Recensioni da RdT 1/2011

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Matteo Zoppi
La verità sull’uomo
M. ZOPPI, La verità sull’uomo. L’antropologia di Anselmo d’Aosta, Città Nuova,
Roma 2009. Presentazione di Mons. Giuseppe Anfossi, introduzione di M. Lettieri, pp. 264, € 22,00
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Una felice circostanza accompagna
l’uscita di questo volume, ossia il nono
centenario della morte di Anselmo d’Aosta, avvenuta a Canterbury il 21 aprile del
1109. In varie parti del mondo si organizzano convegni di studio e celebrazioni
per ricordare il santo dottore di Aosta,
una figura che negli ultimi anni è stata
oggetto di numerosi incontri di studio e
pubblicazioni. Basta ricordare qui il recente Simposio Internazionale organizzato dai benedettini del Pontificio Ateneo
S. Anselmo di Roma, nei giorni 21-22
aprile 2009, dal titolo “Conoscenza ed
affectus in Anselmo d’Aosta”, e di cui sono
in preparazione gli Atti.
Già dalla fine del secolo scorso la figura di Anselmo è stata liberata dalle interpretazioni riduttive e fuorvianti, che spesso ne facevano quasi esclusivamente l’autore del cosiddetto “argomento ontologico” presentato nel Proslogion, ed è stata approfondita in maniera più attenta e
globale, tenendo conto di tutti gli scritti,
in cui emergono altre dimensioni che non
sono secondarie. In questa linea si può
citare lo studio della cristologia e dell’antropologia presenti nel Cur Deus homo,
come anche della preziosità umana e psicologica del ricco Epistolario, unita alle
elevazioni spirituali e mistiche delle OraRdT 52 (2011) 158-175
tiones e Meditationes. In questi ultimi
scritti si rende evidente quello che è stato
chiamato lo stile “popolare” di Anselmo
pastore e direttore di anime, che fa da
contrappeso allo stile “dottorale” dei trattati, costruiti solitamente sul filo di una
logica rigorosa e stringente, che non lascia spazio a osservazioni di carattere psicologico e affettivo. Così ci è stata restituita la figura di un uomo, monaco e vescovo, che ha speso le sue migliori energie nell’approfondimento delle verità salvifiche, secondo il programma, tracciato
nel Monologion e nel Proslogion, di una
fede che nella misura del possibile cerca
di essere compresa (fides quaerens intellectum), nel momento stesso in cui si fa
ispiratrice di una autentica relazione con
Dio che tocca tutto l’uomo.
Nell’ambito di questo rinnovato interesse per la personalità e l’opera del dottore di Aosta si situa la presente pubblicazione, che corrisponde alla tesi di dottorato in filosofia difesa presso l’Università
degli Studi di Genova. Gli interessi di M.
Zoppi, partiti dalla filosofia, si prolungano nella teologia, nel cui campo ora si sta
specializzando.
Premesso che Anselmo non ha scritto
alcun’opera che tratti espressamente di
antropologia, l’A. si è proposto di raccogliere dall’insieme degli scritti quegli elementi antropologici che hanno qualcosa
da dire anche alla modernità e postmodernità. Una importante intuizione sta a
base dello studio: tra gli studiosi si è molto parlato di etica anselmiana, ma non si
è messo sufficientemente in rilievo che nel
santo di Aosta l’etica si accompagna a un
consapevole eudemonismo metafisicoantropologico. È questo che conferisce
unità e coerenza alla riflessione morale di
Anselmo. L’A. infatti scrive: «Egli [Anselmo] ha lucidamente sintetizzato le esigenze proprie di un’etica del dovere con il
naturale anelito dell’uomo alla felicità. In
tale quadro, la rettitudine dell’etica e l’eudemonismo dell’antropologia sono strettamente connessi: implicandosi a vicenda, tali aspetti costituiscono i fondamenti
teoretici sui quali è impostata la visione
dell’uomo» (33). Sullo sfondo di queste
affermazioni s’inserisce la critica e il rifiuto di una visione etica che pretenda di
occupare lo spazio maggiore e più signifi-
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cativo nella fondazione dell’antropologia.
Avendo Anselmo insistito molto sul concetto di libertà di arbitrio intesa come
“capacità di custodire la rettitudine della
volontà (rectitudo voluntatis) per la rettitudine stessa”, e quindi anche come iustitia nella trilogia sulla libertà (De veritate,
De libertate arbitrii, De casu diaboli), si è
talora caduti nell’errore di pensare a una
presunta autonomia dell’etica rispetto alla
metafisica e a un suo valore decisivo sulla
visione generale dell’uomo. In tal senso
qualche studioso non ha esitato a paragonare Anselmo a Kant, nell’accentuazione
unilaterale della dimensione morale (il
dovere per il dovere).
Giustamente l’A. sposta l’accento sulla beatitudo della comunione con Dio,
vista come fine e coronamento della vita
dell’uomo (cap. III). Se è vero che la rettitudine della volontà dev’essere custodita per se stessa e non in funzione di altro,
è anche vero che l’orizzonte ultimo di
comprensione rimane la felicità escatologica intesa come comunione con Dio, in
vista della quale l’uomo è stato creato.
L’insistenza sulla rettitudine della volontà da custodire “per se stessa” indica la
purezza e l’integrità della dimensione etica, intesa non come fondata su stessa, ma
quale risposta a una chiamata di relazione filiale con Dio, che con la creazione ha
dato all’uomo tale rettitudine di volontà.
Di qui nasce lo statuto metafisico-creaturale dell’uomo, che ne fa una creatura
razionale, partecipe dell’Essere assoluto
di Dio; solo nella comunione con Dio egli
trova la realizzazione e il compimento
della propria vita. In questa linea l’A. passa
in rassegna, in modo originale, le opere
più significative di Anselmo, come il Monologion, il Proslogion, il Cur Deus homo,
le Epistolae. Sulla base di tale eudemonismo metafisico, l’autore si sofferma retrospettivamente sull’apporto che la Bibbia, S. Agostino e Lanfranco di Pavia offrono ad Anselmo – anche se con connotazioni diverse –, sia riguardo ai contenuti antropologici, sia riguardo al metodo
di indagine, per il quale l’intelligenza è
sempre posta al servizio della fede (cap.
VI). Sono così opportunamente sottolineati il valore e il compito dell’intellectus,
che non è mai visto come indipendente
dalla fede, ma sempre come momento
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intermedio tra la fides, che caratterizza
l’homo viator, e la species (visione beatifica), verso cui l’uomo tende per natura.
La ricerca delle rationes necessariae delle
verità di fede fanno dell’intellectus «la cifra della destinazione finale dell’uomo»
(A. Ghisalberti).
Un altro punto di particolare interesse
è il rapporto anima-corpo. Se per un verso Anselmo si situa nel filone del neoplatonismo cristiano, in cui il corpo sembra
avere un’importanza secondaria rispetto
all’anima, nella Scrittura il vescovo di
Aosta trova una visione unitaria dell’uomo, in cui anche il corpo ha la sua importanza e la sua positività. L’anima resta «la
grande ordinatrice della vita umana»
(129); in essa vi sono le facoltà che devono presiedere agli atti dell’uomo, mediante il controllo del corpo e dei suoi istinti.
Tuttavia, anche il corpo è destinato alla
salvezza, perché la natura stessa dell’uomo è dotata di una dimensione corporea,
che per ciò stesso acquista una positiva
valenza metafisica. Su questa lunghezza
d’onda, il tema del contemptus mundi, che
pare aver caratterizzato gran parte della
spiritualità medievale, viene molto ridimensionato. Soprattutto nell’Epistolario
Anselmo mette a fuoco il suo pensiero al
riguardo. Per un verso egli, da monaco
convinto, esorta alcuni dei suoi interlocutori a lasciare la maniera di vivere del
“mondo” per abbracciare la vita monastica, perché la verginità è superiore alla
vita matrimoniale. Per un altro verso,
mette in rilievo che anche il mondo ha
sua validità e bontà, perché proviene (oggi
diremmo “laicamente”) dalle mani di Dio.
Se il suo desiderio profondo è che molti
abbraccino la vita monastica, è perché i
beni celesti, la beatitudine divina, di cui il
monaco pregusta già le primizie all’interno del chiostro, risultano superiori. La sua
visione di fondo è anche qui unitaria: i
beni di questo mondo restano beni, di cui
è lecito godere, ma essi non sono se non
un anticipo e una pregustazione dei beni
eterni, che costituiscono la felicità (beatitudo) ultima.
Connessa a questo discorso è la riflessione sulla complementarietà essenziale
tra l’uomo e la donna, espressamente voluta da Dio. Anselmo ha presente tutto
l’humanum, cioè la natura umana nella
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sua totalità. L’uomo e la donna «ab origine condividono la stessa dignità, a determinare la quale […] concorre non solo il
grado di relazione e di somiglianza stabiliti da Dio con il loro essere, ma anche
l’adesione libera e personale dell’uomo
alle sue implicanze di ordine etico» (135).
Una osservazione critica potrebbe essere fatta. L’A. riporta all’inizio del volume il parere di S. Vanni Rovighi, per la
quale la dottrina dell’incarnazione e della
redenzione è «uno dei principali fondamenti dell’antropologia anselmiana», ma
non è altresì convinto che in Anselmo la
visione antropologica sia ridotta “in modo
decisivo” alla dimensione morale, come
invece ritiene la nota filosofa (21). Pur trovando valida quest’ultima osservazione, mi
sembra che l’A. non ponga ben in evidenza tutto il significato antropologico che il
Anselmo annette alla offerta libera che
Cristo fa al Padre per la salvezza degli uomini. Proprio perché si offre al Padre in
sovrana e perfetta libertà, il Figlio di Dio
si propone come modello (exemplum) di
relazione filiale con Dio in ordine a un
nuovo umanesimo. L’antropologia anselmiana trova qui il suo centro. Anche l’uomo, sulle orme del Dio-uomo, può fare
della sua vita un’offerta libera a Dio e ai
fratelli in umanità, e questo gli restituisce, potenziata e sublimata, la dignità che
il primo uomo ha ricevuto con la nascita.
In tal modo la creazione (instauratio) è
portata a compimento dall’incarnazione
e dalla redenzione (restauratio).
Merito non piccolo del volume sta
nell’ampiezza dei riferimenti agli scritti di
Anselmo e a quelli non direttamente anselmiani, ma appartenenti comunque al
suo insegnamento. Testimonianza ne
sono, oltre i numerosi passi delle Epistolae e delle Meditationes, il Liber Anselmi
Archiepiscopi de humanis rebus per similitudines e il testo inedito De beatitudine
perennis vitae, che l’autore ha potuto consultare nella Mediathèque “J.J. Rousseau”
di Chambéry (Francia). Il primo scritto
potrebbe essere una reportatio da parte
di un discepolo (Eadmero o Alessandro)
di quanto detto da Anselmo, oppure l’abbozzo di un’opera lasciata incompiuta; il
secondo testo invece, riportato nell’Appendice (219-233), proverrebbe, secondo J. Leclercq, dalle conversazioni cultuRdT 52 (2011) 158-175
rali e spirituali che Anselmo deve aver
tenuto in qualche circostanza ai monaci
dell’abbazia di Cluny. Oltre che dalla ricca bibliografia e dall’indice dei nomi, il
volume è arricchito da un significativo
apparato iconografico, commentato dall’autore e comprendente principalmente
la riproduzione di affreschi appartenenti
a due chiese di Aosta, la Cattedrale di S.
Maria Assunta e la Collegiata dei SS. Piero e Orso, dove probabilmente Anselmo
fu battezzato ed educato alla fede.
Antonio Orazzo S.I.
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