LABORATORIO DIDATTICA DELLA MATEMATICA TESINA

CAROSELLI STEFANO
LABORATORIO
DIDATTICA DELLA MATEMATICA
TESINA
ARGOMENTI TRATTATI
RISULTATI DI ALGEBRA
princìpi di equivalenza delle equazioni
legge di annullamento del prodotto
teorema del resto
RISULTATI DI GEOMETRIA
teorema delle retta parallele
teorema di Pitagora
triangoli e circonferenze
ALGEBRA
1. Princìpi di equivalenza delle equazioni
I. Aggiungendo o sottraendo a tutti e due i membri di un'equazione una stessa quantità, si
ottiene un'equazione equivalente all'equazione iniziale.
II. Moltiplicando o dividendo tutti e due i membri di un'equazione per una stessa quantità non
nulla, si ottiene un'equazione equivalente all'equazione iniziale.
Sono princìpi fondamentali, la base della teoria delle equazioni, e ci permettono di risolvere le
equazioni di primo grado con passaggi molto semplici.
Ad esempio consideriamo l'equazione:
5x – 10 = 0
sommando 10 ad ambo i membri, otteniamo l'equazione equivalente:
5x – 10 +10 = 0 + 10
che sommando diventa:
5x = 10
dividendo per 5 ambo i membri, otteniamo la nuova equazione equivalente:
5x / 5 = 10 / 5
ossia:
x=2
la soluzione di quest'ultima equazione è la stessa dell'equazione di partenza.
Analogamente, questi princìpi ci consentono di fare il seguente passaggio:
dall'equazione
(x + 3) / x = 0
all'equazione
x + 3 = 0,
con la condizione che x sia diverso da 0.
In genere gli alunni non hanno problemi a capire questi due princìpi, tuttavia ogni tanto sorgono
alcuni errori nelle applicazioni:
- non pensano che questa regola è valida solo se i soggetti sono gli interi membri, e non parte di
essi, e ad esempio scrivono:
x–6=y+4
x–6:2=y+4:2
x – 3 = y + 2 !!!
- quando moltiplicano e dividono i due membri per un polinomio danno spesso per scontato che tale
polinomio sia diverso da zero, ignorando le famose condizioni di esistenza (dette anche “condizioni
d'accettabilità”, dando l'idea che i matematici siano una classe elitaria che scarta ciò che non gli
piace...) suscitando poi l'ira o la disperazioni di molti professori...
- inoltre c'è da osservare che l'idea di poter semplificare un'espressione mediante tali proprietà piace
così tanto agli studenti, che finiscono per applicarla anche dove non si può; non è poi molto raro
vedere in terzo un alunno che semplifica l'equazione di una parabola nel seguente modo:
y = 2x² +12
y = x² + 6 !!!
Poiché tali proprietà rimarranno nella vita dei ragazzi per tutto il liceo, credo sia opportuno che
l'insegnante si soffermi molto sulle loro “controindicazioni” e che ripeta fino alla noia il modo
corretto di applicarle.
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In realtà questi due princìpi si collegano a situazioni molto comuni nella vita dei ragazzi, in quanto
possono essere riformulate nel seguente modo, molto più intuitivo:
non fare nulla a sinistra che non possa fare anche a destra (e viceversa)
ps: attento allo zero!
dove quel “attento allo zero” significa che la moltiplicazione e la divisione non si comportano come
vorremmo se c'è di mezzo lo zero.
Comunque da ciò si può osservare che questo è un principio “democratico”: tutti e due i membri
devono avere lo stesso trattamento.
2. Legge di annullamento del prodotto
Se il prodotto di più numeri è zero, allora almeno uno dei numeri è zero.
Questo semplice quanto bel principio, conosciuto da tutti, ma compreso da pochi, si dimostra in
modo molto semplice nel caso in cui ci sono solo due fattori:
●
●
●
●
●
●
supponiamo che a e b siano due numeri reali
supponiamo che a ∙ b = 0;
se b ≠ 0, allora: (a ∙ b) ∙ b-1 = 0 ∙ b -1
e per la proprietà invariantiva: a ∙ (b ∙ b -1) = 0 ∙ b -1
e svolgendo i calcoli: a ∙ 1 = 0
ossia: a = 0
quindi se sappiamo che il prodotto tra due numeri è nullo, allora uno dei due fattori dovrà per forza
essere nullo, in quanto affermare che un fattore si diverso da zero implicherebbe necessariamente
che l'altro fattore sia 0. Osserviamo che la legge di annullamento vale nell'insieme dei numeri reali
(e anche nei complessi).
La legge di annullamento del prodotto è un risultato fondamentale, poiché da questo derivano tutte
le regole per la risoluzione delle equazioni studiate dai ragazzi delle superiori.
Ad esempio l'equazione x² + 4x = 0 si può riscrivere come x (x + 4) = 0
quindi, applicando la legge, avremo che
x = 0 oppure x + 4 = 0
quindi possiamo ottenere subito le due soluzioni dell'equazione.
Questa legge è utile anche in casi più complicati; Infatti se sappiamo fare la seguente
scomposizione:
(x² – x – 2) = (x + 1)(x – 2)
allora risolvere l'equazione
x² – x – 2 = 0
sarà equivalente a risolvere l'equazione
(x + 1)(x – 2) = 0
e per questa fantastica regola possiamo affermare semplicemente che
(x + 1) = 0 oppure (x – 2) = 0
senza ricorrere alla formula risolutiva delle equazioni di secondo grado.
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Senza contare poi le grandi semplificazioni che possiamo avere applicando la regola inversa:
qualsiasi numero moltiplicato per zero fa zero
anche un'enorme espressione letterale, contenente radici, potenze, logaritmi, seni e coseni non conta
nulla se viene moltiplicata per un piccolo numero: zero.
3. Teorema del resto e di Ruffini
Il resto di una divisione tra un polinomio P(x) e il binomio (x + a)
è dato dal valore del polinomio per x = -a.
Questo teorema, che per un matematico è scontato, anzi è quasi un'allegra filastrocca, visto da parte
di uno studente invece può sembrare il più enigmatico tra i teoremi; ma di fatto è il teorema che
regge il teorema di Ruffini, e quindi tutta la teoria algebrica successiva; di conseguenza è
fondamentale che gli studenti lo sappiano esporre, e ancor più applicare.
Infatti, se ci pensiamo, questo teorema è un'enorme scorciatoia: per studiare il resto di una
divisione, e quindi anche per sapere se un polinomio è divisibile per un binomio di I grado, è
sufficiente una sostituzione e un banale calcolo fatto da somme, sottrazioni e moltiplicazioni; dal
momento che ormai ogni studente in Italia utilizza una calcolatrice anche per calcolare 5 × 7, non
avranno problemi a fare i suddetti calcoli.
Comunque è fondamentale che gli studenti imparino almeno l'enunciato teorema di Ruffini:
Se un polinomio P(x) si annulla per x = a,
allora è divisibile per (x – a)
Questa è una filastrocca ancora più bella e facile da imparare, e non è nient'altro che il teorema
precedente, nel caso in cui il resto sia zero!
Questa regoletta è di enorme utilità quando vogliamo fare la famosa scomposizione in fattori di un
polinomio: saper fattorizzare un qualunque polinomio, e conoscere la legge d'annullamento del
prodotto, vuol dire, se ci pensiamo, saper risolvere un'equazione di qualunque grado.
Consideriamo infatti il polinomio P(x) = x³ – 6x² + 11x – 6
e osserviamo che:
P(1) = 1 – 6 + 11 – 6 = 0
quindi P(x) è divisibile per (x – 1)
analogamente possiamo osservare che:
P(2) = 2 (4 – 12 + 11 – 3) = 0
quindi P(x) è divisibile anche per (x – 2)
se infine osserviamo che:
P(3) = 3 (9 – 18 + 11 – 2) = 0
e che quindi P(x) è divisibile anche per (x – 3),
allora possiamo dire che, essendo P(x) di terzo grado, la sua scomposizione sarà
P(x) = k (x – 1)(x – 2)(x – 3)
dove k è una costante moltiplicativa, e si osserva che deve valere 1.
Siamo riusciti a fattorizzare P(x) senza utilizzare alcun procedimento di fattorizzazione!
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Ho conosciuto ragazzi che non potevano sopportare questo teorema, perché dovevano andare “per
tentativi”, e ogni volta che gli chiedevo di applicarla si sentivano male... altri ragazzi invece si
divertivano a semplificare i polinomi, scomponendoli in fattori, quasi come quando si risolve un
puzzle: si parte da una marea di pezzi sparsi, senza ordine e apparentemente senza senso e, un passo
alla volta, si riordinano, ricostruendo tutto il disegno iniziale.
Legata a questo teorema ovviamente c'è la regola di Ruffini, per calcolare il quoziente e il resto tra i
due polinomi; nonostante tale regola non sia fondamentale come il teorema, i ragazzi imparano
molto meglio l'applicazione della regola piuttosto che l'importanza del teorema; forse perché è più
meccanica, e richiede meno ragionamento di quanto ne richieda il teorema, o forse perché per
risolvere un esercizio alla lavagna o in un compito in classe serve applicare la regola, e non il
teorema.
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GEOMETRIA
1. Teorema delle rette parallele
Due rette sono parallele se (e solo se) tagliate ad una retta trasversale
formano coppie di angoli alterni congruenti.
Questo teorema spesso si enuncia in modo più lungo e con diversi lemmi e corollari che fanno da
contorno; io l'ho enunciato nella forma che ritenevo più semplice da presentare ad un ragazzo.
In molti testi di geometria si procede nel seguente modo:
1. si definisce cosa si intende per angoli alterni, coniugati e corrispondenti
2. si enuncia la proprietà che lega gli 8 angoli:
alterni congruenti ↔ corrispondenti congruenti ↔ coniugati supplementari
3. si enuncia e si dimostra (per assurdo...) la prima implicazione del teorema:
alterni sono congruenti → rette parallele
4. si enuncia il V postulato di Euclide, che di fatto è la base di tutto questo teorema, nonché di
tutta la geometria euclidea
5. si enuncia e si dimostra (per assurdo...) la seconda implicazione del teorema:
rette parallele → alterni sono congruenti
6. si conclude enunciando il teorema delle rette parallele, nella sua forma più generale
possibile
In effetti è grazie a questo teorema se possiamo poi parlare di tutte le proprietà dei triangoli, come
le conosciamo noi, ma secondi me non viene sufficientemente evidenziato il fondamento di tutta
questa teoria: il V postulato di Euclide:
dato una retta r e un punto P (esterno ad essa)
esiste una sola retta s passante per P e parallela ad r
[ in realtà non è necessario che P sia esterno ad r, a patto di considerare una retta coincidente come
una qualunque parallela ]
Sarebbe molto utile introdurre da subito questo postulato, e fare esempi di situazioni in cui non
valga, come ad esempio la superficie terrestre. Quindi, nello spiegare il teorema delle rette parallele
si può benissimo mostrare come tale postulato sia necessario, e mostrare con esempi che se non vale
il postulato non vale neanche il teorema (in realtà il postulato è necessario per il punto 5, non per il
3)
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2. Teorema di Pitagora
In un triangolo rettangolo la somma dei quadrati dei due cateti
è uguale al quadrato dell'ipotenusa
o anche, in forma più precisa:
Dato un triangolo rettangolo, la somma delle aree dei quadrati aventi per lato i due cateti
è uguale all'area del quadrato avente per lato l'ipotenusa
ecco uno dei teoremi più noti, forse l'unico teorema conosciuto da (quasi) tutti i ragazzi, e si applica
un numero illimitato di volte in altri teoremi, in corollari, esercizi, ecc.
Delle due forme enunciate, la seconda è quella più rigorosa, ma a mio parere sovrabbondante nel
linguaggio; la prima forma è più snella, immediata, e uno studente la capisce ugualmente.
Il teorema di Pitagora si studia già dalla scuola media, ed è uno dei pochi (forse il solo) che si
dimostra: in genere si utilizza la bella dimostrazione che fa uso dei quadrati equiscomponibili:
un insegnante potrebbe arricchire tale dimostrazione, rifacendola con dei cartoncini, o al computer.
Alle superiori si riprende il teorema di Pitagora, inserendolo insieme ad altri due teoremi
importanti: quelli Euclide. Dopo aver enunciato e dimostrato il I teorema di Euclide, utilizzando le
equivalenze tra figure piane (in particolare triangoli e parallelogrammi), si passa al teorema di
Pitagora, e questa volta si dimostra in modo più formale, ma ugualmente convincente:
C'è da osservare come molti studenti si vogliano complicare la vita, e nel teorema di Pitagora ci
inseriscano dentro le radici quadrate: spesso l'insegnante non spiega che la radice va calcolata solo
se assolutamente necessario (il famoso “solo in caso d'emergenza”), ma a volte mi trovo ragazzi che
per trovarsi il quadrato di un cateto, prima trovano il cateto col teorema di Pitagora, e poi rifanno il
quadrato, senza accorgersi di aver fatto qualche passaggio di troppo.
C'è stato pure qualche studente che identificava il teorema con l'operazione di radice: per dire che
voleva fare “radice di 16”, diceva “faccio il teorema di Pitagora con 16”... ovviamente l'insegnante
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aveva qualche responsabilità in tutto ciò.
Comunque questo teorema resta uno dei principali della geometria, se non altro per il fatto di esser
tra quelli con le più dimostrazioni: a partire da egizi e babilonesi, che già conoscevano questo
importante risultato, ai cinesi, da Euclide nei suoi elementi, a Leonardo da Vinci, e molti altri.
Tale teorema si può poi generalizzare, nei seguenti modi:
● l'area di un cerchio avente per diametro l'ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei cerchi
aventi per diametro i cateti
● fissato un naturale n, l'area di un n-gono regolare avente per lato l'ipotenusa è uguale alla
somma delle aree degli n-goni regolari aventi per diametro i cateti
● data una qualunque figura piana in relazione con l'ipotenusa, la sua area è uguale alla somma
delle aree di due figure simili alla prima, ciascuna in relazione con un cateto.
Il terzo punto è molto generale e si può chiarire con una figura:
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3. Triangoli rettangoli e circonferenze
Un triangolo inscritto in una semicirconferenza (avente un lato coincidente col diametro)
è un triangolo rettangolo;
viceversa una circonferenza avente diametro l'ipotenusa di un triangolo rettangolo, passa per il
vertice dell'angolo retto.
Forse questo non è un risultato importante come i primi due, ma è
comunque tra quelli più rilevanti e possiede moltissime applicazioni, ed
è utilizzato in numerose dimostrazioni ed esercizi.
Questo teorema, che si deve probabilmente a Talete, ha una graziosa
applicazione pratica: per costruire un triangolo rettangolo in un foglio
bianco è sufficiente una riga e un compasso: si disegna un cerchio e il
suo diametro, poi si prende un qualunque punto sulla circonferenza e si
unisce con gli estremi del diametro, e il gioco è fatto!
Lo stesso procedimento si può utilizzare per costruire una perpendicolare ad una retta r, passante
per un suo punto P: si considera un punto O esterno ad essa e si traccia la circonferenza di centro O
e raggio OA; fissato B il secondo punto d'intersezione si traccia il diametro per B; la retta che passa
per P e per l'altro estremo del diametro è perpendicolare a r.
Questo risultato si porta dietro numerose teoremi e proprietà geometriche:
1. in un triangolo rettangolo il circocentro, ossia il centro del cerchio circoscritto, è il punto medio
dell'ipotenusa: oltre ad essere un punto notevole, si trova anche in una posizione particolare!
2. di conseguenza è facile circoscrivere un cerchio ad un triangolo rettangolo: basta prendere come
centro il punto medio dell'ipotenusa e come raggio metà di questo lato;
3. la mediana relativa all'ipotenusa è uguale al raggio, e quindi divide il triangolo rettangolo in due
triangoli isosceli, aventi gli angoli al vertice supplementari, e quindi i rispettivi angoli alla base
complementari;
4. Pensiamo all'applicazione inversa di questo risultato: dati due triangoli isosceli di uguale lato
obliquo e angoli al vertice supplementari, abbiamo che la somma dei quadrati delle rispettive
basi è uguale al quadruplo del quadrato del lato obliquo: è il teorema di Pitagora!
5. il teorema della corda, studiato in trigonometria: una corda di una circonferenza è uguale al
diametro moltiplicato per il seno dell'angolo alla circonferenza che insiste sulla corda: infatti
basta scegliere come angolo alla circonferenza quello formato dal diametro e da un'altra corda
(gli angoli alla circ. sono tutti uguali...) e otteniamo un triangolo rettangolo: quindi la corda,
essendo un cateto, è uguale al diametro (ipotenusa) per il seno dell'angolo alla circonferenza
(angolo opposto).
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