano agli estremi dell’intervallo stesso I segnali sono continui Le funzioni che rappresentano i segnali devono essere continue. L’energia associata ad un segnale fisico è finita Le funzioni y=x(t) che rappresentano i segnali devono essere a quadrato sommabile. Le eq. di Maxwell ammettono come soluzione la I segnali devono essere rappresentati da combinazioni sovrapposizione di funzioni seno e coseno lineari di seni e coseni Queste osservazioni portano a condizioni stringenti. Senza dilungarci in dettagli (anche perché si tratta di cose già dimostrate) diciamo che le funzioni più adatte per rappresentare i segnali fisici sono le funzioni a quadrato sommabile appartenenti allo spazio L2 . L2 è uno spazio vettoriale lineare e, in particolare, è uno spazio di Hilbert. I versori di base dello spazio L2 sono le funzioni seno e coseno (una serie armonica di seni e coseni). lo spazio dei segnali osservabili è isomorfo allo spazio L2. L2 è uno spazio vettoriale, i segnali sono vettori e si rappresentano con una opportuna combinazione lineare dei versori di base dello spazio cui appartengono. L’insieme a sinistra contiene i segnali fisici. L’insieme a destra contiene le funzioni di L2. Grazie all’isomorfismo possiamo studiare le funzioni e riferire i risultati ai segnali. I segnali sono vettori. Ricordiamo che un vettore è noto quando sono note le sue componenti per cui: un segnale è noto quando sono note le sue componenti (il suo spettro, si veda oltre) due segnali con le stesse componenti sono lo stesso segnale conoscere un segnale significa conoscere le sue componenti ovvero la sua forma analitica note le componenti (spettro) è nota la forma analitica del segnale (la funzione y=x(t) che lo rappresenta) . Si veda l’espressione (1) poco più oltre. Qualsiasi vettore è univocamente rappresentato dalla ennupla ordinata formata dalle sue componenti. Lo stesso vale per i vettori di L2 e quindi per i segnali. Le ennuple costituiscono a loro volta uno spazio vettoriale isomorfo a L2. La funzione y=x(t) appartiene a L2 (dominio del tempo), la ennupla corrispondente appartiene all’insieme delle ennuple o “dominio della frequenza” . Le ennuple sono dette “spettri” . Definizione di spettro di un segnale. Lo spettro di un segnale è la ennupla ordinata formata dalle sue componenti complesse. Grazie all’isomorfismo la rappresentazione del segnale nel dominio del tempo e la corrispondente rappresentazione nel dominio della frequenza contengono le stesse informazioni (in forma diversa). Lo spettro di un segnale, in generale, è una funzione continua tuttavia non è necessario estendere la teoria agli spettri continui perché l’analizzatore di spettro, indipendentemente da quello che si presenta al suo ingresso, processa solo un segmento temporale finito della storia del segnale e produce solo spettri discreti con un numero di componenti finito e numerabile (“righe spettrali” o “righe”). Quindi, mentre il segnale fisico osservabile possiede sempre spettro continuo (perché la sua storia si estende su tutto l’asse temporale), il segnale osservato possiede sempre spettro discreto. In sostanza, con l’analizzatore di spettro, osserviamo delle repliche periodiche dei segmenti di segnale che abbiamo acquisito. Vedremo oltre cosa questo comporti. Lo scopo della misura detta “analisi spettrale” è determinare la forma analitica del segnale. Lo strumento utilizzato è l’analizzatore di spettro. All’ ingresso dell’ analizzatore c’è il segnale osservabile mentre in uscita si ottiene lo spettro del segnale osservato. Dallo spettro si ottiene la funzione f(t) che rappresenta la “storia” del segnale nell’intervallo di tempo considerato (acquisito). Una misura è tale solo se è associata ad un errore prevedibile, quantificabile e quantificato: conoscere le condizioni di prevedibilità dell’errore di misura è essenziale e discriminante. Questo ancor più se si pensa che in qualsiasi processo di misura la presenza dello strumento di misura altera lo stato del sistema misurato. Sinteticamente: l’osservazione altera lo stato dell’osservabile e lo trasforma in osservato. Basta collegare un voltmetro ai capi di un resistore percorso da corrente e la corrente sottratta dallo strumento altera lo stato del resistore e, con esso, il risultato della misura. Lo strumento di misura altera sempre lo stato del sistema: in alcuni casi l’alterazione è trascurabile, in altri no. Visto che il segnale y=x(t)=|x(t)>=|x> appartiene allo spazio generato dal suo sistema di base [E], il più generico segnale osservato si esprime come combinazione lineare dei versori di base nel modo che segue: jwit |x(t)> = Σi ai | e > = Σi ai | Ei> = Σi | Ei>< Ei | f(t) > dove (1) ai = < Ei | f(t) > (prodotto scalare pre Hemitiano) | Ei>< Ei | = operatore di selezione La (1) rappresenta il più generico vettore dello spazio con sistema di base [E]. Il sistema di base è ortonormale quindi qualsiasi prodotto scalare <Ei|Ej>, con i diverso da j, è nullo. Prima della misura gli scalari complessi ai sono ignoti. La (1) esprime una proprietà generale degli spazi vettoriali lineari. Incidentalmente la (1) rappresenta x(t) espressa in serie di Fourier. Questo non è un caso: gli spazi vettoriali sono stati pensati per possedere questa caratteristica. La (1) mostra come la rappresentazione di un segnale in serie di Fourier sia intrinseca e connaturata negli spazi vettoriali (quindi anche in L2). Di conseguenza non dobbiamo dimostrare la sviluppabilità dei segnali in serie di Fourier. Se i segnali non fossero vettori, senza un sistema di base e senza il prodotto scalare (che consente di calcolare le componenti ai) si dovrebbe dimostrare la sviluppabilità in serie di Fourier di ciascun singolo segnale (infinite dimostrazioni). Al contrario, se si dimostra che un insieme di funzioni è sviluppabile in serie di Fourier, si è anche dimostrato che tale insieme ammette un sistema di base ed è, quindi, uno spazio vettoriale. La ennupla che rappresenta un vettore è unica. Stato di un segnale In generale lo stato di un sistema, prima della misura, è dato dalla combinazione lineare di tutti i possibili stati che il sistema in esame può assumere. Per un segnale i possibili stati sono gli ai|Ei>. Ne segue che la (1) può essere interpretata come lo “stato” del generico segnale appartenente allo spazio con base gli |Ei>. Assegnando i coefficienti ai (tramite il processo di misura) si ottiene lo stato del particolare segnale. lo stato del segnale osservato è determinato dall’analizzatore di spettro. Tutte le proprietà descritte sono state dedotte dei postulati della relatività e dall’isomorfismo tra spazi vettoriali. Formalmente non resta molto altro da dire. La forma analitica del segnale è una combinazione lineare di seni e coseni (una serie armonica). Ciò è espresso dalle seguenti (e ben note) scritture: In forma complessa, e utilizzando la notazione di Dirac, si scrive: vale la seguente relazione (che deriva dalla ortogonalità dei vettori di base): Il prodotto scalare <Ei|x(t)> restituisce la componente di x(t) lungo Ei. Se |x> e |Ei> sono ortogonali il prodotto scalare è nullo. Il prodotto scalare è commutativo. Le wi costituiscono una serie armonica e sono tutte multipli interi di w0. W0 è legata alla durata T0 del segmento di storia analizzato (acquisito): w0=2π/Τ0 e wi=nw0 con N intero da 1 a QB. Vedremo più avanti che QB è determinato dalle condizioni richieste dal Teorema di Shannon. Operazioni più importanti nel dominio del tempo e della frequenza espresse con il formalismo di Dirac e in forma integrale. Si noti che sono tutti prodotti scalari. Il formalismo di Dirac è indipendente dalla natura, reale o complessa, degli enti e dalla definizione del prodotto scalare (purché definito positivo o pre Heritiano). Per esempio, per i vettori dello spazio euclideo, il prodotto scalare è: <x|y> = |x||y|cosφ Riprendiamo la (1). jwit |x(t)> = Σi ai | e > = Σi ai | Ei> = Σi | Ei>< Ei | f(t) > (1) dove ai = < Ei | f(t) > (prodotto scalare pre Hemitiano) | Ei>< Ei | = operatore di selezione Per calcolare i coefficienti ai serve un analizzatore di spettro che, in memoria, contenga le tabelle dei valori assunti dai versori |Ei> dello spazio cui appartiene |f(t)>. In altre parole, per l’analizzatore di spettro, esistono solo due categorie di segnali: quelli che può rappresentare con il “proprio” set di versori (per i quali l’errore di misura sarà prevedibile) e tutti gli altri (per i quali l’errore di misura non può essere previsto). Se l’analizzatore di spettro riproduce uno spazio isomorfo allo spazio cui appartengono i segnali da analizzare allora lo spettro calcolato è accurato e l’ errore di misura prevedibile. Se ciò non avviene l’errore di misura non è prevedibile Il fatto rilevante non è che l’analizzatore commetta errori ma che l’entità dell’errore non sia prevedibile: ciò trasforma la misura, nella migliore delle ipotesi, in una stima (o anche meno). Riassumendo i punti rilevanti toccati fin qui sono: - lo spazio dei segnali è isomorfo allo spazio L2 lo spazio L2 è isomorfo allo spazio delle ennuple L’osservazione (la misura) determina lo stato dell’osservato. L’errore di misura è prevedibile quando l’analizzatore di spettro riproduce uno spazio isomorfo a quello cui appartiene il segnale. L’analizzatore di spettro, in generale, produce una stime e, in particolari condizioni, una misura. L’interazione tra osservabile ed osservatore determina l’osservato come risultato di un processo di misura che muta lo stato del sistema in esame. Questo è un principio generale: non possiamo conoscere direttamente il mondo fisico ma solo la rappresentazione che ne fornisce lo strumento di misura. L’analisi dei segnali è sempre deterministica perché si opera sempre su segnali memorizzati la cui storia è nota (almeno in parte). L’analizzatore di spettro, prima memorizza il segnale da analizzare e poi lo analizza. Questo è inevitabile perché l’analisi richiede il calcolo di una quantità di integrali estesi sulla durata della finestra di acquisizione (i prodotti scalari <Ei | f(t)>). Condizioni di prevedibilità dell’errore Ogni segnale, per essere conosciuto, deve passare attraverso l’analizzatore che ne ricava lo spettro (e da esso la forma analitica). Non fa differenza se si tratta di segnali analogici, digitali, determinati o indeterminati: lo strumento processa tutti i segnali allo stesso modo. Qualsiasi segnale si colleghi all’ingresso di un analizzatore di spettro, il display dello strumento mostrerà qualche cosa. Non è detto che quello che appare sul display sia la misura dello spettro del segnale in ingresso: di norma è solo una stima. Si devono quindi definire le condizioni da rispettare affinché l’errore di misura sia prevedibile (ovvero le condizioni per ottenere una misura). Idealmente le cose dovrebbero andare come rappresentato in questa figura: Lo spazio dei segnali fisici è isomorfo allo spazio L2 che è isomorfo allo spazio delle ennuple (spettro). Per transitività lo spazio dei segnali fisici è isomorfo allo spazio delle ennuple (l’isomorfismo è una relazione di equivalenza). In tal modo si possono studiare le funzioni o gli spettri in luogo dei segnali fisici e operare indifferentemente nel dominio del tempo o della frequenza con gli strumenti più comodi. A livello matematico la cosa funziona perfettamente. In pratica le operazioni necessarie per completare l’analisi spettrale non conservano, ad ogni passaggio, la corrispondenza biunivoca tra “ingresso” e “uscita”. In buona sostanza l’isomorfismo si perde per strada e dobbiamo fare qualche cosa per recuperarlo altrimenti non saremo autorizzati a riferire ai segnali i risultati delle operazioni fatte sugli spettri o sulle funzioni. . Affinché un segnale possa essere analizzato deve essere acquisito e qui entra in gioco il Teorema di Shannon. Questo teorema stabilisce la corrispondenza tra il segnale osservabile e una sua opportuna rappresentazione basata sulla valutazione dell’ampiezza di una successione di campioni. Il Teorema di Shannon richiede che i segnali siano rigorosamente limitati in banda. Questo non è un problema perché, a rigore, qualsiasi segnale osservato è già rigorosamente limitato in banda. Infatti: - in natura non esistono segnali con frequenza o energia infinita; qualsiasi sensore analogico possiede banda passante rigorosamente limitata; qualsiasi dispositivo di registrazione possiede banda passante rigorosamente limitata. Quindi basta scegliere la frequenza di campionamento sufficientemente alta. Tecnicamente se è possibile realizzare un oscillatore che produce una frequenza f0 è anche possibile realizzare un filtri passa basso con taglio a f0/2. Tuttavia, per una serie di ragioni, non sempre è possibile applicare il campionamento adatto e quindi si limita artificialmente la banda passante dei segnali imponendo un filtro passa basso molto deciso (il filtro anti-alias). In ogni modo la limitazione in banda del segnale, in un modo o nell’altro, ci deve essere. Detto ciò consideriamo la sequenza delle operazioni svolte da un generico analizzatore di spettro digitale descritte nello schema che segue. Il segnale (elemento dell’insieme A) viene applicato all’ingresso dell’analizzatore il quale, per prima cosa, applica il filtro Anti-Alias per limitare la banda passante. Nel passare da A in B tutti i segnali che differiscono per la parte soppressa dal filtro Anti-Alias confluiscono nello stesso elemento di B. Qui serve una precisazione: il filtro anti-alias non deve essere un filtro a fase minima ma deve sopprimere le frequenze superiori ad un certo valore (per esempio per interferenza). In tal modo due segnali che differiscono per la parte soppressa diventano indistinguibili (hanno lo stesso spettro, sono lo stesso segnale, a meno del rumore). Al primo passaggio abbiamo già perso la corrispondenza biunivoca tra ciò che entra e ciò che esce dall’AntiAlias. Nel rispetto delle ipotesi di Shannon la corrispondenza tra gli elementi di B e D è biunivoca. Nel passare da D in E tutti i segnali in D che, in certi istanti, differiscono in ampiezza per una quantità inferiore a metà della risoluzione del convertitore A/D, confluiscono nello stesso elemento di E. Anche in questo passaggio abbiamo perduto la corrispondenza biunivoca. Le operazioni che intercorrono tra gli insiemi E, F e G sono operazioni numeriche e possiamo ipotizzare che conservino la corrispondenza biunivoca tra elementi corrispondenti. L’errore di calcolo è sicuramente trascurabile rispetto all’errore commesso dal convertitore A/D: un convertitore A/D può avere 32 bit, un normale PC esegue i calcoli a 64 bit. Ricapitolando lungo il percorso, da A verso G, la corrispondenza biunivoca viene perduta a causa della presenza del filtro Anti Alias e a causa della incertezza sulla valutazione dell’ampiezza (conversione A/D). Il risultato è che gli elementi presenti in A ed in G sono diversi. Come dire: abbiamo acquisito un segnale ma ne abbiamo analizzato un altro. L’isomorfismo è perduto e il risultato della “misura” non è riferibile al segnale in ingresso. Sembrerebbe possibile superare questa situazione aumentando all’infinito la frequenza di campionamento e aumentando (sempre all’infinito) il numero di bit del convertitore A/D. Non è così: il Principio di Heisemberg impedisce di misurare contemporaneamente, e con errore arbitrario, energia e durata di un segnale. A causa del Principio di Heisemberg: - Il Sample & Hold deve rimanere aperto per un tempo finito l’energia associata ad un campione è nota con un certo errore che dipende dal tempo di apertura del cancello Sample & Hold. Ne segue che la frequenza di campionamento non può essere infinita ed è altrettanto inutile usare un convertitore A/D con infiniti bit (che non annullerebbe l’incertezza intrinseca sulla valutazione dell’ampiezza del campione). Riconsideriamo lo schema precedente: La corrispondenza tra gli elementi di A e B può essere resa biunivoca, per esempio, stabilendo deliberatamente di limitare la banda passante di analisi. In sostanza il segnale da analizzare diventa il segnale fisico filtrato dall’Anti-Alias. Nella migliore delle ipotesi perderemo un po’ di rumore, nella peggiore perderemo un po’ di segnale nell’attesa che la tecnologia ci consenta di aumentare la frequenza di campionamento (e perderne un po’ meno). Concentriamoci invece sull’insieme D. Il numero di bit del convertitore determina la sua risoluzione (la minima variazione di ampiezza rilevabile o JND = Just Noticeable Difference). E’ evidente che se il bit meno significativo corrisponde alla variazione di 1 volt, i campioni di ampiezza compresa tra 0.6 e 1. 4 Volt saranno convertiti nel valore 1 mentre i campioni con ampiezza compresa tra 1.6 e 2.4 saranno convertiti nel valore 2. Quindi la corrispondenza tra B e D non è biunivoca. Affrontiamo questo problema. Definiamo, in D, un “insieme rosso” che contiene tutti i segnali che, una volta convertiti, confluiscono nello stesso elemento di E. I segnali all’interno dell’insieme rosso differiscono per una quantità err(n∆t) inferiore alla JND (+/- 0.5 LSB). In generale due segnali potrebbero differire per il rumore e err(n∆t) potrebbe essere interpretata come rumore. Ai fini della misura gli elementi appartenenti all’insieme rosso sono tra loro indistinguibili perché producono successioni di campioni identiche. Definizione: Due segnali sono indistinguibili se producono la stessa serie di campioni (a parità di condizioni di campionamento, ecc., ecc. …) A questo punto riportiamo l’insieme rosso anche in B e rinunciamo a rappresentare l’insieme A. In pratica l’insieme dei segnali osservabili (filtrati da AA) viene riorganizzato in un insieme di “insiemi rossi”. Ciascun “insieme rosso” contiene segnali che, per lo strumento di misura, sono indistinguibili. Aumentando il numero di bit del convertitore A/D il numero di insieme rossi (segnali distinguibili) aumenta. Il numero di segnali contenuti in un insieme rosso non è di alcuna rilevanza (è virtualmente infinito). Da questo momento il termine “segnale“ si riferisce ad un “insieme rosso” di segnali che, per lo strumento di misura, sono indistinguibili. Il concetto di “indistinguibilità dei segnali” è un concetto relativo. A parità di banda passante, determinata dal filtro AA, i segnali indistinguibili con un A/D a 15 bit diventano distinguibili con un A/D a 16 bit. In questa sede non interessa approfondire le questioni relative all’insieme rosso. Diremo solo che frequenza di campionamento e la quantizzazione saranno scelte in funzione della specifica finalità della misura. Per esempio nell’ambito della riproduzione della musica, tutti i segnali “indistinguibili all’ascolto” appartengono allo stesso insieme rosso. Definendo lo “insieme rosso” si ristabilisce la corrispondenza biunivoca lungo tutto il percorso del processo di misura. Ora, affinché tutto funzioni, basta verificare che un elemento di G sia indistinguibile dal corrispondente elemento in B. Farlo non è difficile basta ripetere la misura in loop e verificare che il segnale, partendo da B torna sempre in G. La corrispondenza ottenuta grazie all’insieme rosso non è una vera corrispondenza biunivoca e sarà necessario chiamarla in modo diverso (per esempio “corrispondenza biunivoca debole” o “corrispondenza debole” o corrispondenza “quasi-biunivoca”) . La cosa fondamentale è che la ristabilita corrispondenza tra gli insiemi B, D, E ed F consente di operare indifferentemente sui segnali analogici in B o sulla versione campionata in D o sulle versioni numeriche di E o F (che è quello che interessa) . A questo punto sappiamo che l’analisi spettrale funziona ma che ci fornisce la forma analitica di un insieme di segnali che la procedura di misura rende indistinguibili. A questo punto possiamo scrivere Sosservato(t) = Sosservabile-filtratoAA(t) + err(t) = [elemento dell’ insieme rosso dei segnali indistinguibili] Nella funzione err(t), come già ricordato, possiamo far rientrare il rumore, l’errore di quantizzazione, la distorsione non lineare e ogni altra cosa possa far comodo (purché abbastanza piccola). L’insieme rosso e l’analizzatore di spetto analogico Anche utilizzando un analizzatore di spettro analogico (omodina o eterodina) ci si imbatte nelle due limitazioni già viste per l’analizzatore FFT digitale (almeno per segnali “brevi”). I segnali da analizzare devono essere registrati (e il registratore è un dispositivo a larghezza di banda limitata). La misura dell’ampiezza delle componenti spettrali è soggetta ad errore che richiede, anche in questo caso, l’introduzione dell’insieme rosso. La antitrasformazione, in questo caso, deve avvenire per sintesi addittiva perché non esiste un “antitrasformatore analogico”. Il risultato comunque non corrisponde al segnale in ingresso finché non si applica lo stesso procedimento visto in precedenza. In pratica l’analizzatore analogico non offre significativi vantaggi rispetto a quello digitale. L’analizzatore di spettro digitale La differenza sostanziale tra uno strumento digitale ed uno analogico è il “modo” di memorizzare il segnale ed eseguire i calcoli. L’analizzatore di spettro digitale opera su segnali rigorosamente limitati in banda che vengono campionati, quantizzati e convertiti in forma numerica. I successivi calcoli avvengono per via digitale. Il principio di funzionamento è sostanzialmente quello dell’analizzatore omodina. Detto in modo molto sintetico, mutuato dalla Meccanica Quantistica, l’analizzatore di spettro è un banco di proiettori elementari |Ei>< Ei|. Lo spettro viene presentato graficamente con un diagramma di Bode rappresentando parte reale e parte immaginaria oppure modulo e fase. Il fatto che lo strumento utilizzi un algoritmo DFT, FFT o Singleton è ininfluente tranne che per la condizione posta sul numero di campioni da processare. Si utilizza la FFT perché è veloce. L’analizzatore di spettro basato su FTT, per ridurre i tempi di calcolo, processa un numero di campioni pari a una potenza di 2. il numero di campioni processati il numero di versori (righe spettrali complesse) passo di campionamento intervallo_di_acquisizione ∆ T o finestra di acquisizione Fminima = 1 / ∆ T la frequenza dei versori (righe spettrali) Fn = n / ∆ T con n intero = a una potenza di 2 = metà del numero di campioni processati intervallo costante tra un campione ed il successivo = 1/(fcampionamento) = numero di campioni acquisiti moltiplicato per il passo di campionamento (∆ T = 2n 1/(fcampionamento) Frequenza minima presente nel segnale osservato (*) è determinata dalla frequenza di campionamento e dalla durata finestra di acquisizione. (*) questa caratteristica implica la necessità di disporre, all’ingresso dell’analizzatore di spettro, oltre al filtro anti alias, anche un filtro passa alto per bloccare le frequenza inferiori a Fminima = 1 / ∆ T . Ne segue che l’analizzatore di spettro digitale dovrebbe trattare solo segnali con banda passante rigorosamente limitata verso l’alto e verso il basso (media nulla -> trasformabili secondo Hilbert). La durata dell’intervallo di acquisizione e la frequenza di campionamento sono limitate, il numero dei versori (righe spettrali) è finito. Come già detto i segnali osservati con errore prevedibile sono solo quelli esprimibili come combinazione lineare dei versori di base dell’analizzatore (vedere (1)) Al variare di ∆ T cambia il set di versori di base dell’analizzatore dando accesso a diversi sottospazi di segnali osservabili. Il segnale osservato è la combinazione lineare di un numero finito di seni e coseni ed è infinitamente derivabile: ciò implica, nel segnale, l’assenza di cuspidi e costringe a scegliere in modo non arbitrario l’intervallo di acquisizione (la porzione di segnale da analizzare). Condizione necessaria affinché l’errore sulla determinazione dello spettro di un segnale sia prevedibile è che il segnale sia esprimibile come combinazione lineare dei versori di base dello spazio rappresentato dell’analizzatore. Ciò avviene quando lo spazio cui appartiene il segnale e lo spazio rappresentato dall’analizzatore ammettono lo stesso sistema di base (sono isomorfi). Se non c’è isomorfismo tra lo spazio ricreato dall’analizzatore e lo spazio cui appartiene il segnale fisico l’errore di misura non è prevedibile (è infinito). La condizione non è sufficiente perché il risultato dipende da come viene selezionato il segmento temporale da analizzare. In questa sede non affrontiamo il problema degli errori sistematici (linearità del convertitore A/D, limiti e difetti dell’interfaccia analogica, ecc.) perché possono essere corretti o compensati. Parte Seconda: Classificazione dei segnali I segnali sono vettori e l’analizzatore di spettro riproduce uno spazio vettoriale. La Teoria dei Segnali classifica distingue segnali a potenza finita, energia finita, aleatori, determinati, …. per includere un segnale in una qualsiasi categoria lo si deve osservare per un tempo infinito (e qui si capisce l’importanza dei segnali ipotizzabili come periodici, stazionari, ergodici e nulli al di fuori della finestra di acquisizione). Tutte le informazioni che possediamo riguardano il passato del segnale (nel momento in cui lo osserviamo è già “passato”) e restano note solo se il segnale viene registrato e conservato. Un segnale registrato è un segnale determinato a larghezza di banda rigorosamente limitata. Ai fini dell’analisi spettrale non è necessario considerare ulteriori tipi di segnali. Nella realtà un segnale viene osservato per un intervallo di tempo limitato che non abbraccia necessariamente tutta la sua storia. Non potendo tornare indietro nel tempo non possiamo conoscere la storia passata di segnali già in essere all’inizio di una osservazione. Possiamo osservare l’intera storia dei segnali che devono ancora cominciare o generati artificialmente in laboratorio. Una importante eccezione riguarda l’osservazione di segnali ipotizzabili come periodici per i quali è sufficiente registrare almeno un intero periodo (e analizzare un numero intero di periodi). Ai fini dell’analisi spettrale con analizzatore di spettro, i segnali sono di tre tipi raggruppati in due classi: A1 Classe A cinematica A2 Classe B dinamica B I segnali ipotizzabili periodici di cui sia noto almeno un periodo completo, Per questi segnali non è segnali artificiali sincronizzati con la base necessario conoscere le tempi dell’analizzatore di spettro cause che li hanno generati: in questo senso sono I segnali ipotizzabili nulli al di fuori segnali cinematici. dell’intervallo di acquisizione (che devono ancora cominciare dei quali registreremo l’intera storia). Tutti i segnali “non A”. Richiedono una qualche I segnali dei quali non conosciamo conoscenza delle cause che l’intera storia (già cominciati, non li hanno generati ed in terminati, spezzoni di segnali). Per questo senso sono segnali esempio segnali aleatori non stazionari. dinamici. Questa classificazione è la conseguenza del limitato tempo a disposizione per l’osservazione e non distingue tra segnali analogici o digitali, potenza finita o infinita, determinati o indeterminati. A ciascun segnale di classe A si associa biunivocamente una funzione di L2. Ai segnali di classe B no. I segnali di classe B possono solo essere stimati e non misurati. Per stimare un segnale di classe B, dato che non ne conosciamo l’intera storia, servono informazioni aggiuntive. Per esempio la natura del fenomeno che li genera (il rumore di una cascata, il rumore termico, ecc.) o delle statistiche basate sulle osservazioni pregresse dello stesso fenomeno (stazionarietà, ergodicità, ecc.) o altro ancora. Nulla di quanto si studia nella Teoria Classica dei Segnali viene sacrificato. Per poter analizzare un segnale di classe B si impone una arbitraria finestra di pesatura nel tempo che azzera il segnale agli estremi dell’intervallo di acquisizione forzandolo dalla classe B alla classe A. Lo spettro del segnale pesato (o “finestrato”) dipende dalla forma della finestra di pesatura scelta. Applicare la finestra di pesatura equivale ad applicare una modulazione di ampiezza e ciò provoca, inevitabilmente, la produzione di distorsione per intermodulazione. E’ illusorio eseguire delle misure di distorsione (armonica e intermodulazione) o ETC su segnali pesati in questo modo: il risultato dipende dalla finestra di pesatura. Ai segnali di cui è nota l’intera storia (o un intero periodo) si associa una funzione di L2 e di questa l’analizzatore di spettro fornisce la forma analitica nel range di frequenza limitato dal filtro AA (all’interno dell’insieme rosso) Segnale di classe B: Per analizzare un segnale si applica, in generale, una “finestra rettangolare” che definisce l’intervallo di acquisizione. Questa operazione seleziona un pezzo della storia del segnale e non basta per associare biunivocamente una funzione x(t) al segnale stesso. La selezione dell’intervallo di acquisizione genera due discontinuità non derivabili agli estremi dell’intervallo (salvo casi fortunati). Quando il segnale viene ripetuto in loop resta una sola discontinuità per periodo. Resta il fatto che lo spettro che si ottiene dipende dalla scelta del particolare istante iniziale. Per eliminare queste discontinuità si moltiplica (arbitrariamente) il segnale per una “finestre di pesatura” che produce un nuovo segnale di tipo A. Questa operazione forza il segnale ad entrare nello spazio vettoriale rappresentato dall’analizzatore. Il segnale osservato cambia al variare della finestra di pesatura: il risultato dipende dalle scelte soggettive dell’osservatore e, inevitabilmente, si deve parlare di “stima” e non di misura dello spettro di potenza. Quando si utilizzano le finestre di pesatura si ottengono delle stime e non delle misure. Esistono tanti tipi di finestre di pesatura e ognuno può definire la propria in base alle specifiche esigenze. Per esempio, per isolare il suono diretto dal suono riflesso, si definisce una finestra di pesatura asimmetrica che a sinistra presenta un fronte di salita come un’onda quadra, continua con ampiezza costante per il tempo necessario e quindi torna a zero con una pendenza ed un andamento “a sentimento”. Ciò non significa che le finestre di pesatura non siano utili ma vanno applicate esclusivamente quando non se ne può fare a meno. In alcune situazioni, per esempio per misurare la distorsione di intermodulazione, le finestre di pesatura NON devono essere utilizzate. Segnale ipotizzabile come periodico. Ne caso di segnali ipotizzabili come periodici il risultato dell’analisi dipende dalla corretta individuazione del periodo. Finestra non corretta: In evidenza le discontinuità generate agli estremi dell’intervallo di acquisizione. Le cuspidi rendono il segnale non derivabile e non rappresentabile con una serie finita di seni e coseni. Il segnale così formato non appartiene ad alcuna classe: è semplicemente sbagliato. Si noti che la cuspide esiste realmente perché la selezione della finestra di acquisizione avviene a valle del filtro Anti Alias. Finestra corretta: In questo caso la finestra di acquisizione “cattura” un numero intero di periodi e non sono presenti cuspidi. L’analizzatore opera in modo conforme all’ipotesi di periodicità con errore prevedibile. Questo è il modo corretto di operare. Il segnale osservato è di tipo A1 Per adeguare il numero di campioni con il periodo del segnale si agisce sulla frequenza di campionamento. Le ipotesi per il periodo non osservato La storia di un segnale consta di due intervalli contigui: l’intervallo osservato e l’intervallo non osservato. La storia di un segnale nel periodo non osservato può essere solo ipotizzata. Per i segnali di classe A si possono fare due ipotesi: A1 ipotesi di periodicità A2 ipotesi di annullamento nel periodo non osservato il Lo spettro atteso è discreto e segnale si ripete come se fosse coincidente con quello misurato periodico e infinitamente derivabile dall’analizzatore (privo di cuspidi) (se correttamente impostato). nel periodo non osservato il Lo spettro atteso è continuo. segnale è nullo L’analizzatore di spettro non misura spettri continui. Paradossalmente “ciò che vediamo dipende da ciò che non vediamo”: la caratteristica più rilevante dello spettro del segnale dipende dal periodo non osservato: - nell’ipotesi di periodicità lo spettro atteso è discreto, nell’ipotesi di annullamento lo spettro atteso è continuo. L’analisi spettrale, nell’ipotesi di periodicità, è chiara. Vediamo cosa succede quando si analizza un segnale nell’ipotesi di annullamento. Segnale di classe A2, con media nulla, acquisito, in origine, nell’intervallo (t2,t3) Con riferimento alla figura qui sopra, Il segnale è stato acquisito tra gli istanti t2 e t3. I tratti di segnale antecedenti t2 e posteriori a t3 sono stati aggiunti dall’osservatore con il padding (operazione lecita perché il segnale è ipotizzato nullo nell’intervallo non osservato e con valor medio nullo). Se sottoponiamo ad analisi spettrale il segnale compreso negli intervalli (t1,t4) e (t2,t3) otteniamo due spettri diversi: a prima vista la misura è soggettiva e lo spettro misurato non è quello atteso (perché è discreto anziché continuo). In effetti l’osservatore, scegliendo l’intervallo di analisi, determina la densità spettrale del segnale. Nota: con un analizzatore FFT la finestra di acquisizione deve contenere un numero di campioni pari ad una potenza di 2: aumentare la durata dell’acquisizione significa raddoppiare, quadruplicare, ecc. la durata della finestra ed il numero di campioni acquisiti. Ne segue che l’intervallo (t1,t4) dura 2n volte rispetto (t2,t3) (con n intero >0). Quindi lo spettro calcolato su (t1,t4) contiene il 2n righe spettrali rispetto a quelle calcolate per l’intervallo (t2,t3). Queste righe sono presenti anche nella misura eseguita su (t1,t4). Gli spettri sono diversi perché uno contiene, per es., il doppio delle righe spettrali dell’altro ma sono anche simili perché molte righe spettrali appaiono in entrambe gli spettri. Come è noto, con l’ ipotesi di annullamento, lo spettro continuo del segnale A2 si ottiene interpolando l’inviluppo dello spettro discreto prodotto dall’analizzatore. Tale inviluppo è indipendente dall’intervallo di osservazione scelto purché comprenda inizio e fine del segnale. Più l’intervallo (t1,t4) è ampio, maggiore è la densità spettrale e tanto più preciso l’inviluppo dello spettro continuo. Quindi, nell’ipotesi di annullamento, lo spettro continuo deve essere interpolato. Questo ragionamento ricalca il procedimento che consente di passare dalla serie alla trasformata di Fourier (la sommatoria diventa un integrale portando la densità spettrale ∆f a zero con un passaggio al limite). L’ analizzatore opera sempre allo stesso modo mentre l’operatore interpreta i risultati in accordo con la propria ipotesi (sulla natura del segnale) e le condizioni di misura (padding). Anche in questo caso interviene il Principio di Heisemberg in quanto, se fossero aggiunti infiniti campioni nulli con il padding il valore RMS del segnale tenderebbe a zero. Questo significa che non è possibile, nemmeno teoricamente, ottenere uno spettro continuo di un segnale che sia diverso da zero per un tempo limitato nemmeno osservando il segnale per un tempo infinto. Ricapitolando: classe del segnale Cinematici di classe A Dinamici di B Ipotesi per il periodo non osservato Note classe A1 Periodicità: il segnale si ripete periodicamente, si analizza un numero intero di periodi. Impostando il passo di campionamento ottemperiamo alle condizioni imposte dalla FFT. Se il passo di campionamento è correttamente impostato, l’analizzatore produce lo spettro con accuratezza ed errore prevedibile. La condizione ottimale si realizza quando il segnale è generato digitalmente in sincronia con il clock dell’analizzatore. classe A1 utilizzando il padding, ottemperiamo alle condizioni n Annullamento: imposte dalla FFT (numero di campioni = 2 ) e dove non osservato il segnale è nullo. interpoliamo l’inviluppo dello spettro discreto per ottenere lo spettro continuo. classe B Valutazione di uno spezzone incompleto della storia Ipotesi di tipo statistico legate alla del segnale. dinamica del segnale. Il segnale deve La scelta della finestra di pesatura e l’interpretazione essere “finestrato” e forzato in classe A del risultato è demandata alla sensibilità dell’operatore (stima dello spettro di potenza). Analisi di segnali in presenza di rumore il rumore flicker pone un limite alla riduzione dell’incertezza di misura al crescere del tempo di misura, per questo si parla a volte di “flicker floor”. Corso “Segnale e Rumore” – Giorgio Brida – Giugno/luglio 2007 La presenza di rumore flicker impone l’uso di filtri passa alto per eliminare quella parte di spettro le cui componenti possiedono periodo maggiore rispetto durata della finestra di acquisizione. I filtri passa alto dovrebbero avere la pendenza di un anti alias. Ogni segnale osservabile è la sovrapposizione di un segnale “puro” e di una certa quantità di rumore. Il rumore esiste sempre. In alcuni casi è possibile separare il rumore dal segnale. Caso mai il problema è capire quale è il segnale e quale è il rumore (vds autocorrelazione di segnali ipotizzabili come periodici). La definizione dell’insieme rosso semplifica la gestione di segnali accompagnati da modeste quantità di rumore. La condizione più favorevole si incontra quando l’ampiezza (di picco) del rumore è inferiore rispetto alla risoluzione del convertitore A/D e l’effetto del rumore si riduce, al massimo, a “randomizzare” il rumore di quantizzazione (dithering). La condizione meno favorevole si presenta quando il rumore è tale da impedire la misura e obbliga l’osservatore ad orientarsi verso processi di stima. La presenza di rumore comporta almeno due problemi: l’estensione della banda passante del segnale la comparsa di discontinuità non derivabili agli estremi dell’intervallo di acquisizione. In generale la banda passante del rumore può essere più ampia della banda passante del segnale. Lo spettro del rumore tende ad aumentare alle basse frequenze (rumore flicker). Per limitare l’effetto del rumore sull’accuratezza della misura, oltre ai filtri anti-alias, si devono applicare anche dei filtri passa-alto per restringere la banda passante del segnale analizzato al di sopra della minima frequenza analizzabile. Questo può anche richiedere l’aumento della durata della finestra di acquisizione. Con un segnale di tipo A1, a causa del rumore, i valori assunti dal segnale agli estremi dell’intervallo di acquisizione sono casuali il che equivale (per l’analizzatore) a sovrapporre al segnale una discontinuità non derivabile. Lo spettro misurato corrisponde così alla somma di tre contributi: il segnale + un impulso + il rumore. L’ampiezza dell’ impulso non è prevedibile ma il suo effetto sullo spettro, con segnali ipotizzabili come periodici, diminuisce aumentando la durata dell’intervallo di acquisizione (aumentando la durata della finestra di acquisizione il valore RMS diminuisce e quindi diminuiscono le ampiezze delle componenti spettrali dell’impulso. Il segnale è periodico e il suo valore RMS non cambia). Anche in questo caso è opportuno aumentare della durata della finestra di acquisizione. In sostanza più la finestra di acquisizione è lunga e tanto più: -diminuisce l’effetto delle discontinuità agli estremi (causate dal rumore) -diminuisce l’effetto delle componenti a bassa frequenza del rumore (scompare con opportuni filtri pass-alto). -aumenta la densità spettrale (la risoluzione della misura). Se la finestra di acquisizione è abbastanza lunga le finestre di pesatura, ai fini pratici, potrebbero non essere necessarie. Per capire se la durata della finestra di acquisizione è adeguata basta raddoppiarla e osservare lo spettro risultante: se “non cambia” l’intervallo di acquisizione era adeguato. Ogni scelta deve essere funzionale al risultato cercato. Medie spettrali e medie nel tempo Consideriamo segnali ipotizzabili come periodici in presenza di rumore (A1). Una pratica molto diffusa (con l’intento di migliorare il rapporto segnale rumore del segnale analizzato) consiste nel suddividere un segnale in più intervalli (run) ed operare poi delle medie (nel dominio del tempo). Questa procedura si basa sulla ipotesi che il segnale si sommi in ampiezza ed il rumore si sommi in potenza portando ad un miglioramento del rapporto S/N di 3 dB per ogni raddoppio del numero di finestre mediate. Affinché ciò avvenga il segnale utile deve mantenere una forte correlazione tra un run e l’altro mentre il rumore deve essere non correlato tra un run e l’altro e non correlato con il segnale utile. Tutte cose che vanno verificate con attenzione. Il fatto che il contributo del rumore sembri diminuire non è necessariamente garanzia di aver fatto le cose per bene. Il risultato dipende da come vengono selezionati i run: se sono troppo brevi si perde risoluzione (e comunque si devono impiegare filtri passa-alto commisurati alla durata dell’intervallo). Per ogni run si generano, agli estremi, due cuspidi non derivabili. Per evitare ciò si applicano finestre di pesatura (a ciascun run). A questo punto c’è il rischio concreto che la cura sia peggiore del male. Anziché eseguire la media su tante piccoli run pesati, se non si è più che certi della natura del rumore e del segnale, potrebbe essere più conveniente espandere l’intervallo di acquisizione. Per esempio invece di acquisire e mediare 8 finestre da 512 campioni l’una, conviene analizzare 4096 campioni in una unica finestra. Se non sono disponibili filtri passa alto questa strada è praticamente obbligata. Misure in regime forzato Per le misure in regime forzato si devono utilizzare stimoli periodici sincronizzati con il clock dell’analizzatore. Uno stimolo pseudocasuale è periodico anche se il periodo si chiama pseudoperiodo. In tal modo segnale ed analizzatore condividono lo stesso sistema di base e sussistono i presupposti per eseguire misure accurate. Esempio di misure in regime forzato Un segnale multitono pseudocasuale analizzato su due intervalli più corti dello pseudoperiodo e su uno pseudoperiodo (65538 campioni). La rappresentazione nel tempo mostra 16384 dei 65536 campioni dello pseudoperiodo. Il fattore di cresta vale CF = 3.79. Si noti quello che succede nei primi due spettri alle frequenze più basse (a sinistra). Un fenomeno analogo avviene ogni volta che si analizza un segnale su un intervallo non multiplo del massimo periodo in esso contenuto. La misura rappresentata nella figura qui sopra è una misura di distorsione. Lo stimolo multitono utilizzato induce il sistema a generare tutta la distorsione di cui è capace (armonica, intermodulazione e Doppler se è un altoparlante). Questo stimolo è più vicino alle effettive condizioni d’uso di un amplificatore audio o di un altoparlante e infatti produce un suono simile a quello di un organo elettronico quando si premono contemporaneamente tutti i tasti. La distorsione “vera” si vede nell’ultimo grafico dove si apprezza anche la “piattezza” della risposta in frequenza. Nel grafici relativo a 16384 e a 32768 campioni alcune componenti spettrali della “distorsione” raggiungono il 100%. Si vede nell’ultimo grafico (acquisito correttamente) che la distorsione è nell’ordine dell’1%. In ogni caso l’indicazione generale è “aumentare la durata della finestra di acquisizione”. Certo così facendo si deve aspettare un certo tempo per ottenere lo spettro e si perde l’ebbrezza che dà “analisi in tempo reale”. Per ottenere l’analisi in tempo reale si devono eseguire almeno 10 FFT al secondo e la finestra di acquisizione può durare circa 0.1 secondi che corrisponde ad una risoluzione in frequenza di 10 Hz. Tanto per fare un esempio legato alla musica la differenza tra la frequenza del primo DO della pedaliera dell’organo (16.35 Hz) ed il successivo DO# (17.32 Hz) vale meno di un Hz. Ne segue che per analizzare un segnale musicale risolvendo le note più gravi si deve utilizzare una finestra di acquisizione di oltre un secondo (minimo 65536 campioni a 44100 Hz, meglio 131072). La ricerca della “analisi in tempo reale” è una moda che porta a clamorosi errori: chi fa misure deve anche avere pazienza. Una buona regola è la seguente: si esegue una analisi spettrale (di qualsiasi tipo) su N campioni e si osservano i risultati. Si ripete l’analisi acquisendo 2N campioni. Se il risultato “non cambia” significa che N campioni sono sufficienti. Se il risultato è diverso si ripete l’analisi su 4N campioni (e così via). Questa procedura consente di individuare eventuale produzione di sub-armoniche e di limitare l’effetto del rumore a bassa frequenza. Per quanto riguarda la bibliografia si può far riferimento alla Teoria dei Segnali che si trova in ogni buon teso a livello universitario. Seguirà la parte terza.