Dipartimento di Scienze giuridiche CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa La deroga alla giurisdizione nell’azione di risarcimento per danno da illecito antitrust derivante da cartelli tra società aventi sede in più Stati membri. Elena Caminiti Febbraio 2010 © Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o come altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per la riproduzione o l’impiego di informazioni testuali e multimediali, tale autorizzazione annulla e sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione 1 Public Enforcement e Private Enforcement per il risarcimento del danno da violazione delle norme antitrust comunitarie: il Libro Verde e il Libro Bianco; la saga Courage e il Caso Manfredi. Nel diritto della concorrenza l’espressione private enforcement indica l’applicazione della disciplina antitrust all’interno di controversie civili promosse innanzi ai giudici nazionali. Contrariamente a quanto avviene nell’altra sponda dell’Atlantico, il sistema comunitario ha per lungo tempo rifiutato di riconoscere al private enforcement un posto da protagonista nel suo ruolo essenziale al funzionamento e al rispetto delle regole della concorrenza, mostrando maggior familiarità e dimestichezza in un contesto di public enforcement, ove l’applicazione della normativa antitrust avviene per mano delle autorità pubbliche (Commissione EU ed autorità garanti nazionali). Tuttavia, sotto la spinta dell’esperienza statunitense e dei modelli economici di riferimento sviluppatisi in seno alle principali scuole di pensiero in materia, attualmente il private enforcement sta vivendo una stagione di riscatto anche nel Vecchio Continente. Al termine di un processo durato quasi cinquant’anni1, il 2 aprile 2008 la Commissione Europea ha infatti pubblicato il tanto atteso Libro Bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, il cui contenuto, nella prospettiva di garantire una tutela effettiva alle vittime di una violazione della disciplina comunitaria in materia di concorrenza, é stato recentemente salutato con favore anche dal Parlamento Europeo2. Il faticoso percorso che ha condotto all’emanazione del Libro Bianco é illuminato dai principi dell’effetto utile e dell’ effetto diretto delle norme comunitarie3, i quali, segnati dalle 1 La Commissione ha iniziato infatti ad interrogarsi sul problema del risarcimento del danno da violazione degli articoli 85 ed 86 del Trattato Cee fin dal lontano 1963; Commissione CEE, Collana Studi, serie Concorrenza, n.1, Bruxelles, 1966. 2 Risoluzione del Parlamento Europeo del 26 marzo 2009 sul Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, disponibile alla pagina web: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=//EP//TEXT+TA+P6-TA-2009-0187+0+DOC+XML+V0//IT 3 Per un’analisi approfondita del significato dei suddetti principi cfr G.Tesauro, Diritto Comunitario, Padova, Cedam pp 108 e ss e 163 e ss. In particolare l’autore sottolinea come l’effetto diretto non sia una caratteristica esclusiva del diritto comunitario, rinvenendosi anche nel diritto internazionale. sentenze ormai storiche Van Gend & Loos4, Costa5, Francovich6, Brasserie du pecheur-Factortame7, hanno trovato nel 2001, con la sentenza Courage e Crehan8 la propria chiave di volta e l’occasione per rigenerarsi fornendo un ulteriore impulso al potenziamento dell’effettività degli articoli 81 ed 82 del Trattato. Prima della sentenza Courage la Corte di Giustizia era infatti si giunta alla teorizzazione del principio della diretta applicabilità dei diritti derivanti dal Trattato, ma sul tema specifico del risarcimento dei danni per violazione della normativa antitrust vi erano non poche resistenze attuative, dovute soprattutto, ad opinione di molti autori, all’assenza di una disciplina comune, o quantomeno di un’armonizzazione, delle legislazioni degli Stati membri che fosse indirizzata a garantire in ciascuno di essi l’esistenza di una tutela risarcitoria in caso di violazione della normativa antitrust9: ciò avrebbe 4 Sentenza CGE del 5 febbraio 1963, causa C- 26/62. 5 Sentenza CGE, del 15 luglio 1964, causa C-6/64. 6 Sentenza CGE del 19 novembre 1991, cause C-6/90 e C-9/90. 7 Sentenza CGE del 5 marzo 1996, cause C-46 e 48/93 8 Sentenza CGE del 20 settembre 2001, causa C-453/99. 9 S. Bastianon, Il risarcimento del danno antitrust tra esigenze di giustizia e problemi di efficienza. Prime riflessioni sul Libro verde della Commissione, in Mercato Concorrenza e Regole, Giuffré, II, 2006 P. 322. condotto, non a caso, per molto tempo l’orientamento della Corte di Giustizia a ritenere che fosse comunque compito di ciascuno Stato membro individuare giudici competenti e procedure dei ricorsi finalizzati a tutelare i diritti dei singoli, in forza dell’effetto diretto del diritto comunitario (c.d. principio della competenza esclusiva). Questo ha comportato che, sebbene la Corte avesse precisato che le modalità delle suddette procedure dovessero esser tali da non risultare meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (c.d. principio di non discriminazione) né da rendere impossibile o eccessivamente difficoltoso l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (c.d. principio di effettività), di fatto, la piena efficacia del diritto comunitario risultava un sottoinsieme del principio della competenza esclusiva da cui veniva assorbito e ridimensionato . Con la sentenza Courage, invece, per la prima volta i principi sanciti dalla sentenza Francovich vengono trasposti ed applicati formalmente anche alle controversie antitrust10 : << La Corte ha già dichiarato che gli articoli 81 n.1 e 82 del Trattato CE producono effetti diretti nei rapporti tra i singoli ed attribuiscono 10 M.Colangelo, Le evoluzioni del Private Enforcement: da Courage al Libro Bianco,in Europa e diritto privato, 2008, n. 3, Giuffré, p. 655. direttamente a questi dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare (...) Dalle considerazioni che precedono risulta che qualsiasi singolo é legittimato a far valere in giudizio la violazione dell’art. 81.n.1 del Trattato, anche qualora sia parte di un contratto che può restringere o falsare il gioco della concorrenza ai sensi di tale disposizione (...) La piena efficacia dell’art.81 del Trattato, e, in particolare, l’effetto utile del divieto sancito al n.1 di detto articolo sarebbero messi in discussione se chiunque non potesse chiedere il risarcimento del danno causatogli da un contratto o da un comportamento che possono restringere o falsare il gioco della concorrenza (...) Un siffatto diritto rafforza, infatti, il carattere operativo delle regole di concorrenza comunitarie ed è tale da scoraggiare gli accordi o le pratiche, spesso dissimulate, che possono restringere o falsare il gioco della concorrenza. In quest’ottica, le azioni di risarcimento danni dinanzi ai giudici nazionali possono contribuire sostanzialmente al mantenimento di un’effettiva concorrenza nella Comunità11>>. L’importanza della sentenza della Corte di Giustizia nel caso Courage12 risiede, pertanto, nell’aver affermato esplicitamente e con maggior fermezza rispetto alle precedenti, 11 Corte di Giust., 20 settembre 2001, Courage Ltd c. Crehan , C- 453/99 p. 23, 24, 26, 27. In Foro It., 2002, IV, c. 75 ss. 12 Per un’analisi sull’impatto del diritto europeo sul diritto privato e commerciale cfr N. Scannicchio, Il Diritto Privato Europeo nel sistema delle fonti, In Trattato di Diritto Privato Europeo, a cura di N. Lipari, Vol. I, PadovaCedam, 2003. il diritto al risarcimento da violazione di normativa antitrust, estendendolo (per la prima volta) persino a chi sia stato parte del contratto illegittimo13 ai sensi degli artt. 81 o 82 del Trattato, purché, naturalmente, l’attore che lamenti il danno sofferto non abbia operato in una posizione di pari grado rispetto al convenuto14. Un ulteriore merito della sentenza Courage é quello di aver precisato che i soggetti demandati a proteggere e tutelare i diritti comunitari sono i giudici nazionali, i quali pertanto sono tenuti, in concreto, all’attuazione degli stessi: tale assunto é stato prontamente recepito: - dalle Istituzioni politico-legislative comunitarie, che lo hanno condensato nel regolamento 1/2003/CE15, espressamente evidenziato il ruolo in cui viene complementare dei 13 Secondo tale interpretazione sarebbe possibile utilizzare la normativa antitrust a fini difensivi, consentendo all’attore di invocare la nullità del contratto stipulato in precedenza, e di sottrarsi così all’adempimento delle proprie obbligazioni che da esso deriverebbero. 14 Diversamente, si rischierebbe di riconoscere un vantaggio in capo a chi ha posto in essere il comportamento illecito. 15 Regolamento del Consiglio 1/2003 del 16 dicembre 2002 concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt 81 e 82 del Trattato, in << Guce>> del 4 gennaio 2003, L 1, 0.1. giudici nazionali rispetto a quello delle autorities nella tutela dei diritti soggettivi garantiti dal diritto comunitario nelle controversie tra privati, in particolare accordando risarcimenti alle parti danneggiate dalle infrazioni16. - Dalla Commissione EU che nel 2005, ha pubblicato il Libro Verde17 sulle azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie18. Con tale documento, e con le osservazioni ed opinioni ad essa pervenute in seguito, la Commissione ha avviato una stagione di profonda riflessione e di confronto tra i vari Stati membri sull’argomento, prospettando una serie di opzioni e alternative anche di natura procedurale, con l’obiettivo di porre le basi di una strategia condivisa idonea ad incoraggiare la diffusione del private enforcement, in cui la sfida é consistita nel misurarsi con questioni complesse, quali l’accesso alle prove (tra asimmetria informativa dell’ attore e diritto di difesa e riservatezza del convenuto), il requisito della 16 Considerando 7. 17 COM(2005) 672. 18 La versione tradotta in italiano del Libro verde é disponibile alla pagina web: http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2004_2009/documents/com/c om_com(2005)0672_/com_com(2005)0672_it.pdf colpa (laddove in molti Stati membri la domanda di risarcimento del danno, in quanto azione extracontrattuale, richiede di provare la colpa, mentre in altri la colpa é presunta se l’atto é compiuto in violazione della normativa antitrust), o ancora la definizione del risarcimento del danno (tra funzione riparatoria19, restitutoria20 o punitiva21, ove questi ultimi sono considerati dalla Commissione efficace strumento di deterrenza22), l’eccezione di trasferimento e la legittimazione ad agire dell’acquirente diretto (il c.d. passing-on). 19 Ovvero il risarcimento definito in funzione del danno subito dall’attore a causa del comportamento illecito. 20 Ovvero il risarcimento definito in funzione del profitto illecito realizzato dall’autore della violazione. 21 E’ questo il caso dei c.d. punitive o exemplary damages, tipici degli ordinamenti di common law, per opera dei quali, in caso di responsabilità extracontrattuale il danneggiato può vedersi riconosciuto oltre al risarcimento volto a compensare i danni subiti (c.d. compensatory damages), anche un ulteriore risarcimento, che riveste una funzione punitiva tipica della sanzione penale, il cui scopo é quello della deterrenza, cui si aggiunge un aspetto premiale nei confronti dell’attore per aver contribuito al disvelamento della violazione. Con la sentenza del 7 aprile 2003, causa State Farm Mutual Automobile Insurance Co. v. Inez Preece Campbell, La Corte Suprema degli Stati Uniti ha precisato che l’entità dei danni punitivi deve essere comunque proporzionata alla gravità del comportamento del danneggiante e non superiore a dieci volte l'entità del danno effettivo. In Italia sebbene la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1183/2007, abbia rifutato l’esecuzione di una sentenza straniera per contrarietà dei danni punitivi all’ordine pubblico interno, pronunce più recenti sembrerebbero virare verso la direzione opposta. V infra. 22 Commissione Europea, punto 7.16 L’importanza della soluzione offerta dalla Corte di Giustizia nel caso Courage non é da considerarsi scalfita dalle considerazioni cui sono pervenuti successivamente alla pronuncia sul rinvio pregiudiziale la High Court e la House of Lords inglesi, maggiormente orientati verso il principio di indipendenza piuttosto che verso quello di cooperazione. Il diritto al risarcimento é stato infatti nuovamente affermato nel 2006 dalla Corte di Giustizia con maggiore vigore, con il caso Manfredi23, instaurato da parte di alcuni 23 Manfredi c. Lloyd Adriatico Assicurazioni, Corte Giust., 13 luglio 2006, cause riunite C-295/04, C-296/04, C-297/04 e C-298/04, su questione pregiudiziale sollevata dal GdP di Bitonto, il quale nella sent. 21/05/2007 ha inflitto danni punitivi alle parti convenute, dichiarando che in caso di azione di danni per violazione della disciplina antitrust, il giudice deve liquidare il danno con criteri idonei a garantire un effetto deterrente nei confronti della parte convenuta (in applicazione di tale principio, il giudice ha liquidato all'attore, pur in mancanza di domanda espressa, una somma pari al doppio dei premi pagati all'impresa assicuratrice convenuta, in virtù di contratti conclusi in attuazione di un'intesa anticoncorrenziale illecita); Nuova Giur. Civ., 2008, 2, 1, 166 nota di Maugeri. La Corte di Giustizia sul punto ha precisato che << il risarcimento esemplare o punitivo può essere certamente riconosciuto nell’ambito di azioni nazionali analoghe alle azioni fondate sulle regole comunitarie di concorrenza, sebbene il diritto comunitario non osti a che i giudici nazionali vigilino affinchè la tutela dei diritti garantiti dall’ordinamento giuridico comunitario non comporti un arricchimento senza causa degli aventi diritto. D’altro lato, dal principio di effettività e dal diritto del singolo di chiedere il risarcimento del danno causato da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o a falsare il gioco della concorrenza discende che le persone che hanno subìto un danno devono poter chiedere il risarcimento non solo del danno reale (damnum emergens), ma consumatori finali contro alcune compagnie di assicurazione europee, condannate in precedenza dall’AGCM italiana 24 per aver determinato, attraverso il reciproco e sistematico scambio di informazioni, un aumento del prezzo delle polizze rc auto, natanti e ciclomotori, di circa il 20% rispetto a quello che si sarebbe avuto in presenza di dinamiche concorrenziali non alterate, e pertanto ingiustificato. In quella sede la Corte ha rilevato che << chiunque ha il diritto di far valere la nullità di un’intesa o di una pratica vietata dall’art 81 CE e, quando esiste un nesso di causalità tra essa e il danno subìto, di chiedere il risarcimento di tale danno>>25. Il principio é stato recepito anche in Italia: sentenze delle SSUU della Cassazione come quella del 4 febbraio 2005 n.2207 o quella del 2 febbraio 2007 n. 2305, non lasciano margini di dubbio << é errato ritenere che legittimati alla azione prevista dalla legge Antitrust possano essere solo gli imprenditori esclusi dal cartello e pertanto da questo danneggiati, ed è errato ancora qualificare l'azione in parola come anche del mancato guadagno (lucrum cessans), nonché il pagamento degli interessi>>; p. 101(5) 24 Agcm, provvedimento finale 28 luglio 2000 n. 8546 (Bollettino 30/2000 del 14 agosto 2000), confermato sostanzialmente anche dal Tar Lazio e dal Consiglio di Stato, in fase di impugnazione. 25 Sent CGE, p. 101(2). restitutoria e dunque estranea alla previsione di cui all'art. 33 della L. Antit. La legge ha attribuito alla Corte d'appello in unico grado di merito una competenza, ratione materiae, che prescinde dai soggetti che esercitano il relativo diritto,(...) giacchè contratti conclusi tra impresa assicuratrice e cliente "a valle" dell'accordo illecito tra gli imprenditori, costituiscono aspetti del medesimo problema. Ciò in quanto la posizione giuridica del terzo, estraneo all'intesa, che afferma di averne subito gli effetti ne determina la legittimazione ad agire. (...) Un siffatto criterio di competenza non può essere eluso neanche attraverso la qualificazione della domanda come restitutoria anzichè risarcitoria, giacchè anche la restituzione del cosiddetto sovrapprezzo seguirebbe ad una nullità, almeno derivata, del contratto concluso tra la società assicuratrice ed il cliente automobilista, e l'accertamento di tale nullità è devoluto alla Corte d'Appello>>26. ************* Chiariti gli obiettivi delle politiche europee della concorrenza, e a conclusione di un lungo processo di consultazione, la Commissione ha infine pubblicato un 26 Cass , n. 2207/2005 P.1 motivazioni. documento contenente proposte di azione comunitaria nel settore della concorrenza, il Libro Bianco in materia di azioni per il risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust, nella prospettiva di un aumento del numero dei procedimenti civili in Europa, il cui stato, come fotografato dal rapporto Ashurst27 del 2004, risulta ancora in una fase di “completo sottosviluppo” rispetto ai procedimenti amministrativi. Il modello proposto dalla Commissione nel Libro Bianco mira a costituire un sistema osmotico a “doppio binario28”, ove le Autorità - europea e nazionali - (il c.d. public enforcement) e le azioni civili (private enforcement) sono pensate per operare in sinergia, coordinando il loro operato in maniera efficiente, al fine anche di ridurre i costi degli strumenti da essi utilizzati. 27 Report Ashrurst, Study on the conditions of claims for damages in case of infringement of EC competition rules- comparative report, 2004. http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/com parative_report_clean_en.pdf. 28 L.C.Ubertazzi, Commentario alla legge 10 ottobre 1990 n.287, Padova, 2004 p.2422 ; V. Mangini, G. Olivieri, Diritto Antitrust, Torino, 2000 p. 121 2 il caso Provimi vs l’ undertaking Aventis: dal regolamento 44/01 al forum shopping in UK , presunzioni pericolose e overdeterrence inefficiente. Sulle problematiche sopra accennate, che risultano manifestamente evidenti nella disciplina del private enforcement di matrice comunitaria, in Europa é attualmente in corso un fervido dibattito, non ancora conclusosi, finalizzato ad analizzarne i punti di criticità per poi avanzare proposte di attuazione in grado di costituire quel “minimo basamento giuridico comune” tale da soddisfare, effettivamente, gli obiettivi di better competition in tutti gli Stati membri. Tuttavia, accanto alle questioni maggiormente dibattute, su cui é già disponibile una vasta quantità di materiale scientifico, ve n’è un’altra, nuova ed ancora poco esplorata, sorta a seguito di un particolare caso UK di private enforcement da illecito antitrust: il caso Provimi-Aventis29, azione follow-on rispetto alla 29 Provimi vs Aventis, High Court of Justice - Queen’s Bench Division - Commercial Court, 2 may 2003 EWHC 961. decisione del 21 novembre 2001 della Commissione UE circa il filone europeo30 del celebre cartello delle Vitamine31. Gli argomenti assunti dal giudice inglese in tal contesto, di cui si dirà dettagliatamente a breve, qualora trovassero conforto nelle future decisioni dei giudici nazionali di common law, di civil law, come della CGE e della Commissione, rischiano di aprire nuovi e complessi scenari i cui esiti non sembrano prestarsi a facile soluzione. Ma procediamo con ordine, ed iniziamo ad illustrare i tratti salienti del caso Provimi-Aventis. 30 Procedimenti e investigazioni per il cartello sulle vitamine che hanno visto implicata Hoffmann-La Roche, Aventis ed altre, si sono avuti tra il 1998 e il 1999, infatti, altresì negli Stati Uniti, in Canada in Australia. Anche in quelle sedi, la Aventis ha collaborato con le autorità, ottenendo l’immunità. 31 La decisione della Commissione sul cartello delle Vitamine é costato alle otto imprese che vi parteciparono una multa record: ben 855 milioni di euro. 2.1 La decisione della Commissione Europea Il 21 novembre 200132 la Commissione Europea ha sanzionato otto33 imprese, europee e non, operanti nel settore chimico-farmaceutico per aver partecipato ad otto diversi cartelli in violazione dell’art 81 del Trattato UE nel mercato dei prodotti vitaminici; in nome di essi, per più di dieci anni le suddette imprese avrebbero, secondo la Commissione, venduto i prodotti a prezzi concordati, pattuito ed applicato l’aumento dei prezzi, compartimentato il mercato, annunciato gli aumenti di prezzo confermemente ai loro accordi, nonché creato un sistema per controllare e far rispettare gli accordi, 32 COMP/E-1/37.512-Vitamine ; la decisione della Commissione é stata pubblicata il 10 gennaio 2003. 33 Hoffmann-La Roche AG (Svizzera), Aventis SA ex Rhône- Poulenc SA(Francia), Basf AG (Germania), Solvay Pharmaceuticals BV (Paesi Bassi), Merck Kga AG (Germania), Daiichi Pharmaceutical Co Ltd (Giappone), Eisai Co Ltd (Giappone), Takeda Chemical Industries Ltd (Giappone). In verità, le imprese inizialmente coinvolte erano tredici. Le altre cinque, Lonza AG (Germania), Kongo Chemical Co Ltd (Giappone), Sumitomo Chemical Co Ltd (Giappone), Sumika Fine Chemicals Ltd (Giappone) e Tanabe Saiyaku Co Ltd (Giappone) non state multate perché i cartelli cui avevano partecipato avevano cessato di esistere cinque anni partecipando ad una serie di incontri regolari al fine di dare attuazione ai propri piani. Le investigazioni della Commissione sul cartello delle vitamine sono state avviate a seguito alle dichiarazioni rese spontaneamente dall’ impresa francese Aventis34SA (conosciuta all’epoca dei fatti col nome di Rhône-Poulenc SA), la quale si era auto-accusata di aver violato l’art 81 del Trattato, partecipando all’intesa limitatamente alle vitamine A, E 35 e D3. La sintesi scritta fornita da Aventis (che le ha peraltro assicurato la completa immunità dalle ammende, in quanto prima società a collaborare con la Commissione), conteneva informazioni decisive in merito alle attività poste in essere dalle imprese coinvolte nel cartello; da essa emergeva il ruolo centrale di leaders and instigators svolto dalle due maggiori prima che la Commissione avviasse l'indagine. Tali casi, pertanto, sono caduti in prescrizione. 34 La quota di mercato detenuta dalla Rhône Poulenc nel settore delle vitamine ammontava al 5-15% a livello mondiale. 35 Le vitamine A ed E sono le più richieste dal mercato; complessivamente considerate esse coprono infatti circa il 60% della domanda mondiale delle vitamine, soprattutto nel settore dei mangimi. imprese produttrici di vitamine del mondo: Hoffmann-La Roche, ideatore principale e maggior beneficiario del cartello, e Basf, sua alleata. Le due companies avevano partecipato a tutti i cartelli, mentre gli altri operatori erano stati via via coinvolti solo per un numero limitato di prodotti vitaminici. Quanto alla Aventis (ex Rhône Poulenc SA), il suo coinvolgimento nel cartello era avvenuto grazie alla sua partecipazione alle riunioni36 che si tenevano a cadenze regolari tra alcuni funzionari delle imprese coinvolte, insieme ad alcuni dirigenti delle divisioni interne. Nella decisione della Commissione, in particolare, figura espressamente il diretto convolgimento alle suddette riunioni di una subsidiary controllata al 100% da Aventis SA, la Rhône Poulenc Animal Nutrition (RPAN), azienda operante nel mercato dei mangimi, il cui nome é stato poi modificato in Aventis Animal Nutrition (AAN). Il presidente di RPAN, infatti, rappresentava la Rhône Poulenc nelle riunioni tra presidenti di divisione e responsabili 36 Tale attività era chiamata “piano economico” , v. decisione della Commissione punto 171 del commerciale, subendo pertanto forti pressioni da parte della sua parent-company37. Al termine dell’istruttoria la Commissione ha inflitto alle seguenti imprese ingenti sanzioni per aver violato l’art 81 paragrafo 1 del trattato CE e l’art. 53 paragrafo 1 dell’accordo SEE: - Hoffmann-La Roche AG (Svizzera) parent company del gruppo Aventis SA ex Rhône-Poulenc SA(Francia) parent company del gruppo - Basf AG (Germania) - Solvay Pharmaceuticals BV (Paesi Bassi) subsidiary di Solvay SA - Merck Kga AG (Germania) - Daiichi Pharmaceutical Co Ltd (Giappone) - Eisai Co Ltd (Giappone) - Takeda Chemical Industries Ltd (Giappone) 37 V. p 184 e 640 della decisione della Commissione. 2.3. L’azione di danno davanti alla High Court, il caso Provimi. Sulla scorta della decisione della Commissione sul caso Vitamine, é stata in seguito avanzata una richiesta di risarcimento per danni da illecito antitrust innanzi alla High Court inglese da parte di alcune imprese europee che avevano acquistato vitamine nel periodo vigente il cartello. La particolarità di questo caso consiste nel fatto che le imprese convenute in giudizio non sono le medesime (parent) companies destinatarie della decisione della Commissione (v. supra), bensì mere subsidiaries di esse, non sanzionate dalla Commissione; ciononostante, esse sono state ritenute dal giudice inglese titolari di legittimazione passiva sulla base della nozione di undertaking di diritto comunitario, nozione che, secondo la High Court e contrariamente a quanto previsto dal diritto interno inglese, neutralizzerebbe il principio di corporate separateness al punto da considerare del tutto inutile ai fini del claim la disponibilità della prova della conoscenza (knowledge) da parte della subsidiary, dell’esistenza del cartello, nonché la sua volontà (will) di allinearsi opportunisticamente e consapevolmente ai prezzi cartellizzati dalla parent company: essa infatti, secondo il giudice di common law, insieme alle altre subsidiaries e alla parent-company, sarebbero parte di un’unica impresa38. Inoltre, regolamento attraverso un’interpretazione comunitario n. 44/01, estensiva del concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, é stato possibile per un’impresa tedesca che aveva acquistato vitamine fuori dal territorio UK, da imprese non-UK, citare queste ultime proprio in UK, scoperchiando di fatto un vero e proprio vaso di Pandora sul forum shopping anche in Europa. Ma vediamo nel dettaglio quali sono i passaggi salienti del caso Provimi-Aventis. Tra i protagonisti della complessa vicenda giudiziaria figurano in qualità di parti attrici tre imprese, di cui due inglesi ed una tedesca: Provimi Limited UK, Trouw Uk e Trouw Germany ; le imprese convenute sono invece Roche Product Limited (UK subsidiary), Roche Vitamins Europe AG (Switzerland subsidiary), Hoffmann-La Roche AG (Switzerland parent company), Hoffmann-La Roche (Germany subsidiary), Aventis Animal Nutrition SA (France subsidiary), Aventis SA 38 P. 31 << Therefore, so it seems to me, the mind and will of one legal entity is, for the purposes of Article 81, to be treated as the mind and will of the other (France parent-company) Rhodia Limited (UK subsidiary di Aventis), Rhodia (Germany subsidiary di Aventis). Il procedimento si suddive in due filoni, in base ai soggetti convenuti: compagnie del Gruppo Roche e compagnie del Gruppo Aventis. Ciascun filone comprende due azioni, ognuna facente capo al claim di Provimi Uk da un lato, e al claim di Trouw UK e Trouw Germany dall’altro. Complessivamente, le azioni sono pertanto quattro. Nella prima azione del primo gruppo39 Provimi ha citato: Roche Product Limited (UK), Roche Vitamins Europe AG (Switzerland) e Hoffmann-La Roche AG (Switzerland), pur avendo asserito di aver acquistato le vitamine soltanto da Roche UK e Roche Vitamins Switzerland, non già da Hoffmann-La Roche AG, svizzera, parent company, nonché unica impresa del gruppo sanzionata dalla Commissione nella decisione del 2001. Nella seconda azione del medesimo gruppo invece Trouw UK e Trouw Germany hanno citato: Roche Products Limited (UK), Roche Vitamins Europe AG (Switzerland), Hoffmann- entity. There is no question of having to “impute” the knowledge or will of one entity to another, because they are one and the same>>. 39 Defendants: compagnie del Gruppo Roche La Roche AG (Switzerland) e Hoffmann-La Roche AG (Germany); analogamente alla prima azione, anche qui troviamo la Trouw UK che ha comprato le vitamine da Roche Products Limited UK e da Roche Vitamins Europe Switzerland, mentre Trouw Germany ha dichiarato di aver acquistato le vitamine da Roche Germany: tutte subsidiaries di Hoffmann-La Roche AG (con cui invece le due imprese Trouw hanno confermato di non aver intrattenuto rapporti commerciali direttamente), anch’esse estranee alla decisione della Commissione . Il quadro é speculare sul versante del gruppo delle azioni intentate contro le compagnie del gruppo Aventis. Nella prima azione del secondo filone, Provimi Limited Uk ha citato: Aventis Animal Nutrition SA ( AAN ex RPAN, FRANCE subsidiary), Rhodia Limited ( UK, subsidiary di Aventis) e Aventis SA (France, parent- company) dichiarando di aver acquistato le vitamine da AAN (FRANCE) il cui ruolo di compartecipe al cartello era stato scrutinato ed analizzato dalla Commissione, e da Rhodia UK, del tutto estranea invece alla decisione di questa. La seconda azione, infine, vede Trouw UK e Trouw Germany che hanno citato: Rhodia Limited UK, Aventis Animal Nutrion SA (AAN FRANCE), Aventis SA (FRANCE), Rhodia Germany, laddove la Trouw UK hanno dichiarato di aver comprato le vitamine da Rhodia UK (estranea alla decisione della Commissione) e/o da AAN France, e Trouw Germany hanno asserito di aver comprato le vitamine da AAN France e/o da Rhodia Germany (estranea alla decisione della Commissione). ********** La breve esposizione della struttura processuale del caso mette in luce due distinte questioni, su cui deve soffermarsi l’analisi. La prima, di natura sostanziale: a che titolo sono state chiamate a rispondere dei danni da illecito antitrust, imprese la cui partecipazione al cartello non è stata discussa, provata, menzionata né nella decisione della Commissione né tantomeno accertata in seno al procedimento davanti alla High Court? La seconda, di natura procedurale: quali argomentazioni sono state impiegate per derogare al generale principio del domicilio del convenuto ai sensi dell’art 2 del Regolamento 44/01, tanto da consentire, ad esempio, ad un’impresa tedesca (Trouw Limited Germany) di citare in UK imprese non UK (Roche Germany, Rhodia Germany e AAN France) con le quali aveva intrattenuto rapporti commerciali fuori dal territorio UK? 2.4 Sulla prima questione. Il ragionamento del giudice inglese prende le mosse dalla decisione della Commissione, in cui ricorre frequentemente la parola “undertakings” nel riferirsi ad Hoffmann-La Roche AG, Aventis SA, ed ad altre. Secondo la High Court il ricorso a tale espressione non é e non vuol essere casuale, dal momento che la nozione di impresa avrebbe nel diritto comunitario della concorrenza, un significato suo proprio. La conferma di ciò, secondo il giudice inglese, sarebbe rinvenibile nei Recitals 635 e 636 della Decisione in cui la Commissione dichiara: << Una variazione della forma giuridica o societaria non sottrae un’impresa (undertaking) alle sanzioni per comportamento anticoncorrenziale. Ai fini della sanzione, pertanto, la responsabilità può trasmettersi al successore qualora l’entità societaria che ha commesso l’infrazione abbia cessato di esistere giuridicamente. Si configura questa situazione, in quanto l’oggetto delle regole di concorrenza del trattato CE e dell’accordo SEE é l’impresa (undertaking), nozione non necessariamente identica a quella di società dotata di personalità giuridica del diritto nazionale commerciale, societario, o tributario. Il trattato non fornisce una definizione di “impresa”(undertaking). Il Tribunale di primo grado ha dichiarato che l’articolo 81, paragrafo 1, del trattato si rivolge ad entità economiche, ognuna delle quali costituita da un’organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali, che persegue stabilmente un determinato fine di natura economica, organizzazione che può concorrere alla realizzazione di un’infrazione prevista dalla stessa disposizione [ Causa T-352/94, Mo Och Domsjö AB/Commissione (Racc.1998, pag. II-1989, p. 87)] >>. Il giudice inglese richiama anche il Recital 637: << Inoltre, se oggetto di concorrenza sono le imprese, l’attuazione delle norme e l’imposizione e riscossione delle ammende richiede l’indivuazione di una specifica persona giuridica responsabile del comportamento di detta impresa, cui possa indirizzarsi la decisione>> , E ancora il recital 2: << per i periodi e per le varie vitamine specificati nella presente decisione, i produttori di [varie] vitamine hanno concluso [entered into] e hanno partecipato ad [participated in] una serie di accordi continuati, in violazione dell’articolo 81,paragrafo1, del trattato CE e dell’art 53 dell’accordo SEE, in virtù dei quali essi hanno fissato i prezzi di diversi prodotti, assegnato quote di vendita, concordato ed applicato [implemented] aumenti di prezzi, annunciato gli aumenti di prezzo in conformità dei loro accordi, venduto i prodotti ai prezzi concordati, creato un sistema per controllare e far rispettare gli accordi, nonché partecipato ad una serie di incontri regolari ai fini dell’attuazione dei loro piani>> Nella visione del giudice inglese, pertanto, la nozione di impresa funzionale al diritto comunitario della concorrenza sarebbe più ampia rispetto a quella di diritto inglese di “persona giuridica” o corporate entity40: essa comprenderebbe tutte le imprese all’interno del gruppo che abbiano in qualche modo entered to, participated in, o implemented gli accordi di cartello, e vi sarebbero automaticamente incluse, in quanto non avrebbero operato come entità funzionalmente separate rispetto alla parent-company, non costituendo necessariamente una prova di estraneità della subsidiary alla partecipazione del cartello il fatto che la decisione della Commissione sia indirizzata solo alla capogruppo. D’altronde, precisa il giudice, la prova della c.d. concurrence of wills tra legal entities di un’ undertaking non é necessaria ai fini dell’accertamento dell’illecito, non avendo esse autonomia di pensiero (mind), di azione, di volontà. 40 V. p. A section 2.2.8 Secondo la High Court “nel diritto inglese l’identità separata delle società di capitali é riconosciuta e rispettata, pertanto la conoscenza dell’illecito non viene automaticamente imputata all’altra. Diversamente, nel diritto comunitario la flessibilità del concetto di undertaking differisce da quello di legal entity: pertanto esso può abbracciare un numero di legal entities talmente vasto da far sì che esse si comportino come una sola unità economica, e nessuna di esse agisca in autonomia ed indipendenza”. Pertanto, conclude il giudice, la mente e la volontà di una legal entity é, ai fini dell’art 81, considerata come la mente e la volontà di un’altra entity, non ricorrendo l’obbligo di dover imputare la conoscenza o la volontà di un’entity all’altra, essendo queste the same thing. Inoltre, l’aver implementato il cartello, praticando, a valle, prezzi delle vitamine sostanzialmente allineati a quelli della propria parent-company (in ossequio a quello che é il naturale sistema dei gruppi di imprese, ove, accanto agli interessi delle singole subsidiaries, sussiste purtuttavia un interesse globale di sovrastruttura, cui tendenzialmente le varie componenti si armonizzano), senza avere contezza dell’accordo a monte, costituirebbe, ai sensi del diritto inglese, violazione di uno statutory duty41 che imporrebbe a tutte le companies di un’undertaking di non infrangere l’art 81 del Trattato. Tale dovere giuridico, per il giudice inglese, sarebbe fondato sul fatto che le obbligazioni imposte dall’art 81 del Trattato sono direttamente applicabili in Inghilterra da e contro persone giuridiche ai sensi della sezione 2(1) dell’ 41 L’espressione statutory duty si riferisce propriamente ad un dovere giuridico posto direttamente dalla legge (statute law), non già dal diritto giurisprudenziale (common law). European Communities Act del 1972 (ECA42), che prevede una base legale per il riconoscimento di diritti e doveri effettivi direttamente derivanti dalla disciplina comunitaria nel sistema legale inglese; pertanto, una violazione di quell’obbligazione si traduce automaticamente in violazione dello statutory duty, con la conseguenza che i querelanti risultano titolari di un diritto di azione per danni basato sulla semplice, oggettiva, prova della violazione dello statutory duty da parte di qualsiasi soggetto all’interno del gruppo, indipendentemente dalla sussistenza di qualsivoglia requisito psicologico di consapevolezza, conoscenza e volontà di implementazione del cartello. Il suddetto principio, proclamato in un obiter dictum della House of Lords nel caso Garden Cottage Foods Ltd vs Marketing Board43, troverebbe ulteriore conforto nella decisione della 42 L’ ECA è la legge con la quale la Gran Bretagna ha aderito alla Comunità Europea e che espressamente prevede la possibilità per il governo di emanare norme regolamentari in attuazione di misure comunitarie. 43 Non già, pertanto, dalla CE, o dalla CGE. Garden Cottage Foods Ltd vs Marketing Board [1984] 1 AC 130 Corte di Giustizia Europea nel caso Woodpulp44, entrambi richiamati dal giudice inglese. 2.5 La nozione di gruppo di imprese nel diritto comunitario Il ragionamento del giudice inglese prende le mosse dalla visione del gruppo di imprese come undertaking unitaria, nozione elaborata in seno alla Commissione e alla CGE, ed entrata ormai a far parte dei principi del diritto comunitario. 44 Noto come il caso “Paste di Legno”, Ahlström Oy and Others v. Commission of European Communities [1988] ECR 5193. Il caso riguardava un cartello posto in essere da imprese produttrici di paste di legno localizzate fuori dall’ UE; l’accordo di cartello includeva la fissazione dei prezzi per i compratori nell’UE. Per tale ragione venne contestata la competenza giurisdizionale della CGE, precisando che i presunti illeciti si erano verificati in territorio extra-europeo. La Corte, in quella circostanza, per fondare la propria giurisdizione evitò di affrontare il tema degli effetti dell’illecito, essendo tale teoria non ancora matura all’epoca dei fatti. Tuttavia, essa si avvalse del concetto di implementation dell’accordo, proprio per sottolineare il fatto che il cartello si era compiuto, realizzato e prodotto nel mercato europeo (non già per affermare il tema della responsabilità delle subsidiaries come interpretata dal giudice inglese nel caso Provimi). L’ escamotage di basarsi sulla fictio del quasi-territorial base, risulterà superfluo solo dieci anni dopo, quando con il celeberrimo caso Genkor (cartello sui diamanti), le esitazioni sulla teoria degli effetti saranno completamente superate; Genkor Ltd v. Commission of the European Communities ( T 102/96, Court of First Instance, 25 March 1999). Nel caso Provimi, pertanto, la High Court assume di aver applicato sic et simpliciter, il suddetto consolidato principio all’azione privata per il risarcimento del danno antitrust. Tuttavia, l’insegnamento che la High Court sembra aver tratto dalla suddetta decisione, pare discostarsi dalla ratio del principio in parola, per approdare a conclusioni inedite, tutt’altro che conformate a consolidati precedenti. Per comprendere le ragioni di fondo sottese ad un simile giudizio, occorre in via preliminare, riprendere le fila del discorso iniziando dall’analisi della decisione sul cartello delle vitamine, che ha visto la Commissione sanzionare solo la Aventis SA pur avendo essa agito con la società controllata, la RPAN (in seguito AAN). La Commissione in questa circostanza avrebbe ancora una volta fatto ricorso al concetto di impresa proprio del diritto comunitario, in ossequio al quale, per individuare il soggetto destinatario della disciplina in parola, non occorre rifarsi a nozioni giuridiche formali quali quella della personalità giuridica, quanto piuttosto ad elementi sostanziali, primo fra tutti l’indipendenza economica. Com’è noto, infatti, l’impresa nella visione delle Istituzioni comunitarie, consta di qualsiasi entità impegnata in attività commerciali45, mentre un gruppo di imprese, contrariamente al c.d. conspiracy intraenterprise doctrine46, viene visto come un’impresa unica composta dalla somma di controllate e capogruppo, ove quest’ultima risponde in solido insieme a quelle, determinate, figlie, responsabili di comportamenti anticoncorrenziali, per la mera sussistenza di elementi tali da far supporre un’influenza dominante della capo-gruppo su di 45 CE, Polipropilene, GUCE 88, L 230. 46 I sostenitori di questo orientamento, molto seguito in passato dalle corti statunitensi, ritengono che ad imprese giuridicamente distinte sul piano del diritto commerciale, anche se sottoposte al medesimo controllo, corrispondono altrettante distinte e separate imprese sul piano del diritto della concorrenza; la conseguenza che ne deriva è che gli eventuali accordi intragruppo sono considerati illeciti antitrust; <<una restrizione irragionevole del commercio tra gli Stati può derivare tanto da un accordo tra affiliato o integrato sotto una medesima proprietà, quanto da intese tra imprese indipendenti. Le relazioni societarie reciproche tra le parti di un’impresa sono irrilevanti ai fini dell’applicabilità dello Sherman Act>>, così la Corte Suprema statunitense nel caso United States vs Yellow Cab Co., 332 US (1947). Tale orientamento, com’è evidente, é stato generatore di forte scettiscismo e disincentivo nei confronti dell’adozione della struttura di gruppo, e per tale motivo é stato superato negli anni ottanta con la sentenza Copperweld v. Independence Tube Corp., 467 US 752 (1984) . In pieno clima Reaganiano, dominato dalle influenze della Scuola di Chicago e indubbiamente a favore delle grandi imprese, la Corte Suprema ha elaborato per la prima volta la teoria dell’unità dell’impresa, affermando altresì che tra gli obiettivi del diritto antitrust rientrano non solo i divieti di comportamenti anticompetitivi, ma anche quelli di stimolare ed incentivare la cooperazione all’interno sia dell’impresa che dei gruppi. La teoria dell’unità economica è oggi indiscussa negli Usa nei casi in cui vi sia controllo azionario del 100% , mentre per i casi ove tale circostanza non si verifichi non vi è ancora unità di vedute in giurisprudenza su quale sia la soglia di partecipazione azionaria al di sotto della quale le imprese consorelle dovrebbero esser considerate separate legal entites in concorrenza tra loro, o ancora, se basti verificare se la natura del controllo, indipendentemente dal computo delle azioni, sia tale da influenzare l’attività di un’impresa (es: maggioranza dei diritti di voto). esse, al punto da privarle della propria autonomia decisionale e di indirizzo47. 47 Le prime importanti applicazioni del principio dell’unità economica si trovano nella sentenza CGE 25-11-71 Beguelin Import vs GL Import Export SA causa 22/71. La Beguelin Import Co belga controllava al 100% la Beguelin francese e aveva stipulato con un’impresa giapponese un contratto di importazione esclusiva di accendini per Francia e Belgio; il contratto di esclusiva era stato quindi trasferito alla B.Co. francese, e identico diritto di esclusiva era stato concesso, per la Germania, ad un’altra controllata tedesca. Quando in seguito le convenute in giudizio eccepirono la nullità del contratto di esclusiva per violazione della disciplina antitrust, la Corte precisò che la decisione dell’impresa madre, concessionaria esclusiva di vendita per due Stati membri, di cedere ad una sua sussidiaria l’esclusiva in un altro Stato membro non integrava una violazione della disciplina antitrust in materia di intese << se il diritto di esclusiva de facto viene parzialmente trasferito da una società madre ad una figlia, che detiene si autonoma personalità giuridica, ma non possiede alcuna autonomia economica>>. Anche in questo caso la Corte ha omesso di chiarire se intese intragruppo produttive di effetti esterni alle parti siano anticoncorrenziali o meno; qualche anno più tardi, la Corte si è mostrata maggiormente precisa sul punto in occasione delle sentenze Centrafarn, CGE 31-10-1974 Centrafarm B.V. e Adrian De Peijper v. Sterling Drug Inc., C-15/74, e Centrafarm B.V. e Adrian De Peijper v. Winthrop B.V., C-16/74, in Racc., 1974, 1147 ss. e in Riv. Dir. Ind., 1975, II, 354 ss. con nota di Ricolfi. La società americana Sterling possedeva direttamente alcuni brevetti in tutta la CE, mentre alcuni brevetti erano rispettivamente detenuti in UK e in Olanda da due sue controllate al 100%. Quando una società olandese, la Centrafarn, acquistò direttamente dall’impresa inglese e tedesca i prodotti importandoli in Olanda, immediatamente si vide citata in giudizio dall’ americana Sterling, la quale a sua volta eccepiva l’anticoncorrenzialità degli accordi predetti, poichè restringevano la libertà d’azione dei terzi operatori del mercato. La Corte sul punto ha dichiarato che il divieto di cui all’art 81 non risultava applicabile agli <<accordi o pratiche concordate tra imprese appartenenti allo stesso gruppo, come società madre e affiliata, qualora esse costituiscano un’unità economica nell’ambito della quale l’affiliata non goda di effettiva autonomia nella determinazione del proprio comportamento sul mercato, e gli accordi o pratiche di cui trattasi abbiano solamente lo scopo di una ripartizione dei compiti all’interno del gruppo>> . La ripartizione dei compiti era considerata quindi dalla Corte una condizione necessaria ed essenziale affinchè il gruppo potesse essere considerato un’unicum agli effetti del diritto antitrust. Caso analago si è presentato in Hydroterm vs Compact, CGE 12-7-1984, causa 170/83, circa un accordo di distribuzione stipulato tra Hidroterm e due società controllate da Hidroterm, che ne invocava l’invalidità. La Corte anche in tale circostanza ha rigettato la richiesta sulla base della teoria dell’impresa unica. Il principio dell’unità economica non è contenuto espressamente nelle fonti scritte di diritto comunitario; su questo punto, l’ordinamento stesso, guidato da finalità prevalentemente economiche48, ha ricalcato il modello degli Stati membri49, in cui vige una certa indeterminatezza sul punto50 . Esso pertanto è il frutto di un’evoluzione ermeneutica iniziata 40 anni or sono circa. Inizialmente, in ambito C.E.C.A. le Istituzioni comunitarie hanno dapprima ritenuto che l’ impresa consistesse << in un complesso unitario di elementi personali, materiali e immateriali facente capo ad un soggetto giuridico autonomo e diretto in modo durevole al perseguimento di un determinato scopo economico. Secondo questa definizione, la creazione in campo economico di un nuovo soggetto giuridico implica sempre il sorgere di un’impresa autonoma ; il carattere unitario di una determinata attività economica non ha infatti alcun rilievo sul piano giuridico qualora gli effetti di tale attività vadano di volta in volta ricollegati a vari soggetti giuridici. L’ordinamento giuridico attribuisce ad ogni nuovo 48 Cfr sul punto A. Spadafora, La nozione di impresa nel diritto comunitario, Giustizia Civile II, 1990; Schiano Di Pepe, Impresa (diritto comunitario), Nss.D.I., Appendice,IV, Torino, 1983, 5. 49 L’Unterhnehem tedesco, ad esempio, sussiste ogni qualvolta si ravvisino determinati elementi qualificanti una qualsivoglia organizzazione economica . soggetto per il semplice fatto che esso è sorto, autonomia formale e responsabilità personale di guida che, insieme alla personalità giuridica, ciascuna società affiliata si è vista attribuire dall’ordinamento giuridico la facoltà di dirigere la propria attività e l’obbligo di sopportare il rischio a questa inerente51>>. Era questa l’originaria nozione c.d. giuridico-formale di impresa, la quale, tuttavia, in seguito è stata circoscritta agli effetti del determinato ambito cui era funzionale, riguardante un particolare meccanismo finanziario52 (volto ad individuare il soggetto tenuto al pagamento dei contributi di perequazione del rottame in campo siderurgico), vedendosi pertanto negata una valenza di ordine generale. Analogamente, nel contesto antitrust, la nozione di impresa ha assunto un significato funzionale alla diversa sedes materiae in cui essa opera e ai diversi obiettivi che la disciplina è atta a perseguire. 51 CGE, 13 luglio 1962 in cause riunite n. 17 e 20 del 1961, Klockner-Werke AG, Hoesch AG c. Alta Autorità. Le due imprese ricorrenti, parent-companies , chiedevano di essere esentate dai contributi di perequazione per il fatto che le proprie sussidiarie non avevano mai goduto di autonomia nell’esercizio dell’attività di impresa. 52 A.Spadafora, op. cit. pag 289. In tale ambito, dopo alcune iniziali sentenze53 influenzate dalle formulazioni elaborate nel settore C.E.C.A., con la decisione della Commissione pronunciatasi sul caso ChristianiNielsen54 del 18 giugno 1969, si è imposto un nuovo indirizzo 53 V. Consten-Grundig, Governo della Repubblica Italiana c. Commissione Cee, 13 luglio 1966 cause riunite n. 56 e 58 del 1964. 54Christiani & Nielsen, 18 giugno 1969, GUCE L165, 5 luglio 1969 riguardante una richiesta di attestazione negativa ex art 2 del Regolamento 17/62 in merito agli accordi intercorsi tra una subsidiary e la sua capogruppo, con cui le due raccordavano le proprie attività, condividevano know-how e brevetti e compartimentavano i propri mercati di vendita. In questa decisione la Commissione ha negato l’applicabilità dell’art 81 (ex 85) del Trattato agli accordi di cartello posti in essere tra la parent-company e la sua controllata, precisando che tale articolo << presuppone che fra le imprese sussista una concorrenza che può venir ristretta, che questa condizione non è necessariamente soddisfatta nei rapporti tra due imprese che svolgono la loro attività nel medesimo settore, dalla semplice constatazione della personalità giuridica di ciascuna di dette imprese; al riguardo è determinante sapere, in base agli elementi di fatto, se sia possibile sul piano economico un’azione autonoma dell’affiliata rispetto alla società madre>>. Per la Commissione la capogruppo aveva creato la figlia invece di costituire delle semplici succursali prive di personalità giuridica, e pertanto la ripartizione dei mercati tra le due sarebbe stata una << mera ripartizione di compiti all’interno della stessa unità economica>>, che non avrebbe quindi potuto alterare il gioco della concorrenza. Una siffatta spiegazione tuttavia non teneva in considerazione il fatto che esistono delle differenze, formali e non, tra filiale e figlia dotata di personalità giuridica e partecipata al 100% dalla capogruppo. La conseguenza principale di questo cono d’ombra é stata quella di aver generato incertezza sul se l’intesa intragruppo fosse lecita per mancanza di pluralità di imprese, o, piuttosto perchè essa, pur se posta in essere tra diverse imprese, non fosse idonea di per sé a falsare la concorrenza tra le parti o verso terzi. Sul punto FrignaniWaelbroeck, European Competition Law, Ardsley,1999, p.152. volto a squarciare in riferimento ai gruppi di imprese, il c.d. “velo della personalità giuridica”, proprio del diritto commerciale e tributario. In seguito sono state, e sono tutt’oggi, numerose le decisioni della Commissione e le sentenze della Corte di Giustizia informate al principio dell’ unità economica del gruppo, per cui : << ai fini dell’applicazione delle norme sulla concorrenza, l’unità d’azione che si riscontra sul mercato tra l’impresa madre e le satelliti prevale sulla formale separazione delle imprese, derivante dalla loro personalità giuridica distinta55>>, e pertanto, << qualora l’affiliata non goda di reale autonomia nella determinazione della propria linea di condotta, va ritenuto che i divieti sanciti dall’art 81 non si applicano ai rapporti tra la stessa affiliata e la società madre, che insieme formano un’unità economica56>>. Ciò posto, se dalla suesposta teoria discende il vantaggio per le holdings di non dover sottostare ai divieti (e alle relative sanzioni) previsti dall’art 81 per gli accordi intragruppo, non v’è chi non ne veda, nondimeno, il contrappeso sfavorevole, ovvero l’imputabilità ad una parte del tutto, dei 55 CGE 14-7-1972, Imperial Chemical Industries Ltd, (ICI, Materie Coloranti), c. 48/69 56 Sentenza ICI, p. 665 n. 134 comportamenti anticoncorrenziali posti in essere da un’altra parte. Tornando ordunque al caso Provimi, le argomentazioni dedotte dalla High Court inglese assumono di rifarsi esattamente alla dottrina dell’unità economica ai sensi del diritto antitrust, confermata da ogni dove in ambito comunitario. A ben guardare, tuttavia, il caso Provimi presenta la peculiarità, del tutto originale, di aver imputato la responsabilità per le condotte anticoncorrenziali poste in essere da affiliate non già solo “in senso verticale”, alla capogruppo, bensì, ed è questa l’originalità, anche “in senso orizzontale”, ad altre consorelle, che non sono state mai destinatarie di decisioni, né, soprattutto, sono state oggetto di investigazioni o accertamenti sull’effettiva implementazione del cartello, tanto da parte della Commissione, quanto dal giudice inglese stesso. Da una concenzione di undertaking volta a consentire l’ imputazione alla capogruppo delle condotte della figlia, giustificata dalla presunzione (peraltro sempre confutabile) dell’ esistenza di elementi idonei a supporre la non completa autonomia decisionale di quest’ultima, in quanto schiacciata dall’influenza dominante (in taluni casi ingombrante) della madre, con Provimi si è ora passati all’imputazione delle condotte illecite di una figlia ad una sua consorella qualsiasi del gruppo. In buona sostanza, per il giudice inglese nel caso in parola sembra che sia sufficiente aver intrattenuto rapporti commerciali con una subsidiary per richiedere a questa il risarcimento di un presunto danno da illecito antitrust che deriverebbe dal comportamento posto in essere, tuttavia, da un’altra subsidiary, nei confronti di altri acquirenti, in un altro Stato Membro, sulla stregua di un mero nesso di appartenenza alla stessa capogruppo. Una tale interpretazione non trova conforto in alcun precedente in Europa, come invece sembra aver dato ad intendere la High Court. Nel caso Stora57, ad esempio, il controllo del 100 % del pacchetto azionario dell’affiliata da parte della capogruppo, unitamente al non aver quest’ultima negato di poter influire in modo determinante sulla politica commerciale della sua controllata, ha comportato che non fosse essenziale l’accertamento dell’effettivo esercizio del suddetto potere, 57 CGE 16-11-2000, Stora Kopparbergs AB vs Commissione c 286/98. ritenuto pertanto presunto. Tuttavia, la Corte in quella sede ha precisato che in ogni caso la capogruppo ricorrente avrebbe ben potuto dimostrare il contrario, provando che le scelte inerenti l’attività sul mercato interessato dal cartello erano state assunte (nel caso di specie si trattava di cartoncino) in autonomia58. Nel caso HFB Holding Isoplus59 , la Corte richiamando le precedenti Hydroterm e Ici , ha rievocato la nozione della Commissione di gruppo di fatto per precisare come la formale mancanza di una società madre dotata di personalità giuridica non impedisca l’individuazone di uno o più soggetti responsabili del coordinamento dell’azione di gruppo, cui imputare in solido le infrazioni commesse dalle diverse società che la compongono60. Nella sentenza Avebe61, ancora, il Tribunale di Primo Grado ha precisato che non è sufficiente limitarsi a constatare che un’impresa può esercitare un’influenza determinante su di 58 P.9 59 Tribunale di Primo Grado, 20-03.2002 c T-9/99 avente ad oggetto un’intesa nel mercato dei tubi preisolati. 60 P. 66. 61 Avebe BA vs Commissione , 27 settembre 2003, T-314/01. un’altra impresa senza verificare se tale influenza sia poi stata effettivamente esercitata62; spetta alla Commissione dimostrare siffatta influenza determinante sulla base di un insieme di elementi fattuali, tra cui, in particolare l’eventuale potere direttivo di una impresa sull’altra, per poi concludere che le controllate e le controllanti protagoniste del caso in esame, <<costituiscono un’entità economica nel contesto della quale il comportameto trasgressivo della controllata è imputabile alle sue società madri che ne sono responsabili per effetto del controllo effettivo della sua politica commerciale>>63. 62 P. 136. 63 P.141. Nella sentenza Vinho64del 1996, la Corte, superando la dottrina Centrafarm65 (che richiedeva, ai fini dell’esclusione degli accordi infragruppo dall’ambito di applicazione degll’art 81.1, il soddisfacimento di due condizioni: unità economica ove l’affiliata non godessero di effettiva autonomia decisionale, e che gli accordi o pratiche concordate, avessero lo scopo di una ripartizione di compiti all’interno del gruppo), ha affermato che per escludere gli accordi intragruppo dai divieti di cui all’art 81.1 , è sufficiente la circostanza che le filiali non 64 Viho Europe BV v. Commissione delle Comunità europee, T-102/92, in Racc., 1992, II, p. 17 ss., sulle proteste della Vinho, società distributrice di prodotti di cancelleria, in seguito ai numerosi e infruttuosi precedenti tentativi di stipulare con la Parker accordi a condizioni equipollenti a quelle applicate alle subsidiaries e ai distributori indipendenti di quest’ultima, asserendo che questa proibiva ai distributori e alle subsidiaries di esportare i prodotti, oltre a ripartire il mercato comune e mantenere i prezzi nazionali studiatamente elevati. Il Tribunale, senza indicare nelle motivazioni il requisito della mera ripartizione interna dei compiti, affermò che << l’art.81 del Trattato riguarda unicamente i rapporti tra unità economiche in grado di entrare in concorrenza l’una nei confronti dell’altra con esclusione perciò degli accordi e delle pratiche concordate tra imprese appartenenti ad uno stesso gruppo che costituiscano un’unità economica>>, il che si verificherebbe quando la controllante esercita effettivamente un potere di direzione unitaria delle politiche del gruppo. Interessante è inoltre la riflessione della Corte che in questa sede ha dichiarato che, sebbene la circostanza in parola non renda applicabile l’art.81.1, qualora le affiliate componenti il gruppo provochino restrizioni al di fuori di esso, andando al di là della mera ripartizione dei compiti, questa può essere analizzata alla luce della disciplina in tema di abuso di posizione dominante ed eventualmente ricadere nella previsione dell’art 82. 65 Centrafarm B.V. e Adrian De Peijper v. Sterling Drug Inc., C-15/74, e Centrafarm B.V. e Adrian De Peijper v. Winthrop B.V., C-16/74, 31 ottobre 1974, in Racc., 1974, 1147 ss. e in Riv. Dir. Ind., 1975, II, 354 ss. con nota di Ricolfi. godano di reale autonomia nelle determinazione della loro linea di condotta sul mercato, bensì applichino le istruzioni loro impartite dalla società madre66. Nella recente sentenza del settembre 2009 sul caso Akzo Nobel67, ancora una volta la Corte ha ritenuto lecito presumere che una società controllata al 100% avesse applicato le istruzioni impartitele dalla società controllante; pertanto, prosegue la Corte, perché la Commissione sia tenuta a ritenere responsabile soltanto una controllata, occorrerebbe che quest’ultima determinasse la propria politica commerciale in gran parte da sola; qualora, poi, quest’ultima circostanza risultasse provata, spetterebbe nuovamente alla Commissione provare, caso per caso, che la società controllante avesse effettivamente esercitato un’influenza determinante68. ************* 66 Sent. Vinho,32. 67 CGE 10 settembre 2009, Akzo Nobel Bv vs Commissione, causa C- 97/08 68 P. 24. La nozione di undertaking ai sensi dell’art. 81, emergente dalle ormai storiche pronunce della Corte di Giustizia, non nega pertanto la presenza al proprio interno di ulteriori entità economiche (ciascuna delle quali consistente in un’organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali, miranti a perseguire stabilmente un determinato fine di natura economica) in grado di concorrere alla realizzazione di un’infrazione prevista da tale disposizione69. Tuttavia, la Corte non manca, e non ha mai mancato di precisare che la considerazione dell’undertaking in senso unitario è funzionale alla possibilità di riconoscere alla Commissione il potere di adottare decisioni che impongano sanzioni nei confronti della società controllante un gruppo70 per le violazioni poste in essere dalle proprie subsidiaries; ciò vale a dire che attraverso il principio dell’unità economica si è inteso riconoscere alla Commissione il vantaggio dell’inversione dell’onere della prova in presunzione semplice della merito alla responsabilità della 69 P. 57, cfr con sentenza del Tribunale 20 -03-2002, causa T-9/99, HFB e a./Commissione, p.54. 70 P. 58 cfr anche con sentenza del Tribunale del 30-9-2003, causa T-203/01. Michelin /Commissione, p. 290. capogruppo71, altrimenti estremamente difficoltosa, per aver essa influenzato la condotta illecita di una sua affiliata, o quantomeno, per aver mancato al suo dovere di vigilanza nel rispetto della normativa antitrust. Posto l’accento su quale sia lo scopo sotteso al principio dell’unità economica, va da sé che il ricorso ad esso, perché non si traduca in un abuso, debba avvenire all’interno del perimetro da esso delineato. Al contrario, nelle azioni da risarcimento dei danni per illecito antitrust, l’utilizzo stirato di solo una parte della nozione di undertaking ai sensi dell’art. 81.1, ignorandone i presupposti di fondo, come pare essere avvenuto nel caso Provimi, condurrebbe ad una serie di “presunzioni pericolose” giuridicamente claudicanti ed arbitrarie; stando l’inadeguato supporto delle comuni categorie necessarie perché si possa utilmente invocare il risarcimento del danno antitrust, infatti, verrebbero meno, innanzitutto, un comportamento, attivo od omissivo, che preveda quanto meno la colpa del soggetto responsabile di esser venuto meno all’osservanza delle norme 71 Soprattutto in quei casi in cui le controllanti detengano il 100% del capitale delle controllate che abbiano posto in essere le condotte illecite. cautelari cui é giuridicamente tenuto, ed infine il nesso causale tra danno e condotta. Ora, se un siffatto fastello di elementi ben potrebbe sussistere nei confronti della capogruppo, lo stesso non sembra potersi affermare riferendosi ad una consorella del tutto estranea alla vicenda, operante in altro Stato membro e che non rivesta alcun ruolo direttivo né di indirizzo nei confronti dell’impresa che abbia posto in essere una condotta illecita. 2.6 Sulla seconda questione. Ciò che ha permesso alle società Provimi, Trouw UK e Trouw Germany di ottenere che fosse un giudice inglese a conoscere dell’azione di risarcimento danni intentata nei confronti di imprese non domiciliate in Gran Bretagna è imputabile ad un’interpretazione particolare del regolamento del Consiglio n. 44/2001 in tema di competenze giurisdizionali in materia civile e commerciale. Le disposizioni generali del regolamento infatti prevedono che “le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro72”(art 2). Stando alla lettera dell’articolo, ad esempio l’azione di danno nei confronti della Aventis SA si sarebbe dovuta celebrare innanzi al giudice francese. Tuttavia, il regolamento prevede anche altre possibilità per individuare la competenza in deroga al principio indicato nell’art 2. L’articolo 3 infatti stabilisce che “le persone domiciliate nel territorio di uno Stato membro possono essere convenute davanti ai giudici di un altro Stato membro solo in base alle norme enunciate nelle sezioni da 2 a 7 del presente capo”. Tra le varie competenze c.d. speciali, i ricorrenti e il giudice inglese nel caso Provimi fanno espressamente riferimento a quelle indicate nella sezione 2 l’articolo 5(3), espressione della c.d. teoria degli effetti, per cui “in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire”, e l’articolo 6(1), di cui si riporta testo di seguito: Articolo 6 72 Capo II, Sezione 1, Articolo 2 comma 1 La persona di cui all'articolo precedente può inoltre essere convenuta: 1) in caso di pluralità di convenuti, davanti al giudice del luogo in cui uno qualsiasi di essi è domiciliato, sempre che tra le domande esista un nesso così stretto da rendere opportuna una trattazione unica ed una decisione unica onde evitare il rischio, sussistente in caso di trattazione separata, di giungere a decisioni incompatibili; La competenza del giudice inglese a conoscere della causa sarebbe derivata pertanto da una serie di ragioni: per la teoria degli effetti, l’essere la Provimi UK e la Trouw UK imprese di nazionalità britannica, è motivo sufficiente a dimostrare che l’evento dannoso si sia verificato in tale sede geografica, per aver esse acquistato vitamine dalle subsidiaries convenute, ad un prezzo più alto di quanto non avrebbero pagato se queste ultime non avessero implementato il cartello. E’ il c.d. “ Empagran but for cartel test73”, di paternità statunitense, ad essere pertanto recepito anche in Europa, 73 Empagran, S.A. v. F. Hoffman-La Roche Ltd, 2001. Il caso ha visto protagoniste alcune imprese non statunitensi (tra cui la Empagran) le quali avevano acquistato le vitamine al di fuori del territorio statunitense, da imprese non statunitensi, subendo un danno che si era verificato fuori dal territorio americano e che, purtuttavia, chiedevano di instaurare un giudizio proprio presso le corti statunitensi in considerazione del fatto che privato, tuttavia, del suo momento più essenziale, quale quello dei riscontri econometrici effettivi, ritenuti superflui: se tutte le entities costituiscono l’undertaking, per ciò solo, esse sono direttamente “infringers”. Ancora, la medesima competenza della High Court sul caso in esame discenderebbe, inoltre, per ragioni di connessione, dall’art.6, interpretato nel senso di riconoscere, ad esempio, la possibilità di “agganciare” ad un giudizio “regolarmente” pendente in UK tra le parti X e Y, un <<gli effetti anticompetititivi della condotta interna statunitense erano strettamente collegati al danno estero>>, nonché da un’interpretazione estensiva del Foreign Trade Antitrust Improvements Act (FTAIA) nella parte in cui pur stabilendo che lo Sherman Act <<non si applica a comportamenti che ledono significativamente le importazioni, il commercio interno o gli esportatori americani (...) consente di instaurare una causa in Usa contro quei comportamenti che ledono significativamente le importazioni, il commercio interno o gli esportatori americani (...) >> é stato inteso dalla Corte d’Appello Usa nel senso che nel caso in cui l’attore abbia patito un danno in uno Stato non Usa e tale danno sia stato determinato dall’attività straniera>>. Alla base della motivazione vi era anche la <<preoccupazione in merito all’incertezza sull’applicazione delle sanzioni antitrust da parte degli altri Paesi>>, e, probabilmente imporre una politica di overdeterrence in cui le corti americane avrebbero potuto espandere la propria competenza a livello innumerevoli attori mondiale e che attratti dai conoscere cause antitrust di danni punitivi riconosciuti dall’ordinamento Usa, non avrebbero esitato ad accorrere. Sebbene nel 2004 la Corte Suprema abbia riformato in parte la decisione della Corte d’Appello, la nuova e rivoluzionaria teoria, da questa inaugurata, non é stata rinnegata per la sua contrarietà ai principi insiti nelle tradizionali regole sulla giurisdizione internazionale, che rischiano, pertanto, di subire in futuro un cambiamento radicale. ulteriore giudizio, tra J e K, di cui nessuna delle due risulti domiciliata in UK, e dove pertanto neanche la teoria degli effetti potrebbe trovare applicazione. Certo, il meccanismo previsto dall’art 6 è consentito nell’eventualità in cui i contenuti discussi nei vari giudizi siano talmente contigui tra loro da ritenerne inopportuna un’ eventuale trattazione in sedi giudiziarie geograficamente diverse (in ogni caso consentita). A ben guardare, tuttavia, dal confronto tra un’attenta lettura dell’art.6 e l’interpretazione resa dal giudice inglese, non sembra, anche in questo caso, averne questi sic et simpliciter applicato le disposizioni: va infatti innanzitutto osservato come l’ art.6 consideri l’ipotesi di una pluralità di convenuti; ciò sembrerebbe significare che la deroga per ragioni di connessione al generale principio del domicilio del convenuto (e in subordine, a quello del locus ove si è manifestato l’illecito), sarebbe ammissibile solo in riferimento a ipotesi residuali di c.d. connessione soggettiva propria di tipo passivo: azioni indirizzate nei confronti di una pluralità di imprese domiciliate in diversi Stati membri che abbiano dato attuazione al medesimo illecito (identità di petitum e causa petendi) ai danni di una determinata impresa, (la quale, diversamente, sarebbe costretta a intraprendere nei confronti di ognuna di esse un diverso procedimento in ciascun Stato membro) e, in ogni caso, per sole esigenze nomofilattiche di “economia di sforzo intellettuale”: vale a dire che la decisione delle diverse cause presuppone la risoluzione di identiche questioni di diritto, tanto da ritenerne opportuna la riunione al fine di evitare che identiche questioni giuridiche siano risolte in modo difforme. Rebus sic stantibus, non si vede allora come le suesposte condizioni siano invocabili nel caso Provimi, laddove non si ha la prova che le società abbiano dato attuazione al medesimo illecito ma dove i giudici avrebbero dovuto riscontrare un’effettiva implementazione del cartello da parte delle singole imprese sellers nei rispettivi mercati geografici di riferimento a danno dei propri compratori, nonchè la prova per la sussistenza di danno e colpa imputabili direttamente alle subsidiaries, attraverso opportune ricostruzioni ed indagini econometriche e non semplicemente presumendo che i prezzi da esse praticati non fossero altrimenti giustificabili se non in virtù di un’adesione consapevole e volontaria al cartello posto in essere dalle rispettive capogruppo74. Alla luce di quanto asserito, ai numerosi dubbi interpretativi elaborati sul private enforcement per il risarcimento del danno antitrust si aggiungono quelli di natura procedimentale derivanti da esperimenti in laboratorio, attraverso la combinazione di diversi nozionismi tra loro o/e parti di questi, al mero fine di creare un comun denominatore di sintesi valevole a spostare la competenza del giudice del luogo del domicilio del convenuto, a quella del giudice del luogo ove la legislazione in materia risulti estremamente favorevole alla parte attrice (in Europa é indubbiamente l’UK), principalmente per il riconoscimento dei c.d. punitive damages75e per le rigide regole vigenti in tema di disclosure-discovery applicabili alle parti convenute. Vedremo a breve come un siffatto approccio, qualora fosse confermato anche in futuro, rischi di provocare 74 Il principio richiamato é il medesimo che si applica in tema di pratiche concordate, la fattispecie probabilmente più affine alla posizione delle subsidiaries citate in giudizio nel caso Provimi. 75 L’istituto dei danni punitivi ha origini statunitensi; la section 4 del Clayton Act recita << any person who shall be injured in his business or property by reason of anything foribidden in the antitrust laws may sue thereofore in any district court of the United States and shall recover threefold the damages by him conseguenze che potrebbero impattare sul contesto economico europeo generale provocando gravi inefficienze, potendo verosimilmente costituire un freno all’espansionismo verso nuovi mercati da parte delle imprese, le quali, al contrario, potrebbero ben decidere di non entrarvi del tutto, o uscirne. Le Istituzioni opportunamente Comunitarie considerare, dovrebbero qualora nel allora bilancio costi/benefici intendessero dare priorità assoluta al parametro della deterrenza, le problematiche legate al rischio di responsabilità sostanzialmente oggettiva76 cui qualsiasi impresa facente parte di un gruppo si troverebbe esposta, laddove il principio sancito dal caso in esame dovesse essere recepito da altri giudici nazionali o avallato dalle Istituzioni Europee, potendo questa ben essere condannata al pagamento di un danno per un’intesa posta in essere da un’altra impresa; se a ciò si aggiunge la possibilità per la parte attrice di speculare grazie al forum shopping e ai danni punitivi, sulla cui contrarietà sustained, and the cost of suit, including a reasonable attorney’s fee>>. In UK i danni punitivi sono anche conosciuti come “exemplary damages”. all’ordine pubblico si discute in Italia77, lo scenario pare eccessivamente sbilanciato, in nome di un garantismo meramente funzionale agli obiettivi di deterrenza e di disvelamento delle intese78. Le ricadute di un siffatto sistema sull’ordinamento italiano sarebbero infatti notevoli. Nonostante il Libro Bianco Commissione 200879, senza celare il proprio favor per una responsabilità fondata sulla colpa, abbia lasciato liberi gli Stati Membri di adottare sistemi più rigidi, quali appunto la c.d. responsabilità oggettiva “pura”, l’impianto strutturale della responsabilità in Italia crea non 77 A. Riccio, I Danni Punitivi non sono, dunque, in contrasto con l’ordine pubblico interno, in Contratto e Impresa 4-5 2009 Cedam. Nell’interessante articolo l’autore ripercorre i tratti salienti del recente orientamento giurisprudenziale che negherebbe la costruzione dei danni punitivi come un ingiustificato arricchimento, per la funzione compensativa-deterrente che li caratterizzerebbe. 78 Una panoramica interessante sul tema é rinvenibile in F. Denozza e L. Toffoletti, Funzione Compensatoria ed effetti deterrenti dell’azione privata, in cui vengono richiamate le teorie di R. Posner, Antitrust law, (2001) (II ed) , H.Hovenkamp in Federal Antitrust Policy- The Law of Competition and its Practice, St Paul Minn., (1999) e W.M. Landes, Optimal Sanctions for Antitrust Violations, autore insieme a R.Posner di The Private Enforcement of Law, in The Journal of Legal Studies (1975). Altri due grandi teorici della materia, decisamente pro- overdeterrence sono G. Becker e G. Stigler, Law enforcement, Malfeasance and Compensation of Enforcers, in Journal of Legal Studies (1974). 79 p. 7 e parr 173 e ss. pochi problemi di raccordo con le prospettazioni della Commissione. Com’è noto, l’ordinamento italiano è informato al principio generale <<nessuna responsabilità senza colpa>>, tutelato anche a livello costituzionale, cui farebbero eccezione solo una serie di ipotesi, specificatamente individuate dalla legge. Tali ipotesi sono ritenute da una parte della dottrina riconducibili in ogni caso alla colpa, attraverso un meccanismo di imputazione basato su di una responsabilità colposa ex ante : in eligendo, in vigilando etc80. 80 Molto suggestive, sono poi la teorie che si rifanno al rischio, o/e alla capacità economica a sopportare il danno, che P. Trimarchi, nel suo celebre Rischio e responsabilità oggettiva del 1961 circoscriveva al fenomeno dell’impresa, in considerazione del fatto che la qualità di imprenditore e di proprietario sarebbero, di regola, indici di una certa capacità economica e ciò basterebbe per ritenere da questi sopportabile quel sacrificio che invece sarebbe troppo gravoso se lasciato a carico del danneggiato: responsabilità oggettiva come ulteriore componente del rischio imprenditoriale. Tuttavia è appena il caso di notare come una simile argomentazione, se da un lato può essere giustificato in riferimento alla responsabilità delle imprese nei loro rapporti con il consumatore-cliente, parte contrattuale “debole”, dall’altro risulta di difficile comprensione se riferito ai rapporti tra imprese concorrenti tra loro, o tra imprese venditrici-clienti, ove il rapporto delle rispettive forze contrattuali è assai meno sbilanciato. A ben vedere, tuttavia, anche nelle teorie del rischio più dogmatiche in realtà è sempre possibile rintracciare un nesso causale tra condotta e danno, per quanto in sede processuale la prova richiesta a dimostrarne la sussistenza sia poi ridotta, poiché, in ogni caso, presupposto irrinunciabile da cui si deve muovere, non potrebbe non essere costituito dall’ imputabilità della condotta a quell’impresa nel cui raggio d’azione la condotta stessa è suscettibile di essere tanto consumata, quanto evitata. In tal senso allora si giustifica la responsabilità “oggettiva” della capogruppo per gli illeciti delle sue controllate, posto che parte considerevole dell’area di queste ultime è ricompresa in quella della prima, immediatamente e direttamente sovraordinata alle sussidiarie, in senso verticale. Lo stesso invece non potrebbe affatto sostenersi in riferimento ad ipotesi simili a quella riscontrabile nel caso Provimi, ove la responsabilità oggettiva per le A ben guardare, tuttavia, sembrerebbe venir meno l’ordinamento italiano non al principio << nessuna responsabilità senza colpa>> poichè in ciascuna delle ipotesi di responsabilità c.d. oggettiva (e salvo alcune particolarissime ed estremamente severe ipotesi, quali ad esempio la responsabilità degli armatori di navi, o del proprietario di aereomobili art 965 e 978 cod. Nav., o ancora la responsabilità dell’esercente di attività nucleare, introdotta dalla L. 1860 del ‘62), risulterebbe presente un collegamento ad una particolare circostanza subordinata all’osservanza di una norma cautelare. Ciò dimostrerebbe, allora, come l’ordinamento italiano consideri aberrante un’ ipotesi di responsabilità oggettiva pura, quale sarebbe quella di un’impresa consorella per le attività poste in essere da un’altra impresa su cui essa non avrebbe alcun potere di direzione e coordinamento. Una siffatta ricostruzione dell’istituto non pare rispettosa dell’ordine pubblico interno italiano, colpendo valori e principi condotte di una o più consorelle sarebbe imputata ad altre imprese consorelle, le cui rispettive aree d’azione non sono sovrapponibili neppure in minima parte, stando la sostanziale parità di posizione occupata all’interno della piramide gerarchica del gruppo. Da ciò discende, ovviamente, l’incapacità di ciascuna di esse di condizionare, influenzare le condotte delle altre, nonché l’inutilità, o per meglio dire impossibilità, di adottare qualsivoglia norma di tipo cautelare finalizzata a prevenire gli illeciti eventualmente posti in essere da queste, stante l’assenza totale di poteri di controllo ed indirizzo in seno alle consorelle. che il nostro ordinamento ha ritenuto di tutelare a livello primario. La conseguenza che ne deriverebbe sarebbe allora (o quantomeno dovrebbe essere) il divieto per i giudici nazionali di dare esecuzione ad una sentenza straniera con quel contenuto perchè contraria ai principi di ordine pubblico (art 34 Reg. 44/01) ; ciò anche alla luce della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà Fondamentali, e del Reg 1/2003 nella parte in cui riconoscono il diritto inviolabile di difesa. Sebbene infatti non si impedisca al convenuto di fornire le prove contrarie a propria discolpa, il principio di difesa sarebbe purtuttavia leso qualora, attraverso il meccanismo derogatorio all’art 2 del regolamento 44/01, si privasse il convenuto del suo giudice naturale per trascinarlo in una sede giurisdizionale ove vigono regole processuali e sanzioni pecuniarie e/o penali a questi maggiormente sfavorevoli. L’applicazione di una metodologia valutativa del danno, supportata da opportuni riscontri di analisi economica atti a ricostruire i c.d. “scenari alternativi” cui confrontare, caso per caso, il sistema presuntivamente violativo della disciplina antitrust (dai semplici before and after, yardstick, benchmark81, a quelli più elaborati, basati sull’analisi dei costi82 o dei prezzi 83), sembra ancora una volta l’unica via percorribile per verificare quando e se in concreto una sussidiaria abbia effettivamente implementato un cartello posto in essere da una sua consorella e/o dalla capogruppo . Ancora e diversamente, il ricorso a categorie formali quali la nozione di “undertaking” combinata ai principi derogatori in tema di giurisdizione ai sensi del regolamento 44/01, 81 Before and after theory é un modello molto semplice che si basa sulla semplice comparazione storica del livello dei prezzi durante la condotta illecita con il livello dei prezzi sia prima che dopo il comportamento anticoncorrenziale, consentendo di fare delle previsioni su quale sarebbe stato il prezzo in assenza della violazione. La yardstick theory confronta il livello dei prezzi all’interno del mercato in cui è stata posta in essere la violazione e il livello di prezzi all’interno di altri mercati simili ma non colpiti dall’illecito. La benchmark market theory invece prende in considerazione un mercato di riferimento con le medesime caratteristiche concorrenziali del mercato su cui è stato posto in essere l’illecito. V. L. Prosperetti, Prova e valutazione del danno antitrust, una prospettiva economica, Mercato Concorrenza Regole n.3 2008 cr con S. Frova e A. NicitaLa Piramide Rovesciata, in Mercato Concorrenza e Regole, n. 3/2008. 82 C.d. cost-based approach, con cui si ricostruisce il prezzo concorrenziale sulla scorta dei costi unitari medi di produzione, maggiorati del margine di profitto considerato adeguato ad un contesto concorrenziale. 83 C.d. price prediction e theoretic modelling or simulation approach., orientate a prevedere il livello dei prezzi ricavato dalla combinazione di una serie di variabili dipendenti e indipendenti come la domanda e l’offerta. S. Batianon, Il risarcimento del danno antitrust tra esigenze di giustizia e problemi di efficienza. Prime riflessioni sul libro verde della Commissione, in Mercato concorrenza regole, 2006. strumentalizzati all’attuazione di un sistema di overdeterrence, non sembra tener sufficientemente conto delle presagibili conseguenze che ne deriverebbero: profondo scetticismo e diffidenza delle imprese nell’organizzarsi in gruppi, nonché abbandono o rinuncia a penetrare il mercato in alcuni paesi, a tutto danno di un sano funzionamento del sistema concorrenziale. Com’è noto, infatti, le imprese di notevoli dimensioni che intendono espandersi ulteriormente esportando la propria attività commerciale al di fuori dei confini del paese d’origine, hanno facoltà di scegliere, sostanzialmente, tra due opzioni alternative: aprire una serie di branch offices, ovverosia degli uffici, o agenzie, la cui proprietà e ragione sociale sono totalmente riferite alla sede principale (la c.d. head office), oppure costituire delle imprese “nuove”, che, seppur soggette alla loro direzione e coordinamento, sono tuttavia giuridicamente (ed economicamente) distinte dalla parent company. Le differenze non sono di poco conto, se si considera che nell’un caso non è tracciabile alcun tipo di limite nella responsabilità dell’head office per gli atti posti in essere dalle proprie agenzie (il che induce, comprensibilmente, a valutazioni estremamente caute, se non frenate, nella decisione di aprirne di nuove, soprattutto all’estero), contrariamente a quanto accade invece nella disciplina dei gruppi, la cui essenza e vera ragion d’essere consiste proprio nella possibilità, accordata dal legislatore, di circoscrivere la responsabilità delle imprese controllate ed evitare che essa automaticamente si riversi de plano in capo alla controllante (e, a fortiori, alle altre consorelle), purchè naturalmente non si tratti di un caso in cui l’influenza dominante della capogruppo si traduca in “violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime”, come recita ad esempio l’art 2497 del codice civile italiano. Sul punto, è evidente come la possibilità di organizzarsi in gruppi costituisca un valido incentivo per le grandi imprese che attraverso tale strumento possono riuscire a penetrare efficacemente un numero sempre più elevato di mercati, contribuendo a loro volta a generare nuovi e continui flussi dinamici nel sistema concorrenziale nei contesti più disparati, a tutto beneficio del consumer welfare. Se quanto detto è vero, non v’è chi non veda, allora, come l’interpretazione del giudice inglese nel caso Provimi rischi di svuotare la disciplina dei gruppi d’imprese del proprio contenuto più essenziale, poiché, di fatto, l’esposizione al rischio di essere chiamati a rispondere degli illeciti posti in essere da una subsidiary non già solo della capogruppo, ma addirittura delle consorelle, non differirebbe in nulla dal tipo di esposizione cui sarebbe normalmente sottoposta la sede principale, o head office, rispetto agli atti posti in essere dalle proprie branch offices, posto che tra le due tipologie di offices, non vige il principio di separatezza, che al contrario costituisce l’asse portante nella disciplina dei gruppi; tali gruppi, qualora dovesse darsi sèguito all’interpretrazione del giudice inglese nel caso Provimi, indubbiamente muterebbero in maniera considerevole le proprie strategie di espansione in un’ottica peraltro inefficiente, a fronte del fatto che il perseguimento del benessere, obiettivo dichiarato primario del diritto della concorrenza, ne risulterebbe sensibilmente compromesso. A ben vedere, anche l’overdeterrence si propone di perseguire il raggiungimento dell’efficienza in termini di benessere sociale. Tuttavia pare alla scrivente che l’ottica da cui muove un siffatto ragionamento sia profondamente miope, poiché circoscrive l’analisi degli effetti al breve periodo, senza sforzarsi di considerarne i limiti indefettibili, e senza oltretutto considerare che nella accezione di “consumatore” rientrano anche quei creditori delle imprese consorelle non partecipanti al cartello, il cui affidamento (sul bilancio della subsidiary) non sarebbe correttamente tutelato se si pretendesse che questi siano potenzialmente ed economicamente esposti alle conseguenze derivanti da sanzioni pecuniarie per gli illeciti antitrust posti in essere da altre imprese, di cui essi non sono creditori, il che francamente pare paradossale, se si considera oltretutto l’eventualità che i creditori di queste ultime, invece, potrebbero non patire le conseguenze di un’ azione di risarcimento, traendo un vantaggio considerevole scaricando su altri le proprie responsabilità (c.d. free riding). Infine è appena il caso di sottolineare come un sistema talmente inclemente non sembri, a ben vedere, neanche rispondere in maniera efficiente alle esigenze di deterrenza proclamate dalla Commissione nel Libro Bianco, posto che lo scopo della deterrenza é quello di influenzare, attraverso la minaccia di pesanti sanzioni, i comportamenti dei soggetti destinatari affinchè essi adottino spontaneamente tutte le misure e le decisioni necessarie e possibili ad evitare la violazione della normativa. Pressupposto di fondo di ciò è che le decisioni in parola rientrino nella sfera dei poteri attribuiti ai soggetti destinatari; se ciò é vero, non si comprende allora come una siffatta pressione possa essere efficacemente esercitata su di una subsidiary che non dispone di alcun potere di incidere sulla direzione e sul coordinamento della propria consorella, risultando pertanto per sua natura insensibile e areattiva a qualsivoglia stimolazione, per quanto si dichiari informata alla fenomenologia della deterrenza. Invero, una siffatta impostazione, piuttosto indifferente a valutazioni che andassero oltre nozionismi formalistici e poco avvezza all’analisi dell’impatto economico e giuridico nel lungo periodo sui sistemi giuridici degli Stati membri, ha dominato per decenni lo scenario europeo, avendo dimostrato Commissione e Corte di Giustizia in svariate occasioni di prediligerla alla metodologia interpretativa seguita dall’altra sponda nell’Atlantico, guidata dal principio della “rule of reason”. Tuttavia, in epoca recente, soprattutto in riferimento all’art 82 del Trattato, é stato possibile osservare come le Istituzioni Comunitarie abbiano temperato le spigolose posizioni del passato per tendere verso l’accoglimento dei principi (seppur con qualche battuta prioritariamente la d’arresto84) che perseguono tutela della concorrenza, non già dei concorrenti85. In tema di intese in riferimento alla misura della responsabilità delle consorelle legal entities di una holding, ad oggi non é ancora stata sollevata una questione pregiudiziale che abbia dato modo alla Corte di Giustizia di chiarirne limiti e configurazione. Alla luce dello studio condotto, personalmente si ritiene che un approccio diverso, di tipo giuseconomico, maggiormente attento alle ricadute di una determinata disciplina della responsabilità per illecito antitrust all’interno dei gruppi di imprese sia auspicabile. Un’ impostazione eccessivamente basata sulla categorizzazione formale delle condotte, in nome di una deterrenza che si proclama paladina del benessere del consumatore, infatti, oltre a risultare errata, rischierebbe di 84 Vedansi le pronunce di Tribunale di Primo grado e Commissione sul il caso Wanadoo/France-Télécom, causa T-340/03, France Télécom c Commissione, in tema di pratiche predatorie, su cui peraltro la Corte di Giustizia ha espresso non poche perplessità, annullando con rinvio la sentenza del 2007 del Tribunale. 85 A tal proposito vedasi il Discussion Paper del 2005 della DG Competition sul processo di modernizzazione dell’art 82 del Trattato e delle proposte di EAGCP, che hanno espressamente richiamato tali principi. far saltare quei numerosi e delicati equilibri su cui poggiano le tante anime del diritto della concorrenza efficiente nei diversi ordinamenti, decretandone, profonda involuzione. al contrario, la sua Bibliografia AA.VV., La nozione di impresa nel diritto comunitario, a cura di P. 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