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54A/9
QUADERNI dell’ ASPIRANTE
AVVOCATO
DIRITTO
ECCLESIASTICO
MANUALE DI BASE
PER LA PREPARAZIONE ALLA PROVA ORALE
III Edizione
IN APPENDICE GLI ARGOMENTI
OGGETTO DI DOMANDA D’ESAME
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
Gruppo Editoriale Simone
Estratto della pubblicazione
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Vietata la riproduzione anche parziale
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Manuali di approfondimento per la prova orale dell’esame di avvocato
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1Diritto del lavoro
2Diritto costituzionale
3Diritto penale (Parte generale)
3/1Diritto penale (Parte speciale)
4Diritto amministrativo
5Diritto civile
6Diritto commerciale
7Diritto processuale penale
8Diritto processuale civile
14Diritto tributario
32Diritto ecclesiastico
45/1Diritto internazionale privato
47Diritto dell’Unione europea
54/10 Ordinamento e deontologia forense
Revisione del testo a cura di Sergio Gallo
Finito di stampare nel mese di giugno 2012
dalla «Litografia Enzo Celebrano» - Via Campana, 234 - Pozzuoli - Napoli
per conto della SIMONE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - Napoli
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
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PREMESSA
Da 40 anni, le Edizioni Simone hanno preso a cuore le esigenze degli
aspiranti avvocati pubblicando una serie di apprezzati testi di preparazione.
In particolare si è posta attenzione alle prove orali in quanto il candidato, al momento della preparazione, già possiede le nozioni di base e, quindi,
necessita più che di testi istituzionali, di lavori sistematici e riassuntivi che gli
consentano di «riorganizzare» le sue conoscenze in vista dell’esame. Ciò anche
in considerazione dei tempi di studio, sempre più stretti, e dei commissari che
fondano le loro conoscenze sulla pratica professionale più che su un sapere
accademico, modificando così l’ottica di inquadramento dei singoli istituti.
Sulla base di tali convinzioni e monitorando anche il sito e il forum di www.
sarannoavvocati.it, si sono tenute presenti le indicazioni di quanti hanno superato con esito positivo le prove e, richiamandosi a Giustiniano, si è tagliato
«il troppo e il vano». Nasce così, un’ultima generazione di testi: i Quaderni
per l’esame di avvocato.
Rispetto ai manuali i Quaderni non si limitano alla trattazione della sola
parte istituzionale ma, seguendo un recente orientamento didattico, riportano
una corposa appendice con gli argomenti dei quesiti potenzialmente oggetto di prova di esame in cui il candidato può trovare una risposta esaustiva e
centrata operando anche collegamenti, paralleli e differenze con istituti affini.
Per il diritto ecclesiastico, in particolare, oltre agli aspetti processuali, trovano adeguata trattazione sia i principali problemi applicativi del Concordato
e delle Intese (meccanismi di finanziamento delle confessioni religiose, efficacia
delle decisioni ecclesiastiche sui matrimoni canonici, tutela penale del sentimento
religioso etc.) sia le problematiche che in una società multiculturale, multietnica e pluriconfessionale assumono rilevanza dal punto di vista della pratica
giuridica (esposizione dei simboli religiosi in luoghi pubblici, valore rituale del
vestiario e dell’alimentazione per alcune confessioni, rifiuto dei trattamenti sanitari per motivi religiosi, questioni sul fine vita e testamento biologico, presenza
islamica in Italia etc.).
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dei Quaderni e gli autori saranno premiati con volumi in omaggio dal nostro
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Capitolo Primo....................................
Il diritto ecclesiastico:
definizione, principi e fonti
1. Definizione
Il diritto ecclesiastico è quella parte dell’ordinamento giuridico che ha
per oggetto la disciplina del fenomeno religioso (TEDESCHI). Per tale si
intende il complesso delle credenze e delle convinzioni dell’uomo organizzate
in una visione del mondo fondata sull’idea del sacro e del divino. Il fenomeno
religioso non coinvolge soltanto l’individuo, ma interessa anche le formazioni
sociali in cui si sviluppa la dimensione religiosa della personalità umana: le
comunità di credenti.
A differenza di quanto accade in Paesi, quali la Gran Bretagna e la Francia, dove le tematiche relative al fenomeno religioso sono inserite nell’ambito del diritto pubblico, amministrativo
o privato, in Italia – così come in Spagna, Austria, Germania etc. – tali tematiche sono trattate
in maniera autonoma in quanto dotate di propri elementi di specificità e di criteri metodologici
originali (MUSELLI - TOZZI).
Il diritto ecclesiastico in Italia, pertanto, si caratterizza:
— come parte del diritto interno in quanto trattasi di un complesso di norme
che vige all’interno dello Stato;
— quale ramo del diritto pubblico poiché contempla diritti soggettivi pubblici
spettanti a persone fisiche o giuridiche che vivono nell’organizzazione statale.
Le norme del diritto ecclesiastico non costituiscono un corpo organico,
ma si trovano in tutti i settori nei quali si articola l’ordinamento giuridico,
dal diritto internazionale (al quale appartengono, ad esempio, le norme delle
convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo) al diritto costituzionale (che
enuncia i principi fondamentali in materia), al diritto civile (disciplina degli
enti ecclesiastici, matrimonio religioso), al diritto penale (tutela penale del
sentimento religioso), al diritto del lavoro (rapporto di lavoro nelle organizzazioni di tendenza), al diritto amministrativo (edilizia di culto, beni culturali
di interesse religioso).
Fino all’Accordo del 18 febbraio 1984, il nostro ordinamento giuridico operava una netta distinzione tra la religione cattolica, considerata come religione dello Stato (art. 1 Trattato Lateranense)
da un lato, ed i culti acattolici (cd. culti ammessi) dall’altro; di conseguenza, e relativamente al
nostro ordinamento, secondo alcuni autori (FEDELE, PETRONCELLI) per diritto ecclesiastico
doveva intendersi «quel complesso di norme che disciplinavano la vita della Chiesa cattolica entro
l’ordinamento dello Stato» mentre il complesso delle norme statuali che regolavano (ed in effetti
tuttora regolano) la vita dei culti differenti da quello cattolico rappresentava, invece, il «diritto
dei culti acattolici».
Venuto meno, con l’art. 1 del sopramenzionato Accordo, il principio della religione cattolica
come sola religione dello Stato, non è più possibile parlare di una distinzione tra Chiesa cattoli-
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Capitolo Primo
ca e altre confessioni religiose, l’una e le altre tutte egualmente libere di fronte alla legge (art. 8
comma 1, Cost.).
Oggi, pertanto, col termine diritto ecclesiastico, deve intendersi, in Italia, «il complesso delle
norme che, ispirandosi ai principi costituzionali di libertà e di eguaglianza religiosa, disciplinano,
con regimi giuridici particolari, i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica nonché con le confessioni diverse dalla cattolica».
In questo senso il diritto ecclesiastico va tenuto distinto dal diritto canonico che è il diritto
interno della Chiesa cattolica.
Differenze tra diritto canonico e diritto ecclesiastico
Il diritto canonico studia i principali elementi che formano la struttura del diritto della Chiesa
cattolica come ordinamento giuridico.
In particolare tale disciplina tratta la struttura e l’organizzazione giuridica fondamentale del
Popolo di Dio, i principi e le norme giuridiche che danno senso e coerenza all’intera disciplina
canonica.
Tali norme fondamentali — alcune di istituzione divina, altre derivanti da opzioni storiche del
legislatore — sono diffuse in tutto l’ordinamento canonico.
In questa luce vengono esaminati, fra gli altri: lo statuto giuridico fondamentale del fedele,
la potestà ecclesiastica, gli organi costituzionali di governo e la dimensione universale e particolare della Chiesa.
Il diritto ecclesiastico considera la posizione di diversi ordinamenti civili nei confronti
della dimensione religiosa e i principi cui questi ordinamenti si ispirano, particolarmente in
rapporto con la religione cattolica. Esamina sotto un profilo formale le fonti statali di natura
costituzionale o pattizia (concordati, intese, accordi etc.), nonché le norme da esse derivate e
il valore degli ordinamenti confessionali (particolarmente quello canonico) nei confronti del
diritto civile. Studia poi i temi della libertà religiosa, la posizione giuridica delle confessioni,
la personalità degli enti religiosi, lo statuto dei ministri del culto, il matrimonio religioso,
la libertà di insegnamento, la cooperazione economica e tutto ciò che attiene all’esperienza
giuridica del fenomeno religioso.
2. Principi costituzionali del diritto ecclesiastico italiano
I principi fondamentali del diritto ecclesiastico, sono sostanzialmente i
seguenti:
a) libertà religiosa, sancita dall’art. 19 Cost.: ciascun individuo, non importa
se cittadino, straniero od apolide, ha il diritto di professare liberamente la
propria fede religiosa. Tale diritto tutela la libertà di coscienza di ciascuno in
ordine ai quesiti fondamentali sul senso dell’esistenza, sia in senso positivo,
come sentimento religioso, sia in senso dubitativo, come agnosticismo, sia
in senso negativo, come convinzione dell’inesistenza di una realtà trascendentale o ateismo. La libertà religiosa è garantita sia in forma individuale
che collettiva e può concretizzarsi nel proselitismo e nell’esercizio in privato
o in pubblico del culto. L’unico limite espresso riguarda le manifestazioni
esteriori del culto, i riti, che non possono essere contrari al buon costume,
ossia l’insieme dei precetti che impongono un determinato comportamento
nella vita di relazione, la cui inosservanza comporta che risulti violato il
pudore sessuale, la dignità sessuale e il sentimento morale dei giovani. La
libertà religiosa trova, invece, un limite implicito nell’esigenza di garantire
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Il diritto ecclesiastico: definizione, principi e fonti
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altri beni costituzionalmente rilevanti, come ad esempio la dignità umana,
i diritti fondamentali, il diritto di agire in giudizio, etc. La libertà religiosa è ulteriormente tutelata dai divieti sanciti dall’art. 20 Cost., che vieta
l’imposizione di limitazioni legislative o di speciali gravami fiscali agli enti
per il solo fatto che essi abbiano carattere ecclesiastico o per il loro fine
religioso.
Trattasi di un diritto pubblico subiettivo che richiede l’astensione da qualunque atto che possa limitarne o impedirne l’esercizio;
Richiami di diritto canonico
Il diritto alla libertà religiosa è stato solennemente affermato nella dichiarazione del Concilio
Vaticano II «Dignitatis humanae».
Non è lecito, pertanto, a nessuno, indurre qualcuno con la costrizione ad abbracciare la fede
cattolica contro la propria coscienza: l’atto di fede, infatti, è per sua stessa natura volontario
Tutti gli uomini, però, hanno la personale responsabilità di ricercare la verità nelle cose che
riguardano Dio e la sua Chiesa e, conosciutala, sono vincolati in forza della legge divina e
godono del diritto di abbracciarla e di osservarla.
b) principio di laicità dello Stato: si tratta di un principio supremo dell’ordinamento che caratterizza la forma di Stato repubblicana. Il suo contenuto emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione e implica non
indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni e al fenomeno religioso, ma
garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime
di pluralismo confessionale e culturale (Corte costituzionale sentenza n.
203 del 1989). Il carattere laico dello Stato italiano non risponde, quindi, a
principi di ostilità od estraneità nei confronti del fenomeno religioso o, al
contrario, di confessionismo, bensì si pone al servizio di concrete istanze
della coscienza civile e religiosa dei cittadini.
Il principio di laicità si coniuga strettamente con alcuni corollari:
— la distinzione degli ordini, affermata dall’art. 7, comma 1 («Lo Stato
e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»)
e dall’art. 8, comma 2 Cost. («Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto
non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano»). In base a tale
separazione di competenze, esistono materie che sono riservate alla sfera
spirituale e materie che sono sottoposte alla esclusiva regolamentazione
della sfera temporale. Ciò comporta, da un lato, che lo Stato non può
interferire nella sfera di competenza spirituale, in quanto qualunque atto
di religione e delle sue istituzioni rappresenta sempre, per esso, esercizio
della libertà dei propri cittadini e, come tale, non può essere oggetto di
interventi precettivi. Lo Stato, inoltre, non può ricorrere a obbligazioni
di carattere religioso per rafforzare l’efficacia dei suoi precetti o considerare la religione e gli obblighi morali che ne derivano come imposti quali
mezzo a fine dello Stato stesso. La Chiesa, a sua volta, non può pretendere di considerare le finalità dello Stato in modo strumentale rispetto
alle proprie, né tanto meno che le attività ritenute da essa necessarie
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Capitolo Primo
all’interno della propria sfera di competenze abbiano immediatamente
efficacia anche nell’ambito di sovranità spettante allo Stato;
— l’equidistanza ed imparzialità nei confronti di tutte le confessioni
religiose. Tale principio si ricava dal riconoscimento dell’eguaglianza
religiosa sancita dall’art. 8, comma 1 Cost. («Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge») e dal divieto di discriminazioni basate sulla religione contenuto nell’art. 3 Cost. Non sono,
quindi, ammesse discriminazioni tra i culti che si basino su criteri di
carattere quantitativo, ossia sulla maggiore diffusione di una determinata confessione religiosa, o su criteri di natura sociologica, ossia sulla
maggiore ampiezza e intensità della reazione sociale ad eventuali violazioni dei diritti di una confessione rispetto ad altre. La protezione del
sentimento religioso, quale aspetto della libertà religiosa, non è divisibile
e ogni violazione dello stesso colpisce la coscienza religiosa allo stesso
modo, indipendentemente dalla confessione religiosa;
— la libertà di coscienza, che gode di una protezione costituzionale commisurata alla necessità che le libertà fondamentali e i diritti inviolabili
della persona non risultino irragionevolmente compressi nelle loro possibilità di manifestazione e di svolgimento. In tale ambito l’insegnamento
della religione cattolica, ad esempio, non è stato considerato dalla Corte
costituzionale come causa di discriminazione né tanto meno in contrasto
con il principio di laicità in quanto lo stato di non obbligo degli studenti
che scelgono di non avvalersi di tale insegnamento esclude che si operino
dei condizionamenti dall’esterno della coscienza sulla libertà di religione. La libertà di coscienza ha ricevuto riconoscimento e tutela anche a
livello sovranazionale tanto dall’art. 9 della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, quanto dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea;
c) principio pattizio: sia l’art. 7, comma 2 («I loro rapporti [fra Stato e
Chiesa cattolica] sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei
Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione
costituzionale») che l’art. 8, comma 3 («I loro rapporti [delle confessioni
religiose diverse dalla cattolica] con lo Stato sono regolati per legge sulla
base di intese con le relative rappresentanze») affermano il principio per
cui le materie che non appartengono all’ordine esclusivo di competenza
dello Stato o delle confessioni religiose devono essere regolati in modo
bilaterale. I rapporti fra Stato e Chiesa cattolica sono regolati dai Patti
Lateranensi. Tali Patti possono essere modificati con legge ordinaria che
recepisca gli accordi fra le parti, altrimenti è necessario un procedimento
di revisione costituzionale. I Patti Lateranensi e le relative modificazioni
sono stati costituzionalizzati, ma in ogni caso non possono violare i principi
supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato. A loro volta le intese
con le confessioni religiose diverse dalla cattolica regolano i rapporti fra le
stesse confessioni e lo Stato per gli aspetti che si ricollegano alla specificità
delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune. La
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Il diritto ecclesiastico: definizione, principi e fonti
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decisione di addivenire alla stipula delle intese rientra nella libertà delle
confessioni religiose, che possono anche avvalersi del solo regime di libertà
e delle regole comuni stabilite dalle leggi, e nella valutazione di opportunità
politica del Governo di iniziare le trattative, concluderle positivamente e
proporre il disegno di legge che tali intese recepisca, e del Parlamento di
approvare lo stesso disegno di legge. La legge, che può soltanto recepire
o rifiutare l’intesa, ma non modificarne i contenuti, è una legge atipica
e rinforzata, cioè non può essere modificata da legge ordinaria che non
recepisca a sua volta una nuova intesa. Può, tuttavia, essere assoggettata
al normale controllo di legittimità costituzionale.
3. Le fonti del diritto ecclesiastico
Fonti del diritto sono gli atti o fatti abilitati dall’ordinamento a produrre
norme giuridiche.
Anche per il diritto ecclesiastico vige la distinzione tra fonti di produzione
e fonti di cognizione.
Le prime sono gli atti e i fatti che pongono in essere le norme giuridiche; le
seconde sono gli atti attraverso i quali si portano a conoscenza dei destinatari
le norme prodotte. Queste ultime possono essere di immediata derivazione statale, esecuzione di preventivi accordi con l’autorità religiosa o norme prodotte
da ordinamenti diversi da quello statale, recepite in quest’ultimo attraverso
particolari forme di collegamento.
Da ciò consegue una ripartizione delle fonti di diritto ecclesiastico in:
— fonti di provenienza unilaterale statale;
— fonti di provenienza unilaterale confessionale;
— fonti di provenienza bilaterale statale e confessionale;
— fonti internazionali.
A)Le fonti di provenienza unilaterale statale e regionale
Sono tutte le norme che lo Stato emana direttamente e automaticamente;
si distinguono in:
— fonti costituzionali, che enunciano principi generali che valgono da riferimento per tutta la susseguente produzione normativa;
— fonti ordinarie generiche;
— fonti ordinarie specifiche.
Tra le fonti costituzionali rientrano le norme che:
— riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo e fra di essi la libertà religiosa (artt.
2, 3, 19);
— enunciano la libertà di professione e propaganda religiosa (art. 19);
— tutelano la libertà di riunione e di associazione (artt. 17 e 18);
— riconoscono la libertà di insegnamento (art. 33);
— sanciscono il principio pattizio nei rapporti con le confessioni religiose (artt.
7 e 8);
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Capitolo Primo
— escludono che lo Stato possa introdurre delle discipline discriminatorie,
anche di natura fiscale, a carico degli enti religiosi rispetto a quelli di diritto comune (art. 20). Si vuole cioè evitare per il futuro, che il legislatore
ordinario possa, come già è accaduto in passato, imporre norme limitative
della libertà di costituzione e dell’attività degli enti di culto.
Tra le fonti ordinarie generiche si segnalano gli articoli 629 c.c. (disposizioni a favore dell’anima), 831 c.c. (disposizioni relative ai beni ecclesiastici e
agli edifici di culto), 403-405 e 724 c.p (delitti contro la religione).
Tra le fonti ordinarie specifiche, che sono norme emanate per disciplinare specificamente la materia ecclesiastica, si possono citare ad esempio la
«legge delle guarentigie» (L. 214/1871); la L. 25-6-1929, n. 1159 (e successivi
RR.DD. 28-9-1929, n. 1763 e 28-2-1930, n. 289) regolatrice, in genere, della
vita e dell’attività di tutte le confessioni acattoliche esistenti in Italia per le parti
non regolate da intese.
In tale categoria rientrano anche le leggi regionali che disciplinano materie
attinenti al fenomeno religioso come l’istruzione, la salute, la valorizzazione
dei beni culturali, la promozione e organizzazione di attività culturali.
B)Le fonti di provenienza unilaterale confessionale
Sono norme, come quelle di diritto canonico, promananti da ordinamenti
giuridici religiosi che attengono a rapporti lasciati all’esclusiva regolamentazione dell’autorità religiosa, cui lo Stato riconosce efficacia nel proprio ordinamento mediante rinvio (che può essere formale se la norma richiamata resta
esterna all’ordinamento statale italiano e assoggettata nel suo essere, divenire
ed efficacia al sistema esterno cui apartiene; oppure materiale, quando la stessa
norma entri a far parte dell’ordinamento statale e come tale resti assoggettata
ai principi di quest’ultimo), ovvero considerandole presupposti o elementi
di fatto della fattispecie regolata da norme statali.
C)Le fonti di provenienza bilaterale
Sono quelle norme di fonte pattizia, le quali rivestono esteriormente il carattere di atti unilaterali, poiché sono recepite in leggi dello Stato, ma trovano
la loro fonte in accordi bilaterali; tra le più importanti possiamo citare la L.
27-5-1929 n. 810, con la quale è stata data esecuzione ai Patti Lateranensi; la L.
25-9-1985 n. 121, con la quale è stata data esecuzione al Nuovo Concordato; la
L. 20-5-1985, n. 222, sulla disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici;
varie leggi di attuazione delle intese stipulate con le confessioni acattoliche.
Rientrano in tale categoria anche le intese stipulate fra organi dello Stato e la
Conferenza Episcopale Italiana e fra Regioni e Conferenze Episcopali regionali.
D)Le fonti internazionali e comunitarie
Il fenomeno religioso non è più soltanto un problema di diritto interno dei
singoli Stati, ma diviene sempre più oggetto di interesse dei soggetti di diritto
internazionale. Gli atti emanati da tali soggetti trovano applicazione nell’ordi-
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Il diritto ecclesiastico: definizione, principi e fonti
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namento italiano mediante le leggi di esecuzione. In tale categoria rientrano, ad
esempio, il Trattato di pace del 10-2-1947, il cui art. 15 è dedicato alla tutela
delle minoranze religiose; la Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo (CEDU); il Patto internazionale relativo ai diritti civili e
politici. Tali convenzioni sono state recepite nel nostro ordinamento mediante
leggi di esecuzione che assumono il rango di leggi atipiche o rinforzate. L’art.
117, comma 1 Cost., infatti, stabilisce che la potestà legislativa regionale e statale è esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali. Le leggi che danno
esecuzione a tali obblighi, pertanto, non possono essere abrogate da altre leggi
che non recepiscano modifiche dei trattati internazionali e la loro illegittimità
costituzionale può essere sanzionata dalla Corte costituzionale.
Con riferimento alla CEDU, va sottolineato che tale Convenzione, resa
esecutiva in Italia con la L. 848/1955, non soltanto riconosce alcuni diritti e
libertà fondamentali, ma istituì un proprio apparato giurisdizionale autorizzato ad emanare provvedimenti obbligatori e vincolanti per gli Stati aderenti.
La CEDU riconosce il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la
libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente
o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento,
le pratiche e l’osservanza dei riti. La libertà di religione può essere oggetto di
restrizioni soltanto con misure stabilite per legge e necessarie, in una società
democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute
o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Principali settori di intervento della Corte europea
Alcune pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno riguardato:
— il proselitismo, in una vicenda relativa ad alcuni Testimoni di Geova che, in Grecia, erano
stati condannati per il reato di proselitismo. In materia la Corte ha, comunque, distinto
fra proselitismo lecito e proselitismo abusivo, che supera il limite della semplice volontà
di testimoniare la personale adesione ad un credo;
— la libertà di auto-organizzarsi delle comunità religiose, con particolare riferimento alla
possibilità di scegliersi i propri rappresentanti;
— la libertà di religione collegata alla libertà di associazione. La Corte ha ritenuto legittima la sentenza di scioglimento emanata dalla Corte costituzionale turca nei confronti
del partito Refah Partisi, di ispirazione religiosa, che intendeva instaurare un sistema
teocratico basato sull’applicazione della legge religiosa islamica e degli statuti personali
agli appartenenti alle altre confessioni. La Corte ha ritenuto che i comportamenti e le dichiarazioni degli esponenti di tale partito minacciassero la laicità dello Stato turco, sancita
dalla Costituzione, e la sua unità politica e legislativa;
— in tema di simboli religiosi, la Corte ha escluso che il divieto di indossare il velo islamico
durante le attività universitarie, imposto per assicurare la pacifica convivenza fra studenti
di fedi diverse in un ordinamento democratico improntato al principio di laicità, costituisca
violazione della libertà religiosa (v. amplius, cap. X).
Anche l’Unione europea si occupa sempre più compiutamente del fenomeno
religioso. Il Trattato sull’Unione europea considera i diritti fondamentali,
come sono garantiti dalla Convenzione europea (CEDU) e quali risultano dalle
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Capitolo Primo
tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, come principi generali
del diritto comunitario. Gli organi dell’Unione, a loro volta, possono produrre
diritto comunitario derivato attraverso regolamenti e direttive in materie che
interessano o riguardano il fenomeno religioso. Infine non va trascurata la
Carta europea dei diritti fondamentali proclamata a Nizza nel 2000, alla
quale il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha attribuito
lo stesso valore giuridico.
Capitolo Secondo..................................
I Patti Lateranensi
ed il Nuovo Concordato
1. L’art. 7 della costituzione ed i patti lateranensi
I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dall’art. 7 Cost.
Questa disposizione si compone di due commi:
— il primo comma, sancisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno
nel proprio ordine, indipendenti e sovrani;
— il secondo comma, sancisce che i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati
dai Patti Lateranensi la modifica dei quali, se non concordata dalle parti,
richiede il procedimento di revisione costituzionale.
Il primo comma dell’art. 7 enuncia il riconoscimento della Chiesa cattolica
come ordinamento autonomo ed originario: ciò significa che il diritto canonico,
che comprende le norme prodotte dall’ordinamento ecclesiastico, è frutto di
un ordinamento sovrano e quindi ha valore in sé e non in virtù di un riconoscimento statale. Lo Stato, inoltre, non può interferire nell’organizzazione
della Chiesa, né tanto meno sindacare i principi e i dogmi ai quali si ispira la
religione cattolica.
L’art. 7, comma 1, pone però anche una limitazione a questo riconoscimento, affermando che quest’autorità è riconosciuta alla Chiesa solo nel proprio
ordine, e cioè nei limiti in cui non venga messa in discussione la sovranità
dello Stato ed il rispetto delle sue leggi.
Il secondo comma dell’art. 7 ha la funzione di garantire la Chiesa cattolica
da un’eventuale arbitraria decisione dello Stato di regolare unilateralmente i
propri rapporti con la Chiesa stessa, dando valore di norma costituzionale al
principio secondo il quale lo Stato sarebbe obbligato a regolare per via concordataria le materie che toccano gli interessi della Chiesa cattolica.
La legge che ha recepito i Patti Lateranensi, cioè gli accordi stipulati tra
Stato e Chiesa l’11 febbraio 1929, è pertanto una legge rinforzata in quanto
può essere modificata o abrogata da leggi ordinarie soltanto se precedute
da un accordo fra Stato e Chiesa, altrimenti deve essere assoggettata al
procedimento di revisione costituzionale. Ciò, tuttavia, non significa
che le norme dei Patti sono state costituzionalizzate al punto di non poter
essere assoggettate in nessun caso a controllo di costituzionalità. Secondo
la Corte costituzionale, infatti, la reciproca indipendenza e sovranità fra
Stato e Chiesa non possono mai mettere in discussione i principi supremi
dell’ordinamento dello Stato.
Storicamente i Patti Lateranensi rappresentarono la risoluzione di tutti i motivi di attrito tra
lo Stato Italiano e la Chiesa cattolica sorti in seguito alla presa di Roma nel 1870 e comunemente
noti come questione romana. Infatti, dopo la presa di Roma da parte del Regno d’Italia i rapporti
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Capitolo Secondo
con la Chiesa furono unilateralmente regolati con la L. 214 del 13-3-1871, la cd. «legge delle guarentigie». Tale legge che formalmente si preoccupava di garantire rendite, immunità e privilegi
al Sommo Pontefice, non fu mai accettata dalla Chiesa perché, essendo una legge interna dello
Stato Italiano, non presentava garanzie di stabilità potendo essere, in qualsiasi momento, abrogata da un’altra legge ordinaria dello Stato (Enciclica «Ubi nos» del 15-5-1871 di Pio IX); questa
preoccupazione fu superata, appunto, con la stipula dei Patti Lateranensi, che si qualificavano
come un accordo bilaterale tra ordinamenti sovrani.
Alle preoccupazioni della Chiesa venne incontro anche la Costituzione Repubblicana che,
prevedendo per la modifica unilaterale dei Patti il procedimento di revisione costituzionale, diede
ad essi la richiesta garanzia di stabilità.
I Patti Lateranensi constavano di tre distinti documenti:
— il Trattato, che risolveva la questione dello stato territoriale della Chiesa riconoscendo la
sovranità del Pontefice sullo Stato della Città del Vaticano, esteso su di un territorio di 0,44
kmq all’interno della città di Roma (il più piccolo Stato del mondo);
— il Concordato, che regolava i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia;
— la Convenzione finanziaria, con la quale furono regolate le questioni sorte dopo le spoliazioni
degli enti ecclesiastici a seguito delle leggi eversive.
I punti qualificanti dei Patti del 1929 possono così sintetizzarsi:
— riconoscimento della religione cattolica quale religione di Stato (art. 1 del Trattato);
— una serie di privilegi per gli ecclesiastici (artt. 3, 4, 7 del Concordato);
— preventiva approvazione dello Stato per le nomine dei Vescovi e dei Parroci, e giuramento di
fedeltà allo Stato italiano dei Vescovi (artt. 19-23 del Concordato);
— riconoscimento, da parte dello Stato, dei provvedimenti emanati dall’autorità ecclesiastica in
materia spirituale e disciplinare contro ecclesiastici (art. 5 del Concordato correlato con l’art.
23 del Trattato);
— particolare regime di favore, finanziario e fiscale, per gli enti ecclesiastici (art. 29 comma 3 del
Concordato);
— intervento finanziario a favore del clero, la cd. congrua (art. 30 del Concordato);
— riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso e riserva ai tribunali ecclesiastici
delle cause relative (art. 34 del Concordato);
— insegnamento della dottrina cristiana in tutte le scuole pubbliche, eccettuate le università,
considerato «fondamento e coronamento» dell’istruzione pubblica (art. 36 del Concordato).
2. Il Nuovo Concordato
Il Concordato del 1929, a seguito della approvazione della Costituzione
repubblicana e del conseguente mutato clima politico, culturale e sociale, si
è rivelato con il tempo un accordo superato, sia perché la posizione di privilegio concessa alla Chiesa contrastava con i valori di eguaglianza espressi
dalla nuova Costituzione, sia perché esso non era più consono alla visione
ecclesiologica emersa dopo il Concilio Vaticano II. Pertanto, dopo laboriose
trattative, è stato sostituito da un nuovo accordo tra la Repubblica Italiana
e la Santa Sede, stipulato il 18 febbraio 1984 ed entrato in vigore il 4 giugno
1985, comunemente denominato nuovo Concordato. Tale accordo viene formalmente definito «di modifica» del precedente Concordato, ma costituisce
in realtà uno strumento radicalmente nuovo di regolamentazione dei rapporti
tra Stato e Chiesa. Peraltro, l’art. 13, comma 1 del nuovo Concordato precisa
anche che le disposizioni del Concordato del 1929 non riprodotte nel nuovo
testo sono abrogate.
I Patti Lateranensi ed il Nuovo Concordato
15
Rispetto al nuovo Concordato si è posto il problema se questo sia coperto
dalla stessa garanzia prevista per il precedente accordo dall’art. 7 Cost., e cioè il
procedimento aggravato per la modifica unilaterale. Sul punto si deve ritenere
che il principio pattizio debba comunque essere rispettato, per cui il nuovo
Concordato non potrà essere modificato con legge ordinaria dello Stato non
preceduta da accordo con la Chiesa. Per quanto, poi, riguarda il problema del
contrasto delle norme concordatarie con quelle costituzionali, e specificamente
con i principi supremi dell’ordinamento ricavabili da tali norme, il problema
non dovrebbe porsi in maniera spinosa come avvenuto nei confronti del vecchio
Concordato, perché in quello nuovo sono stati eliminati i principali motivi di
attrito con la Costituzione.
Il nuovo Concordato consta di tre elementi:
— il Preambolo, in cui si fa riferimento alle trasformazioni della società italiana a partire dalla Costituzione repubblicana ed all’importanza del Concilio
Vaticano II nella vita della Chiesa cattolica per motivare la revisione dei
Patti Lateranensi;
— il testo vero e proprio, in 14 articoli;
— il Protocollo addizionale, in 7 punti, con lo scopo di assicurare, con opportune chiarificazioni, la migliore applicazione dei Patti Lateranensi e
delle modifiche convenute e di evitare difficoltà interpretative.
3. I principi del Nuovo Concordato
La struttura del nuovo Concordato è radicalmente diversa da quella precedente. In luogo, infatti, di un ponderoso testo formulato in maniera minuziosa
e casistica, abbiamo un’agile struttura di appena 14 articoli volti, più che a
regolamentare specificamente i rapporti tra Stato e Chiesa, ad enunciare i
principi ai quali tale regolamentazione dovrà ispirarsi. Ciò consente al Concordato di adattarsi con maggior elasticità al mutare dello spirito dei tempi,
garantendogli una maggior durata.
I principi fissati dal nuovo Concordato possono essere così riassunti:
a) Neutralità dello Stato in materia religiosa (art. 1 del Concordato e art.
1 del Protocollo addizionale)
Viene abrogato il principio della religione di Stato e viene affermata la laicità
dello Stato. Neutralità dello Stato non significa, però, indifferenza dello Stato
rispetto al fenomeno religioso: lo Stato, conscio dell’importanza che la religione riveste per la maggioranza dei suoi cittadini, s’impegna a garantire la
piena realizzazione dell’individuo anche in questo campo, disinteressandosi
solo di quegli aspetti del fenomeno religioso che si collocano nella sfera
dell’irrilevante giuridico. In quest’ottica si situa l’impegno dello Stato, previsto dall’art. 11 del Concordato, volto a garantire l’assistenza spirituale ai
cittadini in determinate strutture pubbliche: forze armate, polizia, ospedali,
istituti di assistenza e di cura, istituti di pena e di prevenzione, secondo
modalità da stabilire con intese tra lo Stato e l’autorità ecclesiastica.
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16
Capitolo Secondo
b) Completa autonomia dell’organizzazione ecclesiastica (art. 3 del Concordato)
La neutralità dello Stato in materia religiosa si traduce anche in una maggior libertà per la Chiesa: viene infatti abrogata la norma che prevedeva il
gradimento dello Stato per la nomina degli ecclesiastici con cura d’anime,
permanendo soltanto l’obbligo dell’autorità ecclesiastica di comunicare a
quella civile le nomine effettuate. La S. Sede, peraltro, si impegna a non
includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede vescovile si trovi nel territorio di un altro Stato.
c) Abrogazione dei privilegi per gli enti ecclesiastici (art. 7 del Concordato)
Viene a cadere tutta la serie di privilegi ed esenzioni accumulate dagli enti
ecclesiastici. Viene riconosciuta personalità giuridica agli enti ecclesiastici
con fine di religione e di culto esistenti in Italia; agli effetti delle leggi tributarie tale fine viene equiparato a quelli di beneficenza ed istruzione. Le
attività diverse da quelle di culto sono invece soggette alle leggi dello Stato
ed al regime tributario ordinario. La regolamentazione della materia viene
comunque demandata ad una commissione paritetica le cui conclusioni
hanno formato oggetto della L. 20-5-1985 n. 222.
d) Disciplina del matrimonio cattolico (art. 8 del Concordato)
Lo Stato si limita a riconoscere effetti civili al matrimonio contratto secondo
il diritto canonico. Viene inoltre abbandonato il regime di esclusività della
giurisdizione ecclesiastica in ordine alle cause relative ai matrimoni religiosi:
le sentenze di nullità del matrimonio religioso pronunciate dai tribunali
ecclesiastici non sono più indispensabili ai fini della cessazione degli effetti
civili del matrimonio canonico trascritto; esse possono essere dichiarate
efficaci per lo Stato con lo stesso procedimento e con gli stessi presupposti
previsti per ogni altra sentenza straniera.
e) Istruzione religiosa (art. 9 del Concordato)
L’insegnamento della dottrina cattolica continua ad essere assicurato in
tutte le scuole tranne le università, salvo il diritto di non avvalersene, e ciò
in considerazione del fatto che lo Stato riconosce il valore della cultura religiosa e che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico
del popolo italiano.
4. La Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.)
Un organismo che assume un rilievo particolare nei rapporti tra lo Stato e
la Chiesa è la Conferenza episcopale italiana (C.E.I.) nella quale si sono riuniti
i Vescovi italiani.
La C.E.I. è una persona giuridica (pubblica) con sede in Roma di cui sono membri di diritto
gli Arcivescovi e Vescovi, di qualsiasi rito, delle diocesi e delle altre Chiese particolari italiane, i
Vescovi coadiutori ed ausiliari nonché i Vescovi titolari che dalla Santa Sede o dalla stessa C.E.I.
hanno ricevuto uno speciale ufficio stabile a livello nazionale (ad es. l’Ordinario militare detto
anche «Arcivescovo castrense»).
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I Patti Lateranensi ed il Nuovo Concordato
17
La C.E.I. è articolata in conferenze episcopali regionali che dipendono da quella nazionale,
e fa parte del Consiglio europeo delle Conferenze episcopali.
Il presidente della C.E.I. «in considerazione dei particolari vincoli dell’episcopato di Italia con
il Papa», viene nominato dal Pontefice.
Suoi compiti specifici sono:
a) studiare i problemi che interessano la vita della Chiesa in Italia;
b) dare orientamenti nel campo dottrinale e pastorale;
c) mantenere i rapporti con le pubbliche autorità dello Stato italiano.
Per quanto riguarda il punto c), che riguarda direttamente il diritto ecclesiastico, è interessante notare che il nuovo Concordato ha affidato alla C.E.I.
il compito di «gestire» direttamente i termini dell’Accordo (v. ad es.: art. 13, n.
2 del Concordato); poiché l’attuazione di numerose norme è rinviata a intese
successive tra le Parti, è previsto che i rapporti relativi si instaurino tra autorità
governative e Conferenza episcopale (anziché, come un tempo, direttamente
con la Santa Sede) e questa è indubbiamente una ulteriore conferma dell’importanza data a questo organismo particolare di governo ecclesiastico.
Capitolo Terzo.....................................
Santa Sede e Stato della
Città del Vaticano
1. Chiesa, Santa Sede, Stato della Città Del Vaticano
Nel lessico usuale, termini come Chiesa, Santa Sede etc. vengono sovente
usati in maniera impropria, il più delle volte come sinonimi, mentre, invece,
essi attengono a realtà e concetti ben diversi tra loro, ed infatti distinguiamo:
a) la Chiesa è l’istituzione fondata da Gesù Cristo; possiamo definirla come «la
società dei battezzati che professano la stessa fede, partecipano agli stessi
sacramenti e tendono alla realizzazione degli stessi fini spirituali, sotto la
potestà del Romano Pontefice e dei Vescovi con lui collegati» (DEL GIUDICE). Trattasi di una società giuridicamente perfetta, e cioè autosufficiente,
che assume la figura di corporazione istituzionale non territoriale, fornita
di sovranità originaria e di capacità subiettiva pubblica e privata;
b) con il nome di Santa Sede o Sede Apostolica si intende, secondo il disposto
del can. 361 del Codice di diritto canonico, non solo il Romano Pontefice, ma
anche, se non risulta diversamente dalla natura della questione o dal contesto,
la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa e gli altri
organismi della Curia romana;
c) la Curia romana, a sua volta, può definirsi, secondo il dettato del can. 360
Cod. dir. can. «il complesso dei dicasteri mediante i quali il Pontefice esercita
il suo alto ufficio nel governo della Chiesa universale»;
d) lo Stato della Città del Vaticano è quel territorio sul quale, in base al Trattato
del Laterano, è riconosciuta alla Santa Sede una vera e propria sovranità.
Nonostante qualche autore abbia messo in dubbio il carattere statuale dello Stato della Città
del Vaticano, la dottrina prevalente è ormai concorde nel ritenere che si tratti di uno Stato qualitativamente non diverso da ogni altro; e ciò sia perché lo S.C.V. possiede una personalità giuridica
internazionale autonoma, sia perché persegue, come ogni ordinamento statuale, un fine generale
(e cioè degli scopi istituzionali che possono essere i più vari e possono modificarsi senza che ne
risulti alterata la natura dell’istituzione).
Richiami di diritto canonico
Per la dottrina cattolica, la Chiesa Cattolica è stata istituita da Gesù Cristo per la salvezza
di tutte le genti, ed essa raggiunge questa finalità con gli insegnamenti e l’amministrazione
dei sacramenti attraverso cui Dio garantisce la grazia. I suoi insegnamenti sono basati sulla
scrittura e sulla tradizione apostolica. Lo scopo primario della Chiesa è «essere il sacramento
dell’intima unione degli uomini con Dio» e che «la sua struttura è completamente ordinata
alla santità delle membra di Cristo».
Caratteri della Chiesa cattolica sono:
— l’Unità in Cristo: nella Chiesa cattolica esiste, infatti, una sola fede, un unico governo, una
comune partecipazione agli stessi Sacramenti, un unico corpo sociale;
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Santa Sede e Stato della Città del Vaticano
19
— la Santità: per l’origine divina, lo scopo, la dottrina, il fine della salvezza delle anime, e in
quanto ha mezzi efficaci a santificare gli uomini;
— la Cattolicità (o Universalità) consistente nella destinazione della dottrina a tutte le genti;
— l’Apostolicità: tutta la dottrina e l’attività della Chiesa cattolica si ricollegano ininterrottamente agli Apostoli di cui i Vescovi sono successori.
Le province ecclesiastiche sono un raggruppamento di più chiese particolari territorialmente
contigue, sotto la guida del Concilio provinciale e del Metropolita.
Le regioni ecclesiastiche sono organismi nei quali, su proposta delle Conferenze episcopali,
confluiscono le Province ecclesiastiche viciniori, specialmente nei Paesi dove sono più numerose le Chiese particolari.
La Conferenza episcopale è l’assemblea dei Vescovi di una nazione o di un territorio determinato, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli di quel territorio.
Va precisato che la Conferenza episcopale non è stata concepita come organo intermedio di
governo in senso stretto interposto tra la Santa Sede e i singoli Vescovi, ma, piuttosto, quale
organo sopradiocesano vale a dire di collegamento e di unione, tra i Vescovi.
In linea di massima la Conferenza episcopale comprende i presuli delle Chiese particolari di
una nazione determinata (si parla quindi di Conferenza episcopale italiana, francese, statunitense, brasiliana etc.).
2. Lo Stato Della Città Del Vaticano: elementi
Nello Stato della Città del Vaticano si riscontrano gli elementi caratteristici
di tutte le persone statali e cioè: il territorio; il popolo; la sovranità. Esaminiamoli:
a) Territorio. È quello spazio geografico, sottratto del tutto alla sovranità
italiana (e, ovviamente, a quella di qualsiasi altro Stato) e soggetto a quello della Santa Sede ed alla potestà di governo propria di esso Stato (art. 4
Tratt.).
Attualmente è costituito dalla Piazza S. Pietro in Roma e dai circostanti palazzi del Vaticano, i
cui confini sono definiti da una pianta contenuta nell’Allegato I del Trattato, di cui costituisce
parte integrante (art. 3 Tratt.).
b) Popolo. È costituito da:
— coloro che hanno nel Vaticano stabile residenza in ragione del loro impiego, dignità, carica o ufficio;
— coloro che sono comunque autorizzati dal Sommo Pontefice a risiedervi
stabilmente con concessione o conservazione della cittadinanza vaticana;
— il coniuge, i figli, gli ascendenti e i fratelli e sorelle di cittadini vaticani,
conviventi e autorizzati a risiedere nel territorio dello Stato;
— i Cardinali residenti in Roma, anche fuori della Città del Vaticano;
— i diplimatici della Santa Sede.
Va rilevato che la cittadinanza vaticana non si basa sui tradizionali criteri dello ius soli (nascita
nel territorio), ius sanguinis (nascita da genitori cittadini) o ius coniugii (matrimonio con un
cittadino) ma, di regola, sul rapporto di lavoro o sull’autorizzata stabile permanenza entro i
confini dello Stato.
La cittadinanza vaticana (cumulabile con quella dello Stato cui il singolo appartiene) è, dunque, fondata sulla volontarietà, nel senso che si acquista sempre e soltanto col concorso della
volontà dello Stato Vaticano da un lato e del soggetto dall’altro.
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20
Capitolo Terzo
c) Sovranità. È costituita dal potere d’imperio (o potere di comando o di governo) e cioè da una volontà suprema, originaria, indipendente, che regge
l’ordinamento per il raggiungimento degli scopi suoi propri; tale potere è
attribuito al Sommo Pontefice (art. 3 Tratt.).
Da un punto di vista strettamente dottrinale, lo Stato Vaticano può essere definito come:
a) una monarchia elettiva, visto che il Sommo Pontefice è eletto dal collegio Cardinalizio;
b) uno stato assoluto, poiché il Pontefice ha «pienezza di potere legislativo, esecutivo, giudiziario» (art. 1 L. fondamentale S.C.V.);
c) Stato Confessionale, relativamente ai fini religiosi che lo Stato in argomento si prefigge;
d) Stato patrimoniale, in quanto il potere sovrano spetta al Capo dello Stato come «diritto
inerente la sua persona fisica» e si esplica anche come dominio sul territorio, oggetto della
sua piena proprietà personale (Del Giudice).
3. L’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano
A)La nuova Legge Fondamentale dello Stato della Città del Vaticano
Con Motu Proprio del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II (26-11-2000),
il 22-2-2001 è entrata in vigore la nuova Legge Fondamentale dello Stato
della Città del Vaticano. Con tale legge, che ha sostituito le precedenti sei
leggi organiche emanate da Pio XI nel 1929, si è preso atto della necessità di
dare forma sistematica ed organica ai mutamenti introdotti in fasi successive
nell’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano in modo da
renderlo sempre meglio rispondente alle finalità istituzionali dello stesso, che
esiste a conveniente garanzia della libertà della Sede Apostolica e come mezzo
per assicurare l’indipendenza reale e visibile del Romano Pontefice nell’esercizio della sua missione nel mondo.
I punti salienti della legge di riforma possono così sintetizzarsi:
— il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Durante il periodo di Sede
vacante, gli stessi poteri appartengono al Collegio dei Cardinali, il quale
tuttavia potrà emanare disposizioni legislative solo in caso di urgenza e con
efficacia limitata alla durata della vacanza, salvo che esse siano confermate
dal Sommo Pontefice successivamente eletto a norma della legge canonica;
— la rappresentanza dello Stato nei rapporti con gli Stati esteri e con gli altri
soggetti di diritto internazionale, per le relazioni diplomatiche e per la
conclusione dei trattati, è riservata al Sommo Pontefice, che la esercita per
mezzo della Segreteria di Stato;
— il potere legislativo, salvi i casi che il Sommo Pontefice intenda riservarlo
a se stesso o ad altre istanze, è esercitato da una Commissione composta
da un Cardinale Presidente e da altri Cardinali, tutti nominati dal Sommo
Pontefice per un quinquennio. La Commissione esercita il suo potere entro
i limiti della Legge sulle fonti del diritto, secondo particolari disposizioni
ed un proprio Regolamento;
— il potere esecutivo è esercitato dal Presidente della Commissione, in conformità con la Legge Fondamentale e con le altre disposizioni normative
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Santa Sede e Stato della Città del Vaticano
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vigenti. Nell’esercizio di tale potere il Presidente è coadiuvato dal Segretario
Generale e dal Vice Segretario Generale. Tuttavia nelle materie di maggiore
importanza si procede di concerto con la Segreteria di Stato;
— il potere giudiziario è esercitato, a nome del Sommo Pontefice, dagli organi
costituiti secondo l’ordinamento giudiziario dello Stato. In qualunque causa
civile o penale ed in qualsiasi stadio della medesima, il Sommo Pontefice
può deferirne l’istruttoria e la decisione ad una particolare istanza, anche
con facoltà di pronunciare secondo equità e con esclusione di qualsiasi
ulteriore gravame;
— la facoltà di concedere amnistie, indulti, condoni e grazie è riservata al
Sommo Pontefice.
In conformità all’adeguamento della situazione giuridica creata dalla nuova Legge fondamentale si è successivamente provveduto a revisionare la Legge sul Governo dello S.C.V. (n.
CCCLXXIV) che ha previsto con maggiore dettaglio le competenze delle varie strutture operative.
B)La nuova Legge sulle fonti del diritto
Per procedere ulteriormente nel sistematico adeguamento normativo dell’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, avviato con la Legge
fondamentale del 26 novembre 2000, dal 1° gennaio 2009 è entrata in vigore la
Legge sulle fonti del diritto (n. LXXI), secondo cui l’ordinamento canonico
risulta la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo,
mentre le leggi italiane non sono più recepite automaticamente.
La nuova legge è stata promulgata da Benedetto XVI nell’ottobre del 2008 e
sostituisce quella del 7 giugno 1929 (emanata in seguito ai Patti Lateranensi).
A differenza della precedente normativa la quale prevedeva una sorta di
recezione automatica delle leggi dello Stato italiano che si presumeva come
regola, solo eccezionalmente rifiutata per motivi di radicale incompatibilità
con leggi fondamentali dell’ordinamento canonico o dei trattati bilaterali,
nella nuova disciplina si introduce la necessità di un previo recepimento
da parte della competente autorità vaticana. Tale norma è vigente anche
nei casi nei quali potrebbe presumersi una recezione ope legis.
La maggiore cautela nella recezione della legislazione italiana è giustificata
da tre ragioni:
— il numero esorbitante di norme nell’ordinamento italiano;
— l’instabilità della legislazione civile per lo più molto mutevole;
— un contrasto, con troppa frequenza evidente, di tali leggi con principi non
rinunziabili da parte della Chiesa.
Come sostiene DELLA TORRE, si tratta di un’innovazione importante per quanto riguarda
l’aggiornamento, ma non così rilevante per quanto riguarda i contenuti giuridici, perché il filtro
alle leggi italiane c’è sempre stato, anche nella precedente legge sulle fonti del 1929; e la legislazione italiana è sempre stata richiamata in via suppletiva.
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22
Capitolo Terzo
4. Rapporti con lo Stato italiano
A)Premessa
L’esiguità del territorio dello Stato della Città del Vaticano, e soprattutto la
sua posizione di enclave, cioè di Stato circondato interamente dal territorio
dello Stato italiano, comportavano che la sovranità, l’indipendenza effettiva e,
al limite, le sue stesse possibilità di sopravvivenza (SPINELLI) dipendessero
in gran misura dallo Stato che lo circondava.
Di conseguenza è stato necessario stabilire, negli stessi Accordi Lateranensi
(e successivamente con accordi internazionali o norme del diritto interno italiano), una serie di disposizioni disciplinanti le particolari questioni derivanti
da una tale situazione di fatto.
B)Le prerogative degli organi della Chiesa
Tali disposizioni, che implicano obblighi per entrambi i contraenti degli Accordi, individuano
prerogative degli organi centrali della Chiesa nel diritto interno quali:
1. garanzie di carattere personale, che riguardano il Sommo Pontefice, i Cardinali, i Vescovi
riuniti in Concilio, i dignitari ecclesiastici, i membri della Corte pontificia, gli ufficiali di Curia.
In particolare:
— la persona del Sommo Pontefice è considerata sacra e inviolabile e gli attentati, la provocazione a commetterli, le offese ed ingiurie poste in essere contro di lui sono puniti come
se fossero commessi nei confronti del Presidente della Repubblica (art. 8 del Trattato);
— i dignitari della Chiesa e le persone appartenenti alla Corte pontificia indicate in un apposito elenco, nonché una serie di altri funzionari indicati nel Trattato, sono esentati dal
servizio militare, dalla giuria e da ogni prestazione di carattere personale (art. 10 , comma
1 del Trattato);
— gli ecclesiastici che, per ragione di ufficio, partecipano fuori dello S.C.V. all’emanzione di
atti della Santa Sede, non possono essere soggetti a causa di essi ad alcuno impedimento,
investigazione o molestia da parte delle autorità italiane (art. 10, comma 3 del Trattato);
— i Cardinali godono in Italia degli onori che nel precedente regime monarchico erano dovuti
ai Principi di sangue (art. 21, comma 1 del Trattato);
— l’Italia cura che non sia ostacolato il libero transito ed accesso dei Cardinali attraverso il
territorio italiano al Vaticano in occasione dei Conclavi e che non si ponga impedimento
o limitazione alla loro libertà personale. Lo Stato cura che intorno alla Città del Vaticano
non vengano commessi atti che comunque possano turbare le adunanze del Conclave.
Tali previsioni si applicano anche ai Conclavi fuori della Città del Vaticano e ai Concili
presieduti dal Pontefice o da suoi Legati (art. 21, commi 2-4 del Trattato);
2. garanzie relative all’esercizio della potestà giurisdizionale della Santa Sede e dei suoi
rapporti con gli altri Stati. Si tratta di un complesso di norme volte a rendere effettivamente
libero l’esercizio della suprema potestà di governo della Santa Sede sulla Chiesa. Il principio
generale da cui tali disposizioni discendono è contenuto nell’art. 11 del Trattato, che riconosce
agli enti centrali della Chiesa la personalità di diritto pubblico. Quanto ai rapporti diplomatici
della Chiesa con gli Stati, l’Italia, in base all’art. 12 Tratt., ha riconosciuto alla Santa Sede il
diritto di legazione attiva e passiva secondo le regole del diritto internazionale;
3. garanzie di carattere reale, relative ad immobili per lo più siti in Roma (artt. 13-16 Tratt.);
4. garanzie di carattere economico. La principale è rappresentata dalla «convenzione finanziaria» con la quale il Regno d’Italia provvide alla liquidazione dei crediti vantati dalla Santa
Sede verso l’Italia, a seguito della perdita dello Stato Pontificio e delle spoliazioni subìte. Tra
le altre garanzie di carattere economico si deve tener presente che, in base all’art. 17 Tratt.,«le
retribuzioni di qualsiasi natura, dovute dalla Santa Sede, anche fuori di Roma, a dignitari,
impiegati e salariati, anche non stabili, sono esenti in Italia da qualsiasi tributo tanto verso
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Santa Sede e Stato della Città del Vaticano
23
lo Stato, quanto verso ogni ente pubblico»; sono, ancora, previste esenzioni tributarie per immobili pontifici (art. 16 Tratt.), esenzioni da diritti doganali e daziari per merci estere dirette
alla Città del Vaticano o ad istituti della Santa Sede ovunque situati (art. 20 Tratt.).
C)Gli obblighi dello Stato italiano in relazione alla posizione di «enclave»
della Città del Vaticano
Oltre ai provvedimenti per la sistemazione dei confini (artt. 5 e 7 comma 1, Tratt.) gli accordi
prevedono i seguenti obblighi per lo Stato italiano:
— adeguata dotazione di acque in proprietà; collegamento ferroviario del Vaticano alle ferrovie
italiane, collegamento con la rete italiana, e direttamente anche con gli altri Stati, dei servizi
telegrafici, telefonici, radiotelegrafici, radiotelefonici e postali della Città del Vaticano;
coordinamento degli altri pubblici servizi (art. 6 Tratt.);
— consultazione preventiva con la Santa Sede per eventuali trasformazioni urbanistiche
nelle zone adiacenti la Città del Vaticano (art. 7 comma 3, Tratt.);
— libertà di corrispondenza da tutti gli Stati, compresi i belligeranti, alla Santa Sede e viceversa; libertà di accesso dei vescovi di tutto il mondo alla Sede apostolica (art. 12 comma
3, Tratt.);
— immunità diplomatiche e libertà di passaggio in territorio italiano di rappresentanti
diplomatici sia della Santa Sede che di Stati esteri presso quest’ultima (art. 19, Tratt.);
— esenzione dai diritti doganali e daziari delle merci provenienti dall’estero e dirette alla Città
del Vaticano o ad altri istituti della Santa Sede, situati fuori della Città stessa (art. 20, Tratt.);
— libertà di transito, in Italia, per Cardinali e vescovi, senza limitazione della libertà personale,
anche nel caso di conclave o di concili (art. 21 commi 2 e 4, Tratt.).
D)Gli obblighi della Santa Sede in relazione al territorio vaticano
Essi sono:
— piazza S. Pietro, pur facendo parte della Città del Vaticano dovrà rimanere normalmente
aperta al pubblico e soggetta ai poteri di polizia delle autorità italiane, fino ai piedi della
scalinata della basilica, nella quale le stesse autorità potranno accedere solo se richieste dalle
competenti autorità vaticane (art. 3 commi 2 e 3, Tratt.);
— i tesori d’arte e di scienza, esistenti nella Città del Vaticano e nel palazzo Lateranense,
rimarranno visibili agli studiosi e ai visitatori, pur essendo riservata alla Santa Sede piena
libertà di regolare l’accesso del pubblico (art. 18 Tratt.).
E)I rapporti di diritto penale
Essi sono compiutamente regolati dall’art. 22 Tratt., di cui riportiamo il
testo integrale:
«A richiesta della Santa Sede e per delegazione che potrà essere data dalla
medesima o nei singoli casi o in modo permanente, l’Italia provvederà nel suo
territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano, salvo quando l’autore del delitto si sia rifugiato nel territorio italiano,
nel qual caso si procederà senz’altro contro di lui a norma delle leggi italiane.
La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano, imputate di atti, commessi nel territorio italiano,
che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati.
Analogamente si provvederà per le persone imputate di delitti, che si
fossero rifugiate negli immobili dichiarati immuni nell’art. 15, a meno che i
preposti ai detti immobili preferiscano invitare gli agenti italiani ad entrarvi
per arrestarle».
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Capitolo Terzo
Va precisato che, tutte le volte in cui per un delitto commesso nello S.C.V.,
la Santa Sede richieda allo Stato italiano di procedere, i nostri giudici applicheranno il diritto penale italiano, poiché la funzione punitiva attiene l’esercizio
di una prerogativa sovrana alla quale lo Stato non può rinunciare applicando
le leggi di altro Paese (Cass. pen. 1-5-1955).
F)L’esecuzione in Italia delle sentenze emanate dai Tribunali dello S.C.V.
Si applicano, al riguardo, le relative norme del diritto internazionale (art.
23, comma 1, Tratt.) nonché le norme comuni interne italiane:
— per la materia civile: gli artt. 64-71 della L. 218/1995;
— per la materia penale: art. 12 c.p.; artt. 730-745 c.p.p.
Per il secondo comma dello stesso art. 23, «avranno invece senz’altro
piena efficacia giuridica, anche a tutti gli effetti civili, in Italia le sentenze ed i
provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche od ufficialmente comunicati
alle autorità civili, circa persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie
spirituali e disciplinari».
Ciò avverrà — in base alla interpretazione accettata da Santa Sede e Stato
italiano nel punto 2° del Protocollo addizionale al nuovo Concordato — in
armonia con i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani.
5. Posizione dello Stato della Città del Vaticano nell’ordinamento internazionale
Lo S.C.V. come soggetto di diritto internazionale deve essere considerato
in primo luogo, uno «Stato riconosciuto». Tale riconoscimento è stato:
— diretto ed esplicito da parte dell’Italia con gli artt. 3 e 26 comma 2 del Trattato;
— indiretto (e quindi internazionalmente vincolante) da parte degli altri Stati
che mantenevano rapporti diplomatici con la S. Sede e che furono, a suo
tempo, tempestivamente informati, in forma ufficiale, attraverso i normali
canali diplomatici, dell’intenzione della S. Sede di sottoscrivere con l’Italia
un trattato che dava vita al nuovo Stato.
Lo S.C.V. si presenta, nei confronti degli altri soggetti del diritto internazionale, come vero e proprio «Stato», cioè quale «istituzione che provvede
autonomamente alla sua organizzazione ed attività e che stringe, con gli altri
soggetti di diritto, atti internazionalmente rilevanti» (DEL GIUDICE).
Esso, infine, gode dello status di Stato neutralizzato (alla stregua, ad es., della
Confederazione elvetica e della Repubblica di San Marino): si trova, cioè, in
quella condizione giuridica permanente per la quale ha il diritto di non essere
offeso da operazioni belliche di altri Stati e il dovere di non porne in essere.
Ciò si desume chiaramente dall’art. 24 del Trattato ove si afferma: «La Santa Sede, in relazione
alla sovranità che le compete anche nel campo internazionale, dichiara che essa vuole rimanere e
rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri Stati ed ai Congressi Internazionali indetti
per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di
pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale».
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