La deroga alla giurisdizione nell`azione di risarcimento per

Dipartimento di Scienze giuridiche
CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa
La deroga alla giurisdizione
nell’azione di risarcimento per
danno da illecito antitrust
derivante da cartelli tra società
aventi sede in più Stati membri.
Elena Caminiti
Febbraio 2010
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1
Public Enforcement e Private Enforcement per il
risarcimento del danno da violazione delle norme
antitrust comunitarie: il Libro Verde e il Libro Bianco; la
saga Courage e il Caso Manfredi.
Nel diritto della concorrenza l’espressione private enforcement
indica l’applicazione della disciplina antitrust all’interno di
controversie civili promosse innanzi ai giudici nazionali.
Contrariamente a quanto avviene nell’altra sponda
dell’Atlantico, il sistema comunitario ha per lungo tempo
rifiutato di riconoscere al
private enforcement un posto da
protagonista nel suo ruolo essenziale al funzionamento e al
rispetto delle regole della concorrenza, mostrando maggior
familiarità e dimestichezza in un contesto di public enforcement,
ove l’applicazione della normativa antitrust avviene per mano
delle autorità pubbliche (Commissione EU ed autorità garanti
nazionali).
Tuttavia, sotto la spinta dell’esperienza statunitense e dei
modelli economici di riferimento sviluppatisi in seno alle
principali scuole di pensiero in materia, attualmente il private
enforcement sta vivendo una stagione di riscatto anche nel
Vecchio Continente.
Al termine di un processo durato quasi cinquant’anni1, il 2
aprile 2008 la Commissione Europea ha infatti pubblicato il
tanto atteso Libro Bianco in materia di azioni di risarcimento
del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, il
cui contenuto, nella prospettiva di garantire una tutela effettiva
alle vittime di una violazione della disciplina comunitaria in
materia di concorrenza, é stato recentemente salutato con
favore anche dal Parlamento Europeo2.
Il faticoso percorso che ha condotto all’emanazione del
Libro Bianco é illuminato dai principi dell’effetto utile e dell’
effetto diretto delle norme comunitarie3, i quali, segnati dalle
1 La Commissione ha iniziato infatti ad interrogarsi sul problema
del risarcimento del danno da violazione degli articoli 85 ed 86 del Trattato
Cee fin dal lontano 1963; Commissione CEE, Collana Studi, serie
Concorrenza, n.1, Bruxelles, 1966.
2 Risoluzione del Parlamento Europeo del 26 marzo 2009 sul
Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione
delle norme antitrust comunitarie, disponibile alla pagina web:
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=//EP//TEXT+TA+P6-TA-2009-0187+0+DOC+XML+V0//IT
3 Per un’analisi approfondita del significato dei suddetti principi
cfr G.Tesauro, Diritto Comunitario, Padova, Cedam pp 108 e ss e 163 e ss. In
particolare l’autore sottolinea come l’effetto diretto non sia una
caratteristica esclusiva del diritto comunitario, rinvenendosi anche nel
diritto internazionale.
sentenze ormai storiche Van Gend & Loos4, Costa5, Francovich6,
Brasserie du pecheur-Factortame7, hanno trovato nel 2001, con la
sentenza Courage e Crehan8 la propria chiave di volta e
l’occasione per rigenerarsi fornendo un ulteriore impulso al
potenziamento dell’effettività degli articoli 81 ed
82 del
Trattato.
Prima della sentenza Courage la Corte di Giustizia era infatti
si giunta alla teorizzazione del principio della diretta
applicabilità dei diritti derivanti dal Trattato, ma sul tema
specifico del risarcimento dei danni per violazione della
normativa antitrust vi erano non poche resistenze attuative,
dovute soprattutto, ad opinione di molti autori, all’assenza di
una disciplina comune, o quantomeno di un’armonizzazione,
delle legislazioni degli Stati membri che fosse indirizzata a
garantire in ciascuno di essi l’esistenza di una tutela risarcitoria
in caso di violazione della normativa antitrust9: ciò avrebbe
4 Sentenza CGE del 5 febbraio 1963, causa C- 26/62.
5 Sentenza CGE, del 15 luglio 1964, causa C-6/64.
6 Sentenza CGE del 19 novembre 1991, cause C-6/90 e C-9/90.
7 Sentenza CGE del 5 marzo 1996, cause C-46 e 48/93
8 Sentenza CGE del 20 settembre 2001, causa C-453/99.
9 S. Bastianon, Il risarcimento del danno antitrust tra esigenze di giustizia
e problemi di efficienza. Prime riflessioni sul Libro verde della Commissione, in
Mercato Concorrenza e Regole, Giuffré, II, 2006 P. 322.
condotto, non a caso, per molto tempo l’orientamento della
Corte di Giustizia a ritenere che fosse comunque compito di
ciascuno Stato membro individuare giudici competenti e
procedure dei ricorsi finalizzati a tutelare i diritti dei singoli, in
forza dell’effetto diretto del diritto comunitario (c.d. principio
della competenza esclusiva). Questo ha comportato che,
sebbene la Corte avesse precisato che le modalità delle
suddette procedure dovessero esser tali da non risultare meno
favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura
interna (c.d. principio di non discriminazione) né da rendere
impossibile o eccessivamente difficoltoso l’esercizio dei diritti
conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (c.d. principio
di effettività), di fatto, la piena efficacia del diritto comunitario
risultava un sottoinsieme del principio della competenza
esclusiva da cui veniva assorbito e ridimensionato .
Con la sentenza Courage, invece, per la prima volta i
principi sanciti dalla sentenza Francovich vengono trasposti ed
applicati formalmente anche alle controversie antitrust10 : <<
La Corte ha già dichiarato che gli articoli 81 n.1 e 82 del Trattato CE
producono effetti diretti nei rapporti tra i singoli ed attribuiscono
10 M.Colangelo, Le evoluzioni del Private Enforcement: da Courage al
Libro Bianco,in Europa e diritto privato, 2008, n. 3, Giuffré, p. 655.
direttamente a questi dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare (...)
Dalle considerazioni che precedono risulta che qualsiasi singolo é
legittimato a far valere in giudizio la violazione dell’art. 81.n.1 del
Trattato, anche qualora sia parte di un contratto che può restringere o
falsare il gioco della concorrenza ai sensi di tale disposizione (...) La
piena efficacia dell’art.81 del Trattato, e, in particolare, l’effetto utile del
divieto sancito al n.1 di detto articolo sarebbero messi in discussione se
chiunque non potesse chiedere il risarcimento del danno causatogli da un
contratto o da un comportamento che possono restringere o falsare il gioco
della concorrenza (...) Un siffatto diritto rafforza, infatti, il carattere
operativo delle regole di concorrenza comunitarie ed è tale da scoraggiare
gli accordi o le pratiche, spesso dissimulate, che possono restringere o
falsare il gioco della concorrenza. In quest’ottica, le azioni di risarcimento
danni dinanzi ai giudici nazionali possono contribuire sostanzialmente al
mantenimento di un’effettiva concorrenza nella Comunità11>>.
L’importanza della sentenza della Corte di Giustizia nel
caso
Courage12
risiede,
pertanto, nell’aver
affermato
esplicitamente e con maggior fermezza rispetto alle precedenti,
11 Corte di Giust., 20 settembre 2001, Courage Ltd c. Crehan , C-
453/99 p. 23, 24, 26, 27. In Foro It., 2002, IV, c. 75 ss.
12 Per un’analisi sull’impatto del diritto europeo sul diritto privato
e commerciale cfr N. Scannicchio, Il Diritto Privato Europeo nel sistema delle
fonti, In Trattato di Diritto Privato Europeo, a cura di N. Lipari, Vol. I, PadovaCedam, 2003.
il diritto al risarcimento da violazione di normativa antitrust,
estendendolo (per la prima volta) persino a chi sia stato parte
del contratto illegittimo13 ai sensi degli artt. 81 o 82 del
Trattato, purché, naturalmente, l’attore che lamenti il danno
sofferto non abbia operato in una posizione di pari grado
rispetto al convenuto14.
Un ulteriore merito della sentenza Courage é quello di aver
precisato che i soggetti demandati a proteggere e tutelare i
diritti comunitari sono i giudici nazionali, i quali pertanto sono
tenuti, in concreto, all’attuazione degli stessi: tale assunto é
stato prontamente recepito:
-
dalle Istituzioni politico-legislative comunitarie, che lo
hanno condensato nel
regolamento
1/2003/CE15,
espressamente evidenziato il ruolo
in
cui
viene
complementare dei
13 Secondo tale interpretazione sarebbe possibile utilizzare la
normativa antitrust a fini difensivi, consentendo all’attore di invocare la
nullità del contratto stipulato in precedenza, e di sottrarsi così
all’adempimento delle proprie obbligazioni che da esso deriverebbero.
14 Diversamente, si rischierebbe di riconoscere un vantaggio in
capo a chi ha posto in essere il comportamento illecito.
15 Regolamento del Consiglio 1/2003 del 16 dicembre 2002
concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt 81 e
82 del Trattato, in << Guce>> del 4 gennaio 2003, L 1, 0.1.
giudici nazionali rispetto a quello delle autorities nella tutela dei
diritti soggettivi garantiti dal diritto comunitario nelle
controversie tra privati, in particolare accordando risarcimenti
alle parti danneggiate dalle infrazioni16.
-
Dalla Commissione EU che nel 2005, ha pubblicato il
Libro Verde17 sulle azioni di risarcimento del danno per
violazione delle norme antitrust comunitarie18.
Con tale documento, e con le osservazioni ed
opinioni ad essa pervenute in seguito, la Commissione ha
avviato una stagione di profonda riflessione e di confronto tra
i vari Stati membri sull’argomento, prospettando una serie di
opzioni e alternative anche di natura procedurale, con
l’obiettivo di porre le basi di una strategia condivisa idonea ad
incoraggiare la diffusione del private enforcement, in cui la sfida é
consistita nel misurarsi con questioni complesse, quali
l’accesso alle prove (tra asimmetria informativa dell’ attore e
diritto di difesa e riservatezza del convenuto), il requisito della
16 Considerando 7.
17 COM(2005) 672.
18 La versione tradotta in italiano del Libro verde é disponibile
alla
pagina
web:
http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2004_2009/documents/com/c
om_com(2005)0672_/com_com(2005)0672_it.pdf
colpa (laddove in molti Stati membri la domanda di
risarcimento del danno, in quanto azione extracontrattuale,
richiede di provare la colpa, mentre in altri la colpa é presunta
se l’atto é compiuto in violazione della normativa antitrust), o
ancora la definizione del risarcimento del danno (tra funzione
riparatoria19, restitutoria20 o punitiva21, ove questi ultimi sono
considerati
dalla
Commissione
efficace
strumento
di
deterrenza22), l’eccezione di trasferimento e la legittimazione
ad agire dell’acquirente diretto (il c.d. passing-on).
19 Ovvero il risarcimento definito in funzione del danno subito
dall’attore a causa del comportamento illecito.
20 Ovvero il risarcimento definito in funzione del profitto illecito
realizzato dall’autore della violazione.
21 E’ questo il caso dei c.d. punitive o exemplary damages, tipici degli
ordinamenti di common law, per opera dei quali, in caso di
responsabilità extracontrattuale il danneggiato può vedersi riconosciuto
oltre al risarcimento volto a compensare i danni subiti (c.d.
compensatory damages), anche un ulteriore risarcimento, che riveste
una funzione punitiva tipica della sanzione penale, il cui scopo é quello
della deterrenza, cui si aggiunge un aspetto premiale nei confronti
dell’attore per aver contribuito al disvelamento della violazione. Con la
sentenza del 7 aprile 2003, causa State Farm Mutual Automobile
Insurance Co. v. Inez Preece Campbell, La Corte Suprema degli Stati
Uniti ha precisato che l’entità dei danni punitivi deve essere comunque
proporzionata alla gravità del comportamento del danneggiante e non
superiore a dieci volte l'entità del danno effettivo. In Italia sebbene la
Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1183/2007, abbia rifutato
l’esecuzione di una sentenza straniera per contrarietà dei danni punitivi
all’ordine pubblico interno, pronunce più recenti sembrerebbero virare
verso la direzione opposta. V infra.
22 Commissione Europea, punto 7.16
L’importanza della soluzione offerta dalla Corte di
Giustizia nel caso Courage non é da considerarsi scalfita dalle
considerazioni cui sono pervenuti successivamente alla
pronuncia sul rinvio pregiudiziale la High Court e la House of
Lords inglesi, maggiormente orientati verso il principio di
indipendenza piuttosto che verso quello di cooperazione.
Il diritto al risarcimento é stato infatti nuovamente
affermato nel 2006 dalla Corte di Giustizia con maggiore
vigore, con il caso Manfredi23, instaurato da parte di alcuni
23 Manfredi c. Lloyd Adriatico Assicurazioni, Corte Giust., 13 luglio
2006, cause riunite C-295/04, C-296/04, C-297/04 e C-298/04, su
questione pregiudiziale sollevata dal GdP di Bitonto, il quale nella sent.
21/05/2007 ha inflitto danni punitivi alle parti convenute, dichiarando che
in caso di azione di danni per violazione della disciplina antitrust, il giudice
deve liquidare il danno con criteri idonei a garantire un effetto deterrente
nei confronti della parte convenuta (in applicazione di tale principio, il
giudice ha liquidato all'attore, pur in mancanza di domanda espressa, una
somma pari al doppio dei premi pagati all'impresa assicuratrice convenuta,
in virtù di contratti conclusi in attuazione di un'intesa anticoncorrenziale
illecita); Nuova Giur. Civ., 2008, 2, 1, 166 nota di Maugeri. La Corte di
Giustizia sul punto ha precisato che << il risarcimento esemplare o punitivo può
essere certamente riconosciuto nell’ambito di azioni nazionali analoghe alle azioni
fondate sulle regole comunitarie di concorrenza, sebbene il diritto comunitario non osti a
che i giudici nazionali vigilino affinchè la tutela dei diritti garantiti dall’ordinamento
giuridico comunitario non comporti un arricchimento senza causa degli aventi diritto.
D’altro lato, dal principio di effettività e dal diritto del singolo di chiedere il risarcimento
del danno causato da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o a
falsare il gioco della concorrenza discende che le persone che hanno subìto un danno
devono poter chiedere il risarcimento non solo del danno reale (damnum emergens), ma
consumatori finali contro alcune compagnie di assicurazione
europee, condannate in precedenza dall’AGCM italiana
24
per
aver determinato, attraverso il reciproco e sistematico scambio
di informazioni, un aumento del prezzo delle polizze rc auto,
natanti e ciclomotori, di circa il 20% rispetto a quello che si
sarebbe avuto in presenza di dinamiche concorrenziali non
alterate, e pertanto ingiustificato.
In quella sede la Corte ha rilevato che << chiunque ha il
diritto di far valere la nullità di un’intesa o di una pratica vietata dall’art
81 CE e, quando esiste un nesso di causalità tra essa e il danno subìto,
di chiedere il risarcimento di tale danno>>25. Il principio é stato
recepito anche in Italia: sentenze delle SSUU della Cassazione
come quella del 4 febbraio 2005 n.2207
o quella del 2
febbraio 2007 n. 2305, non lasciano margini di dubbio << é
errato ritenere che legittimati alla azione prevista dalla legge Antitrust
possano essere solo gli imprenditori esclusi dal cartello e pertanto da questo
danneggiati, ed è errato ancora qualificare l'azione in parola come
anche del mancato guadagno (lucrum cessans), nonché il pagamento degli interessi>>; p.
101(5)
24 Agcm, provvedimento finale 28 luglio 2000 n. 8546 (Bollettino
30/2000 del 14 agosto 2000), confermato sostanzialmente anche dal Tar
Lazio e dal Consiglio di Stato, in fase di impugnazione.
25 Sent CGE, p. 101(2).
restitutoria e dunque estranea alla previsione di cui all'art. 33 della L.
Antit. La legge ha attribuito alla Corte d'appello in unico grado di
merito una competenza, ratione materiae, che prescinde dai soggetti che
esercitano il relativo diritto,(...) giacchè contratti conclusi tra impresa
assicuratrice e cliente "a valle" dell'accordo illecito tra gli imprenditori,
costituiscono aspetti del medesimo problema. Ciò in quanto la posizione
giuridica del terzo, estraneo all'intesa, che afferma di averne subito gli
effetti ne determina la legittimazione ad agire. (...) Un siffatto criterio di
competenza non può essere eluso neanche attraverso la qualificazione della
domanda come restitutoria anzichè risarcitoria, giacchè anche la
restituzione del cosiddetto sovrapprezzo seguirebbe ad una nullità, almeno
derivata, del contratto concluso tra la società assicuratrice ed il cliente
automobilista, e l'accertamento di tale nullità è devoluto alla Corte
d'Appello>>26.
*************
Chiariti gli obiettivi delle
politiche europee della
concorrenza, e a conclusione di un lungo processo di
consultazione, la Commissione ha infine pubblicato un
26 Cass , n. 2207/2005 P.1 motivazioni.
documento contenente proposte di azione comunitaria nel
settore della concorrenza, il Libro Bianco in materia di azioni
per il risarcimento del danno per violazione delle norme
antitrust, nella prospettiva di un aumento del numero dei
procedimenti civili in Europa, il cui stato, come fotografato
dal rapporto Ashurst27 del 2004, risulta ancora in una fase di
“completo
sottosviluppo”
rispetto
ai
procedimenti
amministrativi.
Il modello proposto dalla Commissione nel Libro Bianco
mira a costituire un sistema osmotico a “doppio binario28”,
ove le Autorità - europea e nazionali - (il c.d. public enforcement)
e le azioni civili (private enforcement) sono pensate per operare in
sinergia, coordinando il loro operato in maniera efficiente, al
fine anche di ridurre i costi degli strumenti da essi utilizzati.
27 Report Ashrurst, Study on the conditions of claims for
damages in case of infringement of EC competition rules- comparative
report, 2004.
http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/com
parative_report_clean_en.pdf.
28 L.C.Ubertazzi, Commentario alla legge 10 ottobre 1990 n.287,
Padova, 2004 p.2422 ; V. Mangini, G. Olivieri, Diritto Antitrust, Torino,
2000 p. 121
2
il caso Provimi vs l’ undertaking Aventis: dal
regolamento 44/01 al forum shopping in UK ,
presunzioni pericolose e overdeterrence inefficiente.
Sulle problematiche sopra accennate, che risultano
manifestamente evidenti nella disciplina del private enforcement di
matrice comunitaria, in Europa é attualmente in corso un
fervido dibattito, non ancora conclusosi, finalizzato ad
analizzarne i punti di criticità per poi avanzare proposte di
attuazione in grado di costituire quel “minimo basamento giuridico
comune” tale da soddisfare, effettivamente, gli obiettivi di better
competition in tutti gli Stati membri.
Tuttavia, accanto alle questioni maggiormente dibattute, su
cui é già disponibile una vasta quantità di materiale scientifico,
ve n’è un’altra, nuova ed ancora poco esplorata, sorta a seguito
di un particolare caso UK di private enforcement da illecito
antitrust: il caso Provimi-Aventis29, azione follow-on rispetto alla
29
Provimi vs Aventis, High Court of Justice - Queen’s Bench
Division - Commercial Court, 2 may
2003 EWHC 961.
decisione del 21 novembre 2001 della Commissione UE circa
il filone europeo30 del celebre cartello delle Vitamine31.
Gli argomenti assunti dal giudice inglese in tal
contesto, di cui si dirà dettagliatamente a breve, qualora
trovassero conforto nelle future decisioni dei giudici nazionali
di
common law, di civil law, come della CGE e della
Commissione, rischiano di aprire nuovi e complessi scenari i
cui esiti non sembrano prestarsi a facile soluzione.
Ma procediamo con ordine, ed iniziamo ad illustrare i tratti
salienti del caso Provimi-Aventis.
30
Procedimenti e investigazioni per il cartello sulle vitamine che
hanno visto implicata Hoffmann-La Roche, Aventis ed altre, si sono avuti
tra il 1998 e il 1999, infatti, altresì negli Stati Uniti, in Canada in Australia.
Anche in quelle sedi, la Aventis ha collaborato con le autorità, ottenendo
l’immunità.
31
La decisione della Commissione sul cartello delle Vitamine é
costato alle otto imprese che vi parteciparono una multa record: ben 855
milioni di euro.
2.1
La decisione della Commissione Europea
Il 21 novembre 200132 la Commissione Europea ha
sanzionato otto33 imprese, europee e non, operanti nel settore
chimico-farmaceutico per aver partecipato ad otto diversi
cartelli in violazione dell’art 81 del Trattato UE nel mercato
dei prodotti vitaminici; in nome di essi, per più di dieci anni le
suddette imprese avrebbero, secondo la Commissione,
venduto i prodotti a prezzi concordati, pattuito ed applicato
l’aumento dei prezzi, compartimentato il mercato, annunciato
gli aumenti di prezzo confermemente ai loro accordi, nonché
creato un sistema per controllare e far rispettare gli accordi,
32
COMP/E-1/37.512-Vitamine ; la decisione della Commissione
é stata pubblicata il 10 gennaio 2003.
33
Hoffmann-La Roche AG (Svizzera), Aventis SA ex Rhône-
Poulenc SA(Francia), Basf AG (Germania), Solvay Pharmaceuticals BV
(Paesi Bassi), Merck Kga AG (Germania), Daiichi Pharmaceutical Co Ltd
(Giappone), Eisai Co Ltd (Giappone), Takeda Chemical Industries Ltd
(Giappone). In verità, le imprese inizialmente coinvolte erano tredici. Le
altre cinque, Lonza AG (Germania), Kongo Chemical Co Ltd (Giappone),
Sumitomo Chemical Co Ltd (Giappone), Sumika Fine Chemicals Ltd
(Giappone) e Tanabe Saiyaku Co Ltd (Giappone) non state multate perché
i cartelli cui avevano partecipato avevano cessato di esistere cinque anni
partecipando ad una serie di incontri regolari al fine di dare
attuazione ai propri piani.
Le investigazioni della Commissione sul cartello delle
vitamine sono state avviate a seguito alle dichiarazioni rese
spontaneamente
dall’
impresa
francese
Aventis34SA
(conosciuta all’epoca dei fatti col nome di Rhône-Poulenc SA),
la quale si era auto-accusata di aver violato l’art 81 del Trattato,
partecipando all’intesa limitatamente alle vitamine A, E
35
e
D3.
La sintesi scritta fornita da Aventis (che le ha peraltro
assicurato la completa immunità dalle ammende, in quanto
prima società a collaborare con la Commissione), conteneva
informazioni decisive in merito alle attività poste in essere
dalle imprese coinvolte nel cartello; da essa emergeva il ruolo
centrale di leaders and instigators svolto dalle due maggiori
prima che la Commissione avviasse l'indagine. Tali casi, pertanto, sono
caduti in prescrizione.
34
La quota di mercato detenuta dalla Rhône Poulenc nel settore
delle vitamine ammontava al 5-15% a livello mondiale.
35
Le vitamine A ed E sono le più richieste dal mercato;
complessivamente considerate esse coprono infatti circa il 60% della
domanda mondiale delle vitamine, soprattutto nel settore dei mangimi.
imprese produttrici di vitamine del mondo:
Hoffmann-La
Roche, ideatore principale e maggior beneficiario del cartello, e
Basf, sua alleata.
Le due companies avevano partecipato a tutti i cartelli,
mentre gli altri operatori erano stati via via coinvolti solo per
un numero limitato di prodotti vitaminici.
Quanto alla Aventis (ex Rhône Poulenc SA), il suo
coinvolgimento nel cartello era avvenuto grazie alla sua
partecipazione alle riunioni36 che si tenevano a cadenze
regolari tra alcuni funzionari delle imprese coinvolte, insieme
ad alcuni dirigenti delle divisioni interne. Nella decisione della
Commissione, in particolare, figura espressamente il diretto
convolgimento alle suddette riunioni di una subsidiary
controllata al 100% da Aventis SA, la Rhône Poulenc Animal
Nutrition (RPAN), azienda operante nel mercato dei mangimi,
il cui nome é stato poi modificato in Aventis Animal Nutrition
(AAN).
Il presidente di RPAN, infatti, rappresentava la Rhône
Poulenc nelle riunioni tra presidenti di divisione e responsabili
36
Tale attività era chiamata “piano economico” , v. decisione
della Commissione punto 171
del commerciale, subendo pertanto forti pressioni da parte
della sua parent-company37.
Al termine dell’istruttoria la Commissione ha inflitto
alle seguenti imprese ingenti sanzioni per aver violato l’art 81
paragrafo 1 del trattato CE e l’art. 53 paragrafo 1 dell’accordo
SEE:
-
Hoffmann-La Roche AG (Svizzera)
 parent
company del gruppo
Aventis SA ex Rhône-Poulenc SA(Francia)  parent
company del gruppo
-
Basf AG (Germania)
-
Solvay Pharmaceuticals BV (Paesi Bassi)
subsidiary di Solvay SA
-
Merck Kga AG (Germania)
-
Daiichi Pharmaceutical Co Ltd (Giappone)
-
Eisai Co Ltd (Giappone)
-
Takeda Chemical Industries Ltd (Giappone)
37
V. p 184 e 640 della decisione della Commissione.

2.3.
L’azione di danno davanti alla High Court,
il caso Provimi.
Sulla scorta della decisione della Commissione sul caso
Vitamine, é stata in seguito avanzata una richiesta di
risarcimento per danni da illecito antitrust innanzi alla High
Court inglese da parte di alcune imprese europee che avevano
acquistato vitamine nel periodo vigente il cartello.
La particolarità di questo caso consiste nel fatto che le
imprese convenute in giudizio non sono le medesime (parent)
companies destinatarie della decisione della Commissione (v.
supra), bensì mere subsidiaries di esse, non sanzionate dalla
Commissione; ciononostante, esse sono state ritenute dal
giudice inglese titolari di legittimazione passiva sulla base della
nozione di undertaking di diritto comunitario, nozione che,
secondo la High Court e contrariamente a quanto previsto dal
diritto interno inglese, neutralizzerebbe il principio di corporate
separateness al punto da considerare del tutto inutile ai fini del
claim la disponibilità della prova della conoscenza (knowledge) da
parte della subsidiary, dell’esistenza del cartello, nonché la sua
volontà
(will)
di
allinearsi
opportunisticamente
e
consapevolmente ai prezzi cartellizzati dalla parent company: essa
infatti, secondo il giudice di common law, insieme alle altre
subsidiaries e alla parent-company, sarebbero parte di un’unica
impresa38.
Inoltre,
regolamento
attraverso
un’interpretazione
comunitario
n.
44/01,
estensiva
del
concernente
la
competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione
delle decisioni in materia civile e commerciale, é stato possibile
per un’impresa tedesca che aveva acquistato vitamine fuori dal
territorio UK, da imprese non-UK, citare queste ultime
proprio in UK, scoperchiando di fatto un vero e proprio vaso
di Pandora sul forum shopping anche in Europa.
Ma vediamo nel dettaglio quali sono i passaggi salienti del
caso Provimi-Aventis.
Tra i protagonisti della complessa vicenda giudiziaria
figurano in qualità di parti attrici tre imprese, di cui due inglesi
ed una tedesca: Provimi Limited UK, Trouw Uk e Trouw
Germany ; le imprese convenute sono invece Roche Product
Limited (UK subsidiary), Roche Vitamins Europe AG
(Switzerland subsidiary), Hoffmann-La Roche AG (Switzerland
parent company), Hoffmann-La Roche (Germany subsidiary),
Aventis Animal Nutrition SA (France subsidiary), Aventis SA
38 P. 31 << Therefore, so it seems to me, the mind and will of one legal
entity is, for the purposes of Article 81, to be treated as the mind and will of the other
(France parent-company) Rhodia Limited (UK subsidiary di
Aventis), Rhodia (Germany subsidiary di Aventis).
Il procedimento si suddive in due filoni, in base ai soggetti
convenuti: compagnie del Gruppo Roche e compagnie del
Gruppo Aventis. Ciascun filone comprende due azioni,
ognuna facente capo al claim di Provimi Uk da un lato, e al
claim di Trouw UK e Trouw Germany dall’altro.
Complessivamente, le azioni sono pertanto quattro.
Nella prima azione del primo gruppo39 Provimi ha citato:
Roche Product Limited (UK), Roche Vitamins Europe AG
(Switzerland) e Hoffmann-La Roche AG (Switzerland), pur
avendo asserito di aver acquistato le vitamine soltanto da
Roche UK e Roche Vitamins Switzerland, non già da
Hoffmann-La Roche AG, svizzera, parent company, nonché
unica impresa del gruppo sanzionata dalla Commissione nella
decisione del 2001.
Nella seconda azione del medesimo gruppo invece Trouw
UK e Trouw Germany hanno citato: Roche Products Limited
(UK), Roche Vitamins Europe AG (Switzerland), Hoffmann-
entity. There is no question of having to “impute” the knowledge or will of one entity to
another, because they are one and the same>>.
39
Defendants: compagnie del Gruppo Roche
La Roche AG (Switzerland) e Hoffmann-La Roche AG
(Germany); analogamente alla prima azione, anche qui
troviamo la Trouw UK che ha comprato le vitamine da Roche
Products Limited UK e da Roche Vitamins Europe
Switzerland, mentre Trouw Germany ha dichiarato di aver
acquistato le vitamine da Roche Germany: tutte subsidiaries di
Hoffmann-La Roche AG (con cui invece le due imprese
Trouw hanno confermato di non aver intrattenuto rapporti
commerciali direttamente), anch’esse estranee alla decisione
della Commissione .
Il quadro é speculare sul versante del gruppo delle azioni
intentate contro le compagnie del gruppo Aventis.
Nella prima azione del secondo filone, Provimi
Limited Uk ha citato: Aventis Animal Nutrition SA ( AAN ex
RPAN, FRANCE subsidiary), Rhodia Limited ( UK, subsidiary
di Aventis) e Aventis SA (France, parent- company) dichiarando
di aver acquistato le vitamine da AAN (FRANCE) il cui ruolo
di compartecipe al cartello era stato scrutinato ed analizzato
dalla Commissione, e da Rhodia UK, del tutto estranea invece
alla decisione di questa.
La seconda azione, infine, vede Trouw UK e Trouw
Germany che hanno citato: Rhodia Limited UK, Aventis
Animal
Nutrion
SA
(AAN
FRANCE),
Aventis
SA
(FRANCE), Rhodia Germany, laddove la Trouw UK hanno
dichiarato di aver comprato le vitamine da Rhodia UK
(estranea alla decisione della Commissione) e/o da AAN
France, e Trouw Germany hanno asserito di aver comprato le
vitamine da AAN France e/o da Rhodia Germany (estranea
alla decisione della Commissione).
**********
La breve esposizione della struttura processuale del caso
mette in luce due distinte questioni, su cui deve soffermarsi
l’analisi.
La prima, di natura sostanziale: a che titolo sono state
chiamate a rispondere dei danni da illecito antitrust, imprese la
cui partecipazione al cartello non è stata discussa, provata,
menzionata né nella decisione della Commissione né
tantomeno accertata in seno al procedimento davanti alla High
Court?
La seconda, di natura procedurale: quali argomentazioni
sono state impiegate per derogare al generale principio del
domicilio del convenuto ai sensi dell’art 2 del Regolamento
44/01, tanto da consentire, ad esempio, ad un’impresa tedesca
(Trouw Limited Germany) di citare in UK imprese non UK
(Roche Germany, Rhodia Germany e AAN France) con le
quali aveva intrattenuto rapporti commerciali fuori dal
territorio UK?
2.4
Sulla prima questione.
Il ragionamento del giudice inglese prende le mosse dalla
decisione della Commissione, in cui ricorre frequentemente la
parola “undertakings” nel riferirsi ad Hoffmann-La Roche AG,
Aventis SA, ed ad altre.
Secondo la High Court il ricorso a tale espressione non
é e non vuol essere casuale, dal momento che la nozione di
impresa avrebbe nel diritto comunitario della concorrenza, un
significato suo proprio.
La conferma di ciò, secondo il giudice inglese, sarebbe
rinvenibile nei Recitals 635 e 636 della Decisione in cui la
Commissione dichiara:
<< Una variazione della forma giuridica o societaria non sottrae
un’impresa (undertaking) alle sanzioni per comportamento anticoncorrenziale. Ai fini
della sanzione, pertanto, la responsabilità può trasmettersi al successore qualora l’entità
societaria che ha commesso l’infrazione abbia cessato di esistere giuridicamente. Si
configura questa situazione, in quanto l’oggetto delle regole di concorrenza del trattato
CE e dell’accordo SEE é l’impresa (undertaking), nozione non
necessariamente
identica a quella di società dotata di personalità giuridica del diritto nazionale
commerciale, societario, o tributario.
Il trattato non fornisce una definizione di
“impresa”(undertaking). Il Tribunale di primo grado ha dichiarato che l’articolo 81,
paragrafo 1, del trattato si rivolge ad entità economiche, ognuna
delle quali costituita da un’organizzazione unitaria di elementi
personali, materiali e immateriali, che persegue stabilmente un
determinato fine di natura economica, organizzazione che può concorrere alla
realizzazione di un’infrazione prevista dalla stessa disposizione [ Causa T-352/94,
Mo Och Domsjö AB/Commissione (Racc.1998, pag. II-1989, p. 87)] >>.
Il giudice inglese richiama anche il Recital 637:
<< Inoltre, se oggetto di concorrenza sono le imprese, l’attuazione delle norme
e l’imposizione e riscossione delle ammende richiede l’indivuazione di una specifica
persona giuridica responsabile del comportamento di detta impresa, cui possa indirizzarsi
la decisione>> ,
E ancora il recital 2:
<< per i periodi e per le varie vitamine specificati nella presente decisione, i
produttori di [varie] vitamine
hanno concluso [entered into] e hanno
partecipato ad [participated in] una serie di accordi continuati, in
violazione dell’articolo 81,paragrafo1, del trattato CE e dell’art 53 dell’accordo SEE,
in virtù dei quali essi hanno fissato i prezzi di diversi prodotti, assegnato quote di
vendita, concordato ed applicato [implemented] aumenti di prezzi, annunciato
gli aumenti di prezzo in conformità dei loro accordi, venduto i prodotti ai prezzi
concordati, creato un sistema per controllare e far rispettare gli accordi, nonché
partecipato ad una serie di incontri regolari ai fini dell’attuazione dei loro piani>>
Nella visione del giudice inglese, pertanto, la nozione di
impresa funzionale al diritto comunitario della concorrenza
sarebbe più ampia rispetto a quella di diritto inglese di
“persona giuridica” o corporate entity40: essa comprenderebbe
tutte le imprese all’interno del gruppo che abbiano in qualche
modo entered to, participated in, o implemented gli accordi di
cartello, e vi sarebbero automaticamente incluse, in quanto
non avrebbero operato come entità funzionalmente separate
rispetto alla parent-company, non costituendo necessariamente
una prova di estraneità della subsidiary alla partecipazione del
cartello il fatto che la decisione della Commissione sia
indirizzata solo alla capogruppo. D’altronde, precisa il giudice,
la prova della c.d. concurrence of wills tra legal entities di un’
undertaking
non é necessaria ai fini dell’accertamento
dell’illecito, non avendo esse autonomia di pensiero (mind), di
azione, di volontà.
40
V. p. A section 2.2.8 Secondo la High Court “nel diritto inglese
l’identità separata delle società di capitali é riconosciuta e rispettata, pertanto la
conoscenza dell’illecito non viene automaticamente imputata all’altra. Diversamente, nel
diritto comunitario la flessibilità del concetto di undertaking differisce da quello di legal
entity: pertanto esso può abbracciare un numero di legal entities talmente vasto da far sì
che esse si comportino come una sola unità economica, e nessuna di esse agisca in
autonomia ed indipendenza”.
Pertanto, conclude il giudice, la mente e la volontà di
una legal entity é, ai fini dell’art 81, considerata come la mente e
la volontà di un’altra entity, non ricorrendo l’obbligo di dover
imputare la conoscenza o la volontà di un’entity all’altra,
essendo queste the same thing.
Inoltre, l’aver implementato il cartello, praticando, a valle,
prezzi delle vitamine sostanzialmente allineati a quelli della
propria parent-company (in ossequio a quello che é il naturale
sistema dei gruppi di imprese, ove, accanto agli interessi delle
singole subsidiaries, sussiste purtuttavia un interesse globale di
sovrastruttura, cui tendenzialmente le varie componenti si
armonizzano), senza avere contezza dell’accordo a monte,
costituirebbe, ai sensi del diritto inglese, violazione di uno
statutory duty41 che imporrebbe
a tutte le companies di
un’undertaking di non infrangere l’art 81 del Trattato.
Tale dovere giuridico, per il giudice inglese, sarebbe
fondato sul fatto che le obbligazioni imposte dall’art 81 del
Trattato sono direttamente applicabili in Inghilterra da e
contro persone giuridiche ai sensi della sezione 2(1) dell’
41
L’espressione statutory duty si riferisce propriamente ad un
dovere giuridico posto direttamente dalla legge (statute law), non già dal
diritto giurisprudenziale (common law).
European Communities Act del 1972 (ECA42), che prevede
una base legale per il riconoscimento di diritti e doveri effettivi
direttamente derivanti dalla disciplina comunitaria nel sistema
legale inglese; pertanto, una violazione di quell’obbligazione si
traduce automaticamente in violazione dello statutory duty, con
la conseguenza che i querelanti risultano titolari di un diritto di
azione per danni basato sulla semplice, oggettiva, prova della
violazione dello statutory duty da parte di qualsiasi soggetto
all’interno del gruppo, indipendentemente dalla sussistenza di
qualsivoglia
requisito
psicologico
di
consapevolezza,
conoscenza e volontà di implementazione del cartello.
Il suddetto principio, proclamato in un obiter dictum della
House of Lords nel caso Garden Cottage Foods Ltd vs Marketing
Board43, troverebbe ulteriore conforto nella decisione della
42 L’ ECA è la legge con la quale la Gran Bretagna ha aderito alla
Comunità Europea e che espressamente prevede la possibilità per il governo di
emanare norme regolamentari in attuazione di misure comunitarie.
43
Non già, pertanto, dalla CE, o dalla CGE. Garden Cottage Foods
Ltd vs Marketing Board [1984] 1 AC 130
Corte di Giustizia Europea nel caso Woodpulp44, entrambi
richiamati dal giudice inglese.
2.5
La nozione di gruppo di imprese nel diritto
comunitario
Il ragionamento del giudice inglese prende le mosse dalla
visione del
gruppo di imprese come undertaking unitaria,
nozione elaborata in seno alla Commissione e alla CGE, ed
entrata ormai a far parte dei principi del diritto comunitario.
44
Noto come il caso “Paste di Legno”, Ahlström Oy and Others v.
Commission of European Communities [1988] ECR 5193. Il caso riguardava un
cartello posto in essere da imprese produttrici di paste di legno localizzate
fuori dall’ UE; l’accordo di cartello includeva la fissazione dei prezzi per i
compratori nell’UE. Per tale ragione venne contestata la competenza
giurisdizionale della CGE, precisando che i presunti illeciti si erano
verificati in territorio extra-europeo. La Corte, in quella circostanza, per
fondare la propria giurisdizione evitò di affrontare il tema degli effetti
dell’illecito, essendo tale teoria non ancora matura all’epoca dei fatti.
Tuttavia, essa si avvalse del concetto di implementation dell’accordo, proprio
per sottolineare il fatto che il cartello si era compiuto, realizzato e prodotto
nel mercato europeo (non già per affermare il tema della responsabilità
delle subsidiaries come interpretata dal giudice inglese nel caso Provimi). L’
escamotage di basarsi sulla fictio del quasi-territorial base, risulterà superfluo solo
dieci anni dopo, quando con il celeberrimo caso Genkor (cartello sui
diamanti), le esitazioni sulla teoria degli effetti saranno completamente
superate; Genkor Ltd v. Commission of the European Communities ( T 102/96,
Court of First Instance, 25 March 1999).
Nel caso Provimi, pertanto, la High Court assume di
aver applicato sic et simpliciter, il suddetto consolidato principio
all’azione privata per il risarcimento del danno antitrust.
Tuttavia, l’insegnamento che la High Court sembra aver
tratto dalla suddetta decisione, pare discostarsi dalla ratio del
principio in parola, per approdare a conclusioni inedite,
tutt’altro che conformate a consolidati precedenti.
Per comprendere le ragioni di fondo sottese ad un
simile giudizio, occorre in via preliminare, riprendere le fila del
discorso iniziando dall’analisi della decisione sul cartello delle
vitamine, che ha visto la Commissione sanzionare solo la
Aventis SA pur avendo essa agito con la società controllata, la
RPAN (in seguito AAN).
La Commissione in questa circostanza avrebbe ancora una
volta fatto ricorso al concetto di impresa proprio del diritto
comunitario, in ossequio al quale, per individuare il soggetto
destinatario della disciplina in parola, non occorre rifarsi a
nozioni giuridiche formali quali quella della personalità
giuridica, quanto piuttosto ad elementi sostanziali, primo fra
tutti l’indipendenza economica.
Com’è noto, infatti, l’impresa nella visione delle Istituzioni
comunitarie, consta di qualsiasi entità impegnata in attività
commerciali45, mentre un gruppo di imprese, contrariamente
al c.d. conspiracy intraenterprise doctrine46, viene visto come
un’impresa unica composta dalla somma di controllate e capogruppo, ove quest’ultima risponde in solido insieme a quelle,
determinate,
figlie,
responsabili
di
comportamenti
anticoncorrenziali, per la mera sussistenza di elementi tali da
far supporre un’influenza dominante della capo-gruppo su di
45 CE, Polipropilene, GUCE 88, L 230.
46 I sostenitori di questo orientamento, molto seguito in passato
dalle corti statunitensi, ritengono che ad imprese giuridicamente distinte sul
piano del diritto commerciale, anche se sottoposte al medesimo controllo,
corrispondono altrettante distinte e separate imprese sul piano del diritto
della concorrenza; la conseguenza che ne deriva è che gli eventuali accordi
intragruppo sono considerati illeciti antitrust; <<una restrizione irragionevole
del commercio tra gli Stati può derivare tanto da un accordo tra affiliato o integrato sotto
una medesima proprietà, quanto da intese tra imprese indipendenti.
Le relazioni societarie reciproche tra le parti di un’impresa sono irrilevanti ai
fini dell’applicabilità dello Sherman Act>>, così la Corte Suprema statunitense
nel caso United States vs Yellow Cab Co., 332 US (1947). Tale orientamento,
com’è evidente, é stato generatore di forte scettiscismo e disincentivo nei
confronti dell’adozione della struttura di gruppo, e per tale motivo é stato
superato negli anni ottanta con la sentenza Copperweld v. Independence Tube
Corp., 467 US 752 (1984) . In pieno clima Reaganiano, dominato dalle
influenze della Scuola di Chicago e indubbiamente a favore delle grandi
imprese, la Corte Suprema ha elaborato per la prima volta la teoria
dell’unità dell’impresa, affermando altresì che tra gli obiettivi del diritto
antitrust rientrano non solo i divieti di comportamenti anticompetitivi, ma
anche quelli di stimolare ed incentivare la cooperazione all’interno sia
dell’impresa che dei gruppi. La teoria dell’unità economica è oggi indiscussa
negli Usa nei casi in cui vi sia controllo azionario del 100% , mentre per i
casi ove tale circostanza non si verifichi non vi è ancora unità di vedute in
giurisprudenza su quale sia la soglia di partecipazione azionaria al di sotto
della quale le imprese consorelle dovrebbero esser considerate separate
legal entites in concorrenza tra loro, o ancora, se basti verificare se la natura
del controllo, indipendentemente dal computo delle azioni, sia tale da
influenzare l’attività di un’impresa (es: maggioranza dei diritti di voto).
esse, al punto da privarle della propria autonomia decisionale e
di indirizzo47.
47 Le prime importanti applicazioni del principio dell’unità
economica si trovano nella sentenza CGE 25-11-71 Beguelin Import vs GL
Import Export SA causa 22/71. La Beguelin Import Co belga controllava al
100% la Beguelin francese e aveva stipulato con un’impresa giapponese un
contratto di importazione esclusiva di accendini per Francia e Belgio; il
contratto di esclusiva era stato quindi trasferito alla B.Co. francese, e
identico diritto di esclusiva era stato concesso, per la Germania, ad un’altra
controllata tedesca. Quando in seguito le convenute in giudizio eccepirono
la nullità del contratto di esclusiva per violazione della disciplina antitrust,
la Corte precisò che la decisione dell’impresa madre, concessionaria
esclusiva di vendita per due Stati membri, di cedere ad una sua sussidiaria
l’esclusiva in un altro Stato membro non integrava una violazione della
disciplina antitrust in materia di intese << se il diritto di esclusiva de facto viene
parzialmente trasferito da una società madre ad una figlia, che detiene si autonoma
personalità giuridica, ma non possiede alcuna autonomia economica>>. Anche in
questo caso la Corte ha omesso di chiarire se intese intragruppo
produttive di effetti esterni alle parti siano anticoncorrenziali o meno;
qualche anno più tardi, la Corte si è mostrata maggiormente precisa sul
punto in occasione delle sentenze Centrafarn, CGE 31-10-1974 Centrafarm
B.V. e Adrian De Peijper v. Sterling Drug Inc., C-15/74, e Centrafarm B.V. e
Adrian De Peijper v. Winthrop B.V., C-16/74, in Racc., 1974, 1147 ss. e in Riv.
Dir. Ind., 1975, II, 354 ss. con nota di Ricolfi.
La società americana Sterling possedeva direttamente alcuni
brevetti in tutta la CE, mentre alcuni brevetti erano rispettivamente
detenuti in UK e in Olanda da due sue controllate al 100%. Quando una
società olandese, la Centrafarn, acquistò direttamente dall’impresa inglese e
tedesca i prodotti importandoli in Olanda, immediatamente si vide citata in
giudizio dall’ americana Sterling, la quale a sua volta eccepiva
l’anticoncorrenzialità degli accordi predetti, poichè restringevano la libertà
d’azione dei terzi operatori del mercato. La Corte sul punto ha dichiarato
che il divieto di cui all’art 81 non risultava applicabile agli <<accordi o
pratiche concordate tra imprese appartenenti allo stesso gruppo, come società madre e
affiliata, qualora esse costituiscano un’unità economica nell’ambito della quale l’affiliata
non goda di effettiva autonomia nella determinazione del proprio comportamento sul
mercato, e gli accordi o pratiche di cui trattasi abbiano solamente lo scopo di una
ripartizione dei compiti all’interno del gruppo>> . La ripartizione dei compiti era
considerata quindi dalla Corte una condizione necessaria ed essenziale
affinchè il gruppo potesse essere considerato un’unicum agli effetti del
diritto antitrust. Caso analago si è presentato in Hydroterm vs Compact, CGE
12-7-1984, causa 170/83, circa un accordo di distribuzione stipulato tra
Hidroterm e due società controllate da Hidroterm, che ne invocava
l’invalidità.
La Corte anche in tale circostanza ha rigettato la richiesta sulla base
della teoria dell’impresa unica.
Il principio dell’unità economica non è contenuto
espressamente nelle fonti scritte di diritto comunitario; su
questo punto,
l’ordinamento stesso, guidato da finalità
prevalentemente economiche48, ha ricalcato il modello degli
Stati membri49, in cui vige una certa indeterminatezza sul
punto50 .
Esso pertanto è il frutto di un’evoluzione ermeneutica
iniziata 40 anni or sono circa.
Inizialmente, in ambito C.E.C.A. le Istituzioni comunitarie
hanno dapprima ritenuto che l’ impresa consistesse << in un
complesso unitario di elementi personali, materiali e immateriali facente capo ad un
soggetto giuridico autonomo e diretto in modo durevole al perseguimento di un
determinato scopo economico. Secondo questa definizione, la creazione in campo
economico di un nuovo soggetto giuridico implica sempre il sorgere di un’impresa
autonoma ; il carattere unitario di una determinata attività economica non ha infatti
alcun rilievo sul piano giuridico qualora gli effetti di tale attività vadano di volta in volta
ricollegati a vari soggetti giuridici. L’ordinamento giuridico attribuisce ad ogni nuovo
48
Cfr sul punto A. Spadafora, La nozione di impresa nel diritto
comunitario, Giustizia Civile II, 1990; Schiano Di Pepe, Impresa (diritto
comunitario), Nss.D.I., Appendice,IV, Torino, 1983, 5.
49
L’Unterhnehem tedesco, ad esempio, sussiste ogni qualvolta si
ravvisino determinati elementi qualificanti una qualsivoglia organizzazione
economica .
soggetto per il semplice fatto che esso è sorto, autonomia formale e responsabilità
personale di guida che, insieme alla personalità giuridica, ciascuna società affiliata si è
vista attribuire dall’ordinamento giuridico la facoltà di dirigere la propria attività e
l’obbligo di sopportare il rischio a questa inerente51>>.
Era questa l’originaria nozione c.d. giuridico-formale di
impresa, la quale, tuttavia, in seguito è stata circoscritta agli
effetti del determinato ambito cui era funzionale, riguardante un
particolare meccanismo finanziario52 (volto ad individuare il
soggetto tenuto al pagamento dei contributi di perequazione
del rottame in campo siderurgico), vedendosi pertanto negata
una valenza di ordine generale.
Analogamente, nel contesto antitrust, la nozione di
impresa ha assunto un significato funzionale alla diversa sedes
materiae in cui essa opera e ai diversi obiettivi che la disciplina è
atta a perseguire.
51
CGE, 13 luglio 1962 in cause riunite n. 17 e 20 del 1961,
Klockner-Werke AG, Hoesch AG c. Alta Autorità. Le due imprese ricorrenti,
parent-companies , chiedevano di essere esentate dai contributi di
perequazione per il fatto che le proprie sussidiarie non avevano mai goduto
di autonomia nell’esercizio dell’attività di impresa.
52
A.Spadafora, op. cit. pag 289.
In tale ambito, dopo alcune iniziali sentenze53 influenzate
dalle formulazioni elaborate nel settore C.E.C.A., con la
decisione della Commissione pronunciatasi sul caso ChristianiNielsen54 del 18 giugno 1969, si è imposto un nuovo indirizzo
53
V. Consten-Grundig, Governo della Repubblica Italiana c. Commissione
Cee, 13 luglio 1966 cause riunite n. 56 e 58 del 1964.
54Christiani
& Nielsen, 18 giugno 1969, GUCE L165, 5 luglio
1969 riguardante una richiesta di attestazione negativa
ex art 2 del
Regolamento 17/62 in merito agli accordi intercorsi tra una subsidiary e la
sua capogruppo, con cui le due raccordavano le proprie attività,
condividevano know-how e brevetti e compartimentavano i propri mercati di
vendita. In questa decisione la Commissione ha negato l’applicabilità
dell’art 81 (ex 85) del Trattato agli accordi di cartello posti in essere tra la
parent-company e la sua controllata, precisando che tale articolo << presuppone
che fra le imprese sussista una concorrenza che può venir ristretta, che questa condizione
non è necessariamente soddisfatta nei rapporti tra due imprese che svolgono la loro
attività nel medesimo settore, dalla semplice constatazione della personalità giuridica di
ciascuna di dette imprese; al riguardo è determinante sapere, in base agli elementi di
fatto, se sia possibile sul piano economico un’azione autonoma dell’affiliata rispetto alla
società madre>>. Per la Commissione la capogruppo aveva creato la figlia
invece di costituire delle semplici succursali prive di personalità giuridica, e
pertanto la ripartizione dei mercati tra le due sarebbe stata una << mera
ripartizione di compiti all’interno della stessa unità economica>>, che non avrebbe
quindi potuto alterare il gioco della concorrenza. Una siffatta spiegazione
tuttavia non teneva in considerazione il fatto che esistono delle differenze,
formali e non, tra filiale e figlia dotata di personalità giuridica e partecipata
al 100% dalla capogruppo. La conseguenza principale di questo cono
d’ombra é stata quella di aver generato incertezza sul se l’intesa intragruppo
fosse lecita per mancanza di pluralità di imprese, o, piuttosto perchè essa,
pur se posta in essere tra diverse imprese, non fosse idonea di per sé a
falsare la concorrenza tra le parti o verso terzi. Sul punto FrignaniWaelbroeck, European Competition Law, Ardsley,1999, p.152.
volto a squarciare in riferimento ai gruppi di imprese, il c.d.
“velo della personalità giuridica”, proprio del diritto
commerciale e tributario.
In seguito sono state, e sono tutt’oggi, numerose le
decisioni della Commissione e le sentenze della Corte di
Giustizia informate al principio dell’ unità economica del gruppo,
per cui :
<< ai fini dell’applicazione delle norme sulla concorrenza, l’unità d’azione
che si riscontra sul mercato tra l’impresa madre e le satelliti prevale sulla formale
separazione delle imprese, derivante dalla loro personalità giuridica distinta55>>, e
pertanto, << qualora l’affiliata non goda di reale autonomia nella determinazione
della propria linea di condotta, va ritenuto che i divieti sanciti dall’art 81 non si
applicano ai rapporti tra la stessa affiliata e la società madre, che insieme formano
un’unità economica56>>.
Ciò posto, se dalla suesposta teoria discende il vantaggio
per le holdings di non dover sottostare ai divieti (e alle relative
sanzioni) previsti dall’art 81 per gli accordi intragruppo, non
v’è chi non ne veda, nondimeno, il contrappeso sfavorevole,
ovvero
l’imputabilità
ad
una
parte
del
tutto,
dei
55 CGE 14-7-1972, Imperial Chemical Industries Ltd, (ICI, Materie
Coloranti), c. 48/69
56 Sentenza ICI, p. 665 n. 134
comportamenti anticoncorrenziali posti in essere da un’altra
parte.
Tornando ordunque al caso Provimi,
le argomentazioni
dedotte dalla High Court inglese assumono di rifarsi
esattamente alla dottrina dell’unità economica ai sensi del
diritto antitrust, confermata da ogni dove in ambito
comunitario.
A ben guardare, tuttavia, il caso Provimi presenta la
peculiarità,
del
tutto
originale,
di
aver
imputato
la
responsabilità per le condotte anticoncorrenziali poste in
essere da affiliate
non già solo “in senso verticale”, alla
capogruppo, bensì, ed è questa l’originalità, anche “in senso
orizzontale”, ad altre consorelle, che non sono state mai
destinatarie di decisioni, né, soprattutto, sono state oggetto di
investigazioni o accertamenti sull’effettiva implementazione
del cartello, tanto da parte della Commissione, quanto dal
giudice inglese stesso.
Da una concenzione di undertaking volta a consentire l’
imputazione alla capogruppo delle condotte della figlia,
giustificata dalla presunzione (peraltro sempre confutabile)
dell’ esistenza di elementi idonei a supporre la non completa
autonomia decisionale di quest’ultima, in quanto schiacciata
dall’influenza dominante (in taluni casi ingombrante) della madre,
con Provimi si è ora passati all’imputazione delle condotte
illecite di una figlia ad una sua consorella qualsiasi del gruppo.
In buona sostanza, per il giudice inglese nel caso in parola
sembra che sia sufficiente aver intrattenuto rapporti
commerciali con una subsidiary per richiedere a questa il
risarcimento di un presunto danno da illecito antitrust che
deriverebbe dal comportamento posto in essere, tuttavia, da
un’altra subsidiary, nei confronti di altri acquirenti, in un altro
Stato Membro, sulla stregua di un
mero nesso di
appartenenza alla stessa capogruppo.
Una tale interpretazione non trova conforto in alcun
precedente in Europa, come invece sembra aver dato ad
intendere la High Court.
Nel caso Stora57, ad esempio, il controllo del 100 % del
pacchetto azionario dell’affiliata da parte della capogruppo,
unitamente al non aver quest’ultima negato di poter influire in
modo determinante sulla politica commerciale della sua
controllata, ha comportato che non fosse essenziale
l’accertamento dell’effettivo esercizio del suddetto potere,
57 CGE 16-11-2000, Stora Kopparbergs AB vs Commissione c 286/98.
ritenuto pertanto presunto. Tuttavia, la Corte in quella sede ha
precisato che in ogni caso la capogruppo ricorrente avrebbe
ben potuto dimostrare il contrario, provando che le scelte
inerenti l’attività sul mercato interessato dal cartello erano state
assunte (nel caso di specie si trattava di cartoncino) in
autonomia58.
Nel caso HFB Holding Isoplus59 , la Corte richiamando le
precedenti Hydroterm e Ici , ha rievocato la nozione della
Commissione di gruppo di fatto per precisare come la formale
mancanza di una società madre dotata di personalità giuridica
non impedisca l’individuazone di uno o più soggetti
responsabili del coordinamento dell’azione di gruppo, cui
imputare in solido le infrazioni commesse dalle diverse società
che la compongono60.
Nella sentenza Avebe61, ancora, il Tribunale di Primo
Grado ha precisato che non è sufficiente limitarsi a constatare
che un’impresa può esercitare un’influenza determinante su di
58 P.9
59 Tribunale di Primo Grado, 20-03.2002 c T-9/99 avente ad
oggetto un’intesa nel mercato dei tubi preisolati.
60 P. 66.
61 Avebe BA vs Commissione , 27 settembre 2003, T-314/01.
un’altra impresa senza verificare se tale influenza sia poi stata
effettivamente esercitata62; spetta alla Commissione dimostrare
siffatta influenza determinante sulla base di un insieme di
elementi fattuali, tra cui, in particolare l’eventuale potere direttivo
di una impresa sull’altra, per poi concludere che le controllate
e le controllanti protagoniste del caso in esame, <<costituiscono
un’entità economica nel contesto della quale il comportameto trasgressivo della controllata
è imputabile alle sue società madri che ne sono responsabili per effetto del controllo
effettivo della sua politica commerciale>>63.
62 P. 136.
63 P.141.
Nella sentenza Vinho64del 1996, la Corte, superando la
dottrina Centrafarm65 (che richiedeva, ai fini dell’esclusione
degli accordi infragruppo dall’ambito di applicazione degll’art
81.1, il soddisfacimento di due condizioni: unità economica
ove l’affiliata non godessero di effettiva autonomia decisionale,
e che gli accordi o pratiche concordate, avessero lo scopo di
una ripartizione di compiti all’interno del gruppo), ha
affermato che per escludere gli accordi intragruppo dai divieti
di cui all’art 81.1 , è sufficiente la circostanza che le filiali non
64 Viho Europe BV v. Commissione delle Comunità europee, T-102/92,
in Racc., 1992, II, p. 17 ss., sulle proteste della Vinho, società distributrice di
prodotti di cancelleria, in seguito ai numerosi e infruttuosi precedenti
tentativi di stipulare con la Parker accordi a condizioni equipollenti a quelle
applicate alle subsidiaries e ai distributori indipendenti di quest’ultima,
asserendo che questa proibiva ai distributori e alle subsidiaries di esportare i
prodotti, oltre a ripartire il mercato comune e mantenere i prezzi nazionali
studiatamente elevati.
Il Tribunale, senza indicare nelle motivazioni il requisito della
mera ripartizione interna dei compiti, affermò che << l’art.81 del Trattato
riguarda unicamente i rapporti tra unità economiche in grado di entrare in concorrenza
l’una nei confronti dell’altra con esclusione perciò degli accordi e delle pratiche concordate
tra imprese appartenenti ad uno stesso gruppo che costituiscano un’unità economica>>,
il che si verificherebbe quando la controllante esercita effettivamente un
potere di direzione unitaria delle politiche del gruppo.
Interessante è inoltre la riflessione della Corte che in questa sede
ha dichiarato che, sebbene la circostanza in parola non renda applicabile
l’art.81.1, qualora le affiliate componenti il gruppo provochino restrizioni al
di fuori di esso, andando al di là della mera ripartizione dei compiti, questa
può essere analizzata alla luce della disciplina in tema di abuso di posizione
dominante ed eventualmente ricadere nella previsione dell’art 82.
65 Centrafarm B.V. e Adrian De Peijper v. Sterling Drug Inc., C-15/74,
e Centrafarm B.V. e Adrian De Peijper v. Winthrop B.V., C-16/74, 31 ottobre
1974, in Racc., 1974, 1147 ss. e in Riv. Dir. Ind., 1975, II, 354 ss. con nota di
Ricolfi.
godano di reale autonomia nelle determinazione della loro
linea di condotta sul mercato, bensì applichino le istruzioni
loro impartite dalla società madre66.
Nella recente sentenza del settembre 2009 sul caso Akzo
Nobel67, ancora una volta la Corte ha ritenuto lecito presumere
che una società controllata al 100% avesse applicato le
istruzioni impartitele dalla società controllante; pertanto,
prosegue la Corte, perché la Commissione sia tenuta a ritenere
responsabile soltanto una controllata, occorrerebbe che
quest’ultima determinasse la propria politica commerciale in
gran parte da sola; qualora, poi, quest’ultima circostanza
risultasse provata, spetterebbe nuovamente alla Commissione
provare, caso per caso, che la società controllante avesse
effettivamente esercitato un’influenza determinante68.
*************
66 Sent. Vinho,32.
67 CGE 10 settembre 2009, Akzo Nobel Bv vs Commissione, causa C-
97/08
68 P. 24.
La nozione di undertaking ai sensi dell’art. 81, emergente
dalle ormai storiche pronunce della Corte di Giustizia, non
nega pertanto la presenza al proprio interno di ulteriori entità
economiche (ciascuna delle quali consistente in un’organizzazione
unitaria di elementi personali, materiali e immateriali, miranti a
perseguire stabilmente un determinato fine di natura
economica) in grado di concorrere alla realizzazione di
un’infrazione prevista da tale disposizione69.
Tuttavia, la Corte non manca, e non ha mai mancato di
precisare che la considerazione dell’undertaking in senso
unitario è funzionale alla possibilità di riconoscere alla
Commissione il potere di adottare decisioni che impongano
sanzioni nei confronti della società controllante un gruppo70
per le violazioni poste in essere dalle proprie subsidiaries; ciò
vale a dire che attraverso il principio dell’unità economica
si è inteso riconoscere alla Commissione il vantaggio
dell’inversione dell’onere della prova in
presunzione
semplice
della
merito alla
responsabilità
della
69 P. 57, cfr con sentenza del Tribunale 20 -03-2002, causa T-9/99,
HFB e a./Commissione, p.54.
70 P. 58 cfr anche con sentenza del Tribunale del 30-9-2003,
causa T-203/01. Michelin /Commissione, p. 290.
capogruppo71, altrimenti estremamente difficoltosa, per aver
essa influenzato la condotta illecita di una sua affiliata, o
quantomeno, per aver mancato al suo dovere di vigilanza
nel rispetto della normativa antitrust.
Posto l’accento su quale sia lo scopo sotteso al principio
dell’unità economica, va da sé che il ricorso ad esso, perché
non si traduca in un abuso, debba avvenire all’interno del
perimetro da esso delineato.
Al contrario, nelle azioni da risarcimento dei danni per
illecito antitrust, l’utilizzo stirato di solo una parte della
nozione di undertaking ai sensi dell’art. 81.1, ignorandone i
presupposti di fondo, come pare essere avvenuto nel caso
Provimi, condurrebbe ad una serie di “presunzioni pericolose”
giuridicamente claudicanti ed arbitrarie; stando l’inadeguato
supporto delle comuni categorie necessarie perché si possa
utilmente invocare il risarcimento del danno antitrust, infatti,
verrebbero meno, innanzitutto, un comportamento, attivo od
omissivo, che preveda quanto meno la colpa del soggetto
responsabile di esser venuto meno all’osservanza delle norme
71 Soprattutto in quei casi in cui le controllanti detengano il 100%
del capitale delle controllate che abbiano posto in essere le condotte
illecite.
cautelari cui é giuridicamente tenuto, ed infine il nesso causale
tra danno e condotta.
Ora, se un siffatto fastello di elementi ben potrebbe
sussistere nei confronti della capogruppo, lo stesso non
sembra potersi affermare riferendosi ad una consorella
del tutto estranea alla vicenda, operante in altro Stato
membro e che non rivesta alcun ruolo direttivo né di indirizzo
nei confronti dell’impresa che abbia posto in essere una
condotta illecita.
2.6
Sulla seconda questione.
Ciò che ha permesso alle società Provimi, Trouw UK e
Trouw Germany di ottenere che fosse un giudice inglese a
conoscere dell’azione di risarcimento danni intentata nei
confronti di imprese non domiciliate in Gran Bretagna è
imputabile ad un’interpretazione particolare del regolamento
del Consiglio n. 44/2001 in tema di competenze giurisdizionali
in materia civile e commerciale.
Le disposizioni generali del regolamento infatti prevedono
che “le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro
sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di
tale Stato membro72”(art 2).
Stando alla lettera dell’articolo, ad esempio l’azione di
danno nei confronti della Aventis SA si sarebbe dovuta
celebrare innanzi al giudice francese.
Tuttavia, il regolamento prevede anche altre possibilità per
individuare la competenza in deroga al principio indicato
nell’art 2.
L’articolo 3 infatti stabilisce che “le persone domiciliate nel
territorio di uno Stato membro possono essere convenute davanti ai giudici
di un altro Stato membro solo in base alle norme enunciate nelle sezioni
da 2 a 7 del presente capo”.
Tra le varie competenze c.d. speciali, i ricorrenti e il giudice
inglese nel caso Provimi fanno espressamente riferimento a
quelle indicate nella sezione 2 l’articolo 5(3), espressione della
c.d. teoria degli effetti, per cui “in materia di illeciti civili dolosi o
colposi, davanti al giudice del luogo in cui l'evento dannoso è
avvenuto o può avvenire”, e l’articolo 6(1), di cui si riporta
testo di seguito:
Articolo 6
72 Capo II, Sezione 1, Articolo 2 comma 1
La persona di cui all'articolo precedente può inoltre essere
convenuta:
1)
in caso di pluralità di convenuti, davanti al giudice del luogo in
cui uno qualsiasi di essi è domiciliato, sempre che tra le domande
esista un nesso così stretto da rendere opportuna una trattazione
unica ed una decisione unica onde evitare il rischio, sussistente in
caso di trattazione separata, di giungere a decisioni incompatibili;
La competenza del giudice inglese a conoscere della causa
sarebbe derivata pertanto da una serie di ragioni: per la teoria
degli effetti, l’essere la Provimi UK e la Trouw UK imprese di
nazionalità britannica, è motivo sufficiente a dimostrare che
l’evento dannoso si sia verificato in tale sede geografica, per
aver esse acquistato vitamine dalle subsidiaries convenute, ad un
prezzo più alto di quanto non avrebbero pagato se queste
ultime non avessero implementato il cartello.
E’ il c.d. “ Empagran but for cartel test73”, di paternità
statunitense, ad essere pertanto recepito anche in Europa,
73 Empagran, S.A. v. F. Hoffman-La Roche Ltd, 2001. Il caso ha
visto protagoniste alcune imprese non statunitensi (tra cui la Empagran) le
quali avevano acquistato le vitamine al di fuori del territorio statunitense,
da imprese non statunitensi, subendo un danno che si era verificato fuori
dal territorio americano e che, purtuttavia, chiedevano di instaurare un
giudizio proprio presso le corti statunitensi in considerazione del fatto che
privato, tuttavia, del suo momento più essenziale, quale quello
dei riscontri econometrici effettivi, ritenuti superflui: se tutte le
entities costituiscono l’undertaking,
per ciò solo, esse sono
direttamente “infringers”.
Ancora, la medesima competenza della High Court sul
caso in esame discenderebbe, inoltre, per ragioni di
connessione, dall’art.6, interpretato nel senso di riconoscere,
ad esempio, la possibilità di “agganciare” ad un giudizio
“regolarmente” pendente in UK tra le parti X e Y,
un
<<gli effetti anticompetititivi della condotta interna statunitense erano strettamente
collegati al danno estero>>, nonché da un’interpretazione estensiva del Foreign
Trade Antitrust Improvements Act (FTAIA) nella parte in cui pur stabilendo
che lo Sherman Act <<non si applica a comportamenti che ledono significativamente
le importazioni, il commercio interno o gli esportatori americani (...) consente di
instaurare una causa in Usa contro quei comportamenti che ledono significativamente le
importazioni, il commercio interno o gli esportatori americani (...) >> é stato inteso
dalla Corte d’Appello Usa nel senso che nel caso in cui l’attore abbia patito
un danno in uno Stato non Usa e tale danno sia stato determinato
dall’attività straniera>>. Alla base della motivazione vi era anche la
<<preoccupazione in merito all’incertezza sull’applicazione delle sanzioni antitrust da
parte degli altri Paesi>>, e, probabilmente imporre una politica di overdeterrence
in cui le corti americane avrebbero potuto espandere la propria
competenza a livello
innumerevoli
attori
mondiale e
che
attratti
dai
conoscere cause antitrust di
danni
punitivi
riconosciuti
dall’ordinamento Usa, non avrebbero esitato ad accorrere. Sebbene nel
2004 la Corte Suprema abbia riformato in parte la decisione della Corte
d’Appello, la nuova e rivoluzionaria teoria, da questa inaugurata, non é
stata rinnegata per la sua contrarietà ai principi insiti nelle tradizionali
regole sulla giurisdizione internazionale, che rischiano, pertanto, di subire
in futuro un cambiamento radicale.
ulteriore giudizio, tra J e K, di cui nessuna delle due risulti
domiciliata in UK, e dove pertanto neanche la teoria degli
effetti potrebbe trovare applicazione.
Certo, il meccanismo previsto dall’art 6 è consentito
nell’eventualità in cui i contenuti discussi nei vari giudizi siano
talmente contigui tra loro da ritenerne inopportuna un’
eventuale trattazione in sedi giudiziarie
geograficamente
diverse (in ogni caso consentita).
A ben guardare, tuttavia, dal confronto tra
un’attenta lettura dell’art.6 e l’interpretazione resa dal giudice
inglese, non sembra, anche in questo caso, averne questi sic et
simpliciter applicato le disposizioni: va infatti innanzitutto
osservato come l’ art.6 consideri l’ipotesi di una pluralità di
convenuti; ciò sembrerebbe significare che la deroga per
ragioni di connessione al generale principio del domicilio del
convenuto (e in subordine, a quello del locus ove si è
manifestato l’illecito), sarebbe ammissibile solo in riferimento
a ipotesi residuali di c.d. connessione soggettiva propria di
tipo passivo: azioni indirizzate nei confronti di una pluralità di
imprese domiciliate in diversi Stati membri che abbiano dato
attuazione al medesimo illecito (identità di petitum e causa
petendi)
ai danni di una determinata impresa, (la quale,
diversamente, sarebbe costretta a intraprendere nei confronti
di ognuna di esse un diverso procedimento in ciascun Stato
membro) e, in ogni caso, per sole esigenze nomofilattiche di
“economia di sforzo intellettuale”: vale a dire che la decisione
delle diverse cause presuppone la risoluzione di identiche
questioni di diritto, tanto da ritenerne opportuna la riunione
al fine di evitare che identiche questioni giuridiche siano risolte
in modo difforme.
Rebus sic stantibus, non si vede allora come le
suesposte condizioni siano invocabili nel caso Provimi, laddove
non si ha la prova che le società abbiano dato attuazione al
medesimo illecito ma dove i giudici
avrebbero dovuto
riscontrare un’effettiva implementazione del cartello da parte
delle singole imprese sellers nei rispettivi mercati geografici di
riferimento a danno dei propri compratori, nonchè la prova
per la sussistenza di danno e colpa imputabili direttamente alle
subsidiaries, attraverso opportune ricostruzioni ed indagini
econometriche e non semplicemente presumendo che i prezzi
da esse praticati non fossero altrimenti giustificabili se non in
virtù di un’adesione consapevole e volontaria al cartello posto
in essere dalle rispettive capogruppo74.
Alla luce di quanto asserito, ai numerosi dubbi
interpretativi elaborati sul private enforcement per il risarcimento
del
danno
antitrust
si
aggiungono
quelli
di
natura
procedimentale derivanti da esperimenti in laboratorio,
attraverso la combinazione di diversi nozionismi tra loro o/e
parti di questi, al mero fine di creare un comun denominatore
di sintesi valevole a spostare la competenza del giudice del
luogo del domicilio del convenuto, a quella del giudice del
luogo ove la legislazione in materia risulti estremamente
favorevole alla parte attrice (in Europa é indubbiamente l’UK),
principalmente per il riconoscimento dei c.d. punitive damages75e
per le rigide regole vigenti in tema di disclosure-discovery
applicabili alle parti convenute.
Vedremo a breve come un siffatto approccio, qualora
fosse confermato anche in futuro, rischi di provocare
74 Il principio richiamato é il medesimo che si applica in tema di
pratiche concordate, la fattispecie probabilmente più affine alla posizione
delle subsidiaries citate in giudizio nel caso Provimi.
75 L’istituto dei danni punitivi ha origini statunitensi; la section 4
del Clayton Act recita << any person who shall be injured in his business or
property by reason of anything foribidden in the antitrust laws may sue thereofore in any
district court of the United States and shall recover threefold the damages by him
conseguenze
che
potrebbero
impattare
sul
contesto
economico europeo generale provocando gravi inefficienze,
potendo verosimilmente costituire un freno all’espansionismo
verso nuovi mercati da parte delle imprese, le quali, al
contrario, potrebbero ben decidere di non entrarvi del tutto, o
uscirne.
Le
Istituzioni
opportunamente
Comunitarie
considerare,
dovrebbero
qualora
nel
allora
bilancio
costi/benefici intendessero dare priorità assoluta al parametro
della deterrenza, le problematiche legate al rischio di
responsabilità sostanzialmente oggettiva76 cui qualsiasi impresa
facente parte di un gruppo si troverebbe esposta, laddove il
principio sancito dal caso in esame dovesse essere recepito da
altri giudici nazionali o avallato dalle Istituzioni Europee,
potendo questa ben essere condannata al pagamento di un
danno per un’intesa posta in essere da un’altra impresa; se a
ciò si aggiunge la possibilità per la parte attrice di speculare
grazie al forum shopping e ai danni punitivi, sulla cui contrarietà
sustained, and the cost of suit, including a reasonable attorney’s fee>>. In UK i danni
punitivi sono anche conosciuti come “exemplary damages”.
all’ordine pubblico si discute in Italia77,
lo scenario pare
eccessivamente sbilanciato, in nome di un garantismo
meramente funzionale agli obiettivi di deterrenza e di
disvelamento delle intese78.
Le ricadute di un siffatto sistema sull’ordinamento italiano
sarebbero infatti notevoli.
Nonostante il Libro Bianco Commissione 200879, senza
celare il proprio favor per una responsabilità fondata sulla
colpa, abbia lasciato liberi gli Stati Membri di adottare sistemi
più rigidi, quali appunto la c.d. responsabilità oggettiva “pura”,
l’impianto strutturale della responsabilità in Italia crea non
77 A. Riccio, I Danni Punitivi non sono, dunque, in contrasto con l’ordine
pubblico interno, in Contratto e Impresa 4-5 2009 Cedam. Nell’interessante
articolo l’autore ripercorre i tratti salienti del recente orientamento
giurisprudenziale che negherebbe la costruzione dei danni punitivi come un
ingiustificato arricchimento, per la funzione compensativa-deterrente che li
caratterizzerebbe.
78 Una panoramica interessante sul tema é rinvenibile in F.
Denozza e L. Toffoletti, Funzione Compensatoria ed effetti deterrenti dell’azione
privata, in cui vengono richiamate le teorie di R. Posner, Antitrust law,
(2001) (II ed) , H.Hovenkamp in Federal Antitrust Policy- The Law of
Competition and its Practice, St Paul Minn., (1999) e W.M. Landes, Optimal
Sanctions for Antitrust Violations, autore insieme a R.Posner di The Private
Enforcement of Law, in The Journal of Legal Studies (1975). Altri due grandi
teorici della materia, decisamente pro- overdeterrence sono G. Becker e G.
Stigler, Law enforcement, Malfeasance and Compensation of Enforcers, in Journal of
Legal Studies (1974).
79 p. 7 e parr 173 e ss.
pochi problemi di raccordo con le prospettazioni della
Commissione.
Com’è
noto, l’ordinamento italiano è informato al
principio generale <<nessuna responsabilità senza colpa>>,
tutelato anche a livello costituzionale, cui farebbero eccezione
solo una serie di ipotesi, specificatamente individuate dalla
legge. Tali ipotesi sono ritenute da una parte della dottrina
riconducibili in ogni caso alla colpa, attraverso un meccanismo
di imputazione basato su di una responsabilità colposa ex ante :
in eligendo, in vigilando etc80.
80 Molto suggestive, sono poi la teorie che si rifanno al rischio, o/e
alla capacità economica a sopportare il danno, che P. Trimarchi, nel suo celebre
Rischio e responsabilità oggettiva del 1961 circoscriveva al fenomeno
dell’impresa, in considerazione del fatto che la qualità di imprenditore e di
proprietario sarebbero, di regola, indici di una certa capacità economica e
ciò basterebbe per ritenere da questi sopportabile quel sacrificio che invece
sarebbe troppo gravoso se lasciato a carico del danneggiato: responsabilità
oggettiva come ulteriore componente del rischio imprenditoriale. Tuttavia
è appena il caso di notare come una simile argomentazione, se da un lato
può essere giustificato in riferimento alla responsabilità delle imprese nei
loro rapporti con il consumatore-cliente, parte contrattuale “debole”,
dall’altro risulta di difficile comprensione se riferito ai rapporti tra imprese
concorrenti tra loro, o tra imprese venditrici-clienti, ove il rapporto delle
rispettive forze contrattuali è assai meno sbilanciato. A ben vedere,
tuttavia, anche nelle teorie del rischio più dogmatiche in realtà è sempre
possibile rintracciare un nesso causale tra condotta e danno, per quanto in
sede processuale la prova richiesta a dimostrarne la sussistenza sia poi
ridotta, poiché, in ogni caso, presupposto irrinunciabile da cui si deve
muovere, non potrebbe non essere costituito dall’ imputabilità della
condotta a quell’impresa nel cui raggio d’azione la condotta stessa è
suscettibile di essere tanto consumata, quanto evitata. In tal senso allora si
giustifica la responsabilità “oggettiva” della capogruppo per gli illeciti delle
sue controllate, posto che parte considerevole dell’area di queste ultime è
ricompresa in quella della prima, immediatamente e direttamente
sovraordinata alle sussidiarie, in senso verticale. Lo stesso invece non
potrebbe affatto sostenersi in riferimento ad ipotesi simili a quella
riscontrabile nel caso Provimi, ove la responsabilità oggettiva per le
A ben guardare, tuttavia,
sembrerebbe
venir
meno
l’ordinamento italiano non
al
principio
<<
nessuna
responsabilità senza colpa>> poichè in ciascuna delle ipotesi
di responsabilità c.d. oggettiva (e salvo alcune particolarissime
ed estremamente severe ipotesi, quali ad esempio la
responsabilità degli armatori di navi, o del proprietario di
aereomobili art 965 e 978 cod. Nav., o ancora la responsabilità
dell’esercente di attività nucleare, introdotta dalla L. 1860 del
‘62), risulterebbe presente un collegamento ad una particolare
circostanza subordinata all’osservanza di una norma cautelare.
Ciò dimostrerebbe, allora, come l’ordinamento italiano
consideri aberrante un’ ipotesi di responsabilità oggettiva pura,
quale sarebbe quella di un’impresa consorella per le attività
poste in essere da un’altra impresa su cui essa non avrebbe
alcun potere di direzione e coordinamento.
Una siffatta ricostruzione dell’istituto non pare rispettosa
dell’ordine pubblico interno italiano, colpendo valori e principi
condotte di una o più consorelle sarebbe imputata ad altre imprese
consorelle, le cui rispettive aree d’azione non sono sovrapponibili neppure
in minima parte, stando la sostanziale parità di posizione occupata
all’interno della piramide gerarchica del gruppo. Da ciò discende,
ovviamente, l’incapacità di ciascuna di esse di condizionare, influenzare le
condotte delle altre, nonché l’inutilità, o per meglio dire impossibilità, di
adottare qualsivoglia norma di tipo cautelare finalizzata a prevenire gli
illeciti eventualmente posti in essere da queste, stante l’assenza totale di
poteri di controllo ed indirizzo in seno alle consorelle.
che il nostro ordinamento ha ritenuto di tutelare a livello
primario.
La conseguenza che ne deriverebbe sarebbe allora (o
quantomeno dovrebbe essere) il divieto per i giudici nazionali
di dare esecuzione ad una sentenza straniera con quel
contenuto perchè contraria ai principi di ordine pubblico (art
34 Reg. 44/01) ; ciò anche alla luce della Convenzione
Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle
Libertà Fondamentali, e del Reg 1/2003 nella parte in cui
riconoscono il diritto inviolabile di difesa.
Sebbene infatti non si impedisca al convenuto di fornire le
prove contrarie a propria discolpa,
il principio di difesa
sarebbe purtuttavia leso qualora, attraverso il meccanismo
derogatorio all’art 2 del regolamento 44/01, si privasse il
convenuto del suo giudice naturale per trascinarlo in una sede
giurisdizionale ove vigono regole processuali e sanzioni
pecuniarie e/o penali a questi maggiormente sfavorevoli.
L’applicazione di una metodologia valutativa del danno,
supportata da opportuni riscontri di analisi economica atti a
ricostruire i c.d. “scenari alternativi” cui confrontare, caso per
caso, il sistema presuntivamente violativo della disciplina
antitrust (dai semplici before and after, yardstick, benchmark81, a
quelli più elaborati, basati sull’analisi dei costi82 o dei prezzi
83),
sembra ancora una volta l’unica via percorribile per
verificare quando e se in concreto una sussidiaria abbia
effettivamente implementato un cartello posto in essere da
una sua consorella e/o dalla capogruppo .
Ancora e diversamente, il ricorso a categorie formali quali
la nozione di “undertaking” combinata ai principi derogatori in
tema di giurisdizione ai sensi del regolamento 44/01,
81 Before and after theory é un modello molto semplice che si basa
sulla semplice comparazione storica del livello dei prezzi durante la
condotta illecita con il livello dei prezzi sia prima che dopo il
comportamento anticoncorrenziale, consentendo di fare delle previsioni su
quale sarebbe stato il prezzo in assenza della violazione. La yardstick theory
confronta il livello dei prezzi all’interno del mercato in cui è stata posta in
essere la violazione e il livello di prezzi all’interno di altri mercati simili ma
non colpiti dall’illecito. La benchmark market theory invece prende in
considerazione un mercato di riferimento con le medesime caratteristiche
concorrenziali del mercato su cui è stato posto in essere l’illecito. V. L.
Prosperetti, Prova e valutazione del danno antitrust, una prospettiva economica,
Mercato Concorrenza Regole n.3 2008 cr con S. Frova e A. NicitaLa
Piramide Rovesciata, in Mercato Concorrenza e Regole, n. 3/2008.
82 C.d. cost-based approach, con cui si ricostruisce il prezzo
concorrenziale sulla scorta dei costi unitari medi di produzione, maggiorati
del margine di profitto considerato adeguato ad un contesto
concorrenziale.
83 C.d. price prediction e theoretic modelling or simulation approach.,
orientate a prevedere il livello dei prezzi ricavato dalla combinazione di una
serie di variabili dipendenti e indipendenti come la domanda e l’offerta. S.
Batianon, Il risarcimento del danno antitrust tra esigenze di giustizia e problemi di
efficienza. Prime riflessioni sul libro verde della Commissione, in Mercato
concorrenza regole, 2006.
strumentalizzati all’attuazione di un sistema di overdeterrence,
non sembra tener sufficientemente conto delle presagibili
conseguenze che ne deriverebbero: profondo scetticismo e
diffidenza delle imprese nell’organizzarsi in gruppi, nonché
abbandono o rinuncia a penetrare il mercato in alcuni paesi, a
tutto danno di un sano funzionamento del sistema
concorrenziale.
Com’è noto, infatti, le imprese di notevoli dimensioni che
intendono espandersi ulteriormente esportando la propria
attività commerciale al di fuori dei confini del paese d’origine,
hanno facoltà di scegliere, sostanzialmente, tra due opzioni
alternative: aprire una serie di branch offices, ovverosia degli
uffici, o agenzie, la cui proprietà e ragione sociale sono
totalmente riferite alla sede principale (la c.d. head office),
oppure costituire delle imprese “nuove”, che, seppur soggette
alla loro direzione e coordinamento,
sono tuttavia
giuridicamente (ed economicamente) distinte dalla parent
company.
Le differenze non sono di poco conto, se si considera che
nell’un caso non è tracciabile alcun tipo di limite nella
responsabilità dell’head office per gli atti posti in essere dalle
proprie agenzie (il che induce, comprensibilmente, a
valutazioni estremamente caute, se non frenate, nella decisione
di aprirne di nuove, soprattutto all’estero), contrariamente a
quanto accade invece nella disciplina dei gruppi, la cui essenza
e vera ragion d’essere consiste proprio nella possibilità,
accordata dal legislatore, di circoscrivere la responsabilità delle
imprese controllate ed evitare che essa automaticamente si
riversi de plano in capo alla controllante (e, a fortiori, alle altre
consorelle), purchè naturalmente non si tratti di un caso in cui
l’influenza dominante della capogruppo si traduca in
“violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e
imprenditoriale delle società medesime”, come recita ad
esempio l’art 2497 del codice civile italiano.
Sul punto, è evidente come la possibilità di organizzarsi in
gruppi costituisca un valido incentivo per le grandi imprese
che attraverso tale strumento possono riuscire a penetrare
efficacemente un numero sempre più elevato di mercati,
contribuendo a loro volta a generare nuovi e continui flussi
dinamici nel sistema concorrenziale nei contesti più disparati, a
tutto beneficio del consumer welfare.
Se quanto detto è vero, non v’è chi non veda, allora, come
l’interpretazione del giudice inglese nel caso Provimi rischi di
svuotare la disciplina dei gruppi d’imprese del proprio
contenuto più essenziale, poiché, di fatto, l’esposizione al
rischio di essere chiamati a rispondere degli illeciti posti in
essere da una subsidiary non già solo della capogruppo, ma
addirittura delle consorelle, non differirebbe in nulla dal tipo di
esposizione cui sarebbe normalmente sottoposta la sede
principale, o head office, rispetto agli atti posti in essere dalle
proprie branch offices, posto che tra le due tipologie di offices, non
vige il principio di separatezza, che al contrario costituisce
l’asse portante nella disciplina dei gruppi; tali gruppi, qualora
dovesse darsi sèguito all’interpretrazione del giudice inglese
nel caso Provimi, indubbiamente muterebbero in maniera
considerevole le proprie strategie di espansione in un’ottica
peraltro inefficiente, a fronte del fatto che il perseguimento del
benessere, obiettivo dichiarato primario del diritto della
concorrenza, ne risulterebbe sensibilmente compromesso.
A ben vedere, anche l’overdeterrence si propone di perseguire
il raggiungimento dell’efficienza in termini di benessere
sociale.
Tuttavia pare alla scrivente che l’ottica da cui muove un
siffatto ragionamento sia profondamente miope, poiché
circoscrive l’analisi degli effetti al breve periodo, senza
sforzarsi di considerarne i limiti indefettibili, e senza oltretutto
considerare che nella accezione di “consumatore” rientrano
anche quei creditori delle imprese consorelle non partecipanti
al cartello, il cui affidamento (sul bilancio della subsidiary) non
sarebbe correttamente tutelato se si pretendesse che questi
siano potenzialmente ed economicamente esposti alle
conseguenze derivanti da sanzioni pecuniarie per gli illeciti
antitrust posti in essere da altre imprese, di cui essi non sono
creditori, il che francamente pare paradossale, se si considera
oltretutto l’eventualità che i creditori di queste ultime, invece,
potrebbero non patire le conseguenze di un’ azione di
risarcimento, traendo un vantaggio considerevole scaricando
su altri le proprie responsabilità (c.d. free riding).
Infine è appena il caso di sottolineare come un sistema
talmente inclemente non sembri, a ben vedere, neanche
rispondere in maniera efficiente alle esigenze di deterrenza
proclamate dalla Commissione nel Libro Bianco, posto che lo
scopo della deterrenza é quello di influenzare, attraverso la
minaccia di pesanti sanzioni, i comportamenti dei soggetti
destinatari affinchè essi adottino spontaneamente tutte le misure
e le decisioni necessarie e possibili ad evitare la violazione della
normativa.
Pressupposto di fondo di ciò è che le decisioni in parola
rientrino nella sfera dei poteri attribuiti ai soggetti destinatari;
se ciò é vero, non si comprende allora come una siffatta
pressione possa essere efficacemente esercitata su di una
subsidiary che non dispone di alcun potere di incidere sulla
direzione e sul coordinamento della propria consorella,
risultando pertanto per sua natura insensibile e areattiva a
qualsivoglia stimolazione, per quanto si dichiari informata alla
fenomenologia della deterrenza.
Invero, una siffatta impostazione, piuttosto indifferente a
valutazioni che andassero oltre nozionismi formalistici e poco
avvezza all’analisi dell’impatto economico e giuridico nel lungo
periodo sui sistemi giuridici degli Stati membri, ha dominato
per decenni lo scenario europeo, avendo dimostrato
Commissione e Corte di Giustizia in svariate occasioni di
prediligerla alla metodologia interpretativa seguita dall’altra
sponda nell’Atlantico, guidata dal principio della “rule of
reason”.
Tuttavia, in epoca recente, soprattutto in riferimento all’art
82 del Trattato, é stato possibile osservare come le Istituzioni
Comunitarie abbiano temperato le spigolose posizioni del
passato per tendere verso l’accoglimento dei principi (seppur
con
qualche
battuta
prioritariamente la
d’arresto84)
che
perseguono
tutela della concorrenza, non già dei
concorrenti85. In tema di intese in riferimento alla misura della
responsabilità delle consorelle legal entities di una holding, ad oggi
non é ancora stata sollevata una questione pregiudiziale che
abbia dato modo alla Corte di Giustizia di chiarirne limiti e
configurazione.
Alla luce dello studio condotto, personalmente si ritiene
che
un
approccio
diverso,
di tipo
giuseconomico,
maggiormente attento alle ricadute di una determinata
disciplina
della
responsabilità
per
illecito
antitrust
all’interno dei gruppi di imprese sia auspicabile.
Un’
impostazione
eccessivamente
basata
sulla
categorizzazione formale delle condotte, in nome di una
deterrenza che si proclama paladina del benessere del
consumatore, infatti, oltre a risultare errata, rischierebbe di
84 Vedansi le pronunce di Tribunale di Primo grado e
Commissione sul il caso Wanadoo/France-Télécom, causa T-340/03, France
Télécom c Commissione, in tema di pratiche predatorie, su cui peraltro la Corte
di Giustizia ha espresso non poche perplessità, annullando con rinvio la
sentenza del 2007 del Tribunale.
85 A tal proposito vedasi il Discussion Paper del 2005 della DG
Competition sul processo di modernizzazione dell’art 82 del Trattato e
delle proposte di EAGCP, che hanno espressamente richiamato tali
principi.
far saltare quei numerosi e delicati equilibri su cui poggiano
le tante anime del diritto della concorrenza efficiente nei
diversi ordinamenti, decretandone,
profonda involuzione.
al contrario, la sua
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