La concezione del corpo nella storia della filosofia Filosofia dal

La concezione del corpo nella storia della filosofia
Filosofia dal punto di vista etimologico significa “amore del sapere”
Scrive Platone nel Simposio”…la sapienza è una delle cose più belle, ed Eros è
amore per il bello. Perciò è necessario che Eros sia filosofo e, in quanto è filosofo,
che sia intermedio tra il sapiente e l’ignorante”.
La filosofia dunque come “desiderio di conoscenza, “avventura dello spirito”.
Contrariamente all’arte greca, in cui la statuaria e il mito risultano profondamente
legati alla fisicità e alle passioni, la filosofia, al contrario, appare poco propensa, in
linea di principio, a lasciare spazio alla corporeità e alle sue manifestazioni.
Questo breve lavoro tuttavia vuole ripercorrere le tappe più significative della storia
della filosofia nelle quali si sia manifestata una propensione a valorizzare o al
contrario a svalorizzare la dimensione del corpo. Una ricerca antropologica
finalizzata ad evidenziare i momenti in cui la corporeità è stata posta in relazione o
in opposizione alla dimensione spirituale e i rari momenti in cui, tra corpo e spirito si
è realizzato un armonico equilibrio.
I SOFISTI (V sec. a.C.)
I Sofisti determinano una svolta nella storia della filosofia in quanto spostano l’asse
della speculazione dalla natura all’uomo. Abbandonata la ricerca di verità assolute,
essi trovano uno spazio nella polis e in questo spazio si inseriscono vendendo non un
sapere astratto, ma un “saper fare”, l’arte di parlare in pubblico e di conquistare il
consenso dell’assemblea. L’attenzione viene così rivolta per la prima volta al
“singolo”, all’individuo e inevitabile risulta l’esito relativistico dell’”homo mensura”
di Protagora.
SOCRATE (470-399 a.C.)
Anche Socrate concentra la sua attenzione sull’uomo ma, a differenza dei Sofisti e
malgrado la sua generale affermazione di non sapere, riesce stabilire quale sia
l’essenza dell’uomo e ne dà una definizione finalmente precisa ed univoca: l’uomo è
la sua anima. E per “anima” Socrate intende la nostra ragione, la sede della nostra
attività pensante ed eticamente operante. L’anima è per Socrate l’io consapevole,
ossia la coscienza e la personalità intellettuale e morale.
Il corpo, in questa concezione assume quindi in una posizione subordinata rispetto
alla psychè; esso diventa infatti uno strumento al servizio dell’anima. Alla domanda
quindi “che cos’è l’uomo” non si potrà rispondere che è il suo corpo bensì che è “ciò
che si serve del corpo”. Per questo Socrate può affermare che la più significativa
manifestazione della eccellenza della psychè consiste nell’”autodominio”, ossia nel
dominio di sé negli stati di piacere e di dolore, nell’impeto delle passioni e degli
impulsi. L’autodominio è il dominio della propria razionalità sulla propria animalità,
significa rendere l’anima signora del corpo e dei suoi istinti.
PLATONE (428-347 a.C)
Con la scoperta della metafisica, Platone dà vita ad un cambiamento qualitativo,
sostanziale nella storia della filosofia. E’ solo grazie alla “seconda navigazione”
platonica che assumono il corretto significato le definizioni di “materiale” e
“immateriale”, “sensibile” e “soprasensibile”, “empirico” e “metaempirico”,
“contingente” ed “eterno”. Una visione ontologica contrapposta dove solo ciò che
metafisico è perfetto ed autentico mentre ciò che è fisico, la materia, la “chora, è una
copia sbiadita ed imperfetta dell’originale metafisico.
Questa contrapposizione a livello ontologico si traduce in un rigido dualismo a livello
antropologico. Alla componente metafisico-ontologica si unisce infatti la componente
religiosa dell’Orfismo che trasforma la distinzione tra anima e corpo in una
opposizione. Per questo motivo il corpo non è più inteso come uno strumento al
servizio del corpo (Socrate), ma come una “tomba”, un “carcere dell’anima”.
L’anima deve fuggire i mali del corpo: le passioni, le inimicizie, l’ignoranza, la follia.
Il morire del corpo è vivere dell’anima, e la fuga dal corpo rappresenta il
ritrovamento dello spirito.
L’amore diventa in Platone lo specchio illuminante di questa contrapposizione: nel
Fedro il filosofo descrive la lotta interiore tra la tensione erotica che mira al
soddisfacimento fisico e quella che spinge l’uomo ad elevarsi. Nel rapporto amoroso
ragione e passione entrano in contrasto: se prevale la ragione allora l’amore nobilita
l’uomo ed eleva la sua anima verso il mondo delle idee; se invece prevale l’amore
volgare l’anima rimane legata al corpo e si abbruttisce. Quello che gli uomini
chiamano amore non è che una piccola parte del vero amore: il vero amore è
desiderio del bello, del bene, della sapienza, della felicità dell’immortalità,
dell’Assoluto. L’amore presenta infatti diversi gradi di perfezione e vero amante è
colui che sa percorre tutte le vie che conducono alla contemplazione del Bello in sé,
dell’Assoluto. Al grado più basso si trova l’amore fisico che è desiderio di possedere
il corpo bello al fine di generare nel bello un altro corpo e questo amore, pur nella sua
imperfezione, rivela un desiderio di immortalità. Vi è poi il grado degli amanti che si
amano a livello spirituale e, in un crescendo di perfezione, vi sono gli amanti delle
anime, delle arti, della giustizia, delle leggi e delle scienze. Infine, al sommo grado
della scala dell’amore c’è la folgorante visione dell’idea del Bello in sé,
dell’Assoluto.
La cura dell’anima, enfatizzata da Socrate, si traduce dunque in Platone in una
purificazione dell’anima che si realizza trascendendo i sensi e impossessandosi del
puro mondo dell’intellegibile attraverso un percorso catartico di conoscenza.
EPICURO (341-270 a.C)
Per Epicuro la filosofia è una “medicina dell’anima” che permette di curare
l’infelicità dell’uomo. Tale cura è costituita dal “quadrifarmaco” dove spicca
l’indicazione che la felicità, se giustamente intesa, è alla portata di tutti. Nella Lettera
a Meneceo Epicuro dichiara infatti che il piacere è principio e fine del vivere
felicemente e che virtù, bene, felicità coincidono con il piacere. Epicuro formula così
un’etica che si suole chiamare edonistica e che implica una valorizzazione di ciò che
può produrre soddisfazione e godimento anche sul piano materiale.
In verità Epicuro ridimensiona i facili ed ingenui entusiasmi per una filosofia che
appare finalmente “incarnata” e lontana dall’ascetismo che l’aveva caratterizzata sin
ad allora! Nella Lettera a Meneceo infatti Epicuro scrive:.. Non dunque le libagioni,
né le feste ininterrotte, né il godersi fanciulli e donne, né il mangiare pesci e tutto il
resto che una ricca mensa può offrire è fonte di vita felice; ma quel sobrio ragionare
che scruta a fondo le cause di ogni atto di scelta e di rifiuto, e che scaccia le false
opinioni, per via delle quali grande turbamento si impadronisce dell’anima. Dunque
solo i piaceri “naturali e necessari” sono da perseguire, per quelli non necessari e per
quelli artificiali è riservato un giudizio di disapprovazione.
ZENONE (332-262 a.C.)
Diogene Laerzio in Vite dei filosofi descrive così il pensiero dello Stoicismo: Gli
Stoici sostengono infatti che il piacere, se realmente esiste, viene in un secondo
tempo, quando la natura….. ha rinvenuto tutto ciò che si adatta alla sua costituzione.
..E poiché gli esseri razionali hanno ricevuto la ragione per una condotta più
perfetta, il loro vivere secondo ragione coincide rettamente col vivere secondo
natura, in quanto la ragione si aggiunge per loro come plasmatrice ed educatrice
dell’istinto….
Le passioni sono per gli Stoici vere e proprie malattie dell’anima e tutto ciò che giova
al corpo e alla nostra natura biologica viene considerato “indifferente”. Per Zenone il
saggio è colui che non lascia neppure nascere nel suo cuore le passioni o le estirpa nel
loro stesso manifestarsi; la felicità consiste infatti nell’apatia e nell’impassibilità.
PLOTINO (205-270 d.C.)
L’ultimo grande filosofo del mondo antico-pagano è Plotino con il quale si realizza
una vera e propria rifondazione della metafisica classica. Egli pone l’Uno come
Assoluto che si autocrea (autoctisi) con un atto di assoluta libertà e dal quale, grazie
ad una attività di “processione”, derivano la seconda e la terza “ipostasi”
rispettivamente il Nous o Spirito e l’Anima.
Ma com’è sorto il sensibile, la materia fisica? La materia sensibile deriva dalla sua
causa come possibilità ultima, come esaurimento totale e quindi privazione estrema
dell’Uno. In questo senso la materia è male, ma il male non è una forza negativa che
si oppone al positivo, ma è semplicemente mancanza, privazione del positivo.
Plotino utilizza a questo proposito l’immagine del “buio”: cos’è infatti il buio se non
un’assenza di luce? Allo stesso modo la materia è un non-essere, il buio che permette
l’esistenza della luce dello spirito.
L’uomo è fondamentalmente la sua anima e tutte le attività e la vita dell’uomo
dipendono dall’anima la cui attività più elevata consiste nella libertà mentre il suo
destino consiste nel suo ricongiungimento al divino.
Le vie del ritorno all’Assoluto sono molteplici: quella della virtù, dell’erotica
platonica, quella dialettica. Ma a queste tradizionali Plotino ne aggiunge una quarta:
l’”estasi” e raggiungere l’estasi significa spogliarsi di ogni alterità, rientrare in sé
medesimo, nella propria anima e infine immergersi nella contemplazione di Lui.
L’estasi è semplificazione, è contemplazione in cui soggetto contemplante e oggetto
contemplato si fondono: è la fuga da solo a Solo con cui si concludono le Enneadi.
IL CRISTIANESIMO
Con l’esaurirsi della filosofia antico-pagana si ha il fiorire della filosofia cristiana che
stravolge radicalmente le categorie del pensiero occidentale.
Scrive Benedetto Croce in Perché non possiamo non dirci cristiani…Il cristianesimo
è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta…Tutte le altre
rivoluzioni tutte le maggiori scoperte che segnano le epoche nella storia umana, non
sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate…
Molteplici sono infatti i contenuti innovativi: il monoteismo, il concetto di creazione,
la visione lineare della storia, la nuova dimensione della fede e dello Spirito…
Ma pur limitandosi all’ambito antropologico i contenuti rivoluzionari del messaggio
biblico sono molteplici: in primo luogo l’antropocentrismo, nel libro della Genesi si
legge…Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e nel
Levitico...voi quindi sarete santi come io sono santo…
E se il pensiero greco, dopo Socrate ha additato nell’anima l’essenza vera dell’uomo,
il messaggio cristiano ha proposto il problema dell’uomo in termini completamente
diversi: l’uomo è creatura di Dio nella sua totalità, ricchezza e unicità. Ed è per
questo motivo che l’immortalità non è riservata solamente all’anima, come
ritenevano i Greci, ma il ritorno alla vita è riservato anche ai corpi, e si parla per la
prima volta di “resurrezione dei morti” con vivo scandalo dei filosofi greci.
“ Stoici ed Epicurei ascoltarono Paolo finchè parlò di Dio ma quando parlò di
resurrezione dei morti non gli permisero di continuare a parlare. E, Negli Atti degli
Apostoli si legge..All’udire parlare di resurrezione dei morti parte si misero a
beffarlo, parte dissero: ”Su questo argomento ti ascolteremo un’altra volta”. Così
Paolo dovette lasciare la loro assemblea.
La stessa “incarnazione di Cristo, “assurda” e “paradossale” (Kierkegaard)
trasforma quel “vago simulacro” del corpo, di cui parlavano i Greci, in un “tempio
dello spirito” che va rispettato, nobilitato e santificato.
Del resto il Cantico dei cantici di Salomone, contenuto nella Bibbia, è un vero e
proprio poema d’amore appassionato ed esplicito che lega fra loro due giovani
innamorati: Mi baci con i baci della tua bocca! Sì, le tue carezze sono più dolci del
vino. Alla cavalla del cocchio del faraone io ti assomiglio, amica mia. Belle sono le
guance fra i pendenti, il tuo collo fra i vezzi di perle. Faremo con te pendenti d’oro,
con grani d’argento… .
Questa stima e rivalutazione del corpo risulta evidente anche nella predicazione di
S. Paolo di Tarso, oggi riconosciuto come il più grande interprete e diffusore de
Cristianesimo.
Infatti se nella Lettera ai Galati l’apostolo afferma che La carne ha desideri opposti
a quelli dello spirito e lo spirito desideri contrari a quelli della carne, nella Lettera
agli Efesini si esprime con queste parole: Così i mariti devono amare le proprie
mogli come i loro propri corpi; chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno,
infatti, non ha mai odiato la propria carne, ma la nutre e ne ha cura, come Cristo fa
per la sua Chiesa, poiché noi siamo membra del corpo di Cristo.
S. AGOSTINO (354-430)
S. Agostino nelle Confessioni scrive: in Te il male non esiste, e non solo in Te, ma
neppure nel Tuo creato. Tra le parti del creato, alcune ve ne sono, che, siccome non
sembrano armonizzarsi con alcune altre, sono giudicate non buone; ma quelle stesse
si accordano poi con altre e per questo sono buone; anzi sono buone in se stesse.
Sempre Agostino nel libro X delle Confessioni ci parla dell’amore per Dio come di
un amore non fenomenologicamente diverso dall’amore per la creatura; ciò che lo
contraddistingue è la permanenza e la stabilità. E per meglio esprimere l’intensità di
questo amore Agostino non trova linguaggio migliore di quello dell’uomo che vive
intensamente tutte le esperienze del suo corpo in una vertigine di sensazioni :..Ciò di
cui in coscienza io non dubito, Signore, è che amo Te….Ma che cosa amo, amando
Te? Non la grazia di un corpo, non il fascino del mondo, non la candida luce amica
di questi occhi, non la carezza melodiosa dei canti, non il profumo dei fiori e dei
balsami o di aromi, non la manna e il miele degli abbracci e dei desideri carnali.
Non è questo che amo, quando amo il mio Dio. Eppure una sorte di luce, una sorte di
voce e di profumo e di cibo e una sorte di abbraccio, quando amo il mio Dio: luce,
voce, profumo e abbraccio dell’uomo interiore, dove ogni cosa splende e risuona e
profuma per l’anima e da lei sola si fa assaporare e stringere….Questo è ciò che
amo, quando amo il mio Dio.
S. TOMMASO D’AQUINO (1224-1274)
Anche S. Tommaso d’Aquino contribuisce a questa rivalutazione della corporeità
quando afferma che ciò che distingue un individuo dagli altri della stessa specie è la
materia; non però la materia in generale ma la “materia signata quantitate”: cioè una
certa quantità di materia che ha un certo peso, occupa un certo spazio, e dunque ha
dimensioni determinate. La materia così intesa è quella quantità di carne e ossa che
costituisce il corpo di ogni singola persona. La “materia signata” come “principium
individuationis” che unita ad un’anima immortale fa di ogni singolo uomo il
destinatario della salvezza.
IL RINASCIMENTO
Il pensiero umanistico-rinascimentale si caratterizza per una valorizzazione della
natura e con essa dell’uomo visto come “copula mundi” (Pico della Mirandola),
“microcosmo” (Cusano) e dotato di un corpo che diventa oggetto di studio ora
magico-alchemico, ora sperimentale come nel De humani corporis fabrica di
Vesalio, negli studi di fisiognomica di Della Porta, in quelli di iatrochimica di
Paracelso e di indagine anatomica nei disegni di Leonardo da Vinci.
IL RAZIONALISMO
Nel XVI sec. il Razionalismo moderno esprime l’esigenza di una necessaria alleanza
tra la mente e il corpo, la ragione e le passioni. In Cartesio il dualismo di “res
cogitans” e “res extensa” porta ancora l’esigenza di utilizzare una strategia indiretta
che utilizza le emozioni positive e utili alla vita contro quelle negative e dannose. La
moralità consiste in questa forza della ragione che consente di limitare o annullare gli
effetti delle passioni pur senza sopprimerle. Il suo volontarismo appare pertanto
ancora troppo legato al mito dell’anima “prigioniera” del corpo, di ascendenza
platonica.
In Spinoza e Leibniz si perviene ad un più prudente gradualismo di sensibilità ed
intelletto, affettività e razionalità. Le passioni non sono più un elemento “straniero”
alla vita spirituale, ma una componente necessaria del suo sviluppo. Il “parallelismo
psicofisico” spinoziano non vede una contrapposizione tra anima e corpo che
considera due attributi dell’unica sostanza e che genera necessariamente una
corrispondenza biunivoca tra pensieri e corpi. Mentre la concezione monadologica
leibniziana considera la materia qualitativamente assimilabile all’energia metafisica
della monade e solo inferiore per grado di chiarezza rappresentativa.
HOBBES (1588-1679)
Per Hobbes la filosofia è scienza dei corpi e ne studia le cause e le proprietà. Ora
poiché i corpi sono o a) naturali inanimati o b) naturali animati, oppure c) artificiali,
la filosofia deve essere tripartita in a) scienza del corpo in generale, b) scienza
dell’uomo, c) scienza del cittadino e dello Stato. Da qui la trilogia De corpore, De
homine, De cive. Hobbes esclude dunque dallo studio filosofico tutto ciò che non è
empiricamente conoscibile e interpreta l’intero universo ricorrendo esclusivamente a
materia e movimento (meccanicismo). Ed è talmente radicale nella sua posizione che
anche i processi conoscitivi, i sentimenti di piacere e di dolore, il desiderio, l’amore e
l’odio e lo stesso volere sono “moti”. In questa filosofia meccanicistica non c’è
spazio né per la libertà né per i valori assoluti e il bene è relativo alla persona, al
luogo, al tempo e alle circostanze come già Protagora aveva affermato.
PASCAL (1623-1662)
Per lo scienziato e filosofo Pascal la riflessione antropologica è il punto di partenza
per realizzare una Apologia del Cristianesimo. Nei Pensieri sono infatti contenute
preziose e profonde riflessioni sulla natura umana:…Noi conosciamo la verità non
soltanto con la ragione, ma anche con il cuore…E su queste conoscenze del cuore e
dell’istinto deve appoggiarsi la ragione, e fondarvi tuta la sua attività discorsiva…Il
cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.
E poi ancora…L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura: ma è una canna
che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una
goccia d’acqua bastano ad ucciderlo. Ma, quando anche l’universo lo schiacciasse,
l’uomo sarebbe sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire... Tuta la
nostra dignità sta, dunque nel pensiero… Lavoriamo,quindi, a ben pensare: ecco il
principio della morale.
HUME (1711-1776)
L’Empirismo inglese costituisce una corrente filosofica che da un punto di vista
antropologico e gnoseologico si pone in aperto contrasto con il razionalismo francese.
Locke (1632-1704) conduce infatti una critica serrata all’”innatismo” affermando che
la conoscenza deriva esclusivamente nell’esperienza sensibile e le sensazioni interne
ed esterne del nostro corpo costituiscono l’unica fonte di verità.
L’empirista inglese Hume, nel Trattato sulla natura umana, conduce un indagine
antropologica partendo da quella che oggi definiremo un’analisi esistenziale. Chi
sono io?...Ci sono alcuni filosofi, i quali credono che noi siamo in ogni istante
intimamente coscienti di ciò che chiamiamo il nostro Io: che noi sentiamo la sua
esistenza e la continuità della sua esistenza…Disgraziatamente…noi non abbiamo
nessuna idea dell’Io. Da quale impressione potrebbe derivare tale idea? E’
impossibile rispondere a questa domanda senza cadere in contraddizioni e assurdità
manifeste…Ci vuole sempre una qualche impressione per produrre un’idea reale. Ma
l’Io, o la persona, non è un’impressione: e ciò a cui vengono riferite, per
supposizione, le diverse nostre impressioni e idee…Per parte mia, quando mi
addentro più profondamente in ciò che chiamo” me stesso”, m’imbatto sempre in
una particolare percezione: di caldo o di freddo…di amore o di odio, di dolore o di
piacere…Pertanto io oso affermare che per il resto dell’umanità noi non siamo altro
che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile
rapidità, in un perpetuo flusso e movimento…e la mente è una specie di teatro, dove
le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si
mescolano con una infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni.
Con Hume, il completo dissolvimento della sostanza materiale, il corpo e della
sostanza spirituale, la mente e l’anima, si è completamente realizzato.
CONDILLAC (1715-1780)
L’Illuminismo francese si caratterizza, a livello antropologico, per una spiccata
posizione sensista, molto vicina all’empirismo inglese, che sostiene che l’unica
conoscenza vera è quella sensibile. Tra i philosophes, si distingue come appassionato
sostenitore del sensismo Condillac il quale, a sostegno della sua posizione, conduce il
famoso esperimento mentale della statua di marmo. Nella sua opera Trattato delle
sensazioni leggiamo:…immaginai una statua interiormente organizzata come noi e
animata da uno spirito privo per altro di ogni specie di idee. Supposi inoltre che la
superficie, essendo di marmo, non le permettesse l’uso di alcun senso, e mi riservai
la libertà di dischiuderli, ad arbitrio, alle diverse impressioni alle quali sono
suscettibili. Ritenni di dover cominciare dall’odorato, perché tra tutti i sensi è quello
che sembra meno contribuire alle conoscenze dello spirito umano. Le mie ricerche si
volsero poi agli altri sensi…e seguii la statua nel suo graduale trasformarsi in
animale capace di badare ala propria conservazione.
Il principio che determina lo sviluppo delle sue facoltà è assai semplice; esso è
racchiuso nelle stesse sensazioni: essendo tutte infatti di necessità o piacevoli o
dolorose, la statua è interessata a godere delle prime e a sottrarsi alle seconde. Mi è
sembrato perciò inutile supporre che l’anima possegga immediatamente per natura
tutte le facoltà delle quali è dotata. La natura ci ha dotato di organi per avvertirci
mediante il piacere di ciò che dobbiamo ricercare, e mediante il dolore di ciò che
dobbiamo fuggire.
IL ROMANTICISMO
Il Romanticismo si configura come un grandioso fenomeno culturale dalle molteplici
sfaccettature che, semplificando, polemizza con la fredda razionalità illuminista e si
propone di valorizzare nell’uomo quanto vi sia di passionale, eroico, languido,
struggente, nostalgico…
La rivalutazione della natura, liberata dai rigidi schemi meccanicistici, si
accompagna quindi ad una rivalutazione dell’uomo a tutto tondo, sia nella sua
dimensione emozionale e spirituale, che in quella corporeo-pulsionale.
SCHOPENHAUER (1788-1860)
Schopenhauer concepisce infatti l’uomo come “animale metafisico” cioè come un
corpo assieme agli altri corpi, ma anche come l’unica creatura in grado di squarciare
il “velo di Maya” e di cogliere il “noumeno” come Volontà.
Nell’analizzare la Volontà sia come Assoluto che come impulso individuale al quale
soggiace l’intero corpo, Schopenhauer tenta un’analisi dell’inconscio. Fa una
distinzione infatti tra gli “impulsi” che sono la causa vera del comportamento e le
“motivazioni coscienti”, che mascherano le pulsioni inconsce, le razionalizzano,
dando una giustificazione morale al comportamento stesso. Questa contrapposizione
è particolarmente evidente nell’istinto sessuale. Secondo il filosofo la pulsione
sessuale è prodotta dall’autorealizzazione della Volontà che spinge
all’accoppiamento e alla riproduzione e mira soltanto all’autoconservazione della
specie, mentre l’amore non è altro che la coloritura sentimentale, la giustificazione
emozionale e morale di un rapporto solo apparentemente scelto e voluto.
La via per sottrarsi a tutto questo è indicata da Schopenhauer nella castità: solo così la
Volontà, fonte di un dolore cosmico, cesserà di “oggettivarsi” e dare così origine ad
una pluralità infinità di individui sofferenti.
KIERKEGAARD (1813-1855)
Kierkegaard delinea in Aut-aut due possibilità di esistenza, quella estetica e quella
etica mentre lo stadio religioso viene descritto in Timore e tremore.
La descrizione degli stadi estetici comprende le pagine più note di Aut-aut. Tra le
molte figure che Kierkegaard descrive, la più famosa è senza dubbio quella del Don
Giovanni, presente sia nella letteratura che nell’opera musicale di Mozart.
Don Giovanni è divenuto, nel tempo, l’archetipo dell’uomo che vive di sensualità e
seduzione, felice e gaudente e che fa della conquista e del possesso il fine della
propria vita.
Kierkegaard invece ci sorprende con la sua analisi inedita dell’esteta, e ci descrive un
Don Giovanni privo di individualità, disperso nelle infinite esperienze amorose,
incapace di fare delle scelte, di svolgere dei ruoli, di assumersi delle responsabilità e
condannato, per questo, alla disperazione.
Kierkergaard, lontano dai canoni tradizionali di valutazione, indica nello stadio
religioso lo “stadio della ripresa” cioè la dimensione esistenziale in cui l’uomo si
riappropria finalmente della sua umanità. Infatti solo lo stadio religioso, per quanto
“assurdo” e “paradossale” permette all’uomo di conoscersi sino in fondo; è solo in
esso che egli può far coincidere la propria volontà con la volontà di Dio ed esprimere
appieno la propria libertà.
DARWIN (1813-1855)
Il naturalista Darwin viene citato in questo contesto perchè le sue opere, L’origine
delle specie e L’origine dell’uomo, hanno scosso alle fondamento la concezione
creazionista dell’universo e dell’uomo elaborando una concezione antropologica in
termini meramente biologici.
Darwin, teorizzando il principio di variazione e il conseguente principio di selezione
naturale, ha infatti concepito l’uomo in termini evoluzionistici, come derivazione da
forme primitive di vita, quali i primati, dai quali si differenzia solo quantitativamente
e per grado di perfezione. Anche le facoltà intellettuali e morali dell’uomo sarebbero
il frutto dell’evoluzione biologica naturale di facoltà e sentimenti come la
socievolezza e la solidarietà di gruppo comuni a tante specie animali e trasmessi per
via ereditaria nel corso dei millenni.
NIETZSCHE (1844-1900)
Con Nietszche la filosofia pone in crisi la razionalità in quanto è sospettata di
nascondere impulsi irrazionali, pulsioni che appartengono ad una sfera diversa della
vita. Il filosofo stravolge infatti tutte le categorie del pensiero tradizionale arrivando a
concepire, quasi in termini evoluzionistici, l’avvento di un uomo nuovo
l’”oltreuomo”. Ma chi è l’oltreuomo? Egli rappresenta uno stadio ulteriore dello
sviluppo umano, il superamento dell’uomo che riceve dall’esterno il proprio destino e
il senso del mondo, diventando egli stesso creatore di nuovi valori. Egli è fedele alla
terra, cioè ai valori naturali, legati al corpo e alla vita terrena, contro ogni
trascendenza. L’oltreuomo è colui che incarnerà lo spirito dionisiaco, o spirito della
musica che esprime la profonda volontà di vivere anteriore ad ogni razionalità. Esso
rappresenta l’istinto che non ha in sè freni o limiti ed è privo delle capacità di
autocontrollo proprio dell’uomo razionale, è la vita che rischia la morte per la volontà
di esprimersi fino in fondo. Collegata a questa concezione antropologica immanente,
tutta fisicità e impulso passionale, è il tema della volontà di potenza che risente
dell’influenza dell’evoluzionismo di Darwin. La volontà di potenza è, per il filosofo,
una forza naturale presente in tutti gli esseri viventi e che spinge ogni uomo
all’affermazione di sé, al potenziamento della propria energia vitale e a dare al
mondo il proprio significato.
FREUD (1856-1939)
Attraverso gli studi sull’isteria, Freud perviene a formulare l’ipotesi che esistano
contenuti psichici, non direttamente accessibili alla coscienza, in grado di
condizionare pesantemente il nostro comportamento e la salute del nostro corpo.
L’isteria di conversione è un esempio emblematico di come pulsioni represse di
origine sessuale, possano generare, afasie, paresi ed altri gravi disturbi a livello
somatico. Freud giunge così a formulare, nell’opera L’Io e l’es, una seconda topica in
cui tratteggia una mappa dell’apparato psichico che risulta così composto da tre
istanze psichiche: l’Es, l’Io e il Super-io. L’Es è l’istanza più originaria e primitiva e
costituisce il serbatoio dei moti pulsionali ed istintivi che stano alla base della vita
umana. Tale istanza è dominata dal principio di piacere che esige la soddisfazione
immediata dei propri desideri. L’Es non ha una organizzazione, è un ribollire di
passioni, è un puro e vorticoso caos ed è costantemente controllato e represso dall’Io
e dal Super-io. La vita cosciente appare dunque a Freud solo come una delle
componenti psichiche, la punta di un iceberg che deve soggiacere ad un “triplice
servaggio”: i pericoli del mondo esterno, la libido dell’Es, e il rigore del Super-io.
Ma Freud ha sconvolto tutte le categorie interpretative dell’uomo non solo
misconoscendo la priorità della dimensione razionale, ma anche riconoscendo la
funzione determinante della sessualità non solo nella vita dell’uomo ma anche del
bambino. Freud parla infatti di sviluppo psicosessuale del bambino arrivando a
definirlo un perverso polimorfo, definizione che si riferisce alla sede delle zone
erogene e non implica affatto alcun giudizio morale.
Era dunque inevitabile che la dottrina psicoanalitica fosse destinata a influenzare
profondamente la filosofia e il modo stesso di concepire l’uomo, aprendo spazi
interpretativi sconosciuti e liberando l’uomo dalle catene della razionalità.
BERGSON (1859-1941)
L’originalità di Bergson, nel panorama dello Spiritualismo francese, consiste
nell’affermare la libertà dello spirito legandola alla nozione di durata. Bergson
affronta il tema della libertà nel Saggio sui dati immediati della coscienza
collegandolo alla riflessione sul concetto di tempo. Bergson distingue fra tempo
spazializzato e tempo come durata. Il tempo spazializzato è quello delle scienze
naturali, che quantificano i dati, li rendono misurabili, reversibili e li percepiscono
separati gli uni dagli altri. La durata è invece propria degli stati di coscienza, nei quali
le sensazioni si compenetrano vicendevolmente dando luogo ad un sentimento, ad
una esperienza vissuta. Ogni stato di coscienza è unico e irripetibile ed è
caratterizzato dalla libertà.
Da questa indagine sul tempo Bergson ricava che “la scienza non è sempre in grado
di mantenere le promesse” ovvero non è quel sapere onniesplicativo che pretende di
essere.
Nell’opera Materia e memoria il filosofo dichiara infatti che la nostra identità risiede
nella memoria e che quindi mente e cervello sono distinti; la prima è durata,
memoria, ricordo puro, il secondo è uno strumento che guida l’azione del nostro
corpo. Scrive Bergson: in una coscienza umana c’è infinitivamente di più che nel
cervello corrispondente.
Nell’opera L’evoluzione creatrice Bergson ritiene che la materia organica e l’intero
universo siano costituiti da spirito inteso come “élan vital” slancio vitale, spirito
creativo che, al pari di una granata, esplode in mille direzioni e, ricadendo nello
spazio e nel tempo, dà origine a tutti gli esseri viventi, e la materia non è altro che il
momento di arresto di questo slancio vitale. Dunque materia e spirito non sono due
versanti contrapposti, ma solo due aspetti, due “punti di vista” della stessa energia
creativa.
Bergson è così convinto dei limiti interpretativi della scienza che dichiara essere
l’intuizione e non la ragione l’”organo” della metafisica; è infatti solo attraverso
l’intuizione che possiamo immergerci nel fiume della vita, cogliere la nostra libertà e
comprendere che l’intero universo è slancio vitale.
SARTRE (1905-1980)
Testimone attento ed acuto del XX secolo, è stato uno dei massimi rappresentati
dell’Esistenzialismo, non solo francese. Autore prolifico, ha affidato il suo pensiero a
scritti di natura eterogenea: romanzi, pieces teatrali, scritti filosofici.
In questo contesto risulta particolarmente interessante il romanzo filosofico La
nausea. In esso, l’autore, in modo inedito e sorprendente utilizza una sensazione
fisica, un malessere del corpo per esprimere un disagio esistenziale. L’eroe del
racconto è Antoine Roquentin, il quale riflettendo sulle ragioni della propria esistenza
e del mondo che lo circonda, ha l’esperienza rivelatrice della nausea. La nausea è il
sentimento che ci invade quando si sperimenta l’essenziale contingenza e la gratuità
del reale:…Dunque poco fa ero al giardino pubblico. La radice del castagno
s’affondava nella terra, proprio sotto la mia panchina. Non mi ricordavo più che era
una radice. Le parole erano scomparse e con esse il significato delle cose…la radice,
le cancellate del giardino, la panchina, la rada erbetta del prato, tutto era
scomparso…Questa vernice s’era dissolta, restavano delle macchie mostruose e
molli, in disordine, nude, d’una spaventosa e oscena nudità. Eravamo un mucchio di
esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione di
essere lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto, si
sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto che o potessi
stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli.
Il corpo, al pari di una riflessione intellettuale, come strumento rivelatore di
esperienze esistenziali.
MOUNIER (1905-1950)
In Rifare il Rinascimento Mounier scrive: Un nuovo secolo XIV si sgretola sotto i
nostri occhi: si avvicina il tempo di rifare il Rinascimento. E se il Rinascimento uscì
dalla crisi del Medioevo e la risolse, la rivoluzione personalistica e comunitaria,
risolverà secondo Mounier la crisi del secolo XX.
Ma che cos’è la persona? In primo luogo essa è inoggettivabile; non se ne può fare
l’inventario. La persona è incarnata in un corpo e nella storia ed è per sua natura
comunitaria. Il Personalismo intende affrontare ogni problema umano su tutta
l’ampiezza dell’umanità concreta, a partire dalla più umile condizione materiale fino
alla più alta possibilità spirituale.
Ciò che della persona si può dire è che essa è il volume totale dell’uomo…; è in ogni
uomo una tensione fra le sue tre dimensioni spirituali: quella che sale dal basso e
l’incarna in un corpo; quella che è diretta verso l’alto e la solleva ad un universale;
quella che è diretta verso il largo e la porta verso una comunione. Vocazione,
incarnazione e comunione, sono le tre dimensioni della persona.
Per Mounier la persona è sempre incarnata in un corpo e situata in precise condizioni
storiche, e di conseguenza, per la sua realizzazione il problema non sta nell’evadere
dalla vita sensibile e particolare. La via è invece costituita da tre esercizi essenziali:
la meditazione, per la ricerca della mia vocazione; l’impegno, l’adesione ad
un’opera che è riconoscimento della propria incarnazione; la rinuncia a se tessi, che
è iniziazione al dono di sé e alla vita in altri. Se la persona tralascia uno di questi
esercizi essenziali essa è condannata, per Mounier all’insuccesso, e alla mancata
realizzazione.
La scelta del Personalismo a conclusione di questo lavoro non è casuale. Nel
panorama delle riflessioni antropologiche trattate e di quelle che non sono state
analizzate, rappresenta a mio parere un tentativo riuscito di realizzare
quell’“armonico equilibrio” tra mente e corpo cui si faceva cenno all’inizio. Il
Personalismo infatti affronta ogni problema umano su tutta l’ampiezza del’umanità
concreta a partire dalla più umile condizione materiale fino alla più alta possibilità
spirituale.