(Il presente articolo di Raffaele Vertucci è stato scritto per la ricerca

L’IMPEGNO DELLA SOCIETÀ CIVILE IN COLOMBIA
(Il presente articolo di Raffaele Vertucci è stato scritto per la ricerca commissionata dall’ufficio
ONU del Ministero Affari Esteri Le ONG e la trasformazione dei conflitti. Le operazioni di pace
nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive a cura di F. Tullio “Editori associati,
editrice internazionale” Roma, 2002.)
La Colombia non è soltanto narcotraffico, violenza, conflitto armato. Le cifre indicano senza dubbio
dimensioni enormi di tali fenomeni, ma non sono sufficienti a comprendere una delle realtà
latinoamericane più interessanti con i suoi 181 anni di storia senza Spagna e con una stabilità
democratica “eccezionale” per l’emisfero, paragonabile solo a quella di Stati uniti e Canada. Eppure
la Colombia ha conosciuto una sanguinosa guerra civile che a partire dal primo assassinio politico
(quello del leader liberale Jorge Eliècer Gaitàn nell’aprile del 1948) fino agli anni sessanta, ha visto
morire tra le due e le trecentomila persone nella “època de la Violencia” o semplicemente
Violencia. Sostiene Jaime Zuluaga, dell’Universidad Nacional de Colombia(di cui riporteremo
un’intervista): “L’epoca della Violencia era caratterizzata da una forte sacralizzazione della politica,
fatta di settarismo, dogmatismo e passione che si esprimeva in una sorta di catechesi del dualismo
partitico, il partito dei liberali e quello dei conservatori. In questa dinamica l’avversario politico era
un nemico, la famiglia di provenienza il suo programma politico, le espressioni di partecipazione e
organizzazione popolare che non rientravano nello schema liberale conservatore, un elemento di
disturbo al gioco democratico o, come nel caso del Partito Comunista un soggetto da eliminare.
Anche da questa storia nasce il fenomeno delle guerriglie in Colombia, le Farc-Ep, di netta origine
contadina e disciplina militare di ispirazione bolivariana, l’Eln (Ejèrcito de Liberación Nacional)
nato negli ambienti universitari; l’Epl (Ejèrcito Popular de Liberación) l’M19 (Movimiento
Revolucionario 19 de Abril), le diverse milizie bolivariane.
Anche da questa storia è scaturita la militarizzazione della società colombiana e il progetto di
modernizzazione attuato dall’oligarchia. Infatti la classe dirigente colombiana aveva già pianificato
alla fine della seconda guerra colombiana il suo patto per lo sviluppo; organizzò un sistema
escludente che non permetteva ad altri attori di partecipare alla concertazione. Ogni volta che uno
dei due governava portava con sè la sua burocrazia, i suoi interessi, i suoi uomini. Non realizzò
nessun progetto di riforma agraria, non le fu necessario essere populista, sviluppò un Paese
moderatamente progredito, e con livelli di urbanizzazione diffusa. Non c’era spazio: chi non stava
con i due partiti non era contro di loro, ma contro il sistema, un sovversivo”1.
Oggi il Paese Colombia non riesce ad avere ancora un sistema di giustizia efficiente al punto che
piú della metà dei reati rimangono impuniti. Inoltre si stima che un quarto dei 20 milioni di ettari di
terra coltivabile sia gestito dai narco-latifondisti; secondo fonti ufficiali anche la guerriglia attinge
da questo affare parte dei fondi necessari a renderla una forza in crescita; 30000 uomini e oltre 300
fronti aperti, il 40% del territorio sotto controllo, il 58% dei municipi dichiarati “insurgentes”. Nel
conflitto armato in corso si sono inseriti anche i paramilitari; oltre 140 formazioni, le piú famose
sono le Auc (Autodefensas unidas colombianas), autentici squadroni della sicurezza che
costituiscono ormai un para esercito in intere regioni del Paese, e Convivir, una maniera legale e
rappresentativa per essere riconosciuti come una forza politica in grado di affrontare militarmente la
guerriglia per salvare il Paese dai ribelli.
Si pensa che circa il 28% dei municipi siano sotto il loro controllo, e a farne le spese è stata
soprattutto la popolazione civile, tanto da far diventare quello delle violazioni colombiane un caso
per la Corte penale internazionale. Anche questa degli interessi regionalistici è diventata la causa
del desplazamiento forzado, il fenomeno dei rifugiati, che, non avendo lasciato il paese nella loro
fuga, rientrano nella categoria di persone trasferite internamente: si tratta di oltre un milione e
mezzo di persone, prevalentemente contadini che ha lasciato le proprie case in silenzio.
1
M.Fasanella, L’Equilibrio del narcodollaro, in Piroga n. 2, supplemento a “Linus”n.3, Marzo
2000, pp.33-34
COSTRUENDO SEGNALI DI PACE
(Riportiamo un’intervista realizzata da Marinella Fasanella della Organizzazione nongovernativa
Cisp, a Jaime Zuluaga, studioso della violenza e dei processi di pace in Colombia, pubblicata su
“Piroga” n. 2, supplemento a “Linus” n.3, Marzo, 2000.)
A Bogotà abbiamo incontrato Jaime Zuluaga, studioso della violenza e dei processi di pace di
questa metà di secolo di storia colombiana e Professore di diritto all'Universidad Nacional de
Colombia, la più importante Università del Paese. Jaime Zuluaga è anche un militante del
movimento per la pace e uno dei fautori dell'Assemblea Permanente de la Sociedad Civil por la Paz
e della Red Universitaria por la Paz y la Convivencia.
In queste due strutture è membro del coordinamento nazionale.
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Professor Zuluaga, la Colombia si trova oggi in una tappa molto delicata: la congiuntura
politica di questi ultimi mesi è stata interessata dai passi di avvicinamento alla pace, è stato
aperto un tavolo di negoziazione tra Governo e guerriglieri, si parla di "riconfigurazione
politica" del Paese, ma c'è anche un oggettivo deteriorarsi della situazione generale. Lei
crede che oggi si possa parlare davvero di processo di pace in atto?
"Si, penso che se ne possa parlare, a condizione di non ridurlo alle conversazioni in atto tra
la guerriglia e il Governo nazionale. E' vero, siamo di fronte a un sostanziale deterioramento
della situazione generale: la guerra si è intensificata ed estesa; le guerriglie, specialmente la
Farc-Ep (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia Ejèrcito del Pueblo) e l'Eln
(Ejèrcito de Liberación Nacional), realizzano azioni in quasi tutto il territorio nazionale; i
gruppi paramilitari, organizzazioni di estrema destra associate al controllo del narcotraffico,
a settori delle èlite regionali, a membri delle Forze Armate e degli organismi di sicurezza,
hanno incrementato le loro azioni contro la popolazione civile in un clima di sostanziale
impunità. Inoltre il Paese sta attraversando la peggiore recessione economica degli ultimi 70
anni, e oggi si trova con un tasso di disoccupazione che supera il 20 per cento. Le tensioni
sociali si sono portate all'estremo e si stanno provocando grandi spostamenti, all'interno del
Paese, di contadini, lavoratori, cittadini che si difendono da un modello economico che ha
aumentato oggettivamente povertà e diseguaglianze. In Colombia la guerra non è il
problema, bensì il sintomo dei problemi che derivano da una struttura economica, sociale e
politica escludente e disuguale. Per questo la pace non significa solo mettere fine alla
guerra; la pace è soprattutto un problema di giustizia sociale, di uguaglianza e di
democratizzazione. E questo sempre più colombiani lo hanno presente. In quest'ottica, nel
bel mezzo del peggioramento della situazione generale, si può dire che il processo di pace in
atto va in due direzioni: ci sono le conversazioni in corso tra il governo nazionale e la
guerriglia delle Farc, e speriamo che ci siano anche con l'Eln, ma c'è anche un movimento
cittadino sempre più forte che si è impegnato per una soluzione politica negoziata del
conflitto armato e per una ricostruzione della pace con le basi di giustizia sociale,
eguaglianza, democrazia".
La pace dunque sta diventando tema per la società in generale e non solo per il Governo di
turno e gli attori armati, e questo grazie soprattutto alla presenza dell'Assemblea Permanente
della Società Civile per la Pace. Ci può spiegare in cosa consiste la novità di questo nuovo
soggetto sociale, se così si può chiamare?
"Dici bene, l’Assemblea Permanente de la Sociedad Civil por la Paz è, insieme con altre
organizzazioni che si battono per la pace, un nuovo soggetto sociale. E' uno spazio di
"incontro tra diversi", che vuole fare di questa congiuntura critica l'opportunità per discutere,
decidere, mandare avanti le riforme economiche, politiche e sociali che si richiedono per
superare la tradizione di ineguaglianza e esclusione della nostra società. Nella Assemblea
sono presenti organizzazioni di imprenditori e di lavoratori, di accademici, di artisti, di
donne, di neri, di indigeni, rappresentanti di diverse regioni e movimenti politici. La novità è
che in un Paese con forte tradizione di settarismo e dogmatismo stiamo costruendo uno
spazio in cui trovare consenso e accordo sulle riforme, e allo stesso tempo identificare ed
esplicitare i disaccordi e le differenze. Tutto ciò attraverso il dialogo. E' stato come un
processo di apprendimento collettivo di pluralismo, una scuola di democrazia".
- In che senso la società civile può trovare identità e rafforzamento nella ricerca per la pace?
- "I1 nostro è un Paese con una precaria tradizione democratica e una società civile debole e
frammentata. Paradossalmente l'acutizzarsi della guerra e l'aggravarsi della situazione
generale hanno portato molti settori della società a reagire positivamente per trovare una via
d'uscita a questo stato di fatto. Cosi, nel pieno del clima di violenza, ci siamo incontrati con
accademici, sindacalisti, imprenditori per trovare accordi di massima che consentano di
avanzare nella soluzione dei problemi. Stiamo imparando a incontrarci su obiettivi comuni,
senza rinunciare alle nostre differenze, senza nascondere la diversità. Questo ha costituito,un
contributo importante alla costruzione di una nuova idea di cittadinanza perché è un
movimento di riconoscimento e appropriazione di diritti. La Assemblea stimola questo
processo e in questo stiamo prefigurando la pace che vogliamo, che non è altro se non la
società del post-conflitto. Come sarà questa società?
- La vogliamo democratica dal punto di vista economico, sociale e politico; la vogliamo
includente, affinché coloro che da sempre sono esclusi si possano integrare ai fattori di
produzione e distribuzione della ricchezza, del potere, delle opportunità di vita; la vogliamo
socialmente giusta. E' il nostro sogno di fine secolo e sarà il nostro risveglio di inizio di
nuovo secolo. Arriveremo li".
- Lei ritiene che la presenza di intellettuali attenti al destino del loro Paese, di organizzazioni
locali, di gente capace, possa rappresentare una vera opzione politica su scala nazionale e in
qualche modo "obbligare" le guerriglie alla pace?
- "Ti parlo da professore universitario: è vero, in Colombia è in atto un fenomeno
interessante. Siamo in un processo nel quale l'Università sta abbandonando la sua veste di
"torre d'avorio", isolata dalla società o semplicemente "stazione di servizio" utilizzata in
funzione di interessi particolari. Attraverso la Rete delle Università per la Pace e la
Convivenza assumiamo come accademici la sfida di pensare i problemi della nostra società,
ma anche di apportare soluzioni possibili e inoltre di impegnarci nella lotta per applicare le
soluzioni. Questo è molto importante, perché in Colombia i gruppi estremisti hanno preteso
di annullare l'equazione cartesiana "penso, quindi esisto". Pensare è diventato un lavoro
estremamente pericoloso: l'assassinio di tre colleghi negli ultimi mesi lo dimostra
chiaramente. Ma non ci lasciamo certo sconfiggere: continuiamo e continueremo a pensare
che la funzione dell'intellettuale in questa congiuntura, con l'autonomia dovuta rispetto ai
settori armati e al Governo, sia quella di proporre vie d'uscita e di impegnarsi con queste. In
relazione al conflitto armato il nostro impegno è per una sua umanizzazione mentre si
cercano soluzioni politiche negoziate".
- Da dove viene questa "guerra sporca" che sta uccidendo la Colombia? Qual e il prezzo che
sta pagando il Paese e che cosa può fare la comunità internazionale per le continue
violazioni dei umanitari?
"La "guerra sporca" è diretta da settori militari che credono non sia possibile né auspicabile il
dialogo con le guerriglie. Le cause sono sociali, economiche e politiche. La "guerra sporca" in
Colombia la fa chi tra gli organi di sicurezza e le Forze Armate crede che la migliore opzione sia
quella di farla finita con le forze democratiche, considerate "utili idioti" al servizio delle guerriglie;
la fanno i gruppi paramilitari che perseguitano leader sociali e popolari, intellettuali, difensori dei
diritti umani, accusandoli di essere "guerriglieri vestiti da civili"; la fanno i settori delle guerriglie
quando assassinano civili con il pretesto di essere agenti dello Stato o ausiliari dei paramilitari; la
fanno settori militari che vogliono opporsi alla soluzione negoziata del conflitto armato. La
comunità internazionale ha un ruolo fondamentale in questo conflitto. Innanzitutto nell'opporsi in
tutti i modi a un intervento militare straniero: i colombiani hanno bisogno di appoggio politico e
non militare. In secondo luogo nel difendere i tentativi per una soluzione politica negoziata e
nell'appoggiare il processo di pace. In terzo luogo la comunità internazionale, questo è quello che
chiediamo, ci deve accompagnare in questo processo, seguirlo giorno per giorno, denunciare tutte le
violazioni ai diritti umani e al diritto internazionale umanitario.