nella luce dell`alba - Liceo Classico Vittorio Emanuele II

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L’ora mattutina - Wislawa Szymborska
Sto ancora dormendo,
ma nel frattempo accadono fatti. (COME UNA DIDASCALIA)
La finestra sbianca,
le tenebre sfumano nel grigio,
la stanza emerge dallo spazio indistinto,
vi cercano appoggio ombre pallide, vacillanti.
In successione, senza fretta,
poiché è una cerimonia,
spuntano le superfici di soffitto e pareti,
le forme si separano
l’una dall’altra,
il lato sinistro dal destro.
Albeggiano le distanze tra gli oggetti,
i primi bagliori cinguettano
sulla bottiglia, sulla maniglia.
Ora non solo sembra, ma esiste appieno
ciò che ieri è stato spostato,
ciò che è caduto sul pavimento,
ciò che è racchiuso nelle cornici.
Solo i dettagli
ancora non sono entrati nel campo visivo.
Ma attenti, attenti, attenti, (TUTTI )
ci sono molti indizi che stanno tornando i colori
e anche la minima cosa riacquista il proprio,
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insieme a una sfumatura d’ombra.
Ciò mi stupisce troppo di rado, ma dovrebbe.
Di solito mi sveglio nel ruolo di testimone in ritardo,
quando il miracolo è già avvenuto,
il giorno già costituito
e il mattinale magistralmente mutato in mattutino.
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Quan lo rossinhols escria
ab sa par la nueg e·l dia,
yeu suy ab ma bell’amia
4 jos la flor,
tro la gaita de la tor
escria: «Drutz, al levar!
Qu’ieu vey l’alba e·l jorn clar».
Alba provenzale
Quando l’usignolo canta con la sua compagna la notte e il giorno, io sono con la mia bella amica sotto gli
alberi in fiore, finché la sentinella dalla torre grida: «Amanti, alzatevi! Ché vedo l’alba e il giorno chiaro».
(COME UNA DIDASCALIA)
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(CANTO DELL’USIGNOLO)
Giulietta e Romeo
Giulietta: Vuoi già partire? L'alba è ancor lontana.
Era dell'usignolo,
non dell'allodola, il cinguettio
che ha ferito poc'anzi il trepidante
cavo del tuo orecchio. Un usignolo,
credimi, amore; è lui che canta, a notte,
laggiù sull'albero di melograno.
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Ovidio, Amores
'Quo properas, Aurora? mane!— (TUTTE LE RAGAZZE)
(CANTO DELL’ALLODOLA)
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Giulietta e Romeo
Romeo: No, cara, era l'araldo del mattino,
l'allodola; non era l'usignolo.
Guarda, amor mio, quante strisce di luce
maligne sfrangiano le rade nuvole
che si dissolvono laggiù all'oriente.
Le fauci della notte sono spente
e già s'affaccia il luminoso giorno,
quasi in punta di piedi,
sugli alti picchi brumosi dei monti.
Debbo andarmene e seguitare a vivere,
o restare e morire.
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Giulietta e Romeo
Giulietta: Quel barlume laggiù
non è ancora la luce del mattino.
Io la conosco bene: è una meteora
che il sole irradia e rende luminosa
perché ti sia torciere questa notte
a illuminarti la strada per Mantova.
E però resta. Non devi partire.
(ANDREA CHENIER: E’ la morte!/ E’ la morte! Ella viem col sole! /Ella vien col mattino!/Ah, viene
come l’Aurora!/ Col sole che la indora!)
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Ovidio, Amores
"lente cùrrite, noctis equi!" (TUTTI I RAGAZZI)
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Patrizia Valduga
In nome di Dio, aiutami! Ché tanto
amor non muta e muta mi trascino.
Ancora sete ho di te... soltanto
sola a te solo e col sole declino.
O marea d’amore viverti accanto
e arresto del cuore, amor mio divino,
che eterni della vita luce e canto.
La mia ne muore... dal ricordo sino
al qui ancora verso il cuore in cammino,
verso te, mio dissorte eppur destino...
se non di morte... ora di te rimpianto...
e il mare discolora il mio mattino.
Ma tu incatenami all’amato incanto,
resta, è giorno, vieni più vicino.
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Ovidio, Amores
'Quo properas, Aurora? mane!— (TUTTE LE RAGAZZE)
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Romeo: Oh, che m'arrestino pure, m'uccidano!
S'è così che tu vuoi, io son felice!
Son pronto a dir con te che quel grigiore
laggiù non è lo sguardo del mattino,
ma soltanto un riflesso smorto e pallido
della faccia di Cinzia;
e a negare con te che sia l'allodola,
a martellar gli archivolti del cielo
con le sue note, sopra il nostro capo.
L'ansia di rimanere
è più forte di quella di partire.
O morte, vieni, e sii la benvenuta!
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Così vuole Giulietta, e così sia!
Sei soddisfatta adesso, anima mia?
Parliamo pure. Non è ancora giorno.
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Cesare Pavese, Il paradiso sui tetti
Sarà un giorno tranquillo, di luce fredda
come il sole che nasce o che muore, e il vetro
chiuderà l'aria sudicia fuori del cielo.
Ci si sveglia un mattino, una volta per sempre,
nel tepore dell'ultimo sonno: l'ombra
sarà come il tepore. Empirà la stanza
per la grande finestra un cielo più grande.
Dalla scala salita un giorno per sempre
non verranno più voci, né visi morti.
Non sarà necessario lasciare il letto.
Solo l'alba entrerà nella stanza vuota.
Basterà la finestra a vestire ogni cosa
di un chiarore tranquillo, quasi una luce.
Poserà un'ombra scarna sul volto supino.
I ricordi saranno dei grumi d'ombra
appiattati così come vecchia brace
nel camino. Il ricordo sarà la vampa
che ancor ieri mordeva negli occhi spenti.
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Antonella Anedda, Quello che dell’amore resta
Molto era in quell’alba, in quell’albergo, nella carta
che mostrava l’acqua dura del muro e del soffitto.
Tutto, forse il senso del mondo, era nel singhiozzo di lei
con la nuca che batteva contro il letto
e nel gesto di lui
che le avvolgeva i seni nel lenzuolo.
Fuori cresceva il giorno
innaturale, come lo stelo di ferro della lampada
scosso a lungo con ira quando il corpo dell’altro era più solo.
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Pavese, Mattino
La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.
Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un'ombra fuggevole, come di nube.
L'ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
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che è la voce del mare fatta ricordo.
Nel crepuscolo l'acqua molle dell'alba
che s'imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa l'impregna
e un sapore di frutto marino vivo.
Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
né parole umane, sul campo del mare.
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Patrizia Cavalli
Così arrivi, come sempre,
a spargere il sospetto del paradiso,
e prima ancora di aprire la finestra
ti riconosco dalla luce più lenta
dai pulviscoli sospesi e senza direzione
dalla replica ossessiva degli uccelli,
e se non fossero gli uccelli sarebbe un’altra cosa,
per ogni posto hai le tue specialità;
e quando entri e ti lascio i miei sensi
riabito case sconosciute e ho nostalgia
di cose mai avvenute. E attraverso i tuoi labirinti
sospingi addosso a me i continenti e le stagioni
e io divento la parete degli urti e dei rimbalzi
l’appoggio dove cominciano le fughe
fino al risucchio silenzioso dell’estate.
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Mariangela Gualtieri, La notte
(...)
Complicato l’innesto
del mattino. O forse teatrale quel suo
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crescendo così perfetto. Ma come si fa
ad avere in sé così tanto di sfumature
come un’alba che pare
uscire dalla caratura del buio
fra nere piume silenziose pericolose
dolcezze ci assalgono in questo punto
d’uscita dalla notte uccello
al delicato riso di tutto il panorama
quando l’imperatore comanda
che sia luce. Sia luce fatta
anche in questo pozzo mio
fino al suo fango finale o forse
piccola porta che conduce
al segreto che è in me sepoltura.
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Bruno Galluccio
il gelo bruca
i residui della notte nostra
il sogno sfrangiato sul bordo
dell’essere ancora vivi
tra poco è l’alba
noi siamo la nostra attesa
la ferita della vetrata non aperta
il rimorso che accomuna
l’aprire e il non aprire
minima gemi come acqua
tu ormai nel costato del sonno
deposta la tua parte di attesa
hai varcato il millimetro dell’abbandono
e io veglio anche
per il tuo lembo di indicibile
mentre la luce massacra l’ombra
sul lato rovescio del pensiero
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Pavese, In the morning you always come back
Lo spiraglio dell'alba
respira con la tua bocca
in fondo alle vie vuote.
Luce grigia i tuoi occhi,
dolci gocce dell'alba
sulle colline scure.
Il tuo passo e il tuo fiato
come il vento dell'alba
sommergono le case.
La città abbrividisce,
odorano le pietre ‒
sei la vita, il risveglio.
Stella sperduta
nella luce dell'alba,
cigolio della brezza,
tepore, respiro ‒
è finita la notte.
Sei la luce e il mattino.
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Odisseas Elytis
SPESSO QUANDO PARLO DEL SOLE UNA GRANDE ROSA ROSSA MI S’IMPIGLIA NELLA
LINGUA.
MA TACERE NON MI È POSSIBILE
Non la conosco più la notte, atroce anonimia di morte
Una flotta di stelle approda in fondo alla mia anima.
Espero, sentinella, brilla accanto alla brezza
Turchina di un’isola che mi sogna
Mentre annuncio l’alba dall’alto degli scogli
I miei occhi ti fanno navigare abbracciato alla stella
Del mio cuore più giusto: Non la conosco più la notte.
Non li conosco più i nomi di un mondo che mi rifiuta
Chiaramente leggo conchiglie foglie stelle
L’inimicizia mi è superflua nelle strade del cielo
A meno che non sia il sogno a guardarmi
Attraversare con lacrime il mare dell’immortalità
Espero, sotto l’arco del tuo fuoco d’oro
La notte che è soltanto notte non la conosco più.
POULENC, Aubade in 3 diverse versioni che si sovrappongono: su You tube sono la n. 1, n. 4 e n. 8
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