Comitato delle Pari Opportunità - Università Cattolica Sacro

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Comitato delle Pari Opportunità - Università Cattolica Sacro Cuore
LAVORARE SUL LAVORO.
LA DEFINIZIONE DEL SÉ TRA FAMIGLIA, LAVORO E BUONE PRATICHE AZIENDALI
Giovedì 2 ottobre 2014
Intervento di S. E. Mons. CLAUDIO GIULIODORI
Assistente Ecclesiastico Generale UCSC
Presidente della Commissione Episcopale
per la Cultura e le Comunicazioni Sociali
Gentilissimi organizzatori, relatori e partecipanti, mi è particolarmente gradito
rivolgervi il mio più cordiale saluto anche per scusarmi dell’assenza con tutti voi e in
particolare con la Presidente del Comitato delle Pari opportunità, Prof.ssa Cinzia
Bearzot, che gentilmente mi aveva invitato a presentare le riflessioni del Magistero della
Chiesa sul tema del rapporto tra famiglia e lavoro. Purtroppo la concomitanza con l’XI
Simposio Internazionale dei Docenti Universitari su “L’idea di Università. Investire
sulla conoscenza in Europa e per l’Europa” che si svolge a Roma dall’1 al 4 ottobre, il
cui programma definitivo è stato messo a punto solo qualche giorno fa, ha generato
alcune sovrapposizioni. Dovendo garantire la rappresentanza istituzionale e intervenire
al Simposio su alcuni temi di primaria importanza non mi è possibile essere presente in
mezzo a voi, ma questo non mi impedisce di condividere i vostri lavori e di formulare i
migliori auspici per una riflessione approfondita e fruttuosa.
Volendo comunque dare un piccolo apporto ai lavori mi permetto di presentare
alcune riflessioni che spero possano essere utili al confronto odierno nella prospettiva
delineata dal suggestivo titolo “Lavorare sul lavoro. La definizione del sé tra famiglia,
lavoro e buone pratiche aziendali”. Vorrei subito evidenziare come questo tema sia di
grande attualità sia per le difficoltà che stiamo vivendo a livello sociale nel nostro Paese
proprio sul versante della famiglia e del lavoro sia per il cammino ecclesiale che ci vede
prossimi all’apertura del Sinodo dei Vescovi sul tema della famiglia. La Terza
Assemblea Generale straordinaria affronterà il tema: “Le sfide pastorali sulla famiglia
nel contesto dell’evangelizzazione”. Anche se la pubblicistica ha dato voce solo ad
alcuni aspetti legati alla disciplina ecclesiastica di fronte a situazioni particolari, in
realtà il Sinodo vuole essere un momento di riflessione, di verifica e di progettazione su
tutti gli aspetti della vita familiare inclusa la dimensione sociale, come si evince dallo
stesso Instrumentum Laboris che non tralascia di toccare anche alcune questioni sociali,
tra cui anche il rapporto tra lavoro e famiglia. Ben due paragrafi sono dedicati alla
questione dell’incidenza dell’attività lavorativa sulla famiglia. In questi due passaggi,
brevi ma quanto mai densi, troviamo elencate tutte le principali problematiche che
emergono all’interno di questa relazione essenziale per la vita delle persone ma non
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facile da armonizzare. Può essere utile rileggerli sapendo che questa giornata si
inserisce, in qualche modo, anche nella più ampia riflessione che la Chiesa tutta sta
facendo sulla realtà della famiglia. Il testo infatti parte dalle risposte date dalle diocesi
di tutto il mondo al questionario inviato per la preparazione del Sinodo.
«[70] Nelle risposte è unanime il riferimento all’impatto dell’attività
lavorativa sugli equilibri familiari. In primo luogo, si registra la difficoltà di
organizzare la vita familiare comune nel contesto di una incidenza dominante del
lavoro, che esige dalla famiglia sempre più flessibilità. I ritmi di lavoro sono
intensi e in certi casi estenuanti; gli orari spesso troppo lunghi, talvolta si
estendono anche alla domenica: tutto questo ostacola la possibilità di stare
insieme. A causa di una vita sempre più convulsa, i momenti di pace ed intimità
familiare diventano rari. In alcune aree geografiche, viene evidenziato il prezzo
pagato dalla famiglia alla crescita e allo sviluppo economico, cui si aggiunge la
ripercussione ben più vasta degli effetti prodotti dalla crisi economica e
dall’instabilità del mercato del lavoro. La crescente precarietà lavorativa,
unitamente alla crescita della disoccupazione e alla conseguente necessità di
spostamenti sempre più lunghi per lavorare, hanno ricadute pesanti sulla vita
familiare, producendo tra l’altro un allentamento delle relazioni, un progressivo
isolamento delle persone con conseguente crescita di ansia.
[71] In dialogo con lo Stato e gli enti pubblici preposti, ci si aspetta da parte
della Chiesa un’azione di concreto sostegno per un dignitoso impiego, per giusti
salari, per una politica fiscale a favore della famiglia, così come l’attivazione di
un aiuto per le famiglie e per i figli. Si segnala, in proposito, la frequente
mancanza di leggi che tutelino la famiglia nell’ambito del lavoro e, in particolare,
la donna-madre lavoratrice. Si constata inoltre che l’area del sostegno e
dell’impegno civile a favore delle famiglie è un ambito in cui l’azione comune,
così come la creazione di reti con organizzazioni che perseguono simili obiettivi,
è consigliabile e fruttuosa» (Sinodo Straordinario, Instrumentum laboris, nn. 7071).
Le problematiche evidenziate sono molteplici e credo che nel corso di questa
giornata molte di esse saranno affrontate e approfondite. Per avere qualche punto di
riferimento nell’affrontare i diversi aspetti può essere utile tener presenti alcuni passaggi
del Magistero della Chiesa a partire dal fondamentale dato biblico che ci mette di fronte
alle origini stesse di questo rapporto. Famiglia e lavoro, infatti, rappresentano
dimensioni essenziali e inseparabili dell’esistenza umana, fin dal principio. Sono realtà
che appartengono alla struttura originaria e fondamentale della creazione. Rivelano la
dignità dell’essere umano e per questo sono benedette da Dio: «Dio disse: “Facciamo
l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e
sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che
strisciano sulla terra”. E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: “Siate fecondi e
moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli
uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gn 1,26-28). Questo
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dato originario ha ispirato e guidato la riflessione della Chiesa nel corso dei secoli e lo
ritroviamo come dato fondamentale di quello che nell’epoca moderna è considerato il
primo documento sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Al cuore della Rerum novarum di
Leone XIII, pubblicata nel 1891, troviamo infatti proprio il tema del rapporto tra
capitale e lavoro ma declinato a partire dal bene primario e superiore della famiglia.
Leone XIII in modo profetico, parla di salario legato alle necessità personali e della
famiglia (cf nn. 9-11.35). Una società che non ama la vita e la famiglia e non lavora per
esse, promuovendo un sistema davvero basato sulla sussidiarietà, è una società che in
realtà ha in odio se stessa e costruisce, inesorabilmente, giorno dopo giorno, la sua
estinzione. Non è una considerazione di oggi. Lo diceva già chiaramente proprio Leone
XIII: «Se l'uomo, se la famiglia, entrando a far parte della società civile, trovassero
nello Stato non aiuto, ma offesa, non tutela, ma diminuzione dei propri diritti, la civile
convivenza sarebbe piuttosto da fuggire che da desiderare» (n. 10).
Tra i numerosi pronunciamenti che faranno seguito a questo primo documento
dobbiamo ricordare in particolare l’Enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II
che proprio in onore di Leone XIII, a novant’anni dalla Rerum novarum, ci offre uno dei
testi più belli e significativi sul rapporto tra famiglia e lavoro. Il Papa della Famiglia in
un paragrafo tra i più belli e incisivi di tutto il testo ci aiuta a comprendere quali siano
gli elementi costitutivi del rapporto tra lavoro e famiglia.
«Il lavoro è il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un
diritto naturale ed una vocazione dell'uomo. Questi due cerchi di valori - uno
congiunto al lavoro, l'altro conseguente al carattere familiare della vita umana devono unirsi tra sé correttamente, e correttamente permearsi. Il lavoro è, in un
certo modo, la condizione per rendere possibile la fondazione di una famiglia,
poiché questa esige i mezzi di sussistenza, che in via normale l'uomo acquista
mediante il lavoro. Lavoro e laboriosità condizionano anche tutto il processo di
educazione nella famiglia, proprio per la ragione che ognuno «diventa uomo», fra
l'altro, mediante il lavoro, e quel diventare uomo esprime appunto lo scopo
principale di tutto il processo educativo. […]
Nell'insieme si deve ricordare ed affermare che la famiglia costituisce uno
dei più importanti termini di riferimento, secondo i quali deve essere formato
l'ordine socio-etico del lavoro umano. La dottrina della Chiesa ha sempre dedicato
una speciale attenzione a questo problema, e nel presente documento occorrerà
che ritorniamo ancora su di esso. Infatti, la famiglia è, al tempo stesso, una
comunità resa possibile dal lavoro e la prima interna scuola di lavoro per ogni
uomo (n. 10).
Questa chiara impostazione di Giovanni Paolo II ci ricorda che la famiglia è di per
sé un’impresa. E che impresa! Specialmente oggi. È abbastanza evidente che l’impresa
di far crescere una famiglia è primaria rispetto alla famiglia impegnata nell’ambito
lavorativo, ma ciò che appare chiaro in linea teorica, anche se non sempre e per tutti, è
spesso disatteso nella pratica e nelle concrete situazioni di vita. La vita familiare risulta
spesso fortemente penalizzata dagli impegni e dai tempi del lavoro. Coniugi e figli, pur
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circondati da affetto e da ogni bene materiale, spesso devono fare i conti con una
presenza misurata con il contagocce. Altre volte le preoccupazioni per il lavoro e le
situazioni amministrative o patrimoniali, finiscono per sovrapporsi ai rapporti familiari,
in linea orizzontale e verticale, divenendo causa di incomprensioni e di tensioni.
Eclatante è il caso della maternità che continua ad essere ritenuta, a causa di
quella che io considero una vera e propria “incoscienza culturale” del nostro Paese, un
“privilegio borghese da penalizzare” o un “fatto privato” da lasciare all’esclusiva
responsabilità dei genitori. A causa di questa “miopia sociale”, in Italia le famiglie
fanno la metà dei figli che vorrebbero perché il sistema lavorativo e sociale penalizza la
scelta della maternità. Pochissimi aiuti economici; pochissimo tempo lasciato per la
cura dei figli piccoli; sgravi fiscali e sostegni per le famiglie con figli, ridottissimi; asili
insufficienti. Paradossale poi è che per interrompere una gravidanza tutto sia a carico
del servizio pubblico, mentre per fare un figlio sostanzialmente tutto sia a carico dei
genitori. Come può una simile organizzazione sociale garantire il bene e il futuro dei
suoi cittadini e del Paese?
Il crollo demografico che pesa come un macigno sul futuro dell’Italia - e che tanto
incide anche sul sistema economico -, non è una fatalità, come ben dimostrato dalle
scelte di tanti altri paesi europei, ma l’esito di precise e ottuse scelte politiche,
nell’ambito dell’organizzazione del lavoro e nel sistema dei servizi. Quante volte
parlando con i sindacalisti e con gli imprenditori ho trovato chiusure inspiegabili su
questo punto e mi sono sentito dire: “la famiglia con il lavoro non c’entra”!
Forti e inequivocabili nel rivendicare una diversa politica sociale sono le parole di
Giovanni Paolo II nella Centesimus annus, sempre sulla scia di quanto coraggiosamente
affermato cento anni prima da Leone XIII:
«Per superare la mentalità individualista, oggi diffusa, si richiede un
concreto impegno di solidarietà e di carità, il quale inizia all'interno della
famiglia col mutuo sostegno degli sposi e, poi, con la cura che le generazioni si
prendono l'una dell'altra. In tal modo la famiglia si qualifica come comunità di
lavoro e di solidarietà. Accade, però, che quando la famiglia decide di
corrispondere pienamente alla propria vocazione, si può trovare priva
dell'appoggio necessario da parte dello Stato e non dispone di risorse sufficienti. È
urgente promuovere non solo politiche per la famiglia, ma anche politiche sociali,
che abbiano come principale obiettivo la famiglia stessa, aiutandola, mediante
l'assegnazione di adeguate risorse e di efficienti strumenti di sostegno, sia
nell'educazione dei figli sia nella cura degli anziani, evitando il loro
allontanamento dal nucleo familiare e rinsaldando i rapporti tra le generazioni» (n.
49).
La famiglia, quindi, non può restare estranea all’organizzazione del lavoro e della
vita sociale. Deve rientrare, sotto molteplici punti di vista, tra i criteri che guidano le
scelte politiche, economiche e sociali del Paese. Questo attendono milioni di famiglie in
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Italia e questo è quanto si richiede, non da oggi, ai politici, agli imprenditori, ai
sindacati e a tutte le forze sociali più sensibili e responsabili.
Da ultimo il messaggio dei vescovi italiani a conclusione del Consiglio
Episcopale Permanente del 22-24 settembre u.s. con cui i Vescovi rivolgono un
pressante appello a non perdere di vista l’irrinunciabile centralità della famiglia «per
riaffermare con Papa Francesco che “questo primo e principale costruttore della società
e di un’economia a misura d’uomo merita di essere fattivamente sostenuto”».
Non sostiene la famiglia - affermano i Vescovi - «chi, al di là delle
promesse, si rivela sordo sia nel promuovere interventi fiscali di sostegno alla
famiglia sia nel realizzare una politica globale di armonizzazione tra le esigenze
del lavoro e quelle della vita familiare, a partire dal rispetto per la domenica. E
non lo fa neppure chi non esita a dare via preferenziale a richieste come il
riconoscimento delle cosiddette unioni di fatto o, addirittura, l’accesso al
matrimonio per coppie formate da persone dello stesso sesso. […] Sappiamo di
non essere soli in questo cammino, ma di incrociare l’intelligenza e la generosa
volontà di quanti – pur partendo a volte da presupposti culturali diversi –
avvertono il peso della posta in gioco. Insieme condividiamo la convinzione che
alla stabilità della famiglia è legata la stessa qualità della condizione umana: per
questo non ci stanchiamo di impegnarci contro ogni attentato alla vita, alla libertà
educativa, al diritto all’istruzione e al lavoro, autentiche condizioni di giustizia e
di pace».
Il Magistero della Chiesa sia dal punto di vista dottrinale che pastorale continua a
sviluppare e approfondire la sua riflessione come ben documentato anche dal
Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, che dedica a questo tema una
particolare attenzione (cfr. in particolare i nn. 246-254; 294-295). La Chiesa con il suo
insegnamento non si stanca di illuminare e incoraggiare coloro che sentono la necessità
di un rinnovato impegno per “conciliare” o forse sarebbe meglio dire “armonizzare”
lavoro e famiglia. La discussione sull’opportunità di usare l’uno o l’altro termine, in
considerazione delle rispettive implicazioni, mi ha fatto ricordare infatti la relazione che
il Prof. Zamagni ha svolto alla 47a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani che aveva
come tema “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana” tenutasi a Torino nel
settembre del 2013. Nel suo intervento sviluppa alcune interessanti considerazioni
proprio sul rapporto tra famiglia e lavoro che, al di la delle opzioni terminologiche,
mettono in risalto l’ampiezza e la complessità della questione. Concludo pertanto il mio
intervento con alcuni passaggi tratti dalla relazione del professore di Bologna che spero
possano essere utili alla discussione.
«È noto che uno dei temi oggi di maggior rilevanza è quello della complessa
relazione tra vita familiare e vita lavorativa. Nella letteratura in argomento e nel
dibattito pubblico contemporaneo questo tema viene reso con l’espressione worklife balance, cioè a dire bilanciamento, conciliazione tra famiglia e lavoro. Il
termine stesso di conciliazione, infatti, postula l’esistenza di un conflitto, o meglio
di un trade-off quanto meno potenziale, tra questi due fondamentali ambiti di vita,
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ciascuno dei quali dotato di una sua propria specificità e di un suo proprio senso.
Ritengo invece che non vi siano ragioni di principio che possano far parlare di due
polarità tra cui è necessario stabilire pratiche conciliative, perché se è vero che
quello del lavoro è anche un tempo di vita, del pari vero è che la vita familiare
include una specifica attività lavorativa, anche se questa non transita per il
mercato. […] Al termine conciliazione preferisco quello di armonizzazione
responsabile. Duplice, allora, il fine che è bene attribuire alle politiche di
armonizzazione tra famiglia e lavoro (di mercato): superare la diffusa
femminilizzazione della questione conciliativa a favore di un approccio
reciprocitario tra famiglia e lavoro, per un verso; provocare un ripensamento
radicale circa il modo in cui avviene l’organizzazione del lavoro nell’impresa di
oggi, per l’altro verso».
Lascio agli esperti l’approfondimento delle numerose questioni e, scusandomi
ancora per l’assenza, auguro a tutti una giornata di intenso e costruttivo confronto.
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