Formiche_Il nuovo statuto dei lavoratori già vecchio di 100

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Il nuovo Statuto
dei Lavoratori
della Cgil è già
vecchio di 100
anni!
( Francesco
Rotondi
AL VERDE
JAMES BOND
USA 2016
FOTO
Balzani, Iannetta,
Majorino e Sala. Le foto
del primo confronto
) BLOG
Le facce (e le stilettate) di
Mauro Moretti all'evento
Agol-Luiss Business
School. Tutte le foto
Chi c'era alla
presentazione del libro di
Myrta Merlino. Foto di
Pizzi
La proposta di un nuovo Statuto dei Lavoratori della CGIL,
denominata “Carta dei diritti Universali del lavoro, ovvero un nuovo
statuto delle lavoratrici e dei lavoratori” è un doppio salto mortale
indietro verso il passato.
Scorrere gli articoli del ”Nuovo Statuto di tutti i lavoratori e di tutte
le lavoratrici” è un’avventura. Ma il finale si conosce già poiché è
identico all’inizio: pare che il tempo non sia passato. Pare che non
siano passate generazioni, conflitti, ere sociali e sociologiche. Pare
che non vi sia stato alcun mutamento nelle arti e nei mestieri, nel
lavoro in generale e che le imprese siano sempre le stesse e le
organizzazioni abbiano le medesime strutture di 100 anni fa!
Ma non è questo il rilievo più preoccupante. Tale operazione
rappresentata formalmente ed ufficialmente la distanza siderale
Alfano, Bindi, Capolupo,
della Cgil dalla realtà sociale, economica, imprenditoriale, giovanile.
Del Sette, Lorenzin e Lupi
Insomma la distanza dalla “realtà”. Tutto è nel segno della
contrapposizione rispetto a quanto fatto in termini di riforme sinoricordano il magistrato
ad oggi. Dimenticate le motivazioni, dimenticate le finalità,
Scopelliti. Foto di Pizzi
dimenticate le esigenze che impongono un riallineamento delle
regole del lavoro del nostro Paese a ciò che è “l’Europa”, non ancora
il “Mondo!”. Il documento è intensamente pervaso da un
sentimento di riaffermazione di principi che non trovano più
residenza nel contesto storico. Vi è il tentativo di riaccendere un
dualismo sociale che non ha più senso e non s’intravede più nella
realtà dei fatti.
Ecco i punti più controversi.
Art. 18 e licenziamenti. La riformulazione dell’art. 18 è
un’operazione incredibile. Non solo vi è la totale cancellazione
dell’ultima riforma, ma addirittura siamo di fronte ad una norma
che pone l’imprenditore assoggettato alla reintegrazione
potenzialmente sempre: illegittimità del licenziamento per giusta
causa, giustificato motivo oggettivo e soggettivo. Il mero
risarcimento – che è individuato nel suo massimo fino a 36 mesi Ettore
–
Scola con Melato,
risulta un’ipotesi del tutto residuale e il Giudice, qualora lo dovesse
Pizzi, Scalfari e Veltroni
percorrere, deve giustificarlo! Il principio portante della proposta
della Cgil è quello di prevedere la reintegrazione quale sanzione
principale per i licenziamenti tutti e per tutte le imprese quale che
sia la dimensione, non solo per i lavoratori subordinati a tempo
indeterminato ma anche – in determinati casi – per le altre tipologie
contrattuali. Trattasi di un principio antistorico, antieconomico e che
non tutela nemmeno il reale interesse del lavoratore. Troviamo la
riaffermazione dei principi che anche la magistratura più schierata
aveva abbandonato o faticava a legittimare nelle sentenze: il “vizio
formale” da adito alla reintegrazione. Qualsiasi provvedimento
dell’imprenditore potrà essere tacciato di “discriminazione”
nell’accezione allargata di cui all’art. 11 del testo proposto dalla Cgil.
Il cittadino deve avere il diritto al lavoro ma trovo assurdo – non
solo io – che esso debba avere il diritto al “posto” di lavoro
all’interno di un rapporto che uno dei due contraenti non vuole più.
Pensare poi di estendere la norma anche alle piccole imprese è
Chi c'era al Question time
veramente una provocazione. Nel medesimo senso è la previsione
sul caso Quarto alla
della sanzione della reintegrazione anche per i vizi formali sia del
Camera
licenziamento individuale che collettivo.
Controlli a distanza. Si tenta di tornare in una dimensione che
nemmeno lo Statuto del 1970 aveva percepito. Vi è il tentativo di
affermare – per legge – il ruolo del sindacato attraverso una delega
a trattare praticamente su tutto. Non vi è alcuna traccia di presa in
considerazione delle innovazioni tecnologiche, di ciò che oggi
consente di agevolare la prestazione, ma nel contempo potrebbe
portare ad un controllo. S’ignorano colpevolmente 50 anni di
giurisprudenza che ha tentato di porre rimedio al silenzio del
legislatore. Non vi è alcuna traccia di una risposta circa il tema della
“certezza” e sostenibilità delle azioni organizzative dell’imprenditore.
Si tenta un’intromissione nei profili gestionali, senza concedere
nulla al tempo.
Riforma della tipologia contrattuale. Leggendo gli articoli dedicati al
Bassanini, Catricalà, Flick,
tema sembra di leggere il testo di manuale del diritto del lavoro del
1960. Il contratto a termine e il contratto di somministrazione Letta, Rebecchini e Vegas
ritornano a rappresentare un mondo che non esiste più. Esse ascoltano Amato per i 25
ricalcano le previsioni normative del 1962, non tenendo nemmeno
anni dell'Antitrust. Le foto
conto di quella evoluzione alle quali lo stesso sindacato ha
partecipato nel corso degli anni.
Torna la contrapposizione tra impresa e lavoratore. Una tecnica
sbagliata quanto pericolosa poiché accompagnata da un substrato
culturale che sembra voler alimentare un dibattito sociale che non è
dei nostri tempi. In questo senso s’inseriscono anche i principi
generali che si traggono nel contesto generale. Vi è ancora una forte
contrapposizione fra “impresa e lavoratori”, vi è ancora l’idea che ciò
che non è a “tempo indeterminato” è “precario”! Tutto ciò deve
preoccupare, in un tempo in cui si deve trovare una nuova intesa tra
proprietà, manager e capitale umano, la Cgil è capace solo di
produrre un documento che fotografa una realtà che non esiste più.
ARCHIVIO FOTO
Diritto di riservatezza e divieto di controllo a distanza. La previsione
prevede il ritorno quasi identico alla formula del 1970. Vi è un
divieto assoluto che può essere superato solo in presenza di
determinate ragioni e solo con il consenso del sindacato. C’è un
curioso comma 4 che prevede una disciplina delle “comunicazioni”
che potrebbero essere “non libere e non segrete” qualora per i
“mezzi” di lavoro resi disponibili all’azienda sia stato escluso il
carattere riservato. Siamo di fronte ad un tentativo mal riuscito di
disciplinare un tema che ormai non ha più alcun lato oscuro. SiNessun evento
pensi alla recente sentenza della Corte di Strasburgo con la quale si
stabilisce che lo strumento aziendale attribuisce per sua stessa
ARCHIVIO EVENTI
natura il diritto del proprietario (l’imprenditore) di verificarne il
corretto utilizzo. Insomma, un doppio salto mortale all’indietro che
non considera il punto fondamentale della riforma appena varata:
nessuno vuole controllare nessuno. Il tema vero riguarda il corretto
utilizzo degli strumenti di lavoro, il corretto utilizzo del tempo di
lavoro.
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La vera finalità è ridare un ruolo al sindacato per legge! Certo, la
finalità di una formulazione così squilibrata risulta evidente: ridare
al sindacato un ruolo e potere all’interno dell’impresa e nella
relazione con l’imprenditore. Un ruolo e un potere non guadagnato
sul campo, non coltivato e realizzato attraverso la legittimazione di
idee e comportamenti, bensì attraverso una norma che vuole
garantire un privilegio ed una rendita di posizione. Ancora una volta
si cerca di scimmiottare ordinamenti stranieri dei quali però si
ignora cultura e storia. Ancora una volta la Cgil dimostra la
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lontananza dalla realtà, dal sistema, dal mercato, dalla società e dai
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cittadini, siano essi lavoratori o meno.
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interrogativo sul futuro delle relazioni sindacali. In un momento
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capitale umano, la risposta della Cgil appare del tutto inadeguata.
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