La concezione del corpo nella storia della filosofia Filosofia dal punto di vista etimologico significa “amore del sapere” Scrive Platone nel Simposio”…la sapienza è una delle cose più belle, ed Eros è amore per il bello. Perciò è necessario che Eros sia filosofo e, in quanto è filosofo, che sia intermedio tra il sapiente e l’ignorante”. La filosofia dunque come “desiderio di conoscenza, “avventura dello spirito”. Contrariamente all’arte greca, in cui la statuaria e il mito risultano profondamente legati alla fisicità e alle passioni, la filosofia, al contrario, appare poco propensa, in linea di principio, a lasciare spazio alla corporeità e alle sue manifestazioni. Questo breve lavoro tuttavia vuole ripercorrere le tappe più significative della storia della filosofia nelle quali si sia manifestata una propensione a valorizzare o al contrario a svalorizzare la dimensione del corpo. Una ricerca antropologica finalizzata ad evidenziare i momenti in cui la corporeità è stata posta in relazione o in opposizione alla dimensione spirituale e i rari momenti in cui, tra corpo e spirito si è realizzato un armonico equilibrio. I SOFISTI (V sec. a.C.) I Sofisti determinano una svolta nella storia della filosofia in quanto spostano l’asse della speculazione dalla natura all’uomo. Abbandonata la ricerca di verità assolute, essi trovano uno spazio nella polis e in questo spazio si inseriscono vendendo non un sapere astratto, ma un “saper fare”, l’arte di parlare in pubblico e di conquistare il consenso dell’assemblea. L’attenzione viene così rivolta per la prima volta al “singolo”, all’individuo e inevitabile risulta l’esito relativistico dell’”homo mensura” di Protagora. SOCRATE (470-399 a.C.) Anche Socrate concentra la sua attenzione sull’uomo ma, a differenza dei Sofisti e malgrado la sua generale affermazione di non sapere, riesce stabilire quale sia l’essenza dell’uomo e ne dà una definizione finalmente precisa ed univoca: l’uomo è la sua anima. E per “anima” Socrate intende la nostra ragione, la sede della nostra attività pensante ed eticamente operante. L’anima è per Socrate l’io consapevole, ossia la coscienza e la personalità intellettuale e morale. Il corpo, in questa concezione assume quindi in una posizione subordinata rispetto alla psychè; esso diventa infatti uno strumento al servizio dell’anima. Alla domanda quindi “che cos’è l’uomo” non si potrà rispondere che è il suo corpo bensì che è “ciò che si serve del corpo”. Per questo Socrate può affermare che la più significativa manifestazione della eccellenza della psychè consiste nell’”autodominio”, ossia nel dominio di sé negli stati di piacere e di dolore, nell’impeto delle passioni e degli impulsi. L’autodominio è il dominio della propria razionalità sulla propria animalità, significa rendere l’anima signora del corpo e dei suoi istinti. PLATONE (428-347 a.C) Con la scoperta della metafisica, Platone dà vita ad un cambiamento qualitativo, sostanziale nella storia della filosofia. E’ solo grazie alla “seconda navigazione” platonica che assumono il corretto significato le definizioni di “materiale” e “immateriale”, “sensibile” e “soprasensibile”, “empirico” e “metaempirico”, “contingente” ed “eterno”. Una visione ontologica contrapposta dove solo ciò che metafisico è perfetto ed autentico mentre ciò che è fisico, la materia, la “chora, è una copia sbiadita ed imperfetta dell’originale metafisico. Questa contrapposizione a livello ontologico si traduce in un rigido dualismo a livello antropologico. Alla componente metafisico-ontologica si unisce infatti la componente religiosa dell’Orfismo che trasforma la distinzione tra anima e corpo in una opposizione. Per questo motivo il corpo non è più inteso come uno strumento al servizio del corpo (Socrate), ma come una “tomba”, un “carcere dell’anima”. L’anima deve fuggire i mali del corpo: le passioni, le inimicizie, l’ignoranza, la follia. Il morire del corpo è vivere dell’anima, e la fuga dal corpo rappresenta il ritrovamento dello spirito. L’amore diventa in Platone lo specchio illuminante di questa contrapposizione: nel Fedro il filosofo descrive la lotta interiore tra la tensione erotica che mira al soddisfacimento fisico e quella che spinge l’uomo ad elevarsi. Nel rapporto amoroso ragione e passione entrano in contrasto: se prevale la ragione allora l’amore nobilita l’uomo ed eleva la sua anima verso il mondo delle idee; se invece prevale l’amore volgare l’anima rimane legata al corpo e si abbruttisce. Quello che gli uomini chiamano amore non è che una piccola parte del vero amore: il vero amore è desiderio del bello, del bene, della sapienza, della felicità dell’immortalità, dell’Assoluto. L’amore presenta infatti diversi gradi di perfezione e vero amante è colui che sa percorre tutte le vie che conducono alla contemplazione del Bello in sé, dell’Assoluto. Al grado più basso si trova l’amore fisico che è desiderio di possedere il corpo bello al fine di generare nel bello un altro corpo e questo amore, pur nella sua imperfezione, rivela un desiderio di immortalità. Vi è poi il grado degli amanti che si amano a livello spirituale e, in un crescendo di perfezione, vi sono gli amanti delle anime, delle arti, della giustizia, delle leggi e delle scienze. Infine, al sommo grado della scala dell’amore c’è la folgorante visione dell’idea del Bello in sé, dell’Assoluto. La cura dell’anima, enfatizzata da Socrate, si traduce dunque in Platone in una purificazione dell’anima che si realizza trascendendo i sensi e impossessandosi del puro mondo dell’intellegibile attraverso un percorso catartico di conoscenza. EPICURO (341-270 a.C) Per Epicuro la filosofia è una “medicina dell’anima” che permette di curare l’infelicità dell’uomo. Tale cura è costituita dal “quadrifarmaco” dove spicca l’indicazione che la felicità, se giustamente intesa, è alla portata di tutti. Nella Lettera a Meneceo Epicuro dichiara infatti che il piacere è principio e fine del vivere felicemente e che virtù, bene, felicità coincidono con il piacere. Epicuro formula così un’etica che si suole chiamare edonistica e che implica una valorizzazione di ciò che può produrre soddisfazione e godimento anche sul piano materiale. In verità Epicuro ridimensiona i facili ed ingenui entusiasmi per una filosofia che appare finalmente “incarnata” e lontana dall’ascetismo che l’aveva caratterizzata sin ad allora! Nella Lettera a Meneceo infatti Epicuro scrive:.. Non dunque le libagioni, né le feste ininterrotte, né il godersi fanciulli e donne, né il mangiare pesci e tutto il resto che una ricca mensa può offrire è fonte di vita felice; ma quel sobrio ragionare che scruta a fondo le cause di ogni atto di scelta e di rifiuto, e che scaccia le false opinioni, per via delle quali grande turbamento si impadronisce dell’anima. Dunque solo i piaceri “naturali e necessari” sono da perseguire, per quelli non necessari e per quelli artificiali è riservato un giudizio di disapprovazione. ZENONE (332-262 a.C.) Diogene Laerzio in Vite dei filosofi descrive così il pensiero dello Stoicismo: Gli Stoici sostengono infatti che il piacere, se realmente esiste, viene in un secondo tempo, quando la natura….. ha rinvenuto tutto ciò che si adatta alla sua costituzione. ..E poiché gli esseri razionali hanno ricevuto la ragione per una condotta più perfetta, il loro vivere secondo ragione coincide rettamente col vivere secondo natura, in quanto la ragione si aggiunge per loro come plasmatrice ed educatrice dell’istinto…. Le passioni sono per gli Stoici vere e proprie malattie dell’anima e tutto ciò che giova al corpo e alla nostra natura biologica viene considerato “indifferente”. Per Zenone il saggio è colui che non lascia neppure nascere nel suo cuore le passioni o le estirpa nel loro stesso manifestarsi; la felicità consiste infatti nell’apatia e nell’impassibilità. PLOTINO (205-270 d.C.) L’ultimo grande filosofo del mondo antico-pagano è Plotino con il quale si realizza una vera e propria rifondazione della metafisica classica. Egli pone l’Uno come Assoluto che si autocrea (autoctisi) con un atto di assoluta libertà e dal quale, grazie ad una attività di “processione”, derivano la seconda e la terza “ipostasi” rispettivamente il Nous o Spirito e l’Anima. Ma com’è sorto il sensibile, la materia fisica? La materia sensibile deriva dalla sua causa come possibilità ultima, come esaurimento totale e quindi privazione estrema dell’Uno. In questo senso la materia è male, ma il male non è una forza negativa che si oppone al positivo, ma è semplicemente mancanza, privazione del positivo. Plotino utilizza a questo proposito l’immagine del “buio”: cos’è infatti il buio se non un’assenza di luce? Allo stesso modo la materia è un non-essere, il buio che permette l’esistenza della luce dello spirito. L’uomo è fondamentalmente la sua anima e tutte le attività e la vita dell’uomo dipendono dall’anima la cui attività più elevata consiste nella libertà mentre il suo destino consiste nel suo ricongiungimento al divino. Le vie del ritorno all’Assoluto sono molteplici: quella della virtù, dell’erotica platonica, quella dialettica. Ma a queste tradizionali Plotino ne aggiunge una quarta: l’”estasi” e raggiungere l’estasi significa spogliarsi di ogni alterità, rientrare in sé medesimo, nella propria anima e infine immergersi nella contemplazione di Lui. L’estasi è semplificazione, è contemplazione in cui soggetto contemplante e oggetto contemplato si fondono: è la fuga da solo a Solo con cui si concludono le Enneadi. IL CRISTIANESIMO Con l’esaurirsi della filosofia antico-pagana si ha il fiorire della filosofia cristiana che stravolge radicalmente le categorie del pensiero occidentale. Scrive Benedetto Croce in Perché non possiamo non dirci cristiani…Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta…Tutte le altre rivoluzioni tutte le maggiori scoperte che segnano le epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate… Molteplici sono infatti i contenuti innovativi: il monoteismo, il concetto di creazione, la visione lineare della storia, la nuova dimensione della fede e dello Spirito… Ma pur limitandosi all’ambito antropologico i contenuti rivoluzionari del messaggio biblico sono molteplici: in primo luogo l’antropocentrismo, nel libro della Genesi si legge…Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e nel Levitico...voi quindi sarete santi come io sono santo… E se il pensiero greco, dopo Socrate ha additato nell’anima l’essenza vera dell’uomo, il messaggio cristiano ha proposto il problema dell’uomo in termini completamente diversi: l’uomo è creatura di Dio nella sua totalità, ricchezza e unicità. Ed è per questo motivo che l’immortalità non è riservata solamente all’anima, come ritenevano i Greci, ma il ritorno alla vita è riservato anche ai corpi, e si parla per la prima volta di “resurrezione dei morti” con vivo scandalo dei filosofi greci. “ Stoici ed Epicurei ascoltarono Paolo finchè parlò di Dio ma quando parlò di resurrezione dei morti non gli permisero di continuare a parlare. E, Negli Atti degli Apostoli si legge..All’udire parlare di resurrezione dei morti parte si misero a beffarlo, parte dissero: ”Su questo argomento ti ascolteremo un’altra volta”. Così Paolo dovette lasciare la loro assemblea. La stessa “incarnazione di Cristo, “assurda” e “paradossale” (Kierkegaard) trasforma quel “vago simulacro” del corpo, di cui parlavano i Greci, in un “tempio dello spirito” che va rispettato, nobilitato e santificato. Del resto il Cantico dei cantici di Salomone, contenuto nella Bibbia, è un vero e proprio poema d’amore appassionato ed esplicito che lega fra loro due giovani innamorati: Mi baci con i baci della tua bocca! Sì, le tue carezze sono più dolci del vino. Alla cavalla del cocchio del faraone io ti assomiglio, amica mia. Belle sono le guance fra i pendenti, il tuo collo fra i vezzi di perle. Faremo con te pendenti d’oro, con grani d’argento… . Questa stima e rivalutazione del corpo risulta evidente anche nella predicazione di S. Paolo di Tarso, oggi riconosciuto come il più grande interprete e diffusore de Cristianesimo. Infatti se nella Lettera ai Galati l’apostolo afferma che La carne ha desideri opposti a quelli dello spirito e lo spirito desideri contrari a quelli della carne, nella Lettera agli Efesini si esprime con queste parole: Così i mariti devono amare le proprie mogli come i loro propri corpi; chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno, infatti, non ha mai odiato la propria carne, ma la nutre e ne ha cura, come Cristo fa per la sua Chiesa, poiché noi siamo membra del corpo di Cristo. S. AGOSTINO (354-430) S. Agostino nelle Confessioni scrive: in Te il male non esiste, e non solo in Te, ma neppure nel Tuo creato. Tra le parti del creato, alcune ve ne sono, che, siccome non sembrano armonizzarsi con alcune altre, sono giudicate non buone; ma quelle stesse si accordano poi con altre e per questo sono buone; anzi sono buone in se stesse. Sempre Agostino nel libro X delle Confessioni ci parla dell’amore per Dio come di un amore non fenomenologicamente diverso dall’amore per la creatura; ciò che lo contraddistingue è la permanenza e la stabilità. E per meglio esprimere l’intensità di questo amore Agostino non trova linguaggio migliore di quello dell’uomo che vive intensamente tutte le esperienze del suo corpo in una vertigine di sensazioni :..Ciò di cui in coscienza io non dubito, Signore, è che amo Te….Ma che cosa amo, amando Te? Non la grazia di un corpo, non il fascino del mondo, non la candida luce amica di questi occhi, non la carezza melodiosa dei canti, non il profumo dei fiori e dei balsami o di aromi, non la manna e il miele degli abbracci e dei desideri carnali. Non è questo che amo, quando amo il mio Dio. Eppure una sorte di luce, una sorte di voce e di profumo e di cibo e una sorte di abbraccio, quando amo il mio Dio: luce, voce, profumo e abbraccio dell’uomo interiore, dove ogni cosa splende e risuona e profuma per l’anima e da lei sola si fa assaporare e stringere….Questo è ciò che amo, quando amo il mio Dio. S. TOMMASO D’AQUINO (1224-1274) Anche S. Tommaso d’Aquino contribuisce a questa rivalutazione della corporeità quando afferma che ciò che distingue un individuo dagli altri della stessa specie è la materia; non però la materia in generale ma la “materia signata quantitate”: cioè una certa quantità di materia che ha un certo peso, occupa un certo spazio, e dunque ha dimensioni determinate. La materia così intesa è quella quantità di carne e ossa che costituisce il corpo di ogni singola persona. La “materia signata” come “principium individuationis” che unita ad un’anima immortale fa di ogni singolo uomo il destinatario della salvezza. IL RINASCIMENTO Il pensiero umanistico-rinascimentale si caratterizza per una valorizzazione della natura e con essa dell’uomo visto come “copula mundi” (Pico della Mirandola), “microcosmo” (Cusano) e dotato di un corpo che diventa oggetto di studio ora magico-alchemico, ora sperimentale come nel De humani corporis fabrica di Vesalio, negli studi di fisiognomica di Della Porta, in quelli di iatrochimica di Paracelso e di indagine anatomica nei disegni di Leonardo da Vinci. IL RAZIONALISMO Nel XVI sec. il Razionalismo moderno esprime l’esigenza di una necessaria alleanza tra la mente e il corpo, la ragione e le passioni. In Cartesio il dualismo di “res cogitans” e “res extensa” porta ancora l’esigenza di utilizzare una strategia indiretta che utilizza le emozioni positive e utili alla vita contro quelle negative e dannose. La moralità consiste in questa forza della ragione che consente di limitare o annullare gli effetti delle passioni pur senza sopprimerle. Il suo volontarismo appare pertanto ancora troppo legato al mito dell’anima “prigioniera” del corpo, di ascendenza platonica. In Spinoza e Leibniz si perviene ad un più prudente gradualismo di sensibilità ed intelletto, affettività e razionalità. Le passioni non sono più un elemento “straniero” alla vita spirituale, ma una componente necessaria del suo sviluppo. Il “parallelismo psicofisico” spinoziano non vede una contrapposizione tra anima e corpo che considera due attributi dell’unica sostanza e che genera necessariamente una corrispondenza biunivoca tra pensieri e corpi. Mentre la concezione monadologica leibniziana considera la materia qualitativamente assimilabile all’energia metafisica della monade e solo inferiore per grado di chiarezza rappresentativa. HOBBES (1588-1679) Per Hobbes la filosofia è scienza dei corpi e ne studia le cause e le proprietà. Ora poiché i corpi sono o a) naturali inanimati o b) naturali animati, oppure c) artificiali, la filosofia deve essere tripartita in a) scienza del corpo in generale, b) scienza dell’uomo, c) scienza del cittadino e dello Stato. Da qui la trilogia De corpore, De homine, De cive. Hobbes esclude dunque dallo studio filosofico tutto ciò che non è empiricamente conoscibile e interpreta l’intero universo ricorrendo esclusivamente a materia e movimento (meccanicismo). Ed è talmente radicale nella sua posizione che anche i processi conoscitivi, i sentimenti di piacere e di dolore, il desiderio, l’amore e l’odio e lo stesso volere sono “moti”. In questa filosofia meccanicistica non c’è spazio né per la libertà né per i valori assoluti e il bene è relativo alla persona, al luogo, al tempo e alle circostanze come già Protagora aveva affermato. PASCAL (1623-1662) Per lo scienziato e filosofo Pascal la riflessione antropologica è il punto di partenza per realizzare una Apologia del Cristianesimo. Nei Pensieri sono infatti contenute preziose e profonde riflessioni sulla natura umana:…Noi conosciamo la verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore…E su queste conoscenze del cuore e dell’istinto deve appoggiarsi la ragione, e fondarvi tuta la sua attività discorsiva…Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce. E poi ancora…L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura: ma è una canna che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d’acqua bastano ad ucciderlo. Ma, quando anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire... Tuta la nostra dignità sta, dunque nel pensiero… Lavoriamo,quindi, a ben pensare: ecco il principio della morale. HUME (1711-1776) L’Empirismo inglese costituisce una corrente filosofica che da un punto di vista antropologico e gnoseologico si pone in aperto contrasto con il razionalismo francese. Locke (1632-1704) conduce infatti una critica serrata all’”innatismo” affermando che la conoscenza deriva esclusivamente nell’esperienza sensibile e le sensazioni interne ed esterne del nostro corpo costituiscono l’unica fonte di verità. L’empirista inglese Hume, nel Trattato sulla natura umana, conduce un indagine antropologica partendo da quella che oggi definiremo un’analisi esistenziale. Chi sono io?...Ci sono alcuni filosofi, i quali credono che noi siamo in ogni istante intimamente coscienti di ciò che chiamiamo il nostro Io: che noi sentiamo la sua esistenza e la continuità della sua esistenza…Disgraziatamente…noi non abbiamo nessuna idea dell’Io. Da quale impressione potrebbe derivare tale idea? E’ impossibile rispondere a questa domanda senza cadere in contraddizioni e assurdità manifeste…Ci vuole sempre una qualche impressione per produrre un’idea reale. Ma l’Io, o la persona, non è un’impressione: e ciò a cui vengono riferite, per supposizione, le diverse nostre impressioni e idee…Per parte mia, quando mi addentro più profondamente in ciò che chiamo” me stesso”, m’imbatto sempre in una particolare percezione: di caldo o di freddo…di amore o di odio, di dolore o di piacere…Pertanto io oso affermare che per il resto dell’umanità noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento…e la mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con una infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. Con Hume, il completo dissolvimento della sostanza materiale, il corpo e della sostanza spirituale, la mente e l’anima, si è completamente realizzato. CONDILLAC (1715-1780) L’Illuminismo francese si caratterizza, a livello antropologico, per una spiccata posizione sensista, molto vicina all’empirismo inglese, che sostiene che l’unica conoscenza vera è quella sensibile. Tra i philosophes, si distingue come appassionato sostenitore del sensismo Condillac il quale, a sostegno della sua posizione, conduce il famoso esperimento mentale della statua di marmo. Nella sua opera Trattato delle sensazioni leggiamo:…immaginai una statua interiormente organizzata come noi e animata da uno spirito privo per altro di ogni specie di idee. Supposi inoltre che la superficie, essendo di marmo, non le permettesse l’uso di alcun senso, e mi riservai la libertà di dischiuderli, ad arbitrio, alle diverse impressioni alle quali sono suscettibili. Ritenni di dover cominciare dall’odorato, perché tra tutti i sensi è quello che sembra meno contribuire alle conoscenze dello spirito umano. Le mie ricerche si volsero poi agli altri sensi…e seguii la statua nel suo graduale trasformarsi in animale capace di badare ala propria conservazione. Il principio che determina lo sviluppo delle sue facoltà è assai semplice; esso è racchiuso nelle stesse sensazioni: essendo tutte infatti di necessità o piacevoli o dolorose, la statua è interessata a godere delle prime e a sottrarsi alle seconde. Mi è sembrato perciò inutile supporre che l’anima possegga immediatamente per natura tutte le facoltà delle quali è dotata. La natura ci ha dotato di organi per avvertirci mediante il piacere di ciò che dobbiamo ricercare, e mediante il dolore di ciò che dobbiamo fuggire. IL ROMANTICISMO Il Romanticismo si configura come un grandioso fenomeno culturale dalle molteplici sfaccettature che, semplificando, polemizza con la fredda razionalità illuminista e si propone di valorizzare nell’uomo quanto vi sia di passionale, eroico, languido, struggente, nostalgico… La rivalutazione della natura, liberata dai rigidi schemi meccanicistici, si accompagna quindi ad una rivalutazione dell’uomo a tutto tondo, sia nella sua dimensione emozionale e spirituale, che in quella corporeo-pulsionale. SCHOPENHAUER (1788-1860) Schopenhauer concepisce infatti l’uomo come “animale metafisico” cioè come un corpo assieme agli altri corpi, ma anche come l’unica creatura in grado di squarciare il “velo di Maya” e di cogliere il “noumeno” come Volontà. Nell’analizzare la Volontà sia come Assoluto che come impulso individuale al quale soggiace l’intero corpo, Schopenhauer tenta un’analisi dell’inconscio. Fa una distinzione infatti tra gli “impulsi” che sono la causa vera del comportamento e le “motivazioni coscienti”, che mascherano le pulsioni inconsce, le razionalizzano, dando una giustificazione morale al comportamento stesso. Questa contrapposizione è particolarmente evidente nell’istinto sessuale. Secondo il filosofo la pulsione sessuale è prodotta dall’autorealizzazione della Volontà che spinge all’accoppiamento e alla riproduzione e mira soltanto all’autoconservazione della specie, mentre l’amore non è altro che la coloritura sentimentale, la giustificazione emozionale e morale di un rapporto solo apparentemente scelto e voluto. La via per sottrarsi a tutto questo è indicata da Schopenhauer nella castità: solo così la Volontà, fonte di un dolore cosmico, cesserà di “oggettivarsi” e dare così origine ad una pluralità infinità di individui sofferenti. KIERKEGAARD (1813-1855) Kierkegaard delinea in Aut-aut due possibilità di esistenza, quella estetica e quella etica mentre lo stadio religioso viene descritto in Timore e tremore. La descrizione degli stadi estetici comprende le pagine più note di Aut-aut. Tra le molte figure che Kierkegaard descrive, la più famosa è senza dubbio quella del Don Giovanni, presente sia nella letteratura che nell’opera musicale di Mozart. Don Giovanni è divenuto, nel tempo, l’archetipo dell’uomo che vive di sensualità e seduzione, felice e gaudente e che fa della conquista e del possesso il fine della propria vita. Kierkegaard invece ci sorprende con la sua analisi inedita dell’esteta, e ci descrive un Don Giovanni privo di individualità, disperso nelle infinite esperienze amorose, incapace di fare delle scelte, di svolgere dei ruoli, di assumersi delle responsabilità e condannato, per questo, alla disperazione. Kierkergaard, lontano dai canoni tradizionali di valutazione, indica nello stadio religioso lo “stadio della ripresa” cioè la dimensione esistenziale in cui l’uomo si riappropria finalmente della sua umanità. Infatti solo lo stadio religioso, per quanto “assurdo” e “paradossale” permette all’uomo di conoscersi sino in fondo; è solo in esso che egli può far coincidere la propria volontà con la volontà di Dio ed esprimere appieno la propria libertà. DARWIN (1813-1855) Il naturalista Darwin viene citato in questo contesto perchè le sue opere, L’origine delle specie e L’origine dell’uomo, hanno scosso alle fondamento la concezione creazionista dell’universo e dell’uomo elaborando una concezione antropologica in termini meramente biologici. Darwin, teorizzando il principio di variazione e il conseguente principio di selezione naturale, ha infatti concepito l’uomo in termini evoluzionistici, come derivazione da forme primitive di vita, quali i primati, dai quali si differenzia solo quantitativamente e per grado di perfezione. Anche le facoltà intellettuali e morali dell’uomo sarebbero il frutto dell’evoluzione biologica naturale di facoltà e sentimenti come la socievolezza e la solidarietà di gruppo comuni a tante specie animali e trasmessi per via ereditaria nel corso dei millenni. NIETZSCHE (1844-1900) Con Nietszche la filosofia pone in crisi la razionalità in quanto è sospettata di nascondere impulsi irrazionali, pulsioni che appartengono ad una sfera diversa della vita. Il filosofo stravolge infatti tutte le categorie del pensiero tradizionale arrivando a concepire, quasi in termini evoluzionistici, l’avvento di un uomo nuovo l’”oltreuomo”. Ma chi è l’oltreuomo? Egli rappresenta uno stadio ulteriore dello sviluppo umano, il superamento dell’uomo che riceve dall’esterno il proprio destino e il senso del mondo, diventando egli stesso creatore di nuovi valori. Egli è fedele alla terra, cioè ai valori naturali, legati al corpo e alla vita terrena, contro ogni trascendenza. L’oltreuomo è colui che incarnerà lo spirito dionisiaco, o spirito della musica che esprime la profonda volontà di vivere anteriore ad ogni razionalità. Esso rappresenta l’istinto che non ha in sè freni o limiti ed è privo delle capacità di autocontrollo proprio dell’uomo razionale, è la vita che rischia la morte per la volontà di esprimersi fino in fondo. Collegata a questa concezione antropologica immanente, tutta fisicità e impulso passionale, è il tema della volontà di potenza che risente dell’influenza dell’evoluzionismo di Darwin. La volontà di potenza è, per il filosofo, una forza naturale presente in tutti gli esseri viventi e che spinge ogni uomo all’affermazione di sé, al potenziamento della propria energia vitale e a dare al mondo il proprio significato. FREUD (1856-1939) Attraverso gli studi sull’isteria, Freud perviene a formulare l’ipotesi che esistano contenuti psichici, non direttamente accessibili alla coscienza, in grado di condizionare pesantemente il nostro comportamento e la salute del nostro corpo. L’isteria di conversione è un esempio emblematico di come pulsioni represse di origine sessuale, possano generare, afasie, paresi ed altri gravi disturbi a livello somatico. Freud giunge così a formulare, nell’opera L’Io e l’es, una seconda topica in cui tratteggia una mappa dell’apparato psichico che risulta così composto da tre istanze psichiche: l’Es, l’Io e il Super-io. L’Es è l’istanza più originaria e primitiva e costituisce il serbatoio dei moti pulsionali ed istintivi che stano alla base della vita umana. Tale istanza è dominata dal principio di piacere che esige la soddisfazione immediata dei propri desideri. L’Es non ha una organizzazione, è un ribollire di passioni, è un puro e vorticoso caos ed è costantemente controllato e represso dall’Io e dal Super-io. La vita cosciente appare dunque a Freud solo come una delle componenti psichiche, la punta di un iceberg che deve soggiacere ad un “triplice servaggio”: i pericoli del mondo esterno, la libido dell’Es, e il rigore del Super-io. Ma Freud ha sconvolto tutte le categorie interpretative dell’uomo non solo misconoscendo la priorità della dimensione razionale, ma anche riconoscendo la funzione determinante della sessualità non solo nella vita dell’uomo ma anche del bambino. Freud parla infatti di sviluppo psicosessuale del bambino arrivando a definirlo un perverso polimorfo, definizione che si riferisce alla sede delle zone erogene e non implica affatto alcun giudizio morale. Era dunque inevitabile che la dottrina psicoanalitica fosse destinata a influenzare profondamente la filosofia e il modo stesso di concepire l’uomo, aprendo spazi interpretativi sconosciuti e liberando l’uomo dalle catene della razionalità. BERGSON (1859-1941) L’originalità di Bergson, nel panorama dello Spiritualismo francese, consiste nell’affermare la libertà dello spirito legandola alla nozione di durata. Bergson affronta il tema della libertà nel Saggio sui dati immediati della coscienza collegandolo alla riflessione sul concetto di tempo. Bergson distingue fra tempo spazializzato e tempo come durata. Il tempo spazializzato è quello delle scienze naturali, che quantificano i dati, li rendono misurabili, reversibili e li percepiscono separati gli uni dagli altri. La durata è invece propria degli stati di coscienza, nei quali le sensazioni si compenetrano vicendevolmente dando luogo ad un sentimento, ad una esperienza vissuta. Ogni stato di coscienza è unico e irripetibile ed è caratterizzato dalla libertà. Da questa indagine sul tempo Bergson ricava che “la scienza non è sempre in grado di mantenere le promesse” ovvero non è quel sapere onniesplicativo che pretende di essere. Nell’opera Materia e memoria il filosofo dichiara infatti che la nostra identità risiede nella memoria e che quindi mente e cervello sono distinti; la prima è durata, memoria, ricordo puro, il secondo è uno strumento che guida l’azione del nostro corpo. Scrive Bergson: in una coscienza umana c’è infinitivamente di più che nel cervello corrispondente. Nell’opera L’evoluzione creatrice Bergson ritiene che la materia organica e l’intero universo siano costituiti da spirito inteso come “élan vital” slancio vitale, spirito creativo che, al pari di una granata, esplode in mille direzioni e, ricadendo nello spazio e nel tempo, dà origine a tutti gli esseri viventi, e la materia non è altro che il momento di arresto di questo slancio vitale. Dunque materia e spirito non sono due versanti contrapposti, ma solo due aspetti, due “punti di vista” della stessa energia creativa. Bergson è così convinto dei limiti interpretativi della scienza che dichiara essere l’intuizione e non la ragione l’”organo” della metafisica; è infatti solo attraverso l’intuizione che possiamo immergerci nel fiume della vita, cogliere la nostra libertà e comprendere che l’intero universo è slancio vitale. SARTRE (1905-1980) Testimone attento ed acuto del XX secolo, è stato uno dei massimi rappresentati dell’Esistenzialismo, non solo francese. Autore prolifico, ha affidato il suo pensiero a scritti di natura eterogenea: romanzi, pieces teatrali, scritti filosofici. In questo contesto risulta particolarmente interessante il romanzo filosofico La nausea. In esso, l’autore, in modo inedito e sorprendente utilizza una sensazione fisica, un malessere del corpo per esprimere un disagio esistenziale. L’eroe del racconto è Antoine Roquentin, il quale riflettendo sulle ragioni della propria esistenza e del mondo che lo circonda, ha l’esperienza rivelatrice della nausea. La nausea è il sentimento che ci invade quando si sperimenta l’essenziale contingenza e la gratuità del reale:…Dunque poco fa ero al giardino pubblico. La radice del castagno s’affondava nella terra, proprio sotto la mia panchina. Non mi ricordavo più che era una radice. Le parole erano scomparse e con esse il significato delle cose…la radice, le cancellate del giardino, la panchina, la rada erbetta del prato, tutto era scomparso…Questa vernice s’era dissolta, restavano delle macchie mostruose e molli, in disordine, nude, d’una spaventosa e oscena nudità. Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione di essere lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto, si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto che o potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Il corpo, al pari di una riflessione intellettuale, come strumento rivelatore di esperienze esistenziali. MOUNIER (1905-1950) In Rifare il Rinascimento Mounier scrive: Un nuovo secolo XIV si sgretola sotto i nostri occhi: si avvicina il tempo di rifare il Rinascimento. E se il Rinascimento uscì dalla crisi del Medioevo e la risolse, la rivoluzione personalistica e comunitaria, risolverà secondo Mounier la crisi del secolo XX. Ma che cos’è la persona? In primo luogo essa è inoggettivabile; non se ne può fare l’inventario. La persona è incarnata in un corpo e nella storia ed è per sua natura comunitaria. Il Personalismo intende affrontare ogni problema umano su tutta l’ampiezza dell’umanità concreta, a partire dalla più umile condizione materiale fino alla più alta possibilità spirituale. Ciò che della persona si può dire è che essa è il volume totale dell’uomo…; è in ogni uomo una tensione fra le sue tre dimensioni spirituali: quella che sale dal basso e l’incarna in un corpo; quella che è diretta verso l’alto e la solleva ad un universale; quella che è diretta verso il largo e la porta verso una comunione. Vocazione, incarnazione e comunione, sono le tre dimensioni della persona. Per Mounier la persona è sempre incarnata in un corpo e situata in precise condizioni storiche, e di conseguenza, per la sua realizzazione il problema non sta nell’evadere dalla vita sensibile e particolare. La via è invece costituita da tre esercizi essenziali: la meditazione, per la ricerca della mia vocazione; l’impegno, l’adesione ad un’opera che è riconoscimento della propria incarnazione; la rinuncia a se tessi, che è iniziazione al dono di sé e alla vita in altri. Se la persona tralascia uno di questi esercizi essenziali essa è condannata, per Mounier all’insuccesso, e alla mancata realizzazione. La scelta del Personalismo a conclusione di questo lavoro non è casuale. Nel panorama delle riflessioni antropologiche trattate e di quelle che non sono state analizzate, rappresenta a mio parere un tentativo riuscito di realizzare quell’“armonico equilibrio” tra mente e corpo cui si faceva cenno all’inizio. Il Personalismo infatti affronta ogni problema umano su tutta l’ampiezza del’umanità concreta a partire dalla più umile condizione materiale fino alla più alta possibilità spirituale.