Studi G. Stea LA NATURA PENALE DELL'ORDINE DI DEMOLIZIONE EDILIZIA NELLA PROSPETTIVA CONVENZIONALE ED I RIFLESSI SUL SISTEMA PUNITIVO URBANISTICO-PAESAGGISTICO di Gaetano Stea (professore a contratto di diritto penale nell’Università del Salento) SOMMARIO: 1. Prologo. - 2. L'oggetto dell'analisi: l'ordine di demolizione è una «pena». - 3. Breve quadro normativo. - 4. La nozione di sanzione penale secondo la Corte di Strasburgo. - 5. Caratteri e finalità dell'ordine di demolizione edilizia nella giurisprudenza domestica. - 6. Caratteri e finalità della confisca urbanistica nella giurisprudenza nazionale. - 6.1. La confisca urbanistica e la Corte costituzionale. - 7. L'ordine di demolizione al cospetto della giurisprudenza euroumanitaria. - 8. Riflessi processuali e sostanziali in itinere: il ne bis in idem tra sanzioni amministrative e penali in materia edilizia. - 8.1. La crisi del sistema del doppio binario alla luce della CEDU. - 8.2. La deroga espressa alla specialità tra illecito amministrativo e penale in materia edilizia e l'inevitabile incompatibilità con il ne bis in idem sovranazionale. - 8.3. La prescrizione del reato e l'imprescrittibilità del rilievo amministrativo. - 8.3.1. Il fondamento della prescrizione del reato. Brevi considerazioni. - 8.3.1.1 Postilla eterodossa sulla sentenza Taricco. - 8.3.2. La prescrizione del reato preclude l'accertamento dell'illecito amministrativo (e viceversa). - 8.4. Cenni sui contrasti convenzionali del sistema sanzionatorio punitivo in materia urbanistico-paesaggistica. Prima problematica: l'imprescrittibilità dell'illecito amministrativo. - 8.4.1. Seconda problematica: le presunzioni assolute di incompatibilità dell'opera con il bene tutelato e necessaria lesività. - 8.4.1.1. Una postilla rivoluzionaria: gli illeciti urbanistico-paesaggistici come reati di danno con una lettura coordinata di precetto e sanzione. - 8.4.2. L'inammissibilità della prevalenza di un interesse su un altro di pari rango: bilanciamento domestico e margine di apprezzamento convenzionale. - 9. Dal punto di vista della sanzione. Prescrizione dell'ordine di demolizione. - 9.1. Le esigenze sottese alla tradizionale lettura di un regime sui generis per le sanzioni edilizie: poteri autoritativi sine die ed incompatibilità con l'opzione politica sinallagmatica tra cittadino e Stato. - 9.2. La seconda esigenza: trasmissibilità della sanzione ripristinatoria. 9.3. La ratio delle cause di estinzione della pena. - 9.4. La confisca, l'ordine di demolizione e quello di rimessione in pristino: natura penale convenzionale e pena domestica. Concezioni a confronto. Prima impostazione della problematica. - 9.4.1. Seconda impostazione della problematica. - 10. La morte estingue l'illecito edilizio e l'ordine di demolizione? Il caso della morte del responsabile dell'abuso prima della condanna. - 10.1. Il caso della morte del responsabile dell'abuso dopo la condanna. - 10.2. Chiosa su una questione abbandonata: la prescrizione dell'ordine di demolizione ed i poteri della pubblica amministrazione. - 11. Epilogo. 1. Se è vero che il diritto rappresenta «la scienza meno esatta» 1, purtuttavia la riflessione giuridica deve essere sempre supportata da argomentazioni rigorosamente fondate sul dato positivo: che spesso nascono da obiezioni a un’interpretazione 1 Espressione di Giulio De Simone, in una lezione (del 2012) tenuta all'Università del Salento. www.lalegislazionepenale.eu 1 21.12.2015 Studi G. Stea dominante, tese a sostituirla con una lettura nuova2. E ogni riflessione trae con sé una visione diversa e talora eterodossa dell'ordinamento tutto. Un'argomentazione sciolta (absoluta) da qualsiasi pre-comprensione, è puramente immaginaria. La storia del diritto, che, poi, è il riflesso della storia dell'umanità 3, è un'implacabile cartina di tornasole, passando, per quanto riguarda il diritto europeo, da una visione prettamente nazionalistica, ad una di necessaria integrazione, per costruire uno spazio di libertà e sicurezza sociale. L'armonizzazione, che non è identità, degli ordinamenti nazionali, è il nuovo orizzonte in cui pare doversi muovere ogni approccio argomentativo, anche in diritto penale, che non può non tener conto delle direttrici europee in tema di rispetto dei diritti, delle libertà e delle garanzie fondamentali della persona umana. È ormai da tempo che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, posta a presidio dello status della persona umana, penetra profondamente nel sistema penale nazionale, descrivendo il confine (mobile) del diritto di punire domestico. Questa è la traccia su cui si intende percorrere la riflessione qui proposta. 2. La questione che si intende affrontare, nell'economia del presente scritto, ha ad oggetto la qualificazione dell'ordine di demolizione di cui all'art. 31 co. 9 d.P.R. 6.6.2001 n. 380, anziché mera sanzione amministrativa, come vera e propria «sanzione penale» conseguente all'accertamento del reato edilizio4. La tesi da dimostrare non ha certamente il conforto della giurisprudenza domestica, poiché è noto il consolidato orientamento secondo cui «l'ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio» 5. Da ciò, la tesi della qualificazione dell'ordine di demolizione come sanzione penale va affrontata guardando alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, da utilizzare per fornire una lettura conforme dell'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001, nel rispetto degli artt. 25 co. 2, 27 co. 1 e 3 e 117 co. 1 Cost. I riflessi di tale qualificazione, poi, saranno analizzati nell'ambito del sistema del cd. doppio binario sanzionatorio in materia di illeciti urbanistico-paesaggistici ed, in relazione, alle novità sovranazionali che fanno perno sul divieto di bis in idem 2 V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano5, a cura di P. Nuvolone e G.D. Pisapia, III, Torino 1981, 530, nota 5, dopo aver indicato tutte le interpretazioni elaborate dalla dottrina sul fondamento della prescrizione, afferma che «fatta eccezione per le teorie manifestamente fantastiche o insufficienti, c’è del vero e del falso in tutte le altre, come suole accadere di ogni teoria politico-penale». 3 G. Garancini, Storia del diritto e concetto di comunità, La Comunità tra cultura e scienza: Il concetto di comunità nelle scienze umane, a cura di G. Dalle Fratte, I, Roma 1993, 99, criticando «la cultura accademica storiografica francese (che) riassume la storia del diritto nella più vasta categoria della histoire des faits sociaux», rivendica un'autonomia della storia del diritto, sostenendo che «il diritto è scienza umana e come tale irrimediabilmente radicato e avviluppato con l'esperienza umana, e con la storia dell'umanità» e concludendo che, insomma, «il diritto è scienza delle relazioni umane». 4 L'assimilazione riguarda la pena principale e non quella accessoria, poiché solo la prima, alla stregua della definizione di cui all'art.20 Cp, è comminata con la sentenza di condanna, come, dunque, l'ordine di demolizione de quo in virtù di quanto previsto dall'art.31 co.9 d.P.R. 380/2001 5 Cass. 25.11.2014 n. 53164, in UApp 2015, 3, 362; Cass. 24.10.2013 n. 51010, in CEDCass, m. 257916; Cass. 4.2.2013 n. 17066, in CEDCass, m. 255112; Cass. 18.12.2012 n. 6279, in UApp 2013, 5, 616 www.lalegislazionepenale.eu 2 21.12.2015 Studi G. Stea processuale di cui all'art. 4 Protocollo n. 7 Cedu, a cui corrisponde, nell'ambito eurounitario, l'art. 50 (cd. Carta di Nizza – d'ora in poi anche solo CDFUE). 3. L'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001 prevede che, per le opere abusive eseguite in assenza di permesso di costruire o in totale difformità o con variazioni essenziali, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 44 d.P.R. 380/2001, ordina la demolizione, se ancora non sia stata altrimenti eseguita. La demolizione, comunque, è condizionata (in negativo) ad una eventuale deliberazione del Consiglio comunale nel cui territorio è stata realizzata l'opera abusiva, in cui, in caso di ingiunzione amministrativa inadempiuta e, dunque, di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera e del relativo sedime, «si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali», come previsto dall'art. 31 co. 5 d.P.R. 380/20016. In tale ipotesi, l'acquisizione gratuita per l'esistenza di prevalenti interessi pubblici alla demolizione dell'opera abusiva (fatta salva la necessaria compatibilità con quelli urbanistici o ambientali) costituisce una specie di confisca sui generis, poiché l'avocazione del bene al patrimonio pubblico è subordinata alla preventiva manifestazione di interesse dell'Amministrazione Comunale, in mancanza della quale l'opera deve essere demolita, come ordinato dal giudice penale. Tale necessaria manifestazione la distingue dalla confisca vera e propria, prevista dall'art. 44 co. 2 d.P.R. 380/2001 (in materia di lottizzazione abusiva), in cui l'acquisizione al patrimonio pubblico consegue direttamente per ordine del giudice e, comunque, senza alcuna valutazione preventiva di effettiva sussistenza del relativo interesse a mantenere il bene abusivo che sorge sul terreno oggetto di ablazione7. 4. E' necessario, a questo punto, confrontarsi con la nozione di sanzione penale, rilevante ai fini dell'applicazione degli artt. 6 (Diritto a un equo processo) e 7 (nulla poena sine lege) Cedu, così come elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. In effetti, fin dal 1976, la Corte di Strasburgo, con il noto caso Engel e altri c. 8 Olanda , inaugurando una giurisprudenza poi consolidatasi a partire dal caso Öztürk c. Germania9, ha chiarito quali siano i principali criteri sostanziali — tra loro (si badi) alternativi — per la qualificazione di una sanzione come penale, a termini convenzionali: (1) la natura della sanzione, ossia, in particolare, il carattere punitivo e 6 Argomentando da Cass. 25.9.2014 n. 47263, in CEDCass, m. 261213. Le argomentazioni utilizzate nell'analisi dell'ordine di demolizione vanno riferite, mutatis mutandis, anche all'ordine di rimessione in pristino previsto dall'art. 181 co. 2 d .lgs. 2.1.2004 n. 42. 8 C. eur., 8.6.1976, Engel e altri c. Olanda; C. eur., 26.3.1982, Adolf c. Austria; C. eur., Lutz c. Germania, Englert c. Germania e Nölkenbockhoff c. Germania, tutte del 25.8.1987; C. eur., 22.5.1990, Weber c. Svizzera; C. eur., 10.6.1996, Benham c. Regno Unito; C. eur., 3.5.2001, J.B. v. Svizzera; C. eur., 9.10.2003, Ezeh e Connors c. Regno Unito. 9 C. eur., 21.2.1984, Öztürk c. Germania. 7 www.lalegislazionepenale.eu 3 21.12.2015 Studi G. Stea non risarcitorio e la funzione preventiva-deterrente; (2) la severità o afflittività della stessa, avuto riguardo, dunque, alla significatività del sacrificio imposto all'individuo. La qualificazione formale che una data sanzione riceva nell'ordinamento nazionale non è certamente vincolante per l'ordinamento convenzionale, che conosce una nozione autonoma di «pena» e «materia penale» utile per affermare l'applicabilità degli artt. 6 e 7 Cedu. Ciò detto, va osservato che, proprio con riguardo a sanzioni reali di confisca di beni, nella giurisprudenza convenzionale, si è affermata, in modo espresso, l'idea che la nozione di pena rilevante ai fini degli artt. 6 e 7 Cedu ben tolleri al suo interno la compresenza di finalità afflittive-dissuasive e, rispettivamente, di cura concreta dell'interesse pubblico, anche nel senso di diretta ripristinazione della lesione subita dall'interesse pubblico, o di cura preventiva dell'interesse pubblico. È significativo, che già nel caso Welch c. Regno Unito10, la Corte di Strasburgo abbia sottolineato che «les objectifs de prévention et de réparation se concilient avec celui de répression et peuvent être considérés comme des éléments constitutifs de la notion même de peine». Da ciò, appare evidente che il primo tra i criteri sostanziali stabiliti fin dal caso Engel e altri c. Olanda (finalità punitiva) non sia in contrasto con prospettive in realtà ripristinatorie, anzi tale funzione va a completare, se non proprio a caratterizzare la sanzione stessa. La non-esclusività della finalità punitiva, ai fini della qualificazione come penale di una sanzione interna, è sottolineata dalla Corte di Strasburgo anche nel caso Menarini c. Italia11, in cui i giudici convenzionali hanno osservato che la specifica preordinazione dei provvedimenti sanzionatori (nella vicenda impartiti dall'Autorità Garantente per il mercato e la concorrenza) a tutelare un dato interesse pubblico non è, di certo, incompatibile con un carattere afflittivo, visto che è del tutto fisiologico (anche nel diritto penale) la coesistenza tra aspetto punitivo e finalità deterrentepreventiva come tutela di determinati beni giuridici di interesse pubblico. Dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in sintesi, emerge, partendo, come visto, dal caso Engel e altri c. Olanda e giungendo sino ai tempi più recenti, che sanzioni che facciano seguito alla violazione di un precetto possono ben ritenersi «pene» in senso proprio ai fini convenzionali, pur laddove non abbiano, in realtà, una finalità esclusivamente punitiva e preventiva, ma mirino, piuttosto, alla cura in concreto, sotto vari profili, dell'interesse pubblico, anche come ripristino dei beni lesi. Riassuntivamente, la natura penale di una misura sanzionatoria interna va accertata verificando, in capo alla stessa e, comunque, alternativamente, (1) la 10 C. eur., 9.2.1995, Welch c. Regno Unito, § 30. C. eur., 27.9.2011, Menarin c. Italia. La sentenza è stata oggetto di numerosi commenti: cfr., senza pretesa di completezza, T. Bombois, L’Arrệt Menarini c. Italie de la Cour Européenne des Droits de l’Homme. Droit antitrust, champ pénale et contrộle de pleine jurisdiction, in Cahiers de Droit Européen 2011, 541; A.E. Basilico, Il controllo del giudice amministrativo sulle sanzioni antitrust e l’art. 6 CEDU, in Rivista telematica giuridica dell’associazione dei costituzionalisti 2011 (4); M. Bonkers – A. Vallery, Business as usual after Menarini?, in Mlex Magazine 2012 3(1), 44; M. Abenhaïm, Quel droit au juge en matière de cartels?, in Revue trimestrelle de droit européen 2012, 117. 11 www.lalegislazionepenale.eu 4 21.12.2015 Studi G. Stea pertinenza della misura rispetto al fatto di reato, accertato nell'ambito di un procedimento penale, all’esito del quale è irrogata la detta sanzione, (2) la gravità indubbia della stessa, ovvero, infine, (3) l’evidente finalità repressiva che la accompagna, non incompatibile con ulteriori finalità quali quelle ripristinatorie. Proprio in materia di reati edilizi, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto anche il carattere punitivo della confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere costruite, prevista nell’ordinamento nostrano dall'art. 44 co. 2 d.P.R. 380/200112. Tale orientamento della giurisprudenza convenzionale è stato stigmatizzato, dapprima dalla Corte costituzionale13 e, poi, ripreso dalla Suprema Corte, che, in una pronuncia in materia di confisca di prevenzione, ha evidenziato che «la Corte europea dei diritti dell'uomo ha (...), sottolineato che la necessità di scongiurare un surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che gli artt. 6 e 7 riservano alla materia penale comporta che la distinzione relativa alla natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione si fondi non solo sul criterio della qualificazione giuridico-formale attribuita nel diritto nazionale, ma anche su altri due parametri, costituiti dall'ambito di applicazione della norma che lo preveda e dallo scopo della sanzione», conseguendo che «tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto»14, così avendo la copertura dell'art. 25 co. 2 Cost. e, dunque, implicitamente (o no) ancorando il particolare regime garantisco. Da ciò, le tutele previste dalla Carta convenzionale europea per la materia penale, in particolare dagli artt. 6 co. 2 e 7 Cedu, devono essere riconosciute a tutte le sanzioni che, indipendentemente dalla qualifica attribuita dal legislatore nazionale, rientrano nella nozione ampia di «materia penale», come delineata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, fatte salve le ipotesi di misure finalizzate alla prevenzione dell'attività criminale. 5. L'ordine di demolizione di cui all'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001 ha, in primis, il carattere pertinenziale rispetto al fatto di reato accertato dal giudice penale, in quanto consegue esclusivamente alla sentenza di condanna e, dunque, all'accertamento del fatto di reato colpevolmente realizzato dall'imputato. Il carattere strumentale o pertinenziale (o accessorio) dell'ordine di demolizione rispetto alla sentenza di condanna, tanto da costituire «espressione di un potere sanzionatorio autonomo e distinto rispetto all'analogo potere dell'autorità amministrativa»15, si evince anche dal costante insegnamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui: «(i)n materia edilizia, l'estinzione del reato di costruzione abusiva per prescrizione travolge l'ordine di demolizione dell'opera indipendentemente da una espressa statuizione di revoca, atteso che tale ordine è una 12 13 14 15 C. eur., 20.1.2009, Sud Fondi Srl c. Italia; C. eur., 29.10.2013, Varvara c. Italia. C. cost., 4.6.2010 n. 196 Cass. 28.2.2012 n. 11768, in CEDCass, m. 252297. Cass. 25.9.2014 n. 47263, cit. www.lalegislazionepenale.eu 5 21.12.2015 Studi G. Stea sanzione amministrativa di tipo ablatorio che trova la propria giustificazione nella accessorietà alla sentenza di condanna»16. E' pacifico, poi, che l'ordine di demolizione de quo ha anche il carattere ablatorio, nel senso che estingue il diritto reale del condannato sul bene colpito dal provvedimento che ordina la demolizione del bene stesso, andando, dunque, a sacrificare un aspetto del diritto alla proprietà privata tutelato dall'art. 42 Cost., ma anche dall'art. 17 della Carta europea dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (cd. Carta di Nizza), nonché dall'art.1 del Protocollo addizionale siglato a Parigi il 20.3.1952 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Tale carattere dell'ordine di demolizione edilizio è pacificamente riconosciuto nella giurisprudenza domestica17. Da ciò, i caratteri dell'ordine di demolizione certamente riconosciuti dalla giurisprudenza nostrana sono, dunque, da un lato, quello pertinenziale o accessorio rispetto alla sentenza di condanna penale e, dall'altro, quello ablatorio sul diritto reale appartenente al condannato. Per quanto riguarda, invece, le finalità dell'ordine di demolizione in questione è granitico l'orientamento giurisprudenziale domestico nell'escludere il fine punitivo, sottolineandone, di contro, lo scopo prettamente tutorio del territorio 18 e, dunque, «una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso, attraverso l'eliminazione delle conseguenze del reato, riconnettendosi all'interesse statuale sotteso all'esercizio della potestà penale»19. 6. Prima di confrontare i caratteri e le finalità dell'ordine di demolizione, pacificamente riconosciuti dalla giurisprudenza domestica, ma anche quelli ricavabili dall'esegesi normativa, con la nozione di sanzione penale definita a livello sovranazionale, è opportuno appuntare l'attenzione sui caratteri e finalità della confisca urbanistica, prevista dall'art. 44 co. 2 d.P.R. 380/2001, su cui si è espressamente pronunciata la Corte di Strasburgo, come già ricordato, che ha riconosciuto anche il carattere punitivo della confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere costruite20. Ora, la confisca urbanistica, secondo l'orientamento giurisprudenziale domestico, costituisce una sanzione amministrativa accessoria, non alla sentenza di condanna (come per l'ordine di demolizione), ma all'accertamento, da parte del 16 Cass. 2.12.2010 n. 756, in CEDCass, m. 249154; Cass. 2.2.2006 n. 10209, in CEDCass, m. 233673; Cass. 27.5.2003 n. 26854, in CEDCass, m. 225115. 17 Cass. 24.10.2013 n. 51010, cit.; Cass. 4.2.2013 n. 17066, cit.; Cass. 2.12.2010 n. 756, cit.; Cass. 11.11.2009 n. 81, in CEDCass, m. 245892; Cass. 2.2.2006 n. 10209, cit. 18 Cass. 18.1.2012 n. 25212, in CEDCass, m. 253050; Cass. 18.2.2003 n. 16537, in CEDCass, m. 227176. 19 P. Tanda, I reati urbanistico-edilizi, Padova 2007, 442. 20 Per un excursus circa la giurisprudenza in subiecta materia dagli anni ’90 ad oggi, cfr. A. D'Alessio, La confisca nei reati urbanistici, ambientali e nelle violazioni del Codice della Strada, in La giustizia patrimoniale penale, a cura di A. Bargi e A. Cisterna, Torino 2011, 1057 ss. www.lalegislazionepenale.eu 6 21.12.2015 Studi G. Stea giudice penale, del fatto di reato, tanto da dover essere disposta anche in caso di sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione dell'illecito21. La confisca urbanistica, dunque, ha natura di sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale in funzione di supplenza della pubblica amministrazione e, pertanto, il relativo effetto acquisitivo al patrimonio comunale è analogo a quello determinato dai provvedimenti di competenza dell’autorità amministrativa nei casi previsti dall’art. 30 co. 7 e 8 d.P.R. 380/2001. Ne consegue che la confisca resta esclusa solo di fronte ad una pronuncia di proscioglimento per insussistenza del fatto di reato. Tale granitico orientamento giurisprudenziale, in tema di confisca urbanistica, sarebbe avvalorato da un dato di carattere sistematico, consistente nella diversa terminologia utilizzata dal legislatore per disciplinare il caso dell’ordine di demolizione proveniente dal giudice, nel quale si richiede, testualmente, una «sentenza di condanna», a cui, diversamente, non fa riferimento l'art. 44 co. 2 d.P.R. 380/2001. In altri termini, la confisca urbanistica ha carattere accessorio all'accertamento dell'illecito penale, anche nell'ipotesi di estinzione dello stesso, «purché sia accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere»22. La confisca urbanistica ha, poi, certamente carattere ablatorio (al pari dell'ordine di demolizione), andando, dunque, a sacrificare il diritto alla proprietà privata di chi la subisce. A ben guardare, dunque, l'ordine di demolizione edilizio ha in comune con la confisca urbanistica la natura amministrativa ed ablatoria, secondo (sempre) la giurisprudenza nostrana, ma si distingue dalla stessa per il più intenso vincolo di pertinenza o accessorietà all'accertamento della responsabilità penale dell'imputato (necessità della condanna). 6.1. Nella sentenza 26.3.2015 n. 49, la Corte costituzionale, dando atto dell'orientamento giurisprudenziale dominante per cui la confisca urbanistica è una sanzione amministrativa, ha rilevato che «la situazione è mutata in seguito alla sentenza della Corte di Strasburgo 20 gennaio 2009, Sud Fondi srl e altri contro Italia, con la quale si è deciso che la confisca urbanistica costituisce sanzione penale ai sensi dell’art. 7 della CEDU e può pertanto venire disposta solo nei confronti di colui la cui responsabilità sia stata accertata in ragione di un legame intellettuale (coscienza e volontà) con i fatti», aggiungendo, però, che «nel nostro ordinamento, l’accertamento ben può essere contenuto in una sentenza penale di proscioglimento dovuto a prescrizione del reato, la quale, pur non avendo condannato l’imputato, abbia 21 Cass. 4.2.2013 n. 17066, cit.; Cass. 13.7.2009 n. 39078, in CEDCass, m. 245348; Cass. 30.4.2009 n. 21188, in CEDCass, m.243630. 22 Cass. 4.2.2013 n. 17066, cit. www.lalegislazionepenale.eu 7 21.12.2015 Studi G. Stea comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l’autore del fatto, ovvero il terzo di mala fede acquirente del bene (sentenze n.239 del 2009 e n.85 del 2008)». Per la Consulta, dunque, la natura penale della confisca urbanistica non può essere messa in dubbio e la sua concreta applicazione può conseguire anche ad una sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato, così andando a dare una diversa lettura della pronuncia della Corte di Strasburgo nel caso Varvara c. Italia, richiamata espressamente dalla Suprema Corte23, nelle ragioni sottese all'incidente di costituzionalità promosso. La decisione della Consulta ha sollevato molte critiche24, fra cui, ai fini dell'argomentazione qui analizzata, quella centrale di consentire l'applicazione della confisca urbanistica nonostante la prescrizione del reato presupposto, purché il giudice penale «abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l’autore del fatto, ovvero il terzo di mala fede acquirente del bene». La lettura costituzionale in parola sembrerebbe ancorarsi solo all'argomentazione, sostenuta dai giudici sovranazionali, relativa all'intensità del nesso tra fatto e persona sufficiente alla declaratoria di responsabilità penale. Nel caso Varvara c. Italia, in effetti, i giudici euroumanitari25 appaiono discostarsi, sotto tale specifico profilo (nesso intellettuale tra fatto e soggetto) dal principio espresso nel caso Sud Fondi c. Italia, poiché, dapprima, affermano che «il ne peut y avoir de peine sans l’établissement d’une responsabilité personnelle», poi, dichiarano che «l’article 7 de la Convention ne requiert pas expressément de “lien psychologique” ou “intellectuel” ou “moral” entre l’élément matériel de l’infraction et la personne qui en est considérée l’auteur», andando così a modificare l'importante precedente, concludendo, con un'operazione di “taglia e cuci”, che «la logique de la “peine” et de la “punition”, et la notion de “guilty” (dans la version anglaise) et la correspondante notion de “personne coupable” (dans la version française), militent pour une interprétation de l’article 7 qui exige, pour punir, une déclaration de responsabilité par les juridictions nationales, qui puisse permettre d’imputer l’infraction et d’infliger la peine à son auteur. A défaut de quoi, la punition n’aurait pas de sens (Sud Fondi et 23 Cass. 30.4.2014 n. 20636, in CEDCass, m. 259436. F. Viganò, La Consulta e la tela di Penelope. Osservazioni a primissima lettura su C. cost., sent. 26 marzo 2015, n. 49, in materia di confisca di terreni abusivamente lottizzati e proscioglimento per prescrizione, in www.penalecontemporaneo.it; M. Bignami, Le gemelle crescono in salute: la confisca urbanistica tra Costituzione, CEDU e diritto vivente, in www.penalecontemporaneo.it; A. Ruggeri, Fissati nuovi paletti dalla Consulta a riguardo del rilievo della Cedu in ambito interno, in www.penalecontemporaneo.it; R. Conti, La Corte assediata? Osservazioni a Corte cost. n. 49/2015, in Rivista Consulta online, Studi 2015 (I); V. Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it; D. Russo, La “confisca in assenza di condanna” tra principio di legalità e tutela dei diritti fondamentali: un nuovo capitolo del dialogo tra le Corti, in www.osservatoriosullefonti.it; G. Civello, La sentenza Varvara c. Italia “non vincola” il giudice italiano: dialogo fra Corti o monologhi di Corti?, in www.archiviopenale.it; A. Dello Russo, Prescrizione e confisca. La Corte costituzionale stacca un nuovo biglietto per Strasburgo, in www.archiviopenale.it; G. Martinico, Corti costituzionali (o supreme) e ‘disobbedienza funzionale, in www.penalecontemporaneo.it; D. Tega, La sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 sulla confisca: il predominio assiologico della Costituzione sulla Cedu, in www.forumcostituzionale.it. 25 Sia consentito il rinvio a G. Stea, I principi di diritto penale nella giurisdizione europea, Pisa 2014, 250 ss. 24 www.lalegislazionepenale.eu 8 21.12.2015 Studi G. Stea autres, précité, § 116). Il serait en effet incohérent d’exiger, d’une part, une base légale accessible et prévisible et de permettre, d’autre part, une punition quand, comme en l’espèce, la personne concernée n’a pas été condamné». In altri termini, i giudici sovranazionali ritengono sufficiente per applicare la sanzione all'autore del fatto la sola dichiarazione di responsabilità, secondo l'ordinamento interno, che consenta di imputare quel comportamento, anche solo materialmente (se previsto), al soggetto. Da ciò, la Corte costituzionale evidenzia che, nel nostro ordinamento, l'accertamento della responsabilità può essere contenuto anche in una sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato. Ma tale accertamento, però, e qui appare illogico l'obiter dictum costituzionale, non può portare all'applicazione di una «pena» come certamente è la confisca urbanistica, tanto da far apertamente sottolineare alla Corte di Strasburgo, nel caso Varvara c. Italia: «la Cour voit mal comment la punition d’un accusé dont le procès n’a pas abouti à une condamnation pourrait se concilier avec l’article 7 de la Convention, disposition qui explicite le principe de légalité en droit pénal»26. L'interrogativo della Corte di Strasburgo è il nodo centrale della questione: come è possibile infliggere una pena come la confisca urbanistica senza una sentenza di condanna? È superfluo evidenziare che la sentenza di proscioglimento dell'imputato per estinzione del reato non è una «sentenza di condanna» e, dunque, non si può ammettere l'applicazione di una pena, poiché, come noto, con il verificarsi di una causa di estinzione del reato «resta precluso al giudice penale di emanare una qualsiasi statuizione condannatoria, potendo egli esercitare un vaglio di merito al solo fine di emanare un’eventuale sentenza ex art. 129 co. 2 Cpp: ciò vuol dire che, una volta estinto il reato, ogni potere di accertamento in malam partem deve intendersi perento e consumato, e il suo eventuale esercizio contra reum da parte del giudice di merito finisce per travalicare le prerogative e i poteri lui assegnati dall’ordinamento processuale»27. Se, dunque, la confisca urbanistica ha natura penale, come ammesso anche dalla Corte costituzionale, per quale motivo una tale sanzione debba subire sorti diverse rispetto alle pene dell'arresto e dell'ammenda previste dall'art. 44 co. 1 lett. c) d.P.R. 38/2001 ? Non avrebbe alcun senso! Da ciò, la sentenza definitiva a cui fa riferimento l'art. 44 co. 2 d.P.R. 380/2001, come presupposto per l'applicazione della confisca urbanistica, non può che essere la sentenza di condanna dell'imputato, al pari di quanto previsto dall'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001, nel caso dell'ordine di demolizione edilizia. A tal proposito, va osservato che l'ordine di demolizione edilizia, anche solo nella prospettiva giurisprudenziale nostrana, è un quid minus rispetto alla confisca 26 Trad. It. «La Corte ha difficoltà a capire come la punizione di un imputato il cui processo non si è concluso con una condanna possa conciliarsi con l’articolo 7 della Convenzione, norma che esplicita il principio di legalità nel diritto penale». 27 G. Civello, op. cit., 11. www.lalegislazionepenale.eu 9 21.12.2015 Studi G. Stea urbanistica, poiché, da un lato, va a colpire solo il bene abusivo, a differenza della seconda che incide su tutta l'area interessata al manufatto illecito; dall'altro, può comportare l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale se tale interesse è espressamente manifestato da una deliberazione consiliare ex art. 31 co. 5 d.P.R. 380/2001, mentre nella seconda l'avocazione pubblica non è soggetta ad alcuna manifestazione di interesse; ed, infine, l'ordine demolitorio incide solo sull'aspetto del godimento del bene abusivo di cui è proprietario il condannato, mentre la confisca estingue il diritto di proprietà dello stesso, espropriandolo in favore della collettività 28. Il rapporto di continenza tra le due sanzioni ablative urbanistiche è espressione analoga della medesima relazione di gravità degli illeciti penali di riferimento29: da un lato, la previsione di cui all'art. 44 co.1 lett. b) d.P.R. 380/2001, a cui si applica la sanzione dell'ordine di demolizione e, dall'altro, la disposizione di cui all'art. 44 co.1 lett. c) d.P.R. 380/2001, che prevede la confisca. Da tale evidente interrelazione di continenza proporzionata tra le due sanzioni ablatorie urbanistiche deriverebbe, ove fosse confermata la lettura giurisprudenziale domestica, l'irragionevolezza della previsione di cui all'art. 44 co. 2 d.P.R. 380/2001, rispetto a quella di cui all'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001, per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede un vincolo di accessorietà con l'accertamento del fatto di reato, meno intenso rispetto a quello previsto per la sanzione meno grave (ordine demolitorio), così invertendo la relazione di proporzione che caratterizza, come detto, le due ipotesi sanzionatorie ablative. E, comunque, anche per violazione dell'art. 117 co. 1 Cost., in relazione al parametro interposto dell'art. 7 Cedu. Censura, come visto, respinta dalla Corte costituzionale. 7. L'ordine di demolizione edilizia, previsto dall'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001, stando alla giurisprudenza domestica, come visto, ha i caratteri pertinenziale o 28 Un aneddoto curioso (forse). La confisca punitiva o l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale hanno una ragione di interesse generale, come previsto dall'art. 42 co. 3 Cost.? È l'interrogativo che si pose il Pretore di Pianella che, con ordinanza 14.3.1969, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 79 r.d. 5.6.1939 n. 1016 (T.U. leggi sulla caccia), 236 e 240 Cp, nella parte in cui prevedono la confisca dei mezzi di caccia e di uccellagione. Il giudice pianellese lamentava che le disposizioni impugnate violassero l'art. 42 co. 2 Cost., essendo la confisca non una pena, ma una misura di sicurezza patrimoniale, cioè una espropriazione per motivi di interesse generale (sicurezza) e, dunque, avrebbe dovuto dar luogo ad indennizzo, a differenza di quanto stabiliscono le norme denunciate. La Corte costituzionale, con ordinanza 20.1.1971 n. 8, liquidò la questione affermando che «la c.d. confisca dei mezzi di caccia e di uccellagione é indubbiamente una misura strettamente conseguente ad un illecito penale commesso da chi partecipa alla caccia ("la condanna per le violazioni alla presente legge importa la confisca dei mezzi di caccia e di uccellagione", citato art. 79 T.U.), dimodoché risulta ictu oculi che un indennizzo ne sviserebbe la funzione e che perciò l'art. 42 della Costituzione é stato malamente invocato». Che già allora la Consulta avesse evidenziato la funzione sostanzialmente penale della confisca? 29 Ad onor del vero, la maggiore gravità del reato di lottizzazione abusiva (art. 44 co. 1 lett. c) d.P.R. 380/2001), stando alle pene contravvenzionali, emergerebbe solo rispetto al minimo dell'ammenda, elevato ad € 15.493,00, rispetto a quello previsto per il reato punito dall'art. 44 co. 1 lett. b) d.P.R. 380/2001, per cui il minimo della pena pecuniaria è di € 5.164,00. Le due ipotesi contravvenzionali, dunque, hanno in comune l'entità della pena detentiva (arresto fino a due anni) e quella massima dell'ammenda (€ 51.645,00). Il discrimen più significativo starebbe proprio nella previsione della confisca per il reato “più grave”, rispetto all'ordine di demolizione previsto dalla previsione “più mite”. www.lalegislazionepenale.eu 10 21.12.2015 Studi G. Stea accessorio rispetto alla sentenza di condanna penale e ablatorio sul diritto reale appartenente al condannato, ed ha la finalità prettamente tutoria del territorio e, dunque, «una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso»30. Sarebbero sufficienti già tali caratteri e finalità comuni alla confisca urbanistica per qualificare anche l'ordine demolitorio come «pena» ai sensi degli artt. 6 e 7 Cedu31, in una lettura conforme dell'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001, agli artt. 25 co. 2, 27 co. 1 e 3, e 117 co. 1 Cost. Ad ogni modo, si ritiene che l'ordine di demolizione edilizio abbia anche il carattere afflittivo, derivante da quello (pacifico) ablatorio, in chiave normocostituzionale della tutela penale, laddove si guardi al rango degli interessi sacrificati dall'intervento sanzionatorio edilizio. È indiscutibile che l'ordine demolitorio, come già più volte indicato, vada ad incidere su un aspetto (diritto di godere della res) del diritto alla proprietà privata tutelato dall'art. 42 Cost., ma anche dall'art. 17 CDFUE, nonché dall'art. 1 del Protocollo addizionale siglato a Parigi il 20.3.1952 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo32. Da ciò, l'incidenza dell'ordine demolitorio su un diritto dell'individuo di così alto rango normativo (diritto di proprietà) evidenzia il carattere particolarmente afflittivo e repressivo della sanzione irrogata. Né argomenti contrari si possono ricavare da quanto indicato dalla Corte convenzionale nel caso Sud Fondi c. Italia (§ 140), nella parte in cui i giudici euroumanitari, evidenziando la sproporzione «della confisca (85% di terreni non edificati), in assenza di un qualsiasi indennizzo, (...) rispetto allo scopo annunciato, ossia mettere i lotti interessati in una situazione di conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche», ritengono «ampiamente sufficiente prevedere la 30 P. Tanda, I reati urbanistico-edilizi, Padova 2007, 442. L'unica decisione della Corte di Strasburgo che, in maniera espressa, qualifica di natura penale l'ordine di demolizione edilizia (C. eur., 27.11.2007, Hamer c. Belgio), non offre un'approfondita analisi dei caratteri e delle finalità dell'ordine ablativo in questione, ma semplicemente, richiamando la giurisprudenza consolidata sulla nozione di pena convenzionale (§ 59 «La Cour réaffirme l'autonomie de la notion «d'accusation en matière pénale» telle que la conçoit l'article 6. Dans sa jurisprudence, elle a établi qu'il faut tenir compte de trois critères pour décider si une personne est «accusée d'une infraction pénale» au sens de l'article 6 : d'abord la qualification de l'infraction en droit interne, puis la nature de l'infraction et, enfin, la nature et le degré de gravité de la sanction encourue», conclude che «cette mesure de démolition peut être regardée comme une «peine» au sens de la Convention». 32 È pacifico, nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo che la ratio della disposizione convenzionale de qua consiste nella tutela del diritto di proprietà. In questo senso a partire da C eur., 13.3.1978, Marckx c. Belgio. Va sottolineato, comunque, che, nel silenzio della norma circa l’esatta definizione del contenuto di tale diritto, la nozione di proprietà ha assunto portata e significato autonomi rispetto agli ordinamenti nazionali, con la conseguenza che è irrilevante che il richiedente sia o meno titolare di un diritto di proprietà secondo l’ordinamento interno, essendo essenziale che l'individuo sia titolare di un diritto ovvero anche di un mero interesse purché avente valore patrimoniale. In questo senso, M.L. Padelletti, Protezione della proprietà, in Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a cura di S. Bartole, B. Conforti e G. Raimondi, Padova 2001, 804, secondo cui «il criterio del valore patrimoniale del bene viene considerato in tutti i casi esaminati dalla Corte, senza che venga tracciata una netta distinzione tra diritto strictu sensu e semplice interesse patrimoniale. Per poter qualificare un diritto patrimoniale quale “bene” ai sensi della Convenzione non appare inoltre neppure indispensabile che esso sia trasmissibile a terzi». Nella giurisprudenza convenzionale, C. eur., 7.7.1989, Tre Traktoer c. Svezia; C. eur., 25.3.1999, Affaire Iatridis c. Grecia, § 54; C. eur., 26.6.1986, Van Marle e altri c. Olanda, § 41. 31 www.lalegislazionepenale.eu 11 21.12.2015 Studi G. Stea demolizione delle opere incompatibili con le disposizioni pertinenti e dichiarare inefficace il progetto di lottizzazione», con l'effetto, si direbbe, di voler escludere la natura afflittiva dell'ordine demolitorio. È vero l'esatto opposto. In effetti, sul punto, va osservato, in primis, che, in tale passaggio della decisione nel caso Sud Fondi c. Italia, la Corte di Strasburgo sottolinea solo il carattere ingiustificatamente afflittivo, poiché sproporzionato rispetto al fatto contestato, della confisca urbanistica (nel caso concreto), ma non ricava, da tale aspetto, la natura penale della sanzione ablativa e, dunque, non esclude certamente l'afflittività dell'ordine demolitorio che, invece, ritiene proporzionato al fatto di reato contestato. Anzi, proprio la circostanza di considerare proporzionato l'ordine demolitorio al reato di lottizzazione abusiva, anziché la confisca, significa, nella ratio della decisione sovranazionale, che lo stesso ha natura penale. I giudici euroumanitari, invero, quando giungono alla valutazione espressa nel passaggio sopra richiamato, hanno già superato la questione della natura penale della confisca urbanistica, enunciata nella decisione di ammissibilità del ricorso introduttivo33, tenuto conto della sua accessorietà all'illecito penale («la Cour estime que la confiscation litigieuse se rattachait à une «infraction pénale» fondée sur des dispositions juridiques générales») ed, inoltre, del suo accertamento da parte del giudice penale («(l)a Cour note ensuite que le caractère matériellement illégal des lotissements a été constaté par les juridictions pénales»), nonché della finalità preventiva della confisca e non riparatoria («(e)n outre, la Cour observe que la sanction prévue à l’article 19 de la loi no 47 de 1985 ne tend pas à la réparation pécuniaire d’un préjudice, mais vise pour l’essentiel à punir pour empêcher la réitération de manquements aux conditions fixées par la loi»). Queste ragioni, dunque, sarebbero già sufficienti a qualificare la confisca urbanistica come «pena» secondo le garanzie convenzionali, tant'è vero che la Corte sovranazionale si limita ad aggiungere («(c)ette conclusion est renforcée»), alle peculiarità già evidenziate (accessorietà e finalità preventiva), anche il carattere particolarmente afflittivo della sanzione ablatoria sindacata e, dunque, la funzione repressiva della stessa. Ma non basta. Sul punto, è interessante quanto evidenziato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 196/2010 (già citata), in tema di confisca stradale, che, richiamando il precedente 29.5.1968 n. 53, sottolinea come «la inserzione della pena e della misura di sicurezza nell'ambito di una categoria unica» (quella generale di sanzione, intesa come «reazione dell'ordinamento alla inosservanza della norma») non abbia avuto come effetto di eliminare «quelli che sono i caratteri particolari dei due mezzi di tutela giuridica». «Nessuno sforzo di accostamento», prosegue la citata sentenza, «potrà infatti valere ad eliminare la differenza, essenziale e di natura, che nettamente si manifesta: la differenza cioè fra la reazione contro un fatto avvenuto, propria della pena, e l'attuazione, propria della misura di sicurezza, di mezzi rivolti ad impedire 33 C. eur., 30.8.2007, Sud Fondi srl c. Italia. www.lalegislazionepenale.eu 12 21.12.2015 Studi G. Stea fatti di cui si teme il verificarsi nel futuro». In questi termini, l'ordine di demolizione è certamente una reazione al reato edilizio e, dunque, già per questo ha carattere sanzionatorio assimilabile alla pena in senso stretto. Ora, l'ordine demolitorio di cui all'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001 è certamente accessorio ad un illecito criminale (art. 44 co. 1 lett. b) d.P.R. 380/2001) ed è impartito con una sentenza di condanna del giudice penale, così soddisfacendo il requisito di pertinenza richiesto (alternativamente agli ulteriori) dalla giurisprudenza euroumanitaria per qualificare una sanzione interna come «pena convenzionale». Tale requisito è ulteriormente avvalorato dalla pacifica giurisprudenza nazionale che ammette, facendo leva sulla previsione di cui all'art. 655 Cpp, la competenza del pubblico ministero a dare esecuzione all'ordine demolitorio contenuto nella sentenza di condanna34. Rebus sic stantibus, l'ordine demolitorio è «pena» anche per il diritto interno, in virtù di una lettura conforme ai dettati convenzionali ai sensi degli artt. 25 co. 2, 27 co. 1 e 3, 101 co. 2 e 117 co. 1 Cost. L'ordine demolitorio, comunque, ha anche carattere preventivo e repressivo, in quanto, secondo le parole della Corte sovranazionale, come la confisca, «ne tend pas à la réparation pécuniaire d’un préjudice, mais vise pour l’essentiel à punir pour empêcher la réitération de manquements aux conditions fixées par la loi», tanto che, in caso di inadempimento, l'ordine demolitorio viene eseguito dal pubblico ministero (al pari di qualsiasi pena, come detto), secondo le modalità prescritte dagli artt. 61 ss. d.P.R. 30.5.2002 n.115, con addebito dei relativi costi al condannato/inadempiente, così convertendosi, se si vuole, il facere imposto, in una vera e propria sanzione pecuniaria. Non va trascurato, inoltre, che, come già detto, la Corte di Strasburgo ha indicato proprio nell'ordine demolitorio la pena proporzionata per il reato di lottizzazione abusiva35, che costituisce, nel nostro ordinamento, il reato urbanistico più grave, con l'effetto che la previsione, anche per la contravvenzione edilizia meno grave (art. 44 co. 1 lett. b) d.P.R. 380/2001), della stessa sanzione ablativa, non può che sottolinearne la medesima finalità (punitiva e repressiva). È indubbia, infine, la natura strettamente personale dell'ordine ablatorio, come si ricava dall'insegnamento giurisprudenziale domestico, secondo cui «spetta al condannato per reato edilizio, in quanto destinatario dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo, l'onere di darvi esecuzione, nelle forme di rito, a propria cura e spese», a prescindere anche dall'acquisizione del bene al patrimonio comunale 36. Per tali ragioni, l'ordine di demolizione edilizia, avendo anche i caratteri di indubbia gravità e finalità repressiva37, oltre quelli pacifici di accessorietà, afflittività e 34 Cass. 7.1.2015 n. 5188, in UApp 2015, 4, 489; Cass. 17.9.2014 n. 47682, in CEDCass, m. 261166. C. eur., 20.1.2009, Sud Fondi Srl c. Italia, § 140. 36 Cass. 26.10.2011 n. 45703, in CEDCass, m. 251319; Cass. 28.11.2007 n. 4962, in CEDCass, m. 238802. 37 T. Asti, 3.11.2014, in AP 2015, 1, con nota di G. Bucchi Siena, Strasburgo chiama, Asti risponde: l'ordine di demolizione è una pena e si prescrive: «(l)'ordine di demolizione, ex art. 31, co. 9, D.lgs. 20 ottobre 2001, n. 380, alla luce dell’approccio sostanzialistico della Corte europea dei diritti dell’uomo, andrebbe qualificato come “pena” ad ogni effetto, ragion per cui come tale va qualificato dal giudice nazionale. Dalla asserita natura penale di detta sanzione discende che la stessa non può dirsi estromessa dall’ambito applicativo dell’art. 173 c.p., ma al contrario, si estingue, ai sensi della detta disposizione, ove non portata ad esecuzione nel termine quinquennale, salva ogni valutazione amministrativa della vicenda». 35 www.lalegislazionepenale.eu 13 21.12.2015 Studi G. Stea finalità ripristinatoria, va considerato sostanzialmente una «pena», secondo una lettura costituzionalmente conforme38. 8. Il sistema di controllo degli abusi edilizi e paesaggistici delineato dal legislatore è affidato essenzialmente alla pubblica amministrazione ed, in particolare, all'Amministrazione Comunale, in quanto spetta proprio al dirigente preposto, dopo l’accertamento dell’abuso edilizio o paesaggistico, emanare l’ordinanza di sospensione dei lavori e il successivo ordine di abbattimento o acquisizione alternativa al patrimonio pubblico, ed ovviamente curarne l’osservanza, o in caso contrario, l'applicazione coattiva fino agli estremi finali. L'intervento del giudice penale in materia demolitoria, seppur autonomo e non suppletivo rispetto a quello amministrativo, è condizionato all'eventualità della mancata esecuzione dell'ordine ablatorio amministrativo, come si desume dall'ultima parte dell'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001. Ma è ben noto che l'analisi prasseologica del fenomeno dell'abusivismo edilizio ha fornito risultati ben lontani dalla fattispecie idealtipica descritta, come detto, dal legislatore: sono tutt'altro che isolati, infatti, i casi in cui l'accertamento penale e, dunque, l'ordine ablatorio impartito con la sentenza di condanna anticipa l'iniziativa sanzionatoria amministrativa, così invertendo l'ipotesi legislativa di accertamento e repressione degli abusi edilizi. Da ciò, è un dato certamente acquisito che il procedimento amministrativo segue (e non precede) la sentenza irrevocabile di condanna penale. Tale evidenza fenomenica porta inevitabilmente la riflessione oggetto del contributo all'interrogativo teorico di tipo processuale (ma non solo): l'irrevocabilità della sentenza di condanna penale preclude l'accertamento amministrativo? E poi, la sentenza di proscioglimento per intervenuta estinzione dell'illecito penale quali riflessi ha sul procedimento amministrativo ancora da avviare o non ancora concluso? 8.1. L'analisi non può che partire dall'importante pronuncia nel caso Grande Stevens c. Italia, adottata dalla Corte di Strasburgo39. I giudici euroumanitari ritengono che il sistema legislativo italiano in materia di abusi di mercato, così come attualmente delineato dagli artt. 185 e 187-ter d. lgs. 24.2.1998 n. 58, parrebbe incoerente rispetto al diritto ad un equo processo (art. 6 § 1 Cedu) ed a quello a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto (art. 4 Protocollo n. 7 Cedu). Ed invero, la Corte europea dei diritti dell'uomo, nell'occasione, ha affermato che, dopo le sanzioni comminate dalla CONSOB, l’avvio di un processo penale sugli stessi fatti viola il fondamentale principio del ne bis in idem, secondo cui non si può essere giudicati due volte per lo stesso fatto: i ricorrenti, dopo essere stati sanzionati con illecito amministrativo nel 2007 dalla CONSOB, erano stati rinviati a giudizio e successivamente assolti in primo grado e condannati in appello. 38 39 In questo senso, come detto (infra, nota 31), C. eur., 27.11.2007, Sud Fondi Srl c. Italia. C. eur., 4.3.2014, Grande Stevens c. Italia. www.lalegislazionepenale.eu 14 21.12.2015 Studi G. Stea La Corte di Strasburgo accerta le violazioni convenzionali, affermando, dapprima, la natura delle sanzioni solo nominalmente amministrative per prime inflitte ai ricorrenti ed argomentando in merito che, nonostante la dichiarata qualificazione amministrativa del procedimento innanzi alla CONSOB, esse sono da considerarsi, a tutti gli effetti, come sanzioni penali. Successivamente, i giudici convenzionali accertano se i due procedimenti e relative sanzioni domestici hanno ad oggetto lo stesso fatto, onde valutarne la compatibilità con il principio di cui all’art. 4 Protocollo n. 7 Cedu. La Corte euroumanitaria, all'esito, conclude per la violazione sia dell'art. 6 Cedu, sia dell'art. 4 Protocollo n. 7 Cedu. E' necessario appuntare l'attenzione sui criteri di accertamento del medesimo fatto. L'orientamento della giurisprudenza convenzionale, confermato nel caso Grande Stevens c. Italia, è granitico nello specificare che l’art. Protocollo n. 7 Cedu deve essere inteso nel senso che esso vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo «illecito» nella misura in cui alla base di quest’ultimo vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi e che la garanzia sancita all’articolo suddetto diviene operativa quando viene avviato un nuovo procedimento e la precedente decisione di assoluzione o di condanna è già passata in giudicato. Tale lettura ermeneutica fa leva sulla ratio della norma convenzionale de qua, da ravvisarsi nella garanzia contro nuove azioni penali o contro il rischio di tali azioni, e non il divieto di una seconda condanna o di una seconda assoluzione. In altri termini, non rileva, ai fini del divieto del bis in idem convenzionale, se gli elementi costitutivi degli illeciti descritti dal legislatore siano identici, attraverso una comparazione strutturale delle fattispecie astratte, ma se il fatto ascritto all'individuo dinanzi all'autorità amministrativa e al giudice penale sia riconducibile alla stessa condotta o, meglio, al medesimo comportamento contestato. È un'esegesi che si sovrappone a quella dell'art. 649 Cpp offerta dalla Corte di legittimità nazionale in merito alla definizione di «stesso fatto giudicato» come idem factum e non come idem legale40. La Corte di Strasburgo, sul punto, richiama il precedente della Grande Camera, nel caso Sergueï Zolotoukhine c. Russia41, che ha affermato, in maniera categorica, che «l’article 4 du Protocole no 7 doit être compris comme interdisant de poursuivre ou de 40 Cass. 21.3.2013 n. 18376, in CEDCass, m. 255837, afferma che per «medesimo fatto», ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem di cui all’art. 649 Cpp, deve intendersi «identità degli elementi costitutivi del reato, con riferimento alla condotta, all’evento e al nesso causale, nonché alle circostanze di tempo e di luogo, considerati non solo nella loro dimensione storico – naturalistica ma anche in quella giuridica, potendo una medesima condotta violare contemporaneamente più disposizioni di legge». In tale pronuncia, il Collegio richiama espressamente il precedente di Cass. S.U. 28.6.2005 n. 34655, in CM 2006, (2), 239 ss., con nota di G. Leo, secondo cui «l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona». In senso conforme, da ultimo, Cass. 30.10.2014 n. 52215, in CEDCass, m. 261364; Cass. 7.3.2014 n. 32352, in CEDCass, m. 261937; Cass. 6.12.2012 n. 4103, in CEDCass, m.255078. E' un orientamento che presuppone una lettura estensiva del divieto sancito dall'art. 649 Cpp, finalizzata ad evitare un'indebita duplicazione del processo. Sul punto, vi è il conforto della giurisprudenza costituzionale, cfr. C. cost., 6.3.2002 n. 39; C. cost., 27.7.2001 n. 318. 41 C. eur. GC., 10.2.2009, Sergueï Zolotoukhine c. Russia. www.lalegislazionepenale.eu 15 21.12.2015 Studi G. Stea juger une personne pour une seconde “infraction” pour autant que celle-ci a pour origine des faits qui sont en substance les mêmes» e, dunque, precludendo la possibilità di un secondo giudizio per un illecito avente ad oggetto fatti sostanzialmente identici a quelli relativi al precedente processo. Si tratta, a ben vedere, di una giurisprudenza convenzionale che, lasciando i confini della materia processuale, si spinge oltre, appuntandosi sui limiti definitori dello stesso criterio di specialità, come strumento di distinzione degli illeciti in conflitto apparente, e preferendo una visione in concreto, rispetto a quella in astratto 42. E qui ponendosi un punto di frizione con la consolidata giurisprudenza domestica sull'esegesi dell'art. 9 l. 24.11.1981 n. 689. 8.2. In materia edilizia, la frizione tra ne bis in idem sovranazionale e doppio binario sanzionatorio penale-amministrativo è accentuata dall'espressa deroga ex art. 44 d.P.R. 380/2001 al principio di specialità previsto dall'art. 9 l. 689/1981 43. L'esclusione della specialità tra illecito amministrativo e penale e, dunque, la predisposizione di un cd. doppio binario rafforzato, che sottolinea anche l’identità in concreto del fatto punito, è stata giustificata sulla base dell'importanza e preminenza degli interessi collettivi da tutelare, onde ridurre i pericoli legati alla trasformazione ed alla modifica incontrollate del territorio e, dunque, salvaguardare la salubrità dell'ambiente, senza compromettere l’ecosistema. Gli abusi edilizi penalmente rilevanti sono, infatti, quelli in cui gli interventi modificativi del territorio sono realizzati in contrasto con le prescrizioni di legge, oppure in assenza del titolo abilitativo. Le fattispecie incriminatici in tema di urbanistica ed edilizia sono costellate da elementi normativi della fattispecie e, perciò, da riferimenti e richiami alle normative di settore o agli atti di governo del territorio. Da ciò, il diritto penale è utile a sanzionare violazioni che già costituiscono veri e propri illeciti amministrativi, legati ad uno scorretto uso del territorio e l’abuso edilizio è, ad un tempo, reato ed illecito amministrativo, in modo da offrire una tutela rafforzata alla corretta gestione del territorio, come si evince dal sistema sanzionatorio 42 Di recente, C.G.U.E. GC, 27.5.2014, C-129/14 PPU, Spasic, ha riconosciuto la compatibilità dell'art. 54 CAAS (Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen) all'art. 50 CFDUE, osservando, in particolare (§ 55), che «la condizione supplementare contenuta all’articolo 54 della CAAS costituisce una limitazione del principio del ne bis in idem che è compatibile con l’articolo 50 della Carta, in quanto tale limitazione rientra nell’ambito delle spiegazioni relative alla Carta con riferimento a quest’ultimo articolo alle quali rinviano direttamente le summenzionate disposizioni degli articoli 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e 52, paragrafo 7, della Carta». L'art. 54 CAAS stabilisce: «(u)na persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge della parte contraente di condanna, non possa più essere eseguita». La giurisprudenza comunitaria si allinea alla lettura euroumanitaria del concetto di «medesimo fatto», cfr. ex multis, C.G.U.E. 18.7.2007, C-288/05, Kretzinger; in dottrina, con ampia analisi della giurisprudenza convenzionale e comunitaria, J.A.E. Vervaele, Multilevel and multiple punishment in Europe. The ne bis in idem principle and the protection of human rights in Europe’s area of freedom, security and justice, in Multilevel Governance in Enforcement and Adjudiciation, a cura di A. van Hoek, Antwerpen 2006, 1-24; C.M. Paolucci, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, Torino 2011, 744 ss. 43 Così anche C. cost., 20.7.1995 n. 341. In materia di reati paesaggistici, con la medesima tecnica legislativa, come detto, l'art. 181 d. lgs. 42/2004. www.lalegislazionepenale.eu 16 21.12.2015 Studi G. Stea delineato dagli artt. 30 ss. e 44 d.P.R. 380/2001 (in materia urbanistica) e 167 e 181 d. lgs. 22.1.2004 n. 42 (in materia paesaggistica). Ora, tale doppio sistema sanzionatorio in materia edilizia (ma anche paesaggistica) costituisce un'evidente situazione di contrasto con l'art. 4 del Protocollo n. 7 Cedu, ma anche con l'art. 50 CDFUE 44 e, dunque, con l'art. 117 co. 1 Cost.: secondo la lettura sovranazionale del divieto del bis in idem è certamente inammissibile un secondo procedimento sanzionatorio, una volta intervenuto un giudicato (o un provvedimento amministrativo definitivo) per lo «stesso fatto» che, come visto, costituisce illecito penale, ma anche amministrativo. Ma se la lettura sovranazionale del ne bis in idem si porta alle estreme conseguenze, passando dal piano processuale, a quello sostanziale, la stessa deroga ex art. 44 d.P.R. 380/2001 alla specialità (anche solo) astrattamente prevista tra illecito amministrativo e penale dall'art. 9 l. 689/1981, in materia edilizia, ammettendo così il concorso tra i due illeciti, sarebbe manifestamente incostituzionale per violazione degli artt. 11 e 117 co. 1 Cost., in relazione agli artt. 6 TUE e 50 CDFUE, oltre che all'art. 4 del Protocollo n. 7 Cedu, poiché il fatto concreto a base dei due illeciti è certamente il «medesimo». In altri termini, la previsione di cui all'art. 44 d.P.R. 380/2001 esclude ab origine un potenziale conflitto tra illecito penale e amministrativo, così, sempre astrattamente, non consentendo il richiamo del criterio di specialità per la selezione della disposizione sanzionatoria (penale o amministrativa) da applicare. Ponendosi così di traverso rispetto al ne bis in idem sostanziale ricavabile dalla lettura giurisprudenziale euroumanitaria45. Si è già detto, però, che tra illecito penale e illecito amministrativo urbanistico vi è una perfetta coincidenza ove si confrontino le disposizioni sanzionatorie (di diversa natura), anche solo in astratto, alla stregua del costante orientamento domestico sull'art. 9 l. 689/198146. Non potendosi applicare il criterio dirimente previsto dalla 44 Una delle ragioni difensive proposte alla Corte di Strasburgo, proprio nel caso Grande Stevens c. Italia, dal Governo italiano riguardava il rilievo che sarebbe stato proprio il diritto dell’Unione europea ad aver autorizzato il ricorso a una doppia sanzione (amministrativa e penale) nell’ambito della lotta contro le condotte abusive sui mercati finanziari, attraverso la disposizione di cui all’articolo 14 della direttiva 2003/6, secondo quanto indicato da C.G.U.E. GC, 23.12.2009, C-45/08, Spector Photo Group NV e altri. Altro argomento difensivo del Governo italiano è stato l'importante indicazione fornita da C.G.U.E. GC, 26.2.2013, C-617/10, Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, in materia di imposta sul valore aggiunto, secondo cui: «(l)e principe ne bis in idem énoncé à l’article 50 de la charte des droits fondamentaux de l’Union européenne ne s’oppose pas à ce qu’un État membre impose, pour les mêmes faits de non-respect d’obligations déclaratives dans le domaine de la taxe sur la valeur ajoutée, successivement une sanction fiscale et une sanction pénale dans la mesure où la première sanction ne revêt pas un caractère pénal, ce qu’il appartient à la juridiction nationale de vérifier». A tal proposito, la Corte convenzionale, pur precisando che non spetta alla stessa interpretare la giurisprudenza eurounionista, ha rilevato come la Corte di Lussemburgo, nell'occasione, ha solo precisato che, in virtù del principio del ne bis in idem, uno Stato può imporre una doppia sanzione (fiscale e penale) per gli stessi fatti solo a condizione che la prima sanzione non sia di natura penale. 45 Negli stessi termini per il reato paesaggistico. 46 Si è già segnalato che la specialità tra norma penale e quella amministrativa in apparente conflitto va risolta con una comparazione strutturale tra fattispecie astratte, così come indicato dalle Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. 28.10.2010 n. 1963, in FI 2011, 12, 2, 682; Cass. S.U. 20.12.2005 n. 47164, con nota di G. Stea, Ricettazione e commercio di opere d'autore illecitamente riprodotte - La consunzione nel conflitto apparente di norme in relazione strumentale, in RP, 5, 2007, 532-546). Per dare maggiore conforto a tale comparazione strutturale e, dunque, evidenziare la differenza del fatto oggetto dell'incriminazione penale e dell'illecito amministrativo, la giurisprudenza di legittimità fa sempre più spesso riferimento all’oggettività giuridica per risolvere il concorso www.lalegislazionepenale.eu 17 21.12.2015 Studi G. Stea disposizione appena richiamata (non sussistendo alcuna ipotesi di specialità tra le norme, ma di identità in concreto tra le stesse) e dubitando della soluzione della prevalenza della norma penale su quella amministrativa (non rientrando nel capoverso della stessa disposizione e non potendosi applicare un criterio diverso per risolvere il conflitto47), dovrebbe porsi il problema della doppia incriminazione «sistematica» dell'illecito edilizio. Così la frizione della deroga di cui all'art. 44 d.P.R. 380/2001 all'art. 9 l. 689/1981 con il divieto del bis in idem sostanziale, si sposta sulla stessa previsione dell'art. 9 l. 689/1981, nella parte in cui non prevede la prevalenza dell'illecito penale su quello amministrativo, sempre in una prospettiva esegetica convenzionale. Si replica così in campo edilizio, lo scenario previsto nel market abuse già sanzionato dalla Corte di Strasburgo48. 8.3. Tradizionalmente, i reati edilizi, come quelli paesaggistici, sono reati di pericolo astratto (o presunto) e permanenti, con l'effetto che sono perfetti già con l'inizio dell'attività abusiva e si consumano quando tale attività cessa per volontà del reo o per imposizione della pubblica autorità. «La permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l'accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado» 49. Il termine di prescrizione, dunque, inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza e, trattandosi di ipotesi contravvenzionale, è fissato in quattro anni. La cronica inerzia della pubblica amministrazione nella vigilanza sull'attività urbanistico-paesaggistica determina che la segnalazione all'autorità giudiziaria pervenga ad opera già ultimata50 e, dunque, ad illecito già prescritto o in prossimità dello spirare del termine, con l'ovvia conseguenza che spesso il giudice penale proscioglie l'imputato per intervenuta prescrizione e, come già evidenziato, essendogli preclusa la possibilità di imporre la demolizione dell'abuso, in virtù di quanto previsto dall'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001 (che richiede una sentenza di condanna) 51. L'illecito amministrativo in materia urbanistico-edilizia è notoriamente eterogeneo di norme penali ed amministrative (ex multis, Cass. Civ. 16.2.2009 n. 3745, in CEDCass, m. 606555). L'orientamento che riferisce al principio di specialità un criterio in concreto di risoluzione del problema della convergenza di norme penali ed amministrative (per tutte Cass. 20.2.1995 n. 3467, in CP 1996, 1956) è certamente minoritario, ma andrà rivalutato nella prospettiva sovranazionale. 47 La disposizione di cui all'art. 9 l. 689/1981, a differenza di quanto previsto dall'art. 15 Cp, non consente di introdurre altri criteri di soluzione del conflitto apparente, come, ad esempio, quello di consunzione, a prescindere dalla severa abiura di illegittimità sancita dalla Sezioni Unite (cfr. Cass. SU, 20.12.2005, cit.). 48 Invero, la situazione astratta è invertita, ma sul piano empirico l'effetto è certamente identico: nella disciplina del market abuse è la disposizione che prevede l'illecito amministrativo a fare salve le sanzioni penali. 49 Cass. 6.5.2014 n. 29974, in CEDCass, m. 260498; Cass. 25.9.2001 n. 38136, in CEDCass, m. 220351. 50 Cass. 17.9.2014 n. 48002, in CEDCass, m. 261153: «(i)n tema di reati edilizi, deve ritenersi "ultimato" solo l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorché accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l'ultimazione dell'immobile abusivamente realizzato, coincidente generalmente con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni». 51 Anche l'ultimo comma dell'art. 181 d. lgs. 42/2004 prevede la stretta accessorietà dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, alla sentenza di condanna. www.lalegislazionepenale.eu 18 21.12.2015 Studi G. Stea imprescrittibile. «L'ordinamento non assoggetta ad un regime di prescrizione l'esercizio dei poteri di controllo e di sanzione da parte delle amministrazioni competenti in materia urbanistico-edilizia e paesistica. L'accertamento dell'illecito amministrativo urbanistico-edilizio e paesaggistico, nonché applicazione delle relative sanzioni, come pure la verifica in sede di condono della sussistenza di eventuali profili preclusivi di incompatibilità, possono intervenire anche dopo il decorso di un rilevante lasso temporale dalla consumazione dell'abuso, al quale deve riconoscersi natura permanente, con la conseguenza che esso cessa soltanto dopo la materiale esecuzione della sanzione»52. Ora, in un tale contesto prasseologico, è altamente probabile che, dopo una sentenza penale che dichiari l'estinzione del reato edilizio, la pubblica amministrazione impartisca l'ordine di demolizione dell'abuso, accertando l'illecito amministrativo. Si tratta di un'ipotesi di violazione del ne bis in idem sovranazionale? Per rispondere all'interrogativo teorico, è necessario, dapprima, sciogliere l'arcano sulla ratio della prescrizione penale. 8.3.1. Le teoretiche sulla funzione del decorso del tempo nel diritto penale hanno interessato da sempre la dogmatica: si è passati dalla elaborazione di impostazioni concettuali incentrate sulla esaltazione di una ratio unica dell’istituto (che le varie teorie hanno variamente identificato in questo o quel fattore) ad un approccio multifattoriale, sino a giungere ad una prospettiva metodologica incentrata sullo stretto collegamento del fondamento della prescrizione con le finalità della pena. Ed in questa sede, non si può che partire dal punto di arrivo. Non si può individuare una ragione immanente53, che trascenda il vigente contesto normativo nel quale l’istituto della prescrizione è calato; il fondamento non può che essere relativo, in quanto necessariamente storicizzato. Da tale premessa, si può affermare che la ratio della prescrizione del reato va ravvisata nella funzione di prevenzione generale positiva della pena54, che ne valorizza gli aspetti più legati alle dinamiche sociali ed, in particolare, nell'esigenza di pacificazione che la sanzione criminale asseconda in una società democratica, confermando nel tessuto sociale la vigenza della norma infranta55. La funzione generalpreventiva positiva (o integratrice) 52 C. Stato 8.4.2014 n. 1650, Sa.Ma. c. Comune di Casapulla (inedita); C. Stato 24.11.2014 n. 5792, in QuotG, 2014, 656 53 P. Pisa, Prescrizione – f) Diritto penale, in ED, XXXV, Milano 1986, 81. 54 Per un approfondimento delle tematiche connesse alle finalità della pena, F. Palazzo, Introduzione ai princìpi del diritto penale, Torino 1999, 1 ss. 55 Nella lettura di Günther Jakobs, il diritto penale del nemico (Feindstrafrecht) – come evidenzia L. Cornacchia, La moderna hostis iudicatio tra norma e stato di eccezione, in Serta iuridica, a cura di F. Lamberti, N. De Liso, E. Sticchi Damiani e G. Vallone, Scritti dedicati dalla Facoltà di Giurisprudenza a Francesco Grelle, Napoli 2011, 114, già Id., La moderna hostis iudicatio entre norma y estado de excepción, Centro de Estudios Constitucionales, 94, Madrid 2008, 71, 110 – rappresenta la conseguenza di una precisa considerazione del ruolo che assume l'effettività nella validazione delle norme dell'ordinamento: una norma vigente, corretta dal punto di vista formale e materiale, che tuttavia non sia stabilizzata nella realtà sociale in modo tale da poter essere confermata controfattualmente in caso di sua violazione – attraverso la definizione del comportamento deviante del soggetto che viola la norma, e non l'aspettativa normativa, come motivo del conflitto – è diritto astratto, puro feticcio, fino a quando non vi sia un minimo di effettività. Mentre, dunque, per il diritto penale del nemico, la pena è pura privazione dello ius civis, dello status di cittadino, per il diritto penale del cittadino www.lalegislazionepenale.eu 19 21.12.2015 Studi G. Stea della pena è utile anche a dare un significato positivo all'area della non-punibilità, laddove si concentrano istituti del diritto penale che, a vario titolo, escludono l'applicazione della pena, «pur di fronte all'autore di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole»56. Tale ambiente teorico diviene ancora più congeniale per favorire la ricomposizione della frattura sociale innescata dal fatto delittuoso, ove si guardi al solo scopo rieducativo della pena, come voluto dall'ordinamento domestico (art. 27 co. 3 Cost.), in cui anche il non-punire deve acquisire un valore risocializzante. In maniera significativa, si è detto che «la non-punibilità rappresenta (…) la zona dell'inutilità funzionale della pena, (…) vuoi per la particolarità della fattispecie concreta, vuoi per la personalità dell'autore, vuoi ancora (…) per il decorso di un ampio lasso di tempo proporzionato al disvalore dell'illecito»57. Dal punto di vista collettivo, la risposta punitiva tardiva non è utile a confermare la vigenza della norma e, quindi, a reintegrare il senso di sicurezza sociale dei consociati, poiché la società è mutevole e si adatta ad una frattura non immediatamente ricomposta in relazione all'intensità dell'offesa patita, così perdendosi nella memoria dell'ordinamento l'interesse confermativo della validità della norma violata: «il tempo ha fatto cessare il danno sociale mercè la presunta oblivione della delinquenza; la quale conduce alla cessazione della impressione morale nata dalla medesima, sia sui buoni in cui è cessato il timore, sia sui malvagi nei quali non ha più forza il malo esempio. Cessato il danno politico si rende inutile la riparazione penale»58. Dal punto di vista del cittadino (o individuale), la tempestiva punizione del fatto commesso costituisce certamente il corretto modo di intervenire sullo stesso per reintegrarlo nel tessuto sociale. Già Beccaria sosteneva che i «delitti atroci» e «i delitti minori ed oscuri devono togliere colla prescrizione l’incertezza della sorte di un cittadino, perché l’oscurità in cui sono stati involti per lungo tempo i delitti toglie l’esempio dell’impunità, rimane intanto il potere al reo di divenir migliore» 59. Ma non (Bürgerstrafrecht), di contro, la pena è sì afflizione, ma in funzione di garanzia della vigenza della norma. Nella bibliografia si segnala, naturalmente, G. Jakobs, Derecho penal del ciudadano y derecho penal del enemigo, in Derecho penal del enemigo, a cura di G. Jakobs e M. Cancio Melià, Madrid 2003, 41 ss.; Id., Bürgerstrafrecht und Feindstrafrecht, in Höchstrichterliche Rechtsprechung Strafrecht, 2004, 88 ss., Id., Diritto penale del nemico, in Diritto penale del nemico. Un dibattito internazionale, a cura di M. Donini e M. Papa, Milano 2007, 5, fra gli ultimi; nella letteratura italiana, M. Donini, Il diritto penale di fronte al nemico, in CP 2006, 772; Id., Diritto penale di lotta v. diritto penale del nemico, in Delitto politico e diritto penale del nemico. Nuovo revisionismo penale, a cura di A. Gamberini e R. Orlandi, Bologna 2007, 131; F. Resta, Nemici e criminali. Le logiche del controllo, in IP 2006, 181 ss.; R. Bartoli, Lotta al terrorismo internazionale. Tra diritto penale del nemico, jus in bello del criminale e annientamento del nemico assoluto, Torino 2008, 10; F. Palazzo, Contrasto al terrorismo, diritto penale del nemico e diritti fondamentali, in Quot. Giur. 2006, 667 ss.; G. Insolera, Terrorismo internazionale tra delitto politico e diritto penale del nemico, in DPP 2006, 895 ss.; R. Kostoris, Processo penale, delitto politico e diritto penale del nemico, in RDP 2007, 293; F. Zumpani, Critica del diritto penale del nemico e tutela dei diritti umani, in Diritto & Questioni Pubbliche 2010 (10), 526 ss. 56 F. Giunta – D. Micheletti, Tempori cedere – Prescrizione del reato e funzioni della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, Torino 2003, 42. 57 F. Giunta – D. Micheletti, op. cit., 42-43. 58 F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale5, I, Lucca 1887, 43859 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene. Consulte criminali5, con introduzione e note a cura di G. Armani, Milano 1995, 69. Ad una lettura superficiale, invero, dell'opera di Beccaria, i delitti atroci potrebbero sembrare imprescrittibili. Non pare così dall'attenta analisi del Capitolo XXX Processi e Prescrizione, laddove si legge: www.lalegislazionepenale.eu 20 21.12.2015 Studi G. Stea basta. Se si radicalizza l'osservazione sullo stretto legame tra personalità e finalismo rieducativo, che ha portato all'elaborazione della colpevolezza, si può arrivare ad affermare, ancora oggi, che «il decorso del tempo scava una lacuna incolmabile, eliminando il nesso psicologico tra il fatto e l’agente», con l'effetto che la pena perde la sua ragione funzionale, ma anche il suo valore intimidatorio 60. E tanto nella prospettiva, ormai superata, della colpevolezza psicologica, ma anche di quella normativa per cui un rimprovero a distanza di tempo dal fatto perde, allo stesso modo, ogni relativa caratterizzazione funzionale. Nell'ottica strettamente personalistica, infine, lo iato temporale (lungo) tra pena e fatto colpisce «un soggetto diverso da quell’autore del reato medesimo. Il tempo ne può avere radicalmente modificato la stessa identità biologica e certamente quella psico-fisica, risolvendosi la responsabilità in contrasto con il profondo significato» dell'art. 27 Cost.61. Ulteriore argomento da considerare per individuare la ratio (relativa) della prescrizione del reato, è costituito dalla natura sostanziale dell'istituto ed, in particolare, dall'espressa collocazione tra le cause di estinzione del reato 62. Estinguere, cancellare, annullare, dimenticare. Il reato, inteso come danno sociale, con il passare di un certo lasso proporzionato di tempo, svanisce nelle maglie del tessuto democratico63. Tuttavia, è evidente che la perdita di memoria dell'offesa sociale costituisce la componente prevalente della ratio della prescrizione del reato, tenuto conto dell'imprescrittibilità dei delitti contro l'umanità e, comunque, puniti con l'ergastolo, per cui, in astratto, varrebbero le ragioni personalistiche di inutilità della pena sopra «quei delitti atroci, dei quali lunga resta la memoria negli uomini, quando sieno provati, non meritano alcuna prescrizione in favore del reo che si è sottratto colla fuga». Qui pare che l'Autore faccia riferimento, in primis, alla prescrizione della pena per i delitti atroci, in quanto fa espresso richiamo all'intervenuto accertamento degli stessi («...quando sieno provati…») e, poi, alla circostanza che il condannato si sia sottratto all'esecuzione della pena stessa («...in favore del reo che si è sottratto colla fuga…»). Conferma di tanto si ha nel successivo passo, in cui l'Autore afferma che «la massima differenza di probabilità di queste due classi esige che si regolino con diversi principii: nei delitti più atroci, perché più rari, deve sminuirsi il tempo dell'esame per l'accrescimento della probabilità dell'innocenza del reo, e deve crescere il tempo della prescrizione, perché dalla definitiva sentenza della innocenza o reità di un uomo dipende il togliere la lusinga dell'impunità, di cui il danno cresce con l'atrocità del delitto». Conforto a tale lettura si ritrova in A. Paolini, Dei delitti e delle pene del Marchese Cesare Beccaria con l'aggiunta di un esame critico dell'Avv.to Aldobrando Paolini, IV, Firenze 1821, 186-187, che, criticando le indicazioni del Beccaria, osserva: «(q)uanto poi all'accrescimento della prescrizione, nego che i delitti atroci abbiano o meritino veruna prescrizione, toltone quella che potrebbe far godere ai medesimi la grazia e la clemenza del principe; ed allora non si potrebbe chiamare prescrizione, se non abusivamente». 60 Per un'ampia declinazione delle teoretiche sul fondamento della prescrizione nel XIX° secolo, V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, cit., 530 ss. Con particolare riferimento alla teoria psicologica di matrice tedesca, S. Lourié, Die Kriminalverjährung, Breslau 1914, 60 ss. Si sono ampiamente occupati del tema della prescrizione agli inizi del '900, C. Grassi, Trattato della prescrizione penale, Catania 1910, 1 ss.; G. Penso, La prescrizione penale, parte I: i principii, Messina 1939, 83, 104 ss., 132 ss. 61 L. Stortoni, Prescrizione e irretroattività fra diritto e procedura penale, in FI 1998 (V), 321-322. 62 Nel Codice Zanardelli, la prescrizione costituiva una causa di estinzione dell'azione penale. 63 Conforto a tale impostazione si legge in una recente pronuncia della Corte costituzionale (25.3.2015 n. 45), secondo cui la prescrizione del reato «è legata, tra l’altro, sia all’affievolimento progressivo dell’interesse della comunità alla punizione del comportamento penalmente illecito, valutato, quanto ai tempi necessari, dal legislatore, secondo scelte di politica criminale legate alla gravità dei reati, sia al “diritto all’oblio” dei cittadini, quando il reato non sia così grave da escludere tale tutela». www.lalegislazionepenale.eu 21 21.12.2015 Studi G. Stea evidenziate, sulle quali, però, prevale la perdurante memoria collettiva dell'atrocità criminale. La conseguenza logica delle qui tracciate argomentazioni è quella di considerare il tempo come incidente sulla stessa tipicità del fatto, facendo estinguere l'offesa sociale64. La ratio contemporanea della prescrizione del reato è la necessità che la pena conservi la sua utilità collettiva come confermativa della validità della norma violata, ma anche per favorire il reingresso sociale del reo, come conquista positiva per la comunità democratica. Tale concezione della prescrizione del reato non pare venire meno neanche se si rapporta con le dinamiche dell'accertamento processuale, a cui appartengono gli istituti della sospensione e dell'interruzione, ma anche la stessa rinuncia alla prescrizione da parte dell'imputato, che evidentemente afferiscono al diritto alla ragionevole durata del processo previsto nell'art.111 Cost., mentre il diritto all'oblio, a cui si crede appartenga il fondamento storico della prescrizione, si colloca nell'art.2 Cost. 8.3.1.1 E qui sia consentita, nell'economia dello scritto, una necessaria riflessione sull'importante e recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che, come noto, ha imposto la disapplicazione della disciplina processuale della prescrizione nostrana in materia di reati tributari aventi ad oggetto l’IVA65, al fine di renderli effettivi e dissuasivi. L’importante decisione della Corte di Lussemburgo fa perno essenzialmente su due questioni fondamentali: l’una, relativa alla novità dell'incidenza dell’obbligo di penalizzazione imposto dall’art.325 TrFUE, con particolare riferimento al «principio della sanzione adeguata», ma anche a quello «dell’assimilazione», nel sindacato eurogiurisdizionale sulla discrezionalità penale del legislatore interno, non limitato alla sanzione dello Stato inadempiente, ma con conseguenze dirette sulla responsabilità penale del cittadino-imputato; l’altra, riguardante la valutazione della «gravità» della frode fiscale in concreto, come condizione di operatività dell’obbligo di disapplicazione del combinato disposto degli artt.160 e 161 Cp, rimesso espressamente alla valutazione del giudice interno. La prima questione porrebbe, almeno dal punto di vista interno, un problema di frizione con il principio di legalità domestico in materia penale, nella sua dimensione della riserva di legge statale, per cui solo il legislatore nazionale può porre nell'ordinamento delle norme di natura penale. Tale eccezione non può essere 64 Argomenti favorevoli paiono venire da C. cost. 22.7.2011 n.236, che tracciando il confine dell'art.7 Cedu, riferendosi alla prescrizione del reato, evidenzia che il principio di retroattività della lex mitior, riconosciuto nel caso Scoppola (cfr. C. eur., GC, 17.9.2009, Scoppola c. Italia), riguarda «esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, mentre sono estranee all’ambito di operatività di tale principio, così delineato, le ipotesi in cui non si verifica un mutamento, favorevole al reo, nella valutazione sociale del fatto, che porti a ritenerlo penalmente lecito o comunque di minore gravità». La prescrizione, dunque, incide sull'offesa sociale. 65 C.G.U.E. GC, 8.9.2015, C-105/14, Taricco, che «denuncia l’insostenibilità della disciplina vigente della prescrizione (e in particolare, la previsione di un termine massimo pur in presenza di atti interruttivi) nella misura in cui tale meccanismo determina in pratica la sistematica impunità delle frodi in materia di IVA, lasciando così senza tutela adeguata gli interessi finanziari non solo dell’erario italiano, ma anche – ed è quanto importa ai giudici europei – quelli dell’Unione», così F. Viganò, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA ? Primato del diritto UE e nullum crimen sine lege in una importante sentenza della Corte di giustizia, in www.penalecontemporaneo, 14.9.2015 www.lalegislazionepenale.eu 22 21.12.2015 Studi G. Stea condivisa, in quanto la tradizionale definizione di legge, a cui fa riferimento l'art.25 co.2 Cost., non può non essere letta in combinato disposto con l'art.117 co.1 Cost., con l'effetto che le norme penali possono essere poste nell'ordinamento interno in virtù di un obbligo eurounitario o, meglio, la legge penale nazionale deve essere interpretata e applicata conformemente al diritto europeo. Da ciò, non si crede che l'intervento in commento della Corte europea abbia significativamente leso le prerogative del legislatore interno. La soluzione interpretativa offerta dalla Corte sulla disciplina dell'interruzione della prescrizione del reato, al fine di garantire l'effettività delle sanzioni penali in tema di frode fiscale, va condivisa e non lede la dimensione del divieto di retroattività in malam partem per l'imputato, perché gli aspetti processuali della prescrizione, come detto, non incidono sulla tipicità sostanziale del reato, ma solo sul suo termine massimo di accertamento in giudizio. La seconda questione (valutazione della gravità della frode da parte del giudice interno ai fini della disapplicazione della disciplina processuale della prescrizione) è, di contro, contraria non al principio di legalità sostanziale, ma a quello processuale ex art.111 Cost.66, nonché al diritto di difesa: il giudice nazionale, infatti, è chiamato dalla Corte lussemburghese a valutare, caso per caso, la gravità della frode fiscale, ai fini del rispetto dell'art.325 TrFUE e, dunque, nell'ipotesi affermativa, a disapplicare gli artt.160 e 161 Cp che, come detto, riguardano aspetti processuali della prescrizione nostrana. La valutazione di gravità del reato, in questo caso, non incide sulla sua tipicità sostanziale, ma sulla procedibilità dell'azione penale (argomentando dall'art.531 Cpp), perché l'allungamento del termine di prescrizione (rectius, del termine per la dichiarazione della prescrizione del reato) è previsto solo per consentire l'accertamento della colpevolezza dell'imputato nonostante le dinamiche processuali67. Ma tale opzione lascia nell'assoluta indeterminatezza la conoscibilità preventiva di una regola processuale che sarebbe rimessa all'arbitraria decisione, caso per caso, del giudice e, pertanto, la scelta ermeneutica imposta dalla Corte lussemburghese manifesta pienamente la sua incompatibilità con il nostrano sistema vigente68. Per il resto, è indubbio che l'intervento della Corte di Giustizia appare superficiale nella stessa valutazione della prescrizione del reato nel corso del processo come soluzione premiale per l'imputato69, così tralasciando tutte le considerazioni storico-filosofiche che costituiscono l'humus in cui affondano le radici di un istituto penale che afferisce a diritti fondamentali dell'essere umano ex art.2 Cost. Si consideri anche la profonda frattura che tale pronuncia determina nel sistema penale tutto, con particolare riguardo alla valutazione della proporzione dell'intervento punitivo 66 O. Mazza, I diritti fondamentali dell'individuo come limite della prova nella fase di ricerca ed in sede di assunzione, in DpenCont 2013, 3, 10 67 Per una disamina delle problematiche relative alla distinzione tra prescrizione del reato e prescrizione dell'azione, con riferimento anche a soluzioni legislative nell'ordinamento spagnolo e portoghese, F. Giunta, D. Micheletti, op. cit., 97 ss. 68 In relazione al principio di legalità ex art.25, co.2, Cost., invece, fra le autorevoli voci, L. Eusebi, Nemmeno la Corte di Giustizia dell'Unione Europea può erigere il giudice a legislatore, in www.penalecontemporaneo.it, 10.12.2015 69 G. Civiello, La sentenza “Taricco” della Corte di Giustizia UE: contraria al Trattato la disciplina italiana in tema di interruzione della prescrizione del reato, in www.archiviopenale.it, 18.9.2015 www.lalegislazionepenale.eu 23 21.12.2015 Studi G. Stea statale70 (l'imprescrittibilità processuale della frode fiscale sarebbe pari a quella per un omicidio volontario aggravato od, in genere, a tutti i delitti «atroci» puniti con l'ergastolo). In attesa di un necessario intervento del legislatore domestico, è possibile che la Corte costituzionale71, chiarendo la portata storica della prescrizione del reato nel nostro sistema e l'impatto sull'assetto costituzionale, investa di una nuova (e più completa) questione pregiudiziale ex art.267 TrFUE la Corte di Lussemburgo, prendendo spunto magari dalle generiche valutazioni che la stessa Corte europea rimette al giudice interno. 8.3.2 L'inerzia della pubblica amministrazione nell'accertamento dell'illecito urbanistico-paesaggistico può determinare l'impossibilità di sanzionare l'abuso edilizio. È un rischio. L’indicazione offerta dalla Corte di Strasburgo è perentoria ed univoca: una volta chiuso con provvedimento definitivo il primo procedimento di natura sostanzialmente penale (comunque qualificato dall’ordinamento nazionale), la pendenza di un secondo processo avente ad oggetto gli stessi fatti è lesivo del diritto fondamentale al ne bis in idem di cui all’art. 4 del Protocollo n.7 Cedu. Anche in caso di sentenza penale che dichiara la prescrizione del reato72, perché, come visto, il decorso del tempo estingue il disvalore sociale del fatto, la sua tipicità (sostanziale). Tale ipotesi si porrebbe in insanabile contrasto con l'ordinamento? porterebbe ad una strutturale e grave situazione di impunità diffusa? Forse sì, se la pubblica amministrazione non ottempera all'obbligo di vigilanza del proprio territorio. Ed invero, è sufficiente evidenziare che il dirigente comunale, accertato l'illecito, dispone la sospensione dei lavori ed ordina la demolizione dell'abuso in un termine massimo di novanta giorni. Salvo ipotesi di illegittimità del procedimento, rilevate dal giudice amministrativo (anche solo in via cautelare), l'iter amministrativo, dunque, si può concludere in massimo novanta giorni. Da ciò, appare evidente che l'inerzia della pubblica amministrazione non può costituire un contro-limite ostativo per conformare il sistema punitivo urbanisticopaesaggistico alle indicazioni sovranazionali, proprio perché la normativa di riferimento delinea un apparato idealtipico (potenzialmente) efficiente per la tempestiva repressione del fenomeno dell'abusivismo edilizio. Ciò che desta perplessità è la sproporzione (in difetto) tra il termine di prescrizione del reato edilizio e l'alto rilievo costituzionale degli interessi collettivi che si intendono tutelare (territorio, ecosistema, salute). È indubbio che l'ipotesi contravvenzionale consente un più facile accertamento (anche solo dal punto di vista soggettivo), ma, in un tale contesto prasseologico e, quindi, il serio pericolo di una impunità diffusa del fenomeno alla stregua della lettura convenzionale, de iure 70 M. Serraino, Non ogni giorno che passa è un giorno che si aggiunge al libro dell'oblio. La Corte di Giustizia disvela la doppiezza della disciplina interna in materia di prescrizione, in www.lalegislazionepenale.eu, 26.10.2015 71 La questione di legittimità costituzionale della legge di esecuzione del Trattato dell'Unione europea (art.2 l. 2.8.2008 n.130) è stata sollevata da App. Milano, 18.9.2015 (ord.), in www.penalecontemporaneo.it, 21.9.2015 72 Per l'assimilazione della sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato alla sentenza definitiva per il divieto di bis in idem, già C.G.U.E. 28.9.2006, C-467/04, Gasparini. www.lalegislazionepenale.eu 24 21.12.2015 Studi G. Stea condendo, si potrebbero trasformare gli illeciti urbanistico-paesaggistici in ipotesi delittuose, da punire anche a titolo di colpa73. Poi, andrebbe prevista una disposizione incriminatrice speciale di omissione d'atti d'ufficio per il dirigente comunale inerte nell'attività di vigilanza in materia urbanistico-paesaggistica. Tornando al presente, è evidente, d'altro canto, che il tempestivo avvio del procedimento amministrativo precluderebbe l'azione penale sempre in virtù del superiore principio del ne bis in idem. E qui, poi, si porrebbe il problema della compatibilità del procedimento amministrativo di accertamento dell'illecito urbanistico-paesaggistico con gli artt. 6 e 7 Cedu. 8.4 La prima problematica di incompatibilità tra il sistema sanzionatorio amministrativo in materia urbanistico-paesaggistica, ormai attratto nel regime garantistico convenzionale, in virtù della natura sostanzialmente penale delle relative sanzioni (in primis, l'ordine di demolizione e di ripristino dei luoghi), e gli artt. 6 e 7 Cedu, va identificata nella ritenuta imprescrittibilità del relativo illecito. Ed invero, il decorso del tempo per la non-punibilità costituisce un diritto del cittadino riconosciuto a livello sovranazionale (art. 14 co. 3 lett. c) del Patto dei diritti civili e politici) e, dunque, interno, come già evidenziato e, tenuto conto che il fatto concreto è identico dal punto di vista amministrativo e penale, il lasso temporale estingue l'offesa e, dunque, la tipicità74. Sanzionare un fatto socialmente inoffensivo è, quindi, una contraddizione evidente che non necessita di alcun commento. Si potrebbe obiettare che gli illeciti urbanistico-paesaggistici hanno una caratteristica che li distingue da tutti gli altri illeciti: la permanenza degli effetti. Un'opera abusiva in un quadro paesaggistico qualificato costituisce un vulnus permanente al valore tutelato dell'equilibrato e corretto uso del territorio ed, in particolare, delle bellezze naturali. Se tanto è vero, è anche vero che l'interrogativo riguarda l'ipotesi di prescrizione del fatto illecito e, dunque, se, nel bilanciamento degli interessi in gioco (territorio, da un lato, e oblio, dall'altro), l'inerzia della pubblica amministrazione possa essere ignorata. Tale ignavia della pubblica amministrazione, in un sistema democratico che si fonda su un sinallagma sociale (Sozialvertrag) tra Stato e cittadino, come detto, non può certamente giustificare una normativa (anche di fattura giurisprudenziale) che sacrifichi diritti fondamentali come quello di «essere giudicato senza ingiustificato 73 L'art. 181 co.1-bis d. lgs. 42/2004 descrive un'ipotesi delittuosa a dolo generico in materia paesaggistica. Così anche Cass. 24.11.2011 n. 48478, in CEDCass, m. 251635. 74 La natura sostanziale della prescrizione non costituisce un corollario dell'art. 7 Cedu, potendo integrare, dal punto di vista convenzionale, un aspetto procedurale tutelato dall'art. 6 § 2 Cedu. Ed invero, C. eur., 22.6.2000, Coëme c. Belgio, § 149, sottolinea che «la prescription peut se définir comme le droit accordé par la loi à l'auteur d'une infraction de ne plus être poursuivi ni jugé après l'écoulement d'un certain délai depuis la réalisation des faits. Les délais de prescription, qui sont un trait commun aux systèmes juridiques des Etats contractants, ont plusieurs finalités, parmi lesquelles garantir la sécurité juridique en fixant un terme aux actions et empêcher une atteinte aux droits de la défense qui pourraient être compromis si les tribunaux étaient appelés à se prononcer sur le fondement d'éléments de preuve qui seraient incomplets en raison du temps écoulé». Ad ogni modo, in virtù di quanto previsto dall'art. 53 Cedu, la qualificazione sostanziale della prescrizione del reato domestica non pone dubbi sull'attrazione delle garanzie della materia penale riconosciute a livello costituzionale. www.lalegislazionepenale.eu 25 21.12.2015 Studi G. Stea ritardo» (art. 14 co. 3 lett. c) PIDCP sopra richiamato), perché un'interpretazione lassista in favore della pubblica amministrazione favorirebbe o, meglio, ha favorito il cronico fenomeno dell'abusivismo, tanto da far intervenire il legislatore con disposizioni eccezionali condonistiche. Da ciò, l'opera abusiva e non tempestivamente sanzionata andrebbe regolarizzata o sanata. E il pubblico amministratore responsabile dell'inerzia penalmente punito. Appare una soluzione paradossale nella fenomenologia attuale, ma se si guarda alla situazione idealtipica le ipotesi di impunità dovrebbero essere veramente rare e solo una piena responsabilizzazione di chi deve controllare può portare ad un serio governo del fenomeno dell'abusivismo edilizio e, dunque, ad una reale tutela del territorio e dell'ecosistema. Qui si metta un nodo, che si scioglierà più avanti. 8.4.1. La seconda problematica di inconciliabilità tra il sistema repressivo dell'abusivismo edilizio e le garanzie derivanti dall'art.6 CEDU va indicata nelle presunzioni assolute di incompatibilità dell'opera con il bene tutelato. Si tratta, invero, di una questione che investe il fatto illecito tout court, sia esso amministrativo, che penale. È essenziale una premessa. La necessaria lesività costituisce una garanzia convenzionale come corollario del principio di proporzione, che affonda le sue radici nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo ed, in particolare, nell'ambito della fondamentale valutazione della necessità in una società democratica, che costituisce uno dei tre requisiti (accanto alla previsione legale e allo scopo legittimo) stabiliti da diverse disposizioni della Convenzione ai fini di verificare la legittimità dell'ingerenza pubblica nell'esercizio di un diritto75. Il giudizio di proporzione, dunque, costituisce uno dei momenti di maggiore penetrazione della Corte euroumanitaria nelle scelte di politica criminale del legislatore nazionale, andando a sindacare le ragioni che possano giustificare la limitazione della libertà personale da parte della sanzione (sostanzialmente) penale. Invero, la libertà personale non va intesa nell'accezione minimale come libertà fisica e, dunque, il giudizio di proporzione, nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, non si limita a valutare se la detenzione per la tutela di un determinato interesse collettivo è la reazione proporzionata per il richiesto sacrificio della libertà personale, ma se la tutela punitiva in genere di un determinato bene giuridico è proporzionata al sacrificio dei diritti e delle libertà fondamentali del reo76. Tanto premesso, la questione relativa alle presunzioni di lesione del bene tutelato si pone, in particolare, nella materia paesaggistica, laddove il legislatore ha escluso la verifica postuma di compatibilità dell'opera con il vincolo paesaggistico, con l'effetto che la sanzione (ordine di demolizione o di ripristino dei luoghi) è posta a presidio della funzione amministrativa e non del bene paesaggistico. Ed invero, l'art. 146 co. 10 lett. c) d. lgs. 42/2004 (cd. Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) ha introdotto il divieto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria 75 F. Mazzacuva, La Convezione europea dei diritti dell'uomo e i suoi riflessi sul sistema penale, in Trattato di diritto penale, Parte generale, I, a cura di A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna e M. Papa, Torino 2012, 459. 76 G. Stea, L'offensività europea come criterio di proporzione dell'opzione penale, in AP 2013, 915. www.lalegislazionepenale.eu 26 21.12.2015 Studi G. Stea successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi di trasformazione degli immobili o delle aree sottoposti a vincolo paesaggistico, con l'effetto che, in caso di abuso anche edilizio, andrà disposto il ripristino dello stato dei luoghi ex art. 167 d. lgs. 42/2004 (ordine di ripristino), ad eccezione delle ipotesi di cd. abusi minori previsti dall'art. 167 co. 4 d. lgs. 42/2004. In altri termini, va demolita anche l'opera conforme alla normativa urbanistica e sostanzialmente a quella paesaggistica, in quanto il divieto di cui all'art. 146 d. lgs. 42/2004 non ammette la verifica della compatibilità dell'opera con il vincolo tutorio paesaggistico. La norma amministrativa è, dunque, indifferente alla tutela del bene-paesaggio, ma sanziona solo l'omesso rispetto dell'iter autorizzatorio e, dunque, la funzione di governo e di controllo preventivo riconosciuto in capo alla pubblica amministrazione, così punendo mere disobbedienze al precetto amministrativo77. Sciogliendo il nodo che si è fatto poco prima e legando le due argomentazioni, si evidenzia che la sanzione della funzione amministrativa violata dal cittadino renderebbe evanescente la finalità incriminatrice della tutela del bene giuridico fondamentale: territorio, paesaggio e salute. E qui si colloca la querelle tra beni giuridici strumentali e beni finali, secondo una tecnica di incriminazione pacificamente ammessa anche dalla giurisprudenza costituzionale78, non risultando in contrasto con il principio di offensività: in subiecta materia, in particolare, l'incriminazione di comportamenti contrari all'iter amministrativo predisposto per il governo del territorio è finalizzata alla tutela di un bene giuridico strumentale per la salvaguardia di un bene giuridico finale, che risulta protetto indirettamente. In considerazione del bene giuridico finale che si effettua il giudizio di proporzione e sussidiarietà che legittima l’intervento (sostanzialmente) penale79. Ora, la tecnica di incriminazione adottata dal legislatore è di regola quella del pericolo astratto (o presunto), come detto, che già anticipa notevolmente la tutela penale del bene giuridico80, e che assume un effetto sinergicamente importante ove si 77 J. Goldschmidt, Das Verwaltungsstrafrecht, Berlin 1902, 556, già sosteneva che «il diritto penale amministrativo (...) ha in comune con [il vero e proprio diritto penale] solo la forma, ma rimane per sua natura un istituto di governo». 78 C. cost., 8.7.2010 n. 250, § 6.3, ove, inoltre, i giudici costituzionali evidenziano che «l’ordinata gestione dei flussi migratori si presenta, in specie, come un bene giuridico “strumentale”, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata. Ciò, secondo una strategia di intervento analoga a quella che contrassegna vasti settori del diritto penale complementare, nei quali la sanzione penale – specie contravvenzionale – accede alla violazione di discipline amministrative afferenti a funzioni di regolazione e controllo su determinate attività, finalizzate a salvaguardare in via preventiva i beni, specie sovraindividuali, esposti a pericolo dallo svolgimento indiscriminato delle attività stesse (basti pensare, ad esempio, al diritto penale urbanistico, dell’ambiente, dei mercati finanziari, della sicurezza del lavoro)». Per la critica della seriazione di beni strumentali, cfr. S. Canestrari, L. Cornacchia, G. De Simone, Manuale di diritto penale, Parte Generale, Bologna 2007, 219. Sulla distinzione tra beni strumentali e beni finali, ex multis, A. Manna, Introduzione al diritto penale dell'impresa, in Corso di diritto penale dell'impresa, a cura del medesimo, Padova 2010, 10 ss. 79 F. Giunta, Il diritto penale dell’ambiente in Italia: tutela di beni o tutela di funzioni?, in RIDPP 1997, 1112. 80 Ex multis, Cass. 16.7.2013 n. 37383, in CEDCass, m. 256519, secondo cui «in linea generale, la consumazione del reato urbanistico ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e che tale attività, per assumere rilevanza, deve avere, indipendentemente dal tipo ed entità delle opere, un'oggettiva destinazione alla realizzazione di un manufatto, sempreché le opere intraprese, di qualsiasi tipo esse siano e quale che sia lo loro www.lalegislazionepenale.eu 27 21.12.2015 Studi G. Stea combini con le presunzioni assolute di incompatibilità del comportamento (ergo, l'attività di costruzione di un manufatto abusivo) con il territorio o il paesaggio, che costituiscono il bene giuridico (finale) indirettamente tutelato dall'incriminazione della funzione amministrativa di governo violata dal trasgressore. In altri termini, in materia urbanistico-paesaggistica, la previsione punitiva (amministrativa e penale) della demolizione dell'opera abusiva senza alcuna possibilità di verifica dell'effettiva incompatibilità con il vincolo paesaggistico (in virtù del divieto di autorizzazione paesaggistica postuma), sottolinea, da un lato, la mera punizione della disobbedienza amministrativa e, dall'altro, l'evidente distacco della ratio punitiva dall'effettiva tutela del bene giuridico finale, in spregio del canone convenzionale della proporzione. Viziando, quindi, le relative disposizioni di illegittimità costituzionale per contrasto con il principio di offensività come criterio di proporzione (appunto) dell'opzione penale81 in materia urbanistico-paesaggistica82. La riflessione merita ulteriori argomenti chiarificatori. L'accertamento della tipicità (formale e sostanziale) del fatto realizzato, nonché della sua imputabilità oggettiva al reo, implica che la relativa punibilità sia condizionata a che il soggetto abbia posto in essere la condotta vietata, e questa abbia effettivamente leso o messo in pericolo un interesse. Se è vero che il legislatore ha ampia discrezionalità nel prevedere ipotesi punitive di pericolo astratto, è altrettanto vero il rifiuto dell'ordinamento positivo a che una condotta inoffensiva (e, dunque, atipica) possa essere punita83. Tale ragionamento porta inevitabilmente alla considerazione che una presunzione legale assoluta che abbia ad oggetto un aspetto entità, manifestino oggettivamente un'effettiva volontà di realizzare un manufatto. Sempre in linea generale, con riferimento specifico alla lottizzazione abusiva, va osservato che le diverse modalità con le quali essa può essere attuata inquadrano la contravvenzione in esame come reato a forma libera, permanente e progressivo nell'evento, del quale è inoltre pacifica la natura di reato di pericolo, cosicché la sua lesività non può ritenersi confinata nella sola trasformazione effettiva del territorio ma deve, al contrario, essere riferita alla potenzialità di tale trasformazione intesa come il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata». Rispetto al reato paesaggistico, ex multis, Cass. 15.1.2013 n. 6299, in CEDCass, m. 2544493; cfr. Cass. 21.6.2011 n. 34764, in CEDCass, m. 251244. La giurisprudenza di legittimità è giunta anche ad affermare in Cass. 18.2.2015 n. 11048, in CEDCass, m. 263289 che «il reato di pericolo previsto dall'art.181 del D.lgs. 22 gennaio 2004 n.42, non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l'ambiente, essendo sufficiente l'esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, le cui conseguenze sull'assetto del territorio perdurano anche se l'amministrazione competente attesta la compatibilità paesaggistica delle opere eseguite». Sui reati di pericolo in genere, in dottrina, G. Fiandaca, La tipizzazione del pericolo, in Dei delitti e delle pene 1984, 441-472. Specificamente, sulla legittimazione dei reati di pericolo nella giurisprudenza costituzionale, A. Calamanti, Tutela penale anticipata e sacrificio di libertà: la legittimazione dei reati di pericolo nella giurisprudenza costituzionale, in GP 1985, 743-764. 81 Per la ricostruzione dell'offensività alla luce del principio di proporzione, sia consentito il rinvio a G. Stea, L'offensività europea come criterio di proporzione dell'opzione penale, cit., 903 ss. 82 In materia urbanistica, appare convenzionalmente inconciliabile l'accertamento in sanatoria di cui all'art. 36 d.P.R. 380/2001, nella parte in cui impone la conformità dell'opera, non solo, alla normativa di riferimento vigente, ma anche a quella vigente all'epoca della realizzazione dell'abuso. 83 Del principio di offensività come criterio ermeneutico di definizione della tipicità, cfr. C. cost., 13.6.2014 n. 174, in cui i giudici costituzionali ricordano «come spetti al giudice ricostruire e circoscrivere l’area di tipicità della condotta penalmente rilevante sulla base dei consueti criteri ermeneutici, in particolare alla luce del principio di offensività, che per giurisprudenza costante di questa Corte costituisce canone interpretativo unanimemente accettato (ex plurimis, sentenze n. 139 del 2014 e n. 62 del 1986)». www.lalegislazionepenale.eu 28 21.12.2015 Studi G. Stea della tipicità del fatto (nel caso in ipotesi, l'offesa – anche potenziale – al territorio e al paesaggio) non sarebbe ammissibile nel nostro ordinamento: se, infatti, a discapito della presunzione, emergesse nel corso del procedimento che tale elemento legalmente fissato non sussista, ciò significherebbe che in natura il tipo (ed, in particolare, l’offesa) non si è realizzato, ossia che il bene tutelato non è stato leso, né messo in pericolo84. Del resto, la formulazione dell'art. 49 co. 2 Cp (che, come noto, costituisce lo strumento utile al sindacato in concreto della tipicità sostanziale) non rende insuperabile la presunzione di pericolo, posto che tale disposizione si riferisce espressamente all'impossibilità della realizzazione dell'«evento dannoso o pericoloso» e, quindi, come dimostrato da attenta dottrina85, è applicabile a ogni tipo di fattispecie che non risulti con essa strutturalmente incompatibile. Così potrà certamente applicarsi agli illeciti di pericolo astratto (o presunto). La distinzione tra reati di pericolo concreto e quelli di pericolo astratto (o presunto) ruoterà, dunque, intorno alla parte del processo che avrà l'onere di dimostrare, rispettivamente, l'offensività (per l'accusa) o l'inoffensività (per la difesa) del fatto86. Tornando all'analisi proposta, l'inammissibilità della verifica dell'effettiva lesione o messa in pericolo del bene tutelato, determina, quindi, una violazione delle garanzie del giusto processo, introducendo nel giudizio penale della responsabilità del cittadino alcune presunzioni assolute o precauzionali che interferiscono con l'accertamento della stessa tipicità del fatto. In breve: impedire ope legis di ottenere l'autorizzazione paesaggistica postuma, colloca, all'interno della struttura del reato paesaggistico, una presunzione assoluta di offesa o messa in pericolo del territorio e del paesaggio, così impedendo l'applicazione dell'art. 49 co. 2, Cp, ma anche precludendo il diritto del cittadino di dimostrare, nel processo, l'insussistenza del fatto contestatogli 87. 84 Più favorevole – o comunque, rassegnato (sia consentito) – ad una soluzione applicativa dell'offensività in senso «debole», A. Manna A., Corso di diritto penale2, Parte Generale, Padova 2012, 65. 85 M. Gallo, I reati di pericolo, in FP 1969, 7; M. Trapani, La divergenza tra il voluto ed il realizzato, Torino 2006, 82. Contra, altra parte della dottrina, tra cui, F. Antolisei, L’azione e l’evento nel reato, Milano 1928, 142, che parla di «presunzione juris et de jure» di pericolosità. 86 Sull'interferenza tra l’aspetto probatorio della presunzione e quello dell’effettività dell’offesa, G. Azzali, Idoneità ed univocità degli atti. Offesa di pericolo, in RIDPP 2001, 1178. 87 Argomenti a sostegno dell'inconciliabilità di presunzioni di incompatibilità urbanistica o ambientale dell'opera abusiva, senza alcuna possibilità di effettiva verifica del contrario, si ricavano da C. eur., 27.11.2007, Sud Fondi Srl c. Italia, in cui i giudici convenzionali, esaminando la doglianza relativa alla violazione dell'art.1 del Protocollo n.1, la respingono, ma dopo aver verificato la proporzione tra l'ordine di demolizione impartito e la situazione abusiva, osservando, in particolare, che il diritto belga considera imprescrittibile l'illecito e, dunque, ammette la possibilità della pubblica amministrazione di intervenire in ogni tempo; la legislazione urbanistica belga consente la costruzione nelle zone boschive solo di rifugi di caccia e pesca e, quindi, non di opere residenziali (si tratta di zona ad inedificabilità assoluta); ed, infine, la Corte esclude un rimedio diverso che possa garantire l'interesse generale. Tale ultimo parametro utilizzato dalla Corte di Strasburgo per stimare la proporzione dell'ordine di demolizione ha particolare rilievo per la riflessione sopra proposta. «La Cour ne voit pas quelle autre mesure que la remise en état l'inspecteur urbaniste aurait pu demander en l'espèce, d'autant plus qu'aucune des mesures énumérées à l'article 149 § 1 du décret du 18 mai 1999 (ordre de cesser toute utilisation contraire, injonction d'exécuter des travaux de construction, paiement de la plus-value acquise par le bien suite à l'infraction – paragraphe 38 ci-dessus) ne semblait appropriée dans les circonstances particulières de la cause, à savoir l'atteinte incontestable à l'intégrité d'une zone forestière non constructible». Nell'ipotesi di inedificabilità relativa, dunque, l'ordine di demolizione sarebbe sproporzionato, poiché l'interesse tutelato potrebbe essere salvaguardato con l'imposizione di misure parziali volte a conformare l'opera alle esigenze tutorie. In altri www.lalegislazionepenale.eu 29 21.12.2015 Studi G. Stea La legislazione vigente, secondo la lettura giurisprudenziale domestica, tende a reprimere già il «pericolo del rischio» di un danno al paesaggio. Ipotesi assolutamente inammissibile in un'ottica convenzionale e non solo. Da ciò, è necessario eliminare dall'ordinamento tutte quelle disposizioni che non consentono al trasgressore di dimostrare l'inoffensività dell'attività abusiva. 8.4.1.1. Si è già osservato88 che l'ordine di demolizione edilizia, previsto dall'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001 (analogamente all'ordine di rimessione in pristino paesaggistico), stando alla giurisprudenza domestica, ha i caratteri pertinenziale o accessorio rispetto alla sentenza di condanna penale e ablatorio sul diritto reale appartenente al condannato, ed ha la finalità prettamente tutoria del territorio e, dunque, «una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso»89. E' costante insegnamento della giurisprudenza domestica, infatti, che l'ordine di demolizione «assolve ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso»90. Si tratta, comunque, di una finalità non esclusa dal carattere penale nella lettura convenzionale qui proposta. Il sistema, pertanto, prevede espressamente come sanzione (sostanzialmente penale) specifica per i reati urbanistico-paesaggistici, l'obbligo di ripristino del bene offeso (territorio e paesaggio), attraverso l'eliminazione dell'opera abusiva. Da ciò, è agevole desumere che il comportamento vietato assume rilevanza penale, secondo una lettura coordinata di precetto e sanzione, quando sia stato leso il bene giuridico tutelato, che andrà riparato attraverso la rimozione del danno. Così, gli illeciti edilizi sono reati di danno: non avrebbe senso sanzionare con la rimessione in pristino un bene che sia stato solo messo in pericolo. La sanzione anche ripristinatoria, quindi, individua la natura dell'illecito. Tale esegesi strutturale del reato edilizio in genere non consentirebbe di ritenere consumato l'illecito «con l'avvio dei lavori di costruzione» oggettivamente destinati «alla realizzazione di un manufatto, sempreché le opere intraprese, di qualsiasi tipo esse siano e quale che sia lo loro entità, manifestino oggettivamente un'effettiva volontà di realizzare un manufatto»91. Trattandosi di una contravvenzione non soccorrerebbe neanche l'art. 56 Cp, facendo degradare tale ipotesi costante di lettura giurisprudenziale nell'assoluta irrilevanza penale (anche sostanziale) 92. 8.4.2. Pur volendo affermare che il sistema punitivo delineato dal legislatore in materia urbanistico-paesaggistica sia conforme alla necessaria lesività, l'argomentazione che viene spesso richiamata dalla giurisprudenza domestica per termini, il divieto di autorizzazione paesaggistica postuma, come la doppia conformità di cui all'art. 36 d.P.R. 380/2001, escludendo la possibilità a priori di valutare la compatibilità dell'opera abusiva con gli interessi generali, si pongono in evidente contrasto con l'art.1 del Protocollo n.1, non ammettendo la valutazione della proporzione dell'ordine di demolizione. 88 Cfr. § 7 89 P. Tanda , op. cit., 442. 90 Cass. 27.9.2006 n. 40188, in AmbSvil 2007, 2, 144 91 Cass. 16.7.2013, n. 37383, cit. 92 Un'eccezione è rappresentata dal delitto paesaggistico di cui all'art. 181 co.1-bis d. lgs. 42/2004. www.lalegislazionepenale.eu 30 21.12.2015 Studi G. Stea giustificare una certa agilità interpretativa in malam partem, in materia sanzionatoria ambientale (in genere), è quella per cui «il paesaggio, l’ambiente, la vita e la salute [sono] tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere la prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà» 93. Può il giudizio di bilanciamento degli interessi in gioco (di pari rango) sacrificare a tal punto uno dei due, fino a rendere assolutamente prevalente il primo rispetto al secondo, o viceversa? La Convenzione europea dei diritti dell'uomo ammette un bilanciamento degli interessi o, meglio, un'ingerenza statuale sui diritti del cittadino. Non su tutti, non senza limiti. Ed invero, i giudici euroumanitari, proprio in subiecta materia, hanno «spesso ribadito che le politiche di gestione del territorio e della tutela dell’ambiente, dove l’interesse generale della comunità occupa un posto preminente, lasciano allo Stato un margine di apprezzamento più grande qualora siano in gioco diritti esclusivamente civili» e sempre che il cittadino non sia costretto a subire «un onere speciale ed esorbitante»94. Se, dunque, è ammessa un'ingerenza statuale in materia di governo del territorio, la stessa può avere ad oggetto il sacrificio dei soli diritti civili del cittadino e, dunque, il diritto di proprietà privata 95, o il diritto al domicilio, ma non, certamente, quelli a cui la Carta convenzionale garantisce l'inviolabilità attraverso gli artt. 6 e 7 Cedu. La Corte costituzionale96, del resto, ha sottolineato che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri», poiché «la tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza 28.11.2012 n. 264)», onde evitare «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona». Da ciò, il corretto contemperamento degli interessi in gioco potrebbe essere agevolmente assicurato attraverso l'eliminazione di ogni presunzione di lesione del bene giuridico finale, onde garantire la proporzione dell'intervento punitivo in materia urbanistico-paesaggistica nel rispetto delle previsioni convenzionali. 8.5 Le garanzie convenzionali per la matière pénale potrebbero scuotere alla base il cd. doppio binario punitivo (rafforzato) degli illeciti urbanistico-paesaggistici: in primis, non ammettendo nell'iter di accertamento degli stessi, alcune presunzioni assolute di offesa all'interesse finale, che si pongono in contrasto con la proporzione materiale come limite all'ingerenza statuale nelle garanzie del giusto processo previste dagli artt. 6 Cedu e 111 Cost. In secundis, in virtù del rispetto del divieto del bis in idem di cui all'art. 4 93 94 95 96 Cass. 30.4.2014 n. 20636, in CEDCass, m. 259436. C. eur. GC, 29.3.2010, Depalle c. Italia. C. eur., 27.11.2007, Sud Fondi Srl c. Italia. C. cost., 9.5.2013 n. 85. www.lalegislazionepenale.eu 31 21.12.2015 Studi G. Stea Protocollo n .7 Cedu, è inammissibile un secondo procedimento di accertamento del medesimo fatto in concreto, una volta che è intervenuta la definitività di un primo procedimento, che abbiano, comunque, in comune una sanzione sostanzialmente penale. Si è appuntata, in particolare, l'attenzione sull'ipotesi di sentenza di proscioglimento del reo per intervenuta prescrizione del reato, osservando che tale accertamento precluderebbe l'avvio di un secondo procedimento amministrativo per il divieto del bis in idem, ma, soprattutto, perché il tempo condiziona la stessa tipicità (sostanziale) del fatto, facendo estinguere l'offesa sociale. Sanzionare un fatto socialmente inoffensivo è una contraddizione evidente che non necessita di alcun commento. È incomprensibile, infine, una tutela sanzionatoria pubblica sine die, in un quadro sinallagmatico di doveri e diritti tra Stato e cittadino come parti del Sozialvertrag97. 9. Non resta ora che esaminare un'ultima questione, invero, suggerita dall'unica pronuncia di merito che ha riconosciuto la natura penale dell'ordine di demolizione edilizia98. In tale occasione, il giudice penale ha dichiarato l'estinzione dell'ordine di demolizione edilizia per decorso del tempo, così applicando l'art. 173 Cp, trattandosi di norma sostanziale non incriminatrice, né eccezionale e, dunque, estranea all'alveo applicativo del divieto di analogia di cui all'art. 14 disp.prel.cc. Ad ogni modo, l'accertata natura penale dell'ordine demolitorio supera la questione relativa all'assenza dell'eadem ratio che ha fatto escludere, alla giurisprudenza di legittimità, nella considerazione della sanzione ablatoria de qua come di natura amministrativa, l'applicabilità analogica della disposizione codicistica suddetta. La questione assume maggiore spessore, in un sistema di cronico ritardo 97 C. eur., 27.11.2007, Sud Fondi Srl c. Italia, sul punto, osserva che «un très grand laps de temps s'était écoulé depuis la survenance du fait infractionnel. La requérante et, avant elle, son père ont ainsi eu la jouissance paisible et ininterrompue de la maison de vacances pendant une durée totale de trente-sept ans. L'acte de partage établi le 6 janvier 1986 entre la requérante et son père fut enregistré au ministère des Finances auprès du receveur des hypothèques, qui perçut un droit d'enregistrement (paragraphe 8 ci-dessus). Au décès du père de la requérante en 1993, l'acte notarié de partage de succession mentionnait expressément la maison comme maison de vacances et la requérante s'acquitta des droits de succession. La requérante payait depuis lors annuellement un précompte immobilier ainsi qu'un impôt pour seconde résidence afférent à cette maison (paragraphe 9 ci-dessus). La société d'alimentation en eau effectua des travaux de raccordement de la maison aux réseaux d'égouttage et de distribution d'eau, sans que les autorités publiques réagissent (paragraphe 11 ci-dessus). De plus, lorsque l'infraction a été constatée, après vingt-sept ans, les autorités ont encore laissé s'écouler une période de cinq ans avant d'exercer l'action publique, n'y accordant donc aucune importance urgente. Il est dès lors évident que les autorités connaissaient ou auraient dû connaître de longue date l'existence de la maison de la requérante. Toutefois, nonobstant les dispositions de la législation pertinente, elles ont omis de prendre les mesures qui s'imposaient pour s'y conformer. Elles ont ainsi contribué à pérenniser une situation qui ne pouvait être que préjudiciable à la protection de la zone forestière que cette législation visait à protéger». Ad ogni modo, la Corte esclude che «l'absence de réaction dont ont fait preuve les autorités pendant une longue période ne [peut] pas créer chez la requérante l'impression d'être à l'abri des poursuites», ma solo perché «l'infraction relevée étant imprescriptible selon le droit belge et le procureur pouvant à tout moment décider d'appliquer la loi». Nel diritto domestico, invece, il reato edilizio è permanente e la prescrizione comunque inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza. 98 T. Asti, 3.11.2014, cit. www.lalegislazionepenale.eu 32 21.12.2015 Studi G. Stea nell'esecuzione delle pene non detentive, ove si consideri l'importante revirement giurisprudenziale in tema di individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale della pena condizionata. Ed invero, il termine di prescrizione della pena, in ipotesi di concessione della sospensione condizionale e successiva revoca, decorre dal momento in cui si sono verificati i presupposti per la revoca del beneficio precedentemente concesso99. Le Sezioni Unite, infatti, hanno risolto il conflitto giurisprudenziale sorto sull'individuazione del dies a quo del termine prescrizionale, dando conto dell'inequivoca lettera dell’art. 172 co. 5 Cp, che fa decorrere l’estinzione della pena, ove subordinata a condizione, dalla verificazione della stessa. «L’anticipazione del tempo di esecuzione della pena al momento di avveramento della condizione risolutiva, d’altro canto, appare perfettamente coerente – oltre che con i parametri costituzionali di cui agli artt. 27, comma 2, e 111 Cost. – con i principi convenzionali di ragionevole durata, sollecita definizione e minor sacrificio esigibile, evincibili dalle norme degli artt. 5 e 6 CEDU»100. Alla regola di individuazione del dies a quo, nell'ipotesi di esecuzione della pena subordinata al verificarsi di una condizione (art. 172 co. 5 Cp), fa espresso rinvio l'art. 173 co. 3 Cp, in tema di prescrizione delle pene dell'arresto e dell'ammenda, da applicare, dunque, anche all'ordine di demolizione di cui all'art. 31 co. 9 d.P.R. 380/2001. In altri termini, il giudice penale ha accertato il reato urbanistico-paesaggistico, ma l'ordine di demolizione non è stato eseguito nel termine di prescrizione di cui all'art. 173 Cp. Da ciò, si pongono due interrogativi: può legittimamente considerarsi estinto l'ordine di demolizione? Il giudice astigiano, dichiarando l'estinzione dell'ordine demolitorio, ha rimesso l'esecuzione (eventuale) dello stesso alla pubblica amministrazione: può la pubblica amministrazione eseguire l'ordine demolitorio giudiziale dichiarato estinto? 9.1 É opportuno riprendere alcune argomentazioni già sostenute nelle pagine che precedono, al fine di comprendere le esigenze che hanno giustificato l'atteggiamento della giurisprudenza per colmare il lassismo della pubblica amministrazione o, meglio, contrastarlo, supplendo a quelle funzioni. È tradizionale insegnamento, come già visto, che il potere di vigilanza in materia edilizia non è soggetto a limiti temporali e di prescrizione perché l’illecito edilizio ha natura permanente e viene rimosso solo con il ripristino dello stato dei luoghi o con l’autorizzazione in sanatoria. Ma non basta. Mentre le sanzioni ripristinatorie (quali proprio l'ordine di demolizione) possono colpire l'abuso ed il soggetto responsabile anche a grande distanza di tempo dalla commissione del fatto e dalla realizzazione dell’intervento101, quelle afflittive pecuniarie autonome102 sono 99 Cass. 5.3.2009 n. 18552, in CEDCass, m. 243644; Cass. 21.5.2009 n. 26748, in CEDCass, m. 244714; Cass. 13.1.2012 n. 10924; da ultimo, Cass. S.U. 30.10.2014 n. 2, in CEDCass, m. 261399. 100 Relazione dell'Ufficio del Massimario n. 13 del 23.2.2015. 101 Perché riferite non al fatto compiuto ed esaurito, ma allo stato di danno al pubblico interesse, cfr. F. Salvia, F. Teresi, Diritto urbanistico, Padova 1998, 265. 102 Sulla distinzione tra sanzioni amministrative ripristinatorie e pecuniarie, S. Licciardello, Le sanzioni ripristinatorie, in La sanzione amministrativa, a cura di A. Cagnazzo e S. Toschei, Torino 2011, 333 ss.; con www.lalegislazionepenale.eu 33 21.12.2015 Studi G. Stea ritenute soggette al termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 l. 689/1981103. Tale particolare regime discende dalla ritenuta qualificazione delle sanzioni edilizie tout court come sui generis rispetto alle altre sanzioni amministrative, poiché il relativo sistema è predisposto al dichiarato fine di eliminare «una situazione di oggettivo squilibrio determinatasi nell’assetto del territorio per effetto dell’abuso edilizio, al fine di ripristinarne lo status quo ante o, più in generale, la congruità della realtà di fatto rispetto al modello delineato dalla legge»104. Con questo ragionamento, si è giustificata la contemporanea applicazione della sanzione penale e di quella amministrativa alla medesima condotta. A ben guardare, la collocazione delle sanzioni edilizie a metà strada, tra quelle penali e quelle amministrative, è fondata su un'argomentazione circolare, se si vuole: tali sanzioni sono qualificate da un regime sui generis (né penale, né amministrativo, appunto), ma perchè a tali contesti sottratte per il preciso scopo di escludere l'applicazione dei regimi tipici, attraverso la valorizzazione della funzione ad esse attribuita: «l’assoluta prevalenza della funzione ripristinatoria su quella afflittiva induce ad affermare che le sanzioni urbanistico-edilizie non sono sanzioni in senso tecnico»105. È una problematica che, in realtà, è stata già affrontata nelle pagine che precedono, facendo leva su topoi ricavati dalla giurisprudenza convenzionale relativi all'individuazione della pena in ogni ordinamento nazionale. Ma non solo. La natura afflittiva delle sanzioni edilizie in genere, comunque, era già stata evidenziata dalla dottrina minoritaria106 e la giurisprudenza amministrativa107 aveva sottolineato la concorrenza della funzione afflittiva, con quella ripristinatoria. La questione, prima di oggi, si è posta rispetto alla possibilità di collocare le sanzioni edilizie nell'alveo delle legge generale sull'illecito amministrativo. Si era evidenziato che l'art. 12 l. 689/1981, che delimita il campo di applicazione delle disposizioni sulle sanzioni amministrative, ammette la deroga solo ove sussista un’incompatibilità sostanziale della materia o un’espressa previsione normativa. Tuttavia, la lettura giurisprudenziale maggioritaria, come detto, ha superato tali ostacoli normativi con esemplare vivacità. Tale agilità esegetica non può che essere mossa da una necessità: uno degli indici rivelatori della volontà delittuosa è il movente e così, allo stesso modo, è possibile identificare la ratio di un'ostinata interpretazione nello scopo da salvaguardare. In tale ottica, è facile rilevare che la definizione interpretativa di un regime sui generis per le sanzioni edilizie, tale da sottrarle a quello tipico delle sanzioni riferimento alle sanzioni urbanistico-edilizie, in particolare, C. Mastrocola, Le sanzioni amministrative, in Il nuovo testo unico sull’edilizia, a cura di F. Mastragostino, Bologna 2005, 191 ss. 103 Per l'applicazione del termine di prescrizione decennale, Tar Puglia, 18.1.2000. n. 175. 104 R. Lombardi, Effettività delle sanzioni edilizie, riparto di competenze ed esercizio dei poteri sostitutivi: un'ipotesi ricostruttiva, in Riv. Giur. Edil. 2010 (3), 232. 105 E. Buoso, I poteri di vigilanza e sanzionatori (artt.27 ss. TUED), in Riv. Giur. Urb. 2014, 807. 106 L. Mazzarolli, Sul regime delle sanzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia: dalla l. n.1150/1942 alla l. n.47/1985, in Riv. Giur. Urb. 1985, 429; N. Centofanti, L'abusivismo edilizio, Milano 2010, 95. 107 Ex multis, Tar Liguria, 18.2.1999. n. 80. www.lalegislazionepenale.eu 34 21.12.2015 Studi G. Stea amministrative in genere, non può che muovere, in primis, dall'esigenza di supplire giudizialmente alla cronica inerzia della pubblica amministrazione nel vigilare ed intervenire tempestivamente sull'abuso edilizio. Questa necessità, però, si pone in aperto contrasto con la visione contrattualistica della società contemporanea, fondata, per quanto riguarda il nostro ordinamento, sull'art. 2 Cost. che, superando la concezione statocentrica dell'individuo come cittadino in senso unilaterale, ovvero nel solo «rapporto con lo Stato»108, viene riconosciuto il primato della persona sempre come cittadino, ma in prospettiva di un rapporto sinallagmatico con lo Stato, come parti del medesimo «contratto sociale» (contraenti), stigmatizzato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza 31.3.1988 n. 364109. In questa storica sentenza, la Consulta, fra l'altro, nel ricostruire in termini contrattualistici il rapporto tra autorità statale e individuo, ha sottolineato il passaggio di quest'ultimo da «suddito» a «cittadino responsabile»110 su cui incombono «strumentali specifici doveri d'informazione e conoscenza» che «costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale, di cui all'art. 2 Cost.», tesi al «rispetto degli interessi dell'"altrui" persona umana». È nella stessa Carta convenzionale, del resto, che si trova conferma di tanto: alcuni diritti individuali sono assoluti, nel senso che non ammettono alcuna ingerenza statale, non perché riconosciuti per garantire scelte egoistiche, ma perché costituiscono il nòcciolo intimo della cittadinanza, come mattone della società democratica. Altri diritti individuali, invece, sono relativi, perché, dunque, ammettono un'ingerenza statale, ma a determinate e stringenti condizioni. Di regola, l'ingerenza statale è ammessa se (1) è prevista dalla legge, (2) ispirata alla salvaguardia della sicurezza nazionale, del benessere economico del paese, della difesa dell'ordine e della prevenzione dei reati, della protezione della salute o della morale, o della protezione dei diritti e delle libertà altrui ed, infine, (3) «nécessaire, dans une société démocratique». Secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la definizione di «nécessité» implica che l'ingerenza statale corrisponda ad un bisogno sociale proporzionato all'obiettivo da perseguire111. È un argomento più volte sottolineato in queste pagine: in un tale nuovo contesto, è impensabile giustificare l'inerzia della pubblica amministrazione ed ammettere l'esercizio di poteri autoritativi senza limiti. Non va dimenticato, per la sua forza cogente (ai sensi degli artt. 6 TUE, 11 e 117 co. 1 Cost.), l'art. 41 CDFUE che eleva l'«imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione» a vero e proprio diritto del cittadino. Da ciò, l'inerzia della pubblica amministrazione costituisce una patente violazione del diritto all'«imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione» e, dunque, non può assumere alcuna funzione interpretativa del diritto punitivo (in materia edilizia). 108 Espressione di V. Crisafulli, Individuo e società nella Costituzione italiana, in Riv. Dir. Lav. 1954, 75. Sulla sentenza n. 364/1988, con particolare riferimento al principio di colpevolezza, a livello manualistico, fra gli altri, si rinvia a S. Canestrari, L. Cornacchia, G. De Simone, op. cit., 173 ss.; B. Romano, Diritto penale2, Parte generale, Padova 2013, 343 ss.; A. Manna, Corso di diritto penale, cit., 311 ss. 110 Per un approfondimento storico (e non solo), cfr. D. Gallo, Da sudditi a cittadini. Il percorso della democrazia, Roma 2013, 1 ss. 111 C. eur., 29.4.2002, Pretty c. Regno Unito, § 60. 109 www.lalegislazionepenale.eu 35 21.12.2015 Studi G. Stea 9.2. «Le sanzioni per illeciti amministrativi, che puniscono comportamenti lesivi di precetti giuridici sanzionati da una norma non penale, si estinguono con la morte del trasgressore e non sono trasmissibili agli eredi» 112. Del pari, le pene si estinguono con la morte del reo. Nell'un caso o nell'altro, la natura penale (rectius, sostanzialmente penale) dell'ordine di demolizione, come delineata nel presente contributo, alla luce dell'insegnamento sovranazionale, dovrebbe estinguersi con la morte del trasgressore (o reo). A differenza delle altre cause di estinzione della pena (ma anche della sanzione amministrativa), la morte non potrebbe essere, in qualche maniera, imputata all'inattività della pubblica amministrazione o ad una scelta di politica criminale, ma unicamente alla sorte (infausta per il reo) od ad un fattore naturale113. Per ovviare a tale problematica, come già accennato, la giurisprudenza ha collocato le sanzioni edilizie ed, in particolare, quelle ripristinatorie, in un perimetro extra ordinem. Ed invero, la misura di demolizione edilizia si sottrae al regime proprio delle sanzioni amministrative (e della pena), avendo carattere reale, «in quanto è volta a ripristinare l'ordine prima ancora materiale che giuridico, alterato a mezzo della sopravvenienza oggettiva del manufatto, cioè di una cosa, priva di un giusto titolo: non già a sanzionare il comportamento che ha dato luogo a quella cosa (al che presiede, piuttosto, la fattispecie penale dell'art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001)». In tale pronuncia, il Consiglio di Stato, delineando le caratteristiche dell'ordine di demolizione, in primis, non lo considera una sanzione, perché, con tale provvedimento, non si intende «punire un comportamento, ma solo (...) adottare una misura di ricomposizione dell'ordine urbanistico quale si presentava, e che ha di mira solo l'eliminazione degli effetti materiali dell'avvenuta sua ingiustificata alterazione. L'ablazione che può conseguire all'inadempimento dell'ordine di demolizione concerne un effetto anch'esso della stessa natura, perché con l'acquisizione al Comune l'ente pubblico può facilmente dar luogo alla realizzazione di quel ripristino a spese dei responsabili: ovvero, compensativamente - e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali - destinare la cosa stessa a soddisfare prevalenti interessi pubblici (art. 31, comma 5)»114. Da tale natura non-sanzionatoria, quindi, discende la possibilità di opporre la misura demolitoria anche a soggetti estranei al comportamento illecito (ad esempio, gli eredi o aventi causa dell'autore dell'abuso). Così, si ottiene la seconda esigenza: la trasmissibilità post mortis della misura demolitoria, perché non sanzionataria. 112 C. Stato, 15.4.2015. n. 1927. F. Carrara, Programma del corso di diritto penale, cit., §§ 577, 578, 581, affermava, con riferimento all'estinzione dell'azione penale, secondo la lettura tradizionale dell'epoca, che «l'azione penale si estingue per modi naturali, e modi politici. Modi politici sono quelli pei quali la legge estingue l'azione penale, benché questa non abbia raggiunto il suo fine, e le fosse possibile tuttora raggiungerlo. Tali sono la sentenza assolutoria; l'indulto sovrano; la remissione nei delitti di azione privata; e la prescrizione (…) Modi naturali sono quelli pei quali o all'azione è divenuto impossibile raggiungere il suo fine, e tale è la morte del reo; o lo ha raggiunto, e tale è la sentenza condennatoria definitiva; la quale fa nascere una nuova azione: l'actio judicati contro il delinquente. Dopo la condanna definitiva non resta che l'esecuzione della medesima». 114 C. Stato, 15.4.2015, cit. 113 www.lalegislazionepenale.eu 36 21.12.2015 Studi G. Stea È difficile poter ancora oggi sostenere che l'ordine di demolizione, come quello di rimessione in pristino, non abbiamo natura punitiva, ove solo si consideri (a prescindere dalle altre argomentazioni elencate nelle pagine che precedono) che l'art. 31 d.P.R. 380/2001 dispone, al comma 3, che se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione amministrativa, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio comunale 115. Si 115 C. Stato, 15.4.2015, cit., si trova a dover affrontare una questione particolare, ovvero quella dell'acquisizione gratuita al patrimonio comunale nei confronti degli eredi del trasgressore inadempiente all'ordine di demolizione allo stesso notificato. Il Supremo Collegio amministrativo, evitando di definire la misura ablatoria de qua come sanzionatoria, formula una nuova regola da applicare al caso concreto, secondo una (buona) intenzione volta a superare alcune esigenze sistematiche che vengono espressamente indicate. È utile riportare, anche in questa sede, tali passi della recente pronuncia. «Rileva il Collegio che dalla richiamata disposizione possono trarsi le seguenti considerazioni. Anzitutto, l'acquisizione al patrimonio disponibile del Comune dell'area sulla quale insiste la costruzione si differenzia dalla stretta e immediata misura ripristinatoria insita nell'ordine di demolizione, posto che non solo estende l'ablazione al sedime (ed eventualmente all'area necessaria per opere analoghe), ma anche ne evidenzia il suo carattere di conseguenza dovuta (cfr. art. 31, comma 2, ultima parte) rispetto alla mancata esecuzione ad opera del destinatario dell'ordine di demolizione in base a quanto sopra detto (tale significando l'espressione 'responsabile dell'abuso', di cui al comma 2). È evidente che non si tratta di sanzione di un comportamento (omissivo), perché se così fosse lo schema procedimentale applicativo dovrebbe essere quello della rammentata L. n.689 del 1981: la quale invece non si applica alle misure ripristinatorie reali, nel cui alveo questa stessa ablazione va iscritta per le ragioni testé rammentate (v. infra per ulteriori considerazioni). Nondimeno, poiché si tratta comunque di conseguenza oggettivamente incidente sul diritto di proprietà (estesa al sedime ed eventualmente all'area per opere analoghe), e postulante un volontario inadempimento da parte dell'obbligato, occorre - in omaggio a un elementare criterio di conoscenza ed esigibilità - che la persona dell'obbligato medesimo alla rimozione (o a patire - come si vedrà - l'operazione demolitoria comunale) sia stata fatta formalmente destinataria del previo ordine di demolizione ed abbia avuto a sua disposizione il termine per provvedere alla demolizione. Non è stato così nel caso qui in esame, dove - come ricordato - l'ordine di demolizione era sì stato notificato, ma solo all'allora vivente proprietario, di cui gli attuali ricorrenti sono i successivi eredi. Né alcun onere di avvenuta informazione può essere presunto in capo a loro, essendo la loro successione nella proprietà del bene avvenuta non già inter vivos (il che comporta la presunzione di conoscenza della legittimità dell'immobile, a norma delle disposizioni incidenti sulla validità dei contratti: cfr art. 30) bensì mortis causa: sicché nulla è loro riferibile. Ne consegue che - in deroga all'automatismo dell'acquisizione una volta decorso il termine dall'emanazione di un'ordinanza di demolizione come quella del caso presente: cfr. da ultimo C. Stato, 8.5.2014 n. 2368; V, 11 luglio 2014, n. 3565 - non può farsi derivare una così seria conseguenza se costoro stessi non sono stati fatti espressi destinatari di un rinnovato ordine di demolizione e, in seguito, non vi hanno - seppur così rettamente informati – adempiuto. Ne consegue dunque che, in sede di rinnovazione del procedimento, l'ordine di demolizione dovrà essere comunicato nei confronti dei successori mortis causa. Del resto, non v'è chi non veda che se l'acquisizione al patrimonio comunale fosse - in rottura della coerenza del sistema - qualificata come sanzione personale della condotta di inottemperanza, non solo ne dovrebbe derivare la (già accennata) coerente applicazione secondo lo schema della L. n.689 del 1981 (con conseguente opposizione in sede giurisdizionale ordinaria; la prescrizione, ecc.); ma anche la considerazione generale dell'irragionevolezza del sistema normativo, perché le ordinanze di demolizione resterebbero facilmente inottemperate col solo mezzo di un'artata alienazione dopo la loro notificazione. L'effettività della legge, in altri termini, rischierebbe di rimanere vanificata rispetto alla misura principe di ripristino dell'ordine urbanistico violato: il che sarebbe conseguenza irragionevole e rinnegante la funzione generale dell'art. 31. Vero è poi che secondo Corte cost., 15 luglio 1991, n. 345 "l'acquisizione gratuita ... si riferisce esclusivamente al responsabile dell'abuso, non potendo di certo operare ... nei confronti del proprietario dell'area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell'opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall'ordinamento"; e peraltro che "l'operatività dell'ingiunzione a demolire non presuppone sempre necessariamente la preventiva acquisizione dell'immobile al patrimonio comunale, perché l'ingiunzione è un provvedimento amministrativo di natura autoritativa che, in quanto tale, è assistito, in base ai principî generali che regolano l'azione amministrativa, dal www.lalegislazionepenale.eu 37 21.12.2015 Studi G. Stea tratta, come già evidenziato nell'incipit di questo contributo, di un'ipotesi di confisca in caso di inadempimento dell'ordine di demolizione. Però la confisca urbanistica ha senza alcun dubbio natura penale, come evidenziato dalla Corte costituzionale, seppur con espresso riferimento alla previsione di cui all'art. 44 co. 2 d.P.R. 380/2001, ma, mutatis mutandis, gli effetti sono i medesimi: espropriare il trasgressore. Per tali ragioni, l'ordine di demolizione (come quello di rimessione in pristino), presupposto necessario della confisca comunale (in caso di inadempimento volontario) non può che essere una sanzione sostanzialmente penale, al pari della confisca urbanistica di cui all'art. 44 co. 2 d.P.R. 380/2001. Se tanto è vero, è anche vero, come già visto, che l'ordine di demolizione ha una finalità (anche) ripristinatoria dell'«ordine urbanistico», per cui è necessario porsi l'interrogativo sull'effettiva possibilità di estendere allo stesso, sic et simpliciter, le cause di estinzione della pena. 9.3 L'indagine scientifica sulle cause di estinzione della pena ha sempre avuto un ruolo marginale, essendo stata dedicata particolare attenzione a quelle di estinzione del reato. Ad ogni modo, la caratteristica comune che le distingue dalle prime va indicata nella circostanza che tutte intervengono dopo la sentenza irrevocabile di condanna e, dunque, dopo che il giudice ha accertato un fatto antigiuridico, tipico e colpevole, comminando la relativa pena. E poi, altra caratteristica comune a tutte le cause di estinzione della pena (ad eccezione della morte per le ragioni che si diranno) è la natura decadenziale, ricavato dall'inesistenza di ipotesi di interruzione e sospensione della stessa. Già tali peculiarità evidenziano le ragioni degli interrogativi teorici appena sopra posti alla riflessione in ordine all'effettiva possibilità di estendere a tutte le sanzioni di tipo penale (come l'ordine di demolizione), secondo la definizione convenzionale, le relative cause di estinzione. carattere dell'esecutorietà insito nel potere di autotutela che, come è noto, consiste nel potere-dovere degli organi amministrativi di dare esecuzione ai provvedimenti da essi stessi emanati. Di conseguenza, appare evidente che, qualora non ricorrano i presupposti per l'acquisizione gratuita del bene, come nel caso in cui l'area sia di proprietà del terzo, la funzione ripristinatoria dell'interesse pubblico violato dall'abuso, sia pur ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi esecuzione d'ufficio. E ciò senza che a tal fine necessiti la preventiva acquisizione dell'area che, se di proprietà del terzo estraneo all'abuso deve rimanere nella titolarità di questi, anche dopo eseguita d'ufficio la demolizione". Ed è vero che, analogamente, nella giurisprudenza amministrativa (C. Stato, V, 11 luglio 2014, n. 3565) si trova affermato che l'acquisizione gratuita dell'area dove è stato realizzato un immobile abusivo non possa essere dichiarata verso il proprietario estraneo al compimento dell'opera abusiva, che non possa ritenersi responsabile della stessa, facendo eccezione il caso in cui il proprietario, pur non responsabile dell'abuso, ne sia venuto a conoscenza e non si sia adoperato per impedirlo (cfr. C. Stato, III, 15 ottobre 2009, n. 2371) e l'ipotesi che l'attuale proprietario abbia acquistato il manufatto dal proprietario che aveva commesso l'abuso, pur se il nuovo non è responsabile dello stesso, subentrando nella sua posizione giuridica. Nondimeno, quali che qui debbano essere le conseguenze - ovvero che persistano in concreto i presupposti per l'acquisizione gratuita comunale, o che il Comune debba, in forza di detto suo comportamento dovuto, demolire il manufatto abusivo intervenendo sul sedime altrui e quanto vi insiste - va rilevato che è illegittimo, come qui è avvenuto, disporre l'acquisizione gratuita, o in ipotesi effettuare questo materiale intervento comunale, in danno di chi non è responsabile dell'abuso e nei cui confronti sia mancata la notifica dell'ordine di demolizione. 11.- Essendo l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale - ovvero la demolizione in danno - una misura prevista per l'ipotesi di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, essa postula comunque un'inottemperanza da parte di chi va a patirne le pur giuste conseguenze. 12.- Su queste basi il Collegio qui considera che l'acquisizione gratuita dell'area - come la demolizione pubblica in danno - non possa essere senz'altro disposta nei confronti degli attuali interessati...». www.lalegislazionepenale.eu 38 21.12.2015 Studi G. Stea In questa sede, va appuntata l'attenzione, ai fini dell'analisi proposta, sulla morte del reo (art. 171 Cp) e sulla prescrizione (artt. 172 e 173 Cp), che poggiano su fondamenti distinti. Mors omnia solvit. È un corollario della personalità della responsabilità penale che impone l'estinzione di tutti i rapporti di diritto penale di cui il condannato era titolare. Si estinguono le pene principali e quelle accessorie e, di regola, ogni altro effetto penale. La prescrizione della pena ha una finalità spiccatamente specialpreventiva 116, come si evince dall'esclusione della stessa per i recidivi, i delinquenti professionali o per tendenza, ovvero nei casi in cui il condannato, durante il tempo necessario per l'estinzione della pena, riporti una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole, ove, dunque, il solo tempo trascorso dalla condanna non eseguita non può avere alcuna utilità sociale. Il legislatore, se si vuole, attribuisce già alla sola sentenza di condanna una finalità risocializzante e, dunque, il lasso temporale prima dell'esecuzione ha un effetto reintegrativo per il condannato, tanto da rendere inutile l'esecuzione della pena inflitta dopo un certo tempo proporzionato alla gravità del crimine accertato. A differenza dell'omologa causa di estinzione del reato, il tempo, dopo la condanna, non cancella la memoria sociale dell'offesa subita. È importante osservare che, come si desume dal combinato disposto degli artt. 210 e 236 Cp, le cause di estinzione della pena non si applicano alla confisca che è una misura di sicurezza patrimoniale che colpisce le cose e non la persona117. 9.4 Due impostazioni opposte. La natura penale della confisca urbanistica, ovvero dell'ordine di demolizione o di rimessione in pristino non consente di applicare tout court il regime proprio della pena nostrana. Una sanzione sostanzialmente penale, secondo l'ordinamento convenzionale, non è la pena così qualificata dal diritto interno. Ed invero, le ragioni per cui la Corte di Strasburgo ha formulato una nozione autonoma (o convenzionale) di pena è solo quella di individuare la matière pénale utile ad attrarre il rigido regime garantistico previsto dagli artt. 6 e 7 Cedu. In altri termini, alla sanzione interna qualificata come penale a termini convenzionali vanno applicate tutte le regole garantite direttamente o indirettamente dalla Convenzione, non, dunque, tutte quelle proprie dell'ordinamento interno che si riferiscono alla pena domestica. Da ciò, la qualificazione della sanzione interna come penale a termini convenzionali identifica solo un'accusa penale ai sensi dell'art. 6 Cedu, con l'effetto che, all'accertamento del relativo illecito (a prescindere dalla natura nazionale dello stesso), devono trovare applicazione tutti i principi e le regole che hanno un fondamento diretto o indiretto nelle disposizioni convenzionali in materia penale 116 P. Nuvolone, Il sistema del diritto penale2, Padova 1992, 559. La confisca (come misura di sicurezza) non si applica in caso di estinzione del reato, ex multis, Cass. SU, 10.7.2008 n. 38834. Si veda, in particolare, Trib. Trapani, 7.1.2013, in CM 2013, 4, 415, che, dando completo atto dei contrasti giurisprudenziali, aderisce al principio indicato dalle Sezioni Unite. Di recente, proprio con riferimento al caso Varvara C. Italia ed alle relative statuizioni della Corte di Strasburgo, applicate, mutatis mutandis, ad un'ipotesi di confisca ex art. 240 Cp, cfr. Cass. 20.1.2015 n. 7860, in CEDCass, m. 262759. 117 www.lalegislazionepenale.eu 39 21.12.2015 Studi G. Stea (artt. 6 e 7 Cedu e art. 4 Protocollo n. 7 Cedu, etc.). E, dunque, principi di legalità, di proporzione (anche nelle dimensioni dell'offensività della materialità), irretroattività maligna e retroattività in mitius, divieto di bis in idem, con tutte le regole che implementano tali principi. Sono escluse le cause di estinzione del reato e della pena 118. Secondo tale impostazione, dunque, la qualificazione penale della sanzione interna, a termini convenzionali, non modifica la natura non penale della stessa nell'ordinamento domestico, fatta salva la necessaria applicabilità delle garanzie convenzionali. E, dunque, alla confisca urbanistica, come alle altre sanzioni edilizie ablative, non può non applicarsi il divieto di retroattività o la necessaria previsione legale, trovando tutela negli artt. 6 e 7 Cedu. Tali sanzioni non potranno applicarsi, inoltre, se non con una sentenza di condanna. Nulla, come detto, però, in relazione alle ipotesi di estinzione del reato e della pena, che non trovano una diretta (o indiretta) tutela nelle suddette norme convenzionali. Pertanto, seguendo tale concezione e rispondendo al quesito posto più sopra, il giudice astigiano ha errato nell'estendere all'ordine di demolizione la previsione di cui all'art. 173 Cp, dichiarando la relativa intervenuta prescrizione per decorso del termine quinquennale, proprio perché la natura penale dell'ordine di demolizione, da tale curia (correttamente) riconosciuta, non consente l'applicazione di istituti che hanno una ratio modellata sulla pena domestica. 9.4.1. La qualificazione convenzionale come pena di una sanzione domestica, ne muta automaticamente anche la natura all'interno dell'ordinamento nazionale, in virtù di quanto previsto dall'art. 117 co. 1 Cost. e dalla lettura offertane dalla Consulta, che riconosce al diritto convenzionale il duplice ruolo di parametro interposto di legittimità costituzionale del diritto interno e di criterio interpretativo cui il giudice nazionale deve attenersi, salvo che da tale attività ermeneutica derivi un contrasto con le norme costituzionali gerarchicamente sovraordinate. La Corte costituzionale, inoltre, scrutinando la confisca stradale ex art. 186 CStr 119 , ha evidenziato che «dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, formatasi in particolare sull'interpretazione degli artt. 6 e 7 della CEDU, si ricava (...) il principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto», così collocando ogni intervento punitivo nazionale nell'alveo dell'art. 25 co. 2 Cost. Da ciò, si ricava che ciò che è pena a livello sovranazionale, è tale anche a livello domestico, ed impone l'applicazione della medesima disciplina relativa alla pena domestica in senso stretto, in virtù del principio di stretta legalità e del favor rei. È inammissibile, infatti, la previsione di eccezioni tra le sanzioni afflitto-punitivo in 118 In questo senso, C. cost., n. 236/2011, per cui, «dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo emerge che l’istituto della prescrizione, indipendentemente dalla natura sostanziale o processuale che gli attribuiscono i diversi ordinamenti nazionali, non forma oggetto della tutela apprestata dall’art. 7 della Convenzione». Va osservato, comunque, che, per quanto riguarda la prescrizione del reato, andrebbe riconosciuta la tutela sovranazionale ex art. 117 co. 1 Cost., in virtù di quanto previsto dall'art. 14 co. 3 lett. c) PIDCP. Mentre, per le cause estintive della pena, utili argomenti possono ricavarsi dall'art. 54 CAAS, nella parte in cui parifica l'esecuzione della pena alle ipotesi di non-eseguibilità della stessa, secondo l'ordinamento interno. 119 C. cost., 4.6.2010 n. 196. www.lalegislazionepenale.eu 40 21.12.2015 Studi G. Stea genere, che, come detto, devono essere soggette alla stessa disciplina, poiché, diversamente, tali eccezioni si porrebbero in insanabile contrasto con l'art. 7 Cedu, nella parte in cui stabilisce il principio della legalità dei delitti e delle pene, imponendo anche di non applicare la legge penale in maniera estensiva a svantaggio del reo. Rebus sic stantibus, l'ordine di demolizione edilizia costituisce una sanzione sostanzialmente penale, alla stregua dei parametri convenzionali di cui agli artt. 6 e 7 Cedu e, dunque, deve essere soggetto alla medesima disciplina della pena domestica, non potendosi ammettere alcuna eccezione, se non violando il principio di legalità previsto anche dall'art. 25 co. 2 Cost. Per tali ragioni, il giudice astigiano ha correttamente applicato l'art. 173 Cp anche all'ordine di demolizione edilizia, assoggettandolo alla stessa disciplina della pena contravvenzionale. In altri termini, l'accertata natura penale dell'ordine demolitorio supera la questione relativa all'assenza dell'eadem ratio che ha fatto escludere, alla giurisprudenza di legittimità, nella considerazione della sanzione ablatoria de qua come di natura amministrativa, l'applicabilità analogica della disposizione codicistica suddetta. Il giudice astigiano ha, comunque, rimesso l'esecuzione (eventuale) dell'ordine demolitorio alla pubblica amministrazione. 10. La morte è l'unico modo naturale di estinzione di reato e pena. Le altre ipotesi sono tutte politiche120, ovvero previste dal legislatore per ragioni sopravvenute dipendenti dalla volontà, se si vuole, dello Stato o del reo. E poi, la morte è l'unica causa estintiva che modifica il rapporto di conflitto: non si tratterà più di giudicare il responsabile dell'abuso, ma colui che subentra nella titolarità del manufatto abusivo (erede). Ed invero, adottando un metodo casistico, se il reo muore nel corso del processo penale, il giudice dichiara l'estinzione del reato ex art.150 c.p., non perché è venuta a mancare la tipicità (sostanziale) del fatto, che rimane astrattamente inalterata, ma perché quel comportamento non può più essere perseguito e punito. Né di tale comportamento può rispondere chi subentra nella titolarità del patrimonio del reo, ostando il canone della personalità della responsabilità penale ex art. 27 co. 1 Cost. Né, poi, questa estinzione naturale del reato consente di ammettere che taluno possa ricavare giovamenti di sorta da reati precedentemente commessi dal suo dante causa. Non si tratterà più di una questione penale (il reato è estinto), ma solo amministrativa e civile. La pubblica amministrazione, a questo punto, avvierà il procedimento nei confronti dell'erede come proprietario del bene abusivo, notificando l'ingiunzione di demolizione ai sensi dell'art. 31 co. 3 d.P.R. 380/2001, che non avrà i connotati afflittivi o repressivi propri dell'ordine di demolizione nei confronti del responsabile dell'abuso, ma di invito ad eliminare una situazione obiettivamente antigiuridica. Nell'ipotesi di volontario adempimento da parte dell'erede, nulla quaestio. 120 La distinzione tra modi naturali e modi politici di estinzione del reato e della pena è di Francesco Carrara. www.lalegislazionepenale.eu 41 21.12.2015 Studi G. Stea In caso di inottemperanza, invece, si instaura un conflitto ed, infatti, il dirigente comunale impone all'erede una sanzione amministrativa pecuniaria, ai sensi dell'art. 31 co. 4-bis d.P.R. 380/2001, e l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale ex art. 31 co. 5 d.P.R. 380/2001. Siffatto procedimento deve tenere conto delle garanzie convenzionali di cui agli artt. 6 e 7 Cedu, in quanto la conseguenza dell'inottemperanza all'ingiunzione amministrativa a demolire, ovvero l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale del bene abusivo e del relativo sedime, ha natura sostanzialmente penale, così attraendo il regime proprio dell'accuse penal. La morte del responsabile dell'abuso edilizio configura, dunque, un nuovo illecito così strutturato: il comportamento punito (precetto) è l'inottemperanza all'ingiunzione-invito a demolire l'opera abusiva, che, dunque, costituisce l'oggetto materiale dell'illecito, e la sanzione è l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale. L'ipotesi qui tracciata consentirebbe di superare gli aspetti critici della soluzione pretoria della vicenda: nella giurisprudenza amministrativa è sostenuto, infatti, che il responsabile dell'abuso non è solo chi lo ha materialmente realizzato, ma anche chi ha l'effettiva disponibilità dell'immobile abusivo, in quanto «l'abusività di un fabbricato diventa una caratteristica negativa che acquisisce l'immobile e che lo caratterizza a prescindere dalla posizione psicologica del proprietario (o dell'avente causa dal soggetto che ha commesso l'illecito edilizio)»121. In altri termini, nel caso di morte del responsabile dell'abuso, si punirebbe un soggetto per un comportamento altrui ed a prescindere dalla posizione psicologica con il fatto. Così ponendosi in frizione con le garanzie convenzionali ed, in particolare, con la necessità di un nesso psichico tra fatto e soggetto per poter legittimamente impartire una sanzione di natura penale. La Corte di Strasburgo, infatti, ha evidenziato che, nonostante l’art. 7 Cedu non menzioni espressamente il nesso psicologico tra l’elemento materiale del reato ed il reo, «la logique de la peine et de la punition ainsi que la notion de «guilty» (dans la version anglaise) et la notion correspondante de « personne coupable» (dans la version française) vont dans le sens d'une interprétation de l'article 7 qui exige, pour punir, un lien de nature intellectuelle (conscience et volonté) permettant de déceler un élément de responsabilité dans la conduite de l'auteur matériel de l'infraction», diversamente, concludono i giudici convenzionali, «la peine ne serait pas justifiée»122. Il legame psicologico tra autore e fatto, come indicato dai giudici convenzionali, specificato con «conscience et volonté», non ha certamente un'indicazione pregnante e chiara, ove si considerino, in particolare, le differenze definitorie, anche importanti, tra tutti i criteri di imputazione soggettiva, potendosi, ad ogni modo, individuare almeno nella colpa (incosciente) che costituisce il minimo e più debole nesso di natura soggettiva che possa configurarsi tra un fatto ed il suo autore. E così, l'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione dell'abuso mette in rilievo in re ipsa il minimo collegamento psichico tra soggetto (erede) e fatto vietato (omessa demolizione dell'opera abusiva), tale da soddisfare il canone convenzionale 121 Tar Sicilia-Palermo, 23.7.2014 n. 1995. C. eur., 20.1.2009, Sud Fondi Srl c. Italia, in particolare §§ 116, 117; su tale pronuncia, F. Mazzacuva, Un “hard case” davanti alla Corte europea: argomenti e principi nella sentenza di Punta Perotti, in DPP 2009, 1540 ss. Si è già detto che diversa appare l'indicazione fornita nel caso Varvara c. Italia, infra, § 6.1. 122 www.lalegislazionepenale.eu 42 21.12.2015 Studi G. Stea suddetto (e non solo)123. Né varrebbe obiettare che tanto evidenzia la differenza sostanziale degli illeciti penale e amministrativo e, dunque, l'inapplicabilità del ne bis in idem, come sopra prospettato, in quanto, solo nell'ipotesi di procedimento nei confronti del responsabile dell'abuso, il fatto (attività di costruzione abusiva) integra anche la fattispecie astratta penale ex art. 44 d.P.R. 380/2001, oltre quella amministrativa di cui all'art. 31 d.P.R. 380/2001. L'ordine di demolizione è impartito, in entrambe le ipotesi, come conseguenza del comportamento vietato (attività di costruzione abusiva), mentre, nel caso di morte del responsabile dell'abuso, tale ordine è rivolto all'erede (divenuto titolare dell'opera abusiva) affinché rimuova l'abuso. La distinzione non appare evidente, ma consente di conformare il sistema punitivo edilizio alle garanzie convenzionali. 10.1 La morte del responsabile dell'abuso interviene subito dopo la condanna definitiva. Il giudice dell'esecuzione dichiara l'estinzione di tutte le pene e, dunque, anche dell'ordine di demolizione. Almeno secondo la concezione 124 fatta propria dal giudice astigiano. Le differenze rispetto all'ipotesi esaminata nel paragrafo che precede appaiono evidenti: qui, la morte non estingue il fatto di reato (appunto), ma solo le conseguenze nei confronti del condannato. Non paiono dubbi che la pubblica amministrazione possa intervenire con gli strumenti già evidenziati (invito alla demolizione notificato all'erede ed, in caso di inottemperanza, la sanzione pecuniaria e l'acquisizione del bene e del relativo sedime al patrimonio comunale). 10.2. Prima di concludere, è opportuno riflettere (brevemente) su una questione abbandonata nelle pagine che precedono: in caso di dichiarazione di prescrizione dell'ordine di demolizione, la pubblica amministrazione può intervenire ingiungendo al responsabile dell'abuso di demolire il manufatto illecito? Non pare possibile, se occorre, come si crede, dare un significato all'inerzia della pubblica amministrazione (e qui va collocata anche l'inattività del pubblico ministero). La dichiarazione di estinzione della pena, come visto, costituisce, fra l'altro, un'ipotesi di decadenza del potere di farla eseguire. E ciò che non può (più) fare il giudice penale, non può essere consentito alla pubblica amministrazione. Non va dimenticato, inoltre che il controllo sull'esecuzione della pena è devoluto al giudice che l'ha emessa, ai sensi dell'art. 665 Cpp, con l'effetto che, ove fosse consentito di eseguire alla pubblica amministrazione l'ordine di demolizione impartito con una sentenza di condanna penale, sarebbe scardinato il sistema descritto dal legislatore, come letto dalla Sezioni Unite, per cui «l'applicazione, all'esecuzione dell'ordine di demolizione, dell'ordinario procedimento esecutivo comporta che qualunque controversia possa insorgere, sia in ordine al titolo o alle 123 Il termine di prescrizione dell'illecito amministrativo (sostanzialmente penale) inizierà a decorrere dalla morte del responsabile dell'abuso. 124 Cfr. § 9.4.1 www.lalegislazionepenale.eu 43 21.12.2015 Studi G. Stea modalità che ai possibili rapporti con i concorrenti provvedimenti amministrativi, debba, necessariamente essere affrontata su impulso del pubblico ministero, dell'interessato o del difensore, innanzi al giudice dell'esecuzione»125. 11. L'ordine di demolizione edilizia è una «pena». È partito tutto da qui e gli effetti sono (possono essere) rivoluzionari, poiché scuotono alla base il consolidato orientamento giurisprudenziale domestico di applicazione del sistema punitivo urbanistico-paesaggistico. Un'esegesi, quella consolidata, senza dubbio mossa da una «buona intenzione»126, il principio della tutela del territorio e dell'ambiente, come primo criterio di interpretazione del dato positivo. La natura penale della sanzione nel sistema convenzionale, di regola, attrae l'illecito nella relativa area di disciplina (matière pénale), con tutte le garanzie che ad essa appartengono. Spostando, dunque, l'illecito edilizio in genere dall'alveo amministrativo (rectius, anche amministrativo) a quello (solo) penale, cambiano i parametri di riferimento della stessa esegesi. Il mutamento di prospettiva mette in crisi la giurisprudenza nazionale: a tanto si è assistito con la questione della confisca urbanistica, al punto che la stessa Corte costituzionale ha (addirittura) affermato che una pena può essere comminata anche con una sentenza di proscioglimento (sic!) purché si accerti la responsabilità (penale?) del non-condannato (sic!). Sempre nel campo del diritto penale dell'edilizia, si è già detto, il giudice ha voluto risolvere l'inerzia della pubblica amministrazione, a cui il legislatore aveva 125 A. Casadonte, Spetta all'autorità giudiziaria l'esecuzione dell'ordine di demolizione, in Urbanistica e appalti 1997 (1), 111. 126 D. Pulitanò, Due approcci opposti sui rapporti tra Costituzione e CEDU in materia penale. Questioni lasciate aperte da Corte cost. n.49/2015, in www.penalecontemporaneo.it, il chiaro Maestro invero utilizza l'espressione autoritarismo ben intenzionato, per descrivere, in maniera che la mia penna non può far meglio, le conseguenze dell'ingresso della tutela delle finalità nell'applicazione della legge penale, evidenziando, in particolare, rispetto alle rationes decidendi che hanno portato la questione della confisca urbanistica innanzi alla Corte costituzionale, «un segno autoritario» della lettura esegetica: «fra i due poli del problema penale (tutela mediante la coercizione legale versus limiti della coercizione legale) la direzione degli argomenti è verso il polo degli istituti coercitivi: tecnicamente in malam partem. Ciò cui mira l’eccezione di illegittimità costituzionale è la stabilizzazione del campo d’applicazione della confisca urbanistica come definito dal diritto giurisprudenziale vivente». Il parallelismo che il chiaro Maestro fa tra intervento della Corte di Strasburgo e quello del legislatore nel bilanciamento degli interessi in materia penale e, dunque, i limiti di intervento nelle scelte di politica criminale da parte anche della Corte costituzionale, va approfondito. La legge di ratifica della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dei suoi protocolli riguarda anche il sistema giurisdizionale, ovvero quello della Corte. In base all'art. 32 Cedu: «La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione dei suoi Protocolli che siano sottoposte a essa alle condizioni previste dagli articoli 33, 34, 46 e 47» e, poi, l'art. 19 Cedu stigmatizza che l'istituzione della Corte di Strasburgo ha il fine di «assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle Alte Parti contraenti dalla (...) Convenzione e dai suoi Protocolli». I giudici euroumanitari (uno per ciascun Stato contraente) sono eletti dall'assemblea parlamentare nazionale. Tale elezione garantisce il rispetto del principio democratico (assente – clamorosamente – per la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, per cui ciascun giudice è nominato dai rappresentanti governativi). Da ciò, con la ratifica dei patti internazionali in questione, il legislatore ha rimesso ogni valutazione di bilanciamento di interessi con i diritti umani di ogni politica legislativa (soprattutto criminale) al giudizio della Corte di Strasburgo. Il parallelismo ipotetico posto dal chiaro Maestro è una realtà che appartiene all'ordinamento: le decisioni della Corte di Strasburgo hanno la stessa efficacia delle scelte del legislatore nazionale, con una rafforzata copertura costituzionale derivante dall'art. 25 co. 2 Cost., nella materia penale, e dall'art. 117 co. 1 Cost., trattandosi pur sempre di un vincolo sovranazionale. www.lalegislazionepenale.eu 44 21.12.2015 Studi G. Stea assegnato la soluzione del fenomeno dell'abusivismo incontrollato, supplendo (di fatto) ad essa, così volendo perseguire in pratica la ratio legislatoris, a mo' di pubblico amministratore, con un'indebita confusione di funzioni e poteri. In altri termini, l'esigenza di non invadere le competenze della pubblica amministrazione, semmai sollecitandone l'attività di vigilanza e controllo del territorio, nel rispetto del superiore principio della separazione dei poteri, ha avuto l'effetto esattamente opposto, ovvero, da un lato, quello di attribuire al giudice, in luogo dell'amministratore pubblico, il controllo del territorio, ma con la forza dello ius dicere e, dall'altro, di rafforzare (in un certo senso garantendola o giustificandola) la cronica inattività di vigilanza e controllo da parte della pubblica amministrazione in questo settore. Da ciò, appare evidente che la finalità o buona intenzione giudiziale da parametro di esegesi del dato positivo, è utilizzata effettivamente come ragione non dell'interpretazione, ma della stessa applicazione del diritto, invece di conformare la regola da applicare ai principi fondamentali dell'ordinamento sinergicamente considerato 127. Ma vi è di più. Cambia il punto di vista per l'interprete, che si trova a dover guardare un quadro da un'altra prospettiva: il giudice deve estrapolare la legge dall'ordinamento domestico, collocarla in quello multilivello (comprensivo di ordinamento domestico e sovranazionale fra loro connessi sinergicamente) e qui interpretarla e, dunque, applicarla. Se, di contro, il giudice interpreta la norma domestica tenendo conto del solo ordinamento nazionale, lo stesso non si può rappresentare che, da un lato, la sua lettura può apparire viziata da un certo «provincialismo»128 e, dall'altro, applicherà la norma in un altro contesto, ovvero in quello multilivello. Sarebbe come servirsi di una norma straniera in un contesto nazionale distinto: perdendo i legami ordinamentali, l'applicazione della legge diventerebbe paradossale. È quello che è accaduto alla Corte costituzionale nella pronuncia del 26.3.2015 n. 49, anche appena sopra richiamata, in cui, come visto, l'interferenza convenzionale (natura penale della confisca urbanistica) nel sistema domestico (e non multilivello) è sfociata in un'applicazione (potenziale) irragionevole anche per l'ordinamento nazionale: il giudice può comminare una pena ad un noncondannato (sic!)129. Se, di contro, la Corte costituzionale non avesse voluto trovare un 127 Sull'importanza del metodo comparativo, M. Papa, Metodologia e scopi della comparazione in materia penale, cit., 372 ss. 128 A. Ruggeri, Carte internazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione nazionale: prospettive di ricomposizione delle fonti in sistema, Relazione all’incontro di studio su La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Roma 28 febbraio - 2 marzo 2007, richiamato nella Relazione n. 112 del 2012 dell'Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, 14, nota 45 129 T. Lecce, 7.7.2015, in www.giurisprudenzapenale.com, (anche in RP 2015, 10, 901), con nota di G. Stea, Prolegomeni del «provincialismo» giudiziale nel sistema multilivello. Le conseguenze empiriche della sentenza n. 49 del 2015 della Consulta, respingendo l'istanza di estinzione dell'ordine di demolizione ex art. 173 Cp, in un caso analogo a quello scrutinato da Trib. Asti, 3.11.2014, cit., evidenzia che «declinando come pena la misura demolitoria perché connotata di un carattere afflittivo eccentrico rispetto alla finalità di tutela e ripristino del territorio perseguita dalla norma, si rischierebbe di sortire l'effetto opposto ossia di privare il sistema sanzionatorio urbanistico di uno strumento, invero efficace, teso al realizzo» del ripristino dell'ordinato assetto del territorio violato. Affermando, addirittura, che «la previsione di cui all'art.31, co. IX e art. 44, co. I, DPR 380/01, attraverso un'opera interpretativa manipolativa asseritamente conforme alla CEDU, sarebbe inutiliter data, con il rischio di garantire un livello minore e non maggiore di tutela del bene interesse presidiato dalle www.lalegislazionepenale.eu 45 21.12.2015 Studi G. Stea compromesso tra lettura convenzionale e sistema prettamente domestico, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a considerare la confisca urbanistica come una pena in senso stretto, offrendo al sistema coerenza ed armonia. Altre volte, come detto, il giudice persegue la finalità legislativa, anteponendola all'esegesi normativa, abbandonando la funzione di garanzia allo stesso attribuita dall'ordinamento e sostituendosi al pubblico amministratore, come accade nella materia qui esaminata, nel vigilare e ripristinare tempestivamente l'ordine urbanistico violato. La problematica più evidente di inconciliabilità con i parametri convenzionali non riguarda tanto la giurisdizione penale domestica, una volta che anche l'ordine di demolizione venga considerato di natura penale e così attraendo il regime proprio della pena in senso stretto, ma quella amministrativa che, in questo campo, appare spalleggiare l'inerzia della pubblica amministrazione, affermando che «l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione», non ammettendo «alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato», né che «l'interessato può dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi»130. Il richiamo alla norme interne, conformemente al dettato costituzionale». È evidente che il giudice salentino antepone la finalità (si badi, non astratta), in concreto (evitare la prescrizione ex art. 173 c.p.) all'esegesi convenzionale dell'ordine di demolizione, con affermazioni (inconsapevolmente) paradossali. In primis, come può una pena (ove tale dovesse considerarsi l'ordine di demolizione) – sanzione massima dell'ordinamento – minare la funzionalità del sistema sanzionatorio edilizio? Ed in inoltre, se l'ordine ripristinatorio viene eseguito tempestivamente e, dunque, nel termine di prescrizione, la finalità tutoria del territorio non è comunque salvaguardata? L'esigenza di rilievo costituzionale che, secondo il giudice leccese, viene meno, non dipende, quindi, dalla qualificazione della natura penale della misura ripristinatoria sindacata, ma solo, nel caso de quo, dall'inerzia della pubblica amministrazione o del pubblico ministero nell'eseguirla. E poi ravvisare nell'inutilità dell'ordine demolitorio, ove qualificato come pena a termini convenzionali, un livello minore di tutela del territorio, sottolinea quell'atteggiamento giudiziale interpretativo in malam partem, descritto da Domenico Pulitanò, che fa prevalere l'interesse generale al corretto governo del territorio fino al punto di annullare le garanzie di libertà del cittadino. Ma non solo. Il giudice salentino mal utilizza il criterio della maggior tutela ricavabile dall'art. 53 CEDU (ma anche dall'art. 53 CFDUE), dettato per i diritti e le libertà fondamentali riconosciuti proprio al cittadino, che impone di conformare il dato positivo a quello (sovraordinato o interno) che offre una tutela più intensa. Il giudice leccese appunta l'attenzione sul diritto di proprietà (che «può essere tutelato in quanto non sia in contrasto con l'interesse generale, così inserendo la funzione sociale nella struttura del diritto soggettivo, superando l'archetipo individualistico»), ignorando però i principi a cui afferisce l'invocata prescrizione, primo fra tutti, quello di legalità (art. 25 co. 2 Cost.), per cui «tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto» (così anche, C. cost., 18.4.2014 n. 104). 130 C. Stato, 4.10.2013 n. 4907; cfr. C. Stato, 24.11.2014 n. 5792. Una diversa apertura più garantistica si scorge in C. Stato, 18.5.2015 n. 2512, secondo cui «l’ingiunzione di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell'opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di principio sufficientemente motivata con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera; deve intendersi fatta salva l'ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato. Ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all'entità ed alla tipologia dell'abuso, il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della www.lalegislazionepenale.eu 46 21.12.2015 Studi G. Stea lettura giusamministrativa è imposto dall'applicazione alla materia edilizia del ne bis in idem, come indicato nelle pagine che precedono. Certo, la qualificazione dell'ordine di demolizione, unitamente a tutte le sanzioni edilizie, come «pena», dovrebbe elevare gli interessi del cittadino a veri e propri diritti soggettivi, ponendo anche il problema della stessa giurisdizione del giudice amministrativo. legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato». www.lalegislazionepenale.eu 47 21.12.2015