Fino all`inizio dell`Ottocento le spoglie di San Benedetto, provenienti

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Città di Gattinara
Chiesa di S. Pietro e Convento dei Canonici Lateranensi
La chiesa di San Pietro sorse in epoca altomedievale presso l’incrocio
delle vie biellesi per il Novarese e di quella vercellese per le valli del
Sesia e dell’Ossola: il rinvenimento di alcune sepolture d’epoca romana,
operato nell’Ottocento durante la demolizione della parrocchiale
quattrocentesca, testimonia una remota occupazione del sito. In un
documento del 1147 è citata come pieve alla quale fanno capo tutti gli
insediamenti dei dintorni, tra i quali soprattutto il villaggio di Gatinaria,
e proprio con il titolo di plebs gatinariae è ricordata in una bolla papale
del 1186. Il suo distretto nel 1298 verrà a comprendere, oltre
naturalmente alle chiese e ai benefici presenti sul territorio di
Gattinara, le parrocchie di Roasio S. Maria, Roasio S. Maurizio, Roasio S.
Eusebio (Curavecchia), Lozzolo.
Verso il 1470 inizia la ricostruzione ex novo dell’edificio, probabilmente
terminata verso il 1515-1525, edificato in stile gotico lombardo con
abside poligonale e largo uso di formelle in cotto istoriate. Nel 1529 il cardinale Mercurino Arborio di
Gattinara, gran cancelliere dell’Imperatore Carlo V, stabilisce, nel suo testamento, che alla sua morte
intorno alla chiesa di S. Pietro sorga un monastero capace di ospitare nove Canonici Regolari Lateranensi
scelti tra i membri della famiglia Arborio. Nel 1529 il porporato muore e, conformemente alle sue
disposizioni, viene sepolto in S. Pietro, sotto la predella dell’altar maggiore, mentre poco dopo inizia la
costruzione del monastero, terminata probabilmente nel 1542.
Nel 1798-99 sono soppresse tutte le case dei Lateranensi presenti negli stati sardi, e il convento diviene
casa parrocchiale, essendosi sciolta la collegiata ivi esistente; nel 1797 i giacobini gattinaresi distruggono la
sepoltura del cardinale Mercurino, le cui spoglie verranno ritrovate solo durante i lavori ottocenteschi.
Intanto la chiesa risulta insufficiente per l’accresciuta popolazione del borgo, perciò fin dal 1820 il prevosto
Carlo Caligaris fa approntare un progetto per la ricostruzione dell’edificio all’architetto gattinarese Pietro
Delmastro, che nello stesso anno si occupa di ricostruire in stile neoclassico il campanile quattrocentesco,
colpito da un fulmine.
Nel 1832 si inizia a demolire il coro, dal quale, secondo il progetto Delmastro, deve cominciare la
ricostruzione della chiesa; l’anno successivo si riportano alla luce le spoglie di Mercurino, credute perse
dopo la distruzione del 1797. Con il 1834 la ricostruzione del coro è pressoché ultimata, e si mette mano a
riedificare lo scurolo di San Benedetto. I lavori proseguono a fasi alterne per poco più di un trentennio, con
lunghe e frequenti interruzioni a causa della mancanza di fondi, fino al 1868, anno in cui muore l’architetto
Delmastro. Il completamento della fabbrica viene dunque affidato all’architetto vercellese Edoardo Arborio
Mella, notissimo all’epoca per i suoi restauri “in stile” a molti edifici medievali piemontesi. Il Mella però
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fornisce un progetto di gusto neoromanico che prevede praticamente la distruzione di tutto quanto finora
costruito, compresi i lavori da poco terminati alle cappelle laterali, cosicché i lavori si fermano nuovamente.
Nel 1879 un sostanzioso lascito testamentario permette di riaprire il cantiere, perciò, non ritenendo
attuabile il progetto del Mella, si richiede un nuovo disegno all’architetto Giuseppe Locarni, noto a Vercelli
per il progetto della Sinagoga, nonché di molte altre costruzioni religiose e civili. Ecco che nel 1882 la
costruzione può riprendere, con l’innalzamento delle colossali colonne e del tamburo della navata
principale; questa viene coperta con una vasta cupola in ferro e laterizio, capolavoro di architettura
ottocentesca in metallo e muratura.
Nel 1884 la cupola è pressoché terminata, e nel 1888, dopo alcuni anni di ripuliture e restauri, viene
consacrata la chiesa: della antica costruzione medievale rimangono parte del campanile e la facciata, che
viene restaurata nel 1927. Al 1958-59 data una radicale ridecorazione della chiesa, e, soprattutto, della
cupola, che conferisce all’interno dell’edificio l’aspetto attuale.
GUIDA ALLA VISITA
Ultimo vestigio della chiesa quattrocentesca, la
facciata ricalca modelli gotico-lombardi molto
frequenti nell’area vercellese, e trova corrispettivi
nelle facciate pressoché coeve di S. Nazzaro (SS:
Nazario e Celso), Robbio (S. Michele), Castelnovetto (S.
Maria). Notevoli le formelle rappresentanti i santi
titolari degli oratori presenti nei villaggi dalla cui
fusione ebbe origine il Borgo. Sopra la porta principale
un affresco tardogotico raffigura il monogramma
bernardiniano di Cristo circondato da angeli con
turiboli.
Tema principale della decorazione laterizia è la raffigurazione di un putto accanto ad un tralcio carico d’uva,
che si snoda ondeggiante di mattonella in mattonella, avviluppando tutte le fasce ornamentali, alternato e
delimitato da cornici spiraliformi o archetti polilobati di gusto genuinamente gotico. Qualcosa della
struttura medievale rimane anche nel campanile, che però presenta un aspetto sostanzialmente
neoclassico, risalente al rifacimento del 1820.
L’interno della chiesa, cui si accede tramite i tre portoni barocchi in legno intagliato, è dominato dalla
ripetizione, a livello di navata, presbiterio, coro e sacrestia, di un modello di pianta circolare, come
dall’originario progetto di Delmastro: fasci di colonne segnano le intersezioni tra i vari spazi, cadenzando
solennemente il passaggio tra i diversi piani d’osservazione, fino a concentrare lo sguardo nella zona
presbiteriale, dominata dalla statua di San Pietro. Grandi arconi sorretti da colonne ritmano le pareti
dell'aula ed incorniciano le cappelle, generando uno spazio centrale a pianta ottagonale, coperto dall’alta
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cupola, la cui decorazione a fresco, raffigurante i santi maggiormente venerati a Gattinara, è opera del
pittore ticinese Mario Gilardi (1958).
La prima cappella a destra di chi entra conserva una pregevole
cancellata, probabilmente settecentesca, in ferro battuto, che
racchiude l’altare dedicato a San Giuseppe. Proseguendo verso il
presbiterio si incontra la cappella del Sacro Cuore, risistemata nella
prima metà del ‘900 ma dotata di un equilibrato altare marmoreo
antico. Settecentesco è il prezioso altare in marmi policromi dedicato
alla Vergine del Carmine, posto nella terza cappella e dotato di una
pregevole statua lignea della titolare: nel 1738 risultava presente una
confraternita eretta sotto questo titolo.
Il lato sinistro della navata centrale è invece occupato, oltre che dalla
cappella dedicata all’Immacolata Concezione, dagli ingressi allo Scurolo
di S. Benedetto e all’Oratorio della Confraternita del SS.mo
Sacramento, attuale cappella invernale.
Fino all’inizio dell’Ottocento le spoglie di San Benedetto, provenienti dalla catacomba romana di S. Callisto
e giunte a Gattinara alla fine del XVII secolo, erano ospitate in una cappella attigua all’oratorio della
Confraternita del SS.mo Sacramento, la quale aveva l’incarico di mantenerne la custodia: a quell’epoca
risale l’urna lignea contenente le ossa, scolpita nel 1699 dal serravallese Francesco Vimnera. La struttura
attuale dello Scurolo, articolata su due livelli, risale al 1834, ed è opera in stile neoclassico dell’architetto
Pietro Delmastro: al livello superiore una cupola a cassettoni dipinti copre il sacello a croce greca, ornato da
colonne, capitelli, cornicioni e trofei, che dall’alto si affaccia sulla navata della chiesa parrocchiale. Al livello
inferiore si apre invece una cripta oggi adibita a sacrario per i caduti in guerra, comunicante con lo Scurolo
mediante due rampe di scale.
In corrispondenza dell’attuale altare del Santissimo si apre invece l’accesso per l’Oratorio della
Confraternita del SS.mo Sacramento, la cui forma risale al XVII secolo: la parca decorazione a stucco e gli
scranni lignei barocchi evidenziano la destinazione d’uso di questo ambiente, per secoli sede
dell’importante sodalizio eretto presso la chiesa di San Pietro. Accanto all’altare si può ammirare la statua
lignea originale della Vergine di Rado (XV secolo), oggi sostituita nel santuario omonimo da una copia.
La zona prebiteriale della parrocchiale, coperta da una volta con interessanti stucchi neoclassici, ospita
l’altare maggiore, innalzato in anni recenti smembrando l’altare progettato da Delmastro nel 1851, e
l’organo, opera del 1885 dei fratelli Scolari, di Bolzano Novarese. Di qui si accede, oltrepassando la lapide
sepolcrale originaria del cardinale Mercurino Arborio Gattinara, incassata nel pavimento e recentemente
restaurata, al coro.
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La statua marmorea di San Pietro, scolpita nel 1885 da Antonio Franzi, su progetto
dello scultore vercellese Ercole Villa, domina gli scranni lignei seicenteschi,
riccamente scolpiti, provenienti dalla antica chiesa.
La sacrestia, edificata su progetto dell’architetto Delmastro, custodisce arredi
lignei di qualche pregio: l’altare che occupa la parete di fondo era un tempo
collocato sotto il titolo di S. Giovanni nella parrocchiale antica, mentre il quadro,
donato dalla famiglia Arborio Gattinara e raffigurante la Vergine con i santi
Eusebio, Gottardo, Warmondo Arborio e Antonio, risale alla seconda metà del XVIII
secolo.
Del convento eretto per
volontà
del
cardinale
Mercurino rimane il chiostro,
risalente alla prima metà del
XVI secolo nella parte
inferiore, sostenuta da agili colonne in sarizzo con
capitelli elegantemente scolpiti. I loggiati superiori
della manica nord sono invece seicenteschi, mentre
solo in parte si conserva, inglobata in murature più
recenti, la manica verso la chiesa parrocchiale,
distrutta durante i lavori ottocenteschi.
Per quanto riguarda gli ambienti interni, ben conservati sono i vani al pianterreno dell’attuale casa
parrocchiale, soprattutto il grande salone, la sala con volta ad ombrello, lo scalone in pietra ed i piccoli
ambienti dell’atrio e della biblioteca. Il salone, già refettorio canonicale, ornato nel 1871, ospita i ritratti dei
parroci, tra i quali spicca la tela raffigurante mons. Andreoletti, opera del vercellese Ferdinando Rossaro;
interessanti i ritratti raffiguranti il cardinal Mercurino e suo fratello, nonché esecutore testamentario,
Gabriele, fondatore del convento dei Lateranensi. Il quadro sulla parete di fondo si colloca nel filone
pittorico tardo rinascimentale di stampo gaudenziano, riecheggiando il Cenacolo dipinto dal Ferrari per S.
Maria della Passione a Milano: esempi analoghi si ritrovano nelle parrocchiali di Orta e Borgomanero.
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