Il dibattito ora è nell'arena Franca D’Agostini analizza i meccanismi del dibattito pubblico / 01.10.2016 di Manuel Rossello Mentre la verità si sta ancora allacciando le scarpe, la bugia ha già fatto tre giri dello stadio. E sta già rilasciando interviste, potremmo aggiungere alla nota battuta. L’immagine è senza dubbio azzeccata, perché come si vede nelle risse organizzate spacciate per talk show, non c’è strumento più efficace della bugia (condita con un’infinità di salse, come ci spiega Franca D’Agostini in questo densissimo saggio sui trucchi comunicativi) per screditare gli avversari politici, conquistare le platee televisive e narcotizzare l’opinione pubblica. L’analisi dell’autrice, sorretta dal potente faro della logica, è spietata nello scoperchiare i numerosi trucchi da circo e le raffinate strategie attivate dai politici durante i dibattiti per ottenere il plauso del pubblico e, in prospettiva, il voto. Lo sfondo problematico da cui prende avvio il libro è la natura profondamente ambigua dei massmedia. Teoricamente essi dovrebbero riportare i fatti accaduti e (separatamente, secondo la tradizione anglosassone) le interpretazioni. Invece ciò che fanno è soprattutto costruire ed esaltare (o viceversa demolire e umiliare) l’immagine pubblica degli individui. La televisione in particolare ha conquistato un ruolo centrale nell’assecondare la personalizzazione della politica emarginando del tutto la componente della logica e quindi della verità. Fatte le debite eccezioni, oggi il criterio predominante è quello della notiziabilità (che cosa rende, mettiamo a livello elettorale, dare una certa notizia?). Non che la verità non sia da sempre minacciata (stat nuda veritas), ma con l’avvento della civiltà dei massmedia l’avvelenamento è pressoché totale. E ancora più grave è il fatto che questo avvelenamento non si vede se non si dispone di strumenti adeguati. Fornire il lettore di questi strumenti è ciò che fa – egregiamente – il volume, il cui sottotitolo alternativo potrebbe essere «Viaggio negli abissi della sofistica massmediale». Tra le tecniche più perfide – e perciò più efficaci – messe in campo dai politici in televisione ci sono l’avvelenamento del pozzo (screditare l’avversario all’inizio della discussione), la fallacia del bastone (velata allusione a conseguenze fisiche), la statua di sterco (diffamare dando l’impressione di elogiare), il riso sofistico (irridere la serietà e drammatizzare l’umorismo), il domino o slippery slope (enumerare una cascata di false conseguenze), l’uomo di paglia (sostenere una tesi insostenibile per poi appiccicarla all’avversario), l’attivazione di un frame (imprigionare l’avversario in una cornice ideologica a lui sfavorevole) e l’argomento circolare (dare tacitamente per presupposto quel che si deve dimostrare). È triste doverlo ammettere, ma, a giudicare da tale armamentario, i principali requisiti richiesti a un politico di successo sono la loquacità e la menzogna. Tutte queste tecniche (e molte altre) sono abitualmente impiegate nei talk show politici. Per cui lo spettatore (a meno di aver letto un efficace strumento di analisi come il libro di cui si sta parlando) è in balia delle fallacie e dello spin doctoring come un cayakista principiante in un torrente in piena è in balia delle rapide, mentre da riva un esperto di argomentazione cerca di allungargli delle slide sulla navigazione nei fiumi impetuosi. Ma le grandi aziende non sono da meno nell’azione di spin doctoring: se da anni i più grandi inquinatori del globo tentano di darsi una patina ecologista con un abile lavoro di greenwashing, ultimamente utilizzano una strategia più raffinata, il protestwashing, che consiste nel copiare l’estetica e il linguaggio di chi è «contro». D’altronde tutte le grandi società investono cifre da capogiro nella «comunicazione» (le virgolette sono d’obbligo). Con questo studio sulle fallacie che minano la correttezza del dibattito pubblico l’autrice mette insomma in luce uno snodo centrale. Ma quali conseguenze comporta questo fenomeno su più larga scala? Esso ci consente di scorgere la deriva che sta minando dalle fondamenta il regime democratico. Per capire come è utile tratteggiare il circolo vizioso innescato dalla triangolazione massmedia-spin doctor-elezioni. Ecco allora come funziona la democrazia mediatica in uno Stato immaginario ma non troppo: ogni x anni la gente va a votare e come si sa ogni persona rappresenta un voto. Sennonché la maggioranza dei votanti (milioni) è formata da persone facilmente influenzabili. Inoltre va considerato che ogni giorno tutti noi prendiamo decisioni in base a motivazioni irrazionali, per cui la pubblicità, che lo sa, solletica le nostre emozioni con messaggi incessanti. Si aggiunga che la TV è il massmedia di gran lunga più diffuso (è presente in circa il 97% delle case) e ha perciò un poderoso effetto di risonanza. Senza dimenticare che per moltissime persone essa rappresenta l’unica ed esclusiva fonte d’informazione. Ora, poiché le persone votano in base all’opinione (irrazionale) che si fanno, il politico astuto ha tutto l’interesse ad apparire il più possibile nelle trasmissioni e negli orari con più audience (in particolare a ridosso di una votazione) e a lanciare messaggi emozionali attaccando gli avversari con tutta la munizione di fallacie di cui dispone. Per farlo deve accordarsi con chi possiede le TV, risultare politicamente gradito ai proprietari o, ancora meglio, esserne egli stesso il proprietario. E comunque, una volta raggiunto il potere agirà per rafforzare il controllo sui massmedia. Occorre fare nomi? Quando si afferma che i dibattiti si sono trasformati in uno scontro non ci si limita a enunciare una metafora, ma si coglie un dato di fatto, perché queste trasmissioni sono ormai costruite per suggerire al pubblico la partecipazione a un evento cruento, se non bellico: la scenografia circolare ricorda un’arena con i contendenti che si fronteggiano, il pubblico urla e strepita come allo stadio e il politico soccombente evoca il gladiatore sconfitto che attende il responso fatale. E tutto lo spettacolo è in funzione del pubblico a casa, eccitato dalla promessa di sangue (simbolico) e umiliazione (vera), ma rintronato dall’artiglieria incrociata delle fallacie. Un’annotazione finale. Dovrebbe ormai essere chiaro che il mondo attuale è immerso nell’argomentazione come il gulasch lo è nella salsa. L’informazione, la politica, la pubblicità, la religione, solo per citare ambiti onnipresenti nelle nostre vite, ne sono inestricabilmente legate e sul fronte della scuola sarebbe ora di recepire la centralità del testo argomentativo invece di limitarsi a considerarlo faccenda da lettera ai giornali. O vogliamo rinunciare a essere crossmediali? Bibliografia Franca D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Torino, Bollati Boringhieri, 2015, pag. 257.