28/04/2016 Medicina d’urgenza CARDIOPATIA ISCHEMICA Oggi parleremo di sindrome coronarica acuta. La prima informazione che dobbiamo dare al nostro pz è che si tratta di una cardiopatia ischemica. Tuttavia per cardiopatia ischemica, cioè cuore non ben perfuso, si intende un’ampia gamma di disturbi. Gli urgentisti dividono la cardiopatia ischemica in due grossi argomenti: -Angina Stabile (SA), che è un argomento meno urgente, -Sindrome Coronarica Acuta (ACS) che è più urgente. Cascata ischemica: è l’insieme dei fenomeni che si innesca quando c’è un’alterazione del flusso coronarico. Il flusso coronarico ha una sua riserva funzionale. Molti organi possono aumentare la loro riserva funzionale e anche le coronarie fanno ciò: ad esempio, quando facciamo uno sforzo fisico, il battito cardiaco accelera, la frequenza respiratoria reagisce all’ipossia aumentando, e le coronarie a un certo punto si dilatano. Tutto questo funziona fino a una certa età, infatti, già a partire dai 20anni, tale meccanismo si deteriora riducendo la sua efficacia. Quindi già dopo i 20anni si supera l’acme di efficacia di questo meccanismo di adattamento a livello coronarico. Ad 8 anni per esempio tutti i bambini sono definiti atleti dal punto di vista cardiologico, posso fare sforzi improvvisi, perché hanno quel tipo di allenamento cardiaco simile all’atleta. L’ECG (risalente al 1922): registra l’attività elettrica delle cellule miocardiche che come tutte le cellule muscolari vanno incontro ad un’eccitazione legata a una depolarizzazione, che non è altro che uno scambio di ioni tra interno ed esterno della cellula (il potassio, che è maggiormente contenuto all’interno della cellula, va all’esterno, mentre il calcio, che è maggiormente contenuto all’esterno, va all’interno e il sodio fa viceversa). Ciò fa sì che la cellula vada incontro ad un’eccitazione e si contragga (sequenza depolarizzazione-contrazione).L’ECG normalmente è caratterizzato da: -onda P: indica la depolarizzazione-contrazione atriale (essenziale per il buon caricamento dei ventricoli e quindi per un’efficace sistole); -QRS: indica la contrazione ventricolare (dotato di una sua altezza, ampiezza, larghezza); onda T: indica la ripolarizzazione dei ventricoli, cioè il ristabilirsi della situazione iniziale. A questo punto il prof mostra un grafico in cui sulle ascisse c’è lo stress cardiaco e sulle ordinate il consumo di ossigeno. All’aumentare dello stress cardiaco, aumenta il consumo di ossigeno da parte del cuore fino a che, continuando lo sforzo cardiaco, si arriva a una situazione di disfunzione globale e successivamente compare il chest pain, ossia il dolore toracico. Che cos’è il dolore toracico? Il dolore toracico è motivo di grande attenzione: è un dolore molto forte, con sensazione di morte imminente. Il pz non fa troppe storie, dice solo che si sente morire. È anche vero che alcune volte ci sono delle sfumature e questo pone dei problemi, perciò quando c’è un dubbio dosiamo le troponine. L’importante è capire, tra tutti quelli che si presentano al PS con dolore toracico, quali sono effettivamente in procinto di avere un infarto o l’hanno già avuto. Questa è la difficoltà più grande! Angina Stabile È un argomento che non riguarda direttamente la medicina d’urgenza, ma lo dobbiamo conoscere perché può essere preoccupante, ma un po’ di meno rispetto a una ACS. Definizione: dolore toracico che compare dopo sforzo fisico, scompare col riposo o dopo somministrazione di nitroglicerina. Che cosa è la nitroglicerina? È un coronarodilatatore? No, semplicemente riduce lo sforzo cardiaco. In che modo? Vasodilatando. Infatti, vasodilatando, arriva meno sangue al cuore (riduzione del precarico)e di conseguenza il lavoro cardiaco diminuisce. È comunque anche un blando coronarodilatatore, ma semplicemente perché agisce sui vasi, inclusi quelli coronarici. Agisce inoltre sulle vene, che sono i vasi di capacitanza. Delle vene molto rilassate accolgono più sangue, quindi arriva meno sangue al cuore e la gittata sistolica si deteriora. Quest’ultimo aspetto potrebbe sembrare negativo, ma in realtà non lo è perché il pz che assume il farmaco in quel momento sta fermo, non ha bisogno di una GS elevata e il farmaco gli fa passare il dolore. Caso clinico 1: paziente di 77 anni va in PS e dice di aver avuto dolore toracico a seguito della sostituzione della ruota all’auto. Riferisce, inoltre, che già da un po’ di tempo avverte questo dolore, ma riesce a tollerare la situazione perché si ferma. Il pz ha imparato che quando compare il dolore si deve fermare, deve respirare profondamente per riossigenare il cuore e il dolore scompare, in modo da riprendere a fare attività fisica. E’ sbagliato? Forse sì da un punto di vista medico, ma forse no, perché poi non facendo alcuna attività fisica invecchierebbe prima; c’è sempre una via di mezzo: fare un po’ di attività fisica ma senza esagerare. Certamente è un soggetto che deve stare sotto controllo, deve fare anche controlli sul flusso coronarico. Patogenesi: è legata alla presenza di una placca aterosclerotica che riduce gradualmente il flusso coronarico. Ciò spiega perchè a riposo il flusso è adeguato alle richieste e non c’è dolore, mentre sotto sforzo, quando aumenta la richiesta di ossigeno, e la coronaria ostruita non riesce a garantire l’adeguato apporto di ossigeno, compare dolore. La placca verosimilmente è di tipo duro (calcifica, come succede spesso nell’anziano) e determina una stenosi non totale che riduce il flusso, ma non dà un’iperaggregabilità piastrinica e quindi non evolve verso la formazione di un trombo e successivo infarto a valle del territorio irrorato da quell’arteria. Clinica: Il dolore è a sede retrosternale ed è caratteristicamente irradiato, principalmente all’emitorace sinistro; dura > 1min e < 20 min, in genere 2-5 min. Che tipo di dolore è? Viscerale o somatico? Qual è la caratteristica del dolore somatico? È puntorio! Qual è la caratteristica del dolore viscerale? È un dolore diffuso, strano… Il dolore da angina è viscerale e ha una caratteristica che molti dolori non hanno, cioè è COSTRITTIVO. Decorso: non sono infrequenti casi di progressione verso una sindrome coronarica acuta. Ecco perché i pz con SA vanno seguiti per controllare la possibile evoluzione ad ACS, la quale non è necessariamente legata allo sforzo, ma può comparire improvvisamente per rottura della placca, cui consegue formazione di trombo e da questo di emboli che bloccano il flusso provocando ischemia a valle. A questo punto il prof fa una digressione sull’infarto. Se l’ischemia coinvolge un distretto piccolo, il dolore è lo stesso ma il problema è piccolo da un punto di vista emodinamico. Che significa dal punto di vista emodinamico? A quale sintomo si riferisce? Alla dispnea. Si verifica perché i polmoni hanno sangue stanziato all’interno, la pressione sta aumentando e il circolo polmonare è molto sensibile alla pressione. Il valore normale è 18mmHg, se aumenta un poco, a 30-32, inizia il travaso, cioè il liquido passa nello spazio interstiziale e separa leggermente la parete alveolare dal capillare. Se si separano di poco, la ventilazione continua, ma se la distanza tra queste 2 strutture si fa maggiore, gli scambi respiratori diventano difficoltosi e per compenso aumenta la frequenza degli atti respiratori (diventano 27-32 contro i normali 16-20 atti/min). Dispnea, mano sul petto, faccia della morte non possono ingannare. Però molti pz non hanno tutto questo. Chi muore tra i pazienti che hanno l’infarto? Chi ha un infarto piccolo o grande? Dipende dalla sede! È ovvio che se un infarto è piccolo, è poco significativo dal punto di vista emodinamico. Se la sede è prossima al tessuto di conduzione, anche se l’infarto è piccolo, il soggetto può morire, soprattutto se riguarda i fasci di conduzione. I fattori che condizionano la prognosi sono: -sede (in particolare sede come vicinanza al tessuto di conduzione); -vastità; -spessore. A questo punto il prof fa una serie di esempi. Caso clinico 2: pz di 60 anni, giocatore di tennis, ha una periartrite scapolo-omerale a dx con principio di artrosi (si sta consumando la cartilagine) che gli provoca dolore. Quando c’è dolore, ci sono delle vie nervose attivate. Questo pz ha avuto un infarto, ma non ha provato dolore a sn, bensì a dx, perché il dolore ha percorso le vie nervose già attivate dalla periartrite a dx. Il pz ha avuto il suo tipico doloretto dopo la partita e ha fatto quello che faceva sempre, ossia una doccia calda perché l’acqua calda gli ha sempre dato un senso di giovamento. Però l’acqua calda vasodilata e il pz è andato in shock, la tachicardia conseguente ha fatto aumentare notevolmente il consumo di ossigeno, peggiorando ancora di più l’infarto fino alla morte. Questo spiega la variabilità di presentazione clinica del dolore da infarto. Caso clinico 3: pz con dolore in sede epigastrica. Al 99% è gastrite, ma può anche essere un infarto con presentazione atipica del dolore. Un poco di dubbio deve sempre rimanere, non dobbiamo mai essere troppo sicuri. Caso clinico 4: paziente madrileno di 65 aa, arriva al PS con epistassi, la PA risulta 210. Il pz non è nervoso. Prima cosa che facciamo è abbassare la pressione. Come si abbassa la pressione? Tutto insieme in una volta? No, si abbassa GRADUALMENTE!! Noi non sappiamo qual è la sua pressione normalmente, ma possiamo farcene un’idea eseguendo un ECG e guardando l’indice di sokolow (somma aritmetica delle ampiezze di R in V5 e di S in V1 superiore a 35mm) e la derivazione aVF. Perché? aVF che cos’è? E’ la derivazione che sta alla gamba sn. Se il cuore è ipertrofico, il vettore cardiaco è spostato verso l’alto a sn e quindi aVF risulterà negativo perché opposto al vettore cardiaco. Perciò se vediamo aVF negativo, possiamo già iniziare a sospettare che ci sia un’ipertrofia ventricolare sinistra e quindi eseguiremo un esame ecografico cardiaco per confermarlo. Già solo dall’ECG possiamo dire che questo pz aveva da tempo l’ipertensione arteriosa e che questa non è stata curata. L’aumento pressorio non è un fatto del momento dovuto all’agitazione, altrimenti non avremmo visto le modifiche elettrocardiografiche indicative di un’ipertrofia ventricolare sinistra! Evidentemente la pressione arteriosa alta cronica ha fatto rompere un capillare della vascolarizzazione arteriosa della mucosa nasale e ha perso sangue. Una delle cause più frequenti in assoluto di cuore ipertrofico è l’ipertensione arteriosa che colpisce 22 milioni di abitanti in Italia. Ipertensione arteriosa significa semplicemente pressione alta. Ma qual è la pressione sanguigna normale? Non esiste, non ha una curva gaussiana. Se noi fossimo degli studiosi della statistica e misurassimo la pressione arteriosa sanguigna in tutta la popolazione, vedremmo che le misurazioni non si dispongono in maniera gaussiana, cioè a campana. Perciò è difficile stabilire la mediana e le deviazioni standard. Si discute ancora di quale sia la pressione arteriosa normale, addirittura fino a qualche tempo fa si diceva “the lower the better” (più è bassa, meglio è). Si è poi venuti a conoscenza del fatto che la relazione tra pressione arteriosa e rischio cardiovascolare è descritta da una curva a J: il rischio cardiovascolare scende sempre più al diminuire dei valori pressori, ma a un certo punto, continuando a scendere la pressione, questo rischio comincia ad aumentare. Perché? Non si perfonde più l’organo, è ovvio che il rischio aumenta! Quindi diciamo che noi non vogliamo una pressione troppo bassa, ma nemmeno una pressione troppo alta, qualcosa che rimanga tra 100 e 120. Nella donna ci aspettiamo una pressione anche un poco più bassa per gli estrogeni, nell’uomo un poco più alta. Ritornando al caso del pz, dall’anamnesi farmacologica emerge che il pz assume cardioaspirina, quindi le piastrine si aggregano ma non benissimo. Quindi pressione alta, emostasi non perfettamente integra, epistassi. Tuttavia il quadro clinico non è concluso e si rende necessario eseguire le analisi del sangue di routine. Da queste risulta che la glicemia è di 500. A questo punto partono le domande di routine: beve molto? Urina molto? Il pz risponde di sì, quindi ha un diabete di cui non era a conoscenza. Quindi come ci immaginiamo le coronarie di questo pz? Gli endoteli vasali sono infiammati, compresi quelli delle coronarie. Praticamente questo pz è una bomba ad orologeria. Gli facciamo fare una coronarografia subito? No, gli abbassiamo la glicemia GRADUALMENTE, la PA GRADUALMENTE e lo tranquillizziamo. Quest’ultimo aspetto è molto importante perché uno stato ansioso ha valore aggiunto negativo nel far precipitare la disfunzione. Non lo facciamo deprimere, perché la malattia è sempre x ¾ psicologica, quindi se poi facciamo cadere in depressione il pz non è una cosa buona: abbiamo trattato il pz ma pagando un prezzo troppo altro, non abbiamo fatto un buon lavoro, quella persona sta forse peggio di prima anche se ha la glicemia e la pressione sotto controllo: la depressione batte tutto, porta a morte. Sindrome Coronarica Acuta (ACS) Angina Instabile (UA) Infarto Acuto del Miocardio (IMA) È un gruppo di patologie che riguarda più direttamente l’urgentista. Le sindromi ischemiche maggiori sono: 1 IMA con ST elevato (STEMI) Elevazione del tratto ST ed inversione dell’onda T, con successiva comparsa dell’onda Q (dopo qualche settimana dal trattamento ). L’elevazione del tratto ST è significativa se: è > 1mm (0.1mV) in due derivazioni contigue periferiche. L’elevazione del tratto ST è significativa se: è > 2mm (0.2mV) in due derivazioni precordiali (V1-V6) 2 IMA senza ST elevato (NSTEMI) Depressione del tratto ST o inversione dell’onda T, senza comparsa dell’onda Q Non è un vero e proprio infarto, ma può essere un’angina instabile o una sindrome coronarica acuta. È una situazione che va tenuta sotto controllo. La differenza con la precedente è l’atteggiamento del management che poi vedremo. 3 Ischemia transmurale (Angina Prinzmetal) Transitoria elevazione del tratto ST o paradossa normalizzazione onda T. Si pensa sia dovuta ad un improvviso rallentamento del flusso coronarico, come causato da uno spasmo. 4 Ischemia Subendocardica (Classica Angina) Transitorio sottoslivellamento del tratto ST. È un infarto che non ha preso tutta la parte, ma solamente una parte. Angina Instabile Definizione: Dolore a riposo >20min. Dolore di nuova insorgenza che limita l’attività fisica. Dolore che aumenta nella durata e insorge con minore sforzo fisico rispetto all’angina stabile. (Ricordiamo che nell’angina stabile la stenosi coronarica non è totale, è dovuta infatti a placche calcifiche che non evolvono verso la rottura.). Markers di necrosi miocardica assenti. Una volta si definivano enzimi, ma non è corretto questo termine perché non includerebbe le nuove troponine ad altissima specificità, che non sono enzimi ma proteine che lavorano sullo scivolamento actina-miosina. L’isoforma I è specifica per il cuore, anche se è un po’ lenta a salire. Quando c’è un’angina instabile (in realtà anche quando è stabile) noi non abbiamo un aumento delle troponine. Non possiamo dire che chi ha un’angina instabile ha avuto un infarto miocardico acuto, perché non c’è stato aumento delle troponine. DD: l’angina instabile si differenzia dall’infarto perché non aumentano le troponine e dall’angina stabile perché il dolore non insorge dopo lo sforzo fisico, ma a riposo, e ha durata maggiore (>20 minuti). Un dolore cardiaco può essere di 1 secondo? No, ci sono anche dei limiti minimi. Può durare 5 minuti? Sì. 10? Sì. 15? Sì. Se supera i 20 minuti è sempre di origine cardiaca, ma potrebbe essere qualcosa di diverso dall’angina, qualcosa di più grave come un infarto. Classificazione dell’angina instabile di Braunwald (vecchissima classificazione molto valida didatticamente): Severità Classe I- Nuovo inizio, severo o accelerato; Classe II- Angina a riposo e subacuta (assenza di episodi anginosi nelle precedenti 48h); Classe III- Angina a riposo e acuta (angina entro le precedenti 48h). Circostanze cliniche (possono far precipitare l’angina instabile, perciò vanno individuate e trattate): Classe A- Angina instabile secondaria (anemia, infezione, febbre, ecc); Classe B- Angina instabile primaria; Classe C- Angina post-IMA. Intensità del trattamento -Nessun o minimo trattamento - Sintomi che compaiono nel corso di terapia medica standard -sintomi che compaiono nonostante la dose massima di beta-bloccanti, nitrati e calcio antagonisti. Per quanto riguarda le circostanze cliniche, bisogna sottolineare che una delle cause più diffuse di angina instabile secondaria è l’anemia (è il disturbo più diffuso al mondo, interessando il 25% della pop mondiale). Un pz anemico va trattato perché migliorando la sua anemia, miglioriamo il trasporto di ossigeno ed è di questo che stiamo parlando nel pz anginoso: cattivo trasporto di ossigeno a livello del cuore che è dovuto alle coronarie, ma è anche peggiorato da una concomitante l’anemia. L’anemia a cosa può essere dovuta? A un’infinità di cose, le più frequenti sono carenza di ferro e vitamine. Nell’uomo soprattutto la carenza di folati e secondariamente il deficit di ferro per cattiva alimentazione, nella donna invece la carenza di vit B12 (mangiano poca carne perché all’estrogeno non piace) e carenza di ferro dovuta alla continua perdita e in più alle perdite mensili (più è fertile, più perde). La vit B12 ha uno storage time di 1anno (le donne, anche se mangiano poca carne, riescono ad accumulare buone riserve), l’acido folico invece ha uno storage time di pochi mesi 2-3. ACS in generale Sintomi aspecifici di ACS: Dolore: è presente nell’80% dei casi; anziani e diabetici potrebbero non avvertirlo per un’alterazione delle vie di conduzione del dolore, soprattutto se l’infarto è piccolo. Dispnea: è molto comune. Quando è presente dispnea? Sempre quando l’emodinamica è sufficientemente alterata e quindi c’è imbibizione dell’interstizio alveolare (pre-edema polmonare). L’alterazione emodinamica, dovuta al fatto che il ventricolo sinistro non scarica mentre il destro continua a pompare, è tale da indurre un aumento della pressione nella polmonare. Nausea o vomito sono sintomi vagali, ma potrebbero anche essere indicativi di una gastrite, quindi va fatta una diagnosi differenziale tra gastrite e ACS. Da qui nascono i problemi. Ma quando sentiamo che il pz ha dispnea, nausea e vomito, dobbiamo sospettare un infarto piuttosto che una gastrite. Palpitazioni: per aritmie, soprattutto se l’infarto è vicino al tessuto di conduzione. Sincope. Arresto cardiaco. Astenia. Cause non cardiache di dolore toracico: condizione Durata dolore Gastrointestinali: 5-60 minuti Reflusso gastroesofageo e/o spasmo esofageo; ore Ulcera peptica; ore Colangite, colecistite Muscoloscheletriche: costocondrite variabile Polmonari: Non caratterizzabile pleurite, polmonite, embolia polmonare NON MASSIVA, pneumotorace iperteso. Caratteristiche dolore Viscerale, substernale, peggiora con decubito, non s’irradia, scopare con cibi ed antiacidi. Viscerale, epigastrico, scompare con cibo ed antiacidi, ECG normale. Viscerale, epigastrico, colico interscapolare, compare dopo i pasti. Superficiale, posizionale, peggiora con i movimenti, tensione locale. Non caratterizzabile Per esempio in caso di pz con dolore/bruciore in sede epigatrica da sospetto reflusso gastro-esofageo, per fare diagnosi differenziale ci aiuta l’anamnesi: il dolore insorge in relazione ai pasti. Inoltre in generale bisogna anche considerare la durata: se viene da noi un pz con dolore da 6 giorni, può essere di origine cardiaca? No. Ancora il dolore può essere da costocondrite e in genere il pz riferisce di aver preso freddo o di aver sollevato un peso oppure ha un poco di artrosi. Poi ci sono i problemi polmonari e uno di questi, molto insidioso, è l’embolia polmonare quando non è massiva (quando è massiva abbiamo visto che la sintomatologia è tragica e non ci può sfuggire). In caso di pneumotorace iperteso al dolore si associa una forte dispnea. Circolo coronarico Le arterie coronarie sono 3, però le origini sono 2 perché un’origine è comune alla coronaria di sn e alla discendente anteriore. La destra si mantiene unica per tutta la sua lunghezza, mentre la sinistra si divide in circonflessa di sn e discendente anteriore. Quest’ultima è quella più frequentemente colpita da ostruzione, infatti gli anglo-americani la chiamano anche Widow Maker cioè fattrice di vedove, è la più importante perché è quella del setto e il setto dà forza a entrambi i ventricoli. Queste arterie fanno circoli collaterali? Si dice di no, in realtà c’è una certa variabilità interindividuale. Il flusso coronarico, a differenza di tutti gli altri flussi, ha la massima portata in diastole e non in sistole. È in diastole dunque che si ha la migliore perfusione cardiaca. Se per esempio un soggetto fa uso di cocaina, la frequenza cardiaca passa dal valore normale di 70 a 200, il battito cardiaco aumenta e il tempo di diastole si riduce, il cuore quindi sarà ipoperfuso. Il cuore batte forte, consuma molto, ma non perfonde se stesso, con conseguente infarto e arresto cardiaco fino alla morte in caso di mancato intervento. Nel cuore, andando dalla superficie verso l’interno, ci sono delle arterie epicardiche, il sub-epicardio, le arterie intramurali, le arteriole e infine il plesso sub-endocardico, cioè il sistema di irrorazione è tale che la parte interna è meno irrorata di quella esterna. Perciò, se il flusso è ridotto, la riduzione sarà maggiore a livello subendocardico. Ci possono essere situazioni in cui l’infarto non è esteso a tutta parete, ma interessa solo il sub-endocardio, sono quindi meno gravi. I parametri di gravità dell’infarto sono quindi sede ed estensione. Nell’ipertrofia ventricolare sinistra, provocata in genere dall’ipertensione, c’è qualcosa che peggiora la vascolarizzazione del sub-endocardio ed è proprio lo spessore di parete. Nell’ipertrofia le cellule sono non in numero maggiore, ma aumentate di volume e tendono ad allontanarsi ed anche la perfusione diventa un po’ deficitaria. Approccio terapeutico alle ACS: Se non c’è lo STEMI, tiriamo un sospiro di sollievo. Se c’è lo STEMI, il protocollo è totalmente diverso. Alcuni per non perdere tempo non fanno nemmeno le troponine, chiamano direttamente l’interventista, perché il tempo a disposizione per intervenire è al massimo di 3 ore (a questo proposito i dati sono discordanti: in genere 120 minuti è l’optimum, ma anche 180 minuiti è un tempo accettabile). Di che intervento stiamo parlando? Stiamo parlando dell’angioplastica primaria: approccio che, attraverso l’inserimento del catetere, ci permette di fare una coronarografia per visualizzare i vasi e il punto di stenosi, di dilatare la stenosi, gonfiando un palloncino disposto all’estremità del catetere, e di lasciare dentro uno stent (anellini intrecciati tra loro formanti una gabbietta), per evitare che il vaso si richiuda subito. In realtà il vaso non si chiude subito, ma dopo un po’ di tempo si richiude perché si ha una reazione da corpo estraneo con formazione di un granuloma costituito da cellule giganti. Per questo motivo gli stent vengono medicati con sostanze tipo rapamicina che uccide le cellule e lo stent così non viene sopraffatto dalle cellule. Il problema è che questi stent costano molto. Se non possiamo fare l’angioplastica primaria, facciamo la trombolisi. La trombolisi è una cosa buona? Meglio di niente. Se l’infarto è NSTEMI, facciamo la curva troponinica, che consiste nel monitoraggio della troponina a 0-3-6 ore. Se il pz ha le troponine elevate, lo mandiamo in UTIC. Morfologia ECG successiva all’infarto miocardico: Onda Q: se arriva al PS un pz con un’onda Q, è una cosa vecchia, però significa che potrebbe avere un nuovo infarto perché ha già avuto un primo episodio e quindi è più a rischio; Nuova deviazione assiale; Blocco di branca a dx ma soprattutto a sn. Normalmente l’impulso parte dagli atri e va verso l’apice dei ventricoli (un po’ più verso sn perché l’apice è leggermente spostato a sn) e poi torna indietro, determinando la sistole. Quando questo non succede, accade che la sistole atriale parte, la sistole del ventricolo dx parte, la sistole del ventricolo sn parte un attimino dopo. Tutto ciò causa una modificazione elettrocardiografica nota come blocco o emiblocco, parziale o totale, della branca sn. Il QRS è un po’ più slargato perché la ci vuole più tempo per la contrazione dei ventricoli. NSTEMI: ST sottoslivellato; Onda T negativa (invertita e profonda, può essere pronunciata a punta): questa onda rappresenta la fase di ripolarizzazione ventricolare, quando è negativa significa che il ventricolo soffre; Onda Q assente. Quindi dobbiamo principalmente concentrarci sulle onde T e sul tratto ST sottoslivellato. A seconda delle derivazioni in cui vediamo questi fenomeni, possiamo stabilire la sede. È ovvio che se li vediamo in più derivazioni, l’infarto è più esteso. Non dobbiamo essere dei cardiologi provetti, dobbiamo solo capire velocemente cosa il pz ha per salvargli la vita. STEMI: Segni ECG precoci (minuti): Segmento ST: biconcavo; Segmento ST: sopraslivellato, indistinguibile dall’onda T. Segni ECG tardivi (ore/die): Inversione onda T; Onda Q della durata >30 msec con altezza >1 mm in D1,D2, aVL, aVF, o V4-V6. Nell’infarto l’occlusione arteriosa nel suo territorio di irrorazione provoca mancanza di ossigeno, le cellule non possono più mettere in atto la fosforilazione ossidativa, non possono più produrre energia, si spengono i mitocondri, senza ATP le pompe NA/K (mangiatrici di ATP, consumano la metà dell’energia che noi ingeriamo) non funzionano e quindi il K esce e il Na entra, la cellula muore.