SOMMARIO n. 5 - 2015 EDITORIALE Rodolfo Cusanopag. 6 DOTTRINA Il Condominio parziario pag. 7 Rodolfo Cusano La multiproprietà A. Auletta pag. 11 Il riparto spese nel supercondominio Enzo Rocco pag. 21 L’obbligo delle trattative precontrattuali in condominio Lucia Gangale pag. 24 GIURISPRUDENZA Recenti sentenze in materia di condominio pag. 39 Pietro D’Antò BUSINESS & NEWS Affitto Casa: Quale conviene? Il Canone libero, il Concordato o la Cedolare secca? pag. 45 Antonio Crescenzo Bonus Ristrutturazione Alberghi Antonio Crescenzo pag. 46 FOCUS IL CONTENZIOSO IN CONDOMINIO E GLI STRUMENTI DEFLATTIVI pag. 47 Il dissenso dalla lite La mediazione in condominio L’impugnativa della delibera solo con citazione La capacità dell’amministratore di stare in giudizio La sostituzione dell’amministratore La legittimazione ad agire del singolo condomino Il ricorso all’assemblea La revoca della delibera viziata La nullità e l’annullabilità delle delibere assembleari La negoziazione assistita L’accertamento tecnico preventivo 4 UTILITA’ I principi di riparto delle spese Rodolfo Cusano pag. 65 L’esecuzione dei crediti vantati dai terzi in condominio Rodolfo Cusano pag. 69 BENESSERE IN CONDOMINIO Permalosità e sucettibilità pag. 73 Giovanni del Mastro STORIE IN CONDOMINIO Il Tribunale di Castel Capuano pag. 77 Rodolfo Cusano Il Condominio Nuovo EDITORIALE Rodolfo Cusano Avvocato Abbiamo doppiato il capo dei due anni dall’entrata in vigore della riforma del condominio. Tutti noi, operatori del settore, ci aspettavamo chissà quali novità. Nulla è accaduto, anzi sembra che i nodi sono ancora aumentati. Mi riferisco a diversi aspetti della vita in condominio: in primo luogo la conflittualità. Essa non è diminuita anzi, si è incrementata. Così non doveva essere, il legislatore ha predisposto tutta una serie di misure definite strumenti deflattivi quali: la mediazione, la negoziazione, il ricorso all’assemblea avverso i provvedimenti dell’amministratore, la revoca della delibera viziata, l’accertamento tecnico preventivo. A tutti questi istituti abbiamo dedicato il Focus di questo numero, con il palese scopo di diffonderne la conoscenza. Ma per quanto essi hanno potuto e potranno fare, il condominio rimane il luogo dove i comuni cittadini manifestano il loro aspetto peggiore. E’ delle recenti cronache la notizia che addirittura alcune liti hanno comportato la perdita di vite umane. Occorre che tutti, in primis il legislatore, ma anche le associazioni di categoria, gli Enti intermedi, i singoli condomini si facciano portatori di una sola, necessaria esigenza: quella della chiarezza delle norme. Fino a poco tempo fa si poteva ancora sostenere che le liti erano il frutto di una scarsa conoscenza delle regole. Oggi tutti i condomini hanno la piena conoscenza delle regole, il problema è che sono le stesse regole a non essere chiare. Talvolta addirittura portano a risultati contrastanti con gli interessi che si vogliono tutelare. Sto pensando al distacco dal riscaldamento centralizzato. Tale diritto, previsto dalla riforma sia pure condizionato alla presentazione di apposita perizia, risponde alla vecchia esigenza di tutela ambientale. Dico vecchia perché oggi è stato accertato che è meno inquinante la caldaia centralizzata che tante caldaie singole. Non solo, ma qui il problema non è quello del sovradimensionamento dell’impianto, ma quello dei consumi. Il distacco del singolo condomino, comporterà pur sempre una diversa ripartizione degli oneri per il consumo e questi, a prescindere da tutte le perizie tecniche, comporteranno pur sempre per gli altri condomini un aggravio di spesa. E poi, essendo un diritto è sufficiente scrivere all’amministratore di volersi distaccare allegando la perizia perché questo sia costretto a rivedere i riparti delle spese. E se poi l’assemblea non accetta. Cosa deve fare l’amministratore? A sommesso avviso dello scrivente, se salgo su una barca ad un certo costo per il viaggio. Le ipotesi sono due o lo continuo e pago il pattuito oppure scendo. Non posso certo continuare il viaggio e pagare di meno. Meglio avrebbe fatto il legislatore a non consentire affatto il distacco avendo così cura prima dell’ambiente e poi anche dei conflitti in condominio. E cosa dire della personalità giuridica del condominio, che più volte si è affacciata nelle diverse norme della riforma, vedi quando parla del patrimonio del condominio che deve rimanere separato da quello dell’amministratore. Ma quale patrimonio ha il condominio se non ha personalità giuridica? E quanti problemi questa mancata definizione provoca ad esempio nelle esecuzioni operate dai creditori sui conti correnti condominiali? Laddove abbiamo assistito negli ultimi tempi a provvedimenti giudiziali che pur di ammetterle hanno fatto ricorso a definizioni del condominio quale ente di fatto pur sempre dotato di un’autonomia patrimoniale? Non sono d’accordo. Il creditore non può rivalersi sul c/c condominiale, perché esso si compone dei versamenti effettuati anche dai condomini che morosi non sono o che non lo sono per il credito azionato. Il Giudice permettendo un tale agire, sconvolge i principi della contabilità condominiale sostituendosi alla stessa assemblea. Laddove, solo alla stessa è consentito in sede di approvazione del rendiconto giustificare eventuali utilizzi impropri di somme versate per uno scopo e distratte dall’amministratore per esigenze di cassa. Sconvolgimento dei principi contabili, di tutela dei diritti dei condomini ed anche del principio base affermato prima dalla giurisprudenza ed ora anche in sede di riforma che l’amministratore deve comunicare i nominativi dei condomini morosi. E che solo questi potranno essere soggetti ad esecuzione. Altro non è dato. Come avrei voluto che, invece, la riforma avesse dato la stura ad iniziative diverse di raggruppamento di condomini e di amministratori per innescare un circolo di benessere attuando iniziative unitarie al fine di meglio soddisfare le esigenze di abitabilità: (un parco giochi gestito in forma comune, un impianto di produzione di energia verde, un consorzio di acquisto per realizzare anche un risparmio diretto delle famiglie. Sogni, aspettative vane. La speranza è l’ultima a morire ed allora: 1- una nuova riforma; 2- un nuovo modo di vivere in condominio. Lancio il fazzoletto a chi lo vorrà prendere, da questo momento in poi invito tutti i lettori a comunicare ciò che di buono si può fare in condominio. Tutte le idee saranno raccolte ed andranno a formare un decalogo delle iniziative possibili. A presto. Il Direttore editoriale Avv. Rodolfo Cusano 6 Il DOTTRINA Condominio Nuovo Il condominio parziario Rodolfo Cusano Avvocato Si ha un «condominio parziario» nei casi in cui i beni comuni sono destinati all’utilizzazione di solo una parte dei condomini. In questo caso, è necessario stabilire se i beni siano comuni anche ai condomini che di fatto non li utilizzano oppure siano comuni soltanto ai condomini che li utilizzano. Da qui la definizione di «condominio parziale»; la parzialità risiede, in altri termini, nel fatto che solo ad una parte dei condomini spetterebbe la comproprietà di tali beni. Il tema è stato molte volte analizzato più con riguardo a specifici casi che in relazione a principi generali come conferma il seguente rilievo giurisprudenziale secondo cui «Il condominio parziale raffigura una categoria radicata nell’esperienza e riconosciuta dalla giurisprudenza la quale, piuttosto che della definizione del principio, si occupa della definizione dei casi di specie». Tale fattispecie di condominio parziale viene ammessa sulla base della constatazione che: «Indipendentemente dal titolo nell’ambito della più vasta contitolarità si ammette la costituzione per legge dei cosiddetti condomini parziali sul fondamento del collegamento strumentale tra i beni: vale a dire, sulla base della necessità per l’esistenza o per l’uso, ovvero della destinazione all’uso o al servizio di determinate cose, servizi ed impianti limitatamente a vantaggio di talune unità immobiliari», ed esplicitamente: «Per la verità, l’asserto che la proprietà comune appartenga necessariamente a tutti i partecipanti e non si frazioni, neppure in casi eccezionali, se non in virtù del titolo, non è più condiviso e, in effetti, non regge alla critica, fondata sulla ricognizione non aprioristica dei dati positivi». Se questa è la tesi di ammissibilità del condominio parziale non mancano posizioni nettamente contrarie sostenute da notevoli argomenti. In primo luogo si deve constatare che la legge si riferisca esplicitamente a beni comuni a tutti i condomini «se il contrario non risulta dal titolo» ex articolo 1117 c.c. Ciò vuol dire che esiste una sola eccezione per la quale i beni non sono comuni a tutti i condomini: la volontà contraria contenuta nel titolo di acquisto. Questa osservazione potrebbe sembrare sterile se il suo carattere formalistico non fosse convalidato da un ulteriore rilievo pratico e sostanziale: il motivo per cui i beni sono comuni anche a quei condomini che non li utilizzano risiede nel fatto che quei beni partecipano di un edificio unico che è, appunto, il condominio. Il destino comune dei beni viene supportato dall’unità dell’edificio cui partecipano tutti i proprietari in virtù della loro ulteriore qualifica di condomini. In questa prospettiva il criterio di utilizzabilità non viene affatto preso in considerazione dalla legge per determinare la contitolarità dei beni di cui all’articolo 1117 c.c., per cui tali beni sono comuni anche se solo alcuni condomini li utilizzano. In realtà è vero che il citato articolo 1117 c.c. non consente esplicitamente che la proprietà dei beni sia comune solo ad alcuni condomini però, a ben guardare, nemmeno lo vieta espressamente; tale possibilità è ammessa sulla base di una convenzione ma non si può escludere che il criterio dell’utilizzabilità (e quello correlato dell’utilità) non sia richiamato dall’articolo 1117 c.c. (in quanto sottinteso da quella normativa). Il legislatore, allora, non ha esplicitamente dichiarato che il condominio riguarda solo coloro ai quali i beni servono perché tale stato di fatto rappresenta una condizione necessariamente preesistente all’operatività della norma, cioè essa è presupposta sulla base della logica determinazione dei fatti e dei conseguenti effetti che si verificano in questi casi. 7 Il Condominio Nuovo Questo sembra essere il ragionamento che sta alla base dell’opinione per cui: «I presupposti per l’attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero sono destinati all’uso o al servizio, non di tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Pertanto, del diritto soggettivo di condominio formano oggetto soltanto i servizi e gli impianti effettivamente legati alle unità abitative dal collegamento strumentale; vale a dire le sole parti di uso comune che siano necessarie per l’esistenza, ovvero siano destinate all’uso o al servizio di determinati piani o porzioni di piano». La Cassazione determina anche il motivo specifico di tale conclusione: «La disposizione da cui risulta con certezza che le cose, i servizi e gli impianti di uso comune dell’edificio non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti, si rinviene nell’art. 1123, comma terzo, c.c. Secondo questa norma, l’obbligazione di concorrere nelle spese per la conservazione grava soltanto sui condomini, ai quali appartiene la proprietà comune». In realtà se si legge il comma in questione non si evince affatto quanto affermato dalla Cassazione, poiché viene disciplinato il criterio di spesa in base al criterio di utilità, per cui questa norma non disciplina affatto la parzialità della titolarità: ben potrebbe intendersi, la norma in commento, nel senso che le spese sono sopportate dai condomini che ne traggono utilità ma la proprietà resta comunque in capo a tutti i condomini, anche a quelli che non usano i beni in oggetto, così come stabilito dal principio generale di sui all’articolo 1117 c.c. È la stessa Cassazione che risponde sottolineando come il terzo comma dell’art. 1123 «non recepisce il criterio, che si assume valido in generale per la ripartizione delle spese per le parti comuni, secondo cui i contributi si suddividono tra i condomini in ragione dell’utilità. Se così fosse, il precetto sarebbe del tutto superfluo, perché ripeterebbe quello dettato dal capoverso precedente» tanto è vero che: «Posto che l’art. 1123 comma terzo ripartisce il concorso nelle spese per le parti comuni, destinate a servire le unità immobiliari in misura diversa, in proporzione all’uso che ciascuno può farne, dal contributo implicitamente esonera coloro i quali, per ragioni obbiettive afferenti alla struttura o alla destinazione, non utilizzano le parti, che non sono necessarie per l’esistenza o per l’uso, ovvero non sono destinate all’uso o al servizio dei loro piani o porzioni di piano. Se i proprietari delle unità immobiliari, non collegate con determinate parti comuni, fossero esonerati dal concorso nelle spese in virtù del criterio dell’utilità statuito dall’art. 1123 comma secondo c.c., il disposto dell’art. 1123 comma terzo sarebbe del tutto identico a quello fissato nel comma precedente e configurerebbe un duplicato inutile». È questa un’interpretazione che collega funzionalmente le diverse parti di una norma in maniera esemplare per arrivare ad identificare una eadem ratio che sottende l’intero dettato normativo ed il ragionamento viene spiegato in questo modo: « In realtà, l’art. 1123 c.c. nei distinti capoversi contempla ipotesi differenti. Mentre al comma due regola solo ed esclusivamente la ripartizione delle spese per l’uso, al comma tre disciplina la suddivisione delle spese per la conservazione. La ragione della previsione espressa è che le cose, i servizi e gli impianti, essendo collegati materialmente e per la destinazione soltanto con alcune unità immobiliari, appartengono in comune solamente ai proprietari di queste. La disposizione, cioè, contempla l’ipotesi di condominio parziale». 8 Il Come si vede la Cassazione fa discendere esplicitamente dall’articolo 1123 c.c. la previsione legislativa del condominio parziale il quale deve essere ammesso, non solo in base ai ragionamenti effettuati dalla Suprema Corte, ma anche in base al dato incontestabile che dalla legge non risulta alcun esplicito divieto di costituzione del condominio parziale e che il condominio parziale risulta essere una fattispecie che realizza interresi meritevoli di tutela alla stregua dei principi del nostro ordinamento giuridico. A questo punto però non si può fare a meno di richiamare un’ulteriore argomento, su cui si basa la tesi negatrice della possibilità di un condominio parziale, individuato nell’articolo 61 disp.att. c.c. il cui primo comma recita: «Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato». Questa norma è utilizzata per negare la possibilità di un condominio parziale in base ad una articolato ragionamento che si propone di seguito. Il comma primo dell’articolo 61 disp.att. c.c., si sostiene, disciplina l’ipotesi di scioglimento di un condominio quando questo sia costituito da parti ciascuna delle quali abbia le «caratteristiche di edificio autonomo»; allora, se il condominio separato fosse una fattispecie normalmente realizzabile (sulla base del criterio di utilizzabilità dei beni comuni ad alcuni soltanto dei condomini) tale norma non sarebbe necessaria perché se è lecito il condominio parziale deve essere, a maggior ragione, lecito dividere un condominio in due se le due parti sono, in sostanza, edifici autonomi. Il comma primo dell’articolo 61 disp.att. c.c. sarebbe, in altri termini, superfluo e inutile. Tale norma è, invece, utile proprio perché il legislatore non aveva previsto il condominio parziale e perciò lo dichiara espressamente realizzabile nei casi in cui le diverse parti abbiano «caratteristiche di edificio autonomo». Fin qui la tesi negatrice del condominio separato che utilizza la previsione del comma primo dell’articolo 61 disp.att. c.c. con l’intento di dare significato alla sua previsione, ma tale argomento risulta in realtà non ben congegnato e, probabilmente, non del tutto pertinente al tema in oggetto. Il richiamo all’art. 61 disp. att. c.c. in merito a fattispecie di condominio parziale è inopportuno per una serie di rilevi. Condominio Nuovo In primo luogo se si legge anche il comma secondo dell’art. 61 disp. att. c.c. si comprende il meccanismo di funzionamento di tale previsione: lo scioglimento del condominio (propedeutico alla formazione dei diversi condomini limitati ciascuno ad una parte dell’originario edificio) deve essere deliberato dalla maggioranza degli intervenuti all’assemblea (dell’originario unico edificio) che rappresenti al contempo almeno la metà del valore dell’edificio ex articolo 1136 comma secondo c.c. Se tale maggioranza non c’è la norma prevede la decisione dell’autorità giudiziaria in base a domanda di un terzo dei comproprietari della parte di edificio che si vuole distaccare dal resto. Come si vede tale fattispecie risposa sulla volontà dei condomini e, certamente, non si riferisce a tutti di condomini ma ad una parte (benché considerevole) degli stessi. La nascita dei diversi condomini ex articolo 61 disp.att. c.c. presuppone, allora, la volontà (di una parte) dei condomini. Il condominio parziale, invece, trova la sua giustificazione in uno stato di fatto oggettivo (criterio di utilizzazione e di utilizzabilità dei beni a favore soltanto di alcuni condomini) non influenzabile dalla volontà dei condomini: nessun condòmino, ad esempio, potrebbe adire l’autorità giudiziaria per affermare che un bene non collegato (per utilizzazione o utilizzabilità) al proprio appartamento ricada anche nella sua proprietà condominiale. Nel condominio parziale, infatti, i beni sono in condominio ai proprietari degli appartamenti che li utilizzano e tale stato di fatto non può essere modificato dalla volontà dei condomini; il collegamento è in re ipsa e, come detto, nasce automaticamente per cui non c’è neanche bisogno della manifestata volontà delle parti né, tanto meno, di una pronuncia giudiziaria. Differenti risultano quindi le ipotesi del condominio parziale e quella ex articolo 61 disp.att. c.c. in base all’analisi genetica e strutturale delle due fattispecie ma vi sono altre considerazioni in proposito. È certo che l’ipotesi del condominio parziale riposa, da un lato, nella necessità oggettiva della sua esistenza (indipendenza dalla volontà dei condomini e sussistenza sulla base di un oggettivo e verificabile collegamento che sorge tra un bene e gli appartamenti al cui migliore godimento quel bene è destinato) e dall’altro sul fatto che il condominio resta unico ed al suo interno alcuni beni sono in comune soltanto ad alcuni condòmini. In base a questa seconda caratteristica si può affermare, insieme alla Cassazione, che: «Ammesso dunque che, nell’ambito di un edificio diviso in piani o porzioni di piano, possono sussistere proprietà comuni di cose, di impianti e di servizi limitate soltanto ad alcuni con- 9 Il Condominio Nuovo domini, conviene ricordare che il condominio parziale postula che il condominio originario non si frantumi in nuovi, distinti condomini»; questa premessa porta alla conseguente riflessione: «La figura del condominio parziale, invero, si distingue rispetto alla ipotesi della separazione dei condomini disciplinata dagli artt. 61 e 62 disp.att. c.c. almeno per due ragioni: a) per i presupposti di fatto, posto che il condominio parziale sussiste anche quando non è possibile procedere alla separazione, perché la parte dell’edificio - in cui sono situate le cose, gli impianti ed i servizi comuni collegati soltanto con alcune delle unità immobiliari - non presenta le caratteristiche di parte o di edificio autonomo (è il caso delle scale e dell’ascensore, che non servono i locali con accesso soltanto dalla strada); b) per il fatto costitutivo: il condominio parziale insorge «ope legis» ogni qual volta sussistono i presupposti, configurati dalla relazione di accessorio a principale, in concreto tra le singole unità immobiliari e determinate cose, impianti e servizi di uso comune, e non v’è necessità del procedimento di separazione che si svolge in assemblea o davanti all’autorità giudiziaria». Come si vede i precedenti argomenti, sulla base della rilevata differenza tra il condominio parziale ed il condominio separato ex articolo 61 disp.att. c.c., ci fanno concludere che quest’ultima ipotesi non im- plica affatto il disconoscimento della prima poiché esse sono estremamente differenti tra loro. Quanto detto conferma la possibilità di un condominio parziale che esiste solo per alcuni beni e soltanto tra i condomini che tali beni utilizzano; tale condominio parziale non elimina affatto il condominio complessivo il quale continua a sussistere, tranne che per la gestione di quei determinati beni la cui titolarità resta a favore solo di alcuni condomini i quali conseguentemente saranno gli unici a sopportare relative spese. L’esistenza del condominio parziale trova una delle sue più importanti affermazioni in sede di determinazione dei condomini obbligati alla partecipazione alle spese. Infatti, il condòmino che in sede di riparto delle spese fatte dall’amministratore ritenga che esse non lo riguardino in quanto egli non è proprietario del bene per cui si è proceduto alla manutenzione , potrà chiedere al giudice, con una azione di accertamento ex art. 1123 c.c., che venga dichiarata la mancanza dell’obbligo al pagamento delle stesse. Il Condominio Nuovo La multiproprietà Alessandro Auletta Magistrato Origine della multiproprietà, aspetti definitori e modelli La multiproprietà consiste nel godimento turnario, ossia “a turno” in momenti successivi dell’anno, di un bene suscettibile di utilità frazionata e ripetuta nel tempo, da parte di un gruppo di soggetti (c.d. multiproprietari). La figura della multiproprietà trova il proprio antecedente storico nella prassi di inizio Novecento consistente nella riserva, da parte di grossi complessi alberghieri a favore di alcuni soci, del diritto (cedibile) di utilizzare in determinati periodi dell’anno stanze o appartamenti del gruppo a tariffe fortemente ridotte rispetto a quelle applicate ordinariamente. Da questa forma primitiva di godimento turnario di un bene, in cui non è difficile scorgere lo schema del contratto di albergo , si giunge al progressivo sviluppo di una grossa varietà di schemi negoziali, alcuni dei quali caratterizzati dal collegamento tra la qualità di socio e quella di multiproprietario, che diviene una caratteristica invariante del modello (al punto che il diritto di godimento del multiproprietario è incorporato nel titolo rappresentativo della partecipazione sociale); altri, invece, dall’assoluta mancanza di tale collegamento, nel senso che la società costruttrice di un complesso immobiliare aliena, a diversi soggetti, diritti reali sulle unità abitative realizzate: tali diritti danno titolo al godimento delle stesse non già in modo pieno ed esclusivo, quanto piuttosto secondo turni distribuiti nel corso dell’anno, di modo che la situazione giuridica soggettiva di ciascun multiproprietario insiste su una frazione temporale della proprietà dell’immobile. La prassi negoziale conosce, poi, modelli per così dire compositi: in certi casi la società costruttrice, da un lato, aliena frazioni spazio-temporali del bene ai multiproprietari, dall’altro, conserva per sé la proprietà della restante parte della struttura, assicurando ai multiproprietari il godimento di servizi “comuni”; in altre ipotesi, che si connotano per una notevole fungibilità dell’oggetto dell’operazione, il contratto si compendia, essenzialmente, nell’acquisto, da parte del multiproprietario, di un “buono” (ovvero di “punti”) che lo legittima(no) al godimento, normalmente per una settimana all’anno, di un immobile ubicato in uno degli insediamenti turistici gestiti dalla società costruttrice o da altre società ad essa collegate; in altre ancora lo strumento della multiproprietà è utilizzato per realizzare forme di finanziamento, come quando un complesso immobiliare viene realizzato, in parte, attraverso l’apporto dei capitali forniti dei multiproprietari, ed in parte attraverso il credito concesso da un istituto bancario che, per recuperare la somma mutuata, si riserva la proprietà di una determinata quota di frazioni spazio-temporali del bene, appropriandosi dei proventi che derivano dalla locazione delle medesime. Restituito il prestito secondo tale modalità, il diritto dei multiproprietari si estende all’intero complesso immobiliare. Degno di nota anche il modello dei “certificati immobiliari”, diffuso in Italia, ove l’acquirente del bene ha una duplice possibilità: utilizzare il bene nei periodi convenuti ovvero cederne, verso corrispettivo, la disponibilità alla società venditrice. Per quanto ogni tentativo di sistematizzare le numerose e diverse forme di multiproprietà sviluppatesi nella pratica degli affari sia velleitario, vi è concordia nel ritenere che il diverso atteggiarsi dei rapporti tra multiproprietari consente di distinguere tra una multiproprietà immobiliare ed una multiproprietà azionaria, a seconda che l’organizzazione predisposta da questi soggetti per la fruizione del bene ricalchi, rispettivamente, lo schema del condominio (artt. 1117 e ss. c.c.) ovvero la disciplina della società (artt. 2247 e ss. c.c.). D’altro canto, occorre segnalare due interventi normativi, entrambi ispirati dal legislatore europeo, in virtù dei quali è oggi possibile delineare lo statuto regolatorio della multiproprietà: si allude al d.lgs. 9 novembre 1998, n. 427 – attuativo della dir. 94/47 – in tema di “contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili”, il cui testo è confluito negli artt. 69 e ss., d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del consumo), ed al d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79 – in parte qua attuativo della dir. 2008/122 – recante il c.d. Codice del turismo, che ha inciso sulla disciplina contenuta nei citati artt. 69 e ss. del Codice del consumo al fine di estendere e rafforzare la tutela prevista a favore della parte debole del rapporto negoziale, il consumatore. 11 Il Condominio Nuovo La normativa appena citata, infatti, presenta una assorbente finalità protettiva - che si compendia nella prescrizione della forma scritta a pena di nullità nonché nella previsione, da un lato, di rilevanti obblighi informativi a carico del professionista, e, dall’altro, di un diritto di recesso a favore del consumatore (aspetti su cui si tornerà: par. 4) -, ma la stessa non consente di risolvere il nodo problematico dell’inquadramento giuridico dell’istituto (v. infra: parr. 2 e 3). A questo fine appaiono insufficienti (già) le definizioni di multiproprietà fornite dal legislatore: dapprima si è inteso per multiproprietà il contratto (o la serie di contratti) diretto a costituire, trasferire ovvero promettere di costituire o trasferire “un diritto reale ovvero un altro diritto avente ad oggetto il godimento di uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell’anno non inferiore ad una settimana” (art. 69, Codice del consumo, nella formulazione antecedente alle modifiche di cui al d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79); successivamente il “contratto di durata superiore ad un anno tramite il quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione”. Il passaggio, decretato dalla recenziore novella, da una definizione più angusta ad una più ampia e comprensiva appare privo di decisive implicazioni dogmatiche, perché determina soltanto l’estensione della portata applicativa delle norme poste a tutela del consumatore, senza consentire la riconduzione della multiproprietà (o delle multiproprietà) a schemi disciplinari collaudati ricavabili dal Codice civile, ragion per cui il problema della definizione e della regolazione dei rapporti tra multiproprietari (già ampiamente discusso prima dell’introduzione della riferita normativa) resta del tutto irrisolto. Inquadramento dogmatico della multiproprietà immobiliare e ricadute applicative Malgrado la definizione “unificante” di cui all’art. 69, Codice del consumo, nella versione vigente – ove non si distingue, come avveniva in quella previgente, tra multiproprietà diretta a costituire o trasferire un diritto reale e multiproprietà diretta a costituire o trasferire un diritto (personale) di godimento -, sembra necessario procedere all’esame separato della multiproprietà immobiliare e di quella azionaria, sotto il profilo della qualificazione e dell’inquadramento dogmatico della fattispecie: ciò per la rilevante motivazione che nella multiproprietà immobiliare si discute, pur sempre, di diritti reali, mentre nella multiproprietà azionaria vengono in rilievo diritti che il multiproprietario vanta uti socius, cioè nei confronti della società e non già – mancando, a quanto pare, il requisito della realità – erga omnes. Fatta questa premessa, va detto che: A) secondo una prima ricostruzione, il diritto del multiproprietario, nella multiproprietà immobiliare, non sarebbe riconducibile ad alcuno dei “tipi” disciplinati nel Codice civile, onde ci si troverebbe di fronte ad un diritto reale atipico . In particolare, attraverso un contratto atipico le parti darebbero vita ad un diritto bensì reale, ma non contemplato espressamente nel nostro ordinamento. La tesi in esame muove dal presupposto ideologico (come si dirà, discutibile) che il principio del numerus clausus, che domina la scena in materia di diritti reali, sia superabile, e che pertanto l’autonomia negoziale delle parti possa trovare piena espansione, attraverso la determinazione di nuovi diritti (appunto atipici), anche nel campo dei diritti dominicali. La proposta ricostruttiva in esame sta e cade con il suo presupposto, dovendosi ancora oggi escludere l’ammissibilità di diritti reali atipici, sulla scorta di precisi argomenti testuali e sistematici: - quanto ai primi, rileva l’art. 832 c.c. che, nel disciplinare il contenuto del diritto di proprietà nel senso che il proprietario può godere e disporre del bene nel modo più pieno ed esclusivo, fa salvi i limiti e l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. Ciò porta ad affermare la sussistenza di una riserva in capo al legislatore in tema di limiti del diritto proprietà, conformemente alla necessità di assicurarne la funzione sociale (arg. ex art. 42, comma 2, Cost.), essendo pertanto preclusa ai privati la possibilità di prevedere limiti alla proprietà diversi ed ulteriori rispetto a quelli promananti dal diritto oggettivo; - quanto ai secondi, rileva la considerazione che il potere di dare luogo a contratti innominati sarebbe limitato alla materia della obbligazioni e non si estenderebbe a quella dei diritti reali: tanto si deduce dalla collocazione topografica dell’art.. 1322, comma 2, c.c. nell’ambito del Libro IV (“Delle obbligazioni”) del Codice civile. B) Alla stregua di una diversa impostazione, la situazione giuridica soggettiva del multiproprietario sarebbe da ascrivere, anche nei casi di multiproprietà immobiliare, al novero dei diritti personali di godimento , onde il contratto di multiproprietà sarebbe da riportare allo schema del contratto d’albergo: ciò sulla scorta del rilievo che il multiproprietario acquista (più che un bene, nel senso tradizionale dell’espressione) un “pacchetto di servizi”, in quanto al godimento turnario dell’unità immobiliare di che trattasi si affiancano una serie di prestazioni accessorie (ma decisive nell’economia complessiva dell’affare) di carattere paralberghiero: dalla fruizione di 12 Il Condominio Nuovo complessi sportivi al cambio delle lenzuola o alla pulizia dell’alloggio. Inoltre, si rileva che, nella maggior parte dei casi, il multiproprietario è sfornito del potere di gestione, che è normalmente svolto, sulla scorta di un mandato irrevocabile a latere del contratto di multiproprietà, dal costruttore-venditore. La tesi ha prestato il fianco a perspicui rilievi critici: da un lato, si osserva che tale ricostruzione muove da un errore di prospettiva, in quanto trasporta su di un piano qualitativo problemi che attengono al piano quantitativo: il tipo e la quantità dei servizi collaterali offerti, cioè, non è (o meglio non deve essere) determinante nel qualificare la posizione giuridica soggettiva facente capo al multiproprie- tà temporanea come coesistenza di due diritti di proprietà, uno soggetto a termine finale e l’altro soggetto a termine iniziale; talaltra si riconduce la situazione del multiproprietario a quella del titolare di uno ius in re aliena. Mentre con riferimento a quest’ultima impostazione si è fondatamente obiettato che non si comprenderebbe quale soggetto della relazione occupi, nella specie, la posizione di nudo proprietario, con riferimento alla prima (la situazione dei multiproprietari è da riguardare alla stregua della successione tra due proprietà temporanee, una soggetta a termine finale e l’altra soggetta a termine iniziale), si è osservato, in senso critico, che la proprietà temporanea è una variante dello schema della proprietà intesa in senso tario; dall’altro, si nota, quanto all’assenza di un potere di gestione in capo al multiproprietario, che il conferimento di un mandato nell’interesse altrui (a titolo oneroso) può avvenire anche nell’ambito di una vicenda traslativa di un diritto reale ed anche laddove il mandatario sia (rispetto all’effetto traslativo) il dante causa del mandante. C) Da parte di altro filone interpretativo si riconduce la multiproprietà allo schema della proprietà temporanea ovvero ad un quid mixtum di proprietà temporanea e comunione . Nella prima variante si parla, talvolta, di proprie- tradizionale , onde la coesistenza di due (o più) diritti di proprietà temporanei è concettualmente concepibile solo se il rapporto intercorre tra due (o più) proprietari pieni, che si avvicendano nel godimento del bene. Detto altrimenti, lo schema della proprietà temporanea è incompatibile con l’intermittenza della multiproprietà ovvero con il fatto che il multiproprietario torna ad essere tale, ciclicamente, per determinati periodi dell’anno. Ragionando in termini di proprietà temporanee soggette a termine finale (la prima) ed iniziale (la seconda) non si comprende come il diritto del multiproprietario, una volta estintosi per effetto dello spirare del termine, possa rinascere l’anno successivo, per poi estinguersi nuovamente, e così di seguito. Oltretutto, il meccanismo del contratto ad esecuzione periodica appare in distonia con l’immediata efficacia traslativa del consenso che caratterizza la compravendita. D) Assai innovativa – ma non del tutto convincente 13 Il Condominio Nuovo in punto di individuazione delle connesse ricadute applicative, per le ragioni che si diranno – è la tesi che spiega l’avvicendarsi dei diversi multiproprietari nel godimento del bene sulla scorta del rilievo che tale bene non vada individuato soltanto con riguardo alla sua dimensione spaziale ma anche con riguardo alla sua dimensione temporale, posto che quest’ultima concorre, come la prima, a definire il bene (in senso giuridico: cfr. art. 810 c.c.) su cui insiste il diritto dei multiproprietari . Alla “unicità corporale della cosa” non corrisponde “la unicità del bene in senso giuridico” . Alla unità materiale della cosa corrispondono tanti beni in senso giuridico (suscettibili di costituire oggetto di altrettanti diritti) quante sono le porzioni temporali, computate con riferimento ad un periodo di tempo unitario (normalmente l’anno), assegnate a ciascun multiproprietario. E così ad un unico bene in senso materiale (l’unità abitativa) corrispondono, se consideriamo che ad ogni proprietario sia assegnato il godimento turnario per una settimana all’anno, cinquantadue diritti reali aventi ad oggetto la cosa in una determinata settimana dell’anno. In questo modo è superato il rilievo critico che viene mosso alla tesi della multiproprietà come avvicendarsi di proprietà temporanee che nascerebbero e si estinguerebbero ciclicamente (v. supra). Secondo questa diversa impostazione, ciascun multiproprietario è proprietario pieno e in perpetuo dell’unità abitativa, ma solo per una settimana all’anno: ciò sulla scorta del rilievo che il bene è suscettibile di utilizzazione periodica e frazionata nel tempo e che l’oggetto della proprietà (il bene in senso giuridico) è definito anche con riferimento alla sua estensione temporale (una determinata settimana dell’anno, periodo che ritorna ciclicamente ogni anno). Anche la tesi in esame è stata sottoposta a vaglio critico. Tra le critiche più incisive vanno ricordate: - quella secondo cui la tesi in esame non presenta peculiarità rispetto a quella che spiega in rapporti tra multiproprietari in termini di comunione (v. infra), atteso che l’unica forma di coesistenza di diritti di proprietà nel nostro ordinamento è data, appunto, dalla comunione; - quella secondo cui la tesi non risolve la questione relativa alle vicende del diritto del multiproprietario nei periodi di tempo diversi da quelli che ne individuano l’oggetto . Su questi aspetti si è efficacemente replicato che: - in realtà, i multiproprietari non sono proprietari dello stesso bene in senso giuridico (presupposto concettuale perché possa parlarsi della comunione), onde non sarebbe applicabile il brocardo duorum vel plurium in solidum domium esse non potest. Al contrario, la distinzione tra la cosa e il bene (su cui insiste il diritto) consente di dire che diverso è il bene su cui si appunta il diritto di Tizio (la proprietà dell’immobile dal 7 al 14 agosto di ogni anno) dal bene su cui si appunta il diritto di Caio (la proprietà dello stesso immobile dal 15 al 22 agosto di ogni anno). Si deve in definitiva parlare di coesistenza di proprietà su beni (in senso giuridico) diversi; - il trascorrere del tempo non incide sulla titolarità della situazione giuridica soggettiva, ma sul relativo oggetto, in quanto tutto ciò che si pone al di fuori del periodo di tempo su cui insiste il diritto di uno dei multiproprietari è estraneo a quel diritto, e si pone al di fuori di esso. In altri termini, nei periodi diversi da quello considerato la cosa è oggetto di diritto altrui. Del resto la situazione giuridica soggettiva del multiproprietario, secondo questa ricostruzione, non si estingue per poi rinascere e poi nuovamente estinguersi (e rinascere e così via), perché in realtà il tempo si sviluppa secondo un andamento ciclico, onde il periodo che va dal 7 al 14 agosto torna ogni anno. Dal punto di vista della disciplina applicabile, si sostiene che i rapporti tra i multiproprietari siano regolati dalle norme sul vicinato e da quelle riguardanti il condominio di edifici (anche da parte dei sostenitori di questa tesi pertanto si riteneva, ancor prima della modifica dell’art. 1117 c.c., che la disciplina delle parti comuni si applicasse anche laddove il bene di proprietà esclusiva fosse oggetto di multiproprietà). Ebbene, come si anticipava, è proprio il profilo che attiene alle ricadute applicative della tesi in esame quello che suscita maggiori perplessità. In primo luogo, per quanto attiene all’applicabilità della disciplina del condominio (artt. 1117 e ss. c.c.), si deve rilevare: - da un lato, che il rapporto tra multiproprietari è oggettivamente diverso dal rapporto tra condomini. Quest’ultimo si caratterizza, infatti, per la coesistenza di una proprietà esclusiva (in capo al singolo condomino) e di una proprietà comune in relazione alle parti dell’edificio che assolvono ad una funzione servente rispetto alle unità abitative; nel caso della multiproprietà, se pure volesse ammettersi l’esistenza di una proprietà esclusiva (temporalmente frazionata e ciclica) in capo ai singoli multiproprietari, non si comprende, invece, in cosa consista il richiamo alla proprietà comune (non tanto in riferimento alla parti comuni dell’edificio, quanto piuttosto) in relazione agli “intervalli cronologici necessari per rendere possibile il regolare avvicendamento nella presa di possesso del bene”, siccome nella elencazione di cui all’art. 1117 c.c., nessuna delle voci sembra interpretabile in modo tale da ricomprendere il tempo come elemento che vale a definire non solo la proprietà turnaria del bene (proprietà esclusiva) ma anche il 14 Il regolare avvicendarsi dei multiproprietari nei periodi in cui ciascuno di essi non gode del bene medesimo; - dall’altro lato, che la recente modifica dell’art. 1117 c.c. (l. 11 dicembre 2012, n. 220) conferma la scelta di intendere le “parti comuni” secondo un criterio, per così dire, fisico e spaziale, anche laddove la proprietà esclusiva di una o più unità immobiliari sia oggetto di godimento turnario nel corso dell’anno da parte di diversi soggetti, senza possibilità di estendere tale disciplina all’altra dimensione (quella temporale) alla stregua della quale si pretende di individuare il bene in senso giuridico oggetto di multiproprietà. Ne consegue, a ulteriore conforto di quanto più sopra osservato, l’impossibilità di interpretare analogicamente la disciplina sulle parti comuni, riferendola non solo alle parti intese in senso spaziale ma anche alle parti intese in senso temporale. In secondo luogo, e per ragioni similari, deve respingersi l’ipotizzata applicabilità in via analogica della disciplina del vicinato, atteso che anch’essa, come quella delle parti comuni, trae origine dalla necessità di regolare rapporti di prossimità intesi in senso spaziale e non già in senso temporale: stante questo substrato materiale, non pare sufficientemente argomentata la conclusione per cui si potrebbe parlare di “vicinato” anche tra multiproprietari che si succedono nel godimento del bene, cosicché sfugge in cosa consista, nella specie, la medesimezza della ratio che possa giustificare l’applicazione al caso non previsto (successione temporale dei multiproprietari) della normativa dettata per il caso (asseritamente) simile espressamente disciplinato (il rapporto tra proprietari “vicini” in senso spaziale). E) Vi è, infine, chi ritiene che la multiproprietà possa essere riportata, mutatis mutandis, alla disciplina della comunione (artt. 1100 e ss. c.c.) : ciò sul presupposto concettuale che tale disciplina non presuppone il godimento promiscuo del bene da parte dei comunisti, i quali ben potrebbero stabilire, di comune accordo (regolamento di comunione), di goderne nel rispetto di un turno. Alla comunione della proprietà dell’alloggio, secondo lo schema appena delineato, si accompagna normalmente la disciplina delle parti comuni ove il bene è situato (regolamento di condominio) . Su tale aspetto occorre segnalare la recente modifica dell’art. 1117 c.c. secondo cui la disciplina delle parti comuni degli edifici in condominio trova applicazione anche quando una, alcuna o tutte le unità abitative del complesso siano oggetto di godimento turnario da parte di multiproprietari (diversi per ciascuna unità abitativa). Invero, come si è più sopra rilevato, la recente disposizione sembra riguardare i rapporti tra il gruppo di multiproprietari, inteso unitariamente, e le parti comuni dell’edificio, senza dire nulla circa Condominio Nuovo i rapporti “interni” tra i diversi turnisti: aspetto, questo, che induce a ritenere che in relazione a tale profilo occorra pur sempre un regolamento tra i multiproprietari volto a disciplinare, con riguardo alle parti comuni, le vicende interne al gruppo (ad esempio per quanto attiene alla suddivisione delle spese). La tesi della multiproprietà come comunione, che trova seguito nella giurisprudenza prevalente , è stata sottoposta a critica, secondo le seguenti traiettorie argomentative: - una caratteristica invariabile della comunione è la sua divisibilità, che può essere chiesta sempre da ciascuno dei comunisti (art. 1111 c.c.), mentre il patto di rimanere in comunione è ammesso ma ha un’efficacia temporale limitata (cfr. art. 1111, comma 2, c.c.); - nei contratti di multiproprietà non è previsto lo ius adcrescendi degli altri multiproprietari in ipotesi di rinuncia da parte di questi, mentre lo ius adcrescendi qualifica la comunione sotto il profilo disciplinare (arg. ex art. 1104 c.c.); - lo scioglimento non può essere chiesto soltanto nelle ipotesi (da intendersi in senso restrittivo) in cui si tratti di cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinate (art. 1112 c.c.). Si è replicato, in primo luogo, che la prima e fondamentale norma in materia di comunione (art. 1100 c.c.) stabilisce che le disposizioni successive si applicano se il titolo (o altra norma di legge) non dispone diversamente. Ferme restando le norme imperative, pertanto, le norme sulla comunione devono ritenersi derogabili dall’autonomia privata. Quanto alla indivisibilità della comunione, che può essere temperata ma non esclusa dal patto contrario, si è suggerita una interpretazione estensiva dell’art. 1112 c.c. - che esclude la divisibilità quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinate - sul presupposto che tale disposizione “si presta ad essere adattata alle esigenze funzionali della cosa comune, in relazione anche a nuove forme di comunione, che vengono introdotte nella pratica per corrispondere a nuovi bisogni” . Si è allora ritenuto che sono “la destinazione del bene” e la relativa “funzione economica” a giustificare l’indivisibilità , onde “non serve e non varrebbe, invece, il patto di indivisibilità, pure contenuto talvolta nei contratti di vendita” . Le principali ricadute applicative di un simile inquadramento della fattispecie sono così sintetizzabili: - l’acquirente può cedere il contratto (art. 1406 c.c.); - il multiproprietario può disporre, nei modi consentiti dalla natura del bene, della propria quota, con atti inter vivos e mortis causa, nonché costituire sulla stessa diritti personali di godimento a vantaggio di terzi; 15 Il Condominio Nuovo - il multiproprietario può rinunciare alla propria quota, il che determina l’accrescimento delle quote degli altri partecipanti alla comunione, in misura proporzionale alle rispettive quote; - discussa è invece la titolarità, in capo al multiproprietario, del potere di costituire ipoteca, considerato il (sopra rilevato) carattere indivisibile della multiproprietà: si ritiene però che “come nel normale condominio di edifici è realizzabile senza divisione l’ipoteca costituita dal proprietario della porzione dell’immobile, pur insistendo l’ipoteca pro quota anche sulle parti comuni indivisibili, per il nesso inscindibile tra porzione e parti comuni, così appare sostenibile l’ipotecabilità della multiproprietà immobiliare”; Va inoltre rilevato che, sulla scorta della qualificazione della fattispecie in termini di comunione, la giurisprudenza prevalente ritiene che sia nullo, per indeterminatezza dell’oggetto, il contratto preliminare avente ad oggetto una generica “quota di partecipazione indivisa”, senza alcuna specificazione dei criteri, anche millesimali, per la determinazione della quota stessa, nonché del preciso periodo dell’anno di godimento del turno da parte del promissario acquirente (viceversa incidente sull’entità del prezzo) indicato secondo lo schema delle c.d. settimane fluttuanti ; del pari, è nullo il contratto di credito al consumo “concluso al fine di acquistare una quota di godimento turnario di appartamento in multiproprietà in time share, ove risulti che: a) nel contratto non figura alcuna descrizione dettagliata dei beni; b) il sottostante contratto collegato è nullo per indeterminatezza dell’oggetto”. Multiproprietà azionaria: modelli, inquadramento dogmatico e compatibilità con la disciplina codicistica Come si anticipava, la multiproprietà azionaria si caratterizza per ciò, che la posizione di multiproprietario è inscindibilmente connessa a (pur non confondendosi con) quella di socio di una società, normalmente di una società per azioni, onde il diritto di godimento del bene (o di un bene, nel caso in cui l’oggetto sia fungibile: v. supra), per un dato periodo dell’anno, trova il proprio titolo (di legittimazione: v. infra) nella posizione di socio del multiproprietario. Anche, e forse soprattutto, nel settore della multiproprietà azionaria la forza inventiva dei pratici ha trovato la massima esplicazione, tanto che i modelli di riferimento sono molteplici e difficilmente riconducibili a sistema. Ciò nondimeno, possiamo individuare due principali tipologie di multiproprietà azionaria: - nella prima, riconducibile all’esperienza francese, la società costruttrice del complesso immobiliare vende al multiproprietario proprie azioni le quali conferiscono al socio il diritto di utilizzare in predeterminati periodi dell’anno una frazione spazio-temporale del complesso immobiliare. La particolarità del titolo azionario sta quindi nel conferire al socio, oltre ai consueti diritti di partecipazione agli utili ed alla vita sociale, la legittimazione a godere periodicamente di un bene del compendio aziendale; - nella seconda, la società costruttrice, proprietaria di un complesso immobiliare, emette azioni privilegiate che conferiscono, per un verso, il diritto al loro titolare di partecipare senza diritto di voto alle sole assemblee straordinarie e, per altro verso, il diritto di “usare gratuitamente” una porzione dell’unità immobiliare secondo precise e predeterminate modalità cronologiche; una volta ultimata la vendita delle azioni privilegiate, la società assegna (in forza di una clausola contenuta nel contratto di vendita delle azioni privilegiate) a ogni multiproprietario un pacchetto di azioni ordinarie proporzionale alle azioni privilegiate già in suo possesso. La dottrina ritiene che, nell’uno e nell’altro caso (nonché nelle numerose varianti “intermedie”), il diritto del multiproprietario si caratterizza come: - diritto di godimento mediato (di contro alla immediatezza che caratterizza i diritti reali), per intendere Il che la realizzazione dell’interesse del titolare dipende dal comportamento positivo della società proprietaria del complesso immobiliare, sulla quale grava l’obbligo di consegnare la cosa in condizioni adeguate all’uso cui la stessa è destinata, mentre l’inadempimento di questo obbligo, di per sé, impedisce la soddisfazione di tale interesse ; - diritto di godimento relativo, in quanto, per un verso, il diritto può esser fatto valere soltanto nei confronti della società proprietaria del complesso e, per altro verso, lo stesso non può essere violato da soggetti diversi da quello obbligato . Ne consegue che ci muoviamo nell’ambito dei diritti di credito e, per converso, al di fuori degli schemi della comunione e del condominio. La dottrina che si è occupata di multiproprietà azionaria ha individuato dei possibili punti di frizione tra la disciplina codicistica della società e la posizione caratteristica del multiproprietario azionario. E così: - se l’attività di attribuzione in godimento ai soci dei bene della società esaurisce per intero l’attività di quest’ultima (multiproprietà azionarie pure) vi è assenza di scopo lucrativo, in violazione dell’art. 2247 c.c.; - vi è altresì contrasto con l’art. 2248 c.c. che assoggetta le società di mero godimento alla disciplina della comunione (e non già a quella del tipo sociale prescelto); Condominio Nuovo Si richiamano, inoltre, le norme che circoscrivono la possibilità di dare vita a titoli azionari “atipici”. Ad esempio, l’art. 2345 c.c. esclude che il socio possa essere obbligato nei confronti della società a prestazioni accessorie consistenti in denaro ovvero l’art. 2256 c.c. secondo cui il socio non può servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società. Le riferite criticità, peraltro, sono state ritenute superabili, a condizione che si tengano distinte, da un punto di vista concettuale, la posizione di socio e quella di multiproprietario. È stato così scritto che “non si è multiproprietari perché azionisti né azionisti perché multiproprietari, ma multiproprietari e azionisti” . La confutazione degli argomenti critici sopra esposti appare più agevole con riferimento alla multiproprietà azionaria c.d. impura, che si distingue da quella c.d. pura (più vicina alla comunione di mero godimento: art. 2248 c.c.) per ciò, che l’oggetto sociale non si esaurisce nell’attribuzione in godimento degli alloggi ai soci, residuando, oltre a questa, delle attività collaterali, connesse alla principale, che giustificano la permanenza di un “patrimonio destinato” in capo alla società e la produzione e ripartizione di utili tra i soci. Per la multiproprietà azionaria pura, il superamento della critica per cui non vi sarebbe uno scopo di lucro è più difficoltoso, implicando uno sforzo argomentativo volto a negare che tale scopo sia un elemento essenziale della società e che la relativa eventuale mancanza inficerebbe il contratto costitutivo . Quanto al primo profilo, si osserva che la costituzione della società si perfeziona con il momento dell’iscrizione ovvero in un momento in cui non vi è o non vi è ancora la produzione di utili (arg. ex art. 2200 c.c.); quanto al secondo, che tra le cause di nullità della società non figura l’assenza di scopi di lucro, onde il contratto che non lo preveda non è nullo, atteso il carattere tassativo delle cause di nullità del contratto di che trattasi (art. 2332 c.c.). Si è in ogni caso osservato che il titolo giuridico che legittima il multiproprietario azionista a godere del bene e che lo obbliga a corrispondere somme di denaro (oltre che a conformare il proprio comportamento ad una serie di precetti di contenuto positivo e negativo) deriva non dal contratto di società ma da un contratto autonomo concluso con la società. Dal contratto di società, invece, derivano i diritti tipici del socio, da cui esula (necessariamente) il profilo del godimento turnario del bene. In altre parole, il titolo azionario non incorpora il diritto personale di godimento ma è, rispetto ad esso godimento, solo titolo di legittimazione. Questa scissione è attuata, anche dal punto di vista 17 Il Condominio Nuovo materiale, attraverso la sottoscrizione, accanto al negozio traslativo della partecipazione sociale, di un “regolamento di multiproprietà” in virtù del quale, da un lato, “il multiproprietario può pretendere dalla società la consegna della cosa formante oggetto del diritto personale di godimento ogni qual volta ricorra l’intervallo cronologico a lui riservato, dall’altro, la società può pretendere dal multiproprietario il pagamento del prezzo convenuto” . Si ritiene che tra il negozio traslativo della partecipazione azionaria e quello che disciplina il godimento turnario del bene (regolamento) sussista nondimeno un collegamento funzionale volontario . Tale regolamento, normalmente predisposto in via unilaterale dalla società proprietaria del complesso immobiliare, non determina in capo al multiproprietario situazioni giuridiche soggettive, di vantaggio o svantaggio, verso gli altri multiproprietari, ma esclusivamente verso la società: ne discende che la violazione delle regole di comportamento descritte in questa convenzione rileva in termini di inadempimento del singolo multiproprietario nei riguardi della società, con l’ulteriore conseguenza che gli altri multiproprietari possono, di fronte a siffatte violazioni, al più invocare la tutela offerta dall’art. 1585 c.c., stante il carattere mediato e relativo (e non già reale) del loro diritto. Escluso, in definitiva, che il diritto di godimento tragga origine dal contratto di società (perché la sua fonte va rinvenuta in un negozio ad esso collegato) si può respingere la critica relativa alla supposta assenza, in questo tipo di società, dello scopo di lucro. La disciplina della multiproprietà nel Codice del consumo, come modificato dal c.d. Codice del turismo Per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79 (Codice del turismo) [v. supra, par. 1], la disciplina contenuta negli artt. 69 e ss., Codice del consumo, si applica (oltre che a tutte le forme di multiproprietà prima analizzate) anche a tipologie negoziali in precedenza non ricompresibili nell’ambito precettivo della normativa. Si pensi: - ai contratti relativi a un prodotto per le vacanze di lungo termine che consistono in contratti di durata superiore ad un anno in forza dei quali un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di ottenere sconti o altri vantaggi relativamente ad un alloggio, separatamente o unitamente al viaggio o ad altri servizi; - ai contratti di rivendita, con i quali l’operatore assiste a titolo oneroso un consumatore nella vendita o nell’acquisto di una multiproprietà o di un prodotto per le vacanze di lungo termine; - ai contratti di scambio, che consentono al consumatore di partecipare, verso il pagamento di un corrispettivo, ad un sistema di scambio che gli consente l’accesso all’alloggio per il pernottamento o ad altri servizi in cambio della concessione ad altri dell’accesso temporaneo ai vantaggi che risultano dai diritti derivanti dal suo contratto di multiproprietà. L’art. 70 disciplina le forme di pubblicità del contratto: al primo comma la disposizione prevede che “se un contratto di multiproprietà, un contratto relativo a un prodotto per le vacanze di lungo termine o un contratto di rivendita o di scambio viene offerto al consumatore in persona nell’ambito di una promozione o di un’iniziativa di vendita, l’operatore indica chiaramente nell’invito lo scopo commerciale e la natura dell’evento”, mentre al terzo comma che “una multiproprietà o un prodotto per le vacanze di lungo termine non sono commercializzati o venduti come investimenti”. Prima della conclusione del contratto l’operatore professionale deve fornire al consumatore, in forma chiara e comprensibile, “informazioni accurate e sufficienti”: nel caso della multiproprietà si tratta di quelle indicate nel formulario informativo di cui all’allegato II-bis al Codice del consumo (art. 71), documento, questo, che pertanto rappresenta il modello uniforme della contrattazione in materia nell’intero ambito euro-unitario. Il contratto deve essere stipulato per iscritto, a pena di nullità e ne costituiscono parte integrante le informazioni precontrattuali di cui all’art. 71 le quali possono essere modificate solo con l’accordo esplicito delle parti ed a fronte di “circostanze eccezionali ed imprevedibili, indipendenti dalla volontà dell’operatore” e da quest’ultimo non evitabili attraverso l’uso della “dovuta diligenza”. Nel silenzio della legge, si discute su quali siano le conseguenze della mancanza, nel contratto, del contenuto informativo obbligatorio di cui s’è detto. A) Secondo un primo orientamento sarebbe configurabile una “reticenza”, fonte di responsabilità precontrattuale dell’organizzatore . Ma, si osserva, la riduzione della tutela del contraente debole al rimedio risarcitorio frustra la ratio della disciplina in esame, che è quella di riequilibrare l’asimmetria conoscitiva delle parti, con riguardo all’assetto finale degli interessi ; B) Per altra impostazione trova applicazione il meccanismo sostitutivo previsto dall’art. 1419, comma 2, c.c. . A tale conclusione si perviene sulla scorta dell’applicazione analogica della disciplina dettata in materia di credito al consumo (art. 125-bis, comma 7, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385), che prevede un mecca- 18 Il Condominio Nuovo nismo sostitutivo automatico a fronte della mancata indicazione, nel contratto, di determinate informazioni (il tipo di contratto di credito, l’importo totale, la durata, il Taeg, il numero e la periodicità delle rate, nonché tutte le spese derivanti dall’operazione). In senso critico si è condivisibilmente osservato che questa proposta ricostruttiva, pur pregevole sotto il profilo del contemperamento dei diversi interessi in gioco, risulta di difficile attuazione, stante la mancanza di criteri per la selezione dei contenuti sostitutivi . C) Per altri interpreti verrebbe in rilievo una causa di nullità del contratto per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto . Questa soluzione viene praticata dalla giurisprudenza a fronte di un contratto (anche preliminare) che individui il periodo di godimento genericamente con il sistema delle settimane fluttuanti . Non sfugge come, in base alla legge, la nullità sia comminata per il caso in cui manchi la forma scritta: tuttavia, la giurisprudenza di merito è orientata nel senso di estendere tale sanzione anche al caso in cui “nella scrittura non siano adoperati termini o frasi comprensibili agevolmente, o comunque quando non vengano indicati gli elementi ritenuti necessari dal legislatore”, come le suddette informazioni precontrattuali . In ogni caso, la mancata fornitura delle informazioni precontrattuali integra gli estremi (salvo che il fatto costituisca reato) dell’illecito amministrativo, dalla cui commissione consegue l’applicazione di una sanzione pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro, nonché, nei casi di reiterata violazione, la sanzione accessoria della sospensione dell’operatore dall’esercizio dell’attività da trenta giorni a sei mesi (art. 81, Codice del consumo). Inoltre, in questa ipotesi il diritto di “ripensamento” ai fini del recesso (v. infra) viene prolungato di tre mesi (art. 73, comma 4, Codice del consumo). In termini generali, al consumatore è concesso un periodo di quattordici giorni, naturali e consecutivi, per recedere, anche senza indicazione dei motivi, dal contratto di multiproprietà ovvero dagli altri contratti cui si applicano gli artt. 69 e ss.. Il periodo di recesso si calcola: - dal giorno della conclusione del contratto definitivo o preliminare; - dal giorno in cui il consumatore riceve il contratto definitivo o preliminare, se ciò avviene successivamente alla conclusione dello stesso. Esso scade: - dopo un anno e quattordici giorni se il formulario di recesso non è stato compilato dall’operatore e consegnato al consumatore in forma scritta o su supporto durevole; - (come si anticipava) dopo tre mesi e quattordici giorni in caso di mancata fornitura delle informazioni precontrattuali. Anche con riferimento alla disciplina del recesso, pertanto, il formulario uniforme predisposto dal legislatore presenta una notevole importanza . L’esercizio del recesso avviene tramite comunicazione scritta, con modalità tali da dimostrare l’anteriorità della spedizione alla scadenza del periodo di recesso (art. 74, comma 1), comunicazione da cui consegue l’estinzione degli obblighi delle parti in merito alle prestazioni contrattuali (art. 74, comma 3) . È inoltre vietato qualsiasi versamento di denaro a titolo di acconto, prestazione di garanzie, l’accantonamento di denaro sotto forma di deposito bancario, il riconoscimento esplicito di debito o altri oneri a carico del consumatore prima della fine del periodo di recesso (art. 75, comma 1). Fatto salvo quanto previsto dagli artt. 125-ter e 125-quinquies, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, in materia di contratti di credito ai consumatori, se il prezzo è interamente o parzialmente coperto da un credito concesso al consumatore dall’operatore o da un terzo in base a un accordo fra il terzo e l’operatore, il contratto di credito è risolto senza costi per il consumatore qualora il consumatore eserciti il diritto di recesso dal contratto di multiproprietà, dal contratto relativo a prodotti per le vacanze di lungo termine, o dal contratto di rivendita o di scambio (art. 77, comma 2). Per quanto attiene alla tutela giurisdizionale: - la competenza territoriale inderogabile spetta al giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore se ubicati nel territorio dello Stato (art. 78, comma 2); - laddove le parti abbiano convenuto di applicare al contratto una legislazione diversa da quella italiana, alla parte debole devono comunque essere riconosciute le condizioni di tutela previste dagli artt. 69 e ss.; - sono attingibili i rimedi di cui agli artt. 27, 139, 140, 140-bis, Codice del consumo (cioè trovano luogo, anche in questo ambito, i poteri di vigilanza e sanzionatori dell’Autorità Antitrust in tema di pratiche commerciali scorrette, nonché i rimedi collettivi, esercitabili a livello associativo) [art. 79, comma 1]; - è in ogni caso fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario (art. 79, comma 2). 20 Il Condominio Nuovo Il riparto delle spese nel supercondominio Enzo Rocco Avvocato La differenza tra condominio e supercondominio è pacifica sia in dottrina che in giurisprudenza. Nel caso di un complesso residenziale costituito da tre distinti fabbricati. Ciascuno degli edifici integra un condominio distinto, cui appartengono i soli proprietari delle unità abitative ivi ubicate e che è competente a deliberare in merito alla gestione ed amministrazione di quelle parti di quel solo stabile che sono destinate all’uso ed al godimento comune. Invece, per quel che concerne i beni e servizi comuni a tutti e tre i fabbricati costituenti il complesso residenziale, sussiste un ulteriore (super) condominio deputato a provvedere alla loro gestione attraverso un’assemblea alla quale hanno titolo per partecipare i proprietari delle unità ubicate in tutti e tre gli edifici. Di conseguenza, qualora la delibera di approvazione avesse riguardo ad un unico bilancio e fosse presa con il voto di tutti i partecipanti al complesso immobiliare, essa è da ritenersi completamente nulla. Infatti, occorre approntare distinti documenti contabili, il primo: riflettente le poste attive e passive della gestione dei beni comuni all’intero complesso; altri tre separati bilanci quelle inerenti alla gestione dei singoli corpi di fabbrica, ognuno dei quali da sottoporre al vaglio ed all’approvazione separata di ciascuna assemblea condominiale. Per cui ove invece l’approvazione si avesse in una unica assemblea bisogna ritenere che la stessa abbia oltrepassato i propri poteri che trovano un limite nella gestione dei beni comuni all’intero complesso edilizio. Al riguardo occorre innanzi tutto evidenziare che le norme codicistiche dirette a disciplinare l’istituto del condominio, non erano, prima della riforma, tendenzialmente destinate a trovare applicazione allorché venivano in considerazione più corpi di fabbrica del tutto autonomi tra loro. La disciplina civilistica del condominio era, infatti, destinata a regolare il fenomeno del collegamento tra la proprietà individuale e la proprietà collettiva negli edifici divisi per piani orizzontali ed ha il suo fondamento nella circostanza che talune porzioni dell’edificio (scale, muri maestri, fondamenta, etc.) sono necessarie per l’esistenza stessa del fabbricato e delle unità abitative che lo compongono ovvero sono strutturalmente e permanentemente destinate all’uso ed al godimento comune da parte dei proprietari delle singole abitazioni (cfr. n. 2462/1965, n. 2448/1979, e n. 6575/ 1984).* Per una tale evenienza il codice civile detta una presunzione di contitolarità, tra i proprietari delle singole unità abitative, delle porzioni dell’edificio che rivelino attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo la quale, in difetto di diverse previsioni contrattuali, sorge automaticamente con il frazionamento della proprietà edificiale in virtù di negozi giuridici atti a trasformare la situazione originaria di dominio esclusivo e solitario in una situazione di dominio plurimo. Cioè, allorché il proprietario dello stabile alieni a terzi una o più delle unità abitative che lo compongono, viene automaticamente a costituirsi il condominio sulle parti dello stabile strutturalmente e funzionalmente destinate all’uso comune senza necessità alcuna di un formale atto costitutivo, della formazione di un regolamento condominiale o di un’apposita delibera assembleare la quale assumerebbe valore meramente dichiarativo dell’esistenza del condominio da gestire nelle forme ed attraverso gli organi all’uopo contemplati dal codice civile (cfr. n. 3671/1987, n. 5771/1978, n. 6073/1978 e n. 1/1977).* Se tale era l’ambito applicativo dell’istituto codicistico del condominio, occorre tuttavia sottolineare che l’evolversi degli indirizzi urbanistici verso nuove tecnologie costruttive ha dato vita a nuove tipologie residenziali in cui edifici contigui ed autonomi, costituenti altrettanti condominii separati, che vantano taluni beni (es. un cortile, un viale d’accesso, etc.) o alcuni servizi (es. l’impianto di riscaldamento) destinati permanentemente ed oggettivamente all’uso ed al godimento di tutte le unità abitative comprese nei diversi corpi di fabbrica. In una tale ipotesi, rispetto a tali beni e servizi, viene a costituirsi quello che in dottrina e giurisprudenza viene definito un “supercondomininio”. Ed in virtù di un’interpretazione estensiva ed analogica potevano ritenersi applicabili ai suddetti beni o servizi le norme sul condominio degli edifici e, segnatamente, la presunzione di comunione dettata dall’art. 1117 c.c. nonché le disposizioni dettate dall’art. 1136 c.c. in tema di convocazione, costituzione e formazione dell’assemblea nonché di calcolo delle maggioranze da determinare avendo riguardo agli elementi reali e personali del supercondominio configurati, rispettivamente, da tutte le unità abitative comprese nel complesso e da tutti i loro proprietari (cfr. Cass. n. 4881/1993 e, da ultimo, Cass. n. 7286/1996). Con la riforma il problema è stato risolto con l’espressione testuale di cui all’art. 1117 c.c. laddove si è previsto che le norme sul condominio si applicano anche in 21 Il presenza di più unità immobiliari purché vi siano beni in comune. E’ questo è proprio il caso del supercondominio. Così si sono anche risolti, qualora vi fossero stati ancora dubbi i casi del cosiddetto condominio orizzontale, ecc. Ove ciò avvenga, ciascuno dei corpi di fabbrica che costituiscono il complesso residenziale costituirà dunque un separato condominio dotato dei propri organi di gestione competenti a deliberare in merito alla conservazione, all’utilizzo ed alle spese da sostenere per l’amministrazione delle parti comuni dello stabile (assemblea ed amministrazione) e, accanto a tali condominii, ne sussisterà un altro deputato alla gestione dei beni e dei servizi destinati in modo permanente all’uso ed al godimento di tutti gli edifici dotato di analoghe competenze. Affinché l’intero complesso edilizio possa essere considerato alla stregua di un intero edificio, e costituire un solo condominio dotato di competenza generale, occorrerebbe, infatti, necessariamente poter individuare un titolo convenzionale costitutivo di una comunione tra tutti gli abitanti del complesso sulle parti strutturali di tutti gli edifici (cfr. Cass. n. 4439/1982); in mancanza di tale titolo, bisogna considerare l’esistenza di quattro separati condominii (uno per ciascun corpo di fabbrica più quello relativo ai beni ai medesimi comuni, la quale discende dai principi generali in difetto di un titolo contrario. Tra l’altro, un’eventuale delibera a maggioranza assunta dall’assemblea di un supercondominio per istituire un unico condominio tra i vari edifici sarebbe nulla, violando il diritto di ciascun condomino di far parte del condominio costituito dal solo edificio in cui è proprietario di unità immobiliari (cfr. Cass. n. 11276/1995). Resta eventualmente de verificare, sempre nel caso di complesso residenziale formato da più fabbricati, l’esistenza di un regolamento condominiale che stabilisca un’unità di gestione statuendo che le delibere inerenti all’amministrazione dei singoli fabbricati vengano comunque assunte in seno all’assemblea generale con le maggioranze ed il quorum costitutivo per la medesima previsto. In tale evenienza, il predetto regolamento dovrebbe essere considerato nullo; infatti, tanto i regolamenti formati a maggioranza dall’assemblea quanto quelli aventi natura contrattuali perché formati dall’originario proprietario dell’edificio e richiamati negli atti d’acquisto delle singole unità abitative che lo compongono, non Condominio Nuovo possono derogare alle disposizione codicistiche richiamate dall’art. 1138 u.c. c.c. e, segnatamente, all’art. 1136 c.c. che individua i soggetti legittimati a partecipare all’assemblea e le maggioranze necessarie per la rituale costituzione e per l’approvazione delle delibere (cfr. per es. Cass. 4905/1990). Ne consegue che la previsione regolamentare relativa all’adozione delle delibere dei singoli condominii in seno all’assemblea generale con le maggioranze per la medesima previste, sarebbe evidentemente nulla legittimando la partecipazione al voto di soggetti che non hanno veste di condomini e fissando maggioranze evidentemente superiori a quelle legali. Tale ragionamento è stato recentemente confermato dalla S.C. che con sentenza n. 23688 del 06.11.2014 ha ritenuto nulla la delibera assembleare del supercondominio che aveva approvato il rifacimento delle facciate dei tre diversi fabbricati che lo compongono. Il caso in esame soffre però ancora di altra particolarità, al riguardo la Cassazione ha negato ogni fondatezza alla diversa tesi che, sostenuta nella sentenza impugnata, riteneva che si fosse di fronte a disposizioni del regolamento di condominio che avessero dato luogo alla diversa convenzione ai sensi dell’art. 1123 c.c. che deve ritenersi derogabile. Per la Suprema Corte tale previsione consente, invece, solo una diversa ripartizione convenzionale delle spese cui i condomini di un edificio siano tenuti comunque a contribuire. In realtà in tale diversa convenzione deve leggersi, trattandosi di regolamento contrattuale, anche la diversa ed unanime volontà di dare al bene non collegato funzionalmente una destinazione diversa di comproprietà ammessa dall’ordinamento e come tale le facciate appartengono a tutti i condomini e tutti partecipano alle deliberazioni che le hanno ad oggetto. 23 Il Condominio Nuovo L’obbligo delle trattative precontrattuali in condominio Lucia Gangale Avvocato Obbligo del preventivo di carattere informativo ed economico prima della stipula del contratto Il decreto legislativo 21/2014 nel recepire la direttiva europea n. 2011/83, ha stabilito l’obbligatorietà del preventivo scritto anche per i lavori di manutenzione su parti comuni, ha modificato il regime delle clausole vessatorie dei contratti stipulati dal condominio, e determinato la nuova disciplina del diritto di recesso. Queste ed altre le novità introdotte dal Dlgs 21/2014, che ha recepito la direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori rinnovando così il titolo III del Codice del consumo (articoli da 45 a 67). In particolare è stata superata la distinzione, ai fini dell’applicazione del relativo regime giuridico, tra contratti stipulati fuori i locali commerciali e/o professionali, quelli al loro interno e, ancora, quelli stipulati con mezzi di comunicazione a distanza (telefono, internet, fax). Il professionista deve fornire le informazioni del professionista al consumatore in modo chiaro e comprensibile e la nota “informativa” (preventivo) deve essere resa su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su supporto digitale. Le nuove disposizioni si applicano a qualsiasi contratto concluso tra un professionista o un’impresa o altro consumatore e, quindi, col condominio (inclusi i contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento. Per cui, al fine di giungere alla stipula contrattuale è necessario presentare all’amministratore un preventivo scritto contenente le informazioni obbligatorie indicate dalla legge. L’amministratore lo sottoporrà all’assemblea che deciderà secondo la sua competenza. Per cui oltre agli obblighi di lealtà e collaborazione già esistenti si aggiungono quelli della trasparenza e completezza nella fase precontrattuale. Salvo pur sempre il diritto da esercitarsi entro 14 giorni dalla conclusione del contratto. Viene anche superata la distinzione, ai fini dell’applicazione del relativo regime giuridico, tra contratti stipulati fuori i locali commerciali e/o professionali, quelli al loro interno e, ancora, quelli stipulati con mezzi di comunicazione a distanza (telefono, internet, fax). Le nuove disposizioni si applicano a qualsiasi contratto concluso tra un professionista o un’impresa o altro consumatore e, quindi, col condominio (inclusi i contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, anche da parte di prestatori pubblici, nella misura in cui detti prodotti di base sono forniti su base contrattuale, con le eccezione, escluse dall’applicazione, specificamente indicate). Ed invero secondo la Cassazione visto e considerato che «il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti …. Ne consegue che, poiché i condomini vanno senz’altro considerati dei consumatori, essendo persone fisiche che agiscono, per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, anche al contratto concluso dall’amministratore del condominio con il professionista, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge si applicano gli articolo 1469 bis e seguenti del Codice civile (Cassazione 24 luglio 2001 n. 10086). Ciò premesso, prima di stipulare un contratto col condominio-consumatore, pertanto, è necessario presentare all’amministratore un preventivo informativo ed economico per iscritto contenente le informazioni obbligatorie indicate dalla legge. L’assemblea del condominio avrà il compito di valutarlo ed eventualmente approvarlo e/o modificarlo, instaurando così una vera e propria trattativa nella fase pre-negoziale al termine della quale le parti potranno stipulare un contratto regolare in perfetta aderenza alle nuove norme. 24 Il Condominio Nuovo Contratto DECRETO LEGISLATIVO 21 febbraio 2014, n. 21 Attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica delle direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le direttive 85/577/CEE e 97/7/CE. (14G00033) (GU n.58 del 11-3-2014) Vigente al: 26-3-2014 IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Visto l’articolo 14, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400; Visti gli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234; Vista la legge 6 agosto 2013, n. 96, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2013, ed in particolare l’articolo 1 e l’allegato B; Vista la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio; Visto il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, recante il Codice del Consumo; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 3 dicembre 2013; Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 6 febbraio 2014; Sulla proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia e dell’economia e delle finanze; Emana il seguente decreto legislativo: Art. 1. Modifiche al Codice del consumo in attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori 1. Il Capo I del titolo III della parte III del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante Codice del consumo, limitatamente agli articoli da 45 a 67, è sostituito dal seguente: «Capo I Dei diritti dei consumatori nei contratti Art. 45. Definizioni 1. Ai fini delle Sezioni da I a IV del presente capo, si intende per: a) “consumatore”: la persona fisica, di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a); b) “professionista”: il soggetto, di cui all’articolo 3, comma 1, lettera c); c) “bene”: qualsiasi bene mobile materiale ad esclusione dei beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie; rientrano fra i beni oggetto della presente direttiva l’acqua, il gas e l’elettricità, quando sono messi in vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; d) “beni prodotti secondo le indicazioni del consumatore”: qualsiasi bene non prefabbricato prodotto in base a una scelta o decisione individuale del consumatore; 25 Il Condominio Nuovo e) “contratto di vendita”: qualsiasi contratto in base al quale il professionista trasferisce o si impegna a trasferire la proprietà di beni al consumatore e il consumatore ne paga o si impegna a pagarne il prezzo, inclusi i contratti che hanno come oggetto sia beni che servizi; f) “contratto di servizi”: qualsiasi contratto diverso da un contratto di vendita in base al quale il professionista fornisce o si impegna a fornire un servizio al consumatore e il consumatore paga o si impegna a pagarne il prezzo; g) “contratto a distanza”: qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso; h) “contratto negoziato fuori dei locali commerciali”: qualsiasi contratto tra il professionista e il consumatore: 1) concluso alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, in un luogo diverso dai locali del professionista; 2) per cui è stata fatta un’offerta da parte del consumatore, nelle stesse circostanze di cui al numero 1; 3) concluso nei locali del professionista o mediante qualsiasi mezzo di comunicazione a distanza immediatamente dopo che il consumatore è stato avvicinato personalmente e singolarmente in un luogo diverso dai locali del professionista, alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore; oppure; 4) concluso durante un viaggio promozionale organizzato dal professionista e avente lo scopo o l’effetto di promuovere e vendere beni o servizi al consumatore; i) “locali commerciali”: 1) qualsiasi locale immobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la sua attività su base permanente; oppure; 2) qualsiasi locale mobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la propria attività a carattere abituale; l) “supporto durevole”: ogni strumento che permetta al consumatore o al professionista di conservare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate; m) “contenuto digitale”: i dati prodotti e forniti in formato digitale; n) “servizio finanziario”: qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia, assicurativa, servizi pensionistici individuali, di investimento o di pagamento; o) “asta pubblica”: metodo di vendita in cui beni o servizi sono offerti dal professionista ai consumatori che partecipano o cui è data la possibilità di partecipare all’asta di persona, mediante una trasparente procedura competitiva di offerte gestita da una casa d’aste e in cui l’aggiudicatario è vincolato all’acquisto dei beni o servizi; p) “garanzia”: qualsiasi impegno di un professionista o di un produttore (il “garante”), assunto nei confronti del consumatore, in aggiunta agli obblighi di legge in merito alla garanzia di conformità, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene, qualora esso non corrisponda alle caratteristiche, o a qualsiasi altro requisito non relativo alla conformità, enunciati nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità disponibile al momento o prima della conclusione del contratto; q) “contratto accessorio”: un contratto mediante il quale il consumatore acquista beni o servizi connessi a un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali e in cui tali beni o servizi sono forniti dal professionista o da un terzo in base ad un accordo tra il terzo e il professionista. Art. 46. Ambito di applicazione 1. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo si applicano, a qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore, inclusi i contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, anche da parte di prestatori pubblici, nella misura in cui detti prodotti di base sono forniti su base contrattuale. 2. In caso di conflitto tra le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo e una disposizione di un atto dell’Unione europea che disciplina settori specifici, quest’ultima e le relative norme nazionali di recepimento prevalgono e si applicano a tali settori specifici. 3. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non impediscono ai professionisti di offrire ai consumatori condizioni contrattuali più favorevoli rispetto alla tutela prevista da tali disposizioni. 26 Il Condominio Nuovo Art. 47. Esclusioni 1. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non si applicano ai contratti: a) per i servizi sociali, compresi gli alloggi popolari, l’assistenza all’infanzia e il sostegno alle famiglie e alle persone temporaneamente o permanentemente in stato di bisogno, ivi compresa l’assistenza a lungo termine; b) di assistenza sanitaria, per i servizi prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di valutare, mantenere o ristabilire il loro stato di salute, ivi compresa la prescrizione, la somministrazione e la fornitura di medicinali e dispositivi medici, sia essa fornita o meno attraverso le strutture di assistenza sanitaria; c) di attività di azzardo che implicano una posta di valore pecuniario in giochi di fortuna, comprese le lotterie, i giochi d’azzardo nei casinò e le scommesse; d) di servizi finanziari; e) aventi ad oggetto la creazione di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti su beni immobili; f) per la costruzione di nuovi edifici, la trasformazione sostanziale di edifici esistenti e per la locazione di alloggi a scopo residenziale; g) che rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”, di cui agli articoli da 32 a 51 del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79; h) che rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina concernente la tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio, di cui agli articoli da 69 a 81-bis del presente Codice; i) stipulati con l’intervento di un pubblico ufficiale, tenuto per legge all’indipendenza e all’imparzialità, il quale deve garantire, fornendo un’informazione giuridica completa, che il consumatore concluda il contratto soltanto sulla base di una decisione giuridica ponderata e con conoscenza della sua rilevanza giuridica; l) di fornitura di alimenti, bevande o altri beni destinati al consumo corrente nella famiglia e fisicamente forniti da un professionista in giri frequenti e regolari al domicilio, alla residenza o al posto di lavoro del consumatore; m) di servizi di trasporto passeggeri, fatti salvi l’articolo 51, comma 2, e gli articoli 62 e 65; n) conclusi tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati; o) conclusi con operatori delle telecomunicazioni impiegando telefoni pubblici a pagamento per il loro utilizzo o conclusi per l’utilizzo di un solo collegamento tramite telefono, Internet o fax, stabilito dal consumatore. 2. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non si applicano ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali in base ai quali il corrispettivo che il consumatore deve pagare non è superiore a 50 euro. Tuttavia, si applicano le disposizioni del presente Capo nel caso di più contratti stipulati contestualmente tra le medesime parti, qualora l’entità del corrispettivo globale che il consumatore deve pagare, indipendentemente dall’importo dei singoli contratti, superi l’importo di 50 euro. Sezione I Informazioni precontrattuali per i consumatori nei contratti diversi dai contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali Art. 48 Obblighi d’informazione nei contratti diversi dai contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali 1. Prima che il consumatore sia vincolato da un contratto diverso da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali o da una corrispondente offerta, il professionista fornisce al consumatore le seguenti informazioni in modo chiaro e comprensibile, qualora esse non siano già apparenti dal contesto: a) le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi; b) l’identità del professionista, l’indirizzo geografico in cui è stabilito e il numero di telefono e, ove questa informazione sia pertinente, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli agisce; c) il prezzo totale dei beni o servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o dei servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se applicabili, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore; d) se applicabili, le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare il servizio e il trattamento dei reclami da parte del 27 Il Condominio Nuovo professionista; e) oltre a un richiamo dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni, l’esistenza e le condizioni del servizio postvendita e delle garanzie commerciali, se applicabili; f) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni di risoluzione del contratto; g) se applicabile, la funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione tecnica; h) qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza, se applicabili. 2. Gli obblighi di informazione precontrattuali, di cui al comma 1, si applicano anche ai contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale. 3. Gli obblighi di informazione precontrattuali, di cui al comma 1, non si applicano ai contratti che implicano transazioni quotidiane e che sono eseguiti immediatamente al momento della loro conclusione. 4. E’ fatta salva la possibilità di prevedere o mantenere obblighi aggiuntivi di informazione precontrattuale per i contratti ai quali si applica il presente articolo. 5. Sono fatte salve le disposizioni di cui agli articoli da 6 a 12 del presente Codice. Sezione II Informazioni precontrattuali per il consumatore e diritto di recesso nei contratti a distanza e nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali Art. 49. Obblighi di informazione nei contratti a distanza e nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali 1. Prima che il consumatore sia vincolato da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali o da una corrispondente offerta, il professionista fornisce al consumatore le informazioni seguenti, in maniera chiara e comprensibile: a) le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi; b) l’identità del professionista; c) l’indirizzo geografico dove il professionista è stabilito e il suo numero di telefono, di fax e l’indirizzo elettronico, ove disponibili, per consentire al consumatore di contattare rapidamente il professionista e comunicare efficacemente con lui e, se applicabili, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale agisce; d) se diverso dall’indirizzo fornito in conformità della lettera c), l’indirizzo geografico della sede del professionista a cui il consumatore può indirizzare eventuali reclami e, se applicabile, quello del professionista per conto del quale agisce; e) il prezzo totale dei beni o dei servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali e ogni altro costo oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore; nel caso di un contratto a tempo indeterminato o di un contratto comprendente un abbonamento, il prezzo totale include i costi totali per periodo di fatturazione; quando tali contratti prevedono l’addebitamento di una tariffa fissa, il prezzo totale equivale anche ai costi mensili totali; se i costi totali non possono essere ragionevolmente calcolati in anticipo, devono essere fornite le modalità di calcolo del prezzo; f) il costo dell’utilizzo del mezzo di comunicazione a distanza per la conclusione del contratto quando tale costo è calcolato su una base diversa dalla tariffa di base; g) le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare i servizi e, se del caso, il trattamento dei reclami da parte del professionista; h) in caso di sussistenza di un diritto di recesso, le condizioni, i termini e le procedure per esercitare tale diritto conformemente all’articolo 54, comma 1, nonché’ il modulo tipo di recesso di cui all’allegato I, parte B; i) se applicabile, l’informazione che il consumatore dovrà sostenere il costo della restituzione dei beni in caso di recesso e in caso di contratti a distanza qualora i beni per loro natura non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta; l) che, se il consumatore esercita il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta ai sensi dell’articolo 50, comma 3, o dell’articolo 51, comma 8, egli è responsabile del pagamento al professionista di 28 Il Condominio Nuovo costi ragionevoli, ai sensi dell’articolo 57, comma 3; m) se non è previsto un diritto di recesso ai sensi dell’articolo 59, l’informazione che il consumatore non beneficerà di un diritto di recesso o, se del caso, le circostanze in cui il consumatore perde il diritto di recesso; n) un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni; o) se applicabili, l’esistenza e le condizioni dell’assistenza postvendita al consumatore, dei servizi postvendita e delle garanzie commerciali; p) l’esistenza di codici di condotta pertinenti, come definiti all’articolo 18, comma 1, lettera f), del presente Codice, e come possa esserne ottenuta copia, se del caso; q) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni per recedere dal contratto; r) se applicabile, la durata minima degli obblighi del consumatore a norma del contratto; s) se applicabili, l’esistenza e le condizioni di depositi o altre garanzie finanziarie che il consumatore è tenuto a pagare o fornire su richiesta del professionista; t) se applicabile, la funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione tecnica; u) qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza, se applicabile; v) se applicabile, la possibilità di servirsi di un meccanismo extra-giudiziale di reclamo e ricorso cui il professionista è soggetto e le condizioni per avervi accesso. 2. Gli obblighi di informazione precontrattuali, di cui al comma 1, si applicano anche ai contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale. 3. Nel caso di un’asta pubblica, le informazioni di cui al comma 1, lettere b), c) e d), possono essere sostituite dai corrispondenti dati della casa d’aste. 4. Le informazioni di cui al comma 1, lettere h), i) e l), possono essere fornite mediante le istruzioni tipo sul recesso di cui all’allegato I, parte A. Il professionista ha adempiuto agli obblighi di informazione di cui al comma 1, lettere h), i) e l), se ha presentato dette istruzioni al consumatore, debitamente compilate. 5. Le informazioni di cui al comma 1 formano parte integrante del contratto a distanza o del contratto negoziato fuori dei locali commerciali e non possono essere modificate se non con accordo espresso delle parti. 6. Se il professionista non adempie agli obblighi di informazione sulle spese aggiuntive o gli altri costi di cui al comma 1, lettera e), o sui costi della restituzione dei beni di cui al comma 1, lettera i), il consumatore non deve sostenere tali spese o costi aggiuntivi. 7. Nel caso di utilizzazione di tecniche che consentono una comunicazione individuale, le informazioni di cui al comma 1 sono fornite, ove il consumatore lo richieda, in lingua italiana. 8. Gli obblighi di informazione stabiliti nella presente sezione si aggiungono agli obblighi di informazione contenuti nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, e successive modificazioni, e nel decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, e successive modificazioni, e non ostano ad obblighi di informazione aggiuntivi previsti in conformità a tali disposizioni. 9. Fatto salvo quanto previsto dal comma 8, in caso di conflitto tra una disposizione del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, e successive modificazioni, sul contenuto e le modalità di rilascio delle informazioni e una disposizione della presente sezione, prevale quest’ultima. 10. L’onere della prova relativo all’adempimento degli obblighi di informazione di cui alla presente sezione incombe sul professionista. Art. 50. Requisiti formali per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali 1. Per quanto riguarda i contratti negoziati fuori dei locali commerciali il professionista fornisce al consumatore le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole. Dette informazioni devono essere leggibili e presentate in un linguaggio semplice e comprensibile. 2. Il professionista fornisce al consumatore una copia del contratto firmato o la conferma del contratto su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole, compresa, se del caso, la conferma del previo consenso espresso e dell’accettazione del consumatore in conformità all’articolo 59, comma 1, lettera o). 3. Se un consumatore vuole che la prestazione dei servizi ovvero la fornitura di acqua, gas o elettricità, 29 Il Condominio Nuovo quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento inizi durante il periodo di recesso previsto all’articolo 52, comma 2, il professionista esige che il consumatore ne faccia esplicita richiesta su un supporto durevole. 4. Per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali in cui il consumatore ha chiesto espressamente i servizi del professionista ai fini dell’effettuazione di lavori di riparazione o manutenzione e in virtu’ dei quali il professionista e il consumatore adempiono immediatamente ai propri obblighi contrattuali e l’importo a carico del consumatore non supera i 200 euro: a) il professionista fornisce al consumatore, prima che questi sia vincolato dal contratto, le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, lettere b) e c), e le informazioni concernenti il prezzo o le modalità di calcolo del prezzo, accompagnate da una stima del prezzo totale, su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole. Il professionista fornisce le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, lettere a), h) ed m), ma può scegliere di non fornirle su formato cartaceo o su un altro mezzo durevole se il consumatore ha espressamente acconsentito; b) la conferma del contratto fornita conformemente al comma 2 del presente articolo contiene tutte le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1. Art. 51. Requisiti formali per i contratti a distanza 1. Per quanto riguarda i contratti a distanza il professionista fornisce o mette a disposizione del consumatore le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, in modo appropriato al mezzo di comunicazione a distanza impiegato in un linguaggio semplice e comprensibile. Nella misura in cui dette informazioni sono presentate su un supporto durevole, esse devono essere leggibili. 2. Se un contratto a distanza che deve essere concluso con mezzi elettronici impone al consumatore l’obbligo di pagare, il professionista gli comunica in modo chiaro ed evidente le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, lettere a), e), q) ed r), direttamente prima che il consumatore inoltri l’ordine. Il professionista garantisce che, al momento di inoltrare l’ordine, il consumatore riconosca espressamente che l’ordine implica l’obbligo di pagare. Se l’inoltro dell’ordine implica di azionare un pulsante o una funzione analoga, il pulsante o la funzione analoga riportano in modo facilmente leggibile soltanto le parole “ordine con obbligo di pagare” o una formulazione corrispondente inequivocabile indicante che l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il professionista. Se il professionista non osserva il presente comma, il consumatore non è vincolato dal contratto o dall’ordine. 3. I siti di commercio elettronico indicano in modo chiaro e leggibile, al più tardi all’inizio del processo di ordinazione, se si applicano restrizioni relative alla consegna e quali mezzi di pagamento sono accettati. 4. Se il contratto è concluso mediante un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato per visualizzare le informazioni, il professionista fornisce, su quel mezzo in particolare e prima della conclusione del contratto, almeno le informazioni precontrattuali riguardanti le caratteristiche principali dei beni o servizi, l’identità del professionista, il prezzo totale, il diritto di recesso, la durata del contratto e, nel caso di contratti a tempo indeterminato, le condizioni di risoluzione del contratto, conformemente all’articolo 49, comma 1, lettere a), b), e), h) e q). Le altre informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, sono fornite dal professionista in un modo appropriato conformemente al comma 1 del presente articolo. 5. Fatto salvo il comma 4, se il professionista telefona al consumatore al fine di concludere un contratto a distanza, all’inizio della conversazione con il consumatore egli deve rivelare la sua identità e, ove applicabile, l’identità della persona per conto della quale effettua la telefonata, nonché’ lo scopo commerciale della chiamata e l’informativa di cui all’articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 178. 6. Quando un contratto a distanza deve essere concluso per telefono, il professionista deve confermare l’offerta al consumatore, il quale è vincolato solo dopo aver firmato l’offerta o dopo averla accettata per iscritto; in tali casi il documento informatico può essere sottoscritto con firma elettronica ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Dette conferme possono essere effettuate, se il consumatore acconsente, anche su un supporto durevole. 7. Il professionista fornisce al consumatore la conferma del contratto concluso su un mezzo durevole, entro un termine ragionevole dopo la conclusione del contratto a distanza e al più tardi al momento della consegna dei beni oppure prima che l’esecuzione del servizio abbia inizio. Tale conferma comprende: a) tutte le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, a meno che il professionista non abbia già fornito l’informazione al consumatore su un mezzo durevole prima della conclusione del contratto a distanza; e b) se del caso, la conferma del previo consenso espresso e dell’accettazione del consumatore conformemente all’articolo 59, lettera o). 30 Il Condominio Nuovo 8. Se un consumatore vuole che la prestazione di servizi ovvero la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento inizi durante il periodo di recesso previsto all’articolo 52, comma 2, il professionista esige che il consumatore ne faccia richiesta esplicita. 9. Il presente articolo lascia impregiudicate le disposizioni relative alla conclusione di contratti elettronici e all’inoltro di ordini per via elettronica conformemente agli articoli 12, commi 2 e 3, e 13 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, e successive modificazioni. Art. 52. Diritto di recesso 1. Fatte salve le eccezioni di cui all’articolo 59, il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali senza dover fornire alcuna motivazione e senza dover sostenere costi diversi da quelli previsti all’articolo 56, comma 2, e all’articolo 57. 2. Fatto salvo l’articolo 53, il periodo di recesso di cui al comma 1 termina dopo quattordici giorni a partire: a) nel caso dei contratti di servizi, dal giorno della conclusione del contratto; b) nel caso di contratti di vendita, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dei beni o: 1) nel caso di beni multipli ordinati dal consumatore mediante un solo ordine e consegnati separatamente, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo bene; 2) nel caso di consegna di un bene costituito da lotti o pezzi multipli, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo lotto o pezzo; 3) nel caso di contratti per la consegna periodica di beni durante un determinato periodo di tempo, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico del primo bene; c) nel caso di contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale, dal giorno della conclusione del contratto. 3. Le parti del contratto possono adempiere ai loro obblighi contrattuali durante il periodo di recesso. Tuttavia, nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, il professionista non può accettare, a titolo di corrispettivo, effetti cambiari che abbiano una scadenza inferiore a quindici giorni dalla conclusione del contratto per i contratti di servizi o dall’acquisizione del possesso fisico dei beni per i contratti di vendita e non può presentarli allo sconto prima di tale termine. Art. 53. Non adempimento dell’obbligo d’informazione sul diritto di recesso 1. Se in violazione dell’articolo 49, comma 1, lettera h), il professionista non fornisce al consumatore le informazioni sul diritto di recesso, il periodo di recesso termina dodici mesi dopo la fine del periodo di recesso iniziale, come determinato a norma dell’articolo 52, comma 2. 2. Se il professionista fornisce al consumatore le informazioni di cui al comma 1 entro dodici mesi dalla data di cui all’articolo 52, comma 2, il periodo di recesso termina quattordici giorni dopo il giorno in cui il consumatore riceve le informazioni. Art. 54. Esercizio del diritto di recesso 1. Prima della scadenza del periodo di recesso, il consumatore informa il professionista della sua decisione di esercitare il diritto di recesso dal contratto. A tal fine il consumatore può: a) utilizzare il modulo tipo di recesso di cui all’allegato I, parte B; oppure b) presentare una qualsiasi altra dichiarazione esplicita della sua decisione di recedere dal contratto. 2. Il consumatore ha esercitato il proprio diritto di recesso entro il periodo di recesso di cui all’articolo 52, comma 2, e all’articolo 53 se la comunicazione relativa all’esercizio del diritto di recesso è inviata dal consumatore prima della scadenza del periodo di recesso. 3. Il professionista, oltre alle possibilità di cui al comma 1, può offrire al consumatore l’opzione di compilare e inviare elettronicamente il modulo di recesso tipo riportato all’allegato I, parte B, o una qualsiasi altra dichiarazione esplicita sul sito web del professionista. In tali casi il professionista comunica senza indugio al consumatore una conferma di ricevimento, su un supporto durevole, del recesso esercitato. 4. L’onere della prova relativa all’esercizio del diritto di recesso conformemente al presente articolo incombe sul consumatore. 31 Il Condominio Nuovo Art. 55. Effetti del recesso 1. L’esercizio del diritto di recesso pone termine agli obblighi delle parti: a) di eseguire il contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali; oppure b) di concludere un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali nei casi in cui un’offerta sia stata fatta dal consumatore. Art. 56. Obblighi del professionista nel caso di recesso 1. Il professionista rimborsa tutti i pagamenti ricevuti dal consumatore, eventualmente comprensivi delle spese di consegna, senza indebito ritardo e comunque entro quattordici giorni dal giorno in cui è informato della decisione del consumatore di recedere dal contratto ai sensi dell’articolo 54. Il professionista esegue il rimborso di cui al primo periodo utilizzando lo stesso mezzo di pagamento usato dal consumatore per la transazione iniziale, salvo che il consumatore abbia espressamente convenuto altrimenti e a condizione che questi non debba sostenere alcun costo quale conseguenza del rimborso. Nell’ipotesi in cui il pagamento sia stato effettuato per mezzo di effetti cambiari, qualora questi non siano stati ancora presentati all’incasso, deve procedersi alla loro restituzione. E’ nulla qualsiasi clausola che preveda limitazioni al rimborso nei confronti del consumatore delle somme versate in conseguenza dell’esercizio del diritto di recesso. 2. Fatto salvo il comma 1, il professionista non è tenuto a rimborsare i costi supplementari, qualora il consumatore abbia scelto espressamente un tipo di consegna diversa dal tipo meno costoso di consegna offerto dal professionista. 3. Salvo che il professionista abbia offerto di ritirare egli stesso i beni, con riguardo ai contratti di vendita, il professionista può trattenere il rimborso finche’ non abbia ricevuto i beni oppure finche’ il consumatore non abbia dimostrato di aver rispedito i beni, a seconda di quale situazione si verifichi per prima. Art. 57. Obblighi del consumatore nel caso di recesso 1. A meno che il professionista abbia offerto di ritirare egli stesso i beni, il consumatore restituisce i beni o li consegna al professionista o a un terzo autorizzato dal professionista a ricevere i beni, senza indebito ritardo e in ogni caso entro quattordici giorni dalla data in cui ha comunicato al professionista la sua decisione di recedere dal contratto ai sensi dell’articolo 54. Il termine è rispettato se il consumatore rispedisce i beni prima della scadenza del periodo di quattordici giorni. Il consumatore sostiene solo il costo diretto della restituzione dei beni, purché’ il professionista non abbia concordato di sostenerlo o abbia omesso di informare il consumatore che tale costo è a carico del consumatore. Nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali in cui i beni sono stati consegnati al domicilio del consumatore al momento della conclusione del contratto, il professionista ritira i beni a sue spese qualora i beni, per loro natura, non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta. 2. Il consumatore è responsabile unicamente della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione dei beni diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni. Il consumatore non è in alcun caso responsabile per la diminuzione del valore dei beni se il professionista ha omesso di informare il consumatore del suo diritto di recesso a norma dell’articolo 49, comma 1, lettera h). 3. Qualora un consumatore eserciti il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta in conformità dell’articolo 50, comma 3, o dell’articolo 51, comma 8, il consumatore versa al professionista un importo proporzionale a quanto è stato fornito fino al momento in cui il consumatore ha informato il professionista dell’esercizio del diritto di recesso, rispetto a tutte le prestazioni previste dal contratto. L’importo proporzionale che il consumatore deve pagare al professionista è calcolato sulla base del prezzo totale concordato nel contratto. Se detto prezzo totale è eccessivo, l’importo proporzionale è calcolato sulla base del valore di mercato di quanto è stato fornito. 4. Il consumatore non sostiene alcun costo per: a) la prestazione di servizi o la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento, in tutto o in parte, durante il periodo di recesso quando: 1) il professionista ha omesso di fornire informazioni in conformità all’articolo 49, comma 1, lettere h) ed l); oppure 2) il consumatore non ha espressamente chiesto che la prestazione iniziasse durante il periodo di recesso in conformità all’articolo 50, comma 3, e dell’articolo 51, comma 8; oppure b) la fornitura, in tutto o in parte, del contenuto digitale che non è fornito su un supporto materiale quando: 1) il consumatore non ha dato il suo previo consenso espresso circa l’inizio della prestazione prima della 32 Il Condominio Nuovo fine del periodo di quattordici giorni di cui all’articolo 52; 2) il consumatore non ha riconosciuto di perdere il diritto di recesso quando ha espresso il suo consenso; oppure 3) il professionista ha omesso di fornire la conferma conformemente all’articolo 50, comma 2, o all’articolo 51, comma 7. 5. Fatto salvo quanto previsto nell’articolo 56, comma 2, e nel presente articolo, l’esercizio del diritto di recesso non comporta alcuna responsabilità per il consumatore. Art. 58. Effetti dell’esercizio del diritto di recesso sui contratti accessori 1. Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, e successive modificazioni, in materia di contratti di credito ai consumatori, se il consumatore esercita il suo diritto di recesso da un contratto a distanza o concluso fuori dei locali commerciali a norma degli articoli da 52 a 57, eventuali contratti accessori sono risolti di diritto, senza costi per il consumatore, ad eccezione di quelli previsti dall’articolo 56, comma 2, e dall’articolo 57. Art. 59. Eccezioni al diritto di recesso 1. Il diritto di recesso di cui agli articoli da 52 a 58 per i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali è escluso relativamente a: a) i contratti di servizi dopo la completa prestazione del servizio se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del consumatore e con l’accettazione della perdita del diritto di recesso a seguito della piena esecuzione del contratto da parte del professionista; b) la fornitura di beni o servizi il cui prezzo è legato a fluttuazioni nel mercato finanziario che il professionista non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso; c) la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati; d) la fornitura di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente; e) la fornitura di beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna; f) la fornitura di beni che, dopo la consegna, risultano, per loro natura, inscindibilmente mescolati con altri beni; g) la fornitura di bevande alcoliche, il cui prezzo sia stato concordato al momento della conclusione del contratto di vendita, la cui consegna possa avvenire solo dopo trenta giorni e il cui valore effettivo dipenda da fluttuazioni sul mercato che non possono essere controllate dal professionista; h) i contratti in cui il consumatore ha specificamente richiesto una visita da parte del professionista ai fini dell’effettuazione di lavori urgenti di riparazione o manutenzione. Se, in occasione di tale visita, il professionista fornisce servizi oltre a quelli specificamente richiesti dal consumatore o beni diversi dai pezzi di ricambio necessari per effettuare la manutenzione o le riparazioni, il diritto di recesso si applica a tali servizi o beni supplementari; i) la fornitura di registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna; l) la fornitura di giornali, periodici e riviste ad eccezione dei contratti di abbonamento per la fornitura di tali pubblicazioni; m) i contratti conclusi in occasione di un’asta pubblica; n) la fornitura di alloggi per fini non residenziali, il trasporto di beni, i servizi di noleggio di autovetture, i servizi di catering o i servizi riguardanti le attività del tempo libero qualora il contratto preveda una data o un periodo di esecuzione specifici; o) la fornitura di contenuto digitale mediante un supporto non materiale se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del consumatore e con la sua accettazione del fatto che in tal caso avrebbe perso il diritto di recesso. Sezione III Altri diritti del consumatore Art. 60. Ambito di applicazione 1. Gli articoli 61 e 63 si applicano ai contratti di vendita. Detti articoli non si applicano ai contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale. 2. Gli articoli 62, 64 e 65 si applicano ai contratti di vendita, ai contratti di servizio e ai contratti di fornitura di acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale. 33 Il Condominio Nuovo Art. 61. Consegna 1. Salva diversa pattuizione delle parti del contratto di vendita, il professionista è obbligato a consegnare i beni al consumatore senza ritardo ingiustificato e al più tardi entro trenta giorni dalla data di conclusione del contratto. 2. L’obbligazione di consegna è adempiuta mediante il trasferimento della disponibilità materiale o comunque del controllo dei beni al consumatore. 3. Se il professionista non adempie all’obbligo di consegna dei beni entro il termine pattuito ovvero entro il termine di cui al comma 1, il consumatore lo invita ad effettuare la consegna entro un termine supplementare appropriato alle circostanze. Se il termine supplementare così concesso scade senza che i beni gli siano stati consegnati, il consumatore è legittimato a risolvere il contratto, salvo il diritto al risarcimento dei danni. 4. Il consumatore non è gravato dall’onere di concedere al professionista il termine supplementare di cui al comma 3 se: a) il professionista si è espressamente rifiutato di consegnare i beni, ovvero; b) se il rispetto del termine pattuito dalle parti per la consegna del bene deve considerarsi essenziale, tenuto conto di tutte le circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto, ovvero; c) se il consumatore ha informato il professionista, prima della conclusione del contratto, che la consegna entro o ad una data determinata è essenziale. 5. Nei casi previsti dal comma 4, se non riceve in consegna il bene entro il termine pattuito con il professionista ovvero entro il termine di cui al comma 1, il consumatore è legittimato a risolvere immediatamente il contratto, salvo il diritto al risarcimento dei danni. 6. Nel caso di risoluzione posta in essere dal consumatore a norma dei commi 3 e 5, il professionista è tenuto a rimborsargli senza indebito ritardo tutte le somme versate in esecuzione del contratto. 7. E’ fatta salva la possibilità per il consumatore di far valere i diritti di cui al Capo XIV del Titolo II del Libro IV del codice civile. Art. 62. Tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento 1. Ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di detti strumenti, ovvero nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista. 2. L’istituto di emissione della carta di pagamento riaccredita al consumatore i pagamenti in caso di addebitamento eccedente rispetto al prezzo pattuito ovvero in caso di uso fraudolento della propria carta di pagamento da parte del professionista o di un terzo. L’istituto di emissione della carta di pagamento ha diritto di addebitare al professionista le somme riaccreditate al consumatore. Art. 63. Passaggio del rischio 1. Nei contratti che pongono a carico del professionista l’obbligo di provvedere alla spedizione dei beni il rischio della perdita o del danneggiamento dei beni, per causa non imputabile al venditore, si trasferisce al consumatore soltanto nel momento in cui quest’ultimo, o un terzo da lui designato e diverso dal vettore, entra materialmente in possesso dei beni. 2. Tuttavia, il rischio si trasferisce al consumatore già nel momento della consegna del bene al vettore qualora quest’ultimo sia stato scelto dal consumatore e tale scelta non sia stata proposta dal professionista, fatti salvi i diritti del consumatore nei confronti del vettore. Art. 64. Comunicazione telefonica 1. Qualora il professionista utilizza una linea telefonica allo scopo di essere contattato dal consumatore per telefono in merito al contratto concluso, il consumatore non è tenuto a pagare più della tariffa di base quando contatta il professionista, fermo restando il diritto dei fornitori dei servizi di comunicazione elettronica di applicare una tariffa per dette telefonate. Art. 65. Pagamenti supplementari 1. Prima che il consumatore sia vincolato dal contratto o dall’offerta, il professionista chiede il consenso espresso del consumatore per qualsiasi pagamento supplementare oltre alla remunerazione concordata per l’obbligo contrattuale principale del professionista. Se il professionista non ottiene il consenso espresso del consumatore ma l’ha dedotto utilizzando opzioni prestabilite che il consumatore deve rifiutare per evitare il pagamento supplementare, il consumatore ha diritto al rimborso di tale pagamento. 34 Il Condominio Nuovo Sezione IV Disposizioni generali Art. 66. Tutela amministrativa e giurisdizionale 1. Al fine di garantire il rispetto delle disposizioni contenute nelle Sezioni da I a IV del presente Capo da parte degli operatori, trovano applicazione le disposizioni di cui agli articoli 27, 139, 140, 140-bis, 141 e 144 del presente Codice. 2. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, accerta le violazioni delle norme di cui alle Sezioni da I a IV del presente Capo, ne inibisce la continuazione e ne elimina gli effetti. 3. In materia di accertamento e sanzione delle violazioni, si applica l’articolo 27, commi da 2 a 15, del presente Codice. 4. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato svolge le funzioni di autorità competente ai sensi dell’articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, nelle materie di cui alle Sezioni da I a IV del presente Capo. 5. E’ comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario. E’ altresì fatta salva la possibilità di promuovere la risoluzione extragiudiziale delle controversie inerenti al rapporto di consumo, nelle materie di cui alle Sezioni da I a IV del presente Capo, presso gli organi costituiti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580. Art. 66-bis. Foro competente 1. Per le controversie civili inerenti all’applicazione delle Sezioni da I a IV del presente capo la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato. Art. 66-ter. Carattere imperativo 1. Se il diritto applicabile al contratto è quello di uno Stato membro dell’Unione europea, i consumatori residenti in Italia non possono rinunciare ai diritti conferiti loro dalle disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo. 2. Eventuali clausole contrattuali che escludano o limitino, direttamente o indirettamente, i diritti derivanti dalle disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo, non vincolano il consumatore. Art. 66-quater. Informazione e ricorso extragiudiziale 1. Le comunicazioni e i documenti relativi ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali e ai contratti a distanza, ivi compresi i moduli, i formulari, le note d’ordine, la pubblicità o le comunicazioni sui siti Internet, devono contenere un riferimento al presente Capo. 2. L’operatore può adottare appositi codici di condotta, secondo le modalità di cui all’articolo 27-bis. 3. Per la risoluzione delle controversie sorte dall’esatta applicazione dei contratti disciplinati dalle disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente capo è possibile ricorrere alle procedure di mediazione, di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. E’ fatta salva la possibilità di utilizzare le procedure di negoziazione volontaria e paritetica previste dall’articolo 2, comma 2, dello stesso decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Art. 66-quinquies. Fornitura non richiesta 1. Il consumatore è esonerato dall’obbligo di fornire qualsiasi prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta di beni, acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale o di prestazione non richiesta di servizi, vietate dall’articolo 20, comma 5, e dall’articolo 26, comma 1, lettera f), del presente Codice. In tali casi, l’assenza di una risposta da parte del consumatore in seguito a tale fornitura non richiesta non costituisce consenso. 2. Salvo consenso del consumatore, da esprimersi prima o al momento della conclusione del contratto, il professionista non può adempiere eseguendo una fornitura diversa da quella pattuita, anche se di valore e qualità equivalenti o superiori. Art. 67. Tutela in base ad altre disposizioni 1. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non escludono ne’ limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico di fonte comunitaria o adottate in conformità a norme comunitarie. 2. Per quanto non previsto dalle Sezioni da I a IV del presente Capo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di validità, formazione o efficacia dei contratti. 35 Il Condominio Nuovo 3. Ai contratti di cui alla sezione III del presente Capo si applicano altresì le disposizioni di cui agli articoli 18, 19 e 20 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e successive modificazioni, recante riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n 59.”. 2. Nel decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, è aggiunto l’allegato I, nel testo allegato al presente decreto. I riferimenti alle norme del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sostituite da quelle di cui al comma 1 e contenuti in altre disposizioni normative, si intendono fatti alle corrispondenti norme sostitutive di cui al medesimo comma 1. 3. All’articolo 26, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, le parole: “salvo quanto previsto dall’articolo 54, comma 2, secondo periodo” sono sostituite dalle seguenti: “salvo quanto previsto dall’articolo 66-sexies, comma 2”. 4. All’articolo 81, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 le parole: “l’articolo 62, comma 3” sono sostituite dalle seguenti: “l’articolo 66”. 5. All’articolo 144-bis, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, le lettere a), b), f) e g) sono soppresse, e alla lettera h) le parole: “contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili, di cui alla parte III, titolo IV, capo I”, sono sostituite dalle seguenti: “contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio, di cui alla parte III, titolo IV, capo I”. 6. All’articolo 27 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il comma 1 è inserito il seguente: “1-bis. Anche nei settori regolati, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente. Resta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze.”; b) al comma 9, le parole: “500.000,00 euro” sono sostituite dalle seguenti: “5.000.000 euro”; c) al comma 12, le parole: “150.000 euro” sono sostituite dalle seguenti: “5.000.000 euro”. 7. Il comma 12-quinquiesdecies dell’articolo 23 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, è abrogato. Art. 2 Disposizioni finali 1. Le modifiche apportate al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, dall’articolo 1, commi 1, 2, 3, 4 e 5, del presente decreto legislativo entrano in vigore dal 13 giugno 2014 e si applicano ai contratti conclusi dopo tale data. 2. Il Ministero dello sviluppo economico informa la Commissione europea entro il 13 dicembre 2013 o, al più tardi, entro dieci giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, delle disposizioni adottate agli articoli 47, comma 2, 49, commi 7, 8 e 9, 50, comma 4, 51, comma 6, e 52, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, come modificati dal presente decreto legislativo, ai sensi delle scelte normative previste rispettivamente all’articolo 3, paragrafo 4, all’articolo 6, paragrafi 7 e 8, all’articolo 7, paragrafo 4, all’articolo 8, paragrafo 6, e all’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2011/83/UE. Il Ministero dello sviluppo economico comunica altresì alla Commissione europea qualsiasi successiva modifica adottata in relazione alle citate scelte normative previste dalla direttiva comunitaria. 3. Il Ministero dello sviluppo economico comunica alla Commissione europea le disposizioni di protezione dei consumatori più rigorose di quelle previste dalla direttiva 93/13/CE in materia di clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, in particolare qualora tali disposizioni: a) estendano la valutazione di abusività a clausole contrattuali negoziate individualmente o all’adeguatezza del prezzo o della remunerazione, oppure b) contengano liste di clausole contrattuali che devono essere considerate abusive. 4. Il Ministero dello sviluppo economico comunica alla Commissione le disposizioni di protezione dei consumatori più rigorose di quelle previste dalla direttiva 99/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, qualora tali disposizioni riguardino i termini della durata della garanzia legale nella vendita di beni di consumo sia per i nuovi beni che per i beni usati. 5. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente 36 Il Condominio Nuovo decreto con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addi’ 21 febbraio 2014 NAPOLITANO Letta, Presidente del Consiglio dei ministri Moavero Milanesi, Ministro per gli affari europei Zanonato, Ministro dello sviluppo economico Bonino, Ministro degli affari esteri Cancellieri, Ministro della giustizia Saccomanni, Ministro dell’economia edelle finanze Visto, il Guardasigilli: Orlando Allegato (previsto dall’articolo 1, comma 1) “ALLEGATO I. Informazioni relative all’esercizio del diritto di recesso A. Istruzioni tipo sul recesso - ai sensi dell’art.49, comma 4, Diritto di recesso Lei ha il diritto di recedere dal contratto, senza indicarne le ragioni, entro 14 giorni. Il periodo di recesso scade dopo 14 giorni dal giorno [1]. Per esercitare il diritto di recesso, Lei è tenuto a informarci [2] della sua decisione di recedere dal presente contratto tramite una dichiarazione esplicita (ad esempio lettera inviata per posta, fax o posta elettronica). A tal fine può utilizzare il modulo tipo di recesso allegato, ma non è obbligatorio [3]. Per rispettare il termine di recesso, è sufficiente che Lei invii la comunicazione relativa all’esercizio del diritto di recesso prima della scadenza del periodo di recesso. Effetti del recesso Se Lei recede dal presente contratto, Le saranno rimborsati tutti i pagamenti che ha effettuato a nostro favore, compresi i costi di consegna (ad eccezione dei costi supplementari derivanti dalla Sua eventuale scelta di un tipo di consegna diverso dal tipo meno costoso di consegna standard da noi offerto), senza indebito ritardo e in ogni caso non oltre 14 giorni dal giorno in cui siamo informati della Sua decisione di recedere dal presente contratto. Detti rimborsi saranno effettuati utilizzando lo stesso mezzo di pagamento da Lei usato per la transazione iniziale, salvo che Lei non abbia espressamente convenuto altrimenti; in ogni caso, non dovrà sostenere alcun costo quale conseguenza di tale rimborso [4] [5] [6] Istruzioni per la compilazione [1] Inserire uno dei seguenti testi tra virgolette: a) in caso di un contratto di servizi o di un contratto per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale che non è fornito su un supporto materiale: «della conclusione del contratto.»; b) nel caso di un contratto di vendita: «in cui Lei o un terzo, diverso dal vettore e da Lei designato, acquisisce il possesso fisico dei beni.»; c) nel caso di un contratto relativo a beni multipli ordinati dal consumatore in un solo ordine e consegnati separatamente: «in cui Lei o un terzo, diverso dal vettore e da Lei designato, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo bene.»; d) nel caso di un contratto relativo alla consegna di un bene consistente di lotti o pezzi multipli: «in cui Lei o un terzo, diverso dal vettore e da Lei designato, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo lotto o pezzo.»; e) nel caso di un contratto per la consegna periodica di beni durante un determinato periodo di tempo: «in cui Lei o un terzo, diverso dal vettore e da Lei designato, acquisisce il possesso fisico del primo bene.» 37 Il Condominio Nuovo [2] Inserire il nome, l’indirizzo geografico e, qualora disponibili, il numero di telefono e di fax e l’indirizzo di posta elettronica. [3] Se Lei da’ al consumatore la possibilità di compilare e inviare elettronicamente le informazioni relative al recesso dal contratto sul Suo sito web, inserire quanto segue: «Può anche compilare e inviare elettronicamente il modulo tipo di recesso o qualsiasi altra esplicita dichiarazione sul nostro sito web [inserire l’indirizzo]. Nel caso scegliesse detta opzione, Le trasmetteremo senza indugio una conferma di ricevimento del recesso su un supporto durevole (ad esempio per posta elettronica).» [4] Per i contratti di vendita nei quali Lei non ha offerto di ritirare i beni in caso di recesso, inserire quanto segue: «Il rimborso può essere sospeso fino al ricevimento dei beni oppure fino all’avvenuta dimostrazione da parte del consumatore di aver rispedito i beni, se precedente.» [5] Se il consumatore ha ricevuto i beni oggetto del contratto: a) Inserire: - «Ritireremo i beni.»; oppure - «E’ pregato di rispedire i beni o di consegnarli a noi o a . [inserire il nome e l’indirizzo geografico, se del caso, della persona da Lei autorizzata a ricevere i beni], senza indebiti ritardi e in ogni caso entro 14 giorni dal giorno in cui ci ha comunicato il suo recesso dal presente contratto. Il termine è rispettato se Lei rispedisce i beni prima della scadenza del periodo di 14 giorni.» b) Inserire: - «I costi della restituzione dei beni saranno a nostro carico.», - «I costi diretti della restituzione dei beni saranno a Suo carico.», - Se, in un contratto a distanza, Lei non offre di sostenere il costo della restituzione dei beni e questi ultimi, per loro natura, non possono essere normalmente restituiti a mezzo posta: «Il costo diretto di . EUR [inserire l’importo] per la restituzione dei beni sarà a Suo carico.»; oppure se il costo della restituzione dei beni non può essere ragionevolmente calcolato in anticipo: «Il costo diretto della restituzione dei beni sarà a Suo carico. Il costo è stimato essere pari a un massimo di circa . EUR [inserire l’importo].», oppure - Se, in caso di un contratto negoziato fuori dei locali commerciali, i beni, per loro natura, non possono essere normalmente restituiti a mezzo posta e sono stati consegnati al domicilio del consumatore alla data di conclusione del contratto: «Ritireremo i beni a nostre spese.» c) inserire: «Lei è responsabile solo della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione del bene diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni.» [6] In caso di un contratto per la fornitura di acqua, gas ed elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento, inserire quanto segue: «Se Lei ha chiesto di iniziare la prestazione di servizi o la fornitura di acqua/gas elettricità/teleriscaldamento [cancellare la dicitura inutile] durante il periodo di recesso, è tenuto a pagarci un importo proporzionale a quanto fornito fino al momento in cui Lei ha ci comunicato il Suo recesso dal presente contratto, rispetto a tutte le prestazioni previste dal contratto.» B. Modulo di recesso tipo - ai sensi dell’art.49, comma 1, lett. h) - (compilare e restituire il presente modulo solo se si desidera recedere dal contratto) - Destinatario [il nome, l’indirizzo geografico e, qualora disponibili, il numero di telefono, di fax e gli indirizzi di posta elettronica devono essere inseriti dal professionista]: - Con la presente io/noi (*) notifichiamo il recesso dal mio/nostro (*) contratto di vendita dei seguenti beni/ servizi (*) - Ordinato il (*)/ricevuto il (*) - Nome del/dei consumatore(i) - Indirizzo del/dei consumatore(i) - Firma del/dei consumatore(i) (solo se il presente modulo è notificato in versione cartacea) - Data (*) Cancellare la dicitura inutile. “Parte di provvedimento in formato grafico” 38 Il GIURISPRUDENZA Condominio Nuovo Recenti sentenze in materia di condominio tario) affidatario dei figli, opponibilità al terzo acquirente - Alienazione dopo l’assegnazione, modificabilità assegnazione per fatti sopravvenuti - Azioni del terzo a tutela dei propri diritti Pietro D’Antò Avvocato Curatore del sito www.iussit.com ASCENSORE Riparto spese La proprietà dell’ascensore è comune a tutti i condomini, salvo titolo diverso. Il criterio di ripartizione delle relative spese contenuto nell’art. 1124 cod. civ. non incide sul regime di proprietà. La Suprema Corte, già in precedenza, con sentenza n. 5975 del 2004, si era espressa nei seguenti termini: “in tema di criteri di riparto delle spese riguardanti la manutenzione, ricostruzione e installazione dell’ascensore”, “dopo aver ribadito che la disciplina contenuta negli artt. 1123-1125 cod. civ., sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni, è suscettibile di deroga con atto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento condominiale che abbia natura contrattuale, ha affermato che “deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime. In quest’ultima ipotesi, nel caso cioè in cui una clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di taluni condomini l’esenzione totale dall’onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese (comprese quelle di conservazione), in ordine a una determinata cosa comune (come ad es. l’ascensore), si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del fabbricato”. “In assenza di siffatta previsione contrattuale, la proprietà comune del bene impone la partecipazione di tutti i condomini alle decisioni che concernono detto bene.”(Corte di Cassazione, sentenza n. 14697 del 14 luglio 2015) CASA FAMILIARE Assegnazione casa familiare al coniuge (non proprie- “Sia in sede di separazione che di divorzio – gli artt. 155 quater c.c. (applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis) e 6, co. 6, della L. n. 898 del 1970, come modificato dall’art. 11 della L. n. 74 del 1987, consentono al giudice di assegnare l’abitazione al coniuge non titolare di un diritto di godimento (reale o personale) sull’immobile, solo se a lui risultino affidati figli minori, ovvero con lui risultino conviventi figli maggiorenni non autosufficienti. Tale “ratio” protettiva, che tutela l’interesse dei figli a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile, invece, in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso i quali non sussiste, invero, proprio in ragione della loro acquisita autonomia ed indipendenza economica, esigenza alcuna di spedale protezione (cfr., ex plurimis, Cass. 5857/2002; 25010/2007; 21334/2013).” “l’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario risponde all’esigenza di tutela degli interessi dei figli, con particolare riferimento alla conservazione del loro “habitat” domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi, con la conseguenza che detta assegnazione non ha più ragion d’essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione. (Cass. 6706/2000). Come per tutti i provvedimenti conseguenti alla pronuncia di separazione o di divorzio, dunque, anche per l’assegnazione della casa familiare vale il principio generale della modificabilità in ogni tempo per fatti sopravvenuti.” “ Ed invero, ai sensi dell’art. 6, co. 6, della legge n. 898 del 1970 (nel testo sostituito dall’art. 11 della l. n. 74 del 1987), applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni. Tale opponibilità conserva, beninteso, il suo valore finché perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale, costituente il titolo in forza del quale il coniuge, che 39 Il Condominio Nuovo non sia titolare di un diritto reale o personale di godimento dell’immobile, acquisisce il diritto di occuparlo, in quanto affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti (cfr. Cass. S.U. 11096/2002, in motivazione; Cass. 5067/2003; 9181/2004; 12296/2005; 4719/2006). È fin troppo evidente, infatti, che il perdurare sine die dell’occupazione dell’immobile – perfino quando ne siano venuti meno i presupposti, per essere i figli divenuti ormai autonomi economicamente – si risolverebbe in un ingiustificato, durevole, pregiudizio al diritto del proprietario terzo di godere e disporre del bene, ai sensi degli artt. 42 Cost. e 832 c.c. Una siffatta lettura delle succitate norme che regolano l’assegnazione della casa coniugale (v. ora l’art. 337 sexies c.c.), del resto, presterebbe certamente il fianco a facili censure di incostituzionalità. Ciò posto, va rilevato che l’efficacia della pronuncia giudiziale del provvedimento di assegnazione in parola può essere messa in discussione tra i coniugi, circa il perdurare dell’interesse dei figli, nelle forme del procedimento di revisione previsto all’art. 9 della L. n. 898 del 1970, attraverso la richiesta di revoca del provvedimento di assegnazione, per il sopravvenuto venir meno dei presupposti che ne avevano giustificato l’emissione. Per converso, deve ritenersi che il terzo acquirente – non legittimato ad attivare il procedimento suindicato – non possa che proporre, instaurando un ordinario giudizio di cognizione, una domanda di accertamento dell’insussistenza delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale, per essere venuta meno la presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, con il medesimo conviventi. E ciò al fine di conseguire una declaratoria di inefficacia del titolo che legittima l’occupazione della casa coniugale da parte del coniuge assegnatario, a tutela della pienezza delle facoltà connesse al diritto dominicale acquisito, non più recessive rispetto alle esigenze di tutela dei figli della coppia separata o divorziata (cfr. Cass. 18440/2013, secondo cui ogni questione relativa al diritto di proprietà della casa coniugale o al diritto di abitazione sull’immobile esula dalla competenza funzionale del giudice della separazione o del divorzio, e va proposta con il giudizio di cognizione ordinaria). In mancanza, il terzo – non potendo attivare il procedimento, riservato ai coniugi, di cui all’art. 9 della legge sul divorzio – resterebbe, per il vero, del tutto privo di tutela, in violazione del disposto dell’art. 24 Cost..” (Corte di Cassazione, sentenza n. 15367 del 22 luglio 2015) POSSESSO Distinzione tra possesso ad usucapionem e e situazione di fatto tutelabile in sede di azione di reintegrazione In un giudizio avente ad oggetto l’utilizzo di una nicchia che era nel compossesso di tutti i condomini, la Corte ha affermato che “Per la configurabilità del possesso (“ad usucapionem”), è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).” Ha anche precisato che “Occorre distinguere tra possesso utile ai fini della usucapione e situazione di fatto tutelabile in sede di azione di reintegrazione, indipendentemente dalla prova che spetti un diritto, da parte di chi è privato violentemente od occultamente della disponibilità del bene. La relativa legittimazione attiva spetta non solo al possessore iuri dominus ma anche al detentore nei confronti dello spoliator che sia titolare del diritto e tenti di difendersi opponendo che “feci sed iure feci”. La prova dell’attualità del possesso è un presupposto per l’accoglimento della domanda essendo necessario provare una situazione di fatto, protrattasi per un periodo di tempo apprezzabile ed avente i caratteri esteriori di un diritto reale (Cass. 1 agosto 2007 n. 16974,7 ottobre 1991 n. 10470).” (Corte di Cassazione, sentenza n. 6643 del 1° aprile 2015) BENE COMUNE Cass. 12157 , 11 giugno 2015 Corridoio di servizio di rispostigli Ha natura condominiale il corridoio di servizio dei ripostigli-sottotetto anche nel caso in cui la proprietà dei ripostigli appartenga ad un solo soggetto, salvo titolo diverso che valga a documentare la proprietà esclusiva del corridoio. E’ quanto emerge dalla sentenza n. 12157 dell’ 11 giugno 2015, con la quale, in materia di condominialità, la S.C. ribadisce e precisa che “In tema di condominio è stabile insegnamento di questa Corte che la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli. Solo in difetto di questi ultimi, il sottotetto può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (Cass. 17249/11). Ciò vale in particolare quando il sottotetto abbia 40 Il dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, come sembra accadere nel caso di specie, trattandosi di ambienti destinati a ripostiglio-cantina.“ Ed aggiunge che per il carattere della condominialità “ha rilievo la destinazione funzionale del bene all’uso di più condomini proprietari di singole unità sottotetto.” Nel caso posto all’esame della Corte “la presunzione di proprietà comune, di cui al citato art. 1117 cod., si fonda su elementi obiettivi che rivelano l’attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo: la creazione di un corridoio presuppone infatti un uso che serva alla collettività, funzionale a due o più numerose proprietà singole, che nella specie sussistevano all’atto della costituzione del condominio”. “È ben difficile sostenere comunque che un corridoio concepito e costruito per l’accesso a molti distinti vani ripostiglio sia un bene avente una propria autonomia e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio, almeno potenziale, rispetto all’edificio condominiale. “ A nulla rileva pertanto che non sia asservito alla ‘proprietà di altri condomini o che ‘la generalità di essi’ non abbia interesse all’utilizzazione. La pluralità dei soggetti potenzialmente utilizzatori non è infatti discutibile e non sussistono le caratteristiche strutturali atte a far presumere che alla nascita del condominio quel corridoio sia stato riservato a un proprietario esclusivo” (Corte di Cassazione, sentenza n.12157 dell’ 11 giugno 2015) REGOLAMENTO DI CONDOMINIO Interpretazione restrittiva, per costruzione piscina La costruzione di una piscina in un giardino, a norma di regolamento di condominio, deve ritenersi non vietata quando tra le disposizioni regolamentari non risulti specifico divieto come nel caso di specie: “il terreno non occupato dalla costruzione civile dovrà essere tenuto a giardino. E’ assolutamente vietato anche in via provvisoria la costruzione, in qualsiasi materiale, di pollai, conigliere e simili visibili dal passaggio comune”. La Corte, all’uopo, ha precisato: “E’ vero che in astratto la definizione di giardino non contempla la piscina, mentre prevede, in alcune varianti, fontane, cascate e specchi d’acqua, ma la questione non è nominalistica occorrendo - ai fini della adeguatezza della motivazione -“ (della sentenza impugnata) ”la verifica in concreto delle caratteristiche specifiche del manufatto e del contesto in cui si inserisce, senza trascurare, peraltro, che la previsione regolamentare di “mantenere a giardino” il terreno non edificato è specificata, in via esemplificativa, con il divieto di costruire ricoveri per animali da cortile, e cioè manufatti che per definizione non rientrano nel concetto di giardino” (Corte di Cassazione, sentenza n. 8822 del 30 aprile 2015) Condominio Nuovo RESPONSABILITÀ PER DANNI Chiamata di terzo Il condominio può chiamare in causa il terzo responsabile del fatto generatore del danno, e, cioè, il coobbligato alla prestazione pretesa dalla parte attrice per essere manlevato in caso di soccombenza, senza necessità di usare una particolare formula nell’atto di chiamata. Ritiene la Corte che “Nell’ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di responsabilità civile chiami in causa un terzo in qualità di corresponsabile dell’evento dannoso, chiedendone, in caso di affermazione della propria responsabilità, la condanna a garantirla e manlevarla, l’atto di chiamata, al di là della formula adottata, va inteso come chiamata del terzo responsabile e non già come chiamata in garanzia impropria, dovendosi privilegiare l’effettiva volontà della chiamante in relazione alla finalità, in concreto perseguita, di attribuire al terzo la corresponsabilità dell’evento dannoso e, pertanto, in tal caso, essendo peraltro unico il fatto generatore della responsabilità prospettata con la domanda principale e con la chiamata dei terzi, si verifica l’estensione automatica della domanda al terzo chiamato, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna, anche se l’attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione (Cass. 3 marzo 2010, n. 5057; v. anche Cass. 7 ottobre 2011, n. 20610, pur riferendosi quest’ultima pronunzia all’ipotesi in cui nei confronti del terzo chiamato non sussista alcun rapporto contrattuale, il che non rileva ai fini dell’applicazione del predetto principio al caso di specie, per quanto sopra evidenziato; v. inoltre Cass. 29 luglio 2009, n. 17688).” (Corte di Cassazione, sentenza n. 12598 del 18 giugno 2015) SCALE Proprietà comune “Nel condominio di edifici, le scale, al pari degli anditi, sono annoverate tra i beni che l’articolo 1117 c.c. considera di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo. In proposito, la giurisprudenza ha affermato che le scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, fra le parti di questo che, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni nella loro interezza, ed anche se poste concretamente al servizio soltanto di talune delle porzioni dello stabile, a tutti i partecipanti alla collettività condominiale in virtù del dettato dell’articolo 1117 c.c., n. 1, (Cass. 12-2-1998 n. 1498), senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’articolo 1123 c.c., u.c., il quale, proprio sul presupposto di tale comunione, disciplina soltanto la ripartizione 41 Università degli Studi del Sannio CORSO di ALTA FORMAZIONE per le Amministrazioni Condominiali Convegno di Presentazione. 30 ottobre 2015, ore 10:00 Contenuti Il corso, tenuto da docenti universitari, avvocati ed ingegneri esperti nelle problematiche condominiali, si rivolge a diplomati e laureati di qualsiasi disciplina che intendono specializzarsi nelle materie condominiali, ovvero a chi è già un professionista ma desidera ampliare le proprie competenze ed integrare le proprie attività. A termine del corso sarà rilasciato un attestato di frequenza valido anche per l’esercizio della professione ex art. 71 bis Disp. Att. Cc. DM Ministero della Giustizia n°140/2014. Presso l’Università di Benevento, Dipartimento DEMM, Piazza Arechi, si terrà il convegno di presentazione del in condominio. Durata Il corso avrà inizio il 13 novembre ed avrà una durata di 100 ore, divise in 20 incontri tenuti il venerdì mattina. Sedi: Università di Benevento per le provincie di Benevento e Avellino. Tamarìn Business Center per le provincie di Napoli, Caserta e Salerno. Partners Media Partners Sponsor SPAZIO AL TUO BUSINESS Info e Contatti i prezzi e i moduli di adesione rivolgersi a: Segreteria Tamarìn 0823 28 11 91 [email protected] Università degli Studi del Sannio Piazza Guerrazzi, 1 82100 Benevento [email protected] CONVEGNO di PRESENTAZIONE del CORSO Il convegno avrà come oggetto la presentazione del corso nonché una relazione sulle nuove VENERDI 30 Sala Conferenze Dipartimento DEMM Università degli Studi del Sannio Palazzo De Simone, Piazza Arechi, Benevento OTTOBRE 10.00 Saluti: prof. Giuseppe Marotta Direttore Dipartimento Demm dell’Università degli Studi del Sannio avv. Domenico Vessichelli Vice Presidente dell'Ordine degli avvocati di Benevento dott. Giovanni Cuomo Presidente Ordine Dottori Commercialisti di Benevento Presentazione del Corso: prof. Manlio Lubrano di Scorpaniello Relazioni: avv. Rodolfo Cusano “L’istituto condominiale e le nuove opportunità di lavoro” dott. Enzo Rocco dell’amministratore di condominio” RICHIESTA di ISCRIZIONE al CORSO di ALTA FORMAZIONE per le Amministrazioni Condominiali Il/la Sottoscritto/a Cognome e Nome Luogo di Nascita Codice Fiscale Indirizzo Città Titolo di Studio Professione E-mail Data di Nascita Prov Cap Tel Richiede di iscriversi al “Corso di Alta Formazione per le Amministrazioni Condominiali” presso la sede di: Università di Benevento per le provincie di Benevento e Avellino. Tamarìn Business Center per le provincie di Napoli, Caserta e Salerno. Accetto a cura di LetMeDo S.r.l. Firma del Dichiarante Inviare a: [email protected] il presente modulo scansito. Riceverai un’email con le istruzioni per il pagamento e su come ricevere il 20% di sconto. Il Condominio Nuovo delle spese per la conservazione ed il godimento di esse, ispirandosi al criterio della utilità che ciascun condomino o gruppo di condomini ne trae (Cass. 22-.2-1996 n. 1357). In tale ottica, è stato precisato che le scale, essendo elementi strutturali necessari alla edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, conservano la qualità di parti comuni, così come indicato nell’articolo 1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi con accesso dalla strada, in assenza di titolo contrario, poichè anche tali condomini ne fruiscono quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio (Cass. 10-7-2007 n. 15444).” (Corte di Cassazione, sentenza n. 10483 del 21 maggio 2015) VARCO Apertura nuovo varco, non è opera voluttuaria “In materia di condominio degli edifici, le innovazioni per le quali è consentito al singolo condomino, ai sensi dell’articolo 1121 c.c., di sottrarsi alla relativa spesa per la quota che gli compete, sono quelle che, oltre a riguardare impianti suscettibili di utilizzazione separata, hanno natura voluttuaria, cioè siano prive di utilità, ovvero risultano molto gravose, con riferimento oggettivo alle condizioni e alla importanza dell’edificio (Cass. 23-4-1981 n. 2408). La relativa valutazione integra un accertamento di fatto devoluto al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua (Cass. 18-1-1984 n. 428). Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la Corte di Appello, abbia correttamente, escluso il carattere voluttuario dell’innovazione deliberata, non potendosi attribuire un simile connotato a un’opera che, benchè non strettamente necessaria, si riveli comunque utile per il Condominio, comportando, come nel caso in esame, ” un oggettivo miglioramento della funzionalità del fabbricato”, tenuto conto delle oggettive condizioni e dell’importanza dell’edificio, e cioè che l’apertura di un nuovo accesso da una strada più larga e pianeggiante, costituisce un oggettivo miglioramento rispetto al precedente unico accesso da altra via, strada di larghezza esigua ed in salita, facilitando anche le operazioni di carico e scarico di oggetti ingombranti e la sosta di vetture per il trasporto di persone e di cose. (Corte di Cassazione, sentenza n. 10483 del 21 maggio 2015) dall’ultimo pianerottolo al piano terra … utilizzato per la raccolta a caduta dei rifiuti, che ciascun condomino avrebbe dovuto gettare nel condotto dalla botola di accesso posta al suo pianerottolo” “ è da presumere di proprietà comune in virtù della previsione del n. 3) dell’art. 1117 c.c. - nella formulazione applicabile ratione temporis al caso di specie - e, segnatamente, della prefigurazione ‘canali di scarico’ che vi è ricompresa.” La Corte, nel caso posto all’attenzione degli ermellini, ha precisato che “in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari (invero, alla regola della interversio possessionis, intesa in senso propriamente tecnico, è posta una deroga dall’art. 1102 c.c. nell’ipotesi di compossesso, dato che il compossessore se intende estendere il suo possesso esclusivo sul bene comune, non ha alcuna necessità di fare opposizione al diritto dei condomini, cosi come invece previsto nel caso di vera e propria interversio possessionis, ma è sufficiente solo che compia ‘atti idonei a mutare il titolo del suo possesso’: a tal specifico riguardo cfr. Cass. 15.11.1973, n. 3045), ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi, per un verso, l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, per altro verso, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, per cui ove possa sussistere un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva. (Corte di Cassazione, sentenza n.11903 del 9 giugno 2015) USUCAPIONE Condotto di scarico in muratura della spazzatura – Inizio decorrenza termine per usucapione “ Il condotto di scarico della spazzatura … (che) corre 44 Il BUSINESS&NEWS Condominio Nuovo Affitto Casa: Quale conviene? Il Canone libero, il Concordato o la Cedolare secca? Antonio Crescenzo Presidente dellaTamarin Scarl GestioniPatrimonialiedAmministrazionibeniditerzi Oggi è sempre più complicato districarsi nella giungla delle tasse e spesso per i proprietari di casa nasce il dilemma: ma qual’è, realmente, il vero incasso al netto delle tasse che mi metto in tasca affittando un appartamento? Abbiamo fatto una ipotesi verificando la convenienza sia dalla parte del proprietario che di un inquilino. A parità del reddito netto intascato dal proprietario, che canone è possibile applicare all’inquilino? Il Governo Renzi con il Piano Casa 2014 ha abbassato la cedolare secca dal 15% al 10% per i contratti d’affitto a canone concordato. Procediamo quindi ad un calcolo reale, per i proprietari, nell’applicazione dei vari contratti possibili: il contratto a canone libero, il contratto di locazione con cedolare secca al 20% oppure a canone concordato. Antonio, proprietario di un’appartamento, ha in mente di affittarlo, ma prima vorrebbe capire che tipo di contratto applicare. In primo luogo Antonio deve verificare in quale aliquota di tassazione IRPEF sarà inserito Il proprio reddito, con l’aggiunta dell’affitto annuo che andrà a percepire. Ipotizziamo che Antonio abbia idea di affittare l’abitazione a canone libero di 1.000 euro al mese; ipotizziamo inoltre che Antonio abbia una tassazione IRPEF del 30% o del 40% su questo reddito. il calcolo di convenienza per Antonio sarà in termini di reddito netto, ovvero i soldi effettivamente percepiti dopo aver pagato le imposte. Aliquota IRPEF 30% su reddito lordo di locazione 12.000 euro lordo a Canone Libero Antonio, avrebbe un reddito netto di 8.580,00 euro/anno ed in questo caso potrebbe affittare l’appartamento anche: Come si potrà notare Antonio a parità di reddito netto annuale può applicare canoni di locazione molto diversi, a seconda del tipo di contratto ma, attenzione all’affitto mensile, che da 1.000€ al mese scende circa del 20% e diventa di 795€ nel contratto a canone concordato. Per le imposte da versare, invece, se opta per la cedolare secca al 20% e/o il canone concordato al 10%, Antonio paga molto di meno. Aliquota IRPEF 40% su reddito lordo di locazione 12.000 euro lordi a Canone Libero. Antonio, per avere lo stesso reddito netto di 7.440 euro/ anno potrebbe affittare l’appartamento anche: A) a 775 euro/mese con canone libero e cedolare secca 20% B) a 690 euro/mese con canone concordato e cedolare secca 10% Anche qui a parità di reddito netto annuale Antonio può applicare canoni di locazione molto diversi, a seconda del tipo di contratto. L’affitto mensile, a canone libero da 1.000€ al mese scende nel contratto a canone concordato di circa il 30% e diventa di 690€. C’è naturalmente da sottolineare l’estrema convenienza economica per l’inquilino, nell’esempio di calcolo fatto, nel caso che il proprietario al percepire dello stesso reddito netto, scelga il canone concordato a cedolare secca del 10%. Ma anche il proprietario però ne può trarre beneficio perché abbassandosi il canone, a parità di reddito netto percepito diminuisce il rischio di insolvenza dell’inquilino. A) a 895 euro/mese con canone libero e cedolare secca del 20% B) a 795 euro/mese con canone concordato e cedolare secca del 10% 45 Il Condominio Nuovo Bonus Ristrutturazione Alberghi Antonio Crescenzo Presidente dellaTamarin Scarl GestioniPatrimonialiedAmministrazionibeniditerzi Il Ministero con decreto del 7 maggio 2015 ha regolato gli aspetti pratici degli incentivi fiscali per gli interventi di riqualificazione delle strutture turistico-alberghiere (agevolazione che si aggiunge all’incentivo per la digitalizzazione) integrando così l’art. 10 del D.L. 83/2014 e successivo decreto attuativo per l’information technology del 12 febbraio 2015. Il Decreto “Cult-Turismo”, ha introdotto nuove agevolazioni di carattere fiscale per il settore alberghiero, prevedendo la possibilità, per le imprese richiedenti, di ricevere un credito d’imposta pari al 30% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016, suddiviso in tre quote annuali di pari importo e fino a un massimo di 200mila euro. Il totale delle spese agevolabili, non può superare la soglia di 666.667 euro. L’incentivo riguarda le “strutture alberghiere” già esistenti al 1° gennaio 2012, intese come strutture aperte al pubblico, a gestione unitaria, con servizi centralizzati, che forniscono alloggio, eventualmente vitto e altri servizi accessori, in almeno 7 camere per gli ospiti situate in uno o più edifici. (albergo diffuso). Possono fruire dell’agevolazione gli alberghi, i villaggi albergo, gli alberghi diffusi, le residenze turisticoalberghiere e le altre “strutture alberghiere” individuate dalle specifiche normative regionali. Il credito d’imposta è lo strumento utilizzabile e può essere richiesto per le seguenti spese: interventi di ristrutturazione edilizia; interventi di eliminazione delle barriere architettoniche; interventi di incremento dell’efficienza energetica; acquisto di mobili e componenti d’arredo. L’ammissibilità della richiesta sulla base dei requisiti soggettivi, oggettivi e formali, nei limiti delle risorse disponibili sarà verificato dal MIBACT con l’assegnazione che seguirà l’ordine cronologico di presentazione delle domande. Il Ministero comunicherà all’impresa il riconoscimento dell’importo del bonus spettante, nei sessanta giorni dal termine di presentazione delle domande, o il diniego dell’agevolazione. Il credito d’imposta non concorre alla formazione della base imponibile né delle imposte sui redditi né dell’Irap. La domanda va presentata in via telematica al ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo. Il credito d’imposta è revocato e il beneficio indebitamente fruito viene recuperato nel caso in cui: - venga accertata l’insussistenza di uno dei requisiti soggettivi e oggettivi; - la documentazione presentata contiene elementi non veritieri o sia incompleta; - i beni oggetto degli investimenti sono destinati a finalità estranee all’esercizio d’impresa; - in caso di accertamento della falsità delle dichiarazioni rese. 46 Focus Il Il contenzioso in condominio e gli strumenti deflattivi Il dissenso dalla lite La mediazione in condominio L’impugnativa della delibera solo con citazione La capacità dell’amministratore di stare in giudizio La sostituzione dell’amministratore La legittimazione ad agire del singolo condomino Il ricorso all’assemblea La revoca della delibera viziata La nullità e l’annullabilità delle delibere assembleari La negoziazione assistita L’accertamento tecnico preventivo Il Condominio Nuovo 1. Il dissenso dalla lite L’articolo 1132 c.c. disciplina il dissenso dei condomini rispetto alle liti, prevedendo che qualora l’assemblea dei condòmini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all’amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L’atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione. In primo luogo, è opportuno precisare che, comunque, se l’esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente. L’atto di dissenso non necessita di forma solenne ma va notificato a mezzo ufficiale giudiziario. Vi si ritiene equipollente il dissenso comunicato a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. La possibilità di separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze sfavorevoli della lite sembra operare per le sole controversie tra condominio e terzi e non anche per quelle tra condominio e singoli condòmini, relativamente alle quali le spese di soccombenza dovrebbero gravare soltanto sui soggetti che hanno promosso la lite. Si è, però, obiettato, in dottrina, che la norma non opera al riguardo alcuna distinzione e che comunque l’articolo 1132 c.c. accomuna i due tipi di lite. Il termine di cui al primo comma dell’articolo 1132 c.c. è previsto a pena di decadenza e decorre dal giorno in cui il condomino dissenziente ha avuto conoscenza della decisione, presa dall’assemblea, di intentare la lite o di resistervi (e quindi dalla data di assunzione della delibera ove egli abbia partecipato all’assemblea). La dottrina ha prospettato il caso estremo di una sentenza sfavorevole al condominio intervenuta prima dello spirare del termine previsto per l’opposizione, ritenendo che, in tal caso, il condomino dissenziente non possa estraniarsi ma debba sopportare le conseguenze della soccombenza, e ciò sul rilievo che la norma in commento mirerebbe ad evitare danni futuri e non ad eliminare quelli già verificatisi, salvo che il dissenziente abbia avuto notizia della delibera successivamente alla sentenza. Il diritto di rivalsa riguarda le spese ed i danni che si sarebbero evitati se non si fosse proposta l’azione o non si fosse resistito alla stessa. Secondo alcuni, tuttavia, la possibilità di separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite sussisterebbe non solo nell’ipotesi di soccombenza ma anche nel caso di esito favorevole là dove l’utilità o il vantaggio conseguente alla vittoria della lite fosse divisibile, in maniera tale da poter separare la posizione del dissenziente da quella degli altri condòmini. La dichiarazione del condomino dissenziente di separare la propria responsabilità da quella degli altri condòmini, per il caso di soccombenza del condominio nelle liti che l’assemblea condominiale ha deliberato, è un atto giuridico recettizio di natura sostanziale, da portarsi, in quanto tale, tempestivamente a conoscenza dell’amministratore, o di chi altri rappresenti il condominio, ma per il quale non sono necessariamente richieste forme solenni, né la notificazione a norma della legge processuale (nella specie si è ritenuta valida la dichiarazione di dissenso comunicata mediante raccomandata con avviso di ricevimento) . Non sembra possibile comunicare tale dissenso in assemblea. 2. La mediazione in condominio Uno dei settori dove l’animosità delle parti ne ha caratterizzato i rapporti è quello della materia condominiale. I dati dicono che, in Italia, oltre la metà della popolazione - e nelle grandi città la quasi totalità dei cittadini vive in condominio. Secondo i dati del Censis, sul totale delle vertenze civili, una media variabile tra il 4,5-6% del contenzioso si verificano in ambito condominiale. La coesistenza forzata dei comproprietari - si legge nella relazione illustrativa del D.Lgs. 28/2010 (in materia di conciliazione delle controversie civili e commerciali) - consiglia, se non addirittura impone, la ricerca di soluzioni facilitative, che consentano in ogni caso di riavviare la convivenza condominiale al di là della decisione del singolo affare. Queste considerazioni sono state tra le ragioni che hanno indotto il legislatore a inserire tra le materie cd. obbligatorie del D.Lgs. 28/2010 la materia condominiale e, poi, a precisarla con la L. 220/2012 di riforma del Condominio. La novella, tra le varie novità, ha chiarito modificando l’articolo 71quater disp. att. c.c. - quali siano le controversie in materia di condominio che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1 (ora, 1bis), D.Lgs. 28/2010, così come modificato dalla L. 9-8-2013, n. 98, entrata in vigore sul punto dal 21-9-2013, sono soggette al preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Il nuovo articolo 71quater disp. att. c.c. recita «Per 48 Il Condominio Nuovo controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice. La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato. Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione. La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata. Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare». La mediazione è uno strumento innovativo ed efficace per la gestione delle controversie. Grazie all’ausilio di un terzo neutrale - il mediatore -, le parti in conflitto possono giungere ad una soluzione della lite accettabile e soddisfacente per entrambe. Caratteristica dell’istituto è l’individuazione di soluzioni in grado di soddisfare i bisogni di tutte le parti della controversia, non solo di alcune; ciò consente di ripristinare e rafforzare le relazioni (commerciali, economiche…) intercorse tra i protagonisti della lite. I tempi infiniti del nostro sistema giudiziario e, in particolare, del processo civile, lento e inefficiente, non in grado di dare risposte con la necessaria solerzia, rappresentano per le parti un rilevante danno. Spesso, poi, i costi sono notevoli ed i risultati concreti, incerti. I vantaggi dell’istituto sono molteplici sia sotto il profilo dei tempi, sia sotto il profilo economico e fiscale, fino a giungere anche a una soluzione del contenzioso che dia una risposta celere, valida, efficiente, proficua, ed a «costo zero». to a sospensione feriale; - il tentativo di conciliazione può essere proposto anche in relazione ad un giudizio in corso; - la clausola di mediazione può essere prevista dal contratto o dallo statuto ovvero dall’atto costitutivo, e la domanda è presentata davanti all’organismo indicato dalla clausola; - dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale ed impedisce la decadenza; - lo svolgimento della mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari né la trascrizione della domanda giudiziale. Sintetizzando, i principali benefici possono essere così riassunti: Se è raggiunto un accordo amichevole, il testo dell’accordo è allegato al processo verbale e l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dai loro avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna o rilascio, l’esecuzione degli obblighi - il procedimento di mediazione ha una durata massima di tre mesi dal deposito della domanda, e non è sogget- 2.1 La procedura Entro 30 giorni dal deposito della domanda di mediazione, sarà effettuato un primo incontro nel corso del quale il mediatore illustrerà alle parti, assistite dai propri avvocati, la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, invitandole ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura e, nel caso positivo, procederà con lo svolgimento del procedimento, adoperandosi affinché le parti raggiungano un accordo amichevole anche formulando una proposta conciliativa non vincolante e che le parti saranno libere di accettare o meno. Il procedimento avrà luogo senza formalità presso la sede dell’Organismo o presso altro luogo eventualmente concordato con le parti, e può svolgersi anche con modalità on-line. Se, in occasione del primo incontro, le parti dovessero esprimersi negativamente sulla possibilità di iniziare la procedura, nessun compenso sarà dovuto per l’organismo di mediazione, salvo le spese di avvio e, quando la mediazione è prevista quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata. È previsto l’obbligo di riservatezza per chiunque presti la propria opera o il proprio servizio nell’ambito del procedimento di mediazione rispetto alle informazioni rese e acquisite durante il procedimento; le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento medesimo non possono essere utilizzate nell’eventuale successivo giudizio. 49 Il Condominio Nuovo di fare e non fare, l’esecuzione in forma specifica, per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. L’accordo raggiunto può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente. I costi sono predeterminati sin dall’inizio. Le spese di avvio della mediazione sono fisse (40 euro oltre IVA) e le spese di mediazione (comprensive del compenso del mediatore) sono previste da tabelle redatte dal Ministero della Giustizia. Quando la mediazione è condizione di procedibilità, le indennità previste dalle tabelle sono ridotte. Nell’ipotesi in cui la parte chiamata in mediazione non aderisca all’invito, le spese di mediazione si riducono alla misura fissa di 50 euro oltre IVA. Alle parti che corrispondono l’indennità agli Organismi, inoltre, è riconosciuto un credito di imposta commisurato all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro 500 in caso di successo della mediazione, ridotto della metà in caso di insuccesso. La novella introdotta dalla L. 220/2012 ha l’aspetto positivo di aver chiarito alcune questioni che dottrina e giurisprudenza di merito avevano evidenziato (ad es.: la legittimazione dell’amministratore a partecipare, sia come istante sia come convocato, alla procedura di mediazione senza la previa autorizzazione dell’assemblea; o se, ove ritenesse di partecipare, dovesse essere assistito da un legale - con la conseguente diatriba sul potere dell’amministratore di conferire mandato ad un legale per rappresentare il condominio in giudizio e, quindi, in mediazione -; sui poteri o le facoltà dell’amministratore in ordine all’eventuale accordo, vincolante per il condominio e, quindi, per i condomini, in assenza di una delibera preventiva; sulla possibilità o meno di una delibera che fornisse dei margini su cui operare, in modo da presentarsi in mediazione con la concreta possibilità di chiudere la questione; su quali fossero le maggioranze necessarie per l’approvazione delle delibere, con la distinzione tra accordi che incidono sui diritti dei condomini e per i quali era ritenuta consigliabile, se non indispensabile, una approvazione all’unanimità e accordi che contengono, invece, solo una regolamentazione economica dei rapporti tra le parti - per i quali vi era chi riteneva fosse sufficiente l’approvazione con le maggioranze previste dal codice e dal regolamento di condominio -; sulle problematiche relative ai procedimenti in cui sarebbero parti sia un condomino sia il condominio, e attinenti ai conflitti di interessi ed ai quorum assembleari; ma anche sulla tipologia delle controversie condominiali soggette al tentativo di conciliazione, attesa la genericità della previsione del comma 1 dell’articolo 5 del D.Lgs. 28/2010; e vi era, poi, anche la questione della competenza territoriale, non prevista dal decreto legislativo ante riforma; ed altro ancora). A ciò, si aggiungeva che la giurisprudenza di merito si stava orientando verso un’interpretazione rigorosa della normativa sulla mediazione, condannando i condomini che, senza giustificato motivo, non avessero partecipato alla mediazione, al pagamento delle sanzioni previste dall’articolo 8, comma 5, del D.Lgs. 28/2010 (pagamento all’Erario di una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio).Tutto questo non faceva che acuire le eventuali responsabilità dell’amministratore e qualsiasi scelta operata, sebbene in buona fede e nell’esclusivo interesse del Condominio, poteva - in astratto - essere oggetto di critica da parte dei condomini. Ad esempio, in presenza di un invito in mediazione per una richiesta di risarcimento danni da infiltrazioni, l’amministratore poteva: a) non aderire; b) aderire e andare da solo in mediazione; c) aderire e andare accompagnato da un avvocato; d) aderire e andare accompagnato da un avvocato e, magari, anche da un tecnico; e) munirsi o meno di una preventiva delibera assembleare. Qualunque scelta avrebbe comportato una assunzione di responsabilità e, talvolta, anche conseguenze nell’eventuale successivo giudizio. L’articolo 71quater, ora, ha chiarito, facendo venir meno la genericità della formulazione dell’articolo 5, comma 1bis, del D.Lgs. 28/2010, che per controversie in materia di condominio si intendono quelle controversie derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro terzo, titolo VII, capo II, del c.c. (articoli 1117- 1139) e degli articoli da 61 a 72 delle disp. att. c.c. Rientrano, pertanto, oltre alle questioni riguardanti strettamente il condominio inteso come vicende relative alle parti comuni, anche questioni relative alla nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore (articolo 1129 c.c.) con una riserva per il comma 11; alle attribuzioni dell’amministratore (articolo 1130 c.c.); al rendiconto condominiale (articolo 1130bis c.c.); o, ancora, alle attribuzioni dell’assemblea dei condomini (articolo 1135 c.c.), alla validità delle deliberazioni (articolo 1136 c.c.), all’impugnazione delle 50 Il delibere assembleari (articolo 1137c.c.), al regolamento di condominio (articolo 1138 c.c.); alla riscossione dei contributi condominiali (articolo 63 disp. att. c.c.), alla modifica delle tabelle condominiali (articolo 69 disp. att. c.c.) ecc. Una riserva potrebbe essere espressa in riferimento all’articolo 64 disp. att. in tema di revoca dell’amministratore nei casi indicati dal comma 11 dell’articolo 1129 e dal comma 4 dell’articolo 1131, in ordine alla applicabilità della novella, poiché si tratta di procedimenti in camera di consiglio e l’articolo 5, comma 4, lett. f ), del D.Lgs. 28/2010 esclude l’applicabilità dei commi 1bis e 2 (obbligatorietà della mediazione) per i procedimenti in camera di consiglio, ma aggiungo subito anche che, a mio avviso, la disposizione introdotta dalla L. 220/2012 è norma speciale in riferimento alla mediazione, in materia di condominio e, quindi, prevale su quella di carattere generale dell’articolo 5, comma 4, lett. f ). È stata stabilita, poi, per il procedimento di mediazione in materia di condominio, una competenza territoriale dell’Organismo di Mediazione (luogo ove è situato il Condominio) che è specifica rispetto a quella (ora, perché prima della L. 98/2013 di conversione mancava) prevista dall’articolo 4, comma 1, D.Lgs. 28/2010 novellato (luogo del giudice territorialmente competente per la controversia), che potrebbe essere, in ipotesi di fori alternativi ai sensi del c.p.c., anche diversa dal luogo ove è situato il Condominio. Anche in questo caso, però, a mio parere, la natura speciale dell’articolo 71 quater disp. att. c.c. rispetto al carattere generale dell’articolo 4 del D.Lgs. 28/2010, porta a ritenere che prevalga e che, quindi, la mediazione in materia di condominio debba essere presentata esclusivamente nel luogo ove è situato il Condominio anche ove competente territorialmente per il giudizio dovesse essere un giudice diverso. Peraltro, già l’articolo 23 c.p.c. (dal quale, evidentemente, ha preso le mosse la previsione in commento) sancisce che per le cause tra condomini, ovvero tra condomini e condominio, [è competente] il giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi. A rafforzare l’interpretazione è la previsione dell’inammissibilità della domanda di mediazione presentata presso un Organismo non ubicato nella circoscrizione del tribunale nel quale il Condominio è situato, come disciplinata dal comma 2 del citato articolo 71quater. È stato chiarito, poi, dal successivo comma 3, che occorre la delibera assembleare che legittimi l’amministratore a partecipare al procedimento di mediazione, assunta con la maggioranza di cui all’articolo 1136, comma 2, c.c. (maggioranza intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio). Ove, però, i termini di Condominio Nuovo comparizione in mediazione non dovessero consentire di assumere la delibera di cui al comma 3, deve essere richiesta dall’amministratore al mediatore idonea proroga del primo incontro di mediazione. Sul punto qualche brevissima considerazione: a) la norma, intanto, non fa riferimento alla convocazione dell’assemblea, ma all’impossibilità di assumere la delibera. Ciò, evidentemente, riguarda sì il caso anche che non vi siano i termini per la convocazione dell’assemblea, ma anche il caso in cui, benché regolarmente convocata, l’assemblea non abbia assunto una delibera ai sensi del comma 3 (ad es., sia andata deserta, o non si sia raggiunta la richiesta maggioranza di cui all’articolo 1136, comma 2, c.c.); b) solo per la delibera (successiva) di approvazione della proposta di mediazione (ai sensi del comma 5) è previsto che il mancato raggiungimento della maggioranza di cui all’articolo 1136, comma 2, c.c. valga quale «proposta non accettata». È da ritenere che la norma vada coordinata con due previsioni del D.Lgs. novellato: a) l’amministratore dovrà essere assistito da un avvocato (articolo 5, comma 1bis, nel caso il condominio sia la parte istante); b) dovrà partecipare al primo incontro e agli incontri successivi fino al termine della procedura con l’assistenza dell’avvocato (articolo 8, comma 1, sia se il condominio è parte istante, sia se è parte convocata). Quale, dunque, la procedura da seguire per l’amministratore che si vedrà comunicato un tentativo di conciliazione? Innanzitutto, dovrà indire un’apposita assemblea, che dovrà non solo autorizzare o meno l’amministratore a partecipare alla mediazione, ma indicare quali saranno i limiti per cui sarà autorizzato a trattare nonché dovrà dare mandato ad un avvocato, così come disposto dal D.Lgs. 28/2010. Nel caso in cui non ci fossero i termini per la convocazione dell’assemblea per assumere la predetta delibera, l’amministratore dovrà richiedere al mediatore idonea proroga del primo incontro. L’eventuale possibile accordo raggiunto dalle parti o la proposta conciliativa, poi, dovranno essere approvati da una nuova assemblea (comma 6, articolo 71quater, con riferimento all’articolo 11 del D.Lgs. 28/2010) con le maggioranze di cui all’articolo 1136, secondo comma; diversamente, se tale quorum non dovesse essere raggiunto, per un qualsiasi motivo, la proposta si intenderà come non accettata (comma 5, articolo 71quater). È evidente che il generico riferimento all’articolo 11 sta ad indicare che il termine va concesso sia nell’ipotesi che le 51 Il Condominio Nuovo parti raggiungano un accordo (meglio, una proposta di accordo) sia che la proposta sia formulata dal mediatore, sia che la proposta sia richiesta concordemente da tutte le parti in mediazione. Concludendo, la mediazione, ovviamente, non è la soluzione a qualsiasi controversia, ma una ulteriore opportunità, una risorsa, una valida alternativa a basso costo e che richiede tempi brevi (massimo 3 mesi) al defatigante e impervio iter giudiziario ordinario; è un’occasione da sfruttare. 3. L’impugnativa della delibera solo con citazione Le deliberazioni prese dall’assemblea sono obbligatorie per tutti i condòmini. Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino dissenziente, astenuto o assente può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. È quanto prevede il nuovo secondo comma dell’articolo 1137 c.c., come modificato dalla legge di riforma del condominio (L. 220/2012), che riconosce espressamente la possibilità di impugnare le delibere assembleari ai condòmini assenti, dissenzienti o astenuti, mentre in precedenza la legge prevedeva espressamente tale facoltà solo in favore dei condòmini dissenzienti. È prevista, inoltre, una duplice decorrenza dei termini per impugnare, a seconda che il condòmino abbia partecipato o meno all’assemblea che ha approvato la delibera che si intende impugnare. Rispetto all’originaria formulazione, inoltre, il nuovo articolo 1137 c.c. menziona espressamente la possibilità di chiedere l’annullamento della delibera impugnata. L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria. Il nuovo testo dell’articolo 1137 c.c., inoltre, prevede che l’istanza per ottenere la sospensione che sia stata proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende l’efficacia della delibera né interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della stessa. Mentre i casi di annullamento sono espressamente disciplinati dal codice, quelli di nullità non sono indicati ed occorre rifarsi ai principi che regolano la nullità del negozio giuridico. Si ha violazione di legge quando non vengono osservate le norme procedimentali prescritte per l’adozione delle delibere assembleari. Si pensi, ad esempio, a quanto prescritto dal nuovo articolo 66 disp att. c.c., per il quale: «L’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. L’assemblea in seconda convocazione non può tenersi nel medesimo giorno solare della prima. L’amministratore ha facoltà di fissare più riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell’assemblea in termini brevi, convocando gli aventi diritto con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell’assemblea validamente costituitasi». La violazione di tali norme procedimentali determina la possibile annullabilità della delibera assembleare. Vi è subito da dire che, fino ad oggi, si ammetteva l’impugnativa di un singolo condòmino anche quando il vizio relativo alla mancata convocazione di un condomino si era verificato nei confronti di altro condomino. A seguito della riforma, invece, che ritiene il deliberato annullabile in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione su istanza dei dissenzienti o degli assenti perché non ritualmente convocati, appare che, contrariamente a prima, tale vizio possa essere eccepito solo da coloro nei confronti dei quali tale vizio si è effettivamente verificato. Le deliberazioni nulle sono impugnabili in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse (quindi anche dal condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera impugnata). Sono tali quelle che sono state prese fuori dei poteri dell’assemblea ovvero per le deliberazioni con oggetto impossibile, illecito o indeterminato. Sono inoltre inefficaci, e come tali attaccabili in ogni tempo, dai soli condòmini che ne risentono pregiudizio e non vi hanno aderito (nullità relativa), le deliberazioni che violano o ledono i diritti di alcuni o anche di un solo condomino sulle cose o sui servizi comuni o ne rendano difficile l’esercizio o lo disturbino sensibilmente. La dottrina individua, altresì, ulteriori stati viziati della delibera, quali l’eccesso di potere - allorquando la delibera stessa, ancorché non nulla, né inefficace, sia gravemente pregiudizievole alle cose o ai servizi comuni - e l’incompetenza, quando l’assemblea non ha il potere di decidere (si pensi ad una decisione per lavori alla facciata presa in sede di supercondominio quando invece essa spetta alle assemblee dei singoli fabbricati) . Il condomino il quale abbia partecipato all’assemblea, anche se abbia espresso voto conforme alla deliberazione che si assume nulla, è legittimato a far valere la nullità 52 Il solo che alleghi e dimostri di avervi interesse; cioè dimostri che la deliberazione, se non annullata, gli arrechi un qualche apprezzabile pregiudizio: da una parte, infatti, il principio di cui all’articolo 1421 c.c., secondo cui la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse non risulta derogato dalle norme in tema di comunione o di condominio; dall’altra, la regola per la quale chi ha dato causa ad una nullità non può farla valere (articolo 157 c.p.c.) è propria della materia processuale, ma è estranea alla materia sostanziale, dove l’azione è concessa anche a chi abbia partecipato alla stipulazione di un atto nullo . Il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla formazione di detta delibera, può quindi impugnarla salvo che con tale voto egli si sia assunto o abbia riconosciuto una sua personale obbligazione . È affetta da nullità e quindi sottratta al termine di impugnazione previsto dall’articolo 1137 c.c. la deliberazione dell’assemblea condominiale che incida sui diritti individuali di un condominio, come quella che ponga a suo totale carico le spese del legale del condominio per una procedura iniziata contro di lui, in mancanza di una sentenza che ne sancisca la soccombenza, e detta nullità, a norma dell’articolo 1421 c.c., può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ancorché abbia espresso voto favorevole alla deliberazione, ove con tale voto non si esprima l’assunzione o il riconoscimento di una sua obbligazione . Quanto all’onere della prova, incombe sul condomino, che chieda l’accertamento dell’invalidità dell’assemblea condominiale, la prova del vizio di costituzione dell’assemblea deliberante, posto a fondamento della pretesa . Qualora il condomino agisca per far valere l’invalidità di una delibera assembleare, incombe, invece, sul condominio convenuto l’onere di provare che tutti i condòmini sono stati tempestivamente avvisati della convocazione, quale presupposto per la regolare costituzione dell’assemblea, mentre resta a carico dell’istante la dimostrazione degli eventuali vizi inerenti alla formazione della volontà dell’assemblea medesima . Per un primo indirizzo, in tema di condominio di edifici, la tempestività dell’impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea dei condòmini, che a norma dell’articolo 1137 c.c. deve essere proposta con ricorso nel termine di trenta giorni dalla data della deliberazione stessa, andava riscontrata con riguardo alla data del deposito del ricorso e non a quella della sua notificazione. Sul punto la Suprema Corte aveva, poi, ritenuto che l’impugnativa potesse avvenire anche con citazione purché la notifica al destinatario fosse effettuata nei trenta giorni (dal verbale se il condomino era presente, ovvero dalla comunicazione dello stesso se assente). Condominio Nuovo Era, quindi, pacifico che, se anche il codice civile prevedesse la forma del ricorso, l’impugnativa della delibera assembleare potesse avvenire indifferentemente con ricorso o con citazione, e che, in questa ultima ipotesi, ai fini del rispetto del termine di cui all’articolo 1137 c.c. (trenta giorni) occorreva tenere conto della sola data di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio anziché di quella successiva del deposito in cancelleria (iscrizione a ruolo della causa) . Sul punto, a fare chiarezza, è intervenuta la Corte di Cassazione che, a Sezioni Unite, ha affermato che ai sensi dell’articolo 163 c.p.c. la domanda di annullamento della delibera condominiale si propone con citazione. La Suprema Corte, nella stessa motivazione della sentenza, ha chiarito che: il termine «ricorso» indicato nell’articolo 1137 c.c. è ivi impiegato nel senso generico di istanza giudiziale; ciò trova conferma nel fatto che, in genere, l’indicazione della forma del ricorso come veste dell’atto introduttivo in determinate materie è sempre accompagnata dalla fissazione di varie altre regole intese a delineare procedimenti caratterizzati da particolare snellezza e rapidità, (l’indicazione del giudice competente, i suoi poteri di sospensione ecc.) tutte regole che invece mancano con riguardo all’impugnazione delle delibere condominiali. Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno precisato che possono, comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, sempreché l’atto risulti depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall’articolo 1137 citato. Il nuovo testo dell’articolo 1137 c.c., come modificato dalla L. 220/2012, sembra avallare l’interpretazione di tale pronuncia, in quanto ha eliminato qualsiasi riferimento al termine ricorso e ha parlato genericamente di azione volta all’annullamento delle deliberazioni assembleari. Per il Tribunale di Milano (provvedimento 21 ottobre 2013, n. 56369), con l’entrata in vigore della legge 220/2012 (Riforma del condominio), l’impugnazione proposta con ricorso è inammissibile. Nella stessa motivazione, la sentenza ha chiarito che: il termine «ricorso» indicato nell’articolo 1137 c.c. è ivi impiegato nel senso generico di istanza giudiziale; ciò trova conferma nel fatto che, in genere, l’indicazione della forma del ricorso come veste dell’atto introduttivo in determinate materie è sempre accompagnata dalla fissazione di varie altre regole intese a delineare procedimenti caratterizzati da particolare snellezza e rapidità, (l’indicazione del giudice competente, i suoi poteri di sospensione ecc.); tutte regole che, invece, mancano con riguardo all’impugnazione delle delibere condominiali. Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno precisato che possono, comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, sempreché l’atto risulti de- 53 Il Condominio Nuovo positato in cancelleria entro il termine stabilito dall’articolo 1137 c.c. Ora, il nuovo testo dell’articolo 1137 c.c., come modificato dalla L. 220/2012, sembra avallare l’interpretazione di tale pronuncia, in quanto ha eliminato qualsiasi riferimento al termine ricorso e ha parlato genericamente di «azione volta all’annullamento delle deliberazioni assembleari». Proprio sulla eliminazione della parola ricorso ritorna il tribunale di Milano concludendo conseguenzialmente che l’impugnazione proposta con ricorso è inammissibile. Nel caso deciso dal Tribunale di Milano, il ricorso era stato tempestivamente depositato presso la cancelleria del giudice nei termini previsti dalla legge, ma nulla era stato notificato al condominio entro 30 giorni, così che lo stesso, nella persona del suo amministratore, aveva già maturato un legittimo affidamento circa l’acquisita esecutività della delibera impugnata. In conclusione, anche se trattasi di una prima pronuncia di merito è meglio da oggi in poi stare bene attenti ad impugnare una delibera assembleare con l’atto di citazione e non più con il ricorso. È, infatti, proprio l’articolo 1131 c.c., come modif. dalla L. 220/2012, a stabilire che: «Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130, o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi». L’articolo è da considerarsi inderogabile in virtù dell’espressa previsione di cui all’articolo 1138, quarto comma, sicché né l’assemblea dei condòmini, né il regolamento di condominio potrebbero legittimamente ridurre i poteri di rappresentanza attribuiti all’amministratore dalla legge. Secondo la giurisprudenza, ricorrerebbe nella fattispecie un’ipotesi di rappresentanza volontaria originata dal mandato conferito all’amministratore dal condominio. La dottrina, invece, è divisa: per alcuni la rappresentanza è legale perché ha fonte nella legge; per altri è volontaria in quanto fondata sul mandato; per altri ancora non è né legale né volontaria, trattandosi piuttosto di un rapporto sui generis; per chi, infine, qualifica l’amministratore come organo del condominio trattasi di rappresentanza organica. L’annullabilità in sede giudiziaria di una delibera dell’ assemblea dei condòmini per ragioni di merito, attinenti alla opportunità ed alla convenienza della gestione del condominio, è configurabile soltanto nel caso di decisione viziata da eccesso di potere che arrechi grave pregiudizio alla cosa comune (articolo 1109 c.c.). Il riscontro esercitato dall’autorità giudiziaria sotto l’anzidetto profilo non può mai riguardare il contenuto di convenienza ed opportunità della delibera, in quanto il giudice deve solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato di un legittimo esercizio dei poteri discrezionali della assemblea . L’eccesso di potere è ravvisabile quando la causa della deliberazione sia falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso il giudice non controlla l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata delibera, ma deve solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’assemblea . In ogni caso, l’amministratore del condominio è dunque legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condòmini e dei terzi al fine di: 4. La capacità dell’amministratore di stare in giudizio L’articolo 75, ultimo comma, c.p.c. prevede che «Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto. Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli articoli 36 e seguenti del codice civile». Tale norma non prevede la figura dell’amministratore del condominio cui la rappresentanza del condominio è, invece, attribuita ex articolo 1131 c.c. a) eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condòmini; b) disciplinare l’uso delle cose comuni così da assicurare il godimento a tutti i partecipanti al condominio; c) riscuotere dai condòmini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea; d) compiere gli atti conservati dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio . Tale indirizzo è da considerarsi consolidato con la recente pronuncia della Suprema Corte . Per cui possiamo dire che, dal combinato disposto dagli articoli 1130 e 1131 primo comma del c.c. si evince che, al di fuori delle ipotesi di maggiori poteri attribuitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore può agire in giudizio senza che occorra una apposita autorizzazione solo nell’ambito delle attribuzioni conferitegli dalla legge - e propriamente dall’articolo 1130 - le quali concernono in generale l’amministrazione ordinaria e, per quanto attiene specificamente ai lavori e alle opere relative alle parti comuni dell’edificio condominiale, soltanto quelli rientranti nella cosiddetta manutenzione ordinaria. Ne consegue che la rappresentanza processuale attiva del condominio, anche in assenza di una apposita deliberazione dell’assemblea dei condòmini, per le controversie nascenti da un contratto di appalto non può farsi discendere dal solo fatto che l’amministratore abbia sti- 54 Il Condominio Nuovo pulato in nome e per conto del condominio il contratto cui la controversia si riferisce, anche se l’oggetto di esso ecceda le sue normali attribuzioni come conferitegli dalla legge, ove non risulti che la stipulazione del contratto stesso sia stata autorizzata o comunque approvata mediante ratifica dall’assemblea dei condòmini . Così come le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condòmini sulle parti comuni di un edificio, quali quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a sostenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano tra gli atti meramente conservativi e possono, quindi, promuoversi dall’amministrazione del condominio solo se sia autorizzato dall’assemblea a norma dell’articolo 1131, primo comma, c.c. . pugnare senza essere a tanto autorizzato dall’assemblea . Inoltre, secondo tale indirizzo, poiché l’autorizzazione dell’assemblea a resistere in giudizio in sostanza altro non è che un mandato all’amministratore a conferire la procura «ad litem» al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, l’amministratore, in definitiva, non svolge che una funzione di mero «nuncius» e tale autorizzazione non può valere che per il grado di giudizio in relazione al quale viene rilasciata. Deriva, da quanto precede, pertanto, che era inammissibile il ricorso per cassazione, avverso sentenza sfavorevole al condominio, proposto dall’amministratore senza espressa autorizzazione dell’assemblea . Se la situazione è sufficientemente chiara dal lato attivo, dal lato passivo questi stessi pronunciamenti della Suprema Corte hanno ampliato le difficoltà interpretative. Per cui si ritiene opportuno esaminare con più dovizia di particolari la questione. Fino a poco tempo fa, era ritenuto che la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio dal lato passivo, ai sensi del secondo comma dell’articolo 1131 c.c., non incontrava limiti quando le domande proposte contro il condominio riguardavano le parti comuni dell’edificio. Ciò stava a significare che l’amministratore non necessitava di alcuna autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni che si rendessero necessarie, compreso il ricorso per cassazione, in relazione al quale era considerato legittimato a conferire la procura speciale all’avvocato iscritto nell’apposito albo speciale a norma dell’articolo 365 c.p.c. . Per cui la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio, mentre dal lato attivo coincideva con i limiti delle sue attribuzioni, salvi i maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, dal lato passivo non incontrava limiti . La stessa inosservanza dell’obbligo di informare i condòmini della esistenza di un procedimento contro il condominio aveva rilevanza puramente interna senza incidere sui poteri di rappresentanza processuale dell’amministratore stesso . A questo indirizzo maggioritario se ne contrapponeva altro secondo cui la «ratio» dell’articolo 1131 c.c., comma 2, - che consente di convenire in giudizio l’amministratore del condominio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio - era quella di favorire il terzo il quale voglia iniziare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli di poter notificare la citazione al solo amministratore anziché a tutti i condomini. Nulla, invece, nella stessa norma, giustificava la conclusione secondo cui l’amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio e a im- a) l’amministratore deve munirsi di autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio atteso che la rappresentanza passiva dell’amministratore riguarda solo la notificazione degli atti e non la gestione della controversia; b) la concessa autorizzazione assembleare non legittima l’amministratore ad impugnare spettando tale legittimazione solo all’assemblea. Per cui, secondo tale indirizzo: A comporre tale contrasto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte, con le sentenze del 2010 già citate le quali hanno ritenuto che (così come dal lato attivo) la norma abilita l’amministratore del condominio, relativamente alle liti passive, a costituirsi in giudizio e a impugnare la sentenza eventualmente sfavorevole, senza necessità di autorizzazione da parte dell’assemblea, soltanto se l’oggetto della controversia è compreso nei limiti delle sue attribuzioni, limiti ed attribuzioni previsti dall’articolo 1130 c.c. essendo altrimenti necessaria l’autorizzazione dell’assemblea. A questa interpretazione restrittiva della rappresentanza dell’amministratore è mancata però un’elaborazione giurisprudenziale in merito all’individuazione delle azioni promosse nei confronti del condominio ed esorbitanti dalle attribuzioni dell’amministratore. Da ciò una serie di interrogativi. Infatti, non risulta che sia stata specificamente affrontata la pur importante (per la sua frequenza) questione sulla possibilità di considerare meno attinenti all’ambito delle suddette attribuzioni le cause di impugnazione di deliberazioni assembleari. Se, cioè, il compito di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini, che è demandato dall’articolo 1130 c.c., n. 1) all’amministratore, includa, in ipotesi, anche quello di propugnarne in giudizio la legittimità, quale che sia il loro oggetto. Sul punto, quindi, occorre ritenere che nulla è cambiato, per cui l’amministratore che è competente ad eseguire le delibere assembleari non necessita di alcuna ratifica del mandato in caso di impugnativa. 55 Il Condominio Nuovo Inoltre, la stessa Corte di Cassazione, sul presupposto che il nuovo indirizzo, di cui alle sentenze appena citate era stato fino ad allora minoritario, ha ritenuto disporre nuovamente la trasmissione degli atti al Primo Presidente, perché valuti l’opportunità di assegnare la causa alle Sezioni Unite per un nuovo chiarimento sul tema. Anche se questa rimessione parte da un problema diverso, speriamo in un nuovo pronunciamento che forse farà luce sull’intera questione. Anche perché a distanza di appena due mesi dalle ricordate sentenze n. 18331 e 18332/2010, la stessa Corte di Cassazione è ritornata sui suoi passi più volte e ha riaffermato che la legittimazione passiva dell’amministratore dal lato passivo non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il condominio da terzi o anche dal singolo condomino . In ultimo è opportuno citare la sentenza del 4-10-2012, n. 16901 della Suprema Corte che ha riaffermato l’indirizzo secondo cui: «la legittimazione passiva dell’amministratore di condominio a resistere in giudizio non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio». Si spera, quindi, che si sia chiarito al più presto il ritorno all’orientamento maggioritario che la Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza sopra indicata, ha cambiato completamente. 5. La sostituzione dell’amministratore Come specificato nel paragrafo precedente, l’amministratore può agire in giudizio e proporre impugnazioni, nell’ambito delle attribuzioni conferitegli dall’articolo 1130 c.c., anche senza apposita autorizzazione, e tale potere perdura anche nel caso di cessazione dalla carica, fino alla sostituzione; la cessazione del rapporto di rappresentanza per sostituzione dell’amministratore diviene rilevante durante il corso del giudizio in quanto l’evento sia notificato alle altre parti dal procuratore costituito. In mancanza di tale notifica, tale qualità si presume, se non ritualmente contestata dalla controparte, nel qual caso occorre produrre tempestivamente in giudizio la relativa prova . Ai sensi dell’articolo 1131 c.c., il terzo che vuol far valere in giudizio un diritto nei confronti del condominio ha l’onere di chiamare in giudizio colui che ne ha la rappresentanza sostanziale secondo la delibera dell’assemblea dei condòmini e, pertanto, non può tener conto di risultanze derivanti da documenti diversi dal relativo verbale: ciò in quanto il principio dell’apparenza del diritto è inapplicabile alla rappresentanza nel processo, essendo in quest’ultimo escluso sia il mandato tacito, sia l’utile gestione. Ne deriva che la notifica di un atto processuale ad un soggetto che non sia stato nominato amministratore del condominio è giuridica- mente inesistente, mancando il presupposto della sua legittimazione processuale. La legittimazione ad agire dell’amministratore del condominio nel caso di azioni reali concernenti l’esistenza, il contenuto o l’estensione dei diritti spettanti ai singoli condòmini in virtù dei rispettivi acquisti - diritti che restano nell’esclusiva disponibilità dei titolari - può trovare fondamento soltanto nel mandato conferito all’amministratore da ciascuno dei partecipanti e non nel meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale, ad eccezione delle equivalenti ipotesi di una unanime positiva deliberazione di tutti i condòmini . 6. La legittimazione ad agire del singolo condomino I singoli condòmini sono legittimati ad intervenire ed a proporre impugnazioni nelle liti nelle quali l’amministratore stia in giudizio per il condominio. Nei casi di tali interventi ed impugnazioni, la rappresentanza dell’amministratore del condominio si restringe a quei condòmini non costituitisi nel giudizio . La peculiare natura del condominio comporta comunque che l’iniziativa giudiziaria di quest’ultimo a tutela di un diritto comune dei condòmini non priva i medesimi del potere di agire personalmente a difesa di quel diritto nell’esercizio di una forma di rappresentanza reciproca atta ad attribuire a ciascuno una legittimazione sostituiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non può tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere i diritti degli altri condòmini. Pertanto, il condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall’amministratore per far valere diritti della collettività condominiale non è un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei ma è una delle parti originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicché, ove tale intervento sia stato spiegato in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell’intervento dei terzi in quel grado fissati nell’articolo 344 c.p.c. . I condòmini, i quali non hanno personalmente partecipato al giudizio di primo grado siccome rappresentati nel processo dall’amministratore del condominio, possono proporre impugnazione in luogo dell’ amministratore, presente nel giudizio di primo grado, ma non appellante. Non sussistono, infatti, impedimenti a che i singoli condòmini, i quali in primo grado hanno partecipato al giudizio siccome rappresentati dall’amministratore, propongano personalmente l’impugnazione, se l’amministratore non impugna . In tema di condominio, l’attribuzione, in determinate materie, all’amministratore della legittimazione ad agire in nome del condominio non priva i singoli condòmini 56 Il del potere di agire a difesa dei propri diritti esclusivi o dei diritti comuni. Tuttavia, la legittimazione del singolo condomino ad agire per la tutela di un proprio diritto esclusivo non comporta la legittimazione ad agire per la tutela di analoghi diritti esclusivi degli altri condòmini . Ogni partecipante al condominio è titolare della facoltà di agire anche da solo e individualmente a difesa dei diritti comuni inerenti al fabbricato condominiale ed alle sue componenti . 7. Il ricorso all’assemblea L’articolo 1133 c.c. stabilisce che i provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condòmini. Contro tali provvedimenti è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall’articolo 1137. L’obbligatorietà dei provvedimenti presi dall’amministratore è la naturale conseguenza del fatto che egli è nominato dall’assemblea - che è l’organo deliberativo del condominio - o dal giudice in sostituzione della stessa. Il ricorso all’assemblea non sospende l’esecuzione del provvedimento adottato dall’amministratore e può essere esperito in qualsiasi momento, senza alcun termine di decadenza, trattandosi di un rimedio volto a provocare un controllo della stessa assemblea sull’operato dell’amministratore. La circostanza che i singoli condòmini possono ricorrere all’assemblea condominiale contro i provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri consente di affermare, argomentando per analogia, che anche l’amministratore può rivolgersi all’assemblea condominiale per provocarne una deliberazione che sancisca la disciplina da lui adottata per l’uso delle cose comuni, al fine di vincere l’asserita resistenza di uno dei condòmini. 8. La revoca della delibera viziata Un’altra situazione rilevante riguarda la revoca di una deliberazione eventualmente impugnata o comunque che è già materia del contendere. In questi casi, è possibile bloccare il contenzioso condominiale, evitando le conseguenze del caso ma non le spese legali, attraverso l’applicazione dell’articolo 2377, ultimo comma, c.c. In forza di tale norma, palese dimostrazione di un intimo nesso tra comunione e società, per l’amministratore di condominio, che riceve un atto giudiziale di citazione da parte del tribunale, effetto dell’impugnazione di una delibera nulla o annullabile, è sufficiente convocare d’urgenza l’assemblea dei condòmini e far revocare la Condominio Nuovo deliberazione oggetto del contenzioso oppure ratificarla eliminando i vizi già denunciati in corso di causa. In tal modo, il giudizio è evitato, ferma restando però la liquidazione delle spese. Detta liquidazione sarà operata in base al principio della soccombenza virtuale, nel senso che questa sarà posta a carico di chi sarebbe stato soccombente in base ai vizi già denunciati ed alla loro sussistenza o meno. Questi rapporti mutualistici fra diritto condominiale e diritto delle società non devono indurci a facili o pericolose deduzioni. I due istituti sono perfettamente separati ed è difficile, ancora oggi, nonostante l’evoluzione normativa dell’istituto del condominio negli edifici, trovare ulteriori e più forti elementi di comunanza. Ciò è conforme al fatto che il legislatore del ’42 ha voluto espressamente delimitare le fattispecie creando una netta separazione (vedi l’articolo 2248 c.c.) tra i due istituti giuridici. Ad avvalorare tale separazione è stata la dottrina che non ha mai messo in discussione la separazione fra comunione e società, anche se in taluni casi non ha potuto fare a meno di accostare i due istituti e ciò soprattutto ad opera di quella parte che ravvisa nel condominio quegli elementi di mistura tali da definirlo come un tertium genus, cioè come un «istituto giuridico atipico». 9. La nullità e l’annullabilità delle delibere assembleari La differenza tra nullità ed annullabilità di una deliberazione condominiale riveste una importanza fondamentale in relazione alla impugnativa della delibera assembleare. La comprensione delle differenze tra queste due categorie giuridiche, rapportate alle peculiarità della disciplina del condominio, comporterebbe - da un lato - uno snellimento del contenzioso, che sarebbe così epurato da impugnazioni evidentemente tardive e - dall’altro l’eliminazione del metodo casistico con cui, talvolta, i giudici di merito affrontano e risolvono le singole controversie, con una conseguente uniformità di giudizi per fattispecie che divergono soltanto per aspetti secondari. Tale uniformità di giudizi, assicurerebbe, poi, l’applicazione del principio della certezza del diritto e di eguaglianza di regolamento, rispetto a posizioni uguali. Preliminarmente occorre precisare che a seguito della riforma del 2012, i casi di annullabilità sono espressamente previsti dal codice civile, che all’articolo 1137 sancisce: «Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. 57 Il Condominio Nuovo L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria». Le azioni con cui si vantano le nullità, invece, sono elaborazioni della dottrina che fa riferimento ai vizi generali del negozio giuridico: mancanza della volontà, contrarietà a norme imperative, mancanza dell’oggetto ecc. Incominciamo la nostra analisi da due decisioni della Corte di Cassazione con cui si è chiarito il discrimine tra annullabilità e nullità delle delibere. È stato stabilito che i casi di nullità possono essere ricondotti alla impossibilità ed alla illiceità dell’oggetto, mentre per tutti gli altri, si è in presenza di ipotesi di mera annullabilità. Ciò si è affermato, mutando profondamente l’atteggiamento della Suprema Corte precedente a queste due pronunce, in quanto si è fortemente ridimensionato il campo di azione della nullità, con corrispondente allargamento della nozione di annullabilità alle ipotesi residuali. Tale spostamento del discrimine tra le due categorie, che ha il pregio di limitare le impugnazioni di delibere assembleari, anche lontane nel tempo e spesso per fondamento opposizioni a decreti ingiuntivi per oneri condominiali non pagati, ed in definitiva di cristallizzare situazioni che, se pur nate a seguito di un procedimento viziato, non siano state impugnate tempestivamente. In ciò, infatti, risiede l’aspetto pregnante della distinzione tra nullità ed annullabilità, nella prospettiva dell’esame delle liti condominiali, in quanto nel primo caso l’impugnativa può essere proposta senza limiti di tempo mentre nel secondo entro trenta giorni dall’assemblea, se il condomino che vi abbia partecipato sia stato contrario o si sia astenuto, o dalla comunicazione del verbale, se il condomino non vi abbia partecipato. Parimenti importante risulta il dato che, in caso di nullità, l’impugnativa può proporla chiunque dei condòmini mentre nell’altro caso, soltanto colui che sia stato pregiudicato dalla deliberazione. Con il novello indirizzo giurisprudenziale, ci si è uniformati al regime, codicisticamente previsto, per le società di capitali, attraverso un procedimento logico e giuridico che passa per la armonizzazione delle norme sul condominio con quelle previste per la comunione in generale. In buona sostanza, si ritiene che se in tema di comunione, l’articolo 1105, terzo comma c.c. prevede che, per la validità delle deliberazioni, tutti i partecipanti devono essere stati preventivamente informati dell’oggetto della delibera e, l’articolo 1109 c.c. contempla, nel caso in cui non sia stata osservata la disposizione del terzo comma dell’articolo 1105 cit., il potere di ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente di impugnare le deliberazioni nel termine di decadenza di trenta giorni, la statuizione del termine di decadenza esclude che, in tema di comunione, il difetto di informazione configuri una causa di nullità. Conseguentemente, nel ragionamento seguito dalla Suprema Corte, sarebbe ragionevole dubitare che l’articolo 1136, sesto comma c.c., in tema di condominio, disciplinando la stessa fattispecie e usando la stessa formula, alla mancata convocazione di un condomino abbia ricollegato conseguenze diverse e ben più gravi. Articolando, poi, un collegamento con il regime previsto per il negozio giuridico e, meglio ancora, per le società di capitali, in virtù del quale l’articolo 2379 c.c. delimita la nozione di nullità delle deliberazioni delle società per azioni alle sole ipotesi di impossibilità ed illiceità dell’oggetto , lo applica alla disciplina del condominio. È nulla, quindi, la delibera quando è assente o è del tutto carente un elemento costitutivo, secondo la configurazione richiesta dalla legge, per cui essa si considera inidonea a dar vita alla nuova situazione giuridica, che il diritto ricollega al tipo legale, in conformità con la funzione economico-sociale sua caratteristica; per contro è annullabile la delibera in presenza di deficienze considerate meno gravi, secondo la valutazione degli interessi da tutelare fatta dalla legge. Annullabile, quindi, è l’atto in cui un elemento essenziale sia viziato: l’atto che, pur non mancando degli elementi essenziali del tipo e dando vita precaria alla nuova situazione giuridica che il diritto ricollega al tipo legale, può essere rimosso. Conseguentemente, in materia di condominio degli edifici, non sono ammissibili cause di nullità diverse dalla impossibilità giuridica e dalla illiceità dell’oggetto, intendendosi per impossibilità giuridica la inidoneità degli interessi contemplati ad essere regolati dall’assemblea che delibera a maggioranza ovvero a ricevere quel determinato assetto stabilito in concreto, e per illiceità dell’oggetto la violazione delle norme imperative, alle quali l’assemblea non può derogare, ovvero la lesione diritti individuali, attribuiti ai singoli dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni. Per rimanere al caso trattato dalla innovativa pronuncia della Corte di Cassazione , quindi, in caso di mancata convocazione di un condomino all’assemblea condominiale, in quanto non rientrante nei casi di nullità individuati, della impossibilità giuridica e dell’illiceità dell’oggetto, si verte in ipotesi di annullabilità della deliberazione e, come tale, il termine di decadenza per la sua impugnazione è di trenta giorni dalla assemblea o dalla comunicazione e soltanto da parte del soggetto leso, e non più da parte di tutti i condòmini. Il principio è confermato da una successiva decisione, 58 Il secondo cui le delibere condominiali, analogamente a quelle societarie, sono nulle soltanto se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella competenza dell’assemblea, o se incidono su diritti individuali inviolabili per legge. Sono invece annullabili, nei termini previsti dall’articolo 1137 c.c., le altre delibere «contrarie alla legge o al regolamento di condominio», tra cui quelle che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento, come ad esempio per la convocazione dei partecipanti, o che richiedono qualificate maggioranze per formare la volontà dell’organo collegiale, in relazione all’oggetto della delibera da approvare . Il mutamento di rotta è di tutta evidenza, se solo si pone lo sguardo all’ampia giurisprudenza precedente che faceva conseguire alla mancanza della convocazione l’inevitabile nullità assoluta della delibera, che poteva esser fatta valere da qualsiasi condomino anche presente in assemblea . Il nuovo orientamento pare in linea con l’esigenza, da perseguire, di certezza dei rapporti e con la conseguente intollerabilità di situazioni che, ormai consolidatesi nel tempo, possano essere rimesse in discussione senza che alcun fondamentale diritto sia stato violato. Considerato l’ambito di applicazione delle norme condominiali ed il forte restringimento delle ipotesi di nullità, in previsione della riforma della normativa si potrebbe ipotizzare l’allungamento del termine previsto dall’articolo 1137 c.c. a sessanta giorni, decorrenti dall’assemblea - per i presenti dissenzienti - e dalla comunicazione, per gli assenti. L’ultima considerazione da fare è quella relativa ai vizi procedimentali, che se non impugnati nei trenta giorni, non potranno più costituire, come lo erano stati fino ad ora, un’occasione in sede di opposizione a decreto ingiuntivo con il quale si chiedeva il pagamento degli oneri condominiali, per paralizzare, con una nullità l’azione di recupero, fondando sul vizio della delibera posta a fondamento stesso della spesa effettuata, che veniva, ad es. per mancata convocazione dello stesso condomino che poi si oppone, ad essere artatamente sfruttata per interessi egoistici. Questo nuovo indirizzo della Suprema Corte in materia di nullità e annullabilità delle delibere condominiali è stato confermato con la sentenza resa a Sezioni Unite . Essa costituisce un vero e proprio trattato sulla questione nullità-annullabilità delle delibere condominiali. Il motivo di detta decisione consiste nel fatto che il nuovo indirizzo giurisprudenziale (dal 2000 in poi) ogni tanto veniva disatteso da sentenze isolate della stessa Corte di Cassazione, da ciò la necessità di una sentenza resa a Sezioni Unite. In particolare tale sentenza ha evidenziato che i vizi dell’oggetto come causa di nullità sono ricollegati ai confini posti in materia di condominio al metodo collegiale ed al principio di maggioranza. Condominio Nuovo Secondo la Corte «tanto l’impossibilità giuridica, quanto l’illiceità dell’oggetto derivano dal difetto di attribuzioni in capo all’assemblea, considerato che la prima consiste nell’inidoneità degli interessi contemplati ad essere regolati dal collegio che delibera a maggioranza, ovvero a ricevere dalle delibere l’assetto stabilito in concreto e che la seconda si identifica con la violazione delle norme imperative, cui l’assemblea non può derogare, ovvero con la lesione di diritti individuali. Per tali motivi il dettato di cui all’articolo 1137 c.c. va interpretato nel senso che, per deliberazioni contrarie alla legge, si intendono le delibere assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prestabilite dall’articolo 1136 (ma pur sempre nei limiti delle attribuzioni di cui agli articoli 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c.). Inoltre, le cause di nullità, afferente all’oggetto, raffigurano le uniche cause di invalidità riconducibili alla sostanza degli atti, alle quali l’ordinamento riconosce rilevanza e costituendo vizi gravi non sono soggette a termine di impugnazione». Per cui volendo operare una classificazione, sono da considerare annullabili le delibere che decidono in violazione di: - regole sul procedimento di convocazione dell’assemblea; - regole sulla costituzione dell’assemblea; - regole sulla concreta ripartizione dei contributi condominiali; - norme sul funzionamento dell’assemblea (deleghe); - mancato raggiungimento dei quorum previsti per legge. Sono invece da considerarsi radicalmente nulle le delibere: - contrarie a norme di ordine pubblico (penali, amministrative, fiscali); - prese al di fuori delle competenze dell’assemblea (al di fuori dell’oggetto parti comuni); - che ledano il diritto di uno o più condòmini sulle parti comuni (innovazioni vietate); - viziate da eccesso di potere (quando quella composizione assembleare non è quella competente a deliberare, ad esempio: la delibera del supercondominio composto da più fabbricati che approva i lavori di rifacimento delle facciate che sono bene comune di singoli fabbricati e non del supercondominio; oppure la delibera di approvazione della pitturazione della scala A di un condominio composto da più scale, approvata in sede di assemblea generale di tutti i condomini del fabbricato). Dal punto di vista pratico la decisione in esame costituisce una sicura traccia per tutti gli operatori del diritto 59 Il Condominio Nuovo siano essi avvocati o amministratori di condominio. Infatti, questi ultimi sono tenuti a porre in esecuzione solo le delibere annullabili e non quelle completamente nulle. La Negoziazione assistita La legge 10 novembre 2014, n. 162 di conversione, con modificazioni, del decreto legge n. 132 del 12 settembre 2014, pubblicata in gazzetta ufficiale il 10 novembre, si intitola alla c.d. «degiurisdizionalizzazione» del contenzioso civile. Con talune rilevanti modifiche rispetto al decreto legge, la legge introduce misure che facilitano l’accesso a strumenti alternativi di risoluzione della controversia prima dell’introduzione del processo ovvero a processo pendente. Il Capo II (artt. 2-11) introduce la procedura di negoziazione assistita da un avvocato, utilizzabile non soltanto in materia di diritti disponibili ma anche per la separazione personale dei coniugi e il divorzio. Viene introdotto il procedimento di negoziazione assistita da avvocati in una triplice forma: a) volontaria (art. 2, comma 1); b) obbligatoria (art. 3); c) «per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio», con procedimento distinto a seconda vi sia prole autosufficiente o meno (art. 6). Si tratta di «un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza dei propri avvocati». La comunicazione dell’invito a concluderla ovvero la sottoscrizione della convenzione producono sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale e impediscono, per una sola volta, lo spirare della decadenza (art. 810). Le parti devono individuare la durata massima della procedura, la quale non può essere inferiore ad un mese né superiore tre mesi, termine prorogabile su intesa delle parti per ulteriori trenta giorni (art. 2, comma 2, lett. b). La soluzione negoziale della lite raggiunta deve essere conclusa in forma scritta; gli avvocati la sottoscrivono, ne garantiscono la conformità «alle norme imperative ed all’ordine pubblico» e certificano le sottoscrizioni apposte dalle parti sotto la propria responsabilità. L’accordo concluso costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione della ipoteca giudiziale senza bisogno di alcun procedimento di omologazione giudiziaria (art. 5). Il medesimo deve essere integralmente trascritto nel precetto a norma dell’art. 480 c.p.c. «Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» (art.5). Per avviare la procedura di negoziazione assistita, la parte che vuole iniziare una causa deve, tramite il proprio avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Se invece ci si rivolge al giudice senza prima procedere alla negoziazione assistita, la domanda giudiziale è improcedibile. Ma l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, quando rileva che la negoziazione assistita è già iniziata ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza al massimo dopo tre mesi. Procede allo stesso modo quando verifica che la negoziazione non è stata esperita e, contestualmente, assegna alle parti il termine di 15 giorni per trasmettere l’invito. Una volta comunicato l’invito, se l’altra parte non aderisce o rifiuta entro 30 giorni da quando l’ha ricevuto, la condizione di procedibilità si considera avverata. Si può quindi iniziare (o proseguire) il processo e il comportamento poco collaborativo della parte verso la negoziazione assistita potrà essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e della responsabilità della parte per aver agito o resistito con malafede o colpa grave. Se l’invito invece viene accettato, le parti, con i loro avvocati, devono redigere la convenzione di negoziazione assistita e gli avvocati certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale. La convenzione di negoziazione – da redigere in forma scritta a pena di nullità - deve precisare il termine concordato dalle parti per svolgere la procedura: che non deve essere inferiore a un mese, né superiore a tre mesi, prorogabile per altri 30 giorni su accordo tra le parti. La convenzione deve anche precisare l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro. Se la procedura si chiude senza che le parti abbiano trovato un accordo, la condizione di procedibilità si considera avverata e si può quindi iniziare o proseguire il processo. Se invece le parti, durante la negoziazione assistita, raggiungono un accordo che compone la lite, questo ha valore esecutivo, anche ai fini dell’iscrizione di ipoteca giudiziale, purché sia sottoscritto dagli avvocati che certificano l’autografia delle firme delle parti e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. L’atto di precetto fondato sull’accordo deve contenere l’integrale trascrizione del medesimo accordo. Per quanto riguarda il mondo condominiale occorre avere riguardo a quanto disposto relativamente all’obbligatorietà per chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme fino a 50mila euro, escluse le materie in cui è obbligatorio tentare la mediazione. 60 Il Attenzione però: una serie di controversie sono escluse esplicitamente dal raggio d’azione della negoziazione assistita obbligatoria. Si tratta, intanto, delle controversie che riguardano obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori. Inoltre, per quel che riguarda le azioni per il recupero del credito, per cui già è esclusa espressamente la mediazione obbligatoria, la negoziazione assistita non è condizione di procedibilità se il creditore intende agire con decreto ingiuntivo. Le nuove regole, poi, non si applicano: nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite; nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; nei procedimenti in camera di consiglio; nell’azione civile esercitata nel processo penale; nei casi in cui la parte può stare in giudizio personalmente. Atteso quindi che nella quasi generalità dei giudizi condominiali, si immagini quelli per ottenere il corrispettivo per l’appalto, l’istituto non trova applicazione obbligatoria, rimangono quali ipotesi concrete solo quelle di recupero del credito se l’amministratore decide di non agire in base al ricorso al decreto ingiuntivo e quelle relative al risarcimento danni. Si immagini ad esempio una richiesta di danni per una caduta in condominio ovvero un’infiltrazione. Possiamo auspicare che invece essa trovi generale applicazione in ogni litigio condominiale a prescindere dalla sua obbligatorietà. Infatti, nella sua versione facoltativa non impedisce di procedere ad una convenzione di negoziazione anche quando è prevista la mediazione obbligatoria. Quindi, veramente si pone come quell’istituto che può portare alla risoluzione dei conflitti in condominio, se il futuro confermerà quella che oggi può essere solo un’intuizione o un augurio in ordine alla sua generale ed indistinta applicazione perché comunque facoltativa. 11 - L’ ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO Con la riforma del processo civile introdotta dalla legge n. 80 del 2005, l’Accertamento Tecnico Preventivo, pur restando un procedimento di istruzione preventiva, diventa anche un’efficace strumento per affrontare e risolvere le controversie in maniera del tutto differente dagli schemi tradizionali. Nel precedente sistema l’ATP trovava scarsa applicazione pratica in quanto circoscritto alla mera descrizione e rappresentazione dello stato di luoghi o cose che, se da un lato tutelava il diritto di acquisire la prova prima del processo, dall’altro impediva di svolgere un’indagine completa, in quanto non estesa anche all’individuazione di cause e, di fatto, limitata ad una mera “fotografia”. Nella classica ipotesi di infiltrazioni in un edificio condominiale, per esempio, il danneggiato poteva far Condominio Nuovo ricorso all’ATP solo per descrivere i luoghi ed accertare i danni lamentati, mentre per conoscere le cause del fenomeno dannoso (rottura o rigurgito della colonna fecale condominiale, rottura o perdita della braga di proprietà esclusiva) doveva instaurare apposito giudizio di cognizione e attendere la nomina del CTU, chiamato a completare le indagini già iniziate con l’ATP. In pratica, solo la consulenza tecnica disposta nel giudizio di merito era utilizzabile per individuare la causa dei danni, anche se gli accertamenti compiuti a distanza di lungo tempo dai fatti potevano essere compromessi o resi difficoltosi dalla modifica dell’originario stato dei luoghi e, comunque, non avrebbero potuto avere la stessa obiettiva efficacia di quelli che avrebbe potuto svolgere il consulente nominato già in fase di A.T.P. L’attuale formulazione dell’art. 696 c.p.c., non solo elimina completamente tali anomalie, ma, soprattutto, trasforma l’ATP in un pratico strumento da utilizzare per la rapida risoluzione delle controversie, specie con riferimento alla materia condominiale e locativa. 11.1 - A.T.P. CON FUNZIONE VALUTATIVA EX ART. 696 C.P.C. Anche dopo la riforma, l’ATP resta un procedimento di istruzione preventiva diretto a tutelare il diritto di precostituire la prova dei fatti posti a fondamento della domanda (fumus boni iuris), quando sussiste il periculum che possano venir meno i presupposti materiali per l’acquisizione della prova stessa. L’oggetto dell’A.T.P. riguarda sempre la verifica dello stato dei luoghi o la qualità e le condizioni di cose che, però, viene estesa anche alla “valutazione in ordine alle cause” e, quindi, alla ricerca dei fenomeni che hanno determinato l’evento dannoso. La norma recepisce gli orientamenti giurisprudenziali che, già prima della riforma, riconoscevano l’utilizzabilità di un A.T.P. ampliato anche alla ricerca preventiva delle cause, quando le relative indagini sarebbero state certamente compromesse dal decorso del tempo (C. Cost. 388/99 e Cass. 12007 del 08.08.2002), ovvero fossero state compiute nel rispetto del contraddittorio ed acquisite agli atti del giudizio senza opposizione delle parti (Cass. 12748 del 17.11.99 e Cass. n. 5397 del 18.08.1983). In tal modo, l’ATP acquista una funzione del tutto diversa da quella fino ad oggi conosciuta, diventando concreto strumento volto a precostituire una prova completa di tutti gli elementi tecnici che, nella precedente formulazione, poteva essere acquisita solo nel giudizio di merito. Si elimina così il rischio che lungaggini processuali e fattori esterni possano modificare o alterare lo stato dei luoghi e si garantisce l’acquisizione immediata di elementi e fatti da utilizzare nel successivo giudizio di merito come mezzo di prova. 61 Il Condominio Nuovo A prescindere dagli aspetti meramente probatori, in realtà, l’ATP produce anche effetti immediati che incidono in maniera decisamente positiva sull’intera controversia, con indubbio vantaggio per tutte le parti in causa. Accertare con anticipo le cause dell’evento dannoso, infatti, significa anche circoscrivere l’oggetto del contendere e individuare preventivamente l’effettivo responsabile, consentendo alle parti di prendere corretta posizione sui fatti di causa e predisporre le opportune strategie difensive. Nell’esempio sopra prospettato di infiltrazioni d’acqua, una volta stabilito se gli spargimenti d’acqua siano da imputare alla fecale condominiale o alla braga di proprietà esclusiva, già prima del giudizio, diventa possibile: - individuare chi tra Condominio e proprietario sia effettivamente responsabile dei danni; - accertare eventuali concause, corresponsabilità di terzi o dello stesso attore nel caso si riscontrassero fenomeni di condensa prodotti dalla sua proprietà; - valutare la posizione dell’assicurazione del fabbricato che, in virtù della garanzia “acqua condotta”, è tenuta ad indennizzare il condomino danneggiato solo in caso di rotture accidentali della fecale e non anche in caso di perdite dovute a vetustà o per rigurgito di fogna. Sempre in tema di infiltrazioni, condominio o proprietario esclusivo del terrazzo di copertura potranno anticipatamente conoscere se la causa dei danni sia da imputare all’usura del manto impermeabilizzante o al danneggiamento della guaina a seguito di opere eseguite dallo stesso proprietario, in modo da individuare l’effettivo responsabile tenuto sia al risarcimento che alle spese di ripristino del terrazzo. In materia di appalto, l’accertamento preventivo di vizi e difformità dell’opera appaltata consente di valutare con maggiore cognizione tecnica il fondamento di un azione di riduzione del prezzo, eliminazione dei vizi, risarcimento dei danni ovvero di un’eccezione di pagamento o compensazione con altri crediti vantati dall’appaltatore. In tema di rapporti di locazione, conduttore o proprietario potranno accertare se le cause delle infiltrazioni lamentate dall’appartamento sottostante siano da imputare alla mancata esecuzione di opere di ordinaria o straordinaria manutenzione, in modo da sapere subito chi dei due è tenuto alle spese di ripristino dei luoghi o al risarcimento dei danni conseguenti all’omessa manutenzione. La conoscenza anticipata di elementi tecnici in grado di delineare i confini dell’intera vicenda, inoltre, contribuisce significativamente anche alla razionalizzazione e semplificazione dell’intera istruttoria, incentrata esclusivamente sull’effettivo motivo del contendere e sulle questioni strettamente giuridiche, senza essere appesantita da eccezioni superflue, irrilevanti o pretestuose. Ciò significa che, anche grazie alla riforma dell’art. 183 c.p.c., il processo potrà volgere subito a conclusione, salvo l’ipotesi in cui emergano adeguati riscontri probatori che sconfessino l’indagine preventiva e convincano il giudice a disporre nuove indagini.Ma, nel caso in cui siano stati anticipatamente acclarati tutti i fatti della lite, le parti sono già in grado di valutare il probabile esito del giudizio e le reali chances di successo e, quindi, di rendersi conto dell’opportunità di ricercare accordi volti al bonario componimento della lite, senza aggravare ulteriormente le rispettive posizioni. Tale prospettiva attribuisce all’ATP l’auspicabile funzione di favorire le intese transattive in modo da ridurre le liti giudiziarie e produrre effetti deflattivi del contenzioso. 11.2 - A.T.P. CON FUNZIONE CONCILIATIVA EX ART. 696 BIS C.P.C. Le vere finalità conciliative perseguite dal legislatore trovano espressa previsione nel nuovo art. 696 bis c.p.c., che introduce un’ulteriore e diversa figura di ATP, con la precipua funzione di risolvere le controversie in maniera diversa e alternativa ai classici meccanismi giurisdizionali. La principale finalità dell’istituto, infatti, è quella di ricercare una rapida risoluzione della lite attraverso un consulente tecnico di nomina giudiziale che, dopo aver compiuti i normali rilievi di carattere tecnico, individui anche le possibili soluzioni per superare i diversi contrasti tra le parti e prospetti una soluzione in via transattiva che possa ottenere il consenso delle parti. In caso positivo, gli accordi raggiunti vengono ratificati in apposito verbale di conciliazione cui il giudice attribuisce efficacia di titolo esecutivo, idoneo ad iscrivere ipoteca, a procedere ad espropriazione e ad esecuzione in forma specifica, in caso di inadempimento di una delle parti. Si tratta di una modifica epocale in grado di ridisegnare parte del tradizionale sistema risarcitorio, in quanto garantisce una tutela del diritto sostanziale di tipo giurisdizionale, pur senza instaurare il classico giudizio di merito, e favorisce una notevole riduzione di costi e tempi della lite, contribuendo ad arginare l’inflazione del contenzioso. Proprio per favorirne un ampio utilizzo, il nuovo ATP è stato sganciato dai presupposti del fumus e del periculum, legittimando l’interessato a richiedere l’accertamento senza dover prospettare alcun pericolo di dispersione della prova, ma solo per l’esigenza di tutelare un generale diritto alla formazione della prova stessa, che potrebbe diventare anche lo strumento per una conciliazione della controversia. Quanto all’oggetto dell’accertamento, l’art. 696 bis c.p.c. individua e limita l’oggetto alla “determinazione dei crediti” aventi origine da una responsabilità contrattuale o da fatto illecito, restando inteso che il CTU debba anche accertare le cause dei danni perchè solo in 62 Il tal modo può condurre serie e concrete trattative volte a superare i diversi contrasti tra le parti e pervenire alla conciliazione della lite. Su tali prospettive, il nuovo ATP può trovare fattiva applicazione in tutte quelle controversie in cui il motivo del contendere riguardi solo la determinazione del risarcimento e, in generale, quando la conciliazione rappresenti un civile e ragionevole modo di dirimere questioni di facile risoluzione o di modesta entità, evitando che i costi del giudizio superino quelli del risarcimento. L’ambito di applicazione spazia dai casi di danni per infiltrazioni provenienti dal terrazzo condominiale, dalle facciate o da qualsiasi impianto di proprietà comune, a quelli dovuti a caduta di cornicioni o a distacchi di intonaci. In tali fattispecie, sussistono fondate possibilità che, una volta accertate cause ed entità dei danni, il Condominio responsabile possa certamente accettare e condividere la soluzione conciliativa proposta dal CTU, non avendo alcun vantaggio a resistere in giudizio. Sempre in ambito condominiale, l’ATP può essere utilizzato per conciliare la lite insorta con il venditore di un qualsiasi impianto a servizio della cosa comune per vizi o difetti del prodotto, ovvero con l’appaltatore quando si contesti l’effettiva quantità dei lavori eseguiti o l’entità dei danni. Anche nei rapporti di locazione, l’ATP può favorire la conciliazione nel caso in cui debbano quantificarsi i danni riscontrati dal locatore dopo il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, ovvero quelli lamentati da quest’ultimo in conseguenza della mancata esecuzione di opere di manutenzione straordinaria. In ogni caso, la scelta di richiedere o meno un ATP conciliativo andrà valutata caso per caso e dipenderà soprattutto dalle pretese del danneggiato che non sempre possono trovare immediato riscontro e pronta soluzione. Oltre ai danni materiali all’immobile, per esempio, il danneggiato potrebbe lamentare anche danni per parziale godimento dello stesso, per disagio locativo, per mancato guadagno in caso di chiusura di un esercizio commerciale e, pertanto, sembra più opportuno richiedere un ATP tradizionale che, comunque, consente al danneggiato di precostituirsi la prova delle cause dei danni e, nelle more del giudizio, sondare la disponibilità della controparte ad una definizione della lite. Naturalmente, la procedura conciliativa potrebbe fallire perché il soggetto chiamato a partecipare alla procedura ometta di costituirsi, ovvero, anche in caso di contraddittorio integro, perché le parti non ritengano di accettare le proposte del CTU, per ragioni tecniche o di diritto. In tal caso, pur non avendo raggiunto il principale fine conciliativo, l’ATP riassume le sue origini di strumento di formazione preventiva della prova prima del processo ordinario e, pertanto, la relazione del CTU Condominio Nuovo potrà essere acquisita agli atti del processo di merito come mezzo di prova. 11.3 - ASPETTI PROCESSUALI Il nuovo ATP impone un’attenta riflessione su alcune questioni di carattere processuale. La prima riguarda proprio l’effettiva efficacia probatoria della consulenza svolta nel corso di un A.T.P. conciliativo che non abbia raggiunto il suo principale scopo di risolvere la controversia. Il legislatore, inserendo il nuovo istituto nell’ambito dei procedimenti di istruzione preventiva e prevedendo al comma 5 che “ciascuna parte” possa chiedere l’acquisizione della relazione peritale agli atti del successivo giudizio di merito, lascia chiaramente intendere che l’ATP conciliativo resta comunque uno strumento di formazione della prova prima del processo ordinario, al pari dell’ATP tradizionale. Ma, a differenza di questo ultimo, il procedimento viene azionato anche in assenza dei presupposti del fumus e del periculum e, inoltre, la relazione peritale contiene non solo indagini di natura tecnica, ma esprime anche valutazioni e giudizi non strettamente tecnici e scientifici, in conseguenza di un ampio potere, mai prima d’oggi riconosciuto al CTU. Tutto ciò induce a ritenere che i reali effetti probatori andranno comunque circoscritti alle sole valutazioni di carattere tecnico e che, comunque, sarà compito del giudice valutare caso per caso la rilevanza e l’ammissibilità della prova preventiva o la necessità di rinnovare la consulenza, ex art. 698 c.p.c. Sotto il profilo strettamente procedurale, l’ATP conciliativo ha caratteri del tutto similari a quello tradizionale, atteso che la norma richiama indirettamente gli artt. 694 e 695 c.p.c. Il procedimento, infatti, si introduce con ricorso al giudice competente che fissa con decreto l’udienza di conferimento dell’incarico al CTU, assegnando termine perentorio per la notifica del ricorso. All’udienza di comparizione, il giudice verifica la regolarità del contraddittorio ed eventualmente dispone la chiamata in causa di terzi potenzialmente interessati alla lite e che potrebbero favorirne la conciliazione (si pensi alla chiamata in garanzia dell’assicurazione o del soggetto realmente responsabile). A questo punto, fissa la data delle operazioni peritali, l’anticipo dell’onorario e, sopratutto, specifica i quesiti della consulenza, dando così un preciso indirizzo giuridico al consulente che, anche se investito di ampi poteri, resta sempre un suo ausiliare. Attività e poteri del consulente sono regolati dagli artt. 191-197 c.p.c., espressamente richiamati dall’ultimo comma dell’art. 696 bis c.p.c. Il mancato richiamo all’art. 201 c.p.c. non esclude la possibilità di nominare un consulente di parte, la cui presenza è indirettamente prevista anche dall’art. 194 c.p.c. e, comunque, indispensabile per consentire alle parti di valutare 63 Il Condominio Nuovo le risultanze della consulenza anche da un punto di vista tecnico. Nel corso delle operazioni peritali, il CTU ha l’obbligo di tentare la conciliazione e, in caso positivo, forma il processo verbale di conciliazione e lo deposita in cancelleria affinché il giudice, con decreto, gli attribuisca efficacia di titolo esecutivo e, contestualmente, provveda anche alla liquidazione del suo onorario. Il verbale diventa utilizzabile per ogni tipo di esecuzione forzata ed è esente dall’imposta di registro. Se la conciliazione fallisce, invece, il CTU deposita la relazione peritale e il giudice provvede soltanto alla liquidazione del compenso. In ordine alle impugnazioni, la natura di procedimento palesemente non cautelare dell’ATP conciliativo, esclude certamente l’ammissibilità del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. Anche se di scarso rilievo pratico, sembra invece possibile l’esperibilità del regolamento di competenza, limitatamente al caso in cui dovesse sorgere un conflitto di competenza negativo tra giudice di pace e tribunale. Infine, occorre segnalare che l’art. 696 bis nulla dispone in merito alle spese legali che diventano parte integrante del danno e, quindi, devono essere determinate a completamento del procedimento conciliativo. Facendo riferimento al tariffario, non dovrebbero sorgere grosse difficoltà per la determinazione dei compensi legali, atteso che gli onorari previsti per i procedimenti speciali sono decisamente contenuti, mentre i costi dei diritti sono limitati dal ridotto numero di prestazioni che richiede il procedimento. Nell’ipotesi di mancata conciliazione, invece, qualora la sentenza profili una soluzione della vertenza in linea con le proposte formulate in sede di ATP ed emerga l’assoluta infondatezza dei motivi di resistenza, la condanna dovrà comprendere anche la rifusione delle spese legali sostenute per dare impulso o per prender parte alla procedura preventiva e, soprattutto, dovrà tenersi conto che la parte vittoriosa ha dovuto necessariamente partecipare e difendersi in un giudizio che si sarebbe dovuto (e potuto) evitare. Proprio per questo, diventa auspicabile ed opportuno, che i giudici liquidino le spese legali tenendo conto di tutte le attività legali svolte nell’intera vicenda e applicando i valori massimi del tariffario, anche al fine di non incentivare o premiare comportamenti ostruzionistici. Il Condominio Nuovo I principi di riparto delle spese Utilità Rodolfo Cusano Avvocato L’art. 1123 c.c. stabilisce che «le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne. Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità». La norma esprime il generale principio in forza del quale le spese relative alle parti comuni di un fabbricato in condominio vanno ripartite fra i condòmini in proporzione alle rispettive quote di proprietà. La norma, tuttavia, a ben vedere, detta tre criteri per il riparto: - il primo comma prevede il criterio della cd. utilizzazione generale; - il secondo comma stabilisce invece il criterio dell’utilizzazione differenziata; - il terzo comma, infine, prevede il criterio della utilizzazione separata. Sulla base di tali criteri è possibile operare la seguente distinzione tra le diverse tipologie di spesa, in relazione a specifiche parti dell’edificio condominiale: - spese di conservazione, manutenzione, godimento ed impianto di cose necessarie all’esistenza dell’edificio (fondamenta, suolo, muri maestri, tetto, lastrico solare). Esse gravano in proporzione alla quota di proprietà di ciascun condòmino. Ove si tratti di parti comuni destinate a servire soltanto alcuni dei condòmini (ad esempio un muro comune che sorregge un’insegna), la ripartizione viene operata in proporzione all’uso che ciascuno può farne; - spese di conservazione, manutenzione, godimento ed impianto di parti dell’edificio necessarie all’uso comune. Relativamente alle parti che servono ugualmente tutti i piani, ciascun condòmino contribuisce in proporzione alla sua quota di proprietà, salvo che si tratti di opere o impianti destinati al servizio di una parte soltanto del fabbricato (le cui spese sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità) o che procurino utilità ad alcuni soltanto dei condòmini (si pensi, ad esempio, alle scale, che sono mantenute o ricostruite dai proprietari dei piani a cui servono); - spese di conservazione, manutenzione, godimento ed impianto di locali ed opere destinati all’uso o al godimento comune o ai servizi in comune (es. portineria, pozzi, fognature). Trattandosi di spese relative a beni che normalmente servono in egual misura tutte le parti dell’edificio, al loro pagamento sono tenuti a concorrere tutti i condòmini in proporzione alle rispettive quote di proprietà; ove le opere siano destinate al servizio di una sola parte dell’edificio, le spese ad esse relative sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità; se, invece, servono in misura diseguale i diversi piani, la ripartizione è operata in proporzione all’uso che ciascuno può farne; - spese di esercizio dei servizi comuni. Per queste ultime dovrebbe valere il principio delle spese di godimento, in virtù del quale chi può trarre beneficio dall’impianto comune e non ne approfitti o ne approfitti solo parzialmente, deve ugualmente contribuire alle spese in ragione di ciò che sarebbe in grado (se volesse) di ricavarne. Sulla base di queste considerazioni, parte della dottrina ritiene che il condòmino che rinunci al servizio di riscaldamento è ugualmente tenuto a contribuire alle spese di esercizio. Si è però obiettato, da parte di alcuni autori, che è necessario distinguere tra spese di esercizio o di godimento e spese di conservazione dell’impianto: le seconde gravano su tutti, mentre quelle di esercizio sono a carico dei soli condòmini che beneficiano del servizio e nella misura in cui ne beneficiano, sicché ne sarebbero esentati i rinunzianti. 65 Il Condominio Nuovo Va infine affrontata la questione se i criteri di riparto stabiliti dall’art. 1123 c.c. possano essere derogati mediante accordi tra i condòmini. La risposta è senz’altro positiva, non rientrando l’articolo in esame tra quelli dichiarati inderogabili dall’art. 1138, ultimo comma, c.c., con la precisazione, tuttavia, che le deroghe possono essere deliberate solo dall’accordo unanime dei condòmini. Tale accordo può essere consacrato in un regolamento contrattuale ovvero essere oggetto di una delibera assembleare approvata all’unanimità. Sarebbe nulla (e come tale impugnabile senza limitazioni di tempo) la delibera che, in mancanza di accordo unanime, disponesse un criterio di ripartizione delle spese in base a criteri diversi da quello legale, mentre saranno semplicemente annullabili le delibere che in concreto ripartissero le spese in violazione dei criteri di ripartizione già stabiliti. LE TABELLE MILLESIMALI Nel condominio, come abbiamo visto, coesistono due tipi di proprietà: la esclusiva e la comune. La prima, in proporzione, proiettandosi su quella in comunione attraverso un valore, detto millesimale, permetterà ad ogni condòmino di conoscere il proprio peso decisionale in assemblea, nonché il proprio onere economico circa le spese relative ai beni ed ai i servizi in comune. Tale ultima determinazione non è univoca in quanto l’utilizzo di beni, impianti e servizi comuni, da parte di singoli condòmini, non è necessariamente uguale, ma può verificarsi il caso che alcuni condòmini facciano un uso diverso, maggiore o minore rispetto ad altri condòmini, di tali beni o, addirittura, che determinati impianti o servizi comuni servano solo una parte degli immobili (cd. proprietà parziaria). In tali ipotesi dovranno essere compilate più tabelle millesimali che rappresentino fedelmente i diversi modi di atteggiarsi delle proprietà comuni. È opportuno, prima di passare all’esame specifico delle tabelle, distinguere le tabelle millesimali di proprietà dalle tabelle millesimali di gestione. Le tabelle millesimali di proprietà determinano la quota di proprietà del condòmino sulle parti comuni. In particolare, esse sono condizione necessaria per il funzionamento del massimo organo deliberante, l’assemblea, nonché per il riparto delle spese relative ai beni comuni. Pertanto, nei condomini, avremo una tabella, comunemente detta Tabella A che, in aderenza allo spirito degli artt. 1118, 1123, primo comma e 1136 c.c., determinerà la misura del diritto di proprietà di ciascun partecipante sui beni in comune: in particolare essa determinerà la misura del voto del condòmino in assemblea e la misura dell’onere di spesa a suo carico. Avremo, inoltre, tante tabelle millesimali di gestione quanti sono i servizi condominiali, da usare al solo fine della ripartizione delle spese condominiali ex artt. 1123, 1124 e 1126 c.c. Di conseguenza la Tabella A sarà utilizzata nei seguenti casi: 1. calcolo delle maggioranze millesimali richieste dalla legge per la validità della costituzione delle assemblee condominiali; 2. calcolo delle maggioranze richieste dalla legge per la validità delle deliberazioni assembleari; 3. ripartizione delle spese in conformità all’art. 1123, primo comma, c.c., per il godimento delle parti comuni, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune, e per le innovazioni deliberate a norma degli artt. 1120 e 1121 c.c. Il punto 3 dell’elenco chiarisce come la tabella di proprietà, in presenza di un uso o godimento paritetico dei beni, impianti e servizi comuni, diventa contemporaneamente, e a norma dell’art. 1123, primo comma, c.c., anche tabella di gestione della relativa spesa. Le altre tabelle che verranno compilate in aderenza agli artt. 1123 secondo comma, 1124 e 1126 c.c. non implicano alcuna conseguenza rispetto ai diritti reali, avendo per oggetto solo ed esclusivamente la ripartizione delle spese. In particolare, essendo il condominio una proprietà mista, ci sarà sui beni di uso comune una concorrenza di uso e godimento da parte di più persone; tale concorrenza in capo ai singoli condòmini potrà avere una modalità identica ed allora la spesa, per equità, si ripartirà in base ai millesimi di cui alla tabella A, cioè in proporzione al valore di piano o porzione di piano di cui ciascuno gode. In questo caso avremo una ripartizione ex art. 1123, primo comma, c.c. Quando tale proporzione nell’uso della cosa comune non potrà venire rispettata, perché in relazione alla proprietà individuale alcuni condòmini ne fanno un uso maggiore o minore rispetto agli altri, o ancora perché 66 Il Condominio Nuovo l’uso di alcuni beni comuni è riservato in esclusiva ad alcuni condòmini, allora sarà necessario compilare altre tabelle millesimali al fine di una più equa ripartizione di spesa, che tenga conto di tali disparità di godimento, in aderenza pertanto allo spirito di cui agli artt. 1123, secondo e terzo comma, 1124 e 1126 c.c. Per quanto concerne i casi di proprietà ad uso differenziato, i più comuni sono quelli che riguardano le scale, l’impianto di ascensore e l’erogazione del calore. Casi ricorrenti di proprietà ad uso separato, detta anche proprietà parziaria, sono quelli che riguardano le palazzine separate le une dalle altre, aventi in comune impianti come i cancelli, i giardini, i muri di cinta e così via. Descriviamo, allora, le tipologie di tabelle millesimali solitamente utilizzate: - Tabella A: è la tabella di proprietà generale, richiamata dagli artt. 1118 e 1123, primo comma, c.c. Questa tabella è essenziale per il condominio in quanto esprime in millesimi il valore del piano o porzione di piano in relazione alla comproprietà dei beni comuni. Può essere considerata la tabella «madre» poiché da essa originano, il più delle volte, anche le altre tabelle. - Tabella B: è la tabella relativa alla gestione della spesa concernente le scale e quindi attiene ad un bene comune suscettibile di un uso differenziato o separato, di cui agli artt. 1123, secondo comma, e 1124 c.c. - Tabella C: è la tabella di gestione della spesa concernente l’esercizio e la manutenzione dell’ascensore (tabella di proprietà differenziata o separata). Se il regolamento di condominio non dispone diversamente, la consolidata giurisprudenza vuole che tutte le spese vadano ripartite a norma dell’art. 1124 c.c. - Tabella D: è la tabella di gestione della spesa concernente l’erogazione di calore da parte dell’impianto centrale di riscaldamento (tabella di proprietà differenziata o separata). Alle sopra citate tabelle saranno aggiunte quelle ulteriori tabelle di gestione della spesa che si renderà necessario compilare, come, ad esempio, quella relativa alla pulizia ed illuminazione dell’androne di accesso alla scala ed all’ascensore (Tabella E), oppure quella per la ripartizione delle spese di portierato, ove tale servizio esista (Tabella F). La tabella principale, quella che, in ogni caso, non dovrà mai mancare, è la Tabella A, mentre tutte le altre potranno esserci o meno, a seconda della volontà condominiale, che comunque potrà decidere in ordine al riparto della spesa anche in deroga alle stesse ex art. 1123 c.c. Ciò che è importante ricordare è che, come da giurisprudenza costante (9), l’esistenza della tabella millesimale non costituisce requisito di validità delle delibere assembleari, dato che il criterio per la determinazione delle singole quote preesiste alle tabelle, derivando dal rapporto tra il valore dell’intero edificio e quello della proprietà singola. LE SPESE DI CONSERVAZIONE E MANUTENZIONE Ai sensi dell’art. 1104, primo comma, c.c. ciascun partecipante alla comunione deve contribuire alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune, ed analogo obbligo è sancito dall’art. 1123, primo comma, c.c., con riguardo alle parti comuni dell’edificio condominiale. Quanto alla qualificazione di tali spese, alcuni Autori hanno sostenuto che per spese di conservazione devono intendersi quelle che attengono all’integrità del bene, in quanto dirette a conservarlo, quali le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria, così come le spese per riparazioni e ricostruzioni, differenziandole dalle cd. spese per l’uso, che sono invece quelle necessarie per il godimento dei beni comuni e la prestazione dei servizi. Autorevole dottrina (TERZAGO) ha tuttavia precisato, al riguardo, che tale principio di distinzione tra spese di conservazione e d’uso «è puramente teorico, perché difficile è la linea di demarcazione tra le due categorie [...] Infatti non è sempre agevole distinguere il deterioramento prodotto dall’uso da quello prodotto dalla vetustà». Il problema della distinzione tra spese di conservazione e spese di uso o di esercizio, tuttavia, non è puramente teorico. È infatti necessario, in relazione a determinati impianti, quale ad esempio quello di riscaldamento, distinguere tra spese di esercizio e spese di conservazione: le seconde, infatti, gravano su tutti i condòmini, mentre quelle di esercizio sono a carico dei soli condòmini che beneficiano del servizio e nella misura in cui ne beneficiano, sicché ne sarebbero esentati i rinunzianti. Così, ad esempio, nel caso di spese relative all’impianto di riscaldamento, coloro che (legittimamente) rinunziassero a fruire dello stesso, continuerebbero a contribuire alle spese di conservazione, non venendone meno la comproprietà, ma non sarebbero tenuti a pagare le spese di esercizio (quelle relative, ad esempio, al gasolio). 67 Il Condominio Nuovo Per quanto attiene specificamente alle spese di manutenzione, va innanzitutto detto che per tali devono intendersi le spese necessarie per mantenere la cosa comune nello stato in cui essa si trova e conservarne la conveniente efficienza e funzionalità, in relazione all’uso che normalmente se ne fa, sì da permettere ai condòmini di ritrarre dalla stessa tutte le utilità che è in grado di produrre. In altri termini, secondo questa impostazione, tali spese sono funzionali a che la cosa comune serva all’uso o al godimento cui è destinata. Vi rientrano, perciò, sia la spese che hanno come scopo quello di preservare la cosa, impedendone il deterioramento (come, ad esempio, le spese di intonacatura e tinteggiatura della facciata dell’edificio o di sostituzione dei passamano usurati), che sono da qualificare come spese di ordinaria manutenzione, sia le spese di straordinaria manutenzione. Quanto in particolare a queste ultime, secondo parte della dottrina, esse si identificano con quelle rese necessarie da eventi imprevisti di carattere eccezionale, come quelle dovute a caso fortuito o a forza maggiore. Secondo altra dottrina, tuttavia, «questa limitazione non pare giustificata in quanto spese straordinarie potrebbero essere anche quelle rese necessarie dalla mancata esecuzione di opere di manutenzione ordinaria; ad esempio il crollo di un muro, il rifacimento totale di un tetto, di infissi etc.» (TERZAGO). In altri termini, secondo tale impostazione, le spese di manutenzione straordinaria sono quelle necessarie a restituire alla cosa la sua normale funzionalità, una volta che questa sia venuta meno a causa della mancata esecuzione di opere di ordinaria manutenzione o per il verificarsi di un evento il quale, anche se prevedibile, non poteva essere evitato mediante opere di ordinaria manutenzione. LE SPESE GRAVOSE E VOLUTTUARIE Il discorso relativo alle spese gravose e voluttuarie è inscindibilmente connesso con quello relativo alle innovazioni, per cui è opportuno, in via preliminare, accennare, se pur brevemente, a queste ultime. L’art. 1120, primo comma, c.c., stabilisce che i condòmini, con la maggioranza di cui all’art. 1136, quinto comma, c.c., possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. Il medesimo articolo, al secondo comma, soggiunge che sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condòmino. Dalle innovazioni previste dall’art. 1120 c.c. vanno tenute distinte quelle di cui all’art. 1121 c.c., il quale disciplina le innovazioni cd. gravose o voluttuarie. Le prime sono quelle innovazioni che comportano una spesa onerosa rispetto alle particolari condizioni ed all’importanza dell’edificio (quale, ad esempio, l’installazione di un impianto di aria condizionata centralizzata in un edificio fatiscente). Le seconde, invece, cioè le innovazioni voluttuarie, sono quelle non strettamente indispensabili o comunque prive di utilità pratica (ad esempio, l’installazione di statue di marmo o di piante decorative nell’atrio dell’ingresso). Il carattere gravoso o voluttuario dell’innovazione va determinato con riguardo alle particolari condizioni ed all’importanza dell’edificio, e non in considerazione di elementi personali attinenti alla situazione patrimoniale dei singoli condòmini. L’onere di provare la gravosità di una innovazione è a carico di chi eccepisce la gravosità stessa. Qualora l’innovazione rivesta carattere di gravosità o voluttuarietà, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condòmini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa. Se, invece, l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condòmini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa. I condòmini dissenzienti ed i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera. Per ottenere l’esonero dall’obbligo di partecipare alle spese, il condòmino deve impugnare la deliberazione entro trenta giorni dalla sua assunzione, se dissenziente, o dalla sua comunicazione, se assente. L’impugnazione della delibera, infatti, impedisce che si perfezioni l’acquisto del diritto di comunione sulla nuova opera. La ratio della norma di cui all’art. 1121 c.c. è da ricercare, secondo la dottrina tradizionale, nel contemperamento dell’interesse dei condòmini economicamente più favoriti, desiderosi di comodità non necessarie, con quello degli altri meno abbienti. La dottrina più recente àncora, invece, la valutazione ad elementi prevalentemente obiettivi, quali la destinazione dell’edificio o le sue particolari condizioni. 68 Il Condominio Nuovo L’esecuzione dei crediti vantati dai terzi in condominio Rodolfo Cusano Avvocato Come abbiamo già precisato nei paragrafi precedenti l’art. 1123 c.c. disciplina la suddivisione interna delle spese tra i singoli condòmini, prendendo in esame la disciplina delle obbligazioni condominiali nei confronti dei partecipanti al condominio. L’articolo individua tre distinti criteri di ripartizione che sono: - in proporzione al valore della proprietà di ciascun condòmino se si è in presenza di cose e servizi destinati a servire indifferentemente tutti i condòmini; - in proporzione all’uso che ciascun condòmino può farne se si tratta di cose e servizi destinati a servire i condòmini in misura diversa; - in ragione dell’utilità che ciascun gruppo di condòmini riceve da cose e servizi destinate a servire funzionalmente solo una parte dell’edificio. Essenziale ai fini della individuazione concreta della misura dell’obbligo di pagamento a carico del condòmino sono le tabelle millesimali, che de precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna sua porzione spettante in proprietà esclusiva ai singoli condòmini. Solo in relazione a detto valore proporzionale, generalmente espresso in millesimi, potrà correttamente individuarsi la quota che ciascun singolo condòmino dovrà corrispondere alla gestione condominiale. Da ciò una prima conclusione può trarsi e, cioè, che l’obbligazione di pagamento degli oneri condominiali trae origine dal diritto di proprietà e non dalla concreta utilizzazione che il condòmino faccia del servizio medesimo. Diversamente, nel caso di cose o servizi destinati a servire i condòmini in misura diversa, ove la possibilità dell’uso sia esclusa, per ragioni strutturali indipendenti dalla libera scelta del condómino, resta escluso anche l’onere di contribuzione alle spese di gestione. Ma, si badi bene, il fatto che il condòmino, potendo godere della cosa, non la utilizzi, non lo esonera dal pagamento delle spese. In dottrina e giurisprudenza è costante il riferimento alla natura reale delle riferite contribuzioni, derivando il relativo obbligo dal diritto dominicale sull’immobile. In quanto obbligationes propter rem esse sono connaturate con il diritto di proprietà e preesistono alla deliberazione assembleare di approvazione dello stato di ripartizione, il quale ha mero valore dichiarativo e non costitutivo del debito di ciascun condòmino nei confronti del condominio. Ed infatti la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che l’obbligazione dei condòmini di contribuire alle spese condominiali non sorge per effetto della delibera dell’assemblea di ripartizione dei contributi, che è rivolta soltanto a determinare le quote di ciascuno e che, comunque, non ha valore costitutivo ma soltanto dichiarativo del relativo credito del condominio in rapporto alla quota di contribuzione dovuta dal singolo partecipante, delibera che può anche mancare ove esistano le tabelle millesimali, per cui l’individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condòmini è il risultato di una semplice operazione matematica. Il proprietario non può sottrarsi all’adempimento dell’obbligazione su di lui gravante anche quando, nello stato di ripartizione approvato, non risulti il suo nome bensì quello del suo dante causa. In quanto obbligazione «propter rem» il nuovo proprietario della porzione immobiliare è tenuto al pagamento anche delle spese deliberate precedentemente all’acquisto. I criteri di ripartizione previsti dall’art. 1123 c.c. possono derogarsi solo a condizione che vi acconsentano tutti i condòmini. In definitiva, dunque, il condòmino - per il solo fatto di essere proprietario esclusivo di una porzione immobiliare e proprietario pro quota delle parti in comune - è soggetto passivo dell’obbligo di contribuzione alle spese sostenute relative alle parti in comunione, senza che possa addurre motivi ostativi derivanti dalla non utilizzazione o anche non utilizzabilità delle stesse. Questo perché il condòmino non è titolare di un diritto contrattuale di natura sinallagmatica nei confronti del condominio, relativamente alla utilizzazione delle parti comuni, che potrebbe giustificare l’applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum. Anche se un servizio condominiale non risulta utilizzabile, per il suo mancato funzionamento (si pensi al riscaldamento centralizzato) il condòmino sarà comunque tenuto a corrispondere, per la sua quota, le spese di gestione e non sarà titolare di una azione di rivalsa nei confronti del condominio stesso così come di un’azione di risarcimento del danno che potrà esperire, però, direttamente nei confronti della ditta installatrice in quanto, in caso di inerzia dell’amministrazione condominiale, ben può sostituirsi ad essa o adire l’autorità giudiziaria a norma dell’art. 1105 c.c., dettata in materia di comunione ma applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio disposto dall’art. 1139 c.c. A) Le obbligazioni nei confronti dei terzi Le liti condominiali non si limitano a quelle, sebbene frequenti, che intercorrono tra condominio e singoli proprietari delle unità immobiliari ma possono intervenire anche tra l’ente condominiale e terzi, i quali interagiscano con il primo mediante rapporti di tipo contrattuale o extracontrattuale. 69 Il Condominio Nuovo Nell’ambito delle obbligazioni nascenti da contratto assumono particolare rilevanza quelle derivanti dal rapporto di lavoro con il custode dello stabile, il quale è lavoratore subordinato alle dipendenze del condominio. Ma il condominio è anche titolare di obbligazioni nei confronti del conduttore del locale di proprietà condominiale, essendo tenuto al rispetto delle norme dettate in materia di locazione; ovvero dell’impresa di pulizia con la quale ha concluso un contratto, nel qual caso saranno applicabili le norme relative al contratto di appalto; dell’impresa che fornisce l’energia elettrica al fabbricato, ed allora saranno da applicare le regole relative alla fornitura di servizi; dell’impresa che abbia acquisito il diritto di posizionare alla sommità dell’edificio antenne per i servizi di telefonia mobile ovvero di installare sulla facciata cartelloni pubblicitari. Parimenti in capo al condominio possono nascere obbligazioni risarcitorie derivanti da rapporti extracontrattuali. Esse, più frequentemente, deriveranno dai danni provocati dalle parti comuni a terzi per la caduta di massi e calcinacci e per la presenza, nell’ambito delle zone condominiali, di insidie e trabocchetti. Altre ipotesi di interazione con terzi rispetto al condominio sono quelle possibili tra due fabbricati, che abbiano in comune il muro di confine o che siano stati costruiti in aderenza o, ancora, che abbiano in comune aree antistanti. Terzi sono anche gli enti territoriali ed eventuali liti potranno derivare dallo sprofondamento della strada, che provochi danni all’edificio in condominio, dalla interruzione dei servizi, dal corretto allacciamento alle fognature, dai lavori di ristrutturazione dell’edificio. In tutti i casi sopra evidenziati, il condominio assumerà la veste di soggetto autonomo, nell’ambito della controversia, rispetto ai singoli condòmini e sarà rappresentato dal suo amministratore. Gli esiti del giudizio impegneranno tutti i condòmini, fatti salvi gli effetti del dissenso alle liti, di cui all’art. 1132 c.c., e della ripartizione interna in base alle tabelle millesimali. Una pur breve elencazione, benché senza esaustività, aiuterà a meglio comprendere gli infiniti casi che nella realtà quotidiana possono accadere. Liti tra condòmini di fabbricati confinanti: - il muro di confine; - aree antistanti comuni – regolamento della comunione. Liti tra condominio ed enti territoriali: - sprofondamento della strada; - interruzione dei servizi; - allacciamento alle fognature; - lavori di ristrutturazione del fabbricato. Liti tra condominio e terzi (rapporti contrattuali): - il portiere; - il conduttore di locale condominiale; - installazione di antenne per telefonia; - installazione di cartelloni pubblicitari; - l’impresa di pulizia; - l’impresa per la fornitura dell’energia elettrica. Liti tra condominio e terzi (rapporti extracontrattuali): - caduta massi e calcinacci; - insidie e trabocchetti; - l’ascensore. Il presupposto della nascita dell’obbligazione il più delle volte fonda sulla considerazione che l’amministratore di condominio esercita un mandato con rappresentanza. 70 Il Per tale motivo il condominio è considerato come un unicum, cioè una parte complessa considerata in modo unitario. Conseguentemente gli effetti dei contratti stipulati dall’amministratore si riverberano direttamente nella sfera giuridica dei rappresentati. La mancata previsione di un patrimonio autonomo, tra l’altro non permette altra classificazione. In realtà, invece, potrebbe accadere che il condominio abbia costituito un fondo speciale, ad esempio, in materia di lavori straordinari o fondo cassa per la manutenzione ordinaria. La costituzione di detti fondi potrebbe far pensare ad una esclusione della responsabilità diretta dei singoli condòmini, a meno di un’azione surrogatoria del terzo nei confronti dell’amministratore, rimasto inerte al suo dovere. Invero, ciò non è. Infatti, in primo luogo, bisogna precisare che detto fondo non libera affatto i condòmini, i quali in virtù del mandato con rappresentanza hanno la responsabilità di rispondere con tutto il loro patrimonio alle obbligazioni contratte dall’amministratore. Inoltre, il fondo ordinario o speciale non è che viene attribuito ad un soggetto diverso, né sottoposto ad alcuna misura di conservazione a favore dei creditori. Non è possibile pertanto estendere le disposizioni, di cui agli artt. 2267 e 2268 del c.c., sulla preventiva escussione del patrimonio sociale, per cui, in caso di esecuzione forzata di un creditore, è del tutto irrilevante l’esistenza o meno di un fondo comune. Per cui, ci si potrebbe chiedere se bisogna rispettare il dettato di cui all’art. 1123 e seguenti del c.c., relativi alla ripartizione delle spese assunto come presupposto pacifico che per i debiti contratti dall’amministratore vi è la responsabilità di tutti i partecipanti al condominio. In altri termini se tale ripartizione ha una mera rilevanza interna oppure può essere opposto anche al creditore. Questo problema è la conseguenza del nuovo indirizzo della Suprema Corte di cui alla recente sentenza dell’8 aprile 2008, n. 9148. Sul punto la Suprema Corte non ha avuto sempre lo stesso indirizzo, in un primo momento (10) aveva, infatti, sostenuto che ognuno dei condòmini è tenuto al pagamento pro quota dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, prendendo ad esame il caso del condòmino subentrante nelle ragioni di altro condòmino ex art. 63 disp. att. c.c. in caso di vendita dell’immobile condominiale. Subitaneamente ed a distanza di soli cinque anni da questa pronuncia la stessa Corte di Cassazione ebbe a ritenere (11) non esonerato dagli effetti della costituzione in mora un condòmino che pure aveva fatto offerta formale di pagamento al terzo creditore, però della sola sua quota di partecipazione alla spesa. E tale indirizzo è stato poi seguito per lungo tempo. Nel 1996 (12), in un caso riguardante la richiesta di un ex amministratore di somme anticipate nel corso della gestione, la Cassazione ebbe a cambiare nuovamente il suo indirizzo ed a ritenere che di fronte alla possibilità di chiedere l’intero credito in capo all’amministratore sussistesse nei confronti dei singoli condòmini solo la possibilità di chiedere il pagamento pro quota. Ritornando ancora sullo stesso aspetto nel 2001 (13) Condominio Nuovo la Corte ebbe a sancire che in caso di costituzione di un fondo cassa per sopperire all’inadempimento di un condòmino moroso, esso serviva ad evitare più gravi danni derivanti ai condòmini tutti «esposti dal vincolo di solidarietà passiva operante all’esterno, alle azioni dei terzi». Per cui questo recente indirizzo durava appunto dal 2001 ed venuto a cessare con la sentenza resa a Sezioni Unite dell’8 aprile 2008, n. 9121 di cui meglio si dirà nel seguente paragrafo. B) L’esecuzione dei crediti vantati dai terzi nei confronti del condominio va effettuata nei confronti dei singoli condòmini per quote È venuta meno la solidarietà fino ad oggi principio pacifico, tra i singoli condòmini in materia di debiti condominiali nei confronti di terzi estranei al condominio. Lo ha affermato la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza dell’8 aprile 2008, n. 9148. La questione di diritto, che la Suprema Corte doveva risolvere per decidere la controversia, riguardava la natura delle obbligazioni dei condòmini. Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, la responsabilità dei singoli partecipanti per le obbligazioni assunte dal «condominio» verso i terzi aveva natura solidale, avuto riguardo al principio generale stabilito dall’art. 1294 c.c. per l’ipotesi in cui più soggetti siano obbligati per la medesima prestazione: principio non derogato dall’art. 1123 c.c., che si limita a ripartire gli oneri all’interno del condominio (14). Per l’indirizzo (precedente) decisamente minoritario, invece, la responsabilità dei condòmini già era retta dal criterio dalla parziarietà: in proporzione alle rispettive quote, ai singoli partecipanti si imputano le obbligazioni assunte nell’interesse del «condominio». Ad oggi, le obbligazioni dei condòmini (così recita la sentenza 9148/2008) sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie, secondo cui al pagamento dei debiti ereditari i coeredi concorrono in proporzione alle loro quote e l’obbligazione si ripartisce tra gli eredi in proporzione alle quote ereditarie (15). Nei vari passaggi di questa sentenza vi è un’altra importante presa di posizione: quella sulla natura stessa del condominio che non è più considerato un ente di gestione ma una organizzazione pluralistica dove l’amministratore rappresenta direttamente i partecipanti. Testualmente la sentenza riferisce: «che la solidarietà non possa ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo, in quanto il condominio non raffigura un “ente di gestione”, ma una organizzazione pluralistica e l’amministratore rappresenta immediatamente i singoli partecipanti, nei limiti del mandato conferito secondo le quote di ciascuno». La forza dirompente della sentenza 9148/2008 si ha però quando afferma la natura non più solidaristica dei debiti contratti dall’amministratore costringendo il creditore a molteplici azioni esecutive in base alle quote di ognuno. Il contratto, stipulato dall’amministratore rappresentante, in nome e nell’interesse dei condòmini 71 Il Condominio Nuovo rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell’amministratore, quale rappresentante dei condòmini, il creditore può e deve procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno. La considerazione fonda sul fatto che si è vero che la solidarietà avvantaggerebbe il creditore, ma egli può porre rimedio in quanto, contrattando con l’amministratore del condominio, conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi (si pensi ad esempio ad una fideiussione); ma, per la Suprema Corte, appare preferibile il criterio della parziarietà, che non costringe i debitori ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore. Allo stesso tempo, non si riscontrano ragioni di opportunità per posticipare la ripartizione del debito tra i condòmini al tempo della rivalsa, piuttosto che attuarla al momento dell’adempimento. Sul punto occorre considerare che è pur vero che l’intento della Corte è stato quello di risolvere un contrasto di giurisprudenza nel migliore modo possibile. Ma è altrettanto vero che ora i creditori hanno di fronte molti problemi da risolvere per potere recuperare i loro crediti. In primo luogo la conoscenza effettiva delle generalità e della residenza dei condòmini. Ma problema ancora più sentito è quello appunto del riparto delle spese tra gli stessi. In mancanza di un criterio di riparto già effettuato dall’amministratore e trasmesso al creditore, deve questo ultimo provvedere a redigerlo? E qualora lo facesse esso sarebbe valido ? Ovvero il creditore deve iniziare un altro giudizio di accertamento nei confronti del condominio per la determinazione delle quote a carico di ognuno dei partecipanti ? Ed è sufficiente citare in giudizio solo il condominio o invece deve citare in giudizio tutti i condomini? Tutti questi interrogativi ha posto la sentenza in esame. Infatti, la solidarietà passiva tende a favorire il creditore nella fase di attuazione del diritto. Essa è sancita dall’art. 1294 c.c. in via di presunzione in caso di pluralità di soggetti passivi se non è diversamente disposto dal titolo o dalla legge. Per cui nel condominio era ritenuto possibile agire per l’intero nei confronti di un singolo condomino, che poi a sua volta con una azione di regresso recuperava quanto anticipato agendo pro quota nei confronti degli altri condomini. Ora invece ( e per il passato una corrente minoritaria) la Suprema Corte ha individuato nell’esigenza che l’istituto della solidarietà richiede non solo la sussistenza di una pluralità di debitori e di una identica causa dell’obbligazione, ma anche la sussistenza della indivisibilità dell’obbligazione, e che in mancanza di questa prevale la parziarietà della stessa. Tale ragionamento trova ancora più conferma nel fatto che in condominio oltre che all’art. 1294 c.c. occorre avere riguardo all’art. 1123 c.c. il quale ( per tali sostenitori) nulla dice in ordine alla sua applicazione solo ai rapporti interni tra i condomini.. Insomma, l’analogia con le disposizioni di cui all’art. 752 c.c. che dispone la parziarità delle obbligazioni tra i coeredi, è fatta con le disposizioni di cui agli art. 1118 e 1123 c.c. In quanto anche nel condominio come tra i coeredi, vi sarebbe un collegamento immediato tra le obbligazioni e le quote stando al disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. poiché anche nel condominio degli edifici la misura dell’appartenenza di ciascuno è determinata dalla legge o dal titolo in proporzione alle quote (art. 1118 c.c.) ovvero è distribuito in concorso alle spese (1123 c.c.) . Alcuni su tale scia hanno anche sostenuto che laddove vi fosse sentenza di condanna del condominio genericamente inteso essa, in caso di esecuzione nei confronti dei singoli condomini, mancando del quantum debeatur potrebbe essere opposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c. in quanto trattasi di titolo che nei propri confronti non è liquido (Cass. 05/05/1966 n. 1139). In verità oltre agli innumerevoli problemi sollevati dall’esaminata sentenza vi è da dire che essa non regge di fronte ad una semplice osservazione: l’art. 1294 c.c. determina una presunzione di responsabilità solidale in caso di pluralità di soggetti obbligati, se non è diversamente disposto dal titolo o dalla legge, ed a sommesso avviso di chi scrive, non pare che tale disposto possa ritrovarsi attraverso un’opera di interpretazione sistematica degli articoli 1118 e 1123 c.c. dettati per tutta altra disciplina che per molti suoi versi applica principi propri. Insomma solo con una espressa disposizione che non vi è mai stata potremmo ritenere superato il principio di responsabilità. Chiaramente, il creditore deve tener presente l’istituto del condominio parziario in quanto il condomino non proprietario può instaurare un giudizio di accertamento negativo anche a seguito di sentenza di condanna del condominio. “Sul rilievo che il condominio parziale non esige un fatto o un atto costitutivo a sé, ma insorge ope legis in virtù della situazione materiale o funzionale giuridicamente rilevante; e che, mentre la rappresentanza attiva dell’amministratore coincide con la sfera delle sue attribuzioni, tale limitazione non sussiste per la rappresentanza passiva, potendo egli” essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio “ (art. 1131, 2°comma, c.c.), per cui la vocatio in ius del Condominio attraverso la chiamata in causa dell’amministratore sussiste anche quando le parti sono comuni soltanto ad alcuni condomini, questa Corte (Cass, 21.1.2000 n. 651) ha affermato che, in tema di condominio negli edifici, con riguardo alle controversie attinenti a cose, impianti o servizi appartenenti, per legge o per titolo, soltanto ad alcuni dei proprietari dei piani o degli appartamenti siti nell’edificio (cd. “condominio parziale”) sussiste la legittimazione passiva in capo all’amministratore dell’intero condominio, quale unico soggetto fornito, ai sensi dell’art. 1131 c.c., di rappresentanza processuale in ordine a qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio. Da ciò consegue che, qualora l’amministratore dell’intero Condominio sia stato convenuto in giudizio per controversia riguardante porzioni d’immobile appartenenti soltanto ad alcuni condomini, gli effetti della sentenza pronunciata nei suoi confronti rimangono ristretti, per quanto riguarda l’ambito dei rapporti interni, ai soli condomini interessati.” 72 Il Condominio Nuovo Permalosità e sucettibilità BENESSERE IN CONDOMINIO Giovanni Del Mastro Psicoterapeuta Dalla mia esperienza ventennale di analista ho potuto constatare che molte persone soffrono o perché sono troppo suscettibili o sono troppo permalosi per cui ho ritenuto opportuno parlarvi di questi due argomenti correlati che sono alla base di numerosi conflitti nella relazione con se stessi e con gli altri. Il termine suscettibile ha a che vedere con la sensibilità. La vera sensibilità è una facoltà dell’essere vivente, che permette di accedere a un mondo sempre più sottile per raccogliere quanti più dati di realtà che si presentano sotto forma di sollecitazioni o informazioni. Il dizionario della lingua italiana definisce la suscettibilità come: - “di soggetto capace di ricevere in sé gli effetti di un’azione che tende a modificarlo”-. Il termine ci perviene dal latino susceptibilem da susceptus participio passato di suscipere – ricevere - che vuol dire: “capace di prendere qualcosa” composto da sub sotto e capere prendere. In senso generico il termine suscettibile misura la capacità di un corpo di un essere vivente, di reagire alle sollecitazioni del mondo che tende a modificarlo Ad esempio: una pianta è sensibile alla temperatura esterna; un progetto, un pensiero, un programma può essere suscettibile di cambiamento, che vuol dire che non è immutabile. Quando è riferito a una persona, si tratta di un aggettivo che mette in evidenza la sensibilità della persona ad avvertire dei cambiamenti (attenti agli stimoli esterni per meglio adattarsi e reagire). Quando questa sensibilità è eccessiva o è al di sotto di una certa soglia, la stessa sensibilità assume un ruolo di debolezza. Cioè il soggetto reagisce eccessivamente a qualunque sollecitazione esterna caricandola di significato anche quando non necessita, oppure tende a dare poca importanza ad una stimolazione portatrice di significato. Il termine in sé non è negativo perché dipende da quanta sensibilità ha sviluppato il soggetto alle sollecitazioni del mondo esterno, è fisiologico: un bambino che non ama i rapidi cambiamenti alle continue sollecitazioni, risponde con fastidio. Diventa abnorme nel caso di reazioni spropositate, sia in difetto che in eccesso. Ad esempio: Cyrano de Bergerac non era permaloso era solo suscettibile per quanto riguarda il menzionare una certa parola (quale appendice del viso, il naso) di cui i cadetti di Guascogna non pronunciavano mai il nome in sua presenza. 1. Per quanto riguarda la permalosità il termine ha origine dal dal latino pre-malus: prendere ogni cosa in modo eccessivo e offendersi facilmente. Il grande dizionario della lingua italiana ed. UTET così recita: “chi ha facile tendenza a indispettirsi, irritarsi, risentirsi col prossimo, in maniera per lo più sproporzionata, ai fatti, alle persone alle circostanze”. Ancora: “Detto di una persona facile a offendersi a risentirsi eccessivamente, sensibile a parole o atti altrui che sembrino comportare un giudizio negativo nei suoi confronti, sospetti cattiverie dietro ogni parola o gesto”. Permalosi o semplicemente imperfetti? Nessuno è perfetto ma, chi tende a sentirsi immancabilmente ferito e mortificato dalle critiche altrui, sembra aver difficoltà a ricordarsene. Essere permalosi rivela in qualche modo la difficoltà a fare i conti con i propri difetti ed a ridimensionare il peso dei propri errori. Essere permaloso, in altre parole, attiene molto di più a se stessi che agli altri: siamo noi per primi che, inconsapevolmente, sembriamo attribuire un giudizio sul nostro comportamento ed a interpretare le critiche altrui di conseguenza. Il soggetto permaloso quando si accorge di aver commesso un errore o ferito o offeso qualcuno, non riesce ad ammetterlo, a chiedere scusa, a mettersi in discussione. Anzi, difende con forza il suo operato a costo di peggiorare la situazione, pena l’allontanamento degli altri. Insomma, il permaloso si offende facilmente perché crede di essere giudicato negativamente dagli altri, assumendo un comportamento aggressivo infantile. Nella permalosità, il soggetto si sente al centro dell’universo, ritiene di non essere mai preso sufficientemente in considerazione, perciò si sente frustrato, ferito e diventa aggressivo, evidenziando degli aspetti dell’essere umano non propriamente maturi. Il permaloso è abituato a vedere l’altro come nemi- 73 Il Condominio Nuovo co. Per tale motivo sta sempre sulla difensiva perché, dall’ambiente di provenienza è stato sottoposto a continue vessazioni, giudizi di condanna, epiteti vari, ecc. L’ambiente è stato sempre ostile e poco accogliente nei suoi riguardi per cui è abituato a difendersi continuamente a diffidare di tutto e di chiunque. Ricordiamoci che il nostro modus di reagire agli eventi, dipende sempre da quello che abbiamo imparato, sia per averlo subito sia per averlo osservato negli altri. Il permaloso in genere si difende dalla sua stessa insicurezza per cui è molto suscettibile alle critiche esterne. Il soggetto teme che mostrare debolezza o ammettendo l’errore sia considerato “di minor valore”. Questo comportamento reattivo impedisce al soggetto di essere aperto a nuove conoscenze, ad allargare il suo campo di consapevolezza, a crescere e sviluppare correttamente la sua personalità. Il permaloso si trincera sempre negando l’errore, lo esorcizza. Noi sappiamo che il processo di crescita e di apprendimento di un bambino, di un adolescente, di un adulto, avviene all’interno di un processo dinamico per prova ed errore. L’essere umano ha il diritto di sbagliare anche perché nessuno nasce con le conoscenze già confezionate e queste vanno apprese proprio attraverso esperienze per prove ed errori, identificazioni, osservazioni. E’ proprio attraverso gli errori che s’impara e si creano quelle conoscenze verificate, che diventano sapere e che danno sicurezza interiore. Con la permalosità, invece, il soggetto nega all’errore il ruolo fondamentale di crescita personale. Quindi, l’errore è umano perseverare nell’errore è sbagliato ed è indice di mancata crescita. Noi sappiamo che da sempre, lo sbaglio è alla base di ogni processo di crescita, di conoscenza. La medicina o qualunque altra scienza non avrebbe fatto un solo passo in avanti senza molteplici prove ed errori. Gli sbagli sono sempre un’opportunità alchemica, ti fanno capire: - cosa non sei - cosa non ti appartiene - come non va fatto. Ti aiutano a ritrovare e metterti nelle condizioni di un essere umano, un essere umano fallibile che tende alla perfezione grazie agli errori commessi lungo il percorso della vita. Se, invece, noi guardiamo agli errori come azioni da negare, da difenderci agli occhi degli altri ad ogni costo, per paura di perdere la propria autostima cercando di mantenere una propria immagine di sé, faticosamente prodotta, non possiamo beneficiare del valore dello sbaglio, (ci fa crescere). Anzi, ci allontaniamo sempre più da noi stessi e dagli altri, arroccandoci in una falsa certezza, impedendo la propria crescita, restringendo il proprio campo di consapevolezza con il conseguente aumento della difficoltà nella relazione con gli altri. In questi casi il rischio è la solitudine. Per uscire da questa trappola rigida mentale, il passo è breve e semplice: dobbiamo ricordarci che ogni messaggio negativo riguarda la singola azione e non la globalità della propria persona. Inoltre, bisogna lasciarsi andare considerando che noi siamo esseri umani fallibili e l’errore è una condizione umana di crescita e non ci toglie niente, anzi ci arricchisce sempre di più avvicinandoci agli altri esseri umani come noi. Come? Basta ammettere lo sbaglio così si cresce e ci si concilia con il mondo che ci circonda. Quest’atteggiamento mentale ci porta ad essere noi stessi, senza avere paura, accettandoci per quello che siamo con i propri limiti perché esseri umani fallibili. Come facciamo a riconoscerci, all’interno di un contesto relazionale, se stiamo reagendo con suscettibilità o permalosità o tutti e due? Se ci sono sollecitazioni che tendono a modificare un nostro programma, ovvero se siamo coinvolti in certe attività dove non c’è stata una preventiva richiesta di essere coinvolti e ci sentiamo costretti a modificare un nostro programma, chiaramente questo ci dà fastidio. Il maggior o minor fastidio dipende dalla suscettibilità a cambiare i nostri programmi. Fintanto che parliamo di fastidio, la reazione è spiegabile dal momento in cui c’è la possibilità di dover rivedere tutte le riflessioni operate intorno a quel progetto o programma - un sacco di lavoro che rischia di dovere andare in fumo! Quando invece, passiamo all’offesa, cioè ci sentiamo offesi, allora la cosa non va più bene perché l’offesa consiste nell’accusare il colpo che qualcuno ci ha sferrato, procurandoci un danno d’immagine (permalosità). Quindi non è tanto cosa ci dicono a innervosirci, ma come reagiamo di fronte alla provocazione. Nel momento in cui ci viene fatto un addebito sul nostro modus operandi, ci crea scombussolamento. Questo è una prova evidente del fatto che, in fondo, noi non siamo convinti del nostro operato, per cui temiamo che, in quello che ci dicono ci sia un fondo di verità. Il nostro modo di reagire agli eventi, dipende sempre da quello che abbiamo imparato… sia per aver subito, sia per averlo osservato negli altri. 74 Il Se, invece, le scelte (lavorative o di vita in genere) sono il risultato di convincimenti solidi, allora nessuna critica può ferire e quindi, offenderci. Consideriamo, inoltre, che quello che dicano gli altri, non sempre è da tenere molto in considerazione, perché non sappiamo se è il risultato di pensieri ponderati e meditati o parole profferite con leggerezza o “a cape e mbrell”, come dicono a Napoli. E’ permaloso chi s’infastidisce perché teme, senza averne le prove, che qualcuno lo stia giudicando male. L’offendersi facilmente, invece, deriva dall’aver subito il colpo, in maniera eccessiva: è una questione di estrema suscettibilità con permalosità. Quando reagiamo offendendoci, di fronte ad ogni provocazione, sprechiamo solo un sacco di tempo per dare credito ai pensieri di chicchessia. Questo dimostra che il soggetto ha un cattivo sviluppo della propria autostima. Quando invece, la nostra personalità è armonica con una forte autostima, le nostre idee progettuali saranno troppo importanti perché possano deviare dal loro percorso e battibeccare con il primo venuto. Vediamo adesso come fare per capire e rispondere correttamente alle provocazioni altrui e diventare più Uomini e smettere di fare gli adolescenti-bambini. Dopo che qualcuno ci offende, proviamo ad analizzare i motivi dell’offesa. Se visualizzando mentalmente gli eventi, scopriamo che abbiamo torto, non ha senso ribellarsi all’altro e poi reprimere la ribellione, basta chiedere scusa e finisce lì. Nel caso in cui i fatti mostrano che non dipende da noi, ma che è soltanto una motivazione di aggressività da parte dell’altro, bisogna fare delle valutazioni in merito a questa persona: quanto t’interessa? Quanto ti è utile? Se la persona t’interessa, puoi temporaneamente, “sospendere” il fastidio (non reprimerlo) per analizzare (in un secondo momento), insieme all’atra persona, l’evento frustrante. Se invece, la persona non t’interessa, puoi decidere di non prendere in considerazione la provocazione, oppure, reagire anche violentemente, secondo la Condominio Nuovo capacità di metabolizzazione energetica di quel preciso momento e dell’eventuale pericolosità del personaggio che ti trovi di fronte. Comunque sia, non conviene mai reprimere la ribellione interna a una provocazione o giudizio negativo. La repressione infatti, prevede la creazione di una capsula contenitore di fastidi e successivamente, l’incapsulamento del conflitto represso con conseguente deposito nel mondo inconsapevole - in memoria- (come una mina pronta a esplodere). Secondo il primo principio della termodinamica: “ ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria” – la legge (logica) si ribella di fronte alla necessità di dover reprimere qualcosa nel proprio mondo interno. Quando succede un evento negativo è invece necessario chiedere chiarimenti (nel momento in cui l’altro è disponibile) alla persona che ci ha prodotto l’evento frustrante. Così facendo la logica si tranquillizza in attesa di maggiori informazioni circa le motivazioni che hanno portato all’evento frustrante. Ovviamente, nella conversazione chiarificatrice, deve essere utilizzata l’energia neutrergica (il pensiero al secondo-terzo grado della riflessione con presenza di energia affettiva e aggressiva positiva). Se reprimiamo ogni tanto (per esigenze concernenti il mondo esterno), questo evento produrrà danni relativi; se il reprimersi diventa un’abitudine, tale condizione determinerà un blocco della logica innescando una cascata di disturbi. Ricapitolando Vediamo quali sono i punti critici che impediscono il superamento della propria permalosità: • Temi che mostrando una debolezza, tu venga considerato “di minor valore”; • Neghi all’errore il suo ruolo fondamentale nella crescita. Quali sono le conseguenze? • Ti allontani sempre di più da te stesso e dagli altri rendendoti antipatico, presuntuoso, scorbutico. • Ti senti solo arroccato nella tua falsa certezza. • Non evolvi imparando dai tuoi errori (che non ammetti). Rimedi da adottare • Lasciati andare: guarda i tuoi errori, conoscili. • Prova a chiedere scusa e osserva cosa succede agli altri, ti sorprenderà. Cosa ottieni? • Gli altri ti saranno grati perché si riconosceranno in te e si apriranno a nuove e inaspettate possibilità nella relazione, sviluppando così la propria personalità in maniera armonica. Chi semina raccoglie sempre quello che ha seminato, per la legge di risonanza. (Led Ortsam) 75 Il Condominio Nuovo Il Tribunale di Castel Capuano Storie IN CONDOMINIO Tratto dal libro “Volevo essere avvocato” di Rodolfo Cusano e Giovanni Del Mastro Rodolfo Cusano Avvocato Fu la prima volta che misi piede a Castel Capuano, così gli avvocati omettendo il sostantivo Tribunale chiamavano quel luogo di giustizia, che rimasi affascinato da quella turbe di persone che correvano, parlavano incrociandosi e continuavano a correre. Sembrava di essere ad un mercato. I colori e l’aria primaverile fecero il resto. Fui folgorato sulla via di Damasco, si dice così. Forse fu in quel momento che decisi che avrei fatto l’avvocato. Ma andiamo con ordine. L’atrio di quell’imponente Castello è vigilato dalla Polizia che, si può dire allegramente, più che operare un vero e proprio controllo, salutava gli avvocati che vi passavano. Probabilmente erano lì da tanto di quel tempo dal riconoscerli per buona parte. Siamo nel 1981 ed all’epoca gli avvocati non erano tanti quanto quelli di oggi. Tra di loro vi era una conoscenza diretta. Si salutavano tutti con un fare simpatico e come dire veloce. Anche con il solo segno della testa. Tanto per dire: si ti ho visto ma adesso proprio non posso. Ho fretta. Il carattere dominante che mi colpì fu la fretta. Più che la fretta il loro passo veloce. Era come se una volta entrati lì dentro, dopo il caffè ai baretti di fronte, baretti perché era quasi impossibile entrarvi per la loro angustia, dovevano cambiare il passo. Uno più veloce forse a dimostrazione del loro maggiore impegno? Oppure perché avevano più cause nella stessa giornata e quindi dovevano essere contemporaneamente presenti davanti a più giudici? Sta di fatto che correvano quasi trascinandosi le loro borse che sembravano, tanta era la velocità, che li rincorressero. Ora tutto questo non è più. Ci hanno trasferiti, o meglio deportati, nel nuovo Palazzo di giustizia al Centro Direzionale con le cancellerie e le aule di udienza su ben 30 piani e gli avvocati non corrono più. Fanno solo file interminabili davanti agli ascensori. Qualcuno si è anche sentito male lì dentro. E’ finita un’epoca. Fu proprio un giorno di tanti anni fa che, mentre entravo in Castel Capuano, mi si piazzarono davanti due occhi verdi. Tutto il resto prese un contorno sfocato, solo quegli occhi. Appartenevano ad una collega che dire bella era dir poco. Tutti i colleghi la guardavano con ammirazione per il suo chiamiamolo stile. Delicata, alta, e poi con quegli occhi. Ma, quel giorno erano tristi e stanchi. Mi si avvicinò con un fare delicato, in realtà timoroso. Non di me ma di qualche cosa che presto avrei conosciuto. Rodolfo, mi disse: posso chiederti una cosa? Ho da alcuni giorni un problema più grande di me e non riesco a riposare anche stanotte l’ho passata così. Ero frastornato. Si era rivolta, tra tanti principi del foro proprio a me. Ci aveva presentato qualche giorno prima un comune collega l’avvocato Mario Acquarulo, un avvocato che come me trattava il settore condominiale e che avevo conosciuto a mezzo un altro avvocato, l’avvocato Maurizio Bianco oggi consigliere dell’Ordine. La sua voce aveva un tono dimesso ed io avrei voluto scambiare con lei parole allegre non meste e tremanti. Comunque, Le manifestai la mia disponibilità con un: dimmi subito, non ti preoccupare ho da fare solo degli adempimenti. Significava che non avevo udienza e quindi non dovevo correre anch’io da qualche giudice. Rodolfo, mi è capitato di ricevere un incarico di difesa in un condominio che ha ad oggetto una richiesta di risarcimento danni per la caduta dalle scale di uno dei condomini. Purtroppo, non mi sono costituita nei venti giorni prima, come prevede il codice di rito e quindi ora sono decaduta dalla possibilità di operare la chiamata in causa dell’assicurazione. E adesso come la metto con il condominio? E’ una vera e propria mia responsabilità. Gli occhi così belli avevano perso la loro luce ed a me non parve vero di quella possibilità che mi si parava davanti di farli di nuovo sorridere. Immediatamente, mi venne in mente quello che anch’io alcuni anni prima avevo passato per lo stesso motivo. Ero stato diversi giorni senza dormire. Poi in un barlume di conoscenza ebbi a pensare di rivolgermi a chi ne sapeva più di me. Quando mi sono sposato, mia moglie 77 Il Luisa ebbe a presentarmi i due amici più cari del padre, pure loro avvocati, che venuto meno il padre l’avv. Mauro Del Giudice, in sua mancanza la avevano avviata nei primi passi della professione: l’avv. Salvatore De Rosa e l’avv. Pasquale Speranza. Chi meglio di loro? Ed allora di buon mattino, io tremavo per il freddo, ma era un freddo interno, mi recai a casa dell’avv. De Rosa. Egli abitava al Vico III S. Benedetto a fianco dell’omonima chiesa, a Casoria. Mi aspettava, gli avevo preannunciato la visita con una telefonata. Mi aprì il portone di ingresso ed entrai con la macchina. Da sopra alle scale mi disse di salire. Già per le scale notai le bellissime piante che mi condussero ad un terrazzo così pieno di verde che non mi sembrava di stare in città. Segno che qualcuno, la moglie forse, se ne occupava con amore tutti i giorni. Mi disse di sedermi vicino al tavolo esterno. Vi era un bel sole, ma io non ne godevo. L’ansia era trasparente. Embe guagliò, così mi chiamava per la notevole differenza di età, cosa mai è successo per venire qui a quest’ora? Avvocato, non ci giro intorno ho combinato un guaio. Ho lasciato trascorrere il termine dei venti giorni per costituirmi in un giudizio di risarcimento danni ed adesso non posso più chiamare in causa l’assicurazione del fabbricato. Un attimo di silenzio che durò un’eternità e poi un risolino. E per così poco da quando non dormi? Si vede? Guagliò tu ti devi calmare, se no l’avvocato non lo puoi fare, a tutto c’è rimedio. Lo diceva solo per farmi calmare? Avvocà che volete dire? Guagliò, tu mò sai che fai? Alla prima udienza dici al giudice quello che è successo e gli chiedi un rinvio in prosieguo di prima udienza, in maniera che, entro la data di quella prossima udienza, fai un atto di citazione a parte, inizi un’altra causa nei confronti dell’assicurazione. Poi essendo le cause connesse ne chiedi la riunione, in maniera da ritornare ad avere un unico processo. Lo guardavo stralunato. Era così semplice? Quasi a convincermi ulteriormente: vedrai che né il giudice né l’avvocato di controparte si opporranno. Anzi, l’avvocato ha pure lui interesse ad avere nel giudizio l’assicurazione, essa assicura un pagamento più certo e veloce. Sei contento, mò stai più tranquillo? Tranquillo, avvocato io vi faccio un monumento. Eh si nella mia mente ancora oggi, che non è più, lui è per me un monumento: di bontà, di sapere, di quello che volete voi, ma è un monumento. Immaginate, man mano che gli raccontavo la mia di storia, l’espressione del viso della collega, anzi, immaginate quegli occhi verdi che venivano fuori dall’abisso in cui erano sprofondati e ricominciavano ad essere luccicanti, come il mare in pieno sole quasi color smeraldo. Condominio Nuovo Cosa dirvi, la collega di cui non faccio il nome, mi guardava estasiata, come si guarda la Gioconda. Ero diventato un monumento anch’io. Si teneva discosta come noi ci teniamo discosti da quelle cose che invece vogliamo abbracciare, e lo fece in un impeto di riconoscenza. Mi abbracciò e mi sorprese con un bacio sulla guancia. Se non fossi rimasto impietrito per l’inatteso gesto, forse avrei ringraziato, ma rimasi in silenzio, senza dire nulla. Ella non si riaveva dallo stupore. Pensai bene di salutarla come si fa in quei films dove il buono fa il buono e basta, e poi il film finisce. E’ così che si fa? Mentre mi allontanai, invece, il mio pensiero andava alla nuova amicizia, alla nuova conoscenza di quell’essere desiderato da tutti ma che aveva avvicinato solo me. Pensai, male, di allontanarmi salutandola, mentre Lei continuava a guardarmi come se stesse riposando dopo tanto travagliare. Continuai a pensarla per diverso tempo, ma non sto qui a dire il resto che non è di queste pagine. Certo è che quegli occhi verdi non li dimenticherò più. Cenni storici E’ obbligatorio un riferimento storico al Tribunale di Napoli, meglio detto il Tribunale di Porta Capuana, perché per arrivarci devi necessariamente passare a piedi o con la macchina sotto Porta Capuana. Quella porta che si trova in più di uno dei quadri di tutti i pittori napoletani e non con il mercato che rasenta le mura della Chiesa di S. Caterina a Formiello. Proprio di fronte all’ingresso del Tribunale vi è il decumano maggiore e cioè l’attuale Via dei Tribunali. La costruzione di Castel Capuano è datata 1140 per volere del re di Sicilia, Guglielmo I, detto il Malo, figlio di Ruggero il Normanno. Però solo quando il Regno di Napoli divenne Vicereame di quello di Spagna esso 79 Il Condominio Nuovo fu destinato a funzioni di giustizia. Qui, infatti, il viceré don Pedro de Toledo, nell 1540 riunì tutte le Corti di Giustizia, sparse per la città: -il Sacro Regio Consiglio, si occupava delle cause civili e criminali in ultimo appello; -la Regia Camera della Sommaria, aveva competenza finanziaria e fiscale; - la Gran Corte della Vicaria, situata in un edificio della Vicaria vecchia a Forcella, era divisa in quattro ruote, due civili e due criminali; -il Tribunale della Zecca, nel palazzo di fronte a Sant’Agostino, era addetto all’emanazione del bollo delle unità di misura; -il Tribunale della Bagliva, infine, che stava sulle scale della chiesa di San Paolo, trattava le cause dei danni di minor rilievo. Nel 1537 il castello diventò carcere giudiziario per i nobili. Esso fu chiuso nel 1886, ma fino a novembre 1995, periodo, in cui le sezioni penali lasciarono Castel Capuano, parte di esse restarono per i detenuti, che dovevano presenziare ai processi. La Gran Sala, nota come “Salone dei Busti”, situata al secondo piano di Castel Capuano, è stata fino al 1807 aula di udienza della Regia Camera della Sommaria. Essa è chiamata “Salone dei Busti”, perché dal 1882 e poi durante il Novecento, vi furono collocate le sculture in marmo a mezzo busto dei rappresentanti dei principali avvocati del foro napoletano da Enrico Pessina al Filangieri a Enrico De Nicola. Il Salone dei Busti e le sculture. La Gran Sala, nota come “Salone dei Busti”, situata al secondo piano di Castel Capuano, è stata fino al 1807 aula di udienza della Regia Camera della Sommaria, competente per le controversie giuridiche su diritti e rendite fiscali. Nell’Ottocento fu utilizzata dalla Gran Corte Civile, come Salone della Corte d’Appello. Essa si chiama “Salone dei Busti”, perché dal 1882 e poi durante il Novecento vi furono collocate lungo l’intero perimetro della sala una serie di sculture in marmo a mezzo busto, rappresentanti i principali avvocati del foro napoletano. VOLEVO ESSERE AVVOCATO di Rodolfo Cusano e Giovanni Del Mastro Le pagine seguenti, non sono altro che fatterelli da leggere con simpatia, di quel mondo “il condominio” che mi ha accompagnato e che ancora mi accompagna dandomi tante soddisfazioni. Inoltre l’idea della collaborazione con lo psicoterapeuta è nata quando ho scoperto che con i suoi articoli sull’amore, sull’essere umano, sulle bugie, aveva qualcosa di utile da dire al mondo. Due percorsi, ecco cosa è questo libro uno sulla natura stessa dell’uomo, l’altro sulla professione di avvocato. Rodolfo Cusano Gruppo Editoriale | Simone Acquistabile online shop.ilcondominionuovo.it e in libreria a soli 10,00€ Appuntamenti Direttore Responsabile Pasquale Tignola • 30 Ottobre 2015 ore 10:00 Sala Conferenze Dipartimento DEMM Università degli Studi del Sannio Palazzo De Simone, Piazza Arechi, Benevento Direttore Editoriale Rodolfo Cusano [email protected] Convegno di presentazione del “Corso di Alta Formazione per le amministrazioni comunali” Editore LetMeDo S.r.l. SS Sannitica 87 Km 19,800 81025 Marcianise (CE) tel 0823/281191 fax 0823/584616 P.Iva 06020906212 Redazione Centro Tamarìin SS Sannitica 87 Km 19,800 81025 Marcianise (CE) tel 0823/281191 fax 0823/584616 [email protected] Autori Antonio Crescenzo - Alessandro Auletta Enzo Rocco - Lucia Gangale Giovanni Del Mastro - Pietro D’Antò Autorizzazione al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 820/2013 Progetto Grafico:LetMeDo Srl Impaginazione: Chiara Taddia_LetMeDo [email protected] Stampa: Grafica Metelliana Spa Il corso, tenuto da docenti universitari, avvocati ed ingegneri esperti nelle problematiche condominiali, si rivolge a diplomati e laureati di qualsiasi disciplina che intendono specializzarsi nelle materie condominiali, ovvero a chi è già un professionista ma desidera ampliare le proprie competenze ed integrare le proprie attività. Alla fine del corso verrà rilasciato un attestato di frequenza valido per l’esercizio della professione ex art. 71 bis Disp. Att. Cc. DM Ministero della Giustizia n°140/2014. Interveranno al convegno il prof. Giuseppe Marotta, Direttore del Dipartimento DEMM, il dott. Giovanni Cuomo, Presidente Ordine Dottori Commercialisti di Benevento, l’avv. Domenico Vessichelli, Vice Presidente dell’Ordinedegli avvocati di Benevento e il prof. Manlio Lubrano di Scorpaniello. I relatori del convegno sono l’avv. Rodolfo Cusano, con “L’istituto condominiale e le nuove opportunità di lavoro”, e il dott. Enzo Rocco che parlerà de “La nuova figura professionale dell’amministratore di condominio”. Informazioni e contatti Segreteria Tamarin tel. 0823 281191 email [email protected] www.ilcondominionuovo.it • 13 novembre 2015 ore 9:30 Università del Sannio, Piazza Arechi Benevento, Tamarìn Business Center, Strada Statale 87 Sannitica, Marcianise (CE) Inizio del “Corso di Alta Formazione per le amministrazioni comunali”