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LAURANA EDITORE
direzione editoriale:
Calogero Garlisi
redazione e comunicazione:
Gabriele Dadati
grafica e interni:
Daniele Ceccherini
utili consigli:
Giulio Mozzi
Collana Decibel
realizzazione grafica e editoriale:
Dario Rossi
Laurana Editore è un marchio Novecento media s.r.l.
Copyright © 2013 Novecento media s.r.l.
via Carlo Tenca, 7 – 20124 Milano
www.laurana.it – [email protected]
ISBN 978-88-96999-82-0
eleonora bagarotti
LIGABUE
questa è la mia vita
iL
LAURANA EDITORE
Dedico questo libro a tutti i musicisti, rocker
e non solo, che non hanno avuto la stessa corrente favorevole di Ligabue. Sono certa che tra
loro ve ne siano molti in gamba. Spero che la
società li aiuti, dando alla loro musica e al loro
talento uno spazio dignitoso.
E a Tondelli: ciao da quaggiù…
LIGABUE
questa è la mia vita
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luciano ligabue
e le radici emiliane
È il 15 luglio 2002. Allo Stadio Olimpico di Roma Luciano si rivolge al pubblico: “Allora… voi lo sapete con
precisione perché siete qui, questa sera? No, voi ne sapete solo una parte. La parte che sapete voi, e che è
bellissima, è quella che avete deciso di essere qua per i
motivi vostri. La parte che, forse, non potete sapere è
che voi siete qua questa sera perché è successo un fatto,
tanti anni fa. E il fatto è legato a un omino che gestiva
una balera e… rientrava a casa, la domenica mattina,
e tutte le volte diceva al sottoscritto: i musicisti son
tutti dei morti di fame. Poi, io, ogni tanto seguivo questo omino nella sua balera e vedevo che questo omino
aveva un grandissimo rispetto per qualsiasi musicista
di liscio. Finché questo omino, che tutte le settimane
mi diceva ‘i musicisti son tutti dei morti di fame’, un
giorno venne a casa con una chitarra. Io non gliela
avevo chiesta. Decise lui di portarmela a casa e quando
regali una chitarra a qualcuno lo costringi, quasi, a imparare a suonare. Ecco, voi siete qui perché comunque
su questa terra è passato questo omino che, purtroppo,
se n’è andato sette mesi fa e si chiamava Giuanin”.
Le radici contano, non solo l’amore. E sul suolo emiliano, sono stati – e continueranno a essere – tanti a
coltivare sogni di rock’n’roll, indipendentemente dal
successo raggiunto. Passione e disillusione, fatiche e
soddisfazioni scorrono veloci nel bel romanzo generazionale del giornalista e scrittore reggiano Giampaolo Corradini, Studio Seltz – Amore, fumo e rock’n’roll
in sala prove (Aliberti, 2008): racconta atmosfere che
sono di certo appartenute anche agli inizi di Luciano
Ligabue
Corradini, che è a sua volta un valido chitarrista e
cantante, così presenta lo scenario del suo racconto,
citando l’illustre collega:
“Studio Seltz esiste davvero.
Cazzo, se esiste.
E allo stesso tempo è un luogo totalmente leggendario: uno scherzo della fantasia, o della memoria,
annebbiata da quelle colossali bevute di birra chiara
che ha senso fare solo a una certa età.
Studio Seltz si poteva definire ‘una sala prove comunale’. Cioè un posto dove, a spese della progressista
amministrazione di una media città del centro-nord,
tutti i ragazzi che avevano una qualche idea della musica potevano trasformarsi per due ore in rockettari,
poppettari, metallari, darkettari. Le etichette non gli
hanno mai reso giustizia. Suonavano, fino allo sfinimento loro e di chi li stava ad ascoltare.
Qualcuno, poi, è diventato qualcuno. Tipo Luciano
Ligabue, che allo Studio Seltz ci passava le giornate
(ma sarà poi vero? O è leggenda? Chi lo sa, eravamo
tutti troppo bevuti per ricordarci se era davvero lui, o
uno che gli assomigliava). Altri sono rimasti attaccati
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alla fatica dei loro sogni, e alla fatica quotidiana di vivere il meno peggio possibile.
È andata come è andata”.
Sappiamo che, ancora prima di uno Studio Seltz, di
fronte al giovane Ligabue si è profilata la “vita di balera”, con i suoi musicisti e i pochi spiccioli racimolati fino all’alba, il tentativo di dimenticare la nebbia
padana delle sere d’inverno e la solitudine soffocata,
per qualche ora, dietro al fumo intenso che riempie
una sala da ballo. C’è fame di danza, fame di amore,
voglia di allegria e sicuramente di sesso. Chi – inclusa
me – è nato e cresciuto in Emilia Romagna sa bene di
cosa si tratta perché, prima o poi, da quelle parti ci si è
trovato. O, quanto meno, quelle atmosfere le ha sfiorate e ascoltate nei racconti di qualcuno. E allora si sa
che lì, alla base di tutto, c’è una stramaledetta sete di
sogno. Un sogno che, nel caso di Luciano e di molti
altri, si chiama rock’n’roll.
Per il Ligabue ragazzo, oltre al terreno fertile musicale della balera, di fondamentale importanza è stata
anche la forma canzone dei grandi cantautori italiani
e la letteratura del Novecento, italiana e americana.
Questo mix lo ha spinto a prendere in mano una chitarra e a provare a scrivere le sue prime canzoni. A
quanti altri è successo? A tantissimi, di sicuro, e non
solo in Emilia.
Tra gli incontri umani importanti, che contribuiscono a svoltare, c’è stato certamente quello con
Claudio Maioli: amico e poi manager, produttore e
persona di grande fiducia che ha sempre sostenuto e
consigliato Ligabue, contribuendo al suo successo da
“dietro le quinte” – ma non troppo.
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Luciano custodisce gelosamente gli anni della propria infanzia, a volte limitandosi a dire di non ricordare molto. Però parla diffusamente e volentieri della
sua esperienza adolescenziale come animatore radiofonico, che non solo lo ha segnato musicalmente, facendogli scoprire molta musica e l’intrinseca possibilità di comunicazione che a essa appartiene. La stessa
esperienza è poi stata ripresa in Radiofreccia, il primo
film diretto da Luciano nel 1998 e prodotto da Domenico Procacci.
A un certo punto, Ligabue prova a comporre la sua
prima canzone: s’intitola Cento lampioni e a posteriori
lui la definisce “bruttissima, sbrodolona e molto moralista. Una canzone orribile che parlava di una puttana che stava contando i giorni per riuscire a smettere”. Il brano però mostrava già il suo interesse verso
il mondo dei loser, che in Emilia Romagna vengono
più semplicemente definiti pescegatti.
Da quel primo esperimento, Luciano prosegue
nella scrittura dei testi e li accumula, anche se la sua
prima esibizione, in cui canterà tre suoi brani accompagnandosi con la chitarra, avverrà solo successivamente, nel 1981 a Correggio, sul palco allestito
nell’ambito della Festa dell’Unità. Luciano farà il bis
della sua esperienza live in autunno, in un circolo culturale locale, proponendo una scaletta con Maria e il
colore bianco, Ultimo tram, Ogni riferimento a persone e fatti…, Questione di tempo, Anticarnevale, Al
poi ci penseremo dopo e Su di un parto.
Nel frattempo Ligabue, che vive con i genitori e il
fratello in un piccolo appartamento, si è diplomato
ragioniere e ha intrapreso alcuni lavoretti, tra cui il
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metalmeccanico e il bracciante. Quando un’azienda
lo assume come ragioniere, capisce che il ruolo gli sta
decisamente stretto. Qualche anno più tardi finirà
anche per dare una mano al padre, che possiede una
custodia di pellicce, e farà persino il promoter di concerti per l’ARCI di Reggio. Infine diverrà consigliere
comunale. Su questa breve esperienza, Ligabue traccia una riga: “La politica non faceva per me”.
Tornando alla chitarra e alle canzoni, incoraggiato
dall’amico Claudio Maioli, Luciano giunge a una conclusione: gli serve una band. Con Bruno “Trico” Pederzoli, un deejay di Studio 6 che suona la chitarra, e un
suo amico batterista, prova Figlio di un cane. Forma,
più tardi, un gruppo con “Trico” e Paolo Signorelli alle
chitarre, Roberto Bartolucci al basso e Alberto Imovilli alla batteria. La band si chiamerà OraZero.
Gli OraZero si esibiscono per la prima volta nel 1987
al circolo culturale Lucio Lombardo Radice di Correggio. Il programma prevede brani originali di Luciano:
Hong Kong, Oceano, Identità, Figlio di un cane, Sogni
di rock’n’roll, Marlon Brando è sempre lui, La ballerina
del carillon e Fuoritempo. Ad applaudire ci sono centinaia di persone.
Maioli ricorda: “Scendendo dal palco, Luciano mi
disse: ‘Facciamo un patto. Io voglio fare questo mestiere!’. Io gli risposi: ‘Facciamo un patto di sangue:
facciamolo assieme!’”.
Nei mesi successivi, gli OraZero suonano in giro per
la provincia e preparano alcuni demotape. Nel 1988
Pierangelo Bertoli ascolta i brani del Liga per la prima
volta e incide Sogni di rock’n’roll nel suo Tra me e me.
Luciano duetta con Bertoli nell’album e Pierangelo lo
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porta con sé a un programma Rai. È la sua prima esperienza televisiva professionale. Nello stesso periodo,
grazie alla vittoria a un concorso rock, Ligabue e gli
OraZero realizzano un 45 giri: Anime in plexiglass e,
sul lato B, Bar Mario. Il disco viene stampato in mille
copie dalla Suonimmagine di Modena. A novembre
gli OraZero arrivano secondi, dopo gli Almamegretta,
al primo concorso nazionale per gruppi emergenti
“Terremoto Rock”, facendo un percorso affine a quello
di tanti altri gruppi che partecipano a contest nella
speranza di spiccare il volo. Il premio, in quel caso,
consiste nella possibilità di effettuare un’altra incisione, e così il brano El Gringo entrerà a far parte di
una compilation.
Gli altri componenti degli OraZero molleranno
però l’attività musicale, optando per il lavoro serio invece di insistere con i sogni di rock’n’roll: non possono vivere di sola musica. Così Luciano si trova a dover formare una nuova band, destinata alla fortuna,
sotto il nome di ClanDestino.
Luciano contatta Gigi Cavalli Cocchi, batterista
già apprezzato e attivo sulla piazza provinciale con
il gruppo dei Pechino Politic. Dalla band, dedita al
genere New Wave, arriva anche il chitarrista Max
Cottafavi. L’ultimo a entrare nel “clan” è il bassista
Luciano Ghezzi, proveniente dal gruppo dei The
Avengers.
È il 1989 e Angelo Carrara, già produttore di Bertoli, propone al Liga di incidere qualche demo. Con i
ClanDestino registrerà Eroi di latta (brano che poi si
intitolerà Balliamo sul mondo), Angelo della nebbia,
Bambolina e barracuda e Piccola stella senza cielo.
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Poi altri brani, che porteranno alla decisione di Carrara di incidere e produrre un album di Ligabue.
A novembre il gruppo si ritrova allo Psycho di Milano; tempi e budget minimi ma con il contributo di
Paolo Panigada (il Feiez di Elio e le Storie Tese, scomparso nel 1998), all’epoca fonico dello studio, che suonerà nel disco alcune parti di chitarra, Hammond e
sax. L’album Ligabue (WEA, 1990) prenderà vita in 20
giorni.
L’album si apre con Balliamo sul mondo: un invito
rock al ballo, a una donna, a uno stile di vita che nel
movimento – e qui torniamo al tema della fuga on the
road – vede un riscatto dalle costrizioni quotidiane,
sostenuto dalla voglia di “primeggiare sul mondo”
nell’ottica del carpe diem. La canzone, programmatissima da radio e televisione, conduce il Liga al Festivalbar dove, nel 1990, vince nella sezione Giovani
(“Non ti offro grandi cose, però quelle lì le avrai /
Niente case, né futuro, né certezze, forse guai / Ma se
dall’Atlantide all’Everest non c’è posto per noi / Guido
io in questo tango, ci facciamo posto, dai”.)
Bambolina e barracuda è un ritratto del cucador
medio che si ritrova, alla fine, in balia della femmina
di turno, tutt’altro che remissiva. Uno sguardo ironico ma anche una messa a fuoco della difficoltà dei
rapporti tra uomini e donne nella nostra epoca, caratterizzata da un ribaltamento dei ruoli (“Lei ha un
brutto tic adesso / Dice cose strane / E mi guarda come
non vorrei / Adesso devo proprio andare / Ti chiamo
prima o poi / Lo so che se voglio / Posso restare / Ma
non insistere, dai! / Dai, aprimi la porta / Porta porta
porta porta / Mi vuoi aprir la porta / Porta porta porta
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porta / Ba ba ba bambolina / Giù giù quella pistola
/ Ba ba va bene resto qua / Cosa devo fare? Ba ba ba
bambolina / Ba ba vuoi che parliamo / Ba ba non mi
legare, dai / È solo un gioco nuovo?”)
Piccola stella senza cielo racconta la fragilità di una
fanciulla che si nasconde dietro a un innaturale comportamento sfrontato per poter affrontare un mondo
che le incute paura. Il brano sarà destinato a diventare uno dei più grandi successi di Ligabue, più volte
ripreso in varie versioni nel corso degli anni (“Cosa ci
fai / In mezzo a tutta questa gente? / Sei tu che vuoi? /
O in fin dei conti non ti frega niente / Tanti ti cercano
/ Spiazzati da una luce senza futuro / Altri si allungano / Vorrebbero tenerti nel loro buio / Ti brucerai
/ Piccola stella senza cielo / Ti mostrerai / Ci incanteremo mentre scoppi in volo / Ti scioglierai / Dietro a
una scia, un soffio, un velo / Ti staccherai / Perché ti
tiene su soltanto un filo, sai”.)
Marlon Brando è sempre lui è frutto del cinema,
fabbrica delle illusioni e dei sogni come il rock’n’roll
ma anche scenario di una storia d’amore (“Lui aveva
un vecchio maggiolone cabriolet / Sfatto ma piaceva
tanto a lei / Arrivò e col clacson disse: ‘Sto aspettando
te’ / Lei scese profumata più che mai / Fecero due
conti in tasca e videro che / Non ci si ballava neanche un po’ / Lei gli disse: ‘Questa sera voglio far l’amore / Prima però portami a sognare’ / Un fascio di
luce va dal proiettore / Per un sogno da duemila lire /
Porti addosso qualche segno? / Proverò a tirarteli via
/ Posso solo questo sogno / Scusa per la mia fantasia
/ Giù in platea sedie di legno / Gole secche per la sete
d’eroi / E Marlon Brando è sempre lui!”)
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Ed ecco l’Emilia e i suoi luoghi di ritrovo: tutti al Bar
Mario! (“Il buio arriva, ma non è troppo spietato / C’è
qualche stella, è come un disegno spezzato / Qualche
lampione, piccolo lume isolato e freddo e perduto /
Le strade vuote, non c’è neanche il classico cane / Ha
vinto ancora signora televisione / Signora o troia? /
Agita il culo, sembra, con intenzione / Il commendatore gioca la carta sbagliata / Il suo compagno proprio
non l’ha digerita / Però sta zitto, tanto con lui non si
vince mai una partita / Bistecca intanto urla per una
primiera / E sul suo letto si sta ballando un bolero /
Sua moglie brucia di febbre di vita / E si sta facendo le
cure / La guardia si fa un caffè poi se ne va… / Mario
dà un colpo di straccio al banco del bar”.) Nel film Radiofreccia il locale avrà un barista d’eccezione: Adolfo,
interpretato da Francesco Guccini.
Ma tutto è partito, e ritorna, in Sogni di rock’n’roll:
il ritmo, la libertà, la notte, la trasgressione. (“Siamo
qui / Già le quattro e siamo qui / Finestrini socchiusi
su strade indifese / Dai nostri pesanti HP / E così
anche il sabato è andato così / Si è bevuto, ballato,
qualcuno ha imbarcato / Il più scemo le ha prese e ha
una faccia così / Ombre dure, adatte all’ora / L’autoradio intanto va / Rhythm & blues / E pestiamo coi
piedi di più / Finché il polso cammina facciamo mattina / Tenendoci su coi / Sogni di rock’n’roll / Sogni
di rock’n’roll / Sogni di rock’n’roll / E guai a chi ci
sveglia”.) Questa è probabilmente la prima canzone
che contiene affinità con i personaggi e le atmosfere
dei racconti di Pier Vittorio Tondelli, scrittore originario di Correggio molto apprezzato da Luciano,
venuto alla ribalta con Altri libertini (ma poi autore
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di molte altre opere dal vivace tratto e dalla sensibile
espressione, che lo hanno reso un mito della sua generazione).
Radio radianti è un racconto ironico sul fenomeno
delle radio libere, che Luciano ben conosce. Il brano
cita strani nomi di varie emittenti (Radioceretta, Radioabbronzanti e via dicendo), che assumono una
sorta di funzione “psicanalitica” e riparatoria grazie
al ruolo del dj nei confronti delle esigenze degli ascoltatori (“Ditemi che non siete giù / O la mia missione
non conta più / Ho qua per voi l’ultimo mix / Cambia
la vita questo qui / Radiofelici / Radiocontenti / Radiosorrisi e baci smack / Radio radianti”).
Una vena tondelliana giunge nella toccante Freddo
cane in questa palude, minimale (“Freddo cane in
questa palude / I miei amici fanno scherzi idioti, sai?
/ Loro spengono la sera e si nascondono nei fossi / Per
vedere come me la caverei / Freddo cane, carne cruda
/ I coccodrilli a quest’ora cenano / Io non ho con me
il fucile ma mi sento come Zagor / Neanche questa
volta mi fregano”).
Angelo della nebbia è qualcuno a cui rivolgersi nella
disperazione, una speranza, una ricerca disperata
(“Rumori e corpi attutiti / E gocce che provano a bagnarci dentro / Due lepri si danno una bella scrollata /
E al prossimo campo / Si fermano un po’ / Si fermano
a urlare: ‘Siamo qui / Angeli della nebbia / Guardaci /
Buttaci solo un po’ di colore / Angelo / Ci puoi sentire
o no? / Sei lì? / Sei lì? / Sei lì? / Sei lì?’”).
Di nuovo un po’ di Tondelli nel loser cantato da Ligabue in Figlio d’un cane, brano che tratta della prostituzione maschile (“Coccolato qualche volta / Da
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qualche signora che altro animale non ha / Chiusa
l’ennesima porta / C’è la strada e lei che dietro chiamerà / E tra un po’ si torna in calore / E lo sai che per
qualcuno è comodo / C’è una cuccia, un osso e un padrone per noi / Identità: figlio d’un cane / Figlio d’un
cane / Figlio di 5 minuti / Identità: figlio d’un cane /
Figlio d’un cane / Figlio d’amplessi rubati / Identità:
Figlio d’un cane / Figlio d’un preservativo rotto / E
allora ululo e alzo il bicchiere / Tra sassi, scarponi e
bestemmie che tirano / E ululare è un sollievo e un
piacere / Che almeno do fastidio un po’ / E ogni tanto
ciotole piene / Che poi non brontoli lo stomaco / Briciole d’avanzi di ieri per noi”).
La copertina di Ligabue segnerà l’inizio di uno stile:
nessuna copertina degli album di Ligabue mostrerà
una sua foto bensì un’immagine che riprende alcune
tematiche del disco. All’interno in compenso saranno
presenti libretti ben curati.
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