La quiete dopo la tempesta,Che ne dici di aspettare le stelle?,Sotto

LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA
Odio quei giorni di tempesta in cui le nubi stazionano sulla nostra testa insistentemente
riversandoci addosso tutta l’acqua e il grigio che possono. Nere e piene di se ci negano i colori
e la vista dell’orizzonte, ci bagnano e infreddoliti riduciamo anche i nostri movimenti perché i
muscoli freddi e contratti non ci consentono più di muoverci come vorremmo, anche l’umore
soffre per la luce scarsa. Noi che viviamo in Sicilia mal sopportiamo troppi giorni senza Sole ne
loro sopportano noi, un conflitto che spesso risolve il vento che rimedia in fretta trascinando le
nuvole oltre l’orizzonte.
La tempesta finalmente si allontana e i colori riprendono il loro posto, il blu sul campanile della
Chiesa dell’Idria, il giallo sulla facciata barocca di Palazzo Sortino Trono, il verde sulle vallate e
l’azzurro in cielo. La città si mostra nel suo ritrovato splendore, tutta lì da poterla contenere in
una sola mano. Quando sostanza c’è, anche se a lungo coperta, prima o poi riemerge come la
bellezza di un panorama dopo la tempesta.
“Bon tiempu e malu tiempu nun dura tuttu u tiempu” si dice da queste parti, consolazione
e avvertimento riassunti dalla saggezza popolare in questo proverbio “meteorologico” ma non
solo, basterà dunque avere pazienza e buon senso e la quiete si farà ancora viva. E se le
tempeste non sono fatte solo di nubi e pioggia, il proverbio varrà anche per quelle ancor più
fredde del cuore e dell’anima. Arriva sempre un vento che ci soffia sopra.
Ragusa Ibla vista dal sagrato della Chiesa di Santa Lucia in un giorno di quiete dopo la tempesta.
Il Sole ha sciolto i muscoli ed anche questa tempesta si è allontanata, è sempre buono il tempo
per la fotografia, va bene la nebbia ed anche la pioggia ma è il Sole che possiede i colori.
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© Fotografia e Testi di proprietà di Salvatore Gulino
CHE NE DICI DI ASPETTARE LE
STELLE?
E’ bello stare sulla spiaggia con te, sei mia amica da sempre, sei una delle mie stelle
più belle!
Una stella? Che dici?
Si, una delle più luminose. Una di quelle che cerco sempre quando guardo il mio cielo.
Non ti capisco oggi, che succede?
Immagina! Per ogni luogo in cui hai lasciato il cuore, per ogni emozione che continua a
vibrarti dentro, per ogni persona che ti ha voluto del bene si è accesa una nuova stella
in cielo. Alle cose importanti sulla Terra corrispondono così tanti puntini luminosi
lassù, segni indimenticabili come tracce da seguire per ritrovare la via di casa nel buio
di certe sere.
Vuoi farmi piangere? Il mare d’Inverno non ti sembra già abbastanza?
Comete luminosissime a volte attraversano il cielo, luci brevi e passeggere lo
squarciano e mi distolgono dalla flebile e sicura luce delle mie stelle, aspetto che il
bagliore passi ed ogni stella riprende a splendere, sempre lì al suo posto, tremante ma
dove l’avevo lasciata.
Non posso fermarti vero? Ormai hai deciso…
Ho sulla testa un tetto di stelle, mi piace guardarle perché mi fanno compagnia,
mi ricordano la strada. Un marinaio non seguirebbe mai una cometa ne io prenderò
mai il mare con troppe nubi in cielo, aspetterò che il vento le spazzi via e mi faccia
rivedere le stelle.
Così di notte traccerò la rotta del giorno! La barca è qui accanto a noi ma c’è
ancora troppo Sole, c’è vento però e il cielo sembra pulito, che ne dici di aspettare le
stelle?
Ti voglio bene anch’io!
Se il mare è bello ovunque, in Sicilia lo è anche d’Inverno. Il chiasso dell’Estate è scivolato sotto
la sabbia battuta dal vento e la spiaggia è diventata un luogo ideale per due chiacchiere tra
amiche. Sarà più facile trovare le parole per dirsi “ti voglio bene”.
Questa immagine è stata scattata sulla spiaggia di Donnalucata dove d’Inverno cercare immagini
è un piacere assoluto.
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Sotto un cielo barocco
Anche il cielo qui da noi, se il vento vuole diventa “barocco”. In quota ne modella le nubi come
uno scalpellino la pietra sulle nostre facciate, nuvole e vento come pietre e scalpello, materia
e strumento per forme nuove e passeggere. Spirali, giravolte e curve si levano dalla città al cielo
della sera rapite da un vento dolce, strappate da chiese e palazzi si stendono in cielo come colori
ad olio su una effimera tela turchina.
Sotto un cielo così, all’ora della giorno in cui la poca luce rimasta gioca col blu, la città si prepara
alla notte. La coperta scura del buio non si è ancora stesa sui suoi tetti, i suoi preziosi dettagli si
scorgono ancora tra le trasparenze dell’imbrunire ma non sono più sfacciati come sotto il sole del
giorno ed un gioco seducente di luci appena accese ed ombre solo accennate provoca gli occhi
con visioni intriganti e sfuggenti. Il crepuscolo e i fari elettrici si contendono il racconto degli
ultimi istanti del giorno che sempre più stanco cede svelto il passo alla notte.
Si stende leggera la sera su un corpo morbido e invitante, man mano aderisce alle sue forme
lasciando intuire quanto serve a sedurre. La città è sempre stata sotto i nostri occhi, esagerata e
nuda al sole, ha ostentato le sue forme generose offrendosi a chiunque ma sotto questo cielo
barocco si fa anche tentatrice, misteriosa la sua pelle si fa accarezzare dalla luce calante del
giorno e l’aria si riempie di promesse. Solo occhi innamorati si accorgono delle sue
intenzioni ed affaticati raccolgono fino all’ultimo dettaglio possibile cercando materia per i sogni
della notte in arrivo.
Il blu si dissolve rapido nel nero e quel cielo barocco sarà presto svanito, altri il vento ne ruberà
alla città, altre maliziose sere ne esalteranno il fascino e nuovi occhi se ne potranno innamorare.
La facciata del Duomo di San Giorgio durante un’ora blu ovvero quel particolare momento della
sera in cui la luce del cielo è dominata dalle tonalità del crepuscolo.
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© Fotografia e Testi di proprietà di Salvatore Gulino
Uno sguardo sul passato
Pioverà tra poco, meglio portare l’ombrello.
L‘autobus che da Ragusa scende verso Ibla è quasi sempre puntuale ma meglio non correre
rischi, ad una certa età mal si sopporta l’acqua sulle ossa e del resto di rimanere a casa non se ne
parla nemmeno. E‘ piccola casa mia, come la maggior parte di quelle che il destino ha assegnato
a noi povera gente ma da quando ci vivo da solo mi sembra fin troppo grande. Con lei era
diverso, con lei tutti gli spazi avevano un senso, adesso invece spostarsi da una stanza
vuota all’altra vuol dire solo accorgersi della sua assenza ed esco, anche se piove, specie se
piove.
Già i pomeriggi di sole sono interminabili per chi non ha nulla da fare, figuratevi uno di pioggia,
così un giro in autobus senza aver dove andare diventa un impegno a cui attaccarsi per dare
senso ai giorni. Devo percorrere pochi passi fino alla fermata, per raggiungerla passo ai piedi
delle scale della chiesa di Santa Maria costeggiando una balaustra in pietra che si affaccia sulla
città ed ogni giorno mi fermo qualche istante ad osservarla dall’alto. Il mio è uno sguardo sul
passato, sulla vita che ho vissuto fin qui, quella che ho vissuto tra queste case, tra questi tetti e
tra queste finestre di cui un tempo nemmeno mi accorgevo e che oggi tanto mi parlano dei miei
giorni ormai andati. Da qui posso distinguere buona parte delle case di amici e parenti, alcune
sono ancora aperte, altre si sono ricoperte di piante infestanti e mi si stringe il cuore.
Anche la città mi osserva, mi strizza l’occhio per consolare la mia solitudine ed ogni tanto mi
regala una magia, un ricordo.
Ogni via, ogni chiasso, ogni scalinata mi riporta alla mente frammenti diversi di un quotidiano
lontano e io ne scelgo uno in cui perdermi per qualche istante. Oggi ritrovo la strada che mi
portava a scuola, chiudo gli occhi, la ripercorro come in passato tra panni stesi al sole e muli
legati davanti alle porte, corro veloce con le mie scarpe dure e i calzoni corti sulle basole bianche,
lisce e forti come le mie giovani gambe. Incontro come ogni mattina Vanni e Turi che mi
aspettano ad uno di quei mille angoli.
Siamo inseparabili e qualcuno come sempre al nostro passaggio urla: ” cani a dui e picciotti a
unu ! ” *. Anche i vecchi saggi sono stati giovani ma devono averlo dimenticato se ci credono
più dannosi di un branco di cani; noi dei randagi abbiamo solo la fedeltà l’uno per l’altro e la
mancanza di padroni, ci sentiamo liberi e determinati a non diventare mai saggi. Quel giorno, al
ritorno da scuola, appena arrivati davanti a casa di Vanni decido che prima o poi sarebbe
diventato mio cognato! Su uno dei tre gradini che dalla strada salgono alla stanza a piano terra
dove vive con la madre ed altri tre fratelli, è seduta Rosa, si lei che oggi tanto mi manca.
Quando lo dissi a Vanni più che mio cognato sarebbe voluto diventare il mio assassino, ma
alla lunga il legame tra noi giovani randagi è stato più forte della sua gelosia fraterna ed oggi
rivedo anche lui orgoglioso salire le scale della chiesa con al braccio la nostra amata Rosa vestita
di bianco. C‘era gente su tutte le scale…
Un maledetto clacson mi riporta al presente, riapro gli occhi senza aver aperto ancora l’ombrello,
non mi sono accorto che sarebbe servito.
Zuppo d’acqua non torno a casa ad asciugarmi ma salgo sull’autobus che aspetta il mio ritorno
dal passato. Dal finestrino appannato mi accorgo che qualcuno sta scattando fotografie, ormai a
Ragusa vengono i turisti ma quel ragazzo lo conosco, lo vedo spesso in giro da queste parti
ad osserva come me la città e mi chiedo cosa vada cercando, cosa abbia Ibla da raccontargli,
magari avrà come me i suoi ricordi e mi sento già meno solo.
Il mio film per oggi termina qui, poggio le mie spalle fradice sul solito sedile in plastica e come
l’acqua sulla pelle, lascio sul cuore tutta la semplice armonia di quei giorni, la frenesia di un
tempo in cui tutto doveva ancora accadere, ad ogni angolo una promessa spesso mantenuta
e questa inutile giornata si salva. Si scrolla di dosso la tristezza della pioggia e le ore restanti
possono consumarsi con meno fatica perché sono certo di essere stato felice, di conservare
ancora dentro tutta quella gioia che a volte improvvisa riemerge. Aspetto con ansia che accada
ancora, basterà solo buttare un altro sguardo sul passato.
L‘immaginAzione di oggi ruota intorno a questo scatto del 2010 ai piedi della Chiesa di Santa
Maria delle Scale, tra Ragusa e Ibla. Esco a scattare fotografie nelle pause dal lavoro e quindi
quasi sempre nelle stesse ore del giorno, ecco perché incontro anche le abitudini degli altri.
Spesso questo signore esce di casa e aspetta il suo autobus alla vicina fermata, nell’attesa si
guarda sempre intorno ma quel giorno era intento ad osservare la città come se fosse la prima
volta. Il suo sguardo rivolto verso la Chiesa delle Santissime Anime del Purgatorio mi ha fatto
pensare che stesse ricordando qualcosa del suo passato.
Qualcuno mi ha detto che fotografare la gente di spalle è fin troppo semplice, i grandi fotografi si
confrontano con il soggetto guardandolo negli occhi. Sarà pur vero ma per me immaginare vale
quanto osservare.
* “cani a dui e picciotti a unu !” ovvero “i cani in coppia ma i ragazzi meglio da soli !” è un
proverbio ragusano che i nonni spesso ci urlavano dietro.
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© Fotografia e Testi di proprietà di Salvatore Gulino