L`obbligo delle trattative precontrattuali in

SOMMARIO
n. 5 - 2015
EDITORIALE
Rodolfo Cusanopag. 6
DOTTRINA Il Condominio parziario pag. 7
Rodolfo Cusano
La multiproprietà A. Auletta
pag. 11
Il riparto spese nel supercondominio
Enzo Rocco
pag. 21
L’obbligo delle trattative precontrattuali in condominio
Lucia Gangale
pag. 24
GIURISPRUDENZA Recenti sentenze in materia di condominio
pag. 39
Pietro D’Antò
BUSINESS & NEWS
Affitto Casa: Quale conviene? Il Canone libero, il Concordato o la Cedolare secca?
pag. 45
Antonio Crescenzo
Bonus Ristrutturazione Alberghi Antonio Crescenzo
pag. 46
FOCUS
IL CONTENZIOSO IN CONDOMINIO E GLI STRUMENTI DEFLATTIVI
pag. 47
Il dissenso dalla lite
La mediazione in condominio
L’impugnativa della delibera solo con citazione
La capacità dell’amministratore di stare in giudizio
La sostituzione dell’amministratore
La legittimazione ad agire del singolo condomino
Il ricorso all’assemblea
La revoca della delibera viziata
La nullità e l’annullabilità delle delibere assembleari
La negoziazione assistita
L’accertamento tecnico preventivo
4
UTILITA’
I principi di riparto delle spese
Rodolfo Cusano
pag. 65
L’esecuzione dei crediti vantati dai terzi in condominio
Rodolfo Cusano
pag. 69
BENESSERE IN CONDOMINIO
Permalosità e sucettibilità pag. 73
Giovanni del Mastro
STORIE IN CONDOMINIO
Il Tribunale di Castel Capuano pag. 77
Rodolfo Cusano
Il
Condominio Nuovo
EDITORIALE
Rodolfo Cusano
Avvocato
Abbiamo doppiato il capo dei due anni dall’entrata in
vigore della riforma del condominio. Tutti noi, operatori del
settore, ci aspettavamo chissà quali novità. Nulla è accaduto,
anzi sembra che i nodi sono ancora aumentati.
Mi riferisco a diversi aspetti della vita in condominio: in
primo luogo la conflittualità.
Essa non è diminuita anzi, si è incrementata. Così non
doveva essere, il legislatore ha predisposto tutta una serie
di misure definite strumenti deflattivi quali: la mediazione,
la negoziazione, il ricorso all’assemblea avverso i provvedimenti dell’amministratore, la revoca della delibera viziata,
l’accertamento tecnico preventivo. A tutti questi istituti
abbiamo dedicato il Focus di questo numero, con il palese
scopo di diffonderne la conoscenza.
Ma per quanto essi hanno potuto e potranno fare, il condominio rimane il luogo dove i comuni cittadini manifestano
il loro aspetto peggiore. E’ delle recenti cronache la notizia
che addirittura alcune liti hanno comportato la perdita di
vite umane.
Occorre che tutti, in primis il legislatore, ma anche le associazioni di categoria, gli Enti intermedi, i singoli condomini
si facciano portatori di una sola, necessaria esigenza: quella
della chiarezza delle norme.
Fino a poco tempo fa si poteva ancora sostenere che le liti
erano il frutto di una scarsa conoscenza delle regole. Oggi
tutti i condomini hanno la piena conoscenza delle regole,
il problema è che sono le stesse regole a non essere chiare.
Talvolta addirittura portano a risultati contrastanti con gli
interessi che si vogliono tutelare.
Sto pensando al distacco dal riscaldamento centralizzato.
Tale diritto, previsto dalla riforma sia pure condizionato
alla presentazione di apposita perizia, risponde alla vecchia
esigenza di tutela ambientale. Dico vecchia perché oggi è
stato accertato che è meno inquinante la caldaia centralizzata
che tante caldaie singole. Non solo, ma qui il problema non
è quello del sovradimensionamento dell’impianto, ma quello
dei consumi. Il distacco del singolo condomino, comporterà
pur sempre una diversa ripartizione degli oneri per il consumo e questi, a prescindere da tutte le perizie tecniche, comporteranno pur sempre per gli altri condomini un aggravio di
spesa. E poi, essendo un diritto è sufficiente scrivere all’amministratore di volersi distaccare allegando la perizia perché
questo sia costretto a rivedere i riparti delle spese.
E se poi l’assemblea non accetta. Cosa deve fare l’amministratore?
A sommesso avviso dello scrivente, se salgo su una barca
ad un certo costo per il viaggio. Le ipotesi sono due o lo
continuo e pago il pattuito oppure scendo. Non posso certo
continuare il viaggio e pagare di meno. Meglio avrebbe
fatto il legislatore a non consentire affatto il distacco avendo
così cura prima dell’ambiente e poi anche dei conflitti in
condominio.
E cosa dire della personalità giuridica del condominio, che
più volte si è affacciata nelle diverse norme della riforma,
vedi quando parla del patrimonio del condominio che deve
rimanere separato da quello dell’amministratore. Ma quale
patrimonio ha il condominio se non ha personalità giuridica? E quanti problemi questa mancata definizione provoca
ad esempio nelle esecuzioni operate dai creditori sui conti
correnti condominiali? Laddove abbiamo assistito negli ultimi tempi a provvedimenti giudiziali che pur di ammetterle
hanno fatto ricorso a definizioni del condominio quale ente
di fatto pur sempre dotato di un’autonomia patrimoniale?
Non sono d’accordo. Il creditore non può rivalersi sul
c/c condominiale, perché esso si compone dei versamenti
effettuati anche dai condomini che morosi non sono o che
non lo sono per il credito azionato. Il Giudice permettendo
un tale agire, sconvolge i principi della contabilità condominiale sostituendosi alla stessa assemblea. Laddove, solo alla
stessa è consentito in sede di approvazione del rendiconto
giustificare eventuali utilizzi impropri di somme versate per
uno scopo e distratte dall’amministratore per esigenze di
cassa. Sconvolgimento dei principi contabili, di tutela dei
diritti dei condomini ed anche del principio base affermato
prima dalla giurisprudenza ed ora anche in sede di riforma
che l’amministratore deve comunicare i nominativi dei condomini morosi. E che solo questi potranno essere soggetti
ad esecuzione.
Altro non è dato.
Come avrei voluto che, invece, la riforma avesse dato la
stura ad iniziative diverse di raggruppamento di condomini
e di amministratori per innescare un circolo di benessere
attuando iniziative unitarie al fine di meglio soddisfare le
esigenze di abitabilità: (un parco giochi gestito in forma
comune, un impianto di produzione di energia verde, un
consorzio di acquisto per realizzare anche un risparmio
diretto delle famiglie.
Sogni, aspettative vane. La speranza è l’ultima a morire ed
allora:
1- una nuova riforma;
2- un nuovo modo di vivere in condominio.
Lancio il fazzoletto a chi lo vorrà prendere, da questo
momento in poi invito tutti i lettori a comunicare ciò che
di buono si può fare in condominio. Tutte le idee saranno
raccolte ed andranno a formare un decalogo delle iniziative
possibili.
A presto.
Il Direttore editoriale
Avv. Rodolfo Cusano
6
Il
DOTTRINA
Condominio Nuovo
Il condominio parziario
Rodolfo Cusano
Avvocato
Si ha un «condominio parziario» nei casi in cui i
beni comuni sono destinati all’utilizzazione di solo
una parte dei condomini. In questo caso, è necessario stabilire se i beni siano comuni anche ai condomini che di fatto non li utilizzano oppure siano
comuni soltanto ai condomini che li utilizzano. Da
qui la definizione di «condominio parziale»; la parzialità risiede, in altri termini, nel fatto che solo ad una
parte dei condomini spetterebbe la comproprietà di
tali beni.
Il tema è stato molte volte analizzato più con riguardo a specifici casi che in relazione a principi generali
come conferma il seguente rilievo giurisprudenziale
secondo cui «Il condominio parziale raffigura una
categoria radicata nell’esperienza e riconosciuta dalla
giurisprudenza la quale, piuttosto che della definizione
del principio, si occupa della definizione dei casi di
specie».
Tale fattispecie di condominio parziale viene ammessa sulla base della constatazione che: «Indipendentemente dal titolo nell’ambito della più vasta contitolarità si ammette la costituzione per legge dei cosiddetti
condomini parziali sul fondamento del collegamento
strumentale tra i beni: vale a dire, sulla base della
necessità per l’esistenza o per l’uso, ovvero della destinazione all’uso o al servizio di determinate cose, servizi
ed impianti limitatamente a vantaggio di talune
unità immobiliari», ed esplicitamente: «Per la verità,
l’asserto che la proprietà comune appartenga necessariamente a tutti i partecipanti e non si frazioni, neppure
in casi eccezionali, se non in virtù del titolo, non è più
condiviso e, in effetti, non regge alla critica, fondata
sulla ricognizione non aprioristica dei dati positivi».
Se questa è la tesi di ammissibilità del condominio
parziale non mancano posizioni nettamente contrarie sostenute da notevoli argomenti.
In primo luogo si deve constatare che la legge si riferisca esplicitamente a beni comuni a tutti i condomini «se il contrario non risulta dal titolo» ex articolo
1117 c.c. Ciò vuol dire che esiste una sola eccezione
per la quale i beni non sono comuni a tutti i condomini: la volontà contraria contenuta nel titolo di
acquisto.
Questa osservazione potrebbe sembrare sterile se il
suo carattere formalistico non fosse convalidato da
un ulteriore rilievo pratico e sostanziale: il motivo
per cui i beni sono comuni anche a quei condomini
che non li utilizzano risiede nel fatto che quei beni
partecipano di un edificio unico che è, appunto, il
condominio.
Il destino comune dei beni viene supportato dall’unità dell’edificio cui partecipano tutti i proprietari
in virtù della loro ulteriore qualifica di condomini.
In questa prospettiva il criterio di utilizzabilità non
viene affatto preso in considerazione dalla legge per
determinare la contitolarità dei beni di cui all’articolo 1117 c.c., per cui tali beni sono comuni anche se
solo alcuni condomini li utilizzano.
In realtà è vero che il citato articolo 1117 c.c. non
consente esplicitamente che la proprietà dei beni
sia comune solo ad alcuni condomini però, a ben
guardare, nemmeno lo vieta espressamente; tale
possibilità è ammessa sulla base di una convenzione
ma non si può escludere che il criterio dell’utilizzabilità (e quello correlato dell’utilità) non sia richiamato dall’articolo 1117 c.c. (in quanto sottinteso da
quella normativa).
Il legislatore, allora, non ha esplicitamente dichiarato che il condominio riguarda solo coloro ai quali
i beni servono perché tale stato di fatto rappresenta
una condizione necessariamente preesistente all’operatività della norma, cioè essa è presupposta sulla
base della logica determinazione dei fatti e dei conseguenti effetti che si verificano in questi casi.
7
Il
Condominio Nuovo
Questo sembra essere il ragionamento che sta alla
base dell’opinione per cui: «I presupposti per l’attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti
i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli
impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l’esistenza o per
l’uso, ovvero sono destinati all’uso o al servizio, non di
tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti)
di esso. Pertanto, del diritto soggettivo di condominio
formano oggetto soltanto i servizi e gli impianti effettivamente legati alle unità abitative dal collegamento
strumentale; vale a dire le sole parti di uso comune che
siano necessarie per l’esistenza, ovvero siano destinate
all’uso o al servizio di determinati piani o porzioni
di piano». La Cassazione determina anche il motivo
specifico di tale conclusione: «La disposizione da cui
risulta con certezza che le cose, i servizi e gli impianti
di uso comune dell’edificio non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti, si rinviene nell’art.
1123, comma terzo, c.c. Secondo questa norma, l’obbligazione di concorrere nelle spese per la conservazione
grava soltanto sui condomini, ai quali appartiene la
proprietà comune».
In realtà se si legge il comma in questione non si
evince affatto quanto affermato dalla Cassazione,
poiché viene disciplinato il criterio di spesa in base
al criterio di utilità, per cui questa norma non disciplina affatto la parzialità della titolarità: ben potrebbe intendersi, la norma in commento, nel senso che
le spese sono sopportate dai condomini che ne traggono utilità ma la proprietà resta comunque in capo
a tutti i condomini, anche a quelli che non usano
i beni in oggetto, così come stabilito dal principio
generale di sui all’articolo 1117 c.c.
È la stessa Cassazione che risponde sottolineando
come il terzo comma dell’art. 1123 «non recepisce il
criterio, che si assume valido in generale per la ripartizione delle spese per le parti comuni, secondo cui i
contributi si suddividono tra i condomini in ragione
dell’utilità. Se così fosse, il precetto sarebbe del tutto
superfluo, perché ripeterebbe quello dettato dal capoverso precedente» tanto è vero che: «Posto che l’art. 1123
comma terzo ripartisce il concorso nelle spese per le
parti comuni, destinate a servire le unità immobiliari
in misura diversa, in proporzione all’uso che ciascuno
può farne, dal contributo implicitamente esonera coloro
i quali, per ragioni obbiettive afferenti alla struttura o
alla destinazione, non utilizzano le parti, che non sono
necessarie per l’esistenza o per l’uso, ovvero non sono
destinate all’uso o al servizio dei loro piani o porzioni di piano. Se i proprietari delle unità immobiliari,
non collegate con determinate parti comuni, fossero
esonerati dal concorso nelle spese in virtù del criterio
dell’utilità statuito dall’art. 1123 comma secondo c.c.,
il disposto dell’art. 1123 comma terzo sarebbe del tutto
identico a quello fissato nel comma precedente e configurerebbe un duplicato inutile».
È questa un’interpretazione che collega funzionalmente
le diverse parti di una norma in maniera esemplare per arrivare ad identificare una eadem ratio che
sottende l’intero dettato normativo ed il ragionamento
viene spiegato in questo modo: « In realtà, l’art. 1123
c.c. nei distinti capoversi contempla ipotesi differenti.
Mentre al comma due regola solo ed esclusivamente la
ripartizione delle spese per l’uso, al comma tre disciplina la suddivisione delle spese per la conservazione. La
ragione della previsione espressa è che le cose, i servizi
e gli impianti, essendo collegati materialmente e per
la destinazione soltanto con alcune unità immobiliari, appartengono in comune solamente ai proprietari
di queste. La disposizione, cioè, contempla l’ipotesi di
condominio parziale».
8
Il
Come si vede la Cassazione fa discendere esplicitamente dall’articolo 1123 c.c. la previsione legislativa
del condominio parziale il quale deve essere ammesso, non solo in base ai ragionamenti effettuati dalla
Suprema Corte, ma anche in base al dato incontestabile che dalla legge non risulta alcun esplicito
divieto di costituzione del condominio parziale e che
il condominio parziale risulta essere una fattispecie
che realizza interresi meritevoli di tutela alla stregua
dei principi del nostro ordinamento giuridico.
A questo punto però non si può fare a meno di
richiamare un’ulteriore argomento, su cui si basa
la tesi negatrice della possibilità di un condominio
parziale, individuato nell’articolo 61 disp.att. c.c. il
cui primo comma recita: «Qualora un edificio o un
gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di
piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che
abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna
parte possono costituirsi in condominio separato».
Questa norma è utilizzata per negare la possibilità
di un condominio parziale in base ad una articolato
ragionamento che si propone di seguito.
Il comma primo dell’articolo 61 disp.att. c.c., si
sostiene, disciplina l’ipotesi di scioglimento di un
condominio quando questo sia costituito da parti ciascuna delle quali abbia le «caratteristiche di
edificio autonomo»; allora, se il condominio separato
fosse una fattispecie normalmente realizzabile (sulla
base del criterio di utilizzabilità dei beni comuni
ad alcuni soltanto dei condomini) tale norma non
sarebbe necessaria perché se è lecito il condominio parziale deve essere, a maggior ragione, lecito
dividere un condominio in due se le due parti sono,
in sostanza, edifici autonomi. Il comma primo
dell’articolo 61 disp.att. c.c. sarebbe, in altri termini,
superfluo e inutile.
Tale norma è, invece, utile proprio perché il legislatore non aveva previsto il condominio parziale
e perciò lo dichiara espressamente realizzabile nei
casi in cui le diverse parti abbiano «caratteristiche di
edificio autonomo».
Fin qui la tesi negatrice del condominio separato che
utilizza la previsione del comma primo dell’articolo
61 disp.att. c.c. con l’intento di dare significato alla
sua previsione, ma tale argomento risulta in realtà
non ben congegnato e, probabilmente, non del tutto
pertinente al tema in oggetto.
Il richiamo all’art. 61 disp. att. c.c. in merito a
fattispecie di condominio parziale è inopportuno per
una serie di rilevi.
Condominio Nuovo
In primo luogo se si legge anche il comma secondo dell’art. 61 disp. att. c.c. si comprende il meccanismo di funzionamento di tale previsione: lo
scioglimento del condominio (propedeutico alla
formazione dei diversi condomini limitati ciascuno
ad una parte dell’originario edificio) deve essere deliberato dalla maggioranza degli intervenuti
all’assemblea (dell’originario unico edificio) che
rappresenti al contempo almeno la metà del valore
dell’edificio ex articolo 1136 comma secondo c.c.
Se tale maggioranza non c’è la norma prevede la
decisione dell’autorità giudiziaria in base a domanda
di un terzo dei comproprietari della parte di edificio
che si vuole distaccare dal resto. Come si vede tale
fattispecie risposa sulla volontà dei condomini e,
certamente, non si riferisce a tutti di condomini ma
ad una parte (benché considerevole) degli stessi. La
nascita dei diversi condomini ex articolo 61 disp.att.
c.c. presuppone, allora, la volontà (di una parte) dei
condomini.
Il condominio parziale, invece, trova la sua giustificazione in uno stato di fatto oggettivo (criterio
di utilizzazione e di utilizzabilità dei beni a favore
soltanto di alcuni condomini) non influenzabile
dalla volontà dei condomini: nessun condòmino,
ad esempio, potrebbe adire l’autorità giudiziaria per
affermare che un bene non collegato (per utilizzazione o utilizzabilità) al proprio appartamento ricada
anche nella sua proprietà condominiale. Nel condominio parziale, infatti, i beni sono in condominio
ai proprietari degli appartamenti che li utilizzano e
tale stato di fatto non può essere modificato dalla
volontà dei condomini; il collegamento è in re ipsa
e, come detto, nasce automaticamente per cui non
c’è neanche bisogno della manifestata volontà delle
parti né, tanto meno, di una pronuncia giudiziaria.
Differenti risultano quindi le ipotesi del condominio
parziale e quella ex articolo 61 disp.att. c.c. in base
all’analisi genetica e strutturale delle due fattispecie
ma vi sono altre considerazioni in proposito. È certo
che l’ipotesi del condominio parziale riposa, da un
lato, nella necessità oggettiva della sua esistenza
(indipendenza dalla volontà dei condomini e sussistenza sulla base di un oggettivo e verificabile collegamento che sorge tra un bene e gli appartamenti
al cui migliore godimento quel bene è destinato) e
dall’altro sul fatto che il condominio resta unico ed
al suo interno alcuni beni sono in comune soltanto
ad alcuni condòmini.
In base a questa seconda caratteristica si può affermare, insieme alla Cassazione, che: «Ammesso dunque
che, nell’ambito di un edificio diviso in piani o porzioni di piano, possono sussistere proprietà comuni di cose,
di impianti e di servizi limitate soltanto ad alcuni con-
9
Il
Condominio Nuovo
domini, conviene ricordare che il condominio parziale
postula che il condominio originario non si frantumi in
nuovi, distinti condomini»; questa premessa porta alla
conseguente riflessione: «La figura del condominio
parziale, invero, si distingue rispetto alla ipotesi della
separazione dei condomini disciplinata dagli artt. 61 e
62 disp.att. c.c. almeno per due ragioni:
a) per i presupposti di fatto, posto che il condominio
parziale sussiste anche quando non è possibile procedere
alla separazione, perché la parte dell’edificio - in cui
sono situate le cose, gli impianti ed i servizi comuni
collegati soltanto con alcune delle unità immobiliari
- non presenta le caratteristiche di parte o di edificio
autonomo (è il caso delle scale e dell’ascensore, che non
servono i locali con accesso soltanto dalla strada);
b) per il fatto costitutivo: il condominio parziale insorge «ope legis» ogni qual volta sussistono i presupposti,
configurati dalla relazione di accessorio a principale,
in concreto tra le singole unità immobiliari e determinate cose, impianti e servizi di uso comune, e non v’è
necessità del procedimento di separazione che si svolge
in assemblea o davanti all’autorità giudiziaria».
Come si vede i precedenti argomenti, sulla base della
rilevata differenza tra il condominio parziale ed il
condominio separato ex articolo 61 disp.att. c.c., ci
fanno concludere che quest’ultima ipotesi non im-
plica affatto il disconoscimento della prima poiché
esse sono estremamente differenti tra loro.
Quanto detto conferma la possibilità di un condominio parziale che esiste solo per alcuni beni e
soltanto tra i condomini che tali beni utilizzano; tale
condominio parziale non elimina affatto il condominio complessivo il quale continua a sussistere, tranne
che per la gestione di quei determinati beni la cui
titolarità resta a favore solo di alcuni condomini i
quali conseguentemente saranno gli unici a sopportare relative spese.
L’esistenza del condominio parziale trova una delle
sue più importanti affermazioni in sede di determinazione dei condomini obbligati alla partecipazione
alle spese. Infatti, il condòmino che in sede di riparto delle spese fatte dall’amministratore ritenga che
esse non lo riguardino in quanto egli non è proprietario del bene per cui si è proceduto alla manutenzione , potrà chiedere al giudice, con una azione di
accertamento ex art. 1123 c.c., che venga dichiarata
la mancanza dell’obbligo al pagamento delle stesse.
Il
Condominio Nuovo
La multiproprietà
Alessandro Auletta
Magistrato
Origine della multiproprietà, aspetti definitori e
modelli
La multiproprietà consiste nel godimento turnario,
ossia “a turno” in momenti successivi dell’anno, di
un bene suscettibile di utilità frazionata e ripetuta
nel tempo, da parte di un gruppo di soggetti (c.d.
multiproprietari).
La figura della multiproprietà trova il proprio
antecedente storico nella prassi di inizio Novecento
consistente nella riserva, da parte di grossi complessi
alberghieri a favore di alcuni soci, del diritto (cedibile) di utilizzare in determinati periodi dell’anno
stanze o appartamenti del gruppo a tariffe fortemente ridotte rispetto a quelle applicate ordinariamente.
Da questa forma primitiva di godimento turnario di
un bene, in cui non è difficile scorgere lo schema del
contratto di albergo , si giunge al progressivo sviluppo di una grossa varietà di schemi negoziali, alcuni
dei quali caratterizzati dal collegamento tra la qualità di socio e quella di multiproprietario, che diviene
una caratteristica invariante del modello (al punto
che il diritto di godimento del multiproprietario è
incorporato nel titolo rappresentativo della partecipazione sociale); altri, invece, dall’assoluta mancanza
di tale collegamento, nel senso che la società costruttrice di un complesso immobiliare aliena, a diversi
soggetti, diritti reali sulle unità abitative realizzate:
tali diritti danno titolo al godimento delle stesse non
già in modo pieno ed esclusivo, quanto piuttosto secondo turni distribuiti nel corso dell’anno, di modo
che la situazione giuridica soggettiva di ciascun multiproprietario insiste su una frazione temporale della
proprietà dell’immobile.
La prassi negoziale conosce, poi, modelli per così
dire compositi: in certi casi la società costruttrice,
da un lato, aliena frazioni spazio-temporali del bene
ai multiproprietari, dall’altro, conserva per sé la
proprietà della restante parte della struttura, assicurando ai multiproprietari il godimento di servizi
“comuni”; in altre ipotesi, che si connotano per una
notevole fungibilità dell’oggetto dell’operazione, il
contratto si compendia, essenzialmente, nell’acquisto, da parte del multiproprietario, di un “buono”
(ovvero di “punti”) che lo legittima(no) al godimento, normalmente per una settimana all’anno, di un
immobile ubicato in uno degli insediamenti turistici
gestiti dalla società costruttrice o da altre società
ad essa collegate; in altre ancora lo strumento della
multiproprietà è utilizzato per realizzare forme di
finanziamento, come quando un complesso immobiliare viene realizzato, in parte, attraverso l’apporto
dei capitali forniti dei multiproprietari, ed in parte
attraverso il credito concesso da un istituto bancario
che, per recuperare la somma mutuata, si riserva
la proprietà di una determinata quota di frazioni
spazio-temporali del bene, appropriandosi dei proventi che derivano dalla locazione delle medesime.
Restituito il prestito secondo tale modalità, il diritto
dei multiproprietari si estende all’intero complesso
immobiliare.
Degno di nota anche il modello dei “certificati
immobiliari”, diffuso in Italia, ove l’acquirente del
bene ha una duplice possibilità: utilizzare il bene nei
periodi convenuti ovvero cederne, verso corrispettivo, la disponibilità alla società venditrice.
Per quanto ogni tentativo di sistematizzare le numerose e diverse forme di multiproprietà sviluppatesi
nella pratica degli affari sia velleitario, vi è concordia
nel ritenere che il diverso atteggiarsi dei rapporti
tra multiproprietari consente di distinguere tra una
multiproprietà immobiliare ed una multiproprietà
azionaria, a seconda che l’organizzazione predisposta
da questi soggetti per la fruizione del bene ricalchi,
rispettivamente, lo schema del condominio (artt.
1117 e ss. c.c.) ovvero la disciplina della società
(artt. 2247 e ss. c.c.).
D’altro canto, occorre segnalare due interventi
normativi, entrambi ispirati dal legislatore europeo,
in virtù dei quali è oggi possibile delineare lo statuto
regolatorio della multiproprietà: si allude al d.lgs. 9
novembre 1998, n. 427 – attuativo della dir. 94/47
– in tema di “contratti relativi all’acquisizione di un
diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili”, il cui testo è confluito negli artt. 69 e ss., d.lgs. 6
settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del consumo), ed
al d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79 – in parte qua attuativo della dir. 2008/122 – recante il c.d. Codice del
turismo, che ha inciso sulla disciplina contenuta nei
citati artt. 69 e ss. del Codice del consumo al fine di
estendere e rafforzare la tutela prevista a favore della
parte debole del rapporto negoziale, il consumatore.
11
Il
Condominio Nuovo
La normativa appena citata, infatti, presenta una
assorbente finalità protettiva - che si compendia
nella prescrizione della forma scritta a pena di nullità nonché nella previsione, da un lato, di rilevanti
obblighi informativi a carico del professionista, e,
dall’altro, di un diritto di recesso a favore del consumatore (aspetti su cui si tornerà: par. 4) -, ma la
stessa non consente di risolvere il nodo problematico
dell’inquadramento giuridico dell’istituto (v. infra:
parr. 2 e 3).
A questo fine appaiono insufficienti (già) le definizioni di multiproprietà fornite dal legislatore:
dapprima si è inteso per multiproprietà il contratto
(o la serie di contratti) diretto a costituire, trasferire ovvero promettere di costituire o trasferire “un
diritto reale ovvero un altro diritto avente ad oggetto il godimento di uno o più beni immobili, per
un periodo determinato o determinabile dell’anno
non inferiore ad una settimana” (art. 69, Codice
del consumo, nella formulazione antecedente alle
modifiche di cui al d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79);
successivamente il “contratto di durata superiore ad
un anno tramite il quale un consumatore acquisisce
a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più
alloggi per il pernottamento per più di un periodo di
occupazione”.
Il passaggio, decretato dalla recenziore novella, da
una definizione più angusta ad una più ampia e
comprensiva appare privo di decisive implicazioni
dogmatiche, perché determina soltanto l’estensione
della portata applicativa delle norme poste a tutela
del consumatore, senza consentire la riconduzione
della multiproprietà (o delle multiproprietà) a schemi disciplinari collaudati ricavabili dal Codice civile,
ragion per cui il problema della definizione e della
regolazione dei rapporti tra multiproprietari (già
ampiamente discusso prima dell’introduzione della
riferita normativa) resta del tutto irrisolto.
Inquadramento dogmatico della multiproprietà
immobiliare e ricadute applicative
Malgrado la definizione “unificante” di cui all’art.
69, Codice del consumo, nella versione vigente – ove non si distingue, come avveniva in quella
previgente, tra multiproprietà diretta a costituire
o trasferire un diritto reale e multiproprietà diretta a costituire o trasferire un diritto (personale) di
godimento -, sembra necessario procedere all’esame separato della multiproprietà immobiliare e di
quella azionaria, sotto il profilo della qualificazione
e dell’inquadramento dogmatico della fattispecie:
ciò per la rilevante motivazione che nella multiproprietà immobiliare si discute, pur sempre, di diritti
reali, mentre nella multiproprietà azionaria vengono
in rilievo diritti che il multiproprietario vanta uti
socius, cioè nei confronti della società e non già –
mancando, a quanto pare, il requisito della realità
– erga omnes.
Fatta questa premessa, va detto che:
A) secondo una prima ricostruzione, il diritto del
multiproprietario, nella multiproprietà immobiliare, non sarebbe riconducibile ad alcuno dei “tipi”
disciplinati nel Codice civile, onde ci si troverebbe
di fronte ad un diritto reale atipico .
In particolare, attraverso un contratto atipico le parti darebbero vita ad un diritto bensì reale, ma non
contemplato espressamente nel nostro ordinamento.
La tesi in esame muove dal presupposto ideologico
(come si dirà, discutibile) che il principio del numerus clausus, che domina la scena in materia di diritti
reali, sia superabile, e che pertanto l’autonomia
negoziale delle parti possa trovare piena espansione,
attraverso la determinazione di nuovi diritti (appunto atipici), anche nel campo dei diritti dominicali.
La proposta ricostruttiva in esame sta e cade con il
suo presupposto, dovendosi ancora oggi escludere
l’ammissibilità di diritti reali atipici, sulla scorta di
precisi argomenti testuali e sistematici:
- quanto ai primi, rileva l’art. 832 c.c. che, nel disciplinare il contenuto del diritto di proprietà nel senso
che il proprietario può godere e disporre del bene
nel modo più pieno ed esclusivo, fa salvi i limiti e
l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento
giuridico. Ciò porta ad affermare la sussistenza di
una riserva in capo al legislatore in tema di limiti del
diritto proprietà, conformemente alla necessità di
assicurarne la funzione sociale (arg. ex art. 42, comma 2, Cost.), essendo pertanto preclusa ai privati la
possibilità di prevedere limiti alla proprietà diversi
ed ulteriori rispetto a quelli promananti dal diritto
oggettivo;
- quanto ai secondi, rileva la considerazione che il
potere di dare luogo a contratti innominati sarebbe limitato alla materia della obbligazioni e non si
estenderebbe a quella dei diritti reali: tanto si deduce
dalla collocazione topografica dell’art.. 1322, comma 2, c.c. nell’ambito del Libro IV (“Delle obbligazioni”) del Codice civile.
B) Alla stregua di una diversa impostazione, la
situazione giuridica soggettiva del multiproprietario
sarebbe da ascrivere, anche nei casi di multiproprietà
immobiliare, al novero dei diritti personali di godimento , onde il contratto di multiproprietà sarebbe
da riportare allo schema del contratto d’albergo:
ciò sulla scorta del rilievo che il multiproprietario
acquista (più che un bene, nel senso tradizionale
dell’espressione) un “pacchetto di servizi”, in quanto
al godimento turnario dell’unità immobiliare di che
trattasi si affiancano una serie di prestazioni accessorie (ma decisive nell’economia complessiva dell’affare) di carattere paralberghiero: dalla fruizione di
12
Il
Condominio Nuovo
complessi sportivi al cambio delle lenzuola o alla
pulizia dell’alloggio.
Inoltre, si rileva che, nella maggior parte dei casi, il
multiproprietario è sfornito del potere di gestione,
che è normalmente svolto, sulla scorta di un mandato irrevocabile a latere del contratto di multiproprietà, dal costruttore-venditore.
La tesi ha prestato il fianco a perspicui rilievi critici:
da un lato, si osserva che tale ricostruzione muove
da un errore di prospettiva, in quanto trasporta su
di un piano qualitativo problemi che attengono al
piano quantitativo: il tipo e la quantità dei servizi
collaterali offerti, cioè, non è (o meglio non deve
essere) determinante nel qualificare la posizione
giuridica soggettiva facente capo al multiproprie-
tà temporanea come coesistenza di due diritti di
proprietà, uno soggetto a termine finale e l’altro
soggetto a termine iniziale; talaltra si riconduce la
situazione del multiproprietario a quella del titolare
di uno ius in re aliena.
Mentre con riferimento a quest’ultima impostazione
si è fondatamente obiettato che non si comprenderebbe quale soggetto della relazione occupi, nella
specie, la posizione di nudo proprietario, con riferimento alla prima (la situazione dei multiproprietari
è da riguardare alla stregua della successione tra due
proprietà temporanee, una soggetta a termine finale
e l’altra soggetta a termine iniziale), si è osservato,
in senso critico, che la proprietà temporanea è una
variante dello schema della proprietà intesa in senso
tario; dall’altro, si nota, quanto all’assenza di un
potere di gestione in capo al multiproprietario, che
il conferimento di un mandato nell’interesse altrui
(a titolo oneroso) può avvenire anche nell’ambito di
una vicenda traslativa di un diritto reale ed anche
laddove il mandatario sia (rispetto all’effetto traslativo) il dante causa del mandante.
C) Da parte di altro filone interpretativo si riconduce la multiproprietà allo schema della proprietà
temporanea ovvero ad un quid mixtum di proprietà
temporanea e comunione .
Nella prima variante si parla, talvolta, di proprie-
tradizionale , onde la coesistenza di due (o più)
diritti di proprietà temporanei è concettualmente
concepibile solo se il rapporto intercorre tra due (o
più) proprietari pieni, che si avvicendano nel godimento del bene.
Detto altrimenti, lo schema della proprietà temporanea è incompatibile con l’intermittenza della multiproprietà ovvero con il fatto che il multiproprietario
torna ad essere tale, ciclicamente, per determinati
periodi dell’anno.
Ragionando in termini di proprietà temporanee soggette a termine finale (la prima) ed iniziale (la seconda) non si comprende come il diritto del multiproprietario, una volta estintosi per effetto dello spirare
del termine, possa rinascere l’anno successivo, per
poi estinguersi nuovamente, e così di seguito.
Oltretutto, il meccanismo del contratto ad esecuzione periodica appare in distonia con l’immediata
efficacia traslativa del consenso che caratterizza la
compravendita.
D) Assai innovativa – ma non del tutto convincente
13
Il
Condominio Nuovo
in punto di individuazione delle connesse ricadute
applicative, per le ragioni che si diranno – è la tesi
che spiega l’avvicendarsi dei diversi multiproprietari nel godimento del bene sulla scorta del rilievo
che tale bene non vada individuato soltanto con
riguardo alla sua dimensione spaziale ma anche con
riguardo alla sua dimensione temporale, posto che
quest’ultima concorre, come la prima, a definire il
bene (in senso giuridico: cfr. art. 810 c.c.) su cui
insiste il diritto dei multiproprietari .
Alla “unicità corporale della cosa” non corrisponde
“la unicità del bene in senso giuridico” . Alla unità
materiale della cosa corrispondono tanti beni in
senso giuridico (suscettibili di costituire oggetto di
altrettanti diritti) quante sono le porzioni temporali,
computate con riferimento ad un periodo di tempo
unitario (normalmente l’anno), assegnate a ciascun multiproprietario. E così ad un unico bene in
senso materiale (l’unità abitativa) corrispondono, se
consideriamo che ad ogni proprietario sia assegnato
il godimento turnario per una settimana all’anno,
cinquantadue diritti reali aventi ad oggetto la cosa in
una determinata settimana dell’anno.
In questo modo è superato il rilievo critico che viene
mosso alla tesi della multiproprietà come avvicendarsi di proprietà temporanee che nascerebbero e
si estinguerebbero ciclicamente (v. supra). Secondo
questa diversa impostazione, ciascun multiproprietario è proprietario pieno e in perpetuo dell’unità
abitativa, ma solo per una settimana all’anno: ciò
sulla scorta del rilievo che il bene è suscettibile di
utilizzazione periodica e frazionata nel tempo e che
l’oggetto della proprietà (il bene in senso giuridico)
è definito anche con riferimento alla sua estensione
temporale (una determinata settimana dell’anno,
periodo che ritorna ciclicamente ogni anno).
Anche la tesi in esame è stata sottoposta a vaglio
critico.
Tra le critiche più incisive vanno ricordate:
- quella secondo cui la tesi in esame non presenta
peculiarità rispetto a quella che spiega in rapporti tra
multiproprietari in termini di comunione (v. infra),
atteso che l’unica forma di coesistenza di diritti di
proprietà nel nostro ordinamento è data, appunto,
dalla comunione;
- quella secondo cui la tesi non risolve la questione
relativa alle vicende del diritto del multiproprietario
nei periodi di tempo diversi da quelli che ne individuano l’oggetto .
Su questi aspetti si è efficacemente replicato che:
- in realtà, i multiproprietari non sono proprietari
dello stesso bene in senso giuridico (presupposto
concettuale perché possa parlarsi della comunione),
onde non sarebbe applicabile il brocardo duorum
vel plurium in solidum domium esse non potest.
Al contrario, la distinzione tra la cosa e il bene (su
cui insiste il diritto) consente di dire che diverso è il
bene su cui si appunta il diritto di Tizio (la proprietà
dell’immobile dal 7 al 14 agosto di ogni anno) dal
bene su cui si appunta il diritto di Caio (la proprietà
dello stesso immobile dal 15 al 22 agosto di ogni
anno). Si deve in definitiva parlare di coesistenza di
proprietà su beni (in senso giuridico) diversi;
- il trascorrere del tempo non incide sulla titolarità
della situazione giuridica soggettiva, ma sul relativo
oggetto, in quanto tutto ciò che si pone al di fuori
del periodo di tempo su cui insiste il diritto di uno
dei multiproprietari è estraneo a quel diritto, e si
pone al di fuori di esso. In altri termini, nei periodi diversi da quello considerato la cosa è oggetto
di diritto altrui. Del resto la situazione giuridica
soggettiva del multiproprietario, secondo questa
ricostruzione, non si estingue per poi rinascere e
poi nuovamente estinguersi (e rinascere e così via),
perché in realtà il tempo si sviluppa secondo un andamento ciclico, onde il periodo che va dal 7 al 14
agosto torna ogni anno.
Dal punto di vista della disciplina applicabile, si
sostiene che i rapporti tra i multiproprietari siano
regolati dalle norme sul vicinato e da quelle riguardanti il condominio di edifici (anche da parte dei
sostenitori di questa tesi pertanto si riteneva, ancor
prima della modifica dell’art. 1117 c.c., che la disciplina delle parti comuni si applicasse anche laddove
il bene di proprietà esclusiva fosse oggetto di multiproprietà).
Ebbene, come si anticipava, è proprio il profilo che
attiene alle ricadute applicative della tesi in esame
quello che suscita maggiori perplessità.
In primo luogo, per quanto attiene all’applicabilità della disciplina del condominio (artt. 1117 e ss.
c.c.), si deve rilevare:
- da un lato, che il rapporto tra multiproprietari è
oggettivamente diverso dal rapporto tra condomini.
Quest’ultimo si caratterizza, infatti, per la coesistenza di una proprietà esclusiva (in capo al singolo
condomino) e di una proprietà comune in relazione
alle parti dell’edificio che assolvono ad una funzione
servente rispetto alle unità abitative; nel caso della
multiproprietà, se pure volesse ammettersi l’esistenza
di una proprietà esclusiva (temporalmente frazionata
e ciclica) in capo ai singoli multiproprietari, non si
comprende, invece, in cosa consista il richiamo alla
proprietà comune (non tanto in riferimento alla parti comuni dell’edificio, quanto piuttosto) in relazione agli “intervalli cronologici necessari per rendere
possibile il regolare avvicendamento nella presa di
possesso del bene”, siccome nella elencazione di cui
all’art. 1117 c.c., nessuna delle voci sembra interpretabile in modo tale da ricomprendere il tempo come
elemento che vale a definire non solo la proprietà
turnaria del bene (proprietà esclusiva) ma anche il
14
Il
regolare avvicendarsi dei multiproprietari nei periodi
in cui ciascuno di essi non gode del bene medesimo;
- dall’altro lato, che la recente modifica dell’art.
1117 c.c. (l. 11 dicembre 2012, n. 220) conferma
la scelta di intendere le “parti comuni” secondo un
criterio, per così dire, fisico e spaziale, anche laddove
la proprietà esclusiva di una o più unità immobiliari
sia oggetto di godimento turnario nel corso dell’anno da parte di diversi soggetti, senza possibilità di
estendere tale disciplina all’altra dimensione (quella
temporale) alla stregua della quale si pretende di
individuare il bene in senso giuridico oggetto di
multiproprietà. Ne consegue, a ulteriore conforto
di quanto più sopra osservato, l’impossibilità di
interpretare analogicamente la disciplina sulle parti
comuni, riferendola non solo alle parti intese in
senso spaziale ma anche alle parti intese in senso
temporale.
In secondo luogo, e per ragioni similari, deve respingersi l’ipotizzata applicabilità in via analogica della
disciplina del vicinato, atteso che anch’essa, come
quella delle parti comuni, trae origine dalla necessità di regolare rapporti di prossimità intesi in senso
spaziale e non già in senso temporale: stante questo
substrato materiale, non pare sufficientemente argomentata la conclusione per cui si potrebbe parlare di
“vicinato” anche tra multiproprietari che si succedono nel godimento del bene, cosicché sfugge in cosa
consista, nella specie, la medesimezza della ratio che
possa giustificare l’applicazione al caso non previsto
(successione temporale dei multiproprietari) della
normativa dettata per il caso (asseritamente) simile
espressamente disciplinato (il rapporto tra proprietari “vicini” in senso spaziale).
E) Vi è, infine, chi ritiene che la multiproprietà
possa essere riportata, mutatis mutandis, alla disciplina della comunione (artt. 1100 e ss. c.c.) : ciò
sul presupposto concettuale che tale disciplina non
presuppone il godimento promiscuo del bene da
parte dei comunisti, i quali ben potrebbero stabilire,
di comune accordo (regolamento di comunione), di
goderne nel rispetto di un turno.
Alla comunione della proprietà dell’alloggio, secondo lo schema appena delineato, si accompagna
normalmente la disciplina delle parti comuni ove il
bene è situato (regolamento di condominio) . Su tale
aspetto occorre segnalare la recente modifica dell’art.
1117 c.c. secondo cui la disciplina delle parti comuni degli edifici in condominio trova applicazione anche quando una, alcuna o tutte le unità abitative del
complesso siano oggetto di godimento turnario da
parte di multiproprietari (diversi per ciascuna unità
abitativa). Invero, come si è più sopra rilevato, la
recente disposizione sembra riguardare i rapporti tra
il gruppo di multiproprietari, inteso unitariamente,
e le parti comuni dell’edificio, senza dire nulla circa
Condominio Nuovo
i rapporti “interni” tra i diversi turnisti: aspetto,
questo, che induce a ritenere che in relazione a tale
profilo occorra pur sempre un regolamento tra i
multiproprietari volto a disciplinare, con riguardo
alle parti comuni, le vicende interne al gruppo (ad
esempio per quanto attiene alla suddivisione delle
spese).
La tesi della multiproprietà come comunione, che
trova seguito nella giurisprudenza prevalente , è stata
sottoposta a critica, secondo le seguenti traiettorie
argomentative:
- una caratteristica invariabile della comunione è la
sua divisibilità, che può essere chiesta sempre da ciascuno dei comunisti (art. 1111 c.c.), mentre il patto
di rimanere in comunione è ammesso ma ha un’efficacia temporale limitata (cfr. art. 1111, comma 2,
c.c.);
- nei contratti di multiproprietà non è previsto lo ius
adcrescendi degli altri multiproprietari in ipotesi di
rinuncia da parte di questi, mentre lo ius adcrescendi qualifica la comunione sotto il profilo disciplinare
(arg. ex art. 1104 c.c.);
- lo scioglimento non può essere chiesto soltanto
nelle ipotesi (da intendersi in senso restrittivo) in cui
si tratti di cose che, se divise, cesserebbero di servire
all’uso cui sono destinate (art. 1112 c.c.).
Si è replicato, in primo luogo, che la prima e fondamentale norma in materia di comunione (art. 1100
c.c.) stabilisce che le disposizioni successive si applicano se il titolo (o altra norma di legge) non dispone
diversamente.
Ferme restando le norme imperative, pertanto, le
norme sulla comunione devono ritenersi derogabili
dall’autonomia privata.
Quanto alla indivisibilità della comunione, che può
essere temperata ma non esclusa dal patto contrario,
si è suggerita una interpretazione estensiva dell’art.
1112 c.c. - che esclude la divisibilità quando si
tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire
all’uso cui sono destinate - sul presupposto che tale
disposizione “si presta ad essere adattata alle esigenze
funzionali della cosa comune, in relazione anche a
nuove forme di comunione, che vengono introdotte
nella pratica per corrispondere a nuovi bisogni” .
Si è allora ritenuto che sono “la destinazione del
bene” e la relativa “funzione economica” a giustificare l’indivisibilità , onde “non serve e non varrebbe,
invece, il patto di indivisibilità, pure contenuto
talvolta nei contratti di vendita” .
Le principali ricadute applicative di un simile inquadramento della fattispecie sono così sintetizzabili:
- l’acquirente può cedere il contratto (art. 1406 c.c.);
- il multiproprietario può disporre, nei modi consentiti dalla natura del bene, della propria quota, con atti
inter vivos e mortis causa, nonché costituire sulla stessa diritti personali di godimento a vantaggio di terzi;
15
Il
Condominio Nuovo
- il multiproprietario può rinunciare alla propria
quota, il che determina l’accrescimento delle quote
degli altri partecipanti alla comunione, in misura
proporzionale alle rispettive quote;
- discussa è invece la titolarità, in capo al multiproprietario, del potere di costituire ipoteca, considerato il (sopra rilevato) carattere indivisibile
della multiproprietà: si ritiene però che “come nel
normale condominio di edifici è realizzabile senza
divisione l’ipoteca costituita dal proprietario della
porzione dell’immobile, pur insistendo l’ipoteca pro
quota anche sulle parti comuni indivisibili, per il
nesso inscindibile tra porzione e parti comuni, così
appare sostenibile l’ipotecabilità della multiproprietà
immobiliare”;
Va inoltre rilevato che, sulla scorta della qualificazione della fattispecie in termini di comunione, la
giurisprudenza prevalente ritiene che sia nullo, per
indeterminatezza dell’oggetto, il contratto preliminare avente ad oggetto una generica “quota di partecipazione indivisa”, senza alcuna specificazione dei
criteri, anche millesimali, per la determinazione della quota stessa, nonché del preciso periodo dell’anno
di godimento del turno da parte del promissario
acquirente (viceversa incidente sull’entità del prezzo) indicato secondo lo schema delle c.d. settimane
fluttuanti ; del pari, è nullo il contratto di credito al
consumo “concluso al fine di acquistare una quota
di godimento turnario di appartamento in multiproprietà in time share, ove risulti che: a) nel contratto
non figura alcuna descrizione dettagliata dei beni; b)
il sottostante contratto collegato è nullo per indeterminatezza dell’oggetto”.
Multiproprietà azionaria: modelli, inquadramento dogmatico e compatibilità con la disciplina
codicistica
Come si anticipava, la multiproprietà azionaria si
caratterizza per ciò, che la posizione di multiproprietario è inscindibilmente connessa a (pur non
confondendosi con) quella di socio di una società,
normalmente di una società per azioni, onde il
diritto di godimento del bene (o di un bene, nel
caso in cui l’oggetto sia fungibile: v. supra), per un
dato periodo dell’anno, trova il proprio titolo (di
legittimazione: v. infra) nella posizione di socio del
multiproprietario.
Anche, e forse soprattutto, nel settore della multiproprietà azionaria la forza inventiva dei pratici ha
trovato la massima esplicazione, tanto che i modelli
di riferimento sono molteplici e difficilmente riconducibili a sistema.
Ciò nondimeno, possiamo individuare due principali tipologie di multiproprietà azionaria:
- nella prima, riconducibile all’esperienza francese, la
società costruttrice del complesso immobiliare vende
al multiproprietario proprie azioni le quali conferiscono al socio il diritto di utilizzare in predeterminati periodi dell’anno una frazione spazio-temporale
del complesso immobiliare. La particolarità del titolo azionario sta quindi nel conferire al socio, oltre
ai consueti diritti di partecipazione agli utili ed alla
vita sociale, la legittimazione a godere periodicamente di un bene del compendio aziendale;
- nella seconda, la società costruttrice, proprietaria
di un complesso immobiliare, emette azioni privilegiate che conferiscono, per un verso, il diritto al loro
titolare di partecipare senza diritto di voto alle sole
assemblee straordinarie e, per altro verso, il diritto
di “usare gratuitamente” una porzione dell’unità immobiliare secondo precise e predeterminate
modalità cronologiche; una volta ultimata la vendita
delle azioni privilegiate, la società assegna (in forza
di una clausola contenuta nel contratto di vendita
delle azioni privilegiate) a ogni multiproprietario
un pacchetto di azioni ordinarie proporzionale alle
azioni privilegiate già in suo possesso.
La dottrina ritiene che, nell’uno e nell’altro caso
(nonché nelle numerose varianti “intermedie”), il
diritto del multiproprietario si caratterizza come:
- diritto di godimento mediato (di contro alla immediatezza che caratterizza i diritti reali), per intendere
Il
che la realizzazione dell’interesse del titolare dipende
dal comportamento positivo della società proprietaria del complesso immobiliare, sulla quale grava
l’obbligo di consegnare la cosa in condizioni adeguate all’uso cui la stessa è destinata, mentre l’inadempimento di questo obbligo, di per sé, impedisce la
soddisfazione di tale interesse ;
- diritto di godimento relativo, in quanto, per un
verso, il diritto può esser fatto valere soltanto nei
confronti della società proprietaria del complesso e,
per altro verso, lo stesso non può essere violato da
soggetti diversi da quello obbligato .
Ne consegue che ci muoviamo nell’ambito dei diritti
di credito e, per converso, al di fuori degli schemi
della comunione e del condominio.
La dottrina che si è occupata di multiproprietà azionaria ha individuato dei possibili punti di frizione
tra la disciplina codicistica della società e la posizione caratteristica del multiproprietario azionario.
E così:
- se l’attività di attribuzione in godimento ai soci
dei bene della società esaurisce per intero l’attività
di quest’ultima (multiproprietà azionarie pure) vi
è assenza di scopo lucrativo, in violazione dell’art.
2247 c.c.;
- vi è altresì contrasto con l’art. 2248 c.c. che assoggetta
le società di mero godimento alla disciplina della comunione (e non già a quella del tipo sociale prescelto);
Condominio Nuovo
Si richiamano, inoltre, le norme che circoscrivono la
possibilità di dare vita a titoli azionari “atipici”. Ad
esempio, l’art. 2345 c.c. esclude che il socio possa
essere obbligato nei confronti della società a prestazioni accessorie consistenti in denaro ovvero l’art.
2256 c.c. secondo cui il socio non può servirsi, senza
il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti
al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della
società.
Le riferite criticità, peraltro, sono state ritenute
superabili, a condizione che si tengano distinte, da
un punto di vista concettuale, la posizione di socio e
quella di multiproprietario.
È stato così scritto che “non si è multiproprietari
perché azionisti né azionisti perché multiproprietari,
ma multiproprietari e azionisti” .
La confutazione degli argomenti critici sopra esposti
appare più agevole con riferimento alla multiproprietà azionaria c.d. impura, che si distingue da
quella c.d. pura (più vicina alla comunione di mero
godimento: art. 2248 c.c.) per ciò, che l’oggetto sociale non si esaurisce nell’attribuzione in godimento
degli alloggi ai soci, residuando, oltre a questa, delle
attività collaterali, connesse alla principale, che giustificano la permanenza di un “patrimonio destinato” in capo alla società e la produzione e ripartizione
di utili tra i soci.
Per la multiproprietà azionaria pura, il superamento della critica per cui non vi sarebbe uno scopo
di lucro è più difficoltoso, implicando uno sforzo
argomentativo volto a negare che tale scopo sia un
elemento essenziale della società e che la relativa
eventuale mancanza inficerebbe il contratto costitutivo . Quanto al primo profilo, si osserva che la costituzione della società si perfeziona con il momento
dell’iscrizione ovvero in un momento in cui non vi
è o non vi è ancora la produzione di utili (arg. ex
art. 2200 c.c.); quanto al secondo, che tra le cause
di nullità della società non figura l’assenza di scopi
di lucro, onde il contratto che non lo preveda non è
nullo, atteso il carattere tassativo delle cause di nullità del contratto di che trattasi (art. 2332 c.c.).
Si è in ogni caso osservato che il titolo giuridico
che legittima il multiproprietario azionista a godere
del bene e che lo obbliga a corrispondere somme di
denaro (oltre che a conformare il proprio comportamento ad una serie di precetti di contenuto positivo
e negativo) deriva non dal contratto di società ma da
un contratto autonomo concluso con la società.
Dal contratto di società, invece, derivano i diritti
tipici del socio, da cui esula (necessariamente) il
profilo del godimento turnario del bene.
In altre parole, il titolo azionario non incorpora il
diritto personale di godimento ma è, rispetto ad esso
godimento, solo titolo di legittimazione.
Questa scissione è attuata, anche dal punto di vista
17
Il
Condominio Nuovo
materiale, attraverso la sottoscrizione, accanto al
negozio traslativo della partecipazione sociale, di un
“regolamento di multiproprietà” in virtù del quale,
da un lato, “il multiproprietario può pretendere
dalla società la consegna della cosa formante oggetto
del diritto personale di godimento ogni qual volta ricorra l’intervallo cronologico a lui riservato, dall’altro, la società può pretendere dal multiproprietario il
pagamento del prezzo convenuto” .
Si ritiene che tra il negozio traslativo della partecipazione azionaria e quello che disciplina il godimento
turnario del bene (regolamento) sussista nondimeno
un collegamento funzionale volontario .
Tale regolamento, normalmente predisposto in via
unilaterale dalla società proprietaria del complesso
immobiliare, non determina in capo al multiproprietario situazioni giuridiche soggettive, di vantaggio
o svantaggio, verso gli altri multiproprietari, ma
esclusivamente verso la società: ne discende che la
violazione delle regole di comportamento descritte
in questa convenzione rileva in termini di inadempimento del singolo multiproprietario nei riguardi
della società, con l’ulteriore conseguenza che gli altri
multiproprietari possono, di fronte a siffatte violazioni, al più invocare la tutela offerta dall’art. 1585
c.c., stante il carattere mediato e relativo (e non già
reale) del loro diritto.
Escluso, in definitiva, che il diritto di godimento
tragga origine dal contratto di società (perché la sua
fonte va rinvenuta in un negozio ad esso collegato) si
può respingere la critica relativa alla supposta assenza, in questo tipo di società, dello scopo di lucro.
La disciplina della multiproprietà nel Codice del
consumo, come modificato dal c.d. Codice del
turismo
Per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. 23
maggio 2011, n. 79 (Codice del turismo) [v. supra,
par. 1], la disciplina contenuta negli artt. 69 e ss.,
Codice del consumo, si applica (oltre che a tutte le
forme di multiproprietà prima analizzate) anche a
tipologie negoziali in precedenza non ricompresibili
nell’ambito precettivo della normativa.
Si pensi:
- ai contratti relativi a un prodotto per le vacanze di
lungo termine che consistono in contratti di durata
superiore ad un anno in forza dei quali un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di ottenere
sconti o altri vantaggi relativamente ad un alloggio,
separatamente o unitamente al viaggio o ad altri
servizi;
- ai contratti di rivendita, con i quali l’operatore assiste a titolo oneroso un consumatore nella vendita o
nell’acquisto di una multiproprietà o di un prodotto
per le vacanze di lungo termine;
- ai contratti di scambio, che consentono al consumatore di partecipare, verso il pagamento di un corrispettivo, ad un sistema di scambio che gli consente
l’accesso all’alloggio per il pernottamento o ad altri
servizi in cambio della concessione ad altri dell’accesso temporaneo ai vantaggi che risultano dai diritti
derivanti dal suo contratto di multiproprietà.
L’art. 70 disciplina le forme di pubblicità del contratto: al primo comma la disposizione prevede che
“se un contratto di multiproprietà, un contratto
relativo a un prodotto per le vacanze di lungo termine o un contratto di rivendita o di scambio viene
offerto al consumatore in persona nell’ambito di una
promozione o di un’iniziativa di vendita, l’operatore
indica chiaramente nell’invito lo scopo commerciale
e la natura dell’evento”, mentre al terzo comma che
“una multiproprietà o un prodotto per le vacanze di
lungo termine non sono commercializzati o venduti
come investimenti”.
Prima della conclusione del contratto l’operatore
professionale deve fornire al consumatore, in forma
chiara e comprensibile, “informazioni accurate e
sufficienti”: nel caso della multiproprietà si tratta
di quelle indicate nel formulario informativo di
cui all’allegato II-bis al Codice del consumo (art.
71), documento, questo, che pertanto rappresenta
il modello uniforme della contrattazione in materia
nell’intero ambito euro-unitario.
Il contratto deve essere stipulato per iscritto, a pena
di nullità e ne costituiscono parte integrante le informazioni precontrattuali di cui all’art. 71 le quali
possono essere modificate solo con l’accordo esplicito delle parti ed a fronte di “circostanze eccezionali
ed imprevedibili, indipendenti dalla volontà dell’operatore” e da quest’ultimo non evitabili attraverso
l’uso della “dovuta diligenza”.
Nel silenzio della legge, si discute su quali siano le
conseguenze della mancanza, nel contratto, del contenuto informativo obbligatorio di cui s’è detto.
A) Secondo un primo orientamento sarebbe configurabile una “reticenza”, fonte di responsabilità
precontrattuale dell’organizzatore . Ma, si osserva,
la riduzione della tutela del contraente debole al
rimedio risarcitorio frustra la ratio della disciplina
in esame, che è quella di riequilibrare l’asimmetria
conoscitiva delle parti, con riguardo all’assetto finale
degli interessi ;
B) Per altra impostazione trova applicazione il meccanismo sostitutivo previsto dall’art. 1419, comma
2, c.c. .
A tale conclusione si perviene sulla scorta dell’applicazione analogica della disciplina dettata in materia
di credito al consumo (art. 125-bis, comma 7, d.lgs.
1° settembre 1993, n. 385), che prevede un mecca-
18
Il
Condominio Nuovo
nismo sostitutivo automatico a fronte della mancata
indicazione, nel contratto, di determinate informazioni (il tipo di contratto di credito, l’importo totale, la durata, il Taeg, il numero e la periodicità delle
rate, nonché tutte le spese derivanti dall’operazione).
In senso critico si è condivisibilmente osservato che
questa proposta ricostruttiva, pur pregevole sotto il
profilo del contemperamento dei diversi interessi in
gioco, risulta di difficile attuazione, stante la mancanza di criteri per la selezione dei contenuti sostitutivi .
C) Per altri interpreti verrebbe in rilievo una causa di nullità del contratto per indeterminatezza o
indeterminabilità dell’oggetto . Questa soluzione
viene praticata dalla giurisprudenza a fronte di un
contratto (anche preliminare) che individui il periodo di godimento genericamente con il sistema delle
settimane fluttuanti .
Non sfugge come, in base alla legge, la nullità sia
comminata per il caso in cui manchi la forma scritta:
tuttavia, la giurisprudenza di merito è orientata nel
senso di estendere tale sanzione anche al caso in cui
“nella scrittura non siano adoperati termini o frasi
comprensibili agevolmente, o comunque quando
non vengano indicati gli elementi ritenuti necessari dal legislatore”, come le suddette informazioni
precontrattuali .
In ogni caso, la mancata fornitura delle informazioni
precontrattuali integra gli estremi (salvo che il fatto
costituisca reato) dell’illecito amministrativo, dalla
cui commissione consegue l’applicazione di una
sanzione pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro, nonché,
nei casi di reiterata violazione, la sanzione accessoria
della sospensione dell’operatore dall’esercizio dell’attività da trenta giorni a sei mesi (art. 81, Codice del
consumo).
Inoltre, in questa ipotesi il diritto di “ripensamento”
ai fini del recesso (v. infra) viene prolungato di tre
mesi (art. 73, comma 4, Codice del consumo).
In termini generali, al consumatore è concesso un
periodo di quattordici giorni, naturali e consecutivi,
per recedere, anche senza indicazione dei motivi, dal
contratto di multiproprietà ovvero dagli altri contratti cui si applicano gli artt. 69 e ss..
Il periodo di recesso si calcola:
- dal giorno della conclusione del contratto definitivo o preliminare;
- dal giorno in cui il consumatore riceve il contratto
definitivo o preliminare, se ciò avviene successivamente alla conclusione dello stesso.
Esso scade:
- dopo un anno e quattordici giorni se il formulario di recesso non è stato compilato dall’operatore
e consegnato al consumatore in forma scritta o su
supporto durevole;
- (come si anticipava) dopo tre mesi e quattordici
giorni in caso di mancata fornitura delle informazioni precontrattuali.
Anche con riferimento alla disciplina del recesso,
pertanto, il formulario uniforme predisposto dal
legislatore presenta una notevole importanza .
L’esercizio del recesso avviene tramite comunicazione
scritta, con modalità tali da dimostrare l’anteriorità
della spedizione alla scadenza del periodo di recesso
(art. 74, comma 1), comunicazione da cui consegue
l’estinzione degli obblighi delle parti in merito alle
prestazioni contrattuali (art. 74, comma 3) .
È inoltre vietato qualsiasi versamento di denaro a
titolo di acconto, prestazione di garanzie, l’accantonamento di denaro sotto forma di deposito bancario,
il riconoscimento esplicito di debito o altri oneri a
carico del consumatore prima della fine del periodo
di recesso (art. 75, comma 1).
Fatto salvo quanto previsto dagli artt. 125-ter e
125-quinquies, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, in
materia di contratti di credito ai consumatori, se il
prezzo è interamente o parzialmente coperto da un
credito concesso al consumatore dall’operatore o da
un terzo in base a un accordo fra il terzo e l’operatore, il contratto di credito è risolto senza costi per
il consumatore qualora il consumatore eserciti il
diritto di recesso dal contratto di multiproprietà, dal
contratto relativo a prodotti per le vacanze di lungo
termine, o dal contratto di rivendita o di scambio
(art. 77, comma 2).
Per quanto attiene alla tutela giurisdizionale:
- la competenza territoriale inderogabile spetta al
giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore se ubicati nel territorio dello Stato (art. 78,
comma 2);
- laddove le parti abbiano convenuto di applicare al
contratto una legislazione diversa da quella italiana,
alla parte debole devono comunque essere riconosciute le condizioni di tutela previste dagli artt. 69 e
ss.;
- sono attingibili i rimedi di cui agli artt. 27, 139,
140, 140-bis, Codice del consumo (cioè trovano
luogo, anche in questo ambito, i poteri di vigilanza e
sanzionatori dell’Autorità Antitrust in tema di pratiche commerciali scorrette, nonché i rimedi collettivi,
esercitabili a livello associativo) [art. 79, comma 1];
- è in ogni caso fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario (art. 79, comma 2).
20
Il
Condominio Nuovo
Il riparto delle spese nel supercondominio
Enzo Rocco
Avvocato
La differenza tra condominio e supercondominio è
pacifica sia in dottrina che in giurisprudenza. Nel caso
di un complesso residenziale costituito da tre distinti
fabbricati. Ciascuno degli edifici integra un condominio distinto, cui appartengono i soli proprietari delle
unità abitative ivi ubicate e che è competente a deliberare in merito alla gestione ed amministrazione di quelle
parti di quel solo stabile che sono destinate all’uso ed
al godimento comune. Invece, per quel che concerne i
beni e servizi comuni a tutti e tre i fabbricati costituenti
il complesso residenziale, sussiste un ulteriore (super)
condominio deputato a provvedere alla loro gestione
attraverso un’assemblea alla quale hanno titolo per partecipare i proprietari delle unità ubicate in tutti e tre gli
edifici. Di conseguenza, qualora la delibera di approvazione avesse riguardo ad un unico bilancio e fosse presa
con il voto di tutti i partecipanti al complesso immobiliare, essa è da ritenersi completamente nulla. Infatti,
occorre approntare distinti documenti contabili, il
primo: riflettente le poste attive e passive della gestione
dei beni comuni all’intero complesso; altri tre separati
bilanci quelle inerenti alla gestione dei singoli corpi di
fabbrica, ognuno dei quali da sottoporre al vaglio ed
all’approvazione separata di ciascuna assemblea condominiale.
Per cui ove invece l’approvazione si avesse in una unica
assemblea bisogna ritenere che la stessa abbia oltrepassato i propri poteri che trovano un limite nella gestione
dei beni comuni all’intero complesso edilizio.
Al riguardo occorre innanzi tutto evidenziare che le
norme codicistiche dirette a disciplinare l’istituto del
condominio, non erano, prima della riforma, tendenzialmente destinate a trovare applicazione allorché
venivano in considerazione più corpi di fabbrica del
tutto autonomi tra loro. La disciplina civilistica del
condominio era, infatti, destinata a regolare il fenomeno del collegamento tra la proprietà individuale e la
proprietà collettiva negli edifici divisi per piani orizzontali ed ha il suo fondamento nella circostanza che talune
porzioni dell’edificio (scale, muri maestri, fondamenta,
etc.) sono necessarie per l’esistenza stessa del fabbricato
e delle unità abitative che lo compongono ovvero sono
strutturalmente e permanentemente destinate all’uso
ed al godimento comune da parte dei proprietari delle
singole abitazioni (cfr. n. 2462/1965, n. 2448/1979, e
n. 6575/ 1984).* Per una tale evenienza il codice civile
detta una presunzione di contitolarità, tra i proprietari
delle singole unità abitative, delle porzioni dell’edificio che rivelino attitudine funzionale al servizio o
al godimento collettivo la quale, in difetto di diverse
previsioni contrattuali, sorge automaticamente con
il frazionamento della proprietà edificiale in virtù di
negozi giuridici atti a trasformare la situazione originaria di dominio esclusivo e solitario in una situazione di
dominio plurimo. Cioè, allorché il proprietario dello
stabile alieni a terzi una o più delle unità abitative che
lo compongono, viene automaticamente a costituirsi il
condominio sulle parti dello stabile strutturalmente e
funzionalmente destinate all’uso comune senza necessità
alcuna di un formale atto costitutivo, della formazione
di un regolamento condominiale o di un’apposita delibera assembleare la quale assumerebbe valore meramente dichiarativo dell’esistenza del condominio da gestire
nelle forme ed attraverso gli organi all’uopo contemplati
dal codice civile (cfr. n. 3671/1987, n. 5771/1978, n.
6073/1978 e n. 1/1977).*
Se tale era l’ambito applicativo dell’istituto codicistico
del condominio, occorre tuttavia sottolineare che l’evolversi degli indirizzi urbanistici verso nuove tecnologie
costruttive ha dato vita a nuove tipologie residenziali
in cui edifici contigui ed autonomi, costituenti altrettanti condominii separati, che vantano taluni beni (es.
un cortile, un viale d’accesso, etc.) o alcuni servizi (es.
l’impianto di riscaldamento) destinati permanentemente ed oggettivamente all’uso ed al godimento di tutte le
unità abitative comprese nei diversi corpi di fabbrica.
In una tale ipotesi, rispetto a tali beni e servizi, viene
a costituirsi quello che in dottrina e giurisprudenza
viene definito un “supercondomininio”. Ed in virtù
di un’interpretazione estensiva ed analogica potevano
ritenersi applicabili ai suddetti beni o servizi le norme
sul condominio degli edifici e, segnatamente, la presunzione di comunione dettata dall’art. 1117 c.c. nonché
le disposizioni dettate dall’art. 1136 c.c. in tema di
convocazione, costituzione e formazione dell’assemblea
nonché di calcolo delle maggioranze da determinare
avendo riguardo agli elementi reali e personali del supercondominio configurati, rispettivamente, da tutte le
unità abitative comprese nel complesso e da tutti i loro
proprietari (cfr. Cass. n. 4881/1993 e, da ultimo, Cass.
n. 7286/1996).
Con la riforma il problema è stato risolto con l’espressione testuale di cui all’art. 1117 c.c. laddove si è previsto che le norme sul condominio si applicano anche in
21
Il
presenza di più unità immobiliari purché vi siano beni
in comune. E’ questo è proprio il caso del supercondominio. Così si sono anche risolti, qualora vi fossero stati
ancora dubbi i casi del cosiddetto condominio orizzontale, ecc.
Ove ciò avvenga, ciascuno dei corpi di fabbrica che
costituiscono il complesso residenziale costituirà
dunque un separato condominio dotato dei propri
organi di gestione competenti a deliberare in merito
alla conservazione, all’utilizzo ed alle spese da sostenere
per l’amministrazione delle parti comuni dello stabile
(assemblea ed amministrazione) e, accanto a tali condominii, ne sussisterà un altro deputato alla gestione dei
beni e dei servizi destinati in modo permanente all’uso
ed al godimento di tutti gli edifici dotato di analoghe
competenze.
Affinché l’intero complesso edilizio possa essere considerato alla stregua di un intero edificio, e costituire un
solo condominio dotato di competenza generale, occorrerebbe,
infatti, necessariamente poter
individuare un titolo convenzionale costitutivo di una comunione tra tutti gli abitanti del
complesso sulle parti strutturali
di tutti gli edifici (cfr. Cass. n.
4439/1982); in mancanza di
tale titolo, bisogna considerare
l’esistenza di quattro separati
condominii (uno per ciascun
corpo di fabbrica più quello relativo ai beni ai medesimi comuni,
la quale discende dai principi generali in difetto di un titolo contrario. Tra l’altro, un’eventuale
delibera a maggioranza assunta
dall’assemblea di un supercondominio per istituire un unico
condominio tra i vari edifici sarebbe nulla, violando il
diritto di ciascun condomino di far parte del condominio costituito dal solo edificio in cui è proprietario di
unità immobiliari (cfr. Cass. n. 11276/1995).
Resta eventualmente de verificare, sempre nel caso di
complesso residenziale formato da più fabbricati, l’esistenza di un regolamento condominiale che stabilisca
un’unità di gestione statuendo che le delibere inerenti
all’amministrazione dei singoli fabbricati vengano
comunque assunte in seno all’assemblea generale con
le maggioranze ed il quorum costitutivo per la medesima previsto. In tale evenienza, il predetto regolamento
dovrebbe essere considerato nullo; infatti, tanto i regolamenti formati a maggioranza dall’assemblea quanto quelli
aventi natura contrattuali perché formati dall’originario
proprietario dell’edificio e richiamati negli atti d’acquisto
delle singole unità abitative che lo compongono, non
Condominio Nuovo
possono derogare alle disposizione codicistiche richiamate dall’art. 1138 u.c. c.c. e, segnatamente, all’art.
1136 c.c. che individua i soggetti legittimati a partecipare all’assemblea e le maggioranze necessarie per la
rituale costituzione e per l’approvazione delle delibere
(cfr. per es. Cass. 4905/1990). Ne consegue che la previsione regolamentare relativa all’adozione delle delibere
dei singoli condominii in seno all’assemblea generale
con le maggioranze per la medesima previste, sarebbe
evidentemente nulla legittimando la partecipazione al
voto di soggetti che non hanno veste di condomini e
fissando maggioranze evidentemente superiori a quelle
legali.
Tale ragionamento è stato recentemente confermato
dalla S.C. che con sentenza n. 23688 del 06.11.2014
ha ritenuto nulla la delibera assembleare del supercondominio che aveva approvato il rifacimento delle
facciate dei tre diversi fabbricati che lo compongono.
Il caso in esame soffre però ancora di altra particolarità,
al riguardo la Cassazione ha negato ogni fondatezza
alla diversa tesi che, sostenuta nella sentenza impugnata, riteneva che si fosse di fronte a disposizioni del
regolamento di condominio che avessero dato luogo
alla diversa convenzione ai sensi dell’art. 1123 c.c. che
deve ritenersi derogabile. Per la Suprema Corte tale
previsione consente, invece, solo una diversa ripartizione convenzionale delle spese cui i condomini di un
edificio siano tenuti comunque a contribuire. In realtà
in tale diversa convenzione deve leggersi, trattandosi di
regolamento contrattuale, anche la diversa ed unanime
volontà di dare al bene non collegato funzionalmente
una destinazione diversa di comproprietà ammessa
dall’ordinamento e come tale le facciate appartengono a
tutti i condomini e tutti partecipano alle deliberazioni
che le hanno ad oggetto.
23
Il
Condominio Nuovo
L’obbligo delle trattative precontrattuali in
condominio
Lucia Gangale
Avvocato
Obbligo del preventivo di carattere informativo ed
economico prima della stipula del contratto
Il decreto legislativo 21/2014 nel recepire la direttiva europea n. 2011/83, ha stabilito l’obbligatorietà
del preventivo scritto anche per i lavori di manutenzione su parti comuni, ha modificato il regime delle
clausole vessatorie dei contratti stipulati dal condominio, e determinato la nuova disciplina del diritto
di recesso.
Queste ed altre le novità introdotte dal Dlgs
21/2014, che ha recepito la direttiva 2011/83/UE
sui diritti dei consumatori rinnovando così il titolo
III del Codice del consumo (articoli da 45 a 67).
In particolare è stata superata la distinzione, ai fini
dell’applicazione del relativo regime giuridico, tra
contratti stipulati fuori i locali commerciali e/o
professionali, quelli al loro interno e, ancora, quelli
stipulati con mezzi di comunicazione a distanza
(telefono, internet, fax).
Il professionista deve fornire le informazioni del
professionista al consumatore in modo chiaro e
comprensibile e la nota “informativa” (preventivo)
deve essere resa su supporto cartaceo o, se il
consumatore è d’accordo, su supporto digitale.
Le nuove disposizioni si applicano a qualsiasi contratto concluso tra un professionista o un’impresa
o altro consumatore e, quindi, col condominio (inclusi i contratti per la fornitura di acqua, gas,
elettricità o teleriscaldamento.
Per cui, al fine di giungere alla stipula contrattuale è
necessario presentare all’amministratore un preventivo scritto contenente le informazioni obbligatorie
indicate dalla legge. L’amministratore lo sottoporrà
all’assemblea che deciderà secondo la sua competenza.
Per cui oltre agli obblighi di lealtà e collaborazione
già esistenti si aggiungono quelli della trasparenza
e completezza nella fase precontrattuale. Salvo pur
sempre il diritto da esercitarsi entro 14 giorni dalla
conclusione del contratto.
Viene anche superata la distinzione, ai fini dell’applicazione del relativo regime giuridico, tra contratti
stipulati fuori i locali commerciali e/o professionali,
quelli al loro interno e, ancora, quelli stipulati con
mezzi di comunicazione a distanza (telefono, internet, fax).
Le nuove disposizioni si applicano a qualsiasi contratto concluso tra un professionista o un’impresa
o altro consumatore e, quindi, col condominio (inclusi i contratti per la fornitura di acqua, gas,
elettricità o teleriscaldamento, anche da parte di
prestatori pubblici, nella misura in cui detti prodotti
di base sono forniti su base contrattuale, con le eccezione, escluse dall’applicazione, specificamente
indicate).
Ed invero secondo la Cassazione visto e considerato
che «il condominio è un ente di gestione
sfornito di personalità giuridica distinta da quella
dei suoi partecipanti …. Ne consegue che, poiché
i condomini vanno senz’altro considerati dei consumatori, essendo persone fisiche che agiscono, per
scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, anche al contratto
concluso dall’amministratore del condominio con il
professionista, in presenza degli altri elementi
previsti dalla legge si applicano gli articolo 1469 bis
e seguenti del Codice civile (Cassazione 24
luglio 2001 n. 10086).
Ciò premesso, prima di stipulare un contratto col
condominio-consumatore, pertanto, è necessario
presentare all’amministratore un preventivo informativo ed economico per iscritto contenente le
informazioni obbligatorie indicate dalla legge. L’assemblea del condominio avrà il compito di
valutarlo ed eventualmente approvarlo e/o modificarlo, instaurando così una vera e propria trattativa
nella fase pre-negoziale al termine della quale le parti potranno stipulare un contratto regolare in
perfetta aderenza alle nuove norme.
24
Il
Condominio Nuovo
Contratto
DECRETO LEGISLATIVO 21 febbraio 2014, n. 21
Attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica
delle direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le direttive 85/577/CEE e 97/7/CE.
(14G00033)
(GU n.58 del 11-3-2014)
Vigente al: 26-3-2014
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l’articolo 14, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visti gli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234;
Vista la legge 6 agosto 2013, n. 96, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee
e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2013, ed in particolare
l’articolo 1 e l’allegato B;
Vista la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti
dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva
97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
Visto il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, recante il Codice del
Consumo;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 3 dicembre
2013;
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 6 febbraio 2014;
Sulla proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i
Ministri degli affari esteri, della giustizia e dell’economia e delle finanze;
Emana
il seguente decreto legislativo:
Art. 1. Modifiche al Codice del consumo in attuazione della direttiva 2011/83/UE
sui diritti dei consumatori
1. Il Capo I del titolo III della parte III del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante Codice del
consumo, limitatamente agli articoli da 45 a 67, è sostituito dal seguente: «Capo I Dei diritti dei consumatori
nei contratti
Art. 45. Definizioni
1. Ai fini delle Sezioni da I a IV del presente capo, si intende per:
a) “consumatore”: la persona fisica, di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a);
b) “professionista”: il soggetto, di cui all’articolo 3, comma 1, lettera c);
c) “bene”: qualsiasi bene mobile materiale ad esclusione dei beni oggetto di vendita forzata o comunque
venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie; rientrano fra i beni oggetto della presente
direttiva l’acqua, il gas e l’elettricità, quando sono messi in vendita in un volume delimitato o in quantità
determinata;
d) “beni prodotti secondo le indicazioni del consumatore”: qualsiasi bene non prefabbricato prodotto in
base a una scelta o decisione individuale del consumatore;
25
Il
Condominio Nuovo
e) “contratto di vendita”: qualsiasi contratto in base al quale il professionista trasferisce o si impegna a trasferire la proprietà di beni al consumatore e il consumatore ne paga o si impegna a pagarne il prezzo,
inclusi i contratti che hanno come oggetto sia beni che servizi;
f) “contratto di servizi”: qualsiasi contratto diverso da un contratto di vendita in base al quale il professionista fornisce o si impegna a fornire un servizio al consumatore e il consumatore paga o si impegna a
pagarne il prezzo;
g) “contratto a distanza”: qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di
un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a
distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso;
h) “contratto negoziato fuori dei locali commerciali”: qualsiasi contratto tra il professionista e il consumatore:
1) concluso alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, in un luogo
diverso dai locali del professionista;
2) per cui è stata fatta un’offerta da parte del consumatore, nelle stesse circostanze di cui al numero 1;
3) concluso nei locali del professionista o mediante qualsiasi mezzo di comunicazione a distanza immediatamente dopo che il consumatore è stato avvicinato personalmente e singolarmente in un luogo
diverso dai locali del professionista, alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore;
oppure;
4) concluso durante un viaggio promozionale organizzato dal professionista e avente lo scopo o l’effetto di
promuovere e vendere beni o servizi al consumatore;
i) “locali commerciali”:
1) qualsiasi locale immobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la sua attività su base permanente; oppure;
2) qualsiasi locale mobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la propria attività
a carattere abituale;
l) “supporto durevole”: ogni strumento che permetta al consumatore o al professionista di conservare
le informazioni che gli sono personalmente indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo
di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle
informazioni memorizzate;
m) “contenuto digitale”: i dati prodotti e forniti in formato digitale;
n) “servizio finanziario”: qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia, assicurativa, servizi pensionistici
individuali, di investimento o di pagamento;
o) “asta pubblica”: metodo di vendita in cui beni o servizi sono offerti dal professionista ai consumatori che
partecipano o cui è data la possibilità di partecipare all’asta di persona, mediante una trasparente procedura competitiva di offerte gestita da una casa d’aste e in cui l’aggiudicatario è vincolato all’acquisto dei
beni o servizi;
p) “garanzia”: qualsiasi impegno di un professionista o di un produttore (il “garante”), assunto nei
confronti del consumatore, in aggiunta agli obblighi di legge in merito alla garanzia di conformità,
di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene, qualora esso non
corrisponda alle caratteristiche, o a qualsiasi altro requisito non relativo alla conformità, enunciati nella
dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità disponibile al momento o prima della conclusione del
contratto;
q) “contratto accessorio”: un contratto mediante il quale il consumatore acquista beni o servizi connessi a un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali e in cui tali beni o servizi sono
forniti dal professionista o da un terzo in base ad un accordo tra il terzo e il professionista.
Art. 46. Ambito di applicazione
1. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo si applicano, a qualsiasi contratto concluso tra
un professionista e un consumatore, inclusi i contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, anche da parte di prestatori pubblici, nella misura in cui detti prodotti di base sono forniti
su base contrattuale.
2. In caso di conflitto tra le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo e una disposizione di un
atto dell’Unione europea che disciplina settori specifici, quest’ultima e le relative norme nazionali di
recepimento prevalgono e si applicano a tali settori specifici.
3. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non impediscono ai professionisti di offrire ai
consumatori condizioni contrattuali più favorevoli rispetto alla tutela prevista da tali disposizioni.
26
Il
Condominio Nuovo
Art. 47. Esclusioni
1. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non si applicano ai contratti:
a) per i servizi
sociali, compresi gli alloggi popolari, l’assistenza all’infanzia e il sostegno alle famiglie e alle persone
temporaneamente o permanentemente in stato di bisogno, ivi compresa l’assistenza a lungo termine;
b) di assistenza sanitaria, per i servizi prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di valutare,
mantenere o ristabilire il loro stato di salute, ivi compresa la prescrizione, la somministrazione e la fornitura
di medicinali e dispositivi medici, sia essa fornita o meno attraverso le strutture di assistenza sanitaria;
c) di attività di azzardo che implicano una posta di valore pecuniario in giochi di fortuna, comprese le
lotterie, i giochi d’azzardo nei casinò e le scommesse;
d) di servizi finanziari;
e) aventi ad oggetto la creazione di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti su beni
immobili;
f) per la costruzione di nuovi edifici, la trasformazione sostanziale di edifici esistenti e per la locazione
di alloggi a scopo residenziale;
g) che rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti
“tutto compreso”, di cui agli articoli da 32 a 51 del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79;
h) che rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina concernente la tutela dei consumatori per
quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze
di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio, di cui agli articoli da 69 a 81-bis del presente
Codice;
i) stipulati con l’intervento di un pubblico ufficiale, tenuto per legge all’indipendenza e all’imparzialità,
il quale deve garantire, fornendo un’informazione giuridica completa, che il consumatore concluda il
contratto soltanto sulla base di una decisione giuridica ponderata e con conoscenza della sua rilevanza giuridica;
l) di fornitura di alimenti, bevande o altri beni destinati al consumo corrente nella famiglia e fisicamente forniti da un professionista in giri frequenti e regolari al domicilio, alla residenza o al posto di
lavoro del consumatore;
m) di servizi di trasporto passeggeri, fatti salvi l’articolo 51, comma 2, e gli articoli 62 e 65;
n) conclusi tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati;
o) conclusi con operatori delle telecomunicazioni impiegando telefoni pubblici a pagamento per il loro
utilizzo o conclusi per l’utilizzo di un solo collegamento tramite telefono, Internet o fax, stabilito dal consumatore.
2. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non si applicano ai contratti negoziati fuori dei
locali commerciali in base ai quali il corrispettivo che il consumatore deve pagare non è superiore a 50
euro. Tuttavia, si applicano le disposizioni del presente Capo nel caso di più contratti stipulati contestualmente tra le medesime parti, qualora l’entità del corrispettivo globale che il consumatore deve
pagare, indipendentemente dall’importo dei singoli contratti, superi l’importo di 50 euro.
Sezione I Informazioni precontrattuali per i consumatori nei contratti diversi dai
contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali
Art. 48 Obblighi d’informazione nei contratti diversi dai contratti a distanza o
negoziati fuori dei locali commerciali
1. Prima che il consumatore sia vincolato da un contratto diverso da un contratto a distanza o negoziato
fuori dei locali commerciali o da una corrispondente offerta, il professionista fornisce al consumatore
le seguenti informazioni in modo chiaro e comprensibile, qualora esse non siano già apparenti dal contesto:
a) le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi;
b) l’identità del professionista, l’indirizzo geografico in cui è stabilito e il numero di telefono e, ove questa
informazione sia pertinente, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli
agisce;
c) il prezzo totale dei beni o servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o dei servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e,
se applicabili, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non
possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore;
d) se applicabili, le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare il servizio e il trattamento dei reclami da parte del
27
Il
Condominio Nuovo
professionista;
e) oltre a un richiamo dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni, l’esistenza e le condizioni del servizio postvendita e delle garanzie commerciali, se applicabili;
f) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni di risoluzione del contratto;
g) se applicabile, la funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione
tecnica;
h) qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza,
se applicabili.
2. Gli obblighi di informazione precontrattuali, di cui al comma 1, si applicano anche ai contratti per la
fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità
determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale.
3. Gli obblighi di informazione precontrattuali, di cui al comma 1, non si applicano ai contratti che implicano
transazioni quotidiane e che sono eseguiti immediatamente al momento della loro conclusione.
4. E’ fatta salva la possibilità di prevedere o mantenere obblighi aggiuntivi di informazione precontrattuale
per i contratti ai quali si applica il presente articolo.
5. Sono fatte salve le disposizioni di cui agli articoli da 6 a 12 del presente Codice.
Sezione II Informazioni precontrattuali per il consumatore e diritto di recesso nei
contratti a distanza e nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali
Art. 49. Obblighi di informazione nei contratti a distanza e nei contratti negoziati
fuori dei locali commerciali
1. Prima che il consumatore sia vincolato da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali
commerciali o da una corrispondente offerta, il professionista fornisce al consumatore le informazioni
seguenti, in maniera chiara e comprensibile:
a) le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi;
b) l’identità del professionista;
c) l’indirizzo geografico dove il professionista è stabilito e il suo numero di telefono, di fax e l’indirizzo
elettronico, ove disponibili, per consentire al consumatore di contattare rapidamente il professionista e
comunicare efficacemente con lui e, se applicabili, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista
per conto del quale agisce;
d) se diverso dall’indirizzo fornito in conformità della lettera c), l’indirizzo geografico della sede del professionista a cui il consumatore può indirizzare eventuali reclami e, se applicabile, quello del professionista per conto del quale agisce;
e) il prezzo totale dei beni o dei servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o servizi
comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo
e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali e ogni altro costo oppure,
qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese
potranno essere addebitate al consumatore; nel caso di un contratto a tempo indeterminato o di un
contratto comprendente un abbonamento, il prezzo totale include i costi totali per periodo di fatturazione; quando tali contratti prevedono l’addebitamento di una tariffa fissa, il prezzo totale equivale anche
ai costi mensili totali; se i costi totali non possono essere ragionevolmente calcolati in anticipo, devono
essere fornite le modalità di calcolo del prezzo;
f) il costo dell’utilizzo del mezzo di comunicazione a distanza per la conclusione del contratto quando tale
costo è calcolato su una base diversa dalla tariffa di base;
g) le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a
consegnare i beni o a prestare i servizi e, se del caso, il trattamento dei reclami da parte del professionista;
h) in caso di sussistenza di un diritto di recesso, le condizioni, i termini e le procedure per esercitare tale diritto conformemente all’articolo 54, comma 1, nonché’ il modulo tipo di recesso di cui all’allegato I, parte B;
i) se applicabile, l’informazione che il consumatore dovrà sostenere il costo della restituzione dei beni
in caso di recesso e in caso di contratti a distanza qualora i beni per loro natura non possano essere
normalmente restituiti a mezzo posta;
l) che, se il consumatore esercita il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta ai sensi dell’articolo 50, comma 3, o dell’articolo 51, comma 8, egli è responsabile del pagamento al professionista di
28
Il
Condominio Nuovo
costi ragionevoli, ai sensi dell’articolo 57, comma 3;
m) se non è previsto un diritto di recesso ai sensi dell’articolo 59, l’informazione che il consumatore
non beneficerà di un diritto di recesso o, se del caso, le circostanze in cui il consumatore perde il diritto
di recesso;
n) un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni;
o) se applicabili, l’esistenza e le condizioni dell’assistenza postvendita al consumatore, dei servizi
postvendita e delle garanzie commerciali;
p) l’esistenza di codici di condotta pertinenti, come definiti all’articolo 18, comma 1, lettera f), del presente Codice, e come possa esserne ottenuta copia, se del caso;
q) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni per recedere dal contratto;
r) se applicabile, la durata minima degli obblighi del consumatore a norma del contratto;
s) se applicabili, l’esistenza e le condizioni di depositi o altre garanzie finanziarie che il consumatore è
tenuto a pagare o fornire su richiesta del professionista;
t) se applicabile, la funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione
tecnica;
u) qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza,
se applicabile;
v) se applicabile, la possibilità di servirsi di un meccanismo extra-giudiziale di reclamo e ricorso cui il
professionista è soggetto e le condizioni per avervi accesso.
2. Gli obblighi di informazione precontrattuali, di cui al comma 1, si applicano anche ai contratti per la
fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità
determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale.
3. Nel caso di un’asta pubblica, le informazioni di cui al comma 1, lettere b), c) e d), possono essere sostituite dai corrispondenti dati della casa d’aste.
4. Le informazioni di cui al comma 1, lettere h), i) e l), possono essere fornite mediante le istruzioni tipo
sul recesso di cui all’allegato I, parte A. Il professionista ha adempiuto agli obblighi di informazione di cui
al comma 1, lettere h), i) e l), se ha presentato dette istruzioni al consumatore, debitamente compilate.
5. Le informazioni di cui al comma 1 formano parte integrante del contratto a distanza o del contratto
negoziato fuori dei locali commerciali e non possono essere modificate se non con accordo espresso
delle parti.
6. Se il professionista non adempie agli obblighi di informazione sulle spese aggiuntive o gli altri costi di
cui al comma 1, lettera e), o sui costi della restituzione dei beni di cui al comma 1, lettera i), il consumatore non deve sostenere tali spese o costi aggiuntivi.
7. Nel caso di utilizzazione di tecniche che consentono una comunicazione individuale, le informazioni
di cui al comma 1 sono fornite, ove il consumatore lo richieda, in lingua italiana.
8. Gli obblighi di informazione stabiliti nella presente sezione si aggiungono agli obblighi di informazione
contenuti nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, e successive modificazioni, e nel decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, e successive modificazioni, e non ostano ad obblighi di informazione aggiuntivi
previsti in conformità a tali disposizioni.
9. Fatto salvo quanto previsto dal comma 8, in caso di conflitto tra una disposizione del decreto legislativo
26 marzo 2010, n. 59, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, e successive modificazioni, sul contenuto e le modalità di rilascio delle informazioni e una disposizione della
presente sezione, prevale quest’ultima.
10. L’onere della prova relativo all’adempimento degli obblighi di informazione di cui alla presente sezione
incombe sul professionista.
Art. 50. Requisiti formali per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali
1. Per quanto riguarda i contratti negoziati fuori dei locali commerciali il professionista fornisce al consumatore le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, su supporto cartaceo o, se il consumatore è
d’accordo, su un altro mezzo durevole. Dette informazioni devono essere leggibili e presentate in un
linguaggio semplice e comprensibile.
2. Il professionista fornisce al consumatore una copia del contratto firmato o la conferma del contratto
su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole, compresa, se del caso,
la conferma del previo consenso espresso e dell’accettazione del consumatore in conformità all’articolo 59, comma 1, lettera o).
3. Se un consumatore vuole che la prestazione dei servizi ovvero la fornitura di acqua, gas o elettricità,
29
Il
Condominio Nuovo
quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento inizi durante il periodo di recesso previsto all’articolo 52, comma 2, il professionista esige che il
consumatore ne faccia esplicita richiesta su un supporto durevole.
4. Per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali in cui il consumatore ha chiesto espressamente i servizi del professionista ai fini dell’effettuazione di lavori di riparazione o manutenzione e in virtu’ dei quali
il professionista e il consumatore adempiono immediatamente ai propri obblighi contrattuali e l’importo
a carico del consumatore non supera i 200 euro:
a) il professionista fornisce al consumatore, prima che questi sia vincolato dal contratto, le informazioni di
cui all’articolo 49, comma 1, lettere b) e c), e le informazioni concernenti il prezzo o le modalità di calcolo
del prezzo, accompagnate da una stima del prezzo totale, su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole. Il professionista fornisce le informazioni di cui all’articolo 49,
comma 1, lettere a), h) ed m), ma può scegliere di non fornirle su formato cartaceo o su un altro mezzo
durevole se il consumatore ha espressamente acconsentito;
b) la conferma del contratto fornita conformemente al comma 2 del presente articolo contiene tutte le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1.
Art. 51. Requisiti formali per i contratti a distanza
1. Per quanto riguarda i contratti a distanza il professionista fornisce o mette a disposizione del consumatore le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, in modo appropriato al mezzo di comunicazione
a distanza impiegato in un linguaggio semplice e comprensibile. Nella misura in cui dette informazioni
sono presentate su un supporto durevole, esse devono essere leggibili.
2. Se un contratto a distanza che deve essere concluso con mezzi elettronici impone al consumatore
l’obbligo di pagare, il professionista gli comunica in modo chiaro ed evidente le informazioni di
cui all’articolo 49, comma 1, lettere a), e), q) ed r), direttamente prima che il consumatore inoltri l’ordine. Il professionista garantisce che, al momento di inoltrare l’ordine, il consumatore riconosca espressamente che l’ordine implica l’obbligo di pagare. Se l’inoltro dell’ordine implica di azionare un pulsante o
una funzione analoga, il pulsante o la funzione analoga riportano in modo facilmente leggibile soltanto le
parole “ordine con obbligo di pagare” o una formulazione corrispondente inequivocabile indicante che
l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il professionista. Se il professionista non osserva il
presente comma, il consumatore non è vincolato dal contratto o dall’ordine.
3. I siti di commercio elettronico indicano in modo chiaro e leggibile, al più tardi all’inizio del processo di ordinazione, se si applicano restrizioni relative alla consegna e quali mezzi di pagamento sono
accettati.
4. Se il contratto è concluso mediante un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un
tempo limitato per visualizzare le informazioni, il professionista fornisce, su quel mezzo in particolare e
prima della conclusione del contratto, almeno le informazioni precontrattuali riguardanti le caratteristiche principali dei beni o servizi, l’identità del professionista, il prezzo totale, il diritto di recesso, la
durata del contratto e, nel caso di contratti a tempo indeterminato, le condizioni di risoluzione del contratto,
conformemente all’articolo 49, comma 1, lettere a), b), e), h) e q). Le altre informazioni di cui all’articolo
49, comma 1, sono fornite dal professionista in un modo appropriato conformemente al comma 1
del presente articolo.
5. Fatto salvo il comma 4, se il professionista telefona al consumatore al fine di concludere un contratto a distanza, all’inizio della conversazione con il consumatore egli deve rivelare la sua identità e,
ove applicabile, l’identità della persona per conto della quale effettua la telefonata, nonché’ lo scopo
commerciale della chiamata e l’informativa di cui all’articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica
7 settembre 2010, n. 178.
6. Quando un contratto a distanza deve essere concluso per telefono, il professionista deve confermare l’offerta al consumatore, il quale è vincolato solo dopo aver firmato l’offerta o dopo averla accettata per
iscritto; in tali casi il documento informatico può essere sottoscritto con firma elettronica ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Dette conferme
possono essere effettuate, se il consumatore acconsente, anche su un supporto durevole.
7. Il professionista fornisce al consumatore la conferma del contratto concluso su un mezzo durevole,
entro un termine ragionevole dopo la conclusione del contratto a distanza e al più tardi al momento della
consegna dei beni oppure prima che l’esecuzione del servizio abbia inizio. Tale conferma comprende:
a) tutte le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, a meno che il professionista non abbia già fornito
l’informazione al consumatore su un mezzo durevole prima della conclusione del contratto a distanza;
e
b) se del caso, la conferma del previo consenso espresso e dell’accettazione del consumatore
conformemente all’articolo 59, lettera o).
30
Il
Condominio Nuovo
8. Se un consumatore vuole che la prestazione di servizi ovvero la fornitura di acqua, gas o elettricità,
quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento inizi durante il periodo di recesso previsto all’articolo 52, comma 2, il professionista esige che il
consumatore ne faccia richiesta esplicita.
9. Il presente articolo lascia impregiudicate le disposizioni relative alla conclusione di contratti elettronici e all’inoltro di ordini per via elettronica conformemente agli articoli 12, commi 2 e 3, e 13 del decreto
legislativo 9 aprile 2003, n. 70, e successive modificazioni.
Art. 52. Diritto di recesso
1. Fatte salve le eccezioni di cui all’articolo 59, il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni
per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali senza dover fornire
alcuna motivazione e senza dover sostenere costi diversi da quelli previsti all’articolo 56, comma 2, e
all’articolo 57.
2. Fatto salvo l’articolo 53, il periodo di recesso di cui al comma 1 termina dopo quattordici giorni a partire:
a) nel caso dei contratti di servizi, dal giorno della conclusione del contratto;
b) nel caso di contratti di vendita, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e
designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dei beni o:
1) nel caso di beni multipli ordinati dal consumatore mediante un solo ordine e consegnati separatamente, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore,
acquisisce il possesso fisico dell’ultimo bene;
2) nel caso di consegna di un bene costituito da lotti o pezzi multipli, dal giorno in cui il consumatore o un
terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo lotto o
pezzo;
3) nel caso di contratti per la consegna periodica di beni durante un determinato periodo di tempo, dal
giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce
il possesso fisico del primo bene;
c) nel caso di contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in
un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su
un supporto materiale, dal giorno della conclusione del contratto.
3. Le parti del contratto possono adempiere ai loro obblighi contrattuali durante il periodo di recesso.
Tuttavia, nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, il professionista non può accettare, a
titolo di corrispettivo, effetti cambiari che abbiano una scadenza inferiore a quindici giorni dalla conclusione del contratto per i contratti di servizi o dall’acquisizione del possesso fisico dei beni per i contratti
di vendita e non può presentarli allo sconto prima di tale termine.
Art. 53. Non adempimento dell’obbligo d’informazione sul diritto di recesso
1. Se in violazione dell’articolo 49, comma 1, lettera h), il professionista non fornisce al consumatore
le informazioni sul diritto di recesso, il periodo di recesso termina dodici mesi dopo la fine del periodo di
recesso iniziale, come determinato a norma dell’articolo 52, comma 2.
2. Se il professionista fornisce al consumatore le informazioni di cui al comma 1 entro dodici mesi dalla
data di cui all’articolo 52, comma 2, il periodo di recesso termina quattordici giorni dopo il giorno in cui
il consumatore riceve le informazioni.
Art. 54. Esercizio del diritto di recesso
1. Prima della scadenza del periodo di recesso, il consumatore informa il professionista della sua decisione di esercitare il diritto di recesso dal contratto. A tal fine il consumatore può:
a) utilizzare il modulo tipo di recesso di cui all’allegato I, parte B; oppure
b) presentare una qualsiasi altra dichiarazione esplicita della sua decisione di recedere dal contratto.
2. Il consumatore ha esercitato il proprio diritto di recesso entro il periodo di recesso di cui all’articolo 52,
comma 2, e all’articolo 53 se la comunicazione relativa all’esercizio del diritto di recesso è inviata dal consumatore prima della scadenza del periodo di recesso.
3. Il professionista, oltre alle possibilità di cui al comma 1, può offrire al consumatore l’opzione di
compilare e inviare elettronicamente il modulo di recesso tipo riportato all’allegato I, parte B, o una
qualsiasi altra dichiarazione esplicita sul sito web del professionista. In tali casi il professionista comunica senza indugio al consumatore una conferma di ricevimento, su un supporto durevole, del recesso
esercitato.
4. L’onere della prova relativa all’esercizio del diritto di recesso conformemente al presente articolo
incombe sul consumatore.
31
Il
Condominio Nuovo
Art. 55. Effetti del recesso
1. L’esercizio del diritto di recesso pone termine agli obblighi delle parti:
a) di eseguire il contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali; oppure
b) di concludere un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali nei casi in cui un’offerta
sia stata fatta dal consumatore.
Art. 56. Obblighi del professionista nel caso di recesso
1. Il professionista rimborsa tutti i pagamenti ricevuti dal consumatore, eventualmente comprensivi
delle spese di consegna, senza indebito ritardo e comunque entro quattordici giorni dal giorno in cui è
informato della decisione del consumatore di recedere dal contratto ai sensi dell’articolo 54. Il professionista esegue il rimborso di cui al primo periodo utilizzando lo stesso mezzo di pagamento usato dal
consumatore per la transazione iniziale, salvo che il consumatore abbia espressamente convenuto altrimenti e a condizione che questi non debba sostenere alcun costo quale conseguenza del rimborso.
Nell’ipotesi in cui il pagamento sia stato effettuato per mezzo di effetti cambiari, qualora questi non siano
stati ancora presentati all’incasso, deve procedersi alla loro restituzione. E’ nulla qualsiasi clausola che
preveda limitazioni al rimborso nei confronti del consumatore delle somme versate in conseguenza
dell’esercizio del diritto di recesso.
2. Fatto salvo il comma 1, il professionista non è tenuto a rimborsare i costi supplementari, qualora il
consumatore abbia scelto espressamente un tipo di consegna diversa dal tipo meno costoso di consegna
offerto dal professionista.
3. Salvo che il professionista abbia offerto di ritirare egli stesso i beni, con riguardo ai contratti
di vendita, il professionista può trattenere il rimborso finche’ non abbia ricevuto i beni oppure finche’ il
consumatore non abbia dimostrato di aver rispedito i beni, a seconda di quale situazione si verifichi
per prima.
Art. 57. Obblighi del consumatore nel caso di recesso
1. A meno che il professionista abbia offerto di ritirare egli stesso i beni, il consumatore restituisce i beni
o li consegna al professionista o a un terzo autorizzato dal professionista a ricevere i beni, senza indebito
ritardo e in ogni caso entro quattordici giorni dalla data in cui ha comunicato al professionista la
sua decisione di recedere dal contratto ai sensi dell’articolo 54. Il termine è rispettato se il consumatore
rispedisce i beni prima della scadenza del periodo di quattordici giorni. Il consumatore sostiene solo il
costo diretto della restituzione dei beni, purché’ il professionista non abbia concordato di sostenerlo o
abbia omesso di informare il consumatore che tale costo è a carico del consumatore. Nel caso di contratti
negoziati fuori dei locali commerciali in cui i beni sono stati consegnati al domicilio del consumatore al
momento della conclusione del contratto, il professionista ritira i beni a sue spese qualora i beni, per
loro natura, non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta.
2. Il consumatore è responsabile unicamente della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione dei beni diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni. Il consumatore non è in alcun caso responsabile per la diminuzione del valore
dei beni se il professionista ha omesso di informare il consumatore del suo diritto di recesso a norma
dell’articolo 49, comma 1, lettera h).
3. Qualora un consumatore eserciti il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta in conformità
dell’articolo 50, comma 3, o dell’articolo 51, comma 8, il consumatore versa al professionista un importo
proporzionale a quanto è stato fornito fino al momento in cui il consumatore ha informato il professionista
dell’esercizio del diritto di recesso, rispetto a tutte le prestazioni previste dal contratto. L’importo proporzionale che il consumatore deve pagare al professionista è calcolato sulla base del prezzo totale concordato nel contratto. Se detto prezzo totale è eccessivo, l’importo proporzionale è calcolato sulla base del
valore di mercato di quanto è stato fornito.
4. Il consumatore non sostiene alcun costo per:
a) la prestazione di servizi o la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in
un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento, in tutto o in parte, durante il periodo
di recesso quando:
1) il professionista ha omesso di fornire informazioni in conformità all’articolo 49, comma 1, lettere h) ed
l); oppure
2) il consumatore non ha espressamente chiesto che la prestazione iniziasse durante il periodo di
recesso in conformità all’articolo 50, comma 3, e dell’articolo 51, comma 8; oppure
b) la fornitura, in tutto o in parte, del contenuto digitale che non è fornito su un supporto materiale quando:
1) il consumatore non ha dato il suo previo consenso espresso circa l’inizio della prestazione prima della
32
Il
Condominio Nuovo
fine del periodo di quattordici giorni di cui all’articolo 52;
2) il consumatore non ha riconosciuto di perdere il diritto di recesso quando ha espresso il suo consenso;
oppure
3) il professionista ha omesso di fornire la conferma conformemente all’articolo 50, comma 2, o
all’articolo 51, comma 7.
5. Fatto salvo quanto previsto nell’articolo 56, comma 2, e nel presente articolo, l’esercizio del diritto di
recesso non comporta alcuna responsabilità per il consumatore.
Art. 58. Effetti dell’esercizio del diritto di recesso sui contratti accessori
1. Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, e successive modificazioni,
in materia di contratti di credito ai consumatori, se il consumatore esercita il suo diritto di recesso da un
contratto a distanza o concluso fuori dei locali commerciali a norma degli articoli da 52 a 57, eventuali
contratti accessori sono risolti di diritto, senza costi per il consumatore, ad eccezione di quelli previsti
dall’articolo 56, comma 2, e dall’articolo 57.
Art. 59. Eccezioni al diritto di recesso
1. Il diritto di recesso di cui agli articoli da 52 a 58 per i contratti a distanza e i contratti negoziati
fuori dei locali commerciali è escluso relativamente a:
a) i contratti di servizi dopo la completa prestazione del servizio se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del consumatore e con l’accettazione della perdita del diritto di recesso a seguito della
piena esecuzione del contratto da parte del professionista;
b) la fornitura di beni o servizi il cui prezzo è legato a fluttuazioni nel mercato finanziario che il professionista non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso;
c) la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati;
d) la fornitura di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente;
e) la fornitura di beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla
protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna;
f) la fornitura di beni che, dopo la consegna, risultano, per loro natura, inscindibilmente mescolati con altri
beni;
g) la fornitura di bevande alcoliche, il cui prezzo sia stato concordato al momento della conclusione del
contratto di vendita, la cui consegna possa avvenire solo dopo trenta giorni e il cui valore effettivo dipenda
da fluttuazioni sul mercato che non possono essere controllate dal professionista;
h) i contratti in cui il consumatore ha specificamente richiesto una visita da parte del professionista ai
fini dell’effettuazione di lavori urgenti di riparazione o manutenzione. Se, in occasione di tale visita, il
professionista fornisce servizi oltre a quelli specificamente richiesti dal consumatore o beni diversi dai
pezzi di ricambio necessari per effettuare la manutenzione o le riparazioni, il diritto di recesso si applica a
tali servizi o beni supplementari;
i) la fornitura di registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati
aperti dopo la consegna;
l) la fornitura di giornali, periodici e riviste ad eccezione dei contratti di abbonamento per la fornitura di tali
pubblicazioni;
m) i contratti conclusi in occasione di un’asta pubblica;
n) la fornitura di alloggi per fini non residenziali, il trasporto di beni, i servizi di noleggio di autovetture,
i servizi di catering o i servizi riguardanti le attività del tempo libero qualora il contratto preveda una
data o un periodo di esecuzione specifici;
o) la fornitura di contenuto digitale mediante un supporto non materiale se l’esecuzione è iniziata con
l’accordo espresso del consumatore e con la sua accettazione del fatto che in tal caso avrebbe perso il
diritto di recesso.
Sezione III Altri diritti del consumatore
Art. 60. Ambito di applicazione
1. Gli articoli 61 e 63 si applicano ai contratti di vendita. Detti articoli non si applicano ai contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità
determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale.
2. Gli articoli 62, 64 e 65 si applicano ai contratti di vendita, ai contratti di servizio e ai contratti di fornitura
di acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale.
33
Il
Condominio Nuovo
Art. 61. Consegna
1. Salva diversa pattuizione delle parti del contratto di vendita, il professionista è obbligato a consegnare i
beni al consumatore senza ritardo ingiustificato e al più tardi entro trenta giorni dalla data di conclusione del contratto.
2. L’obbligazione di consegna è adempiuta mediante il trasferimento della disponibilità materiale o
comunque del controllo dei beni al consumatore.
3. Se il professionista non adempie all’obbligo di consegna dei beni entro il termine pattuito ovvero entro
il termine di cui al comma 1, il consumatore lo invita ad effettuare la consegna entro un termine supplementare appropriato alle circostanze. Se il termine supplementare così concesso scade senza che i beni
gli siano stati consegnati, il consumatore è legittimato a risolvere il contratto, salvo il diritto al risarcimento dei danni.
4. Il consumatore non è gravato dall’onere di concedere al professionista il termine supplementare di
cui al comma 3 se:
a) il professionista si è espressamente rifiutato di consegnare i beni, ovvero;
b) se il rispetto del termine pattuito dalle parti per la consegna del bene deve considerarsi essenziale,
tenuto conto di tutte le circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto, ovvero;
c) se il consumatore ha informato il professionista, prima della conclusione del contratto, che la consegna
entro o ad una data determinata è essenziale.
5. Nei casi previsti dal comma 4, se non riceve in consegna il bene entro il termine pattuito con il professionista ovvero entro il termine di cui al comma 1, il consumatore è legittimato a risolvere immediatamente il contratto, salvo il diritto al risarcimento dei danni.
6. Nel caso di risoluzione posta in essere dal consumatore a norma dei commi 3 e 5, il professionista è
tenuto a rimborsargli senza indebito ritardo tutte le somme versate in esecuzione del contratto.
7. E’ fatta salva la possibilità per il consumatore di far valere i diritti di cui al Capo XIV del Titolo II del Libro
IV del codice civile.
Art. 62. Tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento
1. Ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, i professionisti non
possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per
l’uso di detti strumenti, ovvero nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute
dal professionista.
2. L’istituto di emissione della carta di pagamento riaccredita al consumatore i pagamenti in caso di addebitamento eccedente rispetto al prezzo pattuito ovvero in caso di uso fraudolento della propria carta di
pagamento da parte del professionista o di un terzo. L’istituto di emissione della carta di pagamento
ha diritto di addebitare al professionista le somme riaccreditate al consumatore.
Art. 63. Passaggio del rischio
1. Nei contratti che pongono a carico del professionista l’obbligo di provvedere alla spedizione dei beni il
rischio della perdita o del danneggiamento dei beni, per causa non imputabile al venditore, si trasferisce
al consumatore soltanto nel momento in cui quest’ultimo, o un terzo da lui designato e diverso dal
vettore, entra materialmente in possesso dei beni.
2. Tuttavia, il rischio si trasferisce al consumatore già nel momento della consegna del bene al vettore
qualora quest’ultimo sia stato scelto dal consumatore e tale scelta non sia stata proposta dal professionista, fatti salvi i diritti del consumatore nei confronti del vettore.
Art. 64. Comunicazione telefonica
1. Qualora il professionista utilizza una linea telefonica allo scopo di essere contattato dal consumatore
per telefono in merito al contratto concluso, il consumatore non è tenuto a pagare più della tariffa di base
quando contatta il professionista, fermo restando il diritto dei fornitori dei servizi di comunicazione elettronica di applicare una tariffa per dette telefonate.
Art. 65. Pagamenti supplementari
1. Prima che il consumatore sia vincolato dal contratto o dall’offerta, il professionista chiede il consenso espresso del consumatore per qualsiasi pagamento supplementare oltre alla remunerazione
concordata per l’obbligo contrattuale principale del professionista. Se il professionista non ottiene il consenso espresso del consumatore ma l’ha dedotto utilizzando opzioni prestabilite che il consumatore deve
rifiutare per evitare il pagamento supplementare, il consumatore ha diritto al rimborso di tale pagamento.
34
Il
Condominio Nuovo
Sezione IV Disposizioni generali
Art. 66. Tutela amministrativa e giurisdizionale
1. Al fine di garantire il rispetto delle disposizioni contenute nelle Sezioni da I a IV del presente Capo da
parte degli operatori, trovano applicazione le disposizioni di cui agli articoli 27, 139, 140, 140-bis, 141 e
144 del presente Codice.
2. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, accerta le violazioni delle norme di cui alle Sezioni da I a IV del presente Capo,
ne inibisce la continuazione e ne elimina gli effetti.
3. In materia di accertamento e sanzione delle violazioni, si applica l’articolo 27, commi da 2 a 15, del
presente Codice.
4. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato svolge le funzioni di autorità competente ai sensi
dell’articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
27 ottobre 2004, nelle materie di cui alle Sezioni da I a IV del presente Capo.
5. E’ comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario. E’ altresì fatta salva la possibilità di
promuovere la risoluzione extragiudiziale delle controversie inerenti al rapporto di consumo, nelle materie
di cui alle Sezioni da I a IV del presente Capo, presso gli organi costituiti dalle camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580.
Art. 66-bis. Foro competente
1. Per le controversie civili inerenti all’applicazione delle Sezioni da I a IV del presente capo la
competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se
ubicati nel territorio dello Stato.
Art. 66-ter. Carattere imperativo
1. Se il diritto applicabile al contratto è quello di uno Stato membro dell’Unione europea, i consumatori
residenti in Italia non possono rinunciare ai diritti conferiti loro dalle disposizioni delle Sezioni da I a IV del
presente Capo.
2. Eventuali clausole contrattuali che escludano o limitino, direttamente o indirettamente, i diritti derivanti dalle disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo, non vincolano il consumatore.
Art. 66-quater. Informazione e ricorso extragiudiziale
1. Le comunicazioni e i documenti relativi ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali e ai contratti a
distanza, ivi compresi i moduli, i formulari, le note d’ordine, la pubblicità o le comunicazioni sui siti
Internet, devono contenere un riferimento al presente Capo.
2. L’operatore può adottare appositi codici di condotta, secondo le modalità di cui all’articolo 27-bis.
3. Per la risoluzione delle controversie sorte dall’esatta applicazione dei contratti disciplinati dalle
disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente capo è possibile ricorrere alle procedure di mediazione,
di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. E’ fatta salva la possibilità di utilizzare le procedure di
negoziazione volontaria e paritetica previste dall’articolo 2, comma 2, dello stesso decreto legislativo 4
marzo 2010, n. 28.
Art. 66-quinquies. Fornitura non richiesta
1. Il consumatore è esonerato dall’obbligo di fornire qualsiasi prestazione corrispettiva in caso di fornitura
non richiesta di beni, acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale o di prestazione non
richiesta di servizi, vietate dall’articolo 20, comma 5, e dall’articolo 26, comma 1, lettera f), del presente
Codice. In tali casi, l’assenza di una risposta da parte del consumatore in seguito a tale fornitura non
richiesta non costituisce consenso.
2. Salvo consenso del consumatore, da esprimersi prima o al momento della conclusione del contratto, il
professionista non può adempiere eseguendo una fornitura diversa da quella pattuita, anche se di valore
e qualità equivalenti o superiori.
Art. 67. Tutela in base ad altre disposizioni
1. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non escludono ne’ limitano i diritti che sono
attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico di fonte comunitaria o adottate in
conformità a norme comunitarie.
2. Per quanto non previsto dalle Sezioni da I a IV del presente Capo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di validità, formazione o efficacia dei contratti.
35
Il
Condominio Nuovo
3. Ai contratti di cui alla sezione III del presente Capo si applicano altresì le disposizioni di cui agli articoli 18, 19 e 20 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e successive modificazioni, recante
riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15
marzo 1997, n 59.”.
2. Nel decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, è aggiunto l’allegato I, nel testo allegato al presente
decreto. I riferimenti alle norme del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sostituite da quelle
di cui al comma 1 e contenuti in altre disposizioni normative, si intendono fatti alle corrispondenti
norme sostitutive di cui al medesimo comma 1.
3. All’articolo 26, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, le parole: “salvo quanto previsto dall’articolo 54, comma 2, secondo periodo” sono sostituite dalle seguenti: “salvo
quanto previsto dall’articolo 66-sexies, comma 2”.
4. All’articolo 81, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 le parole: “l’articolo 62,
comma 3” sono sostituite dalle seguenti: “l’articolo 66”.
5. All’articolo 144-bis, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, le lettere a), b), f)
e g) sono soppresse, e alla lettera h) le parole: “contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento
ripartito di beni immobili, di cui alla parte III, titolo IV, capo I”, sono sostituite dalle seguenti: “contratti di
multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio, di cui alla parte III, titolo IV, capo I”.
6. All’articolo 27 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 1 è inserito il seguente: “1-bis. Anche nei settori regolati, ai sensi dell’articolo 19,
comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano
una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in
via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri
di cui al presente articolo, acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente. Resta ferma la
competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della
regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono
disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione,
nel quadro delle rispettive competenze.”;
b) al comma 9, le parole: “500.000,00 euro” sono sostituite dalle seguenti: “5.000.000 euro”;
c) al comma 12, le parole: “150.000 euro” sono sostituite dalle seguenti: “5.000.000 euro”. 7. Il comma 12-quinquiesdecies dell’articolo 23 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla
legge 7 agosto 2012, n. 135, è abrogato.
Art. 2 Disposizioni finali
1. Le modifiche apportate al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, dall’articolo 1, commi 1, 2, 3,
4 e 5, del presente decreto legislativo entrano in vigore dal 13 giugno 2014 e si applicano ai contratti
conclusi dopo tale data.
2. Il Ministero dello sviluppo economico informa la Commissione europea entro il 13 dicembre 2013 o, al
più tardi, entro dieci giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, delle disposizioni adottate
agli articoli 47, comma 2, 49, commi 7, 8 e 9, 50, comma 4, 51, comma 6, e 52, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, come modificati dal presente decreto legislativo, ai sensi
delle scelte normative previste rispettivamente all’articolo 3, paragrafo 4, all’articolo 6, paragrafi 7 e
8, all’articolo 7, paragrafo 4, all’articolo 8, paragrafo 6, e all’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva
2011/83/UE. Il Ministero dello sviluppo economico comunica altresì alla Commissione europea qualsiasi
successiva modifica adottata in relazione alle citate scelte normative previste dalla direttiva comunitaria.
3. Il Ministero dello sviluppo economico comunica alla Commissione europea le disposizioni di protezione
dei consumatori più rigorose di quelle previste dalla direttiva 93/13/CE in materia di clausole vessatorie
nei contratti con i consumatori, in particolare qualora tali disposizioni:
a) estendano la valutazione di abusività a clausole contrattuali negoziate individualmente o all’adeguatezza del prezzo o della remunerazione, oppure
b) contengano liste di clausole contrattuali che devono essere considerate abusive.
4. Il Ministero dello sviluppo economico comunica alla Commissione le disposizioni di protezione dei
consumatori più rigorose di quelle previste dalla direttiva 99/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle
garanzie dei beni di consumo, qualora tali disposizioni riguardino i termini della durata della garanzia
legale nella vendita di beni di consumo sia per i nuovi beni che per i beni usati.
5. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri
per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente
36
Il
Condominio Nuovo
decreto con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi
della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addi’ 21 febbraio 2014
NAPOLITANO
Letta, Presidente del Consiglio dei ministri
Moavero Milanesi, Ministro per gli affari europei
Zanonato, Ministro dello sviluppo economico
Bonino, Ministro degli affari esteri
Cancellieri, Ministro della giustizia
Saccomanni, Ministro dell’economia edelle finanze
Visto, il Guardasigilli: Orlando
Allegato (previsto dall’articolo 1, comma 1)
“ALLEGATO I. Informazioni relative all’esercizio del diritto di recesso
A. Istruzioni tipo sul recesso
- ai sensi dell’art.49, comma 4,
Diritto di recesso
Lei ha il diritto di recedere dal contratto, senza indicarne le ragioni, entro 14 giorni.
Il periodo di recesso scade dopo 14 giorni dal giorno [1].
Per esercitare il diritto di recesso, Lei è tenuto a informarci [2] della sua decisione di recedere dal
presente contratto tramite una dichiarazione esplicita (ad esempio lettera inviata per posta, fax o posta
elettronica). A tal fine può utilizzare il modulo tipo di recesso allegato, ma non è obbligatorio [3].
Per rispettare il termine di recesso, è sufficiente che Lei invii la comunicazione relativa all’esercizio del
diritto di recesso prima della scadenza del periodo di recesso.
Effetti del recesso
Se Lei recede dal presente contratto, Le saranno rimborsati tutti i pagamenti che ha effettuato a nostro
favore, compresi i costi di consegna (ad eccezione dei costi supplementari derivanti dalla Sua eventuale scelta di un tipo di consegna diverso dal tipo meno costoso di consegna standard da noi offerto), senza
indebito ritardo e in ogni caso non oltre 14 giorni dal giorno in cui siamo informati della Sua decisione di
recedere dal presente contratto. Detti rimborsi saranno effettuati utilizzando lo stesso mezzo di pagamento da Lei usato per la transazione iniziale, salvo che Lei non abbia espressamente convenuto
altrimenti; in ogni caso, non dovrà sostenere alcun costo quale conseguenza di tale rimborso
[4] [5] [6]
Istruzioni per la compilazione
[1] Inserire uno dei seguenti testi tra virgolette:
a) in caso di un contratto di servizi o di un contratto per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando
non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di
contenuto digitale che non è fornito su un supporto materiale: «della conclusione del contratto.»;
b) nel caso di un contratto di vendita: «in cui Lei o un terzo, diverso dal vettore e da Lei designato,
acquisisce il possesso fisico dei beni.»;
c) nel caso di un contratto relativo a beni multipli ordinati dal consumatore in un solo ordine e consegnati
separatamente: «in cui Lei o un terzo, diverso dal vettore e da Lei designato, acquisisce il possesso
fisico dell’ultimo bene.»;
d) nel caso di un contratto relativo alla consegna di un bene consistente di lotti o pezzi multipli: «in cui
Lei o un terzo, diverso dal vettore e da Lei designato, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo lotto o
pezzo.»;
e) nel caso di un contratto per la consegna periodica di beni durante un determinato periodo di tempo:
«in cui Lei o un terzo, diverso dal vettore e da Lei designato, acquisisce il possesso fisico del primo
bene.»
37
Il
Condominio Nuovo
[2] Inserire il nome, l’indirizzo geografico e, qualora disponibili, il numero di telefono e di fax e l’indirizzo di
posta elettronica.
[3] Se Lei da’ al consumatore la possibilità di compilare e inviare elettronicamente le informazioni relative al
recesso dal contratto sul Suo sito web, inserire quanto segue: «Può anche compilare e inviare elettronicamente il modulo tipo di recesso o qualsiasi altra esplicita dichiarazione sul nostro sito web [inserire
l’indirizzo]. Nel caso scegliesse detta opzione, Le trasmetteremo senza indugio una conferma di ricevimento
del recesso su un supporto durevole (ad esempio per posta elettronica).»
[4] Per i contratti di vendita nei quali Lei non ha offerto di ritirare i beni in caso di recesso, inserire
quanto segue: «Il rimborso può essere sospeso fino al ricevimento dei beni oppure fino all’avvenuta dimostrazione da parte del consumatore di aver rispedito i beni, se precedente.»
[5] Se il consumatore ha ricevuto i beni oggetto del contratto:
a) Inserire:
- «Ritireremo i beni.»; oppure
- «E’ pregato di rispedire i beni o di consegnarli a noi o a . [inserire il nome e l’indirizzo geografico,
se del caso, della persona da Lei autorizzata a ricevere i beni], senza indebiti ritardi e in ogni caso
entro 14 giorni dal giorno in cui ci ha comunicato il suo recesso dal presente contratto. Il termine è
rispettato se Lei rispedisce i beni prima della scadenza del periodo di 14 giorni.»
b) Inserire:
- «I costi della restituzione dei beni saranno a nostro carico.»,
- «I costi diretti della restituzione dei beni saranno a Suo carico.»,
- Se, in un contratto a distanza, Lei non offre di sostenere il costo della restituzione dei beni e questi ultimi, per loro natura, non possono essere normalmente restituiti a mezzo posta: «Il costo diretto di . EUR [inserire l’importo] per la restituzione dei beni sarà a Suo carico.»; oppure se il costo della restituzione dei
beni non può essere ragionevolmente calcolato in anticipo: «Il costo diretto della restituzione dei beni sarà
a Suo carico. Il costo è stimato essere pari a un massimo di circa . EUR [inserire l’importo].», oppure
- Se, in caso di un contratto negoziato fuori dei locali commerciali, i beni, per loro natura, non
possono essere normalmente restituiti a mezzo posta e sono stati consegnati al domicilio del consumatore alla data di conclusione del contratto: «Ritireremo i beni a nostre spese.»
c) inserire:
«Lei è responsabile solo della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione del bene
diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni.»
[6] In caso di un contratto per la fornitura di acqua, gas ed elettricità, quando non sono messi in vendita
in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento, inserire quanto segue: «Se Lei ha
chiesto di iniziare la prestazione di servizi o la fornitura di acqua/gas elettricità/teleriscaldamento [cancellare la dicitura inutile] durante il periodo di recesso, è tenuto a pagarci un importo proporzionale a quanto
fornito fino al momento in cui Lei ha ci comunicato il Suo recesso dal presente contratto, rispetto a tutte
le prestazioni previste dal contratto.»
B. Modulo di recesso tipo
- ai sensi dell’art.49, comma 1, lett. h)
- (compilare e restituire il presente modulo solo se si desidera recedere dal contratto)
- Destinatario [il nome, l’indirizzo geografico e, qualora disponibili, il numero di telefono, di fax e gli
indirizzi di posta elettronica devono essere inseriti dal professionista]:
- Con la presente io/noi (*) notifichiamo il recesso dal mio/nostro (*) contratto di vendita dei seguenti beni/
servizi (*)
- Ordinato il (*)/ricevuto il (*)
- Nome del/dei consumatore(i)
- Indirizzo del/dei consumatore(i)
- Firma del/dei consumatore(i) (solo se il presente modulo è notificato in versione cartacea)
- Data
(*) Cancellare la dicitura inutile.
“Parte di provvedimento in formato grafico”
38
Il
GIURISPRUDENZA
Condominio Nuovo
Recenti sentenze in materia di condominio
tario) affidatario dei figli, opponibilità al terzo acquirente - Alienazione dopo l’assegnazione, modificabilità
assegnazione per fatti sopravvenuti - Azioni del terzo a
tutela dei propri diritti
Pietro D’Antò
Avvocato
Curatore del sito www.iussit.com
ASCENSORE
Riparto spese
La proprietà dell’ascensore è comune a tutti i condomini, salvo titolo diverso. Il criterio di ripartizione delle
relative spese contenuto nell’art. 1124 cod. civ. non
incide sul regime di proprietà.
La Suprema Corte, già in precedenza, con sentenza n.
5975 del 2004, si era espressa nei seguenti termini: “in
tema di criteri di riparto delle spese riguardanti la manutenzione, ricostruzione e installazione dell’ascensore”,
“dopo aver ribadito che la disciplina contenuta negli
artt. 1123-1125 cod. civ., sul riparto delle spese inerenti
ai beni comuni, è suscettibile di deroga con atto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento condominiale
che abbia natura contrattuale, ha affermato che “deve
ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella
legale, ma anche quella che preveda l’esenzione totale o
parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime. In quest’ultima ipotesi, nel
caso cioè in cui una clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di taluni condomini l’esenzione
totale dall’onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese
(comprese quelle di conservazione), in ordine a una determinata cosa comune (come ad es. l’ascensore), si ha
il superamento nei riguardi della suddetta categoria di
condomini della presunzione di comproprietà su quella
parte del fabbricato”. “In assenza di siffatta previsione
contrattuale, la proprietà comune del bene impone la
partecipazione di tutti i condomini alle decisioni che
concernono detto bene.”(Corte di Cassazione, sentenza
n. 14697 del 14 luglio 2015)
CASA FAMILIARE
Assegnazione casa familiare al coniuge (non proprie-
“Sia in sede di separazione che di divorzio – gli artt.
155 quater c.c. (applicabile alla fattispecie concreta
ratione temporis) e 6, co. 6, della L. n. 898 del 1970,
come modificato dall’art. 11 della L. n. 74 del 1987,
consentono al giudice di assegnare l’abitazione al coniuge non titolare di un diritto di godimento (reale o
personale) sull’immobile, solo se a lui risultino affidati
figli minori, ovvero con lui risultino conviventi figli
maggiorenni non autosufficienti. Tale “ratio” protettiva,
che tutela l’interesse dei figli a permanere nell’ambiente
domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile,
invece, in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso i quali non
sussiste, invero, proprio in ragione della loro acquisita autonomia ed indipendenza economica, esigenza
alcuna di spedale protezione (cfr., ex plurimis, Cass.
5857/2002; 25010/2007; 21334/2013).” “l’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario risponde
all’esigenza di tutela degli interessi dei figli, con particolare riferimento alla conservazione del loro “habitat”
domestico inteso come centro della vita e degli affetti
dei medesimi, con la conseguenza che detta assegnazione non ha più ragion d’essere soltanto se, per vicende
sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale
essenziale funzione. (Cass. 6706/2000). Come per
tutti i provvedimenti conseguenti alla pronuncia di
separazione o di divorzio, dunque, anche per l’assegnazione della casa familiare vale il principio generale della
modificabilità in ogni tempo per fatti sopravvenuti.” “
Ed invero, ai sensi dell’art. 6, co. 6, della legge n. 898
del 1970 (nel testo sostituito dall’art. 11 della l. n. 74
del 1987), applicabile anche in tema di separazione
personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione
della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per
definizione data certa, è opponibile, ancorché non
trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove
anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – ma solo ove
il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i
nove anni. Tale opponibilità conserva, beninteso, il suo
valore finché perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale, costituente il titolo in forza del quale il coniuge, che
39
Il
Condominio Nuovo
non sia titolare di un diritto reale o personale di godimento dell’immobile, acquisisce il diritto di occuparlo,
in quanto affidatario di figli minori o convivente con
figli maggiorenni non economicamente autosufficienti
(cfr. Cass. S.U. 11096/2002, in motivazione; Cass.
5067/2003; 9181/2004; 12296/2005; 4719/2006). È
fin troppo evidente, infatti, che il perdurare sine die
dell’occupazione dell’immobile – perfino quando ne
siano venuti meno i presupposti, per essere i figli divenuti ormai autonomi economicamente – si risolverebbe
in un ingiustificato, durevole, pregiudizio al diritto del
proprietario terzo di godere e disporre del bene, ai sensi
degli artt. 42 Cost. e 832 c.c. Una siffatta lettura delle
succitate norme che regolano l’assegnazione della casa
coniugale (v. ora l’art. 337 sexies c.c.), del resto, presterebbe certamente il fianco a facili censure di incostituzionalità. Ciò posto, va rilevato che l’efficacia della
pronuncia giudiziale del provvedimento di assegnazione
in parola può essere messa in discussione tra i coniugi,
circa il perdurare dell’interesse dei figli, nelle forme
del procedimento di revisione previsto all’art. 9 della
L. n. 898 del 1970, attraverso la richiesta di revoca del
provvedimento di assegnazione, per il sopravvenuto
venir meno dei presupposti che ne avevano giustificato
l’emissione. Per converso, deve ritenersi che il terzo
acquirente – non legittimato ad attivare il procedimento suindicato – non possa che proporre, instaurando
un ordinario giudizio di cognizione, una domanda di
accertamento dell’insussistenza delle condizioni per il
mantenimento del diritto personale di godimento a
favore del coniuge assegnatario della casa coniugale, per
essere venuta meno la presenza di figli minorenni o di
figli maggiorenni non economicamente autosufficienti,
con il medesimo conviventi. E ciò al fine di conseguire
una declaratoria di inefficacia del titolo che legittima
l’occupazione della casa coniugale da parte del coniuge
assegnatario, a tutela della pienezza delle facoltà connesse al diritto dominicale acquisito, non più recessive
rispetto alle esigenze di tutela dei figli della coppia
separata o divorziata (cfr. Cass. 18440/2013, secondo
cui ogni questione relativa al diritto di proprietà della
casa coniugale o al diritto di abitazione sull’immobile
esula dalla competenza funzionale del giudice della
separazione o del divorzio, e va proposta con il giudizio
di cognizione ordinaria). In mancanza, il terzo – non
potendo attivare il procedimento, riservato ai coniugi,
di cui all’art. 9 della legge sul divorzio – resterebbe, per
il vero, del tutto privo di tutela, in violazione del disposto dell’art. 24 Cost..”
(Corte di Cassazione, sentenza n. 15367 del 22 luglio
2015)
POSSESSO
Distinzione tra possesso ad usucapionem e e situazione
di fatto tutelabile in sede di azione di reintegrazione
In un giudizio avente ad oggetto l’utilizzo di una
nicchia che era nel compossesso di tutti i condomini,
la Corte ha affermato che “Per la configurabilità del
possesso (“ad usucapionem”), è necessaria la sussistenza
di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto
il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno
“ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n.
11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale
di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una
indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta
all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996
n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).” Ha anche
precisato che “Occorre distinguere tra possesso utile ai
fini della usucapione e situazione di fatto tutelabile in
sede di azione di reintegrazione, indipendentemente
dalla prova che spetti un diritto, da parte di chi è privato violentemente od occultamente della disponibilità
del bene. La relativa legittimazione attiva spetta non
solo al possessore iuri dominus ma anche al detentore
nei confronti dello spoliator che sia titolare del diritto
e tenti di difendersi opponendo che “feci sed iure feci”.
La prova dell’attualità del possesso è un presupposto per
l’accoglimento della domanda essendo necessario provare una situazione di fatto, protrattasi per un periodo
di tempo apprezzabile ed avente i caratteri esteriori di
un diritto reale (Cass. 1 agosto 2007 n. 16974,7 ottobre
1991 n. 10470).”
(Corte di Cassazione, sentenza n. 6643 del 1° aprile
2015)
BENE COMUNE Cass. 12157 , 11 giugno 2015
Corridoio di servizio di rispostigli
Ha natura condominiale il corridoio di servizio dei
ripostigli-sottotetto anche nel caso in cui la proprietà
dei ripostigli appartenga ad un solo soggetto, salvo titolo diverso che valga a documentare la proprietà esclusiva
del corridoio. E’ quanto emerge dalla sentenza n. 12157
dell’ 11 giugno 2015, con la quale, in materia di condominialità, la S.C. ribadisce e precisa che “In tema di
condominio è stabile insegnamento di questa Corte che
la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo,
determinata dai titoli.
Solo in difetto di questi ultimi, il sottotetto può
ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue
caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente
destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune
o all’esercizio di un servizio di interesse comune (Cass.
17249/11).
Ciò vale in particolare quando il sottotetto abbia
40
Il
dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, come sembra
accadere nel caso di specie, trattandosi di ambienti destinati a ripostiglio-cantina.“ Ed aggiunge che per il
carattere della condominialità “ha rilievo la destinazione
funzionale del bene all’uso di più condomini proprietari
di singole unità sottotetto.” Nel caso posto all’esame
della Corte “la presunzione di proprietà comune, di cui
al citato art. 1117 cod., si fonda su elementi obiettivi
che rivelano l’attitudine funzionale del bene al servizio
o al godimento collettivo: la creazione di un corridoio
presuppone infatti un uso che serva alla collettività,
funzionale a due o più numerose proprietà singole, che
nella specie sussistevano all’atto della costituzione del
condominio”. “È ben difficile sostenere comunque che
un corridoio concepito e costruito per l’accesso a molti
distinti vani ripostiglio sia un bene avente una propria
autonomia e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio, almeno potenziale, rispetto all’edificio
condominiale.
“ A nulla rileva pertanto che non sia asservito alla ‘proprietà di altri condomini o che ‘la generalità di essi’ non
abbia interesse all’utilizzazione. La pluralità dei soggetti
potenzialmente utilizzatori non è infatti discutibile e
non sussistono le caratteristiche strutturali atte a far presumere che alla nascita del condominio quel corridoio
sia stato riservato a un proprietario esclusivo”
(Corte di Cassazione, sentenza n.12157 dell’ 11 giugno
2015)
REGOLAMENTO DI CONDOMINIO
Interpretazione restrittiva, per costruzione piscina
La costruzione di una piscina in un giardino, a norma di
regolamento di condominio, deve ritenersi non vietata quando tra le disposizioni regolamentari non risulti
specifico divieto come nel caso di specie: “il terreno non
occupato dalla costruzione civile dovrà essere tenuto a
giardino. E’ assolutamente vietato anche in via provvisoria
la costruzione, in qualsiasi materiale, di pollai, conigliere e
simili visibili dal passaggio comune”.
La Corte, all’uopo, ha precisato: “E’ vero che in astratto la
definizione di giardino non contempla la piscina, mentre
prevede, in alcune varianti, fontane, cascate e specchi d’acqua, ma la questione non è nominalistica occorrendo - ai
fini della adeguatezza della motivazione -“ (della sentenza
impugnata) ”la verifica in concreto delle caratteristiche
specifiche del manufatto e del contesto in cui si inserisce,
senza trascurare, peraltro, che la previsione regolamentare di “mantenere a giardino” il terreno non edificato è
specificata, in via esemplificativa, con il divieto di costruire
ricoveri per animali da cortile, e cioè manufatti che per
definizione non rientrano nel concetto di giardino”
(Corte di Cassazione, sentenza n. 8822 del 30 aprile
2015)
Condominio Nuovo
RESPONSABILITÀ PER DANNI
Chiamata di terzo
Il condominio può chiamare in causa il terzo responsabile del fatto generatore del danno, e, cioè, il coobbligato alla prestazione pretesa dalla parte attrice per essere
manlevato in caso di soccombenza, senza necessità di
usare una particolare formula nell’atto di chiamata.
Ritiene la Corte che “Nell’ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di responsabilità civile chiami in
causa un terzo in qualità di corresponsabile dell’evento
dannoso, chiedendone, in caso di affermazione della
propria responsabilità, la condanna a garantirla e manlevarla, l’atto di chiamata, al di là della formula adottata,
va inteso come chiamata del terzo responsabile e non
già come chiamata in garanzia impropria, dovendosi
privilegiare l’effettiva volontà della chiamante in relazione alla finalità, in concreto perseguita, di attribuire al
terzo la corresponsabilità dell’evento dannoso e, pertanto, in tal caso, essendo peraltro unico il fatto generatore
della responsabilità prospettata con la domanda principale e con la chiamata dei terzi, si verifica l’estensione
automatica della domanda al terzo chiamato, onde il
giudice può direttamente emettere nei suoi confronti
una pronuncia di condanna, anche se l’attore non ne
abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel
vizio di extrapetizione (Cass. 3 marzo 2010, n. 5057; v.
anche Cass. 7 ottobre 2011, n. 20610, pur riferendosi
quest’ultima pronunzia all’ipotesi in cui nei confronti
del terzo chiamato non sussista alcun rapporto contrattuale, il che non rileva ai fini dell’applicazione del
predetto principio al caso di specie, per quanto sopra
evidenziato; v. inoltre Cass. 29 luglio 2009, n. 17688).”
(Corte di Cassazione, sentenza n. 12598 del 18 giugno
2015)
SCALE
Proprietà comune
“Nel condominio di edifici, le scale, al pari degli anditi,
sono annoverate tra i beni che l’articolo 1117 c.c. considera di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo.
In proposito, la giurisprudenza ha affermato che le
scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture
funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano,
pertanto, fra le parti di questo che, in assenza di titolo
contrario, devono presumersi comuni nella loro interezza, ed anche se poste concretamente al servizio
soltanto di talune delle porzioni dello stabile, a tutti i
partecipanti alla collettività condominiale in virtù del
dettato dell’articolo 1117 c.c., n. 1, (Cass. 12-2-1998 n.
1498), senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’articolo 1123 c.c., u.c., il quale, proprio sul presupposto
di tale comunione, disciplina soltanto la ripartizione
41
Università degli Studi del Sannio
CORSO di ALTA FORMAZIONE
per le Amministrazioni Condominiali
Convegno di Presentazione.
30 ottobre 2015, ore 10:00
Contenuti
Il corso, tenuto da docenti universitari, avvocati ed ingegneri
esperti nelle problematiche condominiali, si rivolge a
diplomati e laureati di qualsiasi disciplina che intendono
specializzarsi nelle materie condominiali, ovvero a chi è già un
professionista ma desidera ampliare le proprie competenze ed
integrare le proprie attività.
A termine del corso sarà rilasciato un attestato di frequenza
valido anche per l’esercizio della professione ex art. 71 bis
Disp. Att. Cc. DM Ministero della Giustizia n°140/2014.
Presso l’Università di Benevento, Dipartimento DEMM,
Piazza Arechi, si terrà il convegno di presentazione del
in condominio.
Durata
Il corso avrà inizio il 13 novembre ed avrà una durata
di 100 ore, divise in 20 incontri tenuti il venerdì
mattina.
Sedi:
Università di Benevento
per le provincie di Benevento e Avellino.
Tamarìn Business Center
per le provincie di Napoli, Caserta e Salerno.
Partners
Media Partners
Sponsor
SPAZIO AL TUO BUSINESS
Info e Contatti
i prezzi e i moduli di adesione rivolgersi a:
Segreteria Tamarìn
0823 28 11 91
[email protected]
Università degli Studi del Sannio
Piazza Guerrazzi, 1 82100 Benevento
[email protected]
CONVEGNO di PRESENTAZIONE del CORSO
Il convegno avrà come oggetto la presentazione
del corso nonché una relazione sulle nuove
VENERDI
30
Sala Conferenze Dipartimento DEMM
Università degli Studi del Sannio
Palazzo De Simone, Piazza Arechi, Benevento
OTTOBRE
10.00
Saluti:
prof. Giuseppe Marotta
Direttore Dipartimento Demm
dell’Università degli Studi del Sannio
avv. Domenico Vessichelli
Vice Presidente dell'Ordine
degli avvocati di Benevento
dott. Giovanni Cuomo
Presidente Ordine Dottori
Commercialisti di Benevento
Presentazione del Corso:
prof. Manlio Lubrano
di Scorpaniello
Relazioni:
avv. Rodolfo Cusano
“L’istituto condominiale e le
nuove opportunità di lavoro”
dott. Enzo Rocco
dell’amministratore
di condominio”
RICHIESTA di ISCRIZIONE
al CORSO di ALTA FORMAZIONE
per le Amministrazioni Condominiali
Il/la Sottoscritto/a
Cognome e Nome
Luogo di Nascita
Codice Fiscale
Indirizzo
Città
Titolo di Studio
Professione
E-mail
Data di Nascita
Prov
Cap
Tel
Richiede di iscriversi al “Corso di Alta Formazione per le Amministrazioni Condominiali” presso la sede di:
Università di Benevento
per le provincie di Benevento e Avellino.
Tamarìn Business Center
per le provincie di Napoli, Caserta e Salerno.
Accetto
a cura di LetMeDo S.r.l.
Firma del Dichiarante
Inviare a: [email protected] il presente modulo scansito. Riceverai un’email con le istruzioni
per il pagamento e su come ricevere il 20% di sconto.
Il
Condominio Nuovo
delle spese per la conservazione ed il godimento di esse,
ispirandosi al criterio della utilità che ciascun condomino o gruppo di condomini ne trae (Cass. 22-.2-1996
n. 1357). In tale ottica, è stato precisato che le scale,
essendo elementi strutturali necessari alla edificazione
di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per
accedere al tetto e al terrazzo di copertura, conservano la
qualità di parti comuni, così come indicato nell’articolo
1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari
di negozi con accesso dalla strada, in assenza di titolo
contrario, poichè anche tali condomini ne fruiscono
quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio (Cass. 10-7-2007 n.
15444).”
(Corte di Cassazione, sentenza n. 10483 del 21 maggio
2015)
VARCO
Apertura nuovo varco, non è opera voluttuaria
“In materia di condominio degli edifici, le innovazioni
per le quali è consentito al singolo condomino, ai sensi
dell’articolo 1121 c.c., di sottrarsi alla relativa spesa
per la quota che gli compete, sono quelle che, oltre a
riguardare impianti suscettibili di utilizzazione separata,
hanno natura voluttuaria, cioè siano prive di utilità,
ovvero risultano molto gravose, con riferimento oggettivo alle condizioni e alla importanza dell’edificio (Cass.
23-4-1981 n. 2408). La relativa valutazione integra un
accertamento di fatto devoluto al giudice del merito ed
incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua (Cass. 18-1-1984 n. 428). Nella specie,
la S.C. ha ritenuto che la Corte di Appello, abbia
correttamente, escluso il carattere voluttuario dell’innovazione deliberata, non potendosi attribuire un simile
connotato a un’opera che, benchè non strettamente
necessaria, si riveli comunque utile per il Condominio,
comportando, come nel caso in esame, ” un oggettivo
miglioramento della funzionalità del fabbricato”, tenuto conto delle oggettive condizioni e dell’importanza
dell’edificio, e cioè che l’apertura di un nuovo accesso
da una strada più larga e pianeggiante, costituisce un
oggettivo miglioramento rispetto al precedente unico
accesso da altra via, strada di larghezza esigua ed in salita, facilitando anche le operazioni di carico e scarico di
oggetti ingombranti e la sosta di vetture per il trasporto
di persone e di cose.
(Corte di Cassazione, sentenza n. 10483 del 21 maggio
2015)
dall’ultimo pianerottolo al piano terra … utilizzato per
la raccolta a caduta dei rifiuti, che ciascun condomino
avrebbe dovuto gettare nel condotto dalla botola di
accesso posta al suo pianerottolo” “ è da presumere
di proprietà comune in virtù della previsione del n. 3)
dell’art. 1117 c.c. - nella formulazione applicabile ratione temporis al caso di specie - e, segnatamente, della
prefigurazione ‘canali di scarico’ che vi è ricompresa.”
La Corte, nel caso posto all’attenzione degli ermellini,
ha precisato che “in tema di comunione, non essendo
ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso,
né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari (invero, alla regola della interversio possessionis, intesa in senso propriamente tecnico, è posta una
deroga dall’art. 1102 c.c. nell’ipotesi di compossesso,
dato che il compossessore se intende estendere il suo
possesso esclusivo sul bene comune, non ha alcuna necessità di fare opposizione al diritto dei condomini, cosi
come invece previsto nel caso di vera e propria interversio possessionis, ma è sufficiente solo che compia ‘atti
idonei a mutare il titolo del suo possesso’: a tal specifico
riguardo cfr. Cass. 15.11.1973, n. 3045), ai fini della
decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi, per un
verso, l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di
proseguire un rapporto materiale con il bene e, per altro
verso, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere
il bene in maniera esclusiva, per cui ove possa sussistere
un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale,
il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata,
anche con modalità non formali, la volontà di possedere
in via esclusiva.
(Corte di Cassazione, sentenza n.11903 del 9 giugno
2015)
USUCAPIONE
Condotto di scarico in muratura della spazzatura – Inizio decorrenza termine per usucapione
“ Il condotto di scarico della spazzatura … (che) corre
44
Il
BUSINESS&NEWS
Condominio Nuovo
Affitto Casa: Quale conviene? Il Canone libero,
il Concordato o la Cedolare secca?
Antonio Crescenzo
Presidente dellaTamarin Scarl
GestioniPatrimonialiedAmministrazionibeniditerzi
Oggi è sempre più complicato districarsi nella giungla delle tasse e spesso per i proprietari di casa nasce il
dilemma: ma qual’è, realmente, il vero incasso al netto
delle tasse che mi metto in tasca affittando un appartamento?
Abbiamo fatto una ipotesi verificando la convenienza
sia dalla parte del proprietario che di un inquilino. A
parità del reddito netto intascato dal proprietario, che
canone è possibile applicare all’inquilino?
Il Governo Renzi con il Piano Casa 2014 ha abbassato
la cedolare secca dal 15% al 10% per i contratti d’affitto
a canone concordato.
Procediamo quindi ad un calcolo reale, per i proprietari,
nell’applicazione dei vari contratti possibili: il contratto
a canone libero, il contratto di locazione con cedolare
secca al 20% oppure a canone concordato.
Antonio, proprietario di un’appartamento, ha in mente
di affittarlo, ma prima vorrebbe capire che tipo di contratto applicare.
In primo luogo Antonio deve verificare in quale aliquota di tassazione IRPEF sarà inserito Il proprio reddito,
con l’aggiunta dell’affitto annuo che andrà a percepire.
Ipotizziamo che Antonio abbia idea di affittare l’abitazione a canone libero di 1.000 euro al mese; ipotizziamo inoltre che Antonio abbia una tassazione IRPEF del
30% o del 40% su questo reddito. il calcolo di convenienza per Antonio sarà in termini di reddito netto,
ovvero i soldi effettivamente percepiti dopo aver pagato
le imposte.
Aliquota IRPEF 30% su reddito lordo di locazione
12.000 euro lordo a Canone Libero
Antonio, avrebbe un reddito netto di 8.580,00 euro/anno
ed in questo caso potrebbe affittare l’appartamento anche:
Come si potrà notare Antonio a parità di reddito
netto annuale può applicare canoni di locazione molto
diversi, a seconda del tipo di contratto ma, attenzione
all’affitto mensile, che da 1.000€ al mese scende circa
del 20% e diventa di 795€ nel contratto a canone concordato. Per le imposte da versare, invece, se opta per la
cedolare secca al 20% e/o il canone concordato al 10%,
Antonio paga molto di meno.
Aliquota IRPEF 40% su reddito lordo di locazione
12.000 euro lordi a Canone Libero.
Antonio, per avere lo stesso reddito netto di 7.440 euro/
anno potrebbe affittare l’appartamento anche:
A) a 775 euro/mese con canone libero e cedolare secca
20%
B) a 690 euro/mese con canone concordato e cedolare
secca 10%
Anche qui a parità di reddito netto annuale Antonio
può applicare canoni di locazione molto diversi, a seconda del tipo di contratto.
L’affitto mensile, a canone libero da 1.000€ al mese
scende nel contratto a canone concordato di circa il
30% e diventa di 690€.
C’è naturalmente da sottolineare l’estrema convenienza
economica per l’inquilino, nell’esempio di calcolo fatto,
nel caso che il proprietario al percepire dello stesso
reddito netto, scelga il canone concordato a cedolare
secca del 10%.
Ma anche il proprietario però ne può trarre beneficio
perché abbassandosi il canone, a parità di reddito netto
percepito diminuisce il rischio di insolvenza dell’inquilino.
A) a 895 euro/mese con canone libero e cedolare secca
del 20%
B) a 795 euro/mese con canone concordato e cedolare
secca del 10%
45
Il
Condominio Nuovo
Bonus Ristrutturazione Alberghi
Antonio Crescenzo
Presidente dellaTamarin Scarl
GestioniPatrimonialiedAmministrazionibeniditerzi
Il Ministero con decreto del 7 maggio 2015 ha regolato gli aspetti pratici degli incentivi fiscali per gli
interventi di riqualificazione delle strutture turistico-alberghiere (agevolazione che si aggiunge all’incentivo per la digitalizzazione) integrando così l’art.
10 del D.L. 83/2014 e successivo decreto attuativo
per l’information technology del 12 febbraio 2015.
Il Decreto “Cult-Turismo”, ha introdotto nuove
agevolazioni di carattere fiscale per il settore alberghiero, prevedendo la possibilità, per le imprese
richiedenti, di ricevere un credito d’imposta pari al
30% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2014 al 31
dicembre 2016, suddiviso in tre quote annuali di
pari importo e fino a un massimo di 200mila euro.
Il totale delle spese agevolabili, non può superare
la soglia di 666.667 euro. L’incentivo riguarda le
“strutture alberghiere” già esistenti al 1° gennaio
2012, intese come strutture aperte al pubblico, a
gestione unitaria, con servizi centralizzati, che forniscono alloggio, eventualmente vitto e altri servizi
accessori, in almeno 7 camere per gli ospiti situate in
uno o più edifici. (albergo diffuso).
Possono fruire dell’agevolazione gli alberghi, i villaggi albergo, gli alberghi diffusi, le residenze turisticoalberghiere e le altre “strutture alberghiere” individuate dalle specifiche normative regionali.
Il credito d’imposta è lo strumento utilizzabile e può
essere richiesto per le seguenti spese: interventi di
ristrutturazione edilizia; interventi di eliminazione
delle barriere architettoniche; interventi di incremento dell’efficienza energetica; acquisto di mobili e
componenti d’arredo.
L’ammissibilità della richiesta sulla base dei requisiti
soggettivi, oggettivi e formali, nei limiti delle risorse
disponibili sarà verificato dal MIBACT con l’assegnazione che seguirà l’ordine cronologico di presentazione delle domande.
Il Ministero comunicherà all’impresa il riconoscimento dell’importo del bonus spettante, nei sessanta
giorni dal termine di presentazione delle domande,
o il diniego dell’agevolazione. Il credito d’imposta
non concorre alla formazione della base imponibile
né delle imposte sui redditi né dell’Irap.
La domanda va presentata in via telematica al ministero dei Beni e delle Attività
culturali e del Turismo.
Il credito d’imposta è revocato e il beneficio indebitamente fruito viene recuperato
nel caso in cui:
- venga accertata l’insussistenza di uno dei
requisiti soggettivi e oggettivi;
- la documentazione presentata contiene
elementi non veritieri o sia incompleta;
- i beni oggetto degli investimenti sono
destinati a finalità estranee all’esercizio
d’impresa;
- in caso di accertamento della falsità delle
dichiarazioni rese.
46
Focus
Il
Il contenzioso in condominio
e gli strumenti deflattivi
Il dissenso dalla lite
La mediazione in condominio
L’impugnativa della delibera solo con citazione
La capacità dell’amministratore di stare in giudizio
La sostituzione dell’amministratore
La legittimazione ad agire del singolo condomino
Il ricorso all’assemblea
La revoca della delibera viziata
La nullità e l’annullabilità delle delibere assembleari
La negoziazione assistita
L’accertamento tecnico preventivo
Il
Condominio Nuovo
1. Il dissenso dalla lite
L’articolo 1132 c.c. disciplina il dissenso dei condomini
rispetto alle liti, prevedendo che qualora l’assemblea dei
condòmini abbia deliberato di promuovere una lite o
di resistere a una domanda, il condomino dissenziente,
con atto notificato all’amministratore, può separare la
propria responsabilità in ordine alle conseguenze della
lite per il caso di soccombenza. L’atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino
ha avuto notizia della deliberazione.
In primo luogo, è opportuno precisare che, comunque,
se l’esito della lite è stato favorevole al condominio, il
condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è
tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia
stato possibile ripetere dalla parte soccombente.
L’atto di dissenso non necessita di forma solenne ma va
notificato a mezzo ufficiale giudiziario.
Vi si ritiene equipollente il dissenso comunicato a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento.
La possibilità di separare la propria responsabilità in
ordine alle conseguenze sfavorevoli della lite sembra
operare per le sole controversie tra condominio e terzi e
non anche per quelle tra condominio e singoli condòmini, relativamente alle quali le spese di soccombenza
dovrebbero gravare soltanto sui soggetti che hanno
promosso la lite. Si è, però, obiettato, in dottrina, che
la norma non opera al riguardo alcuna distinzione e che
comunque l’articolo 1132 c.c. accomuna i due tipi di
lite.
Il termine di cui al primo comma dell’articolo 1132
c.c. è previsto a pena di decadenza e decorre dal giorno
in cui il condomino dissenziente ha avuto conoscenza
della decisione, presa dall’assemblea, di intentare la lite
o di resistervi (e quindi dalla data di assunzione della
delibera ove egli abbia partecipato all’assemblea).
La dottrina ha prospettato il caso estremo di una sentenza sfavorevole al condominio intervenuta prima dello
spirare del termine previsto per l’opposizione, ritenendo
che, in tal caso, il condomino dissenziente non possa
estraniarsi ma debba sopportare le conseguenze della
soccombenza, e ciò sul rilievo che la norma in commento mirerebbe ad evitare danni futuri e non ad eliminare
quelli già verificatisi, salvo che il dissenziente abbia avuto notizia della delibera successivamente alla sentenza.
Il diritto di rivalsa riguarda le spese ed i danni che si
sarebbero evitati se non si fosse proposta l’azione o non
si fosse resistito alla stessa.
Secondo alcuni, tuttavia, la possibilità di separare la
propria responsabilità in ordine alle conseguenze della
lite sussisterebbe non solo nell’ipotesi di soccombenza
ma anche nel caso di esito favorevole là dove l’utilità
o il vantaggio conseguente alla vittoria della lite fosse
divisibile, in maniera tale da poter separare la posizione
del dissenziente da quella degli altri condòmini.
La dichiarazione del condomino dissenziente di separare
la propria responsabilità da quella degli altri condòmini,
per il caso di soccombenza del condominio nelle liti
che l’assemblea condominiale ha deliberato, è un atto
giuridico recettizio di natura sostanziale, da portarsi, in
quanto tale, tempestivamente a conoscenza dell’amministratore, o di chi altri rappresenti il condominio, ma
per il quale non sono necessariamente richieste forme
solenni, né la notificazione a norma della legge processuale (nella specie si è ritenuta valida la dichiarazione di
dissenso comunicata mediante raccomandata con avviso
di ricevimento) .
Non sembra possibile comunicare tale dissenso in
assemblea.
2. La mediazione in condominio
Uno dei settori dove l’animosità delle parti ne ha caratterizzato i rapporti è quello della materia condominiale.
I dati dicono che, in Italia, oltre la metà della popolazione - e nelle grandi città la quasi totalità dei cittadini vive in condominio. Secondo i dati del Censis, sul totale
delle vertenze civili, una media variabile tra il 4,5-6%
del contenzioso si verificano in ambito condominiale.
La coesistenza forzata dei comproprietari - si legge nella
relazione illustrativa del D.Lgs. 28/2010 (in materia
di conciliazione delle controversie civili e commerciali) - consiglia, se non addirittura impone, la ricerca di
soluzioni facilitative, che consentano in ogni caso di
riavviare la convivenza condominiale al di là della decisione del singolo affare.
Queste considerazioni sono state tra le ragioni che hanno indotto il legislatore a inserire tra le materie cd. obbligatorie del D.Lgs. 28/2010 la materia condominiale
e, poi, a precisarla con la L. 220/2012 di riforma del
Condominio. La novella, tra le varie novità, ha chiarito modificando l’articolo 71quater disp. att. c.c. - quali siano
le controversie in materia di condominio che, ai sensi
dell’articolo 5, comma 1 (ora, 1bis), D.Lgs. 28/2010,
così come modificato dalla L. 9-8-2013, n. 98, entrata
in vigore sul punto dal 21-9-2013, sono soggette al
preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione, quale
condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Il nuovo articolo 71quater disp. att. c.c. recita «Per
48
Il
Condominio Nuovo
controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010,
n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o
dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III,
titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72
delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice. La
domanda di mediazione deve essere presentata, a pena
di inammissibilità, presso un organismo di mediazione
ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il
condominio è situato. Al procedimento è legittimato a
partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo
1136, secondo comma, del codice. Se i termini di
comparizione davanti al mediatore non consentono di
assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore
dispone, su istanza del condominio, idonea proroga
della prima comparizione. La proposta di mediazione
deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza
di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se
non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta
si deve intendere non accettata. Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo
11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo
conto della necessità per l’amministratore di munirsi
della delibera assembleare».
La mediazione è uno strumento innovativo ed efficace
per la gestione delle controversie. Grazie all’ausilio di
un terzo neutrale - il mediatore -, le parti in conflitto
possono giungere ad una soluzione della lite accettabile
e soddisfacente per entrambe. Caratteristica dell’istituto
è l’individuazione di soluzioni in grado di soddisfare
i bisogni di tutte le parti della controversia, non solo
di alcune; ciò consente di ripristinare e rafforzare le
relazioni (commerciali, economiche…) intercorse tra i
protagonisti della lite.
I tempi infiniti del nostro sistema giudiziario e, in particolare, del processo civile, lento e inefficiente, non in
grado di dare risposte con la necessaria solerzia, rappresentano per le parti un rilevante danno. Spesso, poi, i
costi sono notevoli ed i risultati concreti, incerti.
I vantaggi dell’istituto sono molteplici sia sotto il profilo
dei tempi, sia sotto il profilo economico e fiscale, fino
a giungere anche a una soluzione del contenzioso che
dia una risposta celere, valida, efficiente, proficua, ed a
«costo zero».
to a sospensione feriale;
- il tentativo di conciliazione può essere proposto anche
in relazione ad un giudizio in corso;
- la clausola di mediazione può essere prevista dal
contratto o dallo statuto ovvero dall’atto costitutivo, e
la domanda è presentata davanti all’organismo indicato
dalla clausola;
- dal momento della comunicazione alle altre parti, la
domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli
effetti della domanda giudiziale ed impedisce la decadenza;
- lo svolgimento della mediazione non preclude la
concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari né la
trascrizione della domanda giudiziale.
Sintetizzando, i principali benefici possono essere così
riassunti:
Se è raggiunto un accordo amichevole, il testo dell’accordo è allegato al processo verbale e l’accordo che sia
stato sottoscritto dalle parti e dai loro avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna o rilascio, l’esecuzione degli obblighi
- il procedimento di mediazione ha una durata massima
di tre mesi dal deposito della domanda, e non è sogget-
2.1 La procedura
Entro 30 giorni dal deposito della domanda di mediazione, sarà effettuato un primo incontro nel corso del
quale il mediatore illustrerà alle parti, assistite dai propri
avvocati, la funzione e le modalità di svolgimento della
mediazione, invitandole ad esprimersi sulla possibilità
di iniziare la procedura e, nel caso positivo, procederà
con lo svolgimento del procedimento, adoperandosi
affinché le parti raggiungano un accordo amichevole
anche formulando una proposta conciliativa non vincolante e che le parti saranno libere di accettare o meno.
Il procedimento avrà luogo senza formalità presso la
sede dell’Organismo o presso altro luogo eventualmente concordato con le parti, e può svolgersi anche con
modalità on-line.
Se, in occasione del primo incontro, le parti dovessero
esprimersi negativamente sulla possibilità di iniziare la
procedura, nessun compenso sarà dovuto per l’organismo di mediazione, salvo le spese di avvio e, quando la
mediazione è prevista quale condizione di procedibilità
della domanda giudiziale, la condizione si considera
avverata.
È previsto l’obbligo di riservatezza per chiunque presti
la propria opera o il proprio servizio nell’ambito del
procedimento di mediazione rispetto alle informazioni
rese e acquisite durante il procedimento; le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del
procedimento medesimo non possono essere utilizzate
nell’eventuale successivo giudizio.
49
Il
Condominio Nuovo
di fare e non fare, l’esecuzione in forma specifica, per
l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
L’accordo raggiunto può prevedere il pagamento di una
somma di denaro per ogni violazione o inosservanza
degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro
adempimento.
Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al
procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di
bollo e da ogni spesa tassa o diritto di qualsiasi specie e
natura.
Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro
entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente.
I costi sono predeterminati sin dall’inizio. Le spese di
avvio della mediazione sono fisse (40 euro oltre IVA) e
le spese di mediazione (comprensive del compenso del
mediatore) sono previste da tabelle redatte dal Ministero della Giustizia.
Quando la mediazione è condizione di procedibilità, le
indennità previste dalle tabelle sono ridotte. Nell’ipotesi
in cui la parte chiamata in mediazione non aderisca
all’invito, le spese di mediazione si riducono alla misura
fissa di 50 euro oltre IVA.
Alle parti che corrispondono l’indennità agli Organismi, inoltre, è riconosciuto un credito di imposta
commisurato all’indennità stessa, fino a concorrenza di
euro 500 in caso di successo della mediazione, ridotto
della metà in caso di insuccesso.
La novella introdotta dalla L. 220/2012 ha l’aspetto
positivo di aver chiarito alcune questioni che dottrina
e giurisprudenza di merito avevano evidenziato (ad es.:
la legittimazione dell’amministratore a partecipare, sia
come istante sia come convocato, alla procedura di mediazione senza la previa autorizzazione dell’assemblea;
o se, ove ritenesse di partecipare, dovesse essere assistito
da un legale - con la conseguente diatriba sul potere
dell’amministratore di conferire mandato ad un legale
per rappresentare il condominio in giudizio e, quindi,
in mediazione -; sui poteri o le facoltà dell’amministratore in ordine all’eventuale accordo, vincolante per
il condominio e, quindi, per i condomini, in assenza
di una delibera preventiva; sulla possibilità o meno di
una delibera che fornisse dei margini su cui operare,
in modo da presentarsi in mediazione con la concreta
possibilità di chiudere la questione; su quali fossero le
maggioranze necessarie per l’approvazione delle delibere, con la distinzione tra accordi che incidono sui diritti
dei condomini e per i quali era ritenuta consigliabile,
se non indispensabile, una approvazione all’unanimità
e accordi che contengono, invece, solo una regolamentazione economica dei rapporti tra le parti - per i quali
vi era chi riteneva fosse sufficiente l’approvazione con
le maggioranze previste dal codice e dal regolamento
di condominio -; sulle problematiche relative ai procedimenti in cui sarebbero parti sia un condomino
sia il condominio, e attinenti ai conflitti di interessi
ed ai quorum assembleari; ma anche sulla tipologia
delle controversie condominiali soggette al tentativo di
conciliazione, attesa la genericità della previsione del
comma 1 dell’articolo 5 del D.Lgs. 28/2010; e vi era,
poi, anche la questione della competenza territoriale,
non prevista dal decreto legislativo ante riforma; ed
altro ancora). A ciò, si aggiungeva che la giurisprudenza
di merito si stava orientando verso un’interpretazione rigorosa della normativa sulla mediazione, condannando i
condomini che, senza giustificato motivo, non avessero
partecipato alla mediazione, al pagamento delle sanzioni
previste dall’articolo 8, comma 5, del D.Lgs. 28/2010
(pagamento all’Erario di una somma corrispondente
al contributo unificato dovuto per il giudizio).Tutto
questo non faceva che acuire le eventuali responsabilità
dell’amministratore e qualsiasi scelta operata, sebbene
in buona fede e nell’esclusivo interesse del Condominio,
poteva - in astratto - essere oggetto di critica da parte
dei condomini.
Ad esempio, in presenza di un invito in mediazione
per una richiesta di risarcimento danni da infiltrazioni,
l’amministratore poteva:
a) non aderire;
b) aderire e andare da solo in mediazione;
c) aderire e andare accompagnato da un avvocato;
d) aderire e andare accompagnato da un avvocato e,
magari, anche da un tecnico;
e) munirsi o meno di una preventiva delibera assembleare.
Qualunque scelta avrebbe comportato una assunzione
di responsabilità e, talvolta, anche conseguenze nell’eventuale successivo giudizio.
L’articolo 71quater, ora, ha chiarito, facendo venir
meno la genericità della formulazione dell’articolo 5,
comma 1bis, del D.Lgs. 28/2010, che per controversie
in materia di condominio si intendono quelle controversie derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro terzo, titolo VII, capo
II, del c.c. (articoli 1117- 1139) e degli articoli da 61
a 72 delle disp. att. c.c. Rientrano, pertanto, oltre alle
questioni riguardanti strettamente il condominio inteso
come vicende relative alle parti comuni, anche questioni
relative alla nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore (articolo 1129 c.c.) con una riserva per il comma
11; alle attribuzioni dell’amministratore (articolo 1130
c.c.); al rendiconto condominiale (articolo 1130bis
c.c.); o, ancora, alle attribuzioni dell’assemblea dei
condomini (articolo 1135 c.c.), alla validità delle deliberazioni (articolo 1136 c.c.), all’impugnazione delle
50
Il
delibere assembleari (articolo 1137c.c.), al regolamento
di condominio (articolo 1138 c.c.); alla riscossione dei
contributi condominiali (articolo 63 disp. att. c.c.), alla
modifica delle tabelle condominiali (articolo 69 disp.
att. c.c.) ecc.
Una riserva potrebbe essere espressa in riferimento
all’articolo 64 disp. att. in tema di revoca dell’amministratore nei casi indicati dal comma 11 dell’articolo
1129 e dal comma 4 dell’articolo 1131, in ordine alla
applicabilità della novella, poiché si tratta di procedimenti in camera di consiglio e l’articolo 5, comma 4,
lett. f ), del D.Lgs. 28/2010 esclude l’applicabilità dei
commi 1bis e 2 (obbligatorietà della mediazione) per
i procedimenti in camera di consiglio, ma aggiungo
subito anche che, a mio avviso, la disposizione introdotta dalla L. 220/2012 è norma speciale in riferimento
alla mediazione, in materia di condominio e, quindi,
prevale su quella di carattere generale dell’articolo 5,
comma 4, lett. f ).
È stata stabilita, poi, per il procedimento di mediazione
in materia di condominio, una competenza territoriale dell’Organismo di Mediazione (luogo ove è situato
il Condominio) che è specifica rispetto a quella (ora,
perché prima della L. 98/2013 di conversione mancava) prevista dall’articolo 4, comma 1, D.Lgs. 28/2010
novellato (luogo del giudice territorialmente competente per la controversia), che potrebbe essere, in ipotesi
di fori alternativi ai sensi del c.p.c., anche diversa dal
luogo ove è situato il Condominio. Anche in questo
caso, però, a mio parere, la natura speciale dell’articolo
71 quater disp. att. c.c. rispetto al carattere generale
dell’articolo 4 del D.Lgs. 28/2010, porta a ritenere
che prevalga e che, quindi, la mediazione in materia di
condominio debba essere presentata esclusivamente nel
luogo ove è situato il Condominio anche ove competente territorialmente per il giudizio dovesse essere un
giudice diverso.
Peraltro, già l’articolo 23 c.p.c. (dal quale, evidentemente, ha preso le mosse la previsione in commento)
sancisce che per le cause tra condomini, ovvero tra
condomini e condominio, [è competente] il giudice del
luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte
di essi.
A rafforzare l’interpretazione è la previsione dell’inammissibilità della domanda di mediazione presentata
presso un Organismo non ubicato nella circoscrizione
del tribunale nel quale il Condominio è situato, come
disciplinata dal comma 2 del citato articolo 71quater.
È stato chiarito, poi, dal successivo comma 3, che
occorre la delibera assembleare che legittimi l’amministratore a partecipare al procedimento di mediazione,
assunta con la maggioranza di cui all’articolo 1136,
comma 2, c.c. (maggioranza intervenuti e almeno la
metà del valore dell’edificio). Ove, però, i termini di
Condominio Nuovo
comparizione in mediazione non dovessero consentire
di assumere la delibera di cui al comma 3, deve essere richiesta dall’amministratore al mediatore idonea proroga
del primo incontro di mediazione.
Sul punto qualche brevissima considerazione:
a) la norma, intanto, non fa riferimento alla convocazione dell’assemblea, ma all’impossibilità di assumere la
delibera. Ciò, evidentemente, riguarda sì il caso anche
che non vi siano i termini per la convocazione dell’assemblea, ma anche il caso in cui, benché regolarmente
convocata, l’assemblea non abbia assunto una delibera
ai sensi del comma 3 (ad es., sia andata deserta, o non si
sia raggiunta la richiesta maggioranza di cui all’articolo
1136, comma 2, c.c.);
b) solo per la delibera (successiva) di approvazione della
proposta di mediazione (ai sensi del comma 5) è previsto che il mancato raggiungimento della maggioranza di
cui all’articolo 1136, comma 2, c.c. valga quale «proposta non accettata».
È da ritenere che la norma vada coordinata con due
previsioni del D.Lgs. novellato:
a) l’amministratore dovrà essere assistito da un avvocato
(articolo 5, comma 1bis, nel caso il condominio sia la
parte istante);
b) dovrà partecipare al primo incontro e agli incontri
successivi fino al termine della procedura con l’assistenza dell’avvocato (articolo 8, comma 1, sia se il condominio è parte istante, sia se è parte convocata).
Quale, dunque, la procedura da seguire per l’amministratore che si vedrà comunicato un tentativo di
conciliazione? Innanzitutto, dovrà indire un’apposita
assemblea, che dovrà non solo autorizzare o meno
l’amministratore a partecipare alla mediazione, ma
indicare quali saranno i limiti per cui sarà autorizzato
a trattare nonché dovrà dare mandato ad un avvocato,
così come disposto dal D.Lgs. 28/2010. Nel caso in cui
non ci fossero i termini per la convocazione dell’assemblea per assumere la predetta delibera, l’amministratore
dovrà richiedere al mediatore idonea proroga del primo
incontro.
L’eventuale possibile accordo raggiunto dalle parti o la
proposta conciliativa, poi, dovranno essere approvati da
una nuova assemblea (comma 6, articolo 71quater, con
riferimento all’articolo 11 del D.Lgs. 28/2010) con le
maggioranze di cui all’articolo 1136, secondo comma;
diversamente, se tale quorum non dovesse essere raggiunto, per un qualsiasi motivo, la proposta si intenderà
come non accettata (comma 5, articolo 71quater). È
evidente che il generico riferimento all’articolo 11 sta ad
indicare che il termine va concesso sia nell’ipotesi che le
51
Il
Condominio Nuovo
parti raggiungano un accordo (meglio, una proposta di
accordo) sia che la proposta sia formulata dal mediatore,
sia che la proposta sia richiesta concordemente da tutte
le parti in mediazione.
Concludendo, la mediazione, ovviamente, non è la
soluzione a qualsiasi controversia, ma una ulteriore
opportunità, una risorsa, una valida alternativa a basso
costo e che richiede tempi brevi (massimo 3 mesi) al
defatigante e impervio iter giudiziario ordinario; è
un’occasione da sfruttare.
3. L’impugnativa della delibera solo con citazione
Le deliberazioni prese dall’assemblea sono obbligatorie
per tutti i condòmini. Contro le deliberazioni contrarie
alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino dissenziente, astenuto o assente può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine
perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della
deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di
comunicazione della deliberazione per gli assenti.
È quanto prevede il nuovo secondo comma dell’articolo
1137 c.c., come modificato dalla legge di riforma del
condominio (L. 220/2012), che riconosce espressamente la possibilità di impugnare le delibere assembleari ai
condòmini assenti, dissenzienti o astenuti, mentre in
precedenza la legge prevedeva espressamente tale facoltà
solo in favore dei condòmini dissenzienti.
È prevista, inoltre, una duplice decorrenza dei termini per impugnare, a seconda che il condòmino abbia
partecipato o meno all’assemblea che ha approvato la
delibera che si intende impugnare.
Rispetto all’originaria formulazione, inoltre, il nuovo
articolo 1137 c.c. menziona espressamente la possibilità
di chiedere l’annullamento della delibera impugnata.
L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione
della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata
dall’autorità giudiziaria.
Il nuovo testo dell’articolo 1137 c.c., inoltre, prevede
che l’istanza per ottenere la sospensione che sia stata
proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende l’efficacia della delibera né interrompe il termine
per la proposizione dell’impugnazione della stessa.
Mentre i casi di annullamento sono espressamente disciplinati dal codice, quelli di nullità non sono indicati
ed occorre rifarsi ai principi che regolano la nullità del
negozio giuridico.
Si ha violazione di legge quando non vengono osservate
le norme procedimentali prescritte per l’adozione delle
delibere assembleari.
Si pensi, ad esempio, a quanto prescritto dal nuovo
articolo 66 disp att. c.c., per il quale: «L’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine
del giorno, deve essere comunicato almeno cinque
giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima
convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta
elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano,
e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della
riunione. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su
istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente
convocati.
L’assemblea in seconda convocazione non può tenersi
nel medesimo giorno solare della prima.
L’amministratore ha facoltà di fissare più riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell’assemblea in termini brevi, convocando gli aventi diritto
con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori
date ed ore di eventuale prosecuzione dell’assemblea
validamente costituitasi».
La violazione di tali norme procedimentali determina la
possibile annullabilità della delibera assembleare.
Vi è subito da dire che, fino ad oggi, si ammetteva
l’impugnativa di un singolo condòmino anche quando
il vizio relativo alla mancata convocazione di un condomino si era verificato nei confronti di altro condomino.
A seguito della riforma, invece, che ritiene il deliberato annullabile in caso di omessa, tardiva o incompleta
convocazione su istanza dei dissenzienti o degli assenti
perché non ritualmente convocati, appare che, contrariamente a prima, tale vizio possa essere eccepito solo
da coloro nei confronti dei quali tale vizio si è effettivamente verificato.
Le deliberazioni nulle sono impugnabili in ogni tempo
da chiunque vi abbia interesse (quindi anche dal condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole
alla formazione della delibera impugnata). Sono tali
quelle che sono state prese fuori dei poteri dell’assemblea ovvero per le deliberazioni con oggetto impossibile,
illecito o indeterminato. Sono inoltre inefficaci, e come
tali attaccabili in ogni tempo, dai soli condòmini che
ne risentono pregiudizio e non vi hanno aderito (nullità
relativa), le deliberazioni che violano o ledono i diritti
di alcuni o anche di un solo condomino sulle cose o
sui servizi comuni o ne rendano difficile l’esercizio o lo
disturbino sensibilmente.
La dottrina individua, altresì, ulteriori stati viziati
della delibera, quali l’eccesso di potere - allorquando
la delibera stessa, ancorché non nulla, né inefficace, sia
gravemente pregiudizievole alle cose o ai servizi comuni
- e l’incompetenza, quando l’assemblea non ha il potere
di decidere (si pensi ad una decisione per lavori alla facciata presa in sede di supercondominio quando invece
essa spetta alle assemblee dei singoli fabbricati) .
Il condomino il quale abbia partecipato all’assemblea,
anche se abbia espresso voto conforme alla deliberazione
che si assume nulla, è legittimato a far valere la nullità
52
Il
solo che alleghi e dimostri di avervi interesse; cioè dimostri che la deliberazione, se non annullata, gli arrechi
un qualche apprezzabile pregiudizio: da una parte,
infatti, il principio di cui all’articolo 1421 c.c., secondo cui la nullità può essere fatta valere da chiunque vi
abbia interesse non risulta derogato dalle norme in tema
di comunione o di condominio; dall’altra, la regola
per la quale chi ha dato causa ad una nullità non può
farla valere (articolo 157 c.p.c.) è propria della materia
processuale, ma è estranea alla materia sostanziale, dove
l’azione è concessa anche a chi abbia partecipato alla
stipulazione di un atto nullo .
Il condomino che abbia partecipato, con il suo voto
favorevole, alla formazione di detta delibera, può quindi
impugnarla salvo che con tale voto egli si sia assunto o
abbia riconosciuto una sua personale obbligazione .
È affetta da nullità e quindi sottratta al termine di impugnazione previsto dall’articolo 1137 c.c. la deliberazione dell’assemblea condominiale che incida sui diritti
individuali di un condominio, come quella che ponga
a suo totale carico le spese del legale del condominio
per una procedura iniziata contro di lui, in mancanza
di una sentenza che ne sancisca la soccombenza, e detta
nullità, a norma dell’articolo 1421 c.c., può essere fatta
valere dallo stesso condomino che abbia partecipato
all’assemblea ancorché abbia espresso voto favorevole
alla deliberazione, ove con tale voto non si esprima l’assunzione o il riconoscimento di una sua obbligazione .
Quanto all’onere della prova, incombe sul condomino,
che chieda l’accertamento dell’invalidità dell’assemblea
condominiale, la prova del vizio di costituzione dell’assemblea deliberante, posto a fondamento della pretesa .
Qualora il condomino agisca per far valere l’invalidità di una delibera assembleare, incombe, invece, sul
condominio convenuto l’onere di provare che tutti i
condòmini sono stati tempestivamente avvisati della
convocazione, quale presupposto per la regolare costituzione dell’assemblea, mentre resta a carico dell’istante la
dimostrazione degli eventuali vizi inerenti alla formazione della volontà dell’assemblea medesima .
Per un primo indirizzo, in tema di condominio di edifici, la tempestività dell’impugnazione delle deliberazioni
dell’assemblea dei condòmini, che a norma dell’articolo
1137 c.c. deve essere proposta con ricorso nel termine
di trenta giorni dalla data della deliberazione stessa, andava riscontrata con riguardo alla data del deposito del
ricorso e non a quella della sua notificazione. Sul punto
la Suprema Corte aveva, poi, ritenuto che l’impugnativa
potesse avvenire anche con citazione purché la notifica
al destinatario fosse effettuata nei trenta giorni (dal verbale se il condomino era presente, ovvero dalla comunicazione dello stesso se assente).
Condominio Nuovo
Era, quindi, pacifico che, se anche il codice civile prevedesse la forma del ricorso, l’impugnativa della delibera
assembleare potesse avvenire indifferentemente con ricorso o con citazione, e che, in questa ultima ipotesi, ai
fini del rispetto del termine di cui all’articolo 1137 c.c.
(trenta giorni) occorreva tenere conto della sola data di
notificazione dell’atto introduttivo del giudizio anziché
di quella successiva del deposito in cancelleria (iscrizione a ruolo della causa) .
Sul punto, a fare chiarezza, è intervenuta la Corte di
Cassazione che, a Sezioni Unite, ha affermato che ai
sensi dell’articolo 163 c.p.c. la domanda di annullamento della delibera condominiale si propone con citazione.
La Suprema Corte, nella stessa motivazione della
sentenza, ha chiarito che: il termine «ricorso» indicato
nell’articolo 1137 c.c. è ivi impiegato nel senso generico
di istanza giudiziale; ciò trova conferma nel fatto che, in
genere, l’indicazione della forma del ricorso come veste
dell’atto introduttivo in determinate materie è sempre
accompagnata dalla fissazione di varie altre regole intese
a delineare procedimenti caratterizzati da particolare
snellezza e rapidità, (l’indicazione del giudice competente, i suoi poteri di sospensione ecc.) tutte regole che
invece mancano con riguardo all’impugnazione delle
delibere condominiali.
Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno precisato che possono,
comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte
impropriamente con ricorso, sempreché l’atto risulti depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall’articolo 1137 citato.
Il nuovo testo dell’articolo 1137 c.c., come modificato
dalla L. 220/2012, sembra avallare l’interpretazione di
tale pronuncia, in quanto ha eliminato qualsiasi riferimento al termine ricorso e ha parlato genericamente
di azione volta all’annullamento delle deliberazioni
assembleari.
Per il Tribunale di Milano (provvedimento 21 ottobre
2013, n. 56369), con l’entrata in vigore della legge
220/2012 (Riforma del condominio), l’impugnazione
proposta con ricorso è inammissibile.
Nella stessa motivazione, la sentenza ha chiarito che: il
termine «ricorso» indicato nell’articolo 1137 c.c. è ivi
impiegato nel senso generico di istanza giudiziale; ciò
trova conferma nel fatto che, in genere, l’indicazione
della forma del ricorso come veste dell’atto introduttivo
in determinate materie è sempre accompagnata dalla
fissazione di varie altre regole intese a delineare procedimenti caratterizzati da particolare snellezza e rapidità,
(l’indicazione del giudice competente, i suoi poteri di
sospensione ecc.); tutte regole che, invece, mancano con
riguardo all’impugnazione delle delibere condominiali.
Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno precisato che possono,
comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte
impropriamente con ricorso, sempreché l’atto risulti de-
53
Il
Condominio Nuovo
positato in cancelleria entro il termine stabilito dall’articolo 1137 c.c.
Ora, il nuovo testo dell’articolo 1137 c.c., come modificato dalla L. 220/2012, sembra avallare l’interpretazione
di tale pronuncia, in quanto ha eliminato qualsiasi
riferimento al termine ricorso e ha parlato genericamente di «azione volta all’annullamento delle deliberazioni
assembleari».
Proprio sulla eliminazione della parola ricorso ritorna il
tribunale di Milano concludendo conseguenzialmente
che l’impugnazione proposta con ricorso è inammissibile. Nel caso deciso dal Tribunale di Milano, il ricorso era
stato tempestivamente depositato presso la cancelleria
del giudice nei termini previsti dalla legge, ma nulla era
stato notificato al condominio entro 30 giorni, così che
lo stesso, nella persona del suo amministratore, aveva
già maturato un legittimo affidamento circa l’acquisita
esecutività della delibera impugnata.
In conclusione, anche se trattasi di una prima pronuncia di merito è meglio da oggi in poi stare bene attenti
ad impugnare una delibera assembleare con l’atto di
citazione e non più con il ricorso.
È, infatti, proprio l’articolo 1131 c.c., come modif.
dalla L. 220/2012, a stabilire che: «Nei limiti delle
attribuzioni stabilite dall’articolo 1130, o dei maggiori
poteri conferitigli dal regolamento di condominio o
dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza
dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i
condòmini sia contro i terzi». L’articolo è da considerarsi inderogabile in virtù dell’espressa previsione di
cui all’articolo 1138, quarto comma, sicché né l’assemblea dei condòmini, né il regolamento di condominio
potrebbero legittimamente ridurre i poteri di rappresentanza attribuiti all’amministratore dalla legge.
Secondo la giurisprudenza, ricorrerebbe nella fattispecie
un’ipotesi di rappresentanza volontaria originata dal
mandato conferito all’amministratore dal condominio.
La dottrina, invece, è divisa: per alcuni la rappresentanza è legale perché ha fonte nella legge; per altri è
volontaria in quanto fondata sul mandato; per altri
ancora non è né legale né volontaria, trattandosi piuttosto di un rapporto sui generis; per chi, infine, qualifica
l’amministratore come organo del condominio trattasi
di rappresentanza organica.
L’annullabilità in sede giudiziaria di una delibera dell’
assemblea dei condòmini per ragioni di merito, attinenti alla opportunità ed alla convenienza della gestione
del condominio, è configurabile soltanto nel caso di
decisione viziata da eccesso di potere che arrechi grave
pregiudizio alla cosa comune (articolo 1109 c.c.). Il
riscontro esercitato dall’autorità giudiziaria sotto l’anzidetto profilo non può mai riguardare il contenuto di
convenienza ed opportunità della delibera, in quanto
il giudice deve solo stabilire se la delibera sia o meno il
risultato di un legittimo esercizio dei poteri discrezionali
della assemblea .
L’eccesso di potere è ravvisabile quando la causa della
deliberazione sia falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso il giudice non controlla
l’opportunità o convenienza della soluzione adottata
dall’impugnata delibera, ma deve solo stabilire se la
delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio del
potere discrezionale dell’assemblea .
In ogni caso, l’amministratore del condominio è dunque legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio nei confronti
dei singoli condòmini e dei terzi al fine di:
4. La capacità dell’amministratore di stare in giudizio
L’articolo 75, ultimo comma, c.p.c. prevede che «Le
persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi
le rappresenta a norma della legge o dello statuto. Le
associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli articoli 36 e seguenti del codice civile». Tale
norma non prevede la figura dell’amministratore del
condominio cui la rappresentanza del condominio è,
invece, attribuita ex articolo 1131 c.c.
a) eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condòmini;
b) disciplinare l’uso delle cose comuni così da assicurare
il godimento a tutti i partecipanti al condominio;
c) riscuotere dai condòmini i contributi in base allo
stato di ripartizione approvato dall’assemblea;
d) compiere gli atti conservati dei diritti inerenti alle
parti comuni dell’edificio .
Tale indirizzo è da considerarsi consolidato con la recente pronuncia della Suprema Corte . Per cui possiamo
dire che, dal combinato disposto dagli articoli 1130 e
1131 primo comma del c.c. si evince che, al di fuori
delle ipotesi di maggiori poteri attribuitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore può agire in giudizio senza che occorra una apposita autorizzazione solo nell’ambito delle attribuzioni
conferitegli dalla legge - e propriamente dall’articolo
1130 - le quali concernono in generale l’amministrazione ordinaria e, per quanto attiene specificamente ai
lavori e alle opere relative alle parti comuni dell’edificio
condominiale, soltanto quelli rientranti nella cosiddetta
manutenzione ordinaria.
Ne consegue che la rappresentanza processuale attiva del
condominio, anche in assenza di una apposita deliberazione dell’assemblea dei condòmini, per le controversie nascenti da un contratto di appalto non può farsi
discendere dal solo fatto che l’amministratore abbia sti-
54
Il
Condominio Nuovo
pulato in nome e per conto del condominio il contratto
cui la controversia si riferisce, anche se l’oggetto di esso
ecceda le sue normali attribuzioni come conferitegli
dalla legge, ove non risulti che la stipulazione del contratto stesso sia stata autorizzata o comunque approvata
mediante ratifica dall’assemblea dei condòmini .
Così come le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti
dei condòmini sulle parti comuni di un edificio, quali
quelle volte a denunziare la violazione delle distanze
legali tra costruzioni, essendo dirette a sostenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano tra gli atti meramente conservativi e possono, quindi, promuoversi dall’amministrazione
del condominio solo se sia autorizzato dall’assemblea a
norma dell’articolo 1131, primo comma, c.c. .
pugnare senza essere a tanto autorizzato dall’assemblea .
Inoltre, secondo tale indirizzo, poiché l’autorizzazione
dell’assemblea a resistere in giudizio in sostanza altro
non è che un mandato all’amministratore a conferire la
procura «ad litem» al difensore che la stessa assemblea
ha il potere di nominare, l’amministratore, in definitiva, non svolge che una funzione di mero «nuncius» e
tale autorizzazione non può valere che per il grado di
giudizio in relazione al quale viene rilasciata. Deriva,
da quanto precede, pertanto, che era inammissibile il
ricorso per cassazione, avverso sentenza sfavorevole al
condominio, proposto dall’amministratore senza espressa autorizzazione dell’assemblea .
Se la situazione è sufficientemente chiara dal lato attivo,
dal lato passivo questi stessi pronunciamenti della
Suprema Corte hanno ampliato le difficoltà interpretative. Per cui si ritiene opportuno esaminare con più
dovizia di particolari la questione.
Fino a poco tempo fa, era ritenuto che la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio dal
lato passivo, ai sensi del secondo comma dell’articolo
1131 c.c., non incontrava limiti quando le domande
proposte contro il condominio riguardavano le parti
comuni dell’edificio. Ciò stava a significare che l’amministratore non necessitava di alcuna autorizzazione
dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre
le impugnazioni che si rendessero necessarie, compreso il ricorso per cassazione, in relazione al quale era
considerato legittimato a conferire la procura speciale
all’avvocato iscritto nell’apposito albo speciale a norma
dell’articolo 365 c.p.c. .
Per cui la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio, mentre dal lato attivo coincideva
con i limiti delle sue attribuzioni, salvi i maggiori poteri
conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, dal lato passivo non incontrava limiti . La stessa inosservanza dell’obbligo di informare i condòmini
della esistenza di un procedimento contro il condominio aveva rilevanza puramente interna senza incidere sui
poteri di rappresentanza processuale dell’amministratore
stesso .
A questo indirizzo maggioritario se ne contrapponeva altro secondo cui la «ratio» dell’articolo 1131 c.c.,
comma 2, - che consente di convenire in giudizio
l’amministratore del condominio per qualunque azione
concernente le parti comuni dell’edificio - era quella
di favorire il terzo il quale voglia iniziare un giudizio
nei confronti del condominio, consentendogli di poter
notificare la citazione al solo amministratore anziché
a tutti i condomini. Nulla, invece, nella stessa norma,
giustificava la conclusione secondo cui l’amministratore
sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio e a im-
a) l’amministratore deve munirsi di autorizzazione
dell’assemblea per resistere in giudizio atteso che la
rappresentanza passiva dell’amministratore riguarda solo
la notificazione degli atti e non la gestione della controversia;
b) la concessa autorizzazione assembleare non legittima
l’amministratore ad impugnare spettando tale legittimazione solo all’assemblea.
Per cui, secondo tale indirizzo:
A comporre tale contrasto sono intervenute le Sezioni
Unite della Suprema Corte, con le sentenze del 2010
già citate le quali hanno ritenuto che (così come
dal lato attivo) la norma abilita l’amministratore del
condominio, relativamente alle liti passive, a costituirsi
in giudizio e a impugnare la sentenza eventualmente
sfavorevole, senza necessità di autorizzazione da parte
dell’assemblea, soltanto se l’oggetto della controversia
è compreso nei limiti delle sue attribuzioni, limiti ed
attribuzioni previsti dall’articolo 1130 c.c. essendo altrimenti necessaria l’autorizzazione dell’assemblea.
A questa interpretazione restrittiva della rappresentanza
dell’amministratore è mancata però un’elaborazione giurisprudenziale in merito all’individuazione delle azioni
promosse nei confronti del condominio ed esorbitanti
dalle attribuzioni dell’amministratore. Da ciò una serie
di interrogativi.
Infatti, non risulta che sia stata specificamente affrontata la pur importante (per la sua frequenza) questione
sulla possibilità di considerare meno attinenti all’ambito
delle suddette attribuzioni le cause di impugnazione di
deliberazioni assembleari.
Se, cioè, il compito di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini, che è demandato dall’articolo 1130
c.c., n. 1) all’amministratore, includa, in ipotesi, anche
quello di propugnarne in giudizio la legittimità, quale che
sia il loro oggetto. Sul punto, quindi, occorre ritenere che
nulla è cambiato, per cui l’amministratore che è competente ad eseguire le delibere assembleari non necessita di
alcuna ratifica del mandato in caso di impugnativa.
55
Il
Condominio Nuovo
Inoltre, la stessa Corte di Cassazione, sul presupposto
che il nuovo indirizzo, di cui alle sentenze appena citate
era stato fino ad allora minoritario, ha ritenuto disporre
nuovamente la trasmissione degli atti al Primo Presidente, perché valuti l’opportunità di assegnare la causa alle
Sezioni Unite per un nuovo chiarimento sul tema.
Anche se questa rimessione parte da un problema diverso, speriamo in un nuovo pronunciamento che forse
farà luce sull’intera questione. Anche perché a distanza
di appena due mesi dalle ricordate sentenze n. 18331 e
18332/2010, la stessa Corte di Cassazione è ritornata
sui suoi passi più volte e ha riaffermato che la legittimazione passiva dell’amministratore dal lato passivo
non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni
di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio,
promosse contro il condominio da terzi o anche dal
singolo condomino . In ultimo è opportuno citare la
sentenza del 4-10-2012, n. 16901 della Suprema Corte
che ha riaffermato l’indirizzo secondo cui: «la legittimazione passiva dell’amministratore di condominio a
resistere in giudizio non incontra limiti e sussiste anche
in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti
comuni dell’edificio». Si spera, quindi, che si sia chiarito
al più presto il ritorno all’orientamento maggioritario
che la Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza sopra
indicata, ha cambiato completamente.
5. La sostituzione dell’amministratore
Come specificato nel paragrafo precedente, l’amministratore può agire in giudizio e proporre impugnazioni,
nell’ambito delle attribuzioni conferitegli dall’articolo
1130 c.c., anche senza apposita autorizzazione, e tale
potere perdura anche nel caso di cessazione dalla carica,
fino alla sostituzione; la cessazione del rapporto di rappresentanza per sostituzione dell’amministratore diviene
rilevante durante il corso del giudizio in quanto l’evento
sia notificato alle altre parti dal procuratore costituito.
In mancanza di tale notifica, tale qualità si presume, se
non ritualmente contestata dalla controparte, nel qual
caso occorre produrre tempestivamente in giudizio la
relativa prova .
Ai sensi dell’articolo 1131 c.c., il terzo che vuol far
valere in giudizio un diritto nei confronti del condominio ha l’onere di chiamare in giudizio colui che ne
ha la rappresentanza sostanziale secondo la delibera
dell’assemblea dei condòmini e, pertanto, non può
tener conto di risultanze derivanti da documenti diversi
dal relativo verbale: ciò in quanto il principio dell’apparenza del diritto è inapplicabile alla rappresentanza nel
processo, essendo in quest’ultimo escluso sia il mandato
tacito, sia l’utile gestione. Ne deriva che la notifica di
un atto processuale ad un soggetto che non sia stato
nominato amministratore del condominio è giuridica-
mente inesistente, mancando il presupposto della sua
legittimazione processuale.
La legittimazione ad agire dell’amministratore del condominio nel caso di azioni reali concernenti l’esistenza,
il contenuto o l’estensione dei diritti spettanti ai singoli
condòmini in virtù dei rispettivi acquisti - diritti che
restano nell’esclusiva disponibilità dei titolari - può trovare fondamento soltanto nel mandato conferito all’amministratore da ciascuno dei partecipanti e non nel
meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale,
ad eccezione delle equivalenti ipotesi di una unanime
positiva deliberazione di tutti i condòmini .
6. La legittimazione ad agire del singolo condomino
I singoli condòmini sono legittimati ad intervenire ed
a proporre impugnazioni nelle liti nelle quali l’amministratore stia in giudizio per il condominio. Nei casi
di tali interventi ed impugnazioni, la rappresentanza
dell’amministratore del condominio si restringe a quei
condòmini non costituitisi nel giudizio .
La peculiare natura del condominio comporta comunque che l’iniziativa giudiziaria di quest’ultimo a tutela di
un diritto comune dei condòmini non priva i medesimi
del potere di agire personalmente a difesa di quel diritto
nell’esercizio di una forma di rappresentanza reciproca
atta ad attribuire a ciascuno una legittimazione sostituiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non
può tutelare il proprio diritto senza necessariamente
e contemporaneamente difendere i diritti degli altri
condòmini.
Pertanto, il condomino che interviene personalmente
nel processo promosso dall’amministratore per far valere
diritti della collettività condominiale non è un terzo che
si intromette in una vertenza fra estranei ma è una delle
parti originarie determinatasi a far valere direttamente
le proprie ragioni, sicché, ove tale intervento sia stato
spiegato in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell’intervento dei terzi in quel
grado fissati nell’articolo 344 c.p.c. .
I condòmini, i quali non hanno personalmente partecipato al giudizio di primo grado siccome rappresentati nel processo dall’amministratore del condominio,
possono proporre impugnazione in luogo dell’ amministratore, presente nel giudizio di primo grado, ma
non appellante. Non sussistono, infatti, impedimenti a
che i singoli condòmini, i quali in primo grado hanno
partecipato al giudizio siccome rappresentati dall’amministratore, propongano personalmente l’impugnazione,
se l’amministratore non impugna .
In tema di condominio, l’attribuzione, in determinate
materie, all’amministratore della legittimazione ad agire
in nome del condominio non priva i singoli condòmini
56
Il
del potere di agire a difesa dei propri diritti esclusivi o
dei diritti comuni. Tuttavia, la legittimazione del singolo condomino ad agire per la tutela di un proprio diritto
esclusivo non comporta la legittimazione ad agire per la
tutela di analoghi diritti esclusivi degli altri condòmini .
Ogni partecipante al condominio è titolare della facoltà
di agire anche da solo e individualmente a difesa dei
diritti comuni inerenti al fabbricato condominiale ed
alle sue componenti .
7. Il ricorso all’assemblea
L’articolo 1133 c.c. stabilisce che i provvedimenti presi
dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono
obbligatori per i condòmini. Contro tali provvedimenti
è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del
ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine
previsti dall’articolo 1137.
L’obbligatorietà dei provvedimenti presi dall’amministratore è la naturale conseguenza del fatto che egli è
nominato dall’assemblea - che è l’organo deliberativo
del condominio - o dal giudice in sostituzione della
stessa.
Il ricorso all’assemblea non sospende l’esecuzione del
provvedimento adottato dall’amministratore e può essere esperito in qualsiasi momento, senza alcun termine di
decadenza, trattandosi di un rimedio volto a provocare
un controllo della stessa assemblea sull’operato dell’amministratore.
La circostanza che i singoli condòmini possono ricorrere
all’assemblea condominiale contro i provvedimenti presi
dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri consente
di affermare, argomentando per analogia, che anche
l’amministratore può rivolgersi all’assemblea condominiale per provocarne una deliberazione che sancisca la
disciplina da lui adottata per l’uso delle cose comuni, al
fine di vincere l’asserita resistenza di uno dei condòmini.
8. La revoca della delibera viziata
Un’altra situazione rilevante riguarda la revoca di una
deliberazione eventualmente impugnata o comunque
che è già materia del contendere. In questi casi, è possibile bloccare il contenzioso condominiale, evitando le
conseguenze del caso ma non le spese legali, attraverso
l’applicazione dell’articolo 2377, ultimo comma, c.c. In
forza di tale norma, palese dimostrazione di un intimo
nesso tra comunione e società, per l’amministratore di
condominio, che riceve un atto giudiziale di citazione
da parte del tribunale, effetto dell’impugnazione di una
delibera nulla o annullabile, è sufficiente convocare
d’urgenza l’assemblea dei condòmini e far revocare la
Condominio Nuovo
deliberazione oggetto del contenzioso oppure ratificarla
eliminando i vizi già denunciati in corso di causa. In
tal modo, il giudizio è evitato, ferma restando però la
liquidazione delle spese. Detta liquidazione sarà operata in base al principio della soccombenza virtuale, nel
senso che questa sarà posta a carico di chi sarebbe stato
soccombente in base ai vizi già denunciati ed alla loro
sussistenza o meno. Questi rapporti mutualistici fra
diritto condominiale e diritto delle società non devono
indurci a facili o pericolose deduzioni. I due istituti
sono perfettamente separati ed è difficile, ancora oggi,
nonostante l’evoluzione normativa dell’istituto del
condominio negli edifici, trovare ulteriori e più forti
elementi di comunanza.
Ciò è conforme al fatto che il legislatore del ’42 ha voluto espressamente delimitare le fattispecie creando una
netta separazione (vedi l’articolo 2248 c.c.) tra i due
istituti giuridici.
Ad avvalorare tale separazione è stata la dottrina che
non ha mai messo in discussione la separazione fra comunione e società, anche se in taluni casi non ha potuto
fare a meno di accostare i due istituti e ciò soprattutto
ad opera di quella parte che ravvisa nel condominio
quegli elementi di mistura tali da definirlo come un
tertium genus, cioè come un «istituto giuridico atipico».
9. La nullità e l’annullabilità delle delibere assembleari
La differenza tra nullità ed annullabilità di una deliberazione condominiale riveste una importanza fondamentale in relazione alla impugnativa della delibera
assembleare.
La comprensione delle differenze tra queste due categorie giuridiche, rapportate alle peculiarità della disciplina
del condominio, comporterebbe - da un lato - uno
snellimento del contenzioso, che sarebbe così epurato
da impugnazioni evidentemente tardive e - dall’altro l’eliminazione del metodo casistico con cui, talvolta, i
giudici di merito affrontano e risolvono le singole controversie, con una conseguente uniformità di giudizi per
fattispecie che divergono soltanto per aspetti secondari.
Tale uniformità di giudizi, assicurerebbe, poi, l’applicazione del principio della certezza del diritto e di eguaglianza di regolamento, rispetto a posizioni uguali.
Preliminarmente occorre precisare che a seguito della
riforma del 2012, i casi di annullabilità sono espressamente previsti dal codice civile, che all’articolo 1137
sancisce: «Contro le deliberazioni contrarie alla legge o
al regolamento di condominio ogni condomino assente,
dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria
chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di
trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione
per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
57
Il
Condominio Nuovo
L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione
della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata
dall’autorità giudiziaria».
Le azioni con cui si vantano le nullità, invece, sono
elaborazioni della dottrina che fa riferimento ai vizi
generali del negozio giuridico: mancanza della volontà,
contrarietà a norme imperative, mancanza dell’oggetto
ecc.
Incominciamo la nostra analisi da due decisioni della
Corte di Cassazione con cui si è chiarito il discrimine
tra annullabilità e nullità delle delibere.
È stato stabilito che i casi di nullità possono essere
ricondotti alla impossibilità ed alla illiceità dell’oggetto,
mentre per tutti gli altri, si è in presenza di ipotesi di
mera annullabilità.
Ciò si è affermato, mutando profondamente l’atteggiamento della Suprema Corte precedente a queste due
pronunce, in quanto si è fortemente ridimensionato
il campo di azione della nullità, con corrispondente
allargamento della nozione di annullabilità alle ipotesi
residuali. Tale spostamento del discrimine tra le due
categorie, che ha il pregio di limitare le impugnazioni di delibere assembleari, anche lontane nel tempo e
spesso per fondamento opposizioni a decreti ingiuntivi
per oneri condominiali non pagati, ed in definitiva di
cristallizzare situazioni che, se pur nate a seguito di un
procedimento viziato, non siano state impugnate tempestivamente.
In ciò, infatti, risiede l’aspetto pregnante della distinzione tra nullità ed annullabilità, nella prospettiva dell’esame delle liti condominiali, in quanto nel primo caso
l’impugnativa può essere proposta senza limiti di tempo
mentre nel secondo entro trenta giorni dall’assemblea, se il condomino che vi abbia partecipato sia stato
contrario o si sia astenuto, o dalla comunicazione del
verbale, se il condomino non vi abbia partecipato.
Parimenti importante risulta il dato che, in caso di nullità, l’impugnativa può proporla chiunque dei condòmini mentre nell’altro caso, soltanto colui che sia stato
pregiudicato dalla deliberazione.
Con il novello indirizzo giurisprudenziale, ci si è
uniformati al regime, codicisticamente previsto, per le
società di capitali, attraverso un procedimento logico e
giuridico che passa per la armonizzazione delle norme
sul condominio con quelle previste per la comunione in
generale.
In buona sostanza, si ritiene che se in tema di comunione, l’articolo 1105, terzo comma c.c. prevede che, per la
validità delle deliberazioni, tutti i partecipanti devono
essere stati preventivamente informati dell’oggetto
della delibera e, l’articolo 1109 c.c. contempla, nel caso
in cui non sia stata osservata la disposizione del terzo
comma dell’articolo 1105 cit., il potere di ciascuno dei
componenti la minoranza dissenziente di impugnare le
deliberazioni nel termine di decadenza di trenta giorni,
la statuizione del termine di decadenza esclude che, in
tema di comunione, il difetto di informazione configuri
una causa di nullità. Conseguentemente, nel ragionamento seguito dalla Suprema Corte, sarebbe ragionevole
dubitare che l’articolo 1136, sesto comma c.c., in tema
di condominio, disciplinando la stessa fattispecie e
usando la stessa formula, alla mancata convocazione di
un condomino abbia ricollegato conseguenze diverse e
ben più gravi.
Articolando, poi, un collegamento con il regime
previsto per il negozio giuridico e, meglio ancora, per
le società di capitali, in virtù del quale l’articolo 2379
c.c. delimita la nozione di nullità delle deliberazioni
delle società per azioni alle sole ipotesi di impossibilità
ed illiceità dell’oggetto , lo applica alla disciplina del
condominio.
È nulla, quindi, la delibera quando è assente o è del
tutto carente un elemento costitutivo, secondo la configurazione richiesta dalla legge, per cui essa si considera
inidonea a dar vita alla nuova situazione giuridica, che il
diritto ricollega al tipo legale, in conformità con la funzione economico-sociale sua caratteristica; per contro è
annullabile la delibera in presenza di deficienze considerate meno gravi, secondo la valutazione degli interessi
da tutelare fatta dalla legge.
Annullabile, quindi, è l’atto in cui un elemento essenziale sia viziato: l’atto che, pur non mancando degli
elementi essenziali del tipo e dando vita precaria alla
nuova situazione giuridica che il diritto ricollega al tipo
legale, può essere rimosso.
Conseguentemente, in materia di condominio degli
edifici, non sono ammissibili cause di nullità diverse
dalla impossibilità giuridica e dalla illiceità dell’oggetto,
intendendosi per impossibilità giuridica la inidoneità
degli interessi contemplati ad essere regolati dall’assemblea che delibera a maggioranza ovvero a ricevere quel
determinato assetto stabilito in concreto, e per illiceità
dell’oggetto la violazione delle norme imperative, alle
quali l’assemblea non può derogare, ovvero la lesione
diritti individuali, attribuiti ai singoli dalla legge, dagli
atti di acquisto e dalle convenzioni.
Per rimanere al caso trattato dalla innovativa pronuncia
della Corte di Cassazione , quindi, in caso di mancata
convocazione di un condomino all’assemblea condominiale, in quanto non rientrante nei casi di nullità
individuati, della impossibilità giuridica e dell’illiceità
dell’oggetto, si verte in ipotesi di annullabilità della
deliberazione e, come tale, il termine di decadenza per
la sua impugnazione è di trenta giorni dalla assemblea
o dalla comunicazione e soltanto da parte del soggetto
leso, e non più da parte di tutti i condòmini.
Il principio è confermato da una successiva decisione,
58
Il
secondo cui le delibere condominiali, analogamente a
quelle societarie, sono nulle soltanto se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella
competenza dell’assemblea, o se incidono su diritti individuali inviolabili per legge. Sono invece annullabili, nei
termini previsti dall’articolo 1137 c.c., le altre delibere
«contrarie alla legge o al regolamento di condominio»,
tra cui quelle che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento, come ad esempio per la convocazione dei partecipanti, o che richiedono qualificate
maggioranze per formare la volontà dell’organo collegiale, in relazione all’oggetto della delibera da approvare .
Il mutamento di rotta è di tutta evidenza, se solo si
pone lo sguardo all’ampia giurisprudenza precedente
che faceva conseguire alla mancanza della convocazione
l’inevitabile nullità assoluta della delibera, che poteva
esser fatta valere da qualsiasi condomino anche presente
in assemblea .
Il nuovo orientamento pare in linea con l’esigenza, da
perseguire, di certezza dei rapporti e con la conseguente
intollerabilità di situazioni che, ormai consolidatesi nel
tempo, possano essere rimesse in discussione senza che
alcun fondamentale diritto sia stato violato.
Considerato l’ambito di applicazione delle norme
condominiali ed il forte restringimento delle ipotesi di
nullità, in previsione della riforma della normativa si
potrebbe ipotizzare l’allungamento del termine previsto dall’articolo 1137 c.c. a sessanta giorni, decorrenti
dall’assemblea - per i presenti dissenzienti - e dalla
comunicazione, per gli assenti.
L’ultima considerazione da fare è quella relativa ai vizi
procedimentali, che se non impugnati nei trenta giorni,
non potranno più costituire, come lo erano stati fino
ad ora, un’occasione in sede di opposizione a decreto
ingiuntivo con il quale si chiedeva il pagamento degli
oneri condominiali, per paralizzare, con una nullità
l’azione di recupero, fondando sul vizio della delibera
posta a fondamento stesso della spesa effettuata, che
veniva, ad es. per mancata convocazione dello stesso
condomino che poi si oppone, ad essere artatamente
sfruttata per interessi egoistici.
Questo nuovo indirizzo della Suprema Corte in materia
di nullità e annullabilità delle delibere condominiali è
stato confermato con la sentenza resa a Sezioni Unite .
Essa costituisce un vero e proprio trattato sulla questione nullità-annullabilità delle delibere condominiali. Il
motivo di detta decisione consiste nel fatto che il nuovo
indirizzo giurisprudenziale (dal 2000 in poi) ogni tanto
veniva disatteso da sentenze isolate della stessa Corte
di Cassazione, da ciò la necessità di una sentenza resa a
Sezioni Unite.
In particolare tale sentenza ha evidenziato che i vizi
dell’oggetto come causa di nullità sono ricollegati ai
confini posti in materia di condominio al metodo collegiale ed al principio di maggioranza.
Condominio Nuovo
Secondo la Corte «tanto l’impossibilità giuridica, quanto l’illiceità dell’oggetto derivano dal difetto di attribuzioni in capo all’assemblea, considerato che la prima
consiste nell’inidoneità degli interessi contemplati ad
essere regolati dal collegio che delibera a maggioranza, ovvero a ricevere dalle delibere l’assetto stabilito in
concreto e che la seconda si identifica con la violazione
delle norme imperative, cui l’assemblea non può derogare, ovvero con la lesione di diritti individuali.
Per tali motivi il dettato di cui all’articolo 1137 c.c. va
interpretato nel senso che, per deliberazioni contrarie
alla legge, si intendono le delibere assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prestabilite dall’articolo 1136 (ma pur sempre nei limiti delle attribuzioni
di cui agli articoli 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c.).
Inoltre, le cause di nullità, afferente all’oggetto, raffigurano le uniche cause di invalidità riconducibili alla
sostanza degli atti, alle quali l’ordinamento riconosce
rilevanza e costituendo vizi gravi non sono soggette a
termine di impugnazione».
Per cui volendo operare una classificazione, sono da
considerare annullabili le delibere che decidono in
violazione di:
- regole sul procedimento di convocazione dell’assemblea;
- regole sulla costituzione dell’assemblea;
- regole sulla concreta ripartizione dei contributi condominiali;
- norme sul funzionamento dell’assemblea (deleghe);
- mancato raggiungimento dei quorum previsti per
legge.
Sono invece da considerarsi radicalmente nulle le delibere:
- contrarie a norme di ordine pubblico (penali, amministrative, fiscali);
- prese al di fuori delle competenze dell’assemblea (al di
fuori dell’oggetto parti comuni);
- che ledano il diritto di uno o più condòmini sulle
parti comuni (innovazioni vietate);
- viziate da eccesso di potere (quando quella composizione assembleare non è quella competente a deliberare,
ad esempio: la delibera del supercondominio composto
da più fabbricati che approva i lavori di rifacimento
delle facciate che sono bene comune di singoli fabbricati e non del supercondominio; oppure la delibera
di approvazione della pitturazione della scala A di un
condominio composto da più scale, approvata in sede di
assemblea generale di tutti i condomini del fabbricato).
Dal punto di vista pratico la decisione in esame costituisce una sicura traccia per tutti gli operatori del diritto
59
Il
Condominio Nuovo
siano essi avvocati o amministratori di condominio.
Infatti, questi ultimi sono tenuti a porre in esecuzione
solo le delibere annullabili e non quelle completamente
nulle.
La Negoziazione assistita
La legge 10 novembre 2014, n. 162 di conversione, con
modificazioni, del decreto
legge n. 132 del 12 settembre 2014, pubblicata in
gazzetta ufficiale il 10 novembre, si intitola alla c.d.
«degiurisdizionalizzazione» del contenzioso civile.
Con talune rilevanti modifiche rispetto al decreto
legge, la legge introduce misure che facilitano l’accesso
a strumenti alternativi di risoluzione della controversia
prima dell’introduzione del processo ovvero a processo
pendente. Il Capo II (artt. 2-11) introduce la procedura di negoziazione assistita da un avvocato, utilizzabile
non soltanto in materia di diritti disponibili ma anche
per la separazione personale dei coniugi e il divorzio.
Viene introdotto il procedimento di negoziazione assistita da avvocati in una triplice forma:
a) volontaria (art. 2, comma 1); b) obbligatoria (art. 3);
c) «per le soluzioni consensuali di separazione personale,
di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del
matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione
o di divorzio», con procedimento distinto a seconda vi
sia prole autosufficiente o meno (art. 6).
Si tratta di «un accordo mediante il quale le parti
convengono di cooperare in buona fede e con lealtà
per risolvere in via amichevole la controversia tramite
l’assistenza dei propri avvocati». La comunicazione
dell’invito a concluderla ovvero la sottoscrizione della
convenzione producono sulla prescrizione gli stessi
effetti della domanda giudiziale e impediscono, per una
sola volta, lo spirare della decadenza (art. 810).
Le parti devono individuare la durata massima della
procedura, la quale non può essere inferiore ad un mese
né superiore tre mesi, termine prorogabile su intesa
delle parti per ulteriori trenta giorni (art. 2, comma 2,
lett. b).
La soluzione negoziale della lite raggiunta deve essere
conclusa in forma scritta; gli avvocati la sottoscrivono,
ne garantiscono la conformità «alle norme imperative
ed all’ordine pubblico» e certificano le sottoscrizioni
apposte dalle parti sotto la propria responsabilità.
L’accordo concluso costituisce titolo esecutivo e titolo
per l’iscrizione della ipoteca giudiziale senza bisogno di
alcun procedimento di omologazione giudiziaria (art. 5).
Il medesimo deve essere integralmente trascritto nel
precetto a norma dell’art. 480 c.p.c.
«Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti
o compiono uno degli atti soggetti a
trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso
la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve
essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» (art.5).
Per avviare la procedura di negoziazione assistita, la
parte che vuole iniziare una causa deve, tramite il
proprio avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una
convenzione di negoziazione assistita. Se invece ci si
rivolge al giudice senza prima procedere alla negoziazione assistita, la domanda giudiziale è improcedibile. Ma
l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a
pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non
oltre la prima udienza. Il giudice, quando rileva che la
negoziazione assistita è già iniziata ma non si è conclusa,
fissa la successiva udienza al massimo dopo tre mesi.
Procede allo stesso modo quando verifica che la negoziazione non è stata esperita e, contestualmente, assegna
alle parti il termine di 15 giorni per trasmettere l’invito.
Una volta comunicato l’invito, se l’altra parte non aderisce o rifiuta entro 30 giorni da quando l’ha ricevuto, la
condizione di procedibilità si considera avverata. Si può
quindi iniziare (o proseguire) il processo e il comportamento poco collaborativo della parte verso la negoziazione assistita potrà essere valutato dal giudice ai fini
delle spese del giudizio e della responsabilità della parte
per aver agito o resistito con malafede o colpa grave.
Se l’invito invece viene accettato, le parti, con i loro
avvocati, devono redigere la convenzione di negoziazione assistita e gli avvocati certificano l’autografia delle
sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria
responsabilità professionale.
La convenzione di negoziazione – da redigere in forma
scritta a pena di nullità - deve precisare il termine concordato dalle parti per svolgere la procedura: che non
deve essere inferiore a un mese, né superiore a tre mesi,
prorogabile per altri 30 giorni su accordo tra le parti.
La convenzione deve anche precisare l’oggetto della
controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro. Se la procedura si
chiude senza che le parti abbiano trovato un accordo, la
condizione di procedibilità si considera avverata e si può
quindi iniziare o proseguire il processo.
Se invece le parti, durante la negoziazione assistita,
raggiungono un accordo che compone la lite, questo ha
valore esecutivo, anche ai fini dell’iscrizione di ipoteca
giudiziale, purché sia sottoscritto dagli avvocati che
certificano l’autografia delle firme delle parti e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine
pubblico. L’atto di precetto fondato sull’accordo deve
contenere l’integrale trascrizione del medesimo accordo.
Per quanto riguarda il mondo condominiale occorre
avere riguardo a quanto disposto relativamente all’obbligatorietà
per chi intende proporre in giudizio una domanda di
pagamento a qualsiasi titolo di somme fino a 50mila
euro, escluse le materie in cui è obbligatorio tentare la
mediazione.
60
Il
Attenzione però: una serie di controversie sono escluse
esplicitamente dal raggio d’azione della negoziazione
assistita obbligatoria. Si tratta, intanto, delle controversie che riguardano obbligazioni contrattuali derivanti
da contratti conclusi tra professionisti e consumatori.
Inoltre, per quel che riguarda le azioni per il recupero
del credito, per cui già è esclusa espressamente la mediazione obbligatoria, la negoziazione assistita non è condizione di procedibilità se il creditore intende agire con
decreto ingiuntivo. Le nuove regole, poi, non si applicano: nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva
ai fini della composizione della lite; nei procedimenti di
opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; nei procedimenti in camera di consiglio; nell’azione civile esercitata nel processo penale; nei
casi in cui la parte può stare in giudizio personalmente.
Atteso quindi che nella quasi generalità dei giudizi condominiali, si immagini quelli per ottenere il corrispettivo per l’appalto, l’istituto non trova applicazione obbligatoria, rimangono quali ipotesi concrete solo quelle di
recupero del credito se l’amministratore decide di non
agire in base al ricorso al decreto ingiuntivo e quelle
relative al risarcimento danni. Si immagini ad esempio
una richiesta di danni per una caduta in condominio
ovvero un’infiltrazione.
Possiamo auspicare che invece essa trovi generale applicazione in ogni litigio condominiale a prescindere dalla
sua obbligatorietà. Infatti, nella sua versione facoltativa non impedisce di procedere ad una convenzione
di negoziazione anche quando è prevista la mediazione
obbligatoria. Quindi, veramente si pone come quell’istituto che può portare alla risoluzione dei conflitti in
condominio, se il futuro confermerà quella che oggi
può essere solo un’intuizione o un augurio in ordine
alla sua generale ed indistinta applicazione perché comunque facoltativa.
11 - L’ ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO
Con la riforma del processo civile introdotta dalla legge
n. 80 del 2005, l’Accertamento Tecnico Preventivo,
pur restando un procedimento di istruzione preventiva,
diventa anche un’efficace strumento per affrontare e
risolvere le controversie in maniera del tutto differente
dagli schemi tradizionali.
Nel precedente sistema l’ATP trovava scarsa applicazione pratica in quanto circoscritto alla mera descrizione
e rappresentazione dello stato di luoghi o cose che, se
da un lato tutelava il diritto di acquisire la prova prima
del processo, dall’altro impediva di svolgere un’indagine
completa, in quanto non estesa anche all’individuazione
di cause e, di fatto, limitata ad una mera “fotografia”.
Nella classica ipotesi di infiltrazioni in un edificio
condominiale, per esempio, il danneggiato poteva far
Condominio Nuovo
ricorso all’ATP solo per descrivere i luoghi ed accertare
i danni lamentati, mentre per conoscere le cause del
fenomeno dannoso (rottura o rigurgito della colonna
fecale condominiale, rottura o perdita della braga di
proprietà esclusiva) doveva instaurare apposito giudizio
di cognizione e attendere la nomina del CTU, chiamato a completare le indagini già iniziate con l’ATP. In
pratica, solo la consulenza tecnica disposta nel giudizio
di merito era utilizzabile per individuare la causa dei
danni, anche se gli accertamenti compiuti a distanza
di lungo tempo dai fatti potevano essere compromessi
o resi difficoltosi dalla modifica dell’originario stato
dei luoghi e, comunque, non avrebbero potuto avere
la stessa obiettiva efficacia di quelli che avrebbe potuto
svolgere il consulente nominato già in fase di A.T.P.
L’attuale formulazione dell’art. 696 c.p.c., non solo
elimina completamente tali anomalie, ma, soprattutto,
trasforma l’ATP in un pratico strumento da utilizzare
per la rapida risoluzione delle controversie, specie con
riferimento alla materia condominiale e locativa.
11.1 - A.T.P. CON FUNZIONE VALUTATIVA EX
ART. 696 C.P.C.
Anche dopo la riforma, l’ATP resta un procedimento
di istruzione preventiva diretto a tutelare il diritto di
precostituire la prova dei fatti posti a fondamento della
domanda (fumus boni iuris), quando sussiste il periculum che possano venir meno i presupposti materiali per
l’acquisizione della prova stessa. L’oggetto dell’A.T.P.
riguarda sempre la verifica dello stato dei luoghi o la
qualità e le condizioni di cose che, però, viene estesa
anche alla “valutazione in ordine alle cause” e, quindi, alla ricerca dei fenomeni che hanno determinato
l’evento dannoso. La norma recepisce gli orientamenti
giurisprudenziali che, già prima della riforma, riconoscevano l’utilizzabilità di un A.T.P. ampliato anche
alla ricerca preventiva delle cause, quando le relative
indagini sarebbero state certamente compromesse dal
decorso del tempo (C. Cost. 388/99 e Cass. 12007 del
08.08.2002), ovvero fossero state compiute nel rispetto
del contraddittorio ed acquisite agli atti del giudizio
senza opposizione delle parti (Cass. 12748 del 17.11.99
e Cass. n. 5397 del 18.08.1983). In tal modo, l’ATP
acquista una funzione del tutto diversa da quella fino ad
oggi conosciuta, diventando concreto strumento volto
a precostituire una prova completa di tutti gli elementi tecnici che, nella precedente formulazione, poteva
essere acquisita solo nel giudizio di merito. Si elimina
così il rischio che lungaggini processuali e fattori esterni
possano modificare o alterare lo stato dei luoghi e si garantisce l’acquisizione immediata di elementi e fatti da
utilizzare nel successivo giudizio di merito come mezzo
di prova.
61
Il
Condominio Nuovo
A prescindere dagli aspetti meramente probatori, in
realtà, l’ATP produce anche effetti immediati che
incidono in maniera decisamente positiva sull’intera
controversia, con indubbio vantaggio per tutte le parti
in causa. Accertare con anticipo le cause dell’evento
dannoso, infatti, significa anche circoscrivere l’oggetto
del contendere e individuare preventivamente l’effettivo
responsabile, consentendo alle parti di prendere corretta
posizione sui fatti di causa e predisporre le opportune
strategie difensive. Nell’esempio sopra prospettato di infiltrazioni d’acqua, una volta stabilito se gli spargimenti
d’acqua siano da imputare alla fecale condominiale o
alla braga di proprietà esclusiva, già prima del giudizio,
diventa possibile:
- individuare chi tra Condominio e proprietario sia
effettivamente responsabile dei danni;
- accertare eventuali concause, corresponsabilità di terzi
o dello stesso attore nel caso si riscontrassero fenomeni
di condensa prodotti dalla sua proprietà;
- valutare la posizione dell’assicurazione del fabbricato
che, in virtù della garanzia “acqua condotta”, è tenuta
ad indennizzare il condomino danneggiato solo in caso
di rotture accidentali della fecale e non anche in caso di
perdite dovute a vetustà o per rigurgito di fogna.
Sempre in tema di infiltrazioni, condominio o proprietario esclusivo del terrazzo di copertura potranno
anticipatamente conoscere se la causa dei danni sia da
imputare all’usura del manto impermeabilizzante o al
danneggiamento della guaina a seguito di opere eseguite dallo stesso proprietario, in modo da individuare
l’effettivo responsabile tenuto sia al risarcimento che alle
spese di ripristino del terrazzo.
In materia di appalto, l’accertamento preventivo di vizi
e difformità dell’opera appaltata consente di valutare
con maggiore cognizione tecnica il fondamento di
un azione di riduzione del prezzo, eliminazione dei
vizi, risarcimento dei danni ovvero di un’eccezione di
pagamento o compensazione con altri crediti vantati
dall’appaltatore.
In tema di rapporti di locazione, conduttore o proprietario potranno accertare se le cause delle infiltrazioni
lamentate dall’appartamento sottostante siano da
imputare alla mancata esecuzione di opere di ordinaria
o straordinaria manutenzione, in modo da sapere subito
chi dei due è tenuto alle spese di ripristino dei luoghi o
al risarcimento dei danni conseguenti all’omessa manutenzione.
La conoscenza anticipata di elementi tecnici in grado di
delineare i confini dell’intera vicenda, inoltre, contribuisce significativamente anche alla razionalizzazione
e semplificazione dell’intera istruttoria, incentrata
esclusivamente sull’effettivo motivo del contendere e
sulle questioni strettamente giuridiche, senza essere
appesantita da eccezioni superflue, irrilevanti o pretestuose. Ciò significa che, anche grazie alla riforma
dell’art. 183 c.p.c., il processo potrà volgere subito a
conclusione, salvo l’ipotesi in cui emergano adeguati
riscontri probatori che sconfessino l’indagine preventiva
e convincano il giudice a disporre nuove indagini.Ma,
nel caso in cui siano stati anticipatamente acclarati tutti
i fatti della lite, le parti sono già in grado di valutare il
probabile esito del giudizio e le reali chances di successo
e, quindi, di rendersi conto dell’opportunità di ricercare
accordi volti al bonario componimento della lite, senza
aggravare ulteriormente le rispettive posizioni.
Tale prospettiva attribuisce all’ATP l’auspicabile funzione di favorire le intese transattive in modo da ridurre le
liti giudiziarie e produrre effetti deflattivi del contenzioso.
11.2 - A.T.P. CON FUNZIONE CONCILIATIVA EX
ART. 696 BIS C.P.C.
Le vere finalità conciliative perseguite dal legislatore
trovano espressa previsione nel nuovo art. 696 bis c.p.c.,
che introduce un’ulteriore e diversa figura di ATP, con la
precipua funzione di risolvere le controversie in maniera
diversa e alternativa ai classici meccanismi giurisdizionali. La principale finalità dell’istituto, infatti, è quella di
ricercare una rapida risoluzione della lite attraverso un
consulente tecnico di nomina giudiziale che, dopo aver
compiuti i normali rilievi di carattere tecnico, individui anche le possibili soluzioni per superare i diversi
contrasti tra le parti e prospetti una soluzione in via
transattiva che possa ottenere il consenso delle parti. In
caso positivo, gli accordi raggiunti vengono ratificati in
apposito verbale di conciliazione cui il giudice attribuisce efficacia di titolo esecutivo, idoneo ad iscrivere
ipoteca, a procedere ad espropriazione e ad esecuzione
in forma specifica, in caso di inadempimento di una
delle parti. Si tratta di una modifica epocale in grado
di ridisegnare parte del tradizionale sistema risarcitorio,
in quanto garantisce una tutela del diritto sostanziale
di tipo giurisdizionale, pur senza instaurare il classico
giudizio di merito, e favorisce una notevole riduzione di
costi e tempi della lite, contribuendo ad arginare l’inflazione del contenzioso. Proprio per favorirne un ampio
utilizzo, il nuovo ATP è stato sganciato dai presupposti
del fumus e del periculum, legittimando l’interessato a
richiedere l’accertamento senza dover prospettare alcun
pericolo di dispersione della prova, ma solo per l’esigenza di tutelare un generale diritto alla formazione della
prova stessa, che potrebbe diventare anche lo strumento
per una conciliazione della controversia.
Quanto all’oggetto dell’accertamento, l’art. 696 bis
c.p.c. individua e limita l’oggetto alla “determinazione
dei crediti” aventi origine da una responsabilità contrattuale o da fatto illecito, restando inteso che il CTU
debba anche accertare le cause dei danni perchè solo in
62
Il
tal modo può condurre serie e concrete trattative volte
a superare i diversi contrasti tra le parti e pervenire alla
conciliazione della lite. Su tali prospettive, il nuovo
ATP può trovare fattiva applicazione in tutte quelle
controversie in cui il motivo del contendere riguardi
solo la determinazione del risarcimento e, in generale,
quando la conciliazione rappresenti un civile e ragionevole modo di dirimere questioni di facile risoluzione
o di modesta entità, evitando che i costi del giudizio
superino quelli del risarcimento.
L’ambito di applicazione spazia dai casi di danni per
infiltrazioni provenienti dal terrazzo condominiale, dalle
facciate o da qualsiasi impianto di proprietà comune,
a quelli dovuti a caduta di cornicioni o a distacchi di
intonaci. In tali fattispecie, sussistono fondate possibilità che, una volta accertate cause ed entità dei danni, il
Condominio responsabile possa certamente accettare e
condividere la soluzione conciliativa proposta dal CTU,
non avendo alcun vantaggio a resistere in giudizio.
Sempre in ambito condominiale, l’ATP può essere
utilizzato per conciliare la lite insorta con il venditore
di un qualsiasi impianto a servizio della cosa comune
per vizi o difetti del prodotto, ovvero con l’appaltatore
quando si contesti l’effettiva quantità dei lavori eseguiti
o l’entità dei danni.
Anche nei rapporti di locazione, l’ATP può favorire la
conciliazione nel caso in cui debbano quantificarsi i
danni riscontrati dal locatore dopo il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, ovvero quelli lamentati da
quest’ultimo in conseguenza della mancata esecuzione
di opere di manutenzione straordinaria.
In ogni caso, la scelta di richiedere o meno un ATP
conciliativo andrà valutata caso per caso e dipenderà soprattutto dalle pretese del danneggiato che non
sempre possono trovare immediato riscontro e pronta
soluzione.
Oltre ai danni materiali all’immobile, per esempio,
il danneggiato potrebbe lamentare anche danni per
parziale godimento dello stesso, per disagio locativo, per
mancato guadagno in caso di chiusura di un esercizio
commerciale e, pertanto, sembra più opportuno richiedere un ATP tradizionale che, comunque, consente al
danneggiato di precostituirsi la prova delle cause dei
danni e, nelle more del giudizio, sondare la disponibilità
della controparte ad una definizione della lite.
Naturalmente, la procedura conciliativa potrebbe fallire
perché il soggetto chiamato a partecipare alla procedura
ometta di costituirsi, ovvero, anche in caso di contraddittorio integro, perché le parti non ritengano di
accettare le proposte del CTU, per ragioni tecniche o di
diritto. In tal caso, pur non avendo raggiunto il principale fine conciliativo, l’ATP riassume le sue origini di
strumento di formazione preventiva della prova prima
del processo ordinario e, pertanto, la relazione del CTU
Condominio Nuovo
potrà essere acquisita agli atti del processo di merito
come mezzo di prova.
11.3 - ASPETTI PROCESSUALI
Il nuovo ATP impone un’attenta riflessione su alcune
questioni di carattere processuale. La prima riguarda
proprio l’effettiva efficacia probatoria della consulenza
svolta nel corso di un A.T.P. conciliativo che non abbia
raggiunto il suo principale scopo di risolvere la controversia.
Il legislatore, inserendo il nuovo istituto nell’ambito dei
procedimenti di istruzione preventiva e prevedendo al
comma 5 che “ciascuna parte” possa chiedere l’acquisizione della relazione peritale agli atti del successivo
giudizio di merito, lascia chiaramente intendere che
l’ATP conciliativo resta comunque uno strumento di
formazione della prova prima del processo ordinario, al
pari dell’ATP tradizionale. Ma, a differenza di questo
ultimo, il procedimento viene azionato anche in assenza
dei presupposti del fumus e del periculum e, inoltre, la
relazione peritale contiene non solo indagini di natura
tecnica, ma esprime anche valutazioni e giudizi non
strettamente tecnici e scientifici, in conseguenza di un
ampio potere, mai prima d’oggi riconosciuto al CTU.
Tutto ciò induce a ritenere che i reali effetti probatori
andranno comunque circoscritti alle sole valutazioni
di carattere tecnico e che, comunque, sarà compito del
giudice valutare caso per caso la rilevanza e l’ammissibilità della prova preventiva o la necessità di rinnovare la
consulenza, ex art. 698 c.p.c.
Sotto il profilo strettamente procedurale, l’ATP conciliativo ha caratteri del tutto similari a quello tradizionale, atteso che la norma richiama indirettamente gli artt.
694 e 695 c.p.c. Il procedimento, infatti, si introduce
con ricorso al giudice competente che fissa con decreto
l’udienza di conferimento dell’incarico al CTU, assegnando termine perentorio per la notifica del ricorso. All’udienza di comparizione, il giudice verifica la
regolarità del contraddittorio ed eventualmente dispone
la chiamata in causa di terzi potenzialmente interessati
alla lite e che potrebbero favorirne la conciliazione (si
pensi alla chiamata in garanzia dell’assicurazione o del
soggetto realmente responsabile). A questo punto, fissa
la data delle operazioni peritali, l’anticipo dell’onorario
e, sopratutto, specifica i quesiti della consulenza, dando
così un preciso indirizzo giuridico al consulente che,
anche se investito di ampi poteri, resta sempre un suo
ausiliare. Attività e poteri del consulente sono regolati
dagli artt. 191-197 c.p.c., espressamente richiamati
dall’ultimo comma dell’art. 696 bis c.p.c. Il mancato
richiamo all’art. 201 c.p.c. non esclude la possibilità di
nominare un consulente di parte, la cui presenza è indirettamente prevista anche dall’art. 194 c.p.c. e, comunque, indispensabile per consentire alle parti di valutare
63
Il
Condominio Nuovo
le risultanze della consulenza anche da un punto di vista
tecnico. Nel corso delle operazioni peritali, il CTU ha
l’obbligo di tentare la conciliazione e, in caso positivo,
forma il processo verbale di conciliazione e lo deposita
in cancelleria affinché il giudice, con decreto, gli attribuisca efficacia di titolo esecutivo e, contestualmente,
provveda anche alla liquidazione del suo onorario. Il
verbale diventa utilizzabile per ogni tipo di esecuzione
forzata ed è esente dall’imposta di registro.
Se la conciliazione fallisce, invece, il CTU deposita
la relazione peritale e il giudice provvede soltanto alla
liquidazione del compenso.
In ordine alle impugnazioni, la natura di procedimento palesemente non cautelare dell’ATP conciliativo,
esclude certamente l’ammissibilità del reclamo ex art.
669-terdecies c.p.c.
Anche se di scarso rilievo pratico, sembra invece
possibile l’esperibilità del regolamento di competenza,
limitatamente al caso in cui dovesse sorgere un conflitto
di competenza negativo tra giudice di pace e tribunale.
Infine, occorre segnalare che l’art. 696 bis nulla dispone
in merito alle spese legali che diventano parte integrante
del danno e, quindi, devono essere determinate a completamento del procedimento conciliativo.
Facendo riferimento al tariffario, non dovrebbero sorgere grosse difficoltà per la determinazione dei compensi
legali, atteso che gli onorari previsti per i procedimenti
speciali sono decisamente contenuti, mentre i costi dei
diritti sono limitati dal ridotto numero di prestazioni
che richiede il procedimento.
Nell’ipotesi di mancata conciliazione, invece, qualora la
sentenza profili una soluzione della vertenza in linea con
le proposte formulate in sede di ATP ed emerga l’assoluta infondatezza dei motivi di resistenza, la condanna
dovrà comprendere anche la rifusione delle spese legali
sostenute per dare impulso o per prender parte alla
procedura preventiva e, soprattutto, dovrà tenersi conto
che la parte vittoriosa ha dovuto necessariamente partecipare e difendersi in un giudizio che si sarebbe dovuto
(e potuto) evitare.
Proprio per questo, diventa auspicabile ed opportuno,
che i giudici liquidino le spese legali tenendo conto di
tutte le attività legali svolte nell’intera vicenda e applicando i valori massimi del tariffario, anche al fine di
non incentivare o premiare comportamenti ostruzionistici.
Il
Condominio Nuovo
I principi di riparto delle spese
Utilità
Rodolfo Cusano
Avvocato
L’art. 1123 c.c. stabilisce che «le spese necessarie
per la conservazione e per il godimento delle parti
comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi
nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate
dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini
in misura proporzionale al valore della proprietà di
ciascuno, salvo diversa convenzione.
Se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in
misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione
dell’uso che ciascuno può farne.
Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici
solari, opere o impianti destinati a servire una parte
dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini
che ne trae utilità».
La norma esprime il generale principio in forza del
quale le spese relative alle parti comuni di un fabbricato in condominio vanno ripartite fra i condòmini
in proporzione alle rispettive quote di proprietà.
La norma, tuttavia, a ben vedere, detta tre criteri per
il riparto:
- il primo comma prevede il criterio della cd. utilizzazione generale;
- il secondo comma stabilisce invece il criterio
dell’utilizzazione differenziata;
- il terzo comma, infine, prevede il criterio della
utilizzazione separata.
Sulla base di tali criteri è possibile operare la seguente distinzione tra le diverse tipologie di spesa, in relazione a specifiche parti dell’edificio condominiale:
- spese di conservazione, manutenzione, godimento
ed impianto di cose necessarie all’esistenza dell’edificio (fondamenta, suolo, muri maestri, tetto, lastrico solare). Esse gravano in proporzione alla quota
di proprietà di ciascun condòmino. Ove si tratti
di parti comuni destinate a servire soltanto alcuni
dei condòmini (ad esempio un muro comune che
sorregge un’insegna), la ripartizione viene operata in
proporzione all’uso che ciascuno può farne;
- spese di conservazione, manutenzione, godimento
ed impianto di parti dell’edificio necessarie all’uso
comune. Relativamente alle parti che servono ugualmente tutti i piani, ciascun condòmino contribuisce
in proporzione alla sua quota di proprietà, salvo che
si tratti di opere o impianti destinati al servizio di
una parte soltanto del fabbricato (le cui spese sono a
carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità)
o che procurino utilità ad alcuni soltanto dei condòmini (si pensi, ad esempio, alle scale, che sono
mantenute o ricostruite dai proprietari dei piani a
cui servono);
- spese di conservazione, manutenzione, godimento
ed impianto di locali ed opere destinati all’uso o al
godimento comune o ai servizi in comune (es. portineria, pozzi, fognature). Trattandosi di spese relative
a beni che normalmente servono in egual misura
tutte le parti dell’edificio, al loro pagamento sono
tenuti a concorrere tutti i condòmini in proporzione
alle rispettive quote di proprietà; ove le opere siano
destinate al servizio di una sola parte dell’edificio,
le spese ad esse relative sono a carico del gruppo di
condòmini che ne trae utilità; se, invece, servono in
misura diseguale i diversi piani, la ripartizione è operata in proporzione all’uso che ciascuno può farne;
- spese di esercizio dei servizi comuni. Per queste
ultime dovrebbe valere il principio delle spese di
godimento, in virtù del quale chi può trarre beneficio dall’impianto comune e non ne approfitti o
ne approfitti solo parzialmente, deve ugualmente
contribuire alle spese in ragione di ciò che sarebbe in
grado (se volesse) di ricavarne. Sulla base di queste
considerazioni, parte della dottrina ritiene che il
condòmino che rinunci al servizio di riscaldamento
è ugualmente tenuto a contribuire alle spese di esercizio. Si è però obiettato, da parte di alcuni autori,
che è necessario distinguere tra spese di esercizio o di
godimento e spese di conservazione dell’impianto: le
seconde gravano su tutti, mentre quelle di esercizio
sono a carico dei soli condòmini che beneficiano del
servizio e nella misura in cui ne beneficiano, sicché
ne sarebbero esentati i rinunzianti.
65
Il
Condominio Nuovo
Va infine affrontata la questione se i criteri di riparto
stabiliti dall’art. 1123 c.c. possano essere derogati mediante accordi tra i condòmini. La risposta è
senz’altro positiva, non rientrando l’articolo in esame tra quelli dichiarati inderogabili dall’art. 1138,
ultimo comma, c.c., con la precisazione, tuttavia,
che le deroghe possono essere deliberate solo dall’accordo unanime dei condòmini. Tale accordo può
essere consacrato in un regolamento contrattuale
ovvero essere oggetto di una delibera assembleare
approvata all’unanimità. Sarebbe nulla (e come tale
impugnabile senza limitazioni di tempo) la delibera
che, in mancanza di accordo unanime, disponesse un
criterio di ripartizione delle spese in base a criteri diversi da quello legale, mentre saranno semplicemente
annullabili le delibere che in concreto ripartissero
le spese in violazione dei criteri di ripartizione già
stabiliti.
LE TABELLE MILLESIMALI
Nel condominio, come abbiamo visto, coesistono due tipi di proprietà: la esclusiva e la comune. La prima,
in proporzione, proiettandosi su quella in comunione attraverso un valore, detto millesimale, permetterà ad
ogni condòmino di conoscere il proprio peso decisionale in assemblea, nonché il proprio onere economico
circa le spese relative ai beni ed ai i servizi in comune. Tale ultima determinazione non è univoca in quanto
l’utilizzo di beni, impianti e servizi comuni, da parte di singoli condòmini, non è necessariamente uguale,
ma può verificarsi il caso che alcuni condòmini facciano un uso diverso, maggiore o minore rispetto ad altri
condòmini, di tali beni o, addirittura, che determinati impianti o servizi comuni servano solo una parte degli
immobili (cd. proprietà parziaria).
In tali ipotesi dovranno essere compilate più tabelle millesimali che rappresentino fedelmente i diversi modi
di atteggiarsi delle proprietà comuni.
È opportuno, prima di passare all’esame specifico delle tabelle, distinguere le tabelle millesimali di proprietà
dalle tabelle millesimali di gestione.
Le tabelle millesimali di proprietà determinano la quota di proprietà del condòmino sulle parti comuni. In
particolare, esse sono condizione necessaria per il funzionamento del massimo organo deliberante, l’assemblea, nonché per il riparto delle spese relative ai beni comuni.
Pertanto, nei condomini, avremo una tabella, comunemente detta Tabella A che, in aderenza allo spirito degli
artt. 1118, 1123, primo comma e 1136 c.c., determinerà la misura del diritto di proprietà di ciascun partecipante sui beni in comune: in particolare essa determinerà la misura del voto del condòmino in assemblea e
la misura dell’onere di spesa a suo carico.
Avremo, inoltre, tante tabelle millesimali di gestione quanti sono i servizi condominiali, da usare al solo fine
della ripartizione delle spese condominiali ex artt. 1123, 1124 e 1126 c.c.
Di conseguenza la Tabella A sarà utilizzata nei seguenti casi:
1. calcolo delle maggioranze millesimali richieste dalla legge per la validità della costituzione delle assemblee condominiali;
2. calcolo delle maggioranze richieste dalla legge per la validità delle deliberazioni assembleari;
3. ripartizione delle spese in conformità all’art. 1123, primo comma, c.c., per il godimento delle parti comuni, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune, e per le innovazioni deliberate a norma degli artt.
1120 e 1121 c.c.
Il punto 3 dell’elenco chiarisce come la tabella di proprietà, in presenza di un uso o godimento paritetico dei
beni, impianti e servizi comuni, diventa contemporaneamente, e a norma dell’art. 1123, primo comma, c.c.,
anche tabella di gestione della relativa spesa.
Le altre tabelle che verranno compilate in aderenza agli artt. 1123 secondo comma, 1124 e 1126 c.c. non
implicano alcuna conseguenza rispetto ai diritti reali, avendo per oggetto solo ed esclusivamente la ripartizione delle spese. In particolare, essendo il condominio una proprietà mista, ci sarà sui beni di uso comune
una concorrenza di uso e godimento da parte di più persone; tale concorrenza in capo ai singoli condòmini
potrà avere una modalità identica ed allora la spesa, per equità, si ripartirà in base ai millesimi di cui alla
tabella A, cioè in proporzione al valore di piano o porzione di piano di cui ciascuno gode. In questo caso
avremo una ripartizione ex art. 1123, primo comma, c.c.
Quando tale proporzione nell’uso della cosa comune non potrà venire rispettata, perché in relazione alla
proprietà individuale alcuni condòmini ne fanno un uso maggiore o minore rispetto agli altri, o ancora perché
66
Il
Condominio Nuovo
l’uso di alcuni beni comuni è riservato in esclusiva ad alcuni condòmini, allora sarà necessario compilare
altre tabelle millesimali al fine di una più equa ripartizione di spesa, che tenga conto di tali disparità di godimento, in aderenza pertanto allo spirito di cui agli artt. 1123, secondo e terzo comma, 1124 e 1126 c.c.
Per quanto concerne i casi di proprietà ad uso differenziato, i più comuni sono quelli che riguardano le scale,
l’impianto di ascensore e l’erogazione del calore.
Casi ricorrenti di proprietà ad uso separato, detta anche proprietà parziaria, sono quelli che riguardano le
palazzine separate le une dalle altre, aventi in comune impianti come i cancelli, i giardini, i muri di cinta e
così via.
Descriviamo, allora, le tipologie di tabelle millesimali solitamente utilizzate:
- Tabella A: è la tabella di proprietà generale, richiamata dagli artt. 1118 e 1123, primo comma, c.c. Questa
tabella è essenziale per il condominio in quanto esprime in millesimi il valore del piano o porzione di piano
in relazione alla comproprietà dei beni comuni. Può essere considerata la tabella «madre» poiché da essa
originano, il più delle volte, anche le altre tabelle.
- Tabella B: è la tabella relativa alla gestione della spesa concernente le scale e quindi attiene ad un bene
comune suscettibile di un uso differenziato o separato, di cui agli artt. 1123, secondo comma, e 1124 c.c.
- Tabella C: è la tabella di gestione della spesa concernente l’esercizio e la manutenzione dell’ascensore
(tabella di proprietà differenziata o separata). Se il regolamento di condominio non dispone diversamente, la
consolidata giurisprudenza vuole che tutte le spese vadano ripartite a norma dell’art. 1124 c.c.
- Tabella D: è la tabella di gestione della spesa concernente l’erogazione di calore da parte dell’impianto
centrale di riscaldamento (tabella di proprietà differenziata o separata).
Alle sopra citate tabelle saranno aggiunte quelle ulteriori tabelle di gestione della spesa che si renderà
necessario compilare, come, ad esempio, quella relativa alla pulizia ed illuminazione dell’androne di accesso
alla scala ed all’ascensore (Tabella E), oppure quella per la ripartizione delle spese di portierato, ove tale
servizio esista (Tabella F).
La tabella principale, quella che, in ogni caso, non dovrà mai mancare, è la Tabella A, mentre tutte le altre
potranno esserci o meno, a seconda della volontà condominiale, che comunque potrà decidere in ordine al
riparto della spesa anche in deroga alle stesse ex art. 1123 c.c.
Ciò che è importante ricordare è che, come da giurisprudenza costante (9), l’esistenza della tabella millesimale non costituisce requisito di validità delle delibere assembleari, dato che il criterio per la determinazione delle singole quote preesiste alle tabelle, derivando dal rapporto tra il valore dell’intero edificio e quello
della proprietà singola.
LE SPESE DI CONSERVAZIONE E MANUTENZIONE
Ai sensi dell’art. 1104, primo comma, c.c. ciascun partecipante alla comunione deve contribuire alle spese
necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune, ed analogo obbligo è sancito dall’art.
1123, primo comma, c.c., con riguardo alle parti comuni dell’edificio condominiale.
Quanto alla qualificazione di tali spese, alcuni Autori hanno sostenuto che per spese di conservazione
devono intendersi quelle che attengono all’integrità del bene, in quanto dirette a conservarlo, quali le spese
per la manutenzione ordinaria e straordinaria, così come le spese per riparazioni e ricostruzioni, differenziandole dalle cd. spese per l’uso, che sono invece quelle necessarie per il godimento dei beni comuni e la
prestazione dei servizi. Autorevole dottrina (TERZAGO) ha tuttavia precisato, al riguardo, che tale principio di
distinzione tra spese di conservazione e d’uso «è puramente teorico, perché difficile è la linea di demarcazione tra le due categorie [...] Infatti non è sempre agevole distinguere il deterioramento prodotto dall’uso da
quello prodotto dalla vetustà».
Il problema della distinzione tra spese di conservazione e spese di uso o di esercizio, tuttavia, non è
puramente teorico. È infatti necessario, in relazione a determinati impianti, quale ad esempio quello di
riscaldamento, distinguere tra spese di esercizio e spese di conservazione: le seconde, infatti, gravano su
tutti i condòmini, mentre quelle di esercizio sono a carico dei soli condòmini che beneficiano del servizio e
nella misura in cui ne beneficiano, sicché ne sarebbero esentati i rinunzianti. Così, ad esempio, nel caso di
spese relative all’impianto di riscaldamento, coloro che (legittimamente) rinunziassero a fruire dello stesso,
continuerebbero a contribuire alle spese di conservazione, non venendone meno la comproprietà, ma non
sarebbero tenuti a pagare le spese di esercizio (quelle relative, ad esempio, al gasolio).
67
Il
Condominio Nuovo
Per quanto attiene specificamente alle spese di manutenzione, va innanzitutto detto che per tali devono
intendersi le spese necessarie per mantenere la cosa comune nello stato in cui essa si trova e conservarne
la conveniente efficienza e funzionalità, in relazione all’uso che normalmente se ne fa, sì da permettere ai
condòmini di ritrarre dalla stessa tutte le utilità che è in grado di produrre.
In altri termini, secondo questa impostazione, tali spese sono funzionali a che la cosa comune serva all’uso
o al godimento cui è destinata. Vi rientrano, perciò, sia la spese che hanno come scopo quello di preservare la cosa, impedendone il deterioramento (come, ad esempio, le spese di intonacatura e tinteggiatura
della facciata dell’edificio o di sostituzione dei passamano usurati), che sono da qualificare come spese di
ordinaria manutenzione, sia le spese di straordinaria manutenzione. Quanto in particolare a queste ultime,
secondo parte della dottrina, esse si identificano con quelle rese necessarie da eventi imprevisti di carattere eccezionale, come quelle dovute a caso fortuito o a forza maggiore. Secondo altra dottrina, tuttavia,
«questa limitazione non pare giustificata in quanto spese straordinarie potrebbero essere anche quelle rese
necessarie dalla mancata esecuzione di opere di manutenzione ordinaria; ad esempio il crollo di un muro, il
rifacimento totale di un tetto, di infissi etc.» (TERZAGO). In altri termini, secondo tale impostazione, le spese
di manutenzione straordinaria sono quelle necessarie a restituire alla cosa la sua normale funzionalità, una
volta che questa sia venuta meno a causa della mancata esecuzione di opere di ordinaria manutenzione o
per il verificarsi di un evento il quale, anche se prevedibile, non poteva essere evitato mediante opere di
ordinaria manutenzione.
LE SPESE GRAVOSE E VOLUTTUARIE
Il discorso relativo alle spese gravose e voluttuarie è inscindibilmente connesso con quello relativo alle innovazioni, per cui è opportuno, in via preliminare, accennare, se pur brevemente, a queste ultime. L’art. 1120,
primo comma, c.c., stabilisce che i condòmini, con la maggioranza di cui all’art. 1136, quinto comma, c.c.,
possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento
delle cose comuni.
Il medesimo articolo, al secondo comma, soggiunge che sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano
talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condòmino.
Dalle innovazioni previste dall’art. 1120 c.c. vanno tenute distinte quelle di cui all’art. 1121 c.c., il quale
disciplina le innovazioni cd. gravose o voluttuarie. Le prime sono quelle innovazioni che comportano una
spesa onerosa rispetto alle particolari condizioni ed all’importanza dell’edificio (quale, ad esempio, l’installazione di un impianto di aria condizionata centralizzata in un edificio fatiscente). Le seconde, invece, cioè
le innovazioni voluttuarie, sono quelle non strettamente indispensabili o comunque prive di utilità pratica (ad
esempio, l’installazione di statue di marmo o di piante decorative nell’atrio dell’ingresso).
Il carattere gravoso o voluttuario dell’innovazione va determinato con riguardo alle particolari condizioni ed
all’importanza dell’edificio, e non in considerazione di elementi personali attinenti alla situazione patrimoniale dei singoli condòmini. L’onere di provare la gravosità di una innovazione è a carico di chi eccepisce la
gravosità stessa.
Qualora l’innovazione rivesta carattere di gravosità o voluttuarietà, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condòmini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati
da qualsiasi contributo nella spesa. Se, invece, l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non
è consentita, salvo che la maggioranza dei condòmini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne
integralmente la spesa.
I condòmini dissenzienti ed i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai
vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera.
Per ottenere l’esonero dall’obbligo di partecipare alle spese, il condòmino deve impugnare la deliberazione
entro trenta giorni dalla sua assunzione, se dissenziente, o dalla sua comunicazione, se assente. L’impugnazione della delibera, infatti, impedisce che si perfezioni l’acquisto del diritto di comunione sulla nuova opera.
La ratio della norma di cui all’art. 1121 c.c. è da ricercare, secondo la dottrina tradizionale, nel contemperamento dell’interesse dei condòmini economicamente più favoriti, desiderosi di comodità non necessarie, con
quello degli altri meno abbienti. La dottrina più recente àncora, invece, la valutazione ad elementi prevalentemente obiettivi, quali la destinazione dell’edificio o le sue particolari condizioni.
68
Il
Condominio Nuovo
L’esecuzione dei crediti vantati dai terzi in
condominio
Rodolfo Cusano
Avvocato
Come abbiamo già precisato nei paragrafi precedenti
l’art. 1123 c.c. disciplina la suddivisione interna delle
spese tra i singoli condòmini, prendendo in esame la
disciplina delle obbligazioni condominiali nei confronti
dei partecipanti al condominio.
L’articolo individua tre distinti criteri di ripartizione che
sono:
- in proporzione al valore della proprietà di ciascun
condòmino se si è in presenza di cose e servizi destinati
a servire indifferentemente tutti i condòmini;
- in proporzione all’uso che ciascun condòmino può
farne se si tratta di cose e servizi destinati a servire i
condòmini in misura diversa;
- in ragione dell’utilità che ciascun gruppo di condòmini riceve da cose e servizi destinate a servire funzionalmente solo una parte dell’edificio.
Essenziale ai fini della individuazione concreta della misura dell’obbligo di pagamento a carico del condòmino
sono le tabelle millesimali, che de precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna sua porzione
spettante in proprietà esclusiva ai singoli condòmini.
Solo in relazione a detto valore proporzionale, generalmente espresso in millesimi, potrà correttamente individuarsi la quota che ciascun singolo condòmino dovrà
corrispondere alla gestione condominiale.
Da ciò una prima conclusione può trarsi e, cioè, che
l’obbligazione di pagamento degli oneri condominiali
trae origine dal diritto di proprietà e non dalla concreta
utilizzazione che il condòmino faccia del servizio medesimo. Diversamente, nel caso di cose o servizi destinati a
servire i condòmini in misura diversa, ove la possibilità
dell’uso sia esclusa, per ragioni strutturali indipendenti
dalla libera scelta del condómino, resta escluso anche
l’onere di contribuzione alle spese di gestione.
Ma, si badi bene, il fatto che il condòmino, potendo
godere della cosa, non la utilizzi, non lo esonera dal
pagamento delle spese. In dottrina e giurisprudenza
è costante il riferimento alla natura reale delle riferite
contribuzioni, derivando il relativo obbligo dal diritto
dominicale sull’immobile.
In quanto obbligationes propter rem esse sono connaturate con il diritto di proprietà e preesistono alla
deliberazione assembleare di approvazione dello stato
di ripartizione, il quale ha mero valore dichiarativo e
non costitutivo del debito di ciascun condòmino nei
confronti del condominio.
Ed infatti la Suprema Corte ha avuto modo di affermare
che l’obbligazione dei condòmini di contribuire alle
spese condominiali non sorge per effetto della delibera dell’assemblea di ripartizione dei contributi, che è
rivolta soltanto a determinare le quote di ciascuno e
che, comunque, non ha valore costitutivo ma soltanto dichiarativo del relativo credito del condominio in
rapporto alla quota di contribuzione dovuta dal singolo
partecipante, delibera che può anche mancare ove esistano le tabelle millesimali, per cui l’individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condòmini
è il risultato di una semplice operazione matematica.
Il proprietario non può sottrarsi all’adempimento
dell’obbligazione su di lui gravante anche quando, nello
stato di ripartizione approvato, non risulti il suo nome
bensì quello del suo dante causa. In quanto obbligazione «propter rem» il nuovo proprietario della porzione
immobiliare è tenuto al pagamento anche delle spese
deliberate precedentemente all’acquisto.
I criteri di ripartizione previsti dall’art. 1123 c.c. possono derogarsi solo a condizione che vi acconsentano tutti
i condòmini.
In definitiva, dunque, il condòmino - per il solo fatto di
essere proprietario esclusivo di una porzione immobiliare e proprietario pro quota delle parti in comune - è
soggetto passivo dell’obbligo di contribuzione alle spese
sostenute relative alle parti in comunione, senza che
possa addurre motivi ostativi derivanti dalla non utilizzazione o anche non utilizzabilità delle stesse.
Questo perché il condòmino non è titolare di un diritto
contrattuale di natura sinallagmatica nei confronti del
condominio, relativamente alla utilizzazione delle parti
comuni, che potrebbe giustificare l’applicazione del
principio inadimplenti non est adimplendum.
Anche se un servizio condominiale non risulta utilizzabile, per il suo mancato funzionamento (si pensi al
riscaldamento centralizzato) il condòmino sarà comunque tenuto a corrispondere, per la sua quota, le spese di
gestione e non sarà titolare di una azione di rivalsa nei
confronti del condominio stesso così come di un’azione di risarcimento del danno che potrà esperire, però,
direttamente nei confronti della ditta installatrice in
quanto, in caso di inerzia dell’amministrazione condominiale, ben può sostituirsi ad essa o adire l’autorità
giudiziaria a norma dell’art. 1105 c.c., dettata in materia di comunione ma applicabile anche al condominio
degli edifici per il rinvio disposto dall’art. 1139 c.c.
A) Le obbligazioni nei confronti dei terzi
Le liti condominiali non si limitano a quelle, sebbene
frequenti, che intercorrono tra condominio e singoli
proprietari delle unità immobiliari ma possono intervenire anche tra l’ente condominiale e terzi, i quali
interagiscano con il primo mediante rapporti di tipo
contrattuale o extracontrattuale.
69
Il
Condominio Nuovo
Nell’ambito delle obbligazioni nascenti da contratto
assumono particolare rilevanza quelle derivanti dal
rapporto di lavoro con il custode dello stabile, il quale
è lavoratore subordinato alle dipendenze del condominio. Ma il condominio è anche titolare di obbligazioni
nei confronti del conduttore del locale di proprietà
condominiale, essendo tenuto al rispetto delle norme
dettate in materia di locazione; ovvero dell’impresa di
pulizia con la quale ha concluso un contratto, nel qual
caso saranno applicabili le norme relative al contratto
di appalto; dell’impresa che fornisce l’energia elettrica
al fabbricato, ed allora saranno da applicare le regole
relative alla fornitura di servizi; dell’impresa che abbia
acquisito il diritto di posizionare alla sommità dell’edificio antenne per i servizi di telefonia mobile ovvero di
installare sulla facciata cartelloni pubblicitari.
Parimenti in capo al condominio possono nascere
obbligazioni risarcitorie derivanti da rapporti extracontrattuali. Esse, più frequentemente, deriveranno dai
danni provocati dalle parti comuni a terzi per la caduta
di massi e calcinacci e per la presenza, nell’ambito delle
zone condominiali, di insidie e trabocchetti.
Altre ipotesi di interazione con terzi rispetto al condominio sono quelle possibili tra due fabbricati, che
abbiano in comune il muro di confine o che siano stati
costruiti in aderenza o, ancora, che abbiano in comune
aree antistanti.
Terzi sono anche gli enti territoriali ed eventuali liti
potranno derivare dallo sprofondamento della strada,
che provochi danni all’edificio in condominio, dalla
interruzione dei servizi, dal corretto allacciamento alle
fognature, dai lavori di ristrutturazione dell’edificio.
In tutti i casi sopra evidenziati, il condominio assumerà
la veste di soggetto autonomo, nell’ambito della controversia, rispetto ai singoli condòmini e sarà rappresentato
dal suo amministratore.
Gli esiti del giudizio impegneranno tutti i condòmini,
fatti salvi gli effetti del dissenso alle liti, di cui all’art.
1132 c.c., e della ripartizione interna in base alle tabelle
millesimali.
Una pur breve elencazione, benché senza esaustività,
aiuterà a meglio comprendere gli infiniti casi che nella
realtà quotidiana possono accadere.
Liti tra condòmini di fabbricati confinanti:
- il muro di confine;
- aree antistanti comuni – regolamento della comunione.
Liti tra condominio ed enti territoriali:
- sprofondamento della strada;
- interruzione dei servizi;
- allacciamento alle fognature;
- lavori di ristrutturazione del fabbricato.
Liti tra condominio e terzi (rapporti contrattuali):
- il portiere;
- il conduttore di locale condominiale;
- installazione di antenne per telefonia;
- installazione di cartelloni pubblicitari;
- l’impresa di pulizia;
- l’impresa per la fornitura dell’energia elettrica.
Liti tra condominio e terzi (rapporti extracontrattuali):
- caduta massi e calcinacci;
- insidie e trabocchetti;
- l’ascensore.
Il presupposto della nascita dell’obbligazione il più delle
volte fonda sulla considerazione che l’amministratore di
condominio esercita un mandato con rappresentanza.
70
Il
Per tale motivo il condominio è considerato come un
unicum, cioè una parte complessa considerata in modo
unitario. Conseguentemente gli effetti dei contratti
stipulati dall’amministratore si riverberano direttamente nella sfera giuridica dei rappresentati. La mancata
previsione di un patrimonio autonomo, tra l’altro non
permette altra classificazione. In realtà, invece, potrebbe
accadere che il condominio abbia costituito un fondo
speciale, ad esempio, in materia di lavori straordinari o
fondo cassa per la manutenzione ordinaria. La costituzione di detti fondi potrebbe far pensare ad una esclusione della responsabilità diretta dei singoli condòmini,
a meno di un’azione surrogatoria del terzo nei confronti
dell’amministratore, rimasto inerte al suo dovere. Invero, ciò non è. Infatti, in primo luogo, bisogna precisare
che detto fondo non libera affatto i condòmini, i quali
in virtù del mandato con rappresentanza hanno la
responsabilità di rispondere con tutto il loro patrimonio
alle obbligazioni contratte dall’amministratore. Inoltre,
il fondo ordinario o speciale non è che viene attribuito
ad un soggetto diverso, né sottoposto ad alcuna misura
di conservazione a favore dei creditori. Non è possibile
pertanto estendere le disposizioni, di cui agli artt. 2267
e 2268 del c.c., sulla preventiva escussione del patrimonio sociale, per cui, in caso di esecuzione forzata di un
creditore, è del tutto irrilevante l’esistenza o meno di un
fondo comune.
Per cui, ci si potrebbe chiedere se bisogna rispettare il
dettato di cui all’art. 1123 e seguenti del c.c., relativi
alla ripartizione delle spese assunto come presupposto
pacifico che per i debiti contratti dall’amministratore vi
è la responsabilità di tutti i partecipanti al condominio.
In altri termini se tale ripartizione ha una mera rilevanza interna oppure può essere opposto anche al creditore.
Questo problema è la conseguenza del nuovo indirizzo
della Suprema Corte di cui alla recente sentenza dell’8
aprile 2008, n. 9148.
Sul punto la Suprema Corte non ha avuto sempre lo
stesso indirizzo, in un primo momento (10) aveva,
infatti, sostenuto che ognuno dei condòmini è tenuto
al pagamento pro quota dei contributi in base allo stato
di ripartizione approvato dall’assemblea, prendendo ad
esame il caso del condòmino subentrante nelle ragioni
di altro condòmino ex art. 63 disp. att. c.c. in caso di
vendita dell’immobile condominiale. Subitaneamente
ed a distanza di soli cinque anni da questa pronuncia
la stessa Corte di Cassazione ebbe a ritenere (11) non
esonerato dagli effetti della costituzione in mora un
condòmino che pure aveva fatto offerta formale di
pagamento al terzo creditore, però della sola sua quota
di partecipazione alla spesa. E tale indirizzo è stato poi
seguito per lungo tempo.
Nel 1996 (12), in un caso riguardante la richiesta di un
ex amministratore di somme anticipate nel corso della
gestione, la Cassazione ebbe a cambiare nuovamente il
suo indirizzo ed a ritenere che di fronte alla possibilità
di chiedere l’intero credito in capo all’amministratore
sussistesse nei confronti dei singoli condòmini solo la
possibilità di chiedere il pagamento pro quota.
Ritornando ancora sullo stesso aspetto nel 2001 (13)
Condominio Nuovo
la Corte ebbe a sancire che in caso di costituzione di
un fondo cassa per sopperire all’inadempimento di un
condòmino moroso, esso serviva ad evitare più gravi
danni derivanti ai condòmini tutti «esposti dal vincolo
di solidarietà passiva operante all’esterno, alle azioni dei
terzi». Per cui questo recente indirizzo durava appunto dal 2001 ed venuto a cessare con la sentenza resa a
Sezioni Unite dell’8 aprile 2008, n. 9121 di cui meglio
si dirà nel seguente paragrafo.
B) L’esecuzione dei crediti vantati dai terzi nei confronti del condominio va effettuata nei confronti dei
singoli condòmini per quote
È venuta meno la solidarietà fino ad oggi principio
pacifico, tra i singoli condòmini in materia di debiti
condominiali nei confronti di terzi estranei al condominio. Lo ha affermato la Corte di Cassazione a Sezioni
Unite con la sentenza dell’8 aprile 2008, n. 9148. La
questione di diritto, che la Suprema Corte doveva risolvere per decidere la controversia, riguardava la natura
delle obbligazioni dei condòmini.
Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, la responsabilità dei singoli partecipanti per le
obbligazioni assunte dal «condominio» verso i terzi
aveva natura solidale, avuto riguardo al principio generale stabilito dall’art. 1294 c.c. per l’ipotesi in cui più
soggetti siano obbligati per la medesima prestazione:
principio non derogato dall’art. 1123 c.c., che si limita
a ripartire gli oneri all’interno del condominio (14).
Per l’indirizzo (precedente) decisamente minoritario,
invece, la responsabilità dei condòmini già era retta dal
criterio dalla parziarietà: in proporzione alle rispettive
quote, ai singoli partecipanti si imputano le obbligazioni assunte nell’interesse del «condominio». Ad oggi,
le obbligazioni dei condòmini (così recita la sentenza
9148/2008) sono regolate da criteri consimili a quelli
dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni
ereditarie, secondo cui al pagamento dei debiti ereditari
i coeredi concorrono in proporzione alle loro quote e
l’obbligazione si ripartisce tra gli eredi in proporzione
alle quote ereditarie (15). Nei vari passaggi di questa
sentenza vi è un’altra importante presa di posizione:
quella sulla natura stessa del condominio che non è più
considerato un ente di gestione ma una organizzazione
pluralistica dove l’amministratore rappresenta direttamente i partecipanti. Testualmente la sentenza riferisce:
«che la solidarietà non possa ricondursi alla asserita
unitarietà del gruppo, in quanto il condominio non
raffigura un “ente di gestione”, ma una organizzazione
pluralistica e l’amministratore rappresenta immediatamente i singoli partecipanti, nei limiti del mandato
conferito secondo le quote di ciascuno».
La forza dirompente della sentenza 9148/2008 si ha
però quando afferma la natura non più solidaristica
dei debiti contratti dall’amministratore costringendo il
creditore a molteplici azioni esecutive in base alle quote
di ognuno. Il contratto, stipulato dall’amministratore
rappresentante, in nome e nell’interesse dei condòmini
71
Il
Condominio Nuovo
rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati.
Conseguita nel processo la condanna dell’amministratore, quale rappresentante dei condòmini, il creditore
può e deve procedere all’esecuzione individualmente nei
confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno.
La considerazione fonda sul fatto che si è vero che la
solidarietà avvantaggerebbe il creditore, ma egli può
porre rimedio in quanto, contrattando con l’amministratore del condominio, conosce la situazione della
parte debitrice e può cautelarsi in vari modi (si pensi
ad esempio ad una fideiussione); ma, per la Suprema
Corte, appare preferibile il criterio della parziarietà, che
non costringe i debitori ad anticipare somme a volte
rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata
unilateralmente dal creditore. Allo stesso tempo, non
si riscontrano ragioni di opportunità per posticipare la
ripartizione del debito tra i condòmini al tempo della
rivalsa, piuttosto che attuarla al momento dell’adempimento.
Sul punto occorre considerare che è pur vero che l’intento della Corte è stato quello di risolvere un contrasto
di giurisprudenza nel migliore modo possibile. Ma
è altrettanto vero che ora i creditori hanno di fronte
molti problemi da risolvere per potere recuperare i loro
crediti. In primo luogo la conoscenza effettiva delle
generalità e della residenza dei condòmini. Ma problema ancora più sentito è quello appunto del riparto delle
spese tra gli stessi. In mancanza di un criterio di riparto
già effettuato dall’amministratore e trasmesso al creditore, deve questo ultimo provvedere a redigerlo? E qualora
lo facesse esso sarebbe valido ? Ovvero il creditore deve
iniziare un altro giudizio di accertamento nei confronti
del condominio per la determinazione delle quote a carico di ognuno dei partecipanti ? Ed è sufficiente citare
in giudizio solo il condominio o invece deve citare in
giudizio tutti i condomini?
Tutti questi interrogativi ha posto la sentenza in esame.
Infatti, la solidarietà passiva tende a favorire il creditore
nella fase di attuazione del diritto. Essa è sancita dall’art.
1294 c.c. in via di presunzione in caso di pluralità di
soggetti passivi se non è diversamente disposto dal
titolo o dalla legge. Per cui nel condominio era ritenuto
possibile agire per l’intero nei confronti di un singolo condomino, che poi a sua volta con una azione di
regresso recuperava quanto anticipato agendo pro quota
nei confronti degli altri condomini. Ora invece ( e per il
passato una corrente minoritaria) la Suprema Corte ha
individuato nell’esigenza che l’istituto della solidarietà
richiede non solo la sussistenza di una pluralità di debitori e di una identica causa dell’obbligazione, ma anche
la sussistenza della indivisibilità dell’obbligazione, e che
in mancanza di questa prevale la parziarietà della stessa.
Tale ragionamento trova ancora più conferma nel fatto
che in condominio oltre che all’art. 1294 c.c. occorre
avere riguardo all’art. 1123 c.c. il quale ( per tali sostenitori) nulla dice in ordine alla sua applicazione solo ai
rapporti interni tra i condomini.. Insomma, l’analogia
con le disposizioni di cui all’art. 752 c.c. che dispone la
parziarità delle obbligazioni tra i coeredi, è fatta con le
disposizioni di cui agli art. 1118 e 1123 c.c. In quanto
anche nel condominio come tra i coeredi, vi sarebbe un
collegamento immediato tra le obbligazioni e le quote
stando al disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. poiché
anche nel condominio degli edifici la misura dell’appartenenza di ciascuno è determinata dalla legge o dal
titolo in proporzione alle quote (art. 1118 c.c.) ovvero è
distribuito in concorso alle spese (1123 c.c.) .
Alcuni su tale scia hanno anche sostenuto che laddove
vi fosse sentenza di condanna del condominio genericamente inteso essa, in caso di esecuzione nei confronti
dei singoli condomini, mancando del quantum debeatur potrebbe essere opposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c.
in quanto trattasi di titolo che nei propri confronti non
è liquido (Cass. 05/05/1966 n. 1139).
In verità oltre agli innumerevoli problemi sollevati
dall’esaminata sentenza vi è da dire che essa non regge
di fronte ad una semplice osservazione: l’art. 1294 c.c.
determina una presunzione di responsabilità solidale in
caso di pluralità di soggetti obbligati, se non è diversamente disposto dal titolo o dalla legge, ed a sommesso
avviso di chi scrive, non pare che tale disposto possa
ritrovarsi attraverso un’opera di interpretazione sistematica degli articoli 1118 e 1123 c.c. dettati per tutta
altra disciplina che per molti suoi versi applica principi
propri. Insomma solo con una espressa disposizione che
non vi è mai stata potremmo ritenere superato il principio di responsabilità.
Chiaramente, il creditore deve tener presente l’istituto
del condominio parziario in quanto il condomino non
proprietario può instaurare un giudizio di accertamento
negativo anche a seguito di sentenza di condanna del
condominio. “Sul rilievo che il condominio parziale non
esige un fatto o un atto costitutivo a sé, ma insorge ope legis
in virtù della situazione materiale o funzionale giuridicamente rilevante; e che, mentre la rappresentanza attiva
dell’amministratore coincide con la sfera delle sue attribuzioni, tale limitazione non sussiste per la rappresentanza
passiva, potendo egli” essere convenuto in giudizio per
qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio
“ (art. 1131, 2°comma, c.c.), per cui la vocatio in ius del
Condominio attraverso la chiamata in causa dell’amministratore sussiste anche quando le parti sono comuni soltanto
ad alcuni condomini, questa Corte (Cass, 21.1.2000 n.
651) ha affermato che, in tema di condominio negli edifici, con riguardo alle controversie attinenti a cose, impianti
o servizi appartenenti, per legge o per titolo, soltanto ad
alcuni dei proprietari dei piani o degli appartamenti siti
nell’edificio (cd. “condominio parziale”) sussiste la legittimazione passiva in capo all’amministratore dell’intero
condominio, quale unico soggetto fornito, ai sensi dell’art.
1131 c.c., di rappresentanza processuale in ordine a
qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio.
Da ciò consegue che, qualora l’amministratore dell’intero
Condominio sia stato convenuto in giudizio per controversia riguardante porzioni d’immobile appartenenti soltanto
ad alcuni condomini, gli effetti della sentenza pronunciata
nei suoi confronti rimangono ristretti, per quanto riguarda
l’ambito dei rapporti interni, ai soli condomini interessati.”
72
Il
Condominio Nuovo
Permalosità e sucettibilità
BENESSERE
IN CONDOMINIO
Giovanni Del Mastro
Psicoterapeuta
Dalla mia esperienza ventennale di analista ho potuto
constatare che molte persone soffrono o perché sono
troppo suscettibili o sono troppo permalosi per cui ho
ritenuto opportuno parlarvi di questi due argomenti
correlati che sono alla base di numerosi conflitti nella
relazione con se stessi e con gli altri.
Il termine suscettibile ha a che vedere con la sensibilità.
La vera sensibilità è una facoltà dell’essere vivente, che
permette di accedere a un mondo sempre più sottile per
raccogliere quanti più dati di realtà che si presentano
sotto forma di sollecitazioni o informazioni.
Il dizionario della lingua italiana definisce la suscettibilità come: - “di soggetto capace di ricevere in sé gli
effetti di un’azione che tende a modificarlo”-.
Il termine ci perviene dal latino susceptibilem da
susceptus participio passato di suscipere – ricevere
- che vuol dire: “capace di prendere qualcosa” composto
da sub sotto e capere prendere.
In senso generico il termine suscettibile misura la
capacità di un corpo di un essere vivente, di reagire
alle sollecitazioni del mondo che tende a modificarlo
Ad esempio: una pianta è sensibile alla temperatura
esterna; un progetto, un pensiero, un programma può
essere suscettibile di cambiamento, che vuol dire che
non è immutabile.
Quando è riferito a una persona, si tratta di un aggettivo che mette in evidenza la sensibilità della persona
ad avvertire dei cambiamenti (attenti agli stimoli esterni per meglio adattarsi e reagire). Quando questa sensibilità è eccessiva o è al di sotto di una certa soglia, la
stessa sensibilità assume un ruolo di debolezza. Cioè il
soggetto reagisce eccessivamente a qualunque sollecitazione esterna caricandola di significato anche quando
non necessita, oppure tende a dare poca importanza ad
una stimolazione portatrice di significato.
Il termine in sé non è negativo perché dipende da
quanta sensibilità ha sviluppato il soggetto alle sollecitazioni del mondo esterno, è fisiologico: un bambino che non ama i rapidi cambiamenti alle continue
sollecitazioni, risponde con fastidio. Diventa abnorme
nel caso di reazioni spropositate, sia in difetto che in
eccesso. Ad esempio: Cyrano de Bergerac non era
permaloso era solo suscettibile per quanto riguarda il
menzionare una certa parola (quale appendice del viso,
il naso) di cui i cadetti di Guascogna non pronunciavano mai il nome in sua presenza.
1. Per quanto riguarda la permalosità il termine ha
origine dal dal latino pre-malus: prendere ogni cosa in
modo eccessivo e offendersi facilmente.
Il grande dizionario della lingua italiana ed. UTET
così recita: “chi ha facile tendenza a indispettirsi,
irritarsi, risentirsi col prossimo, in maniera per lo più
sproporzionata, ai fatti, alle persone alle circostanze”.
Ancora: “Detto di una persona facile a offendersi a
risentirsi eccessivamente, sensibile a parole o atti altrui
che sembrino comportare un giudizio negativo nei suoi
confronti, sospetti cattiverie dietro ogni parola o gesto”.
Permalosi o semplicemente imperfetti?
Nessuno è perfetto ma, chi tende a sentirsi immancabilmente ferito e mortificato dalle critiche altrui,
sembra aver difficoltà a ricordarsene. Essere permalosi
rivela in qualche modo la difficoltà a fare i conti con
i propri difetti ed a ridimensionare il peso dei propri
errori. Essere permaloso, in altre parole, attiene molto
di più a se stessi che agli altri: siamo noi per primi che,
inconsapevolmente, sembriamo attribuire un giudizio
sul nostro comportamento ed a interpretare le critiche
altrui di conseguenza.
Il soggetto permaloso quando si accorge di aver
commesso un errore o ferito o offeso qualcuno, non
riesce ad ammetterlo, a chiedere scusa, a mettersi in
discussione. Anzi, difende con forza il suo operato a
costo di peggiorare la situazione, pena l’allontanamento degli altri.
Insomma, il permaloso si offende facilmente perché
crede di essere giudicato negativamente dagli altri,
assumendo un comportamento aggressivo infantile.
Nella permalosità, il soggetto si sente al centro dell’universo, ritiene di non essere mai preso sufficientemente in considerazione, perciò si sente frustrato, ferito e
diventa aggressivo, evidenziando degli aspetti dell’essere umano non propriamente maturi.
Il permaloso è abituato a vedere l’altro come nemi-
73
Il
Condominio Nuovo
co. Per tale motivo sta sempre sulla difensiva perché,
dall’ambiente di provenienza è stato sottoposto a
continue vessazioni, giudizi di condanna, epiteti vari,
ecc. L’ambiente è stato sempre ostile e poco accogliente nei suoi riguardi per cui è abituato a difendersi
continuamente a diffidare di tutto e di chiunque.
Ricordiamoci che il nostro modus di reagire agli
eventi, dipende sempre da quello che abbiamo imparato, sia per averlo subito sia per averlo osservato negli altri.
Il permaloso in genere si difende dalla sua stessa
insicurezza per cui è molto suscettibile alle critiche
esterne. Il soggetto teme che mostrare debolezza o
ammettendo l’errore sia considerato “di minor valore”.
Questo comportamento reattivo impedisce al soggetto
di essere aperto a nuove conoscenze, ad allargare il suo
campo di consapevolezza, a crescere e sviluppare correttamente la sua personalità. Il permaloso si trincera
sempre negando l’errore, lo esorcizza.
Noi sappiamo che il processo di crescita e di apprendimento di un bambino, di un adolescente, di un
adulto, avviene all’interno di un processo dinamico
per prova ed errore. L’essere umano ha il diritto di
sbagliare anche perché nessuno nasce con le conoscenze già confezionate e queste vanno apprese proprio
attraverso esperienze per prove ed errori, identificazioni, osservazioni. E’ proprio attraverso gli errori che
s’impara e si creano quelle conoscenze verificate, che
diventano sapere e che danno sicurezza interiore. Con
la permalosità, invece, il soggetto nega all’errore il ruolo fondamentale di crescita personale. Quindi, l’errore
è umano perseverare nell’errore è sbagliato ed è indice
di mancata crescita.
Noi sappiamo che da sempre, lo sbaglio è alla base di
ogni processo di crescita, di conoscenza. La medicina
o qualunque altra scienza non avrebbe fatto un solo
passo in avanti senza molteplici prove ed errori. Gli
sbagli sono sempre un’opportunità alchemica, ti fanno
capire: - cosa non sei - cosa non ti appartiene - come
non va fatto. Ti aiutano a ritrovare e metterti nelle
condizioni di un essere umano, un essere umano fallibile che tende alla perfezione grazie agli errori commessi lungo il percorso della vita.
Se, invece, noi guardiamo agli errori come azioni da
negare, da difenderci agli occhi degli altri ad ogni costo, per paura di perdere la propria autostima cercando
di mantenere una propria immagine di sé, faticosamente prodotta, non possiamo beneficiare del valore
dello sbaglio, (ci fa crescere). Anzi, ci allontaniamo
sempre più da noi stessi e dagli altri, arroccandoci
in una falsa certezza, impedendo la propria crescita,
restringendo il proprio campo di consapevolezza con
il conseguente aumento della difficoltà nella relazione
con gli altri. In questi casi il rischio è la solitudine.
Per uscire da questa trappola rigida mentale, il passo è breve e semplice: dobbiamo ricordarci che ogni
messaggio negativo riguarda la singola azione e non
la globalità della propria persona. Inoltre, bisogna lasciarsi andare considerando che noi siamo esseri umani
fallibili e l’errore è una condizione umana di crescita e
non ci toglie niente, anzi ci arricchisce sempre di più
avvicinandoci agli altri esseri umani come noi.
Come?
Basta ammettere lo sbaglio così si cresce e ci si concilia
con il mondo che ci circonda. Quest’atteggiamento
mentale ci porta ad essere noi stessi, senza avere paura,
accettandoci per quello che siamo con i propri limiti
perché esseri umani fallibili.
Come facciamo a riconoscerci, all’interno di un
contesto relazionale, se stiamo reagendo con suscettibilità o permalosità o tutti e due?
Se ci sono sollecitazioni che tendono a modificare un
nostro programma, ovvero se siamo coinvolti in certe
attività dove non c’è stata una preventiva richiesta di
essere coinvolti e ci sentiamo costretti a modificare un
nostro programma, chiaramente questo ci dà fastidio.
Il maggior o minor fastidio dipende dalla suscettibilità a cambiare i nostri programmi.
Fintanto che parliamo di fastidio, la reazione è spiegabile dal momento in cui c’è la possibilità di dover
rivedere tutte le riflessioni operate intorno a quel
progetto o programma - un sacco di lavoro che rischia
di dovere andare in fumo! Quando invece, passiamo
all’offesa, cioè ci sentiamo offesi, allora la cosa non va
più bene perché l’offesa consiste nell’accusare il colpo
che qualcuno ci ha sferrato, procurandoci un danno
d’immagine (permalosità). Quindi non è tanto cosa ci
dicono a innervosirci, ma come reagiamo di fronte alla
provocazione. Nel momento in cui ci viene fatto un
addebito sul nostro modus operandi, ci crea scombussolamento. Questo è una prova evidente del fatto che,
in fondo, noi non siamo convinti del nostro operato,
per cui temiamo che, in quello che ci dicono ci sia un
fondo di verità.
Il nostro modo di reagire agli eventi, dipende sempre da
quello che abbiamo imparato… sia per aver subito, sia per
averlo osservato negli altri.
74
Il
Se, invece, le scelte (lavorative o di vita in genere)
sono il risultato di convincimenti solidi, allora nessuna
critica può ferire e quindi, offenderci. Consideriamo,
inoltre, che quello che dicano gli altri, non sempre è
da tenere molto in considerazione, perché non sappiamo se è il risultato di pensieri ponderati e meditati
o parole profferite con leggerezza o “a cape e mbrell”,
come dicono a Napoli.
E’ permaloso chi s’infastidisce perché teme, senza
averne le prove, che qualcuno lo stia giudicando male.
L’offendersi facilmente, invece, deriva dall’aver subito
il colpo, in maniera eccessiva: è una questione di estrema suscettibilità con permalosità.
Quando reagiamo offendendoci, di fronte ad ogni provocazione, sprechiamo solo un sacco di tempo per dare
credito ai pensieri di chicchessia. Questo dimostra che
il soggetto ha un cattivo sviluppo della propria autostima. Quando invece, la nostra personalità è armonica
con una forte autostima, le nostre idee progettuali
saranno troppo importanti perché possano deviare dal
loro percorso e battibeccare con il primo venuto.
Vediamo adesso come fare per capire e rispondere
correttamente alle provocazioni altrui e diventare più
Uomini e smettere di fare gli adolescenti-bambini.
Dopo che qualcuno ci offende, proviamo ad analizzare
i motivi dell’offesa. Se visualizzando mentalmente gli
eventi, scopriamo che abbiamo torto, non ha senso
ribellarsi all’altro e poi reprimere la ribellione, basta chiedere scusa e finisce lì. Nel caso in cui i fatti
mostrano che non dipende da noi, ma che è soltanto
una motivazione di aggressività da parte dell’altro,
bisogna fare delle valutazioni in merito a questa
persona: quanto t’interessa? Quanto ti è utile? Se la
persona t’interessa, puoi temporaneamente, “sospendere” il fastidio (non reprimerlo) per analizzare (in un
secondo momento), insieme all’atra persona, l’evento
frustrante. Se invece, la persona non t’interessa, puoi
decidere di non prendere in considerazione la provocazione, oppure, reagire anche violentemente, secondo la
Condominio Nuovo
capacità di metabolizzazione energetica di quel preciso
momento e dell’eventuale pericolosità del personaggio
che ti trovi di fronte.
Comunque sia, non conviene mai reprimere la ribellione interna a una provocazione o giudizio negativo.
La repressione infatti, prevede la creazione di una capsula contenitore di fastidi e successivamente, l’incapsulamento del conflitto represso con conseguente deposito nel mondo inconsapevole - in memoria- (come una
mina pronta a esplodere). Secondo il primo principio
della termodinamica: “ ad ogni azione corrisponde una
reazione uguale e contraria” – la legge (logica) si ribella
di fronte alla necessità di dover reprimere qualcosa nel
proprio mondo interno. Quando succede un evento
negativo è invece necessario chiedere chiarimenti (nel
momento in cui l’altro è disponibile) alla persona che
ci ha prodotto l’evento frustrante. Così facendo la
logica si tranquillizza in attesa di maggiori informazioni circa le motivazioni che hanno portato all’evento
frustrante. Ovviamente, nella conversazione chiarificatrice, deve essere utilizzata l’energia neutrergica (il
pensiero al secondo-terzo grado della riflessione con
presenza di energia affettiva e aggressiva positiva). Se
reprimiamo ogni tanto (per esigenze concernenti il
mondo esterno), questo evento produrrà danni relativi; se il reprimersi diventa un’abitudine, tale condizione determinerà un blocco della logica innescando una
cascata di disturbi.
Ricapitolando
Vediamo quali sono i punti critici che impediscono il
superamento della propria permalosità:
• Temi che mostrando una debolezza, tu venga considerato “di minor valore”;
• Neghi all’errore il suo ruolo fondamentale nella
crescita.
Quali sono le conseguenze?
• Ti allontani sempre di più da te stesso e dagli altri
rendendoti antipatico, presuntuoso, scorbutico.
• Ti senti solo arroccato nella tua falsa certezza.
• Non evolvi imparando dai tuoi errori (che non
ammetti).
Rimedi da adottare
• Lasciati andare: guarda i tuoi errori, conoscili.
• Prova a chiedere scusa e osserva cosa succede agli
altri, ti sorprenderà.
Cosa ottieni?
• Gli altri ti saranno grati perché si riconosceranno
in te e si apriranno a nuove e inaspettate possibilità
nella relazione, sviluppando così la propria personalità
in maniera armonica.
Chi semina raccoglie sempre quello che ha seminato, per
la legge di risonanza. (Led Ortsam)
75
Il
Condominio Nuovo
Il Tribunale di Castel Capuano
Storie
IN CONDOMINIO
Tratto dal libro “Volevo essere avvocato” di Rodolfo Cusano e Giovanni Del
Mastro
Rodolfo Cusano
Avvocato
Fu la prima volta che misi piede a Castel Capuano, così
gli avvocati omettendo il sostantivo Tribunale chiamavano quel luogo di giustizia, che rimasi affascinato
da quella turbe di persone che correvano, parlavano
incrociandosi e continuavano a correre. Sembrava di
essere ad un mercato. I colori e l’aria primaverile fecero
il resto. Fui folgorato sulla via di Damasco, si dice così.
Forse fu in quel momento che decisi che avrei fatto
l’avvocato. Ma andiamo con ordine.
L’atrio di quell’imponente Castello è vigilato dalla
Polizia che, si può dire allegramente, più che operare
un vero e proprio controllo, salutava gli avvocati che
vi passavano. Probabilmente erano lì da tanto di quel
tempo dal riconoscerli per buona parte. Siamo nel 1981
ed all’epoca gli avvocati non erano tanti quanto quelli
di oggi. Tra di loro vi era una conoscenza diretta. Si salutavano tutti con un fare simpatico e come dire veloce.
Anche con il solo segno della testa. Tanto per dire: si ti
ho visto ma adesso proprio non posso. Ho fretta.
Il carattere dominante che mi colpì fu la fretta. Più
che la fretta il loro passo veloce. Era come se una volta
entrati lì dentro, dopo il caffè ai baretti di fronte, baretti
perché era quasi impossibile entrarvi per la loro angustia, dovevano cambiare il passo. Uno più veloce forse
a dimostrazione del loro maggiore impegno? Oppure
perché avevano più cause nella stessa giornata e quindi
dovevano essere contemporaneamente presenti davanti
a più giudici? Sta di fatto che correvano quasi trascinandosi le loro borse che sembravano, tanta era la velocità,
che li rincorressero.
Ora tutto questo non è più. Ci hanno trasferiti, o meglio deportati, nel nuovo Palazzo di giustizia al Centro
Direzionale con le cancellerie e le aule di udienza su
ben 30 piani e gli avvocati non corrono più. Fanno solo
file interminabili davanti agli ascensori. Qualcuno si è
anche sentito male lì dentro. E’ finita un’epoca.
Fu proprio un giorno di tanti anni fa che, mentre entravo in Castel Capuano, mi si piazzarono davanti due
occhi verdi. Tutto il resto prese un contorno sfocato,
solo quegli occhi. Appartenevano ad una collega che
dire bella era dir poco. Tutti i colleghi la guardavano
con ammirazione per il suo chiamiamolo stile. Delicata,
alta, e poi con quegli occhi. Ma, quel giorno erano tristi
e stanchi. Mi si avvicinò con un fare delicato, in realtà
timoroso. Non di me ma di qualche cosa che presto
avrei conosciuto. Rodolfo, mi disse: posso chiederti una
cosa? Ho da alcuni giorni un problema più grande di
me e non riesco a riposare anche stanotte l’ho passata
così. Ero frastornato. Si era rivolta, tra tanti principi del
foro proprio a me. Ci aveva presentato qualche giorno
prima un comune collega l’avvocato Mario Acquarulo,
un avvocato che come me trattava il settore condominiale e che avevo conosciuto a mezzo un altro avvocato,
l’avvocato Maurizio Bianco oggi consigliere dell’Ordine.
La sua voce aveva un tono dimesso ed io avrei voluto
scambiare con lei parole allegre non meste e tremanti.
Comunque, Le manifestai la mia disponibilità con un:
dimmi subito, non ti preoccupare ho da fare solo degli
adempimenti. Significava che non avevo udienza e
quindi non dovevo correre anch’io da qualche giudice.
Rodolfo, mi è capitato di ricevere un incarico di difesa
in un condominio che ha ad oggetto una richiesta di
risarcimento danni per la caduta dalle scale di uno dei
condomini. Purtroppo, non mi sono costituita nei venti
giorni prima, come prevede il codice di rito e quindi ora
sono decaduta dalla possibilità di operare la chiamata in
causa dell’assicurazione. E adesso come la metto con il
condominio? E’ una vera e propria mia responsabilità.
Gli occhi così belli avevano perso la loro luce ed a me
non parve vero di quella possibilità che mi si parava
davanti di farli di nuovo sorridere.
Immediatamente, mi venne in mente quello che anch’io
alcuni anni prima avevo passato per lo stesso motivo.
Ero stato diversi giorni senza dormire. Poi in un barlume di conoscenza ebbi a pensare di rivolgermi a chi ne
sapeva più di me. Quando mi sono sposato, mia moglie
77
Il
Luisa ebbe a presentarmi i due amici più cari del padre,
pure loro avvocati, che venuto meno il padre l’avv.
Mauro Del Giudice, in sua mancanza la avevano avviata
nei primi passi della professione: l’avv. Salvatore De
Rosa e l’avv. Pasquale Speranza. Chi meglio di loro?
Ed allora di buon mattino, io tremavo per il freddo,
ma era un freddo interno, mi recai a casa dell’avv. De
Rosa. Egli abitava al Vico III S. Benedetto a fianco
dell’omonima chiesa, a Casoria. Mi aspettava, gli avevo
preannunciato la visita con una telefonata. Mi aprì il
portone di ingresso ed entrai con la macchina. Da sopra
alle scale mi disse di salire.
Già per le scale notai le bellissime piante che mi
condussero ad un terrazzo così pieno di verde che non
mi sembrava di stare in città. Segno che qualcuno, la
moglie forse, se ne occupava con amore tutti i giorni.
Mi disse di sedermi vicino al tavolo esterno. Vi era un
bel sole, ma io non ne godevo. L’ansia era trasparente. Embe guagliò, così mi chiamava per la notevole
differenza di età, cosa mai è successo per venire qui a
quest’ora? Avvocato, non ci giro intorno ho combinato
un guaio. Ho lasciato trascorrere il termine dei venti
giorni per costituirmi in un giudizio di risarcimento danni ed adesso non posso più chiamare in causa
l’assicurazione del fabbricato. Un attimo di silenzio che
durò un’eternità e poi un risolino. E per così poco da
quando non dormi? Si vede? Guagliò tu ti devi calmare,
se no l’avvocato non lo puoi fare, a tutto c’è rimedio. Lo
diceva solo per farmi calmare? Avvocà che volete dire?
Guagliò, tu mò sai che fai? Alla prima udienza dici al giudice quello
che è successo e gli chiedi un rinvio
in prosieguo di prima udienza, in
maniera che, entro la data di quella prossima udienza, fai un atto di
citazione a parte, inizi un’altra causa
nei confronti dell’assicurazione. Poi
essendo le cause connesse ne chiedi
la riunione, in maniera da ritornare
ad avere un unico processo.
Lo guardavo stralunato. Era così
semplice? Quasi a convincermi
ulteriormente: vedrai che né il giudice né l’avvocato di
controparte si opporranno. Anzi, l’avvocato ha pure lui
interesse ad avere nel giudizio l’assicurazione, essa assicura un pagamento più certo e veloce. Sei contento, mò
stai più tranquillo? Tranquillo, avvocato io vi faccio un
monumento. Eh si nella mia mente ancora oggi, che non
è più, lui è per me un monumento: di bontà, di sapere,
di quello che volete voi, ma è un monumento.
Immaginate, man mano che gli raccontavo la mia di
storia, l’espressione del viso della collega, anzi, immaginate quegli occhi verdi che venivano fuori dall’abisso in
cui erano sprofondati e ricominciavano ad essere luccicanti, come il mare in pieno sole quasi color smeraldo.
Condominio Nuovo
Cosa dirvi, la collega di cui non faccio il nome, mi
guardava estasiata, come si guarda la Gioconda. Ero
diventato un monumento anch’io. Si teneva discosta
come noi ci teniamo discosti da quelle cose che invece
vogliamo abbracciare, e lo fece in un impeto di riconoscenza. Mi abbracciò e mi sorprese con un bacio sulla
guancia. Se non fossi rimasto impietrito per l’inatteso
gesto, forse avrei ringraziato, ma rimasi in silenzio,
senza dire nulla. Ella non si riaveva dallo stupore. Pensai
bene di salutarla come si fa in quei films dove il buono
fa il buono e basta, e poi il film finisce. E’ così che si fa?
Mentre mi allontanai, invece, il mio pensiero andava
alla nuova amicizia, alla nuova conoscenza di quell’essere desiderato da tutti ma che aveva avvicinato solo me.
Pensai, male, di allontanarmi salutandola, mentre Lei
continuava a guardarmi come se stesse riposando dopo
tanto travagliare. Continuai a
pensarla per diverso tempo, ma
non sto qui a dire il resto che
non è di queste pagine. Certo
è che quegli occhi verdi non li
dimenticherò più.
Cenni storici
E’ obbligatorio un riferimento storico al Tribunale di
Napoli, meglio detto il Tribunale di Porta Capuana,
perché per arrivarci devi necessariamente passare a piedi
o con la macchina sotto Porta Capuana. Quella porta
che si trova in più di uno dei quadri di tutti i pittori
napoletani e non con il mercato che rasenta le mura
della Chiesa di S. Caterina a Formiello.
Proprio di fronte all’ingresso del Tribunale vi è il decumano maggiore e cioè l’attuale Via dei Tribunali.
La costruzione di Castel Capuano è datata 1140 per
volere del re di Sicilia, Guglielmo I, detto il Malo, figlio
di Ruggero il Normanno. Però solo quando il Regno
di Napoli divenne Vicereame di quello di Spagna esso
79
Il
Condominio Nuovo
fu destinato a funzioni di giustizia. Qui, infatti, il viceré
don Pedro de Toledo, nell 1540 riunì tutte le Corti di
Giustizia, sparse per la città:
-il Sacro Regio Consiglio, si occupava delle cause civili e
criminali in ultimo appello;
-la Regia Camera della Sommaria, aveva competenza
finanziaria e fiscale;
- la Gran Corte della Vicaria, situata in un edificio della
Vicaria vecchia a Forcella, era divisa in quattro ruote,
due civili e due criminali;
-il Tribunale della Zecca, nel palazzo di fronte a Sant’Agostino, era addetto all’emanazione del bollo delle unità
di misura;
-il Tribunale della Bagliva, infine, che stava sulle scale
della chiesa di San Paolo, trattava le cause dei danni di
minor rilievo.
Nel 1537 il castello diventò carcere giudiziario per i
nobili. Esso fu chiuso nel 1886, ma fino a novembre
1995, periodo, in cui le sezioni penali lasciarono Castel
Capuano, parte di esse restarono per i detenuti, che
dovevano presenziare ai processi.
La Gran Sala, nota come “Salone dei Busti”, situata al
secondo piano di Castel Capuano, è stata fino al 1807
aula di udienza della Regia Camera della Sommaria.
Essa è chiamata “Salone dei Busti”, perché dal 1882 e
poi durante il Novecento, vi furono collocate le sculture
in marmo a mezzo busto dei rappresentanti dei principali avvocati del foro napoletano da Enrico Pessina al
Filangieri a Enrico De Nicola.
Il Salone dei Busti e le sculture.
La Gran Sala, nota come “Salone dei Busti”, situata al
secondo piano di Castel Capuano, è stata fino al 1807
aula di udienza della Regia Camera della Sommaria,
competente per le controversie giuridiche su diritti e
rendite fiscali.
Nell’Ottocento fu utilizzata dalla Gran Corte Civile,
come Salone della Corte d’Appello.
Essa si chiama “Salone dei Busti”, perché dal 1882 e poi
durante il Novecento vi furono collocate lungo l’intero
perimetro della sala una serie di sculture in marmo a
mezzo busto, rappresentanti i principali avvocati del
foro napoletano.
VOLEVO ESSERE
AVVOCATO
di Rodolfo Cusano
e Giovanni Del Mastro
Le pagine seguenti, non sono altro che fatterelli da leggere con
simpatia, di quel mondo “il condominio” che mi ha accompagnato
e che ancora mi accompagna dandomi tante soddisfazioni.
Inoltre l’idea della collaborazione con lo psicoterapeuta è nata quando
ho scoperto che con i suoi articoli sull’amore, sull’essere umano, sulle
bugie, aveva qualcosa di utile da dire al mondo.
Due percorsi, ecco cosa è questo libro uno sulla natura stessa
dell’uomo, l’altro sulla professione di avvocato.
Rodolfo Cusano
Gruppo Editoriale | Simone
Acquistabile online shop.ilcondominionuovo.it
e in libreria a soli 10,00€
Appuntamenti
Direttore
Responsabile
Pasquale Tignola
• 30 Ottobre 2015 ore 10:00
Sala Conferenze Dipartimento DEMM
Università degli Studi del Sannio
Palazzo De Simone, Piazza Arechi, Benevento
Direttore
Editoriale
Rodolfo Cusano
[email protected]
Convegno di presentazione del “Corso di Alta Formazione per le
amministrazioni comunali”
Editore
LetMeDo S.r.l.
SS Sannitica 87 Km 19,800
81025 Marcianise (CE)
tel 0823/281191
fax 0823/584616
P.Iva 06020906212
Redazione
Centro Tamarìin
SS Sannitica 87 Km 19,800
81025 Marcianise (CE)
tel 0823/281191
fax 0823/584616
[email protected]
Autori
Antonio Crescenzo - Alessandro Auletta
Enzo Rocco - Lucia Gangale
Giovanni Del Mastro - Pietro D’Antò
Autorizzazione al Tribunale di
Santa Maria Capua Vetere n. 820/2013
Progetto Grafico:LetMeDo Srl
Impaginazione: Chiara Taddia_LetMeDo
[email protected]
Stampa: Grafica Metelliana Spa
Il corso, tenuto da docenti universitari, avvocati ed ingegneri esperti nelle problematiche condominiali, si rivolge a diplomati e laureati di qualsiasi disciplina che intendono
specializzarsi nelle materie condominiali, ovvero a chi è già un professionista ma desidera ampliare le proprie competenze ed integrare le proprie attività. Alla fine del corso
verrà rilasciato un attestato di frequenza valido per l’esercizio della professione
ex art. 71 bis Disp. Att. Cc. DM Ministero della Giustizia n°140/2014.
Interveranno al convegno il prof. Giuseppe Marotta, Direttore del Dipartimento
DEMM, il dott. Giovanni Cuomo, Presidente Ordine Dottori Commercialisti di
Benevento, l’avv. Domenico Vessichelli, Vice Presidente dell’Ordine​degli avvocati di
Benevento e il prof. Manlio Lubrano di Scorpaniello.
I relatori del convegno sono l’avv. Rodolfo Cusano, con “L’istituto condominiale e le
nuove opportunità di lavoro”, e il dott. Enzo Rocco che parlerà de “La nuova figura
professionale dell’amministratore di condominio”.
Informazioni e contatti Segreteria Tamarin
tel. 0823 281191
email [email protected]
www.ilcondominionuovo.it
• 13 novembre 2015 ore 9:30
Università del Sannio,
Piazza Arechi Benevento,
Tamarìn Business Center,
Strada Statale 87 Sannitica, Marcianise (CE)
Inizio del “Corso di Alta Formazione per le amministrazioni
comunali”