Teisho
Gennaio – Dicembre 2014
M. Roberto Anshin
Zenshinkai di Latina
1! | P a g e
BREVE RIFLESSIONE FORSE UTILE AI MAESTRI E AGLI ALLIEVI CHE PRATICANO IN
PERIFERIA
Quattro righe a beneficio di coloro che praticano con me a Latina e anche forse per altri.
Ora che lo zen rinzai si sta diffondendo a livello periferico, supportato da maestri formati al Bukkosan
zenshinji, possono ben venire spontanee alcune domande, a chi pratica lontano da Orvieto e non ha mai
avuto contatti con Scaramuccia, - “ma che tipo di esperienze ha fatto il nostro maestro? come si è
caratterizzata la sua formazione negli anni? Perché lo zen rinzai e non altre tradizioni?”
Fatta salva l’individualità del percorso di ognuno, è pure vero che ci sono dei dati comuni che hanno
accompagnato nella loro formazione la seconda generazione di maestri.
Per affrontare queste tematiche bisogna però risalire indietro negli anni e non di poco… dunque… circa 40
anni fa. Allora tornò dal Giappone Engaku Taino, dopo un lungo periodo di pratica nel monastero di
Shofukuji durante il quale ebbe modo di vivere in stretto rapporto con il suo maestro Yamada Mumon.
(Chi volesse saperne di più dalle sue stesse labbra, vada a vedersi i filmati e le interviste presenti sul
sito).
Intorno a lui si coagulò rapidamente un gruppo di persone accomunate dalla passione per la montagna e
la curiosità per questa pratica “esotica”.
Taino seppe essere molto sensibile alla diversità di situazione che si creava man mano che lo zen veniva
elaborato in un paese occidentale.
Molti usi e costumi marcatamente giapponesi furono abbandonati in favore di una pratica molto più
flessibile (benché dura) .
Scaramuccia si trasformò da “monastero” a “luogo di pratica”.
Gli abiti monacali furono messi in soffitta.
L’adesione, come succede ancora oggi, non prevedeva nessun tipo di obbligo se non la condivisione dei
voti per il sociale e dei voti del bodhisattva.
I capisaldi che permisero lentamente la diffusione dello zen rinzai in Italia sotto la guida di E. Taino
furono, in estrema sintesi, i seguenti:
A) una pratica senza lo strutturarsi di una religione. Anzi, la scelta di evitare l’aspetto devozionale e di
adorazione che si verifica quasi inevitabilmente in ogni comunità “spirituale”.
B) la gratuità (solo la sesshin prevede una offerta di minima entità).
C) la buona fede e la coerenza della guida spirituale.
D) la totale assenza di settarismo e proselitismo.
E) la semplicità intesa come eliminazione delle sovrastrutture del pensiero per quanto riguarda il mentale
e la vita parca per quanto riguarda la vita fisica.
F) la completa libertà di elaborazione della propria “maestria”.
G) il fatto che in più di 40 anni di esistenza di Scaramuccia quanto sopra non sia mai stato smentito dai
fatti.
2! | P a g e
Senza dubbio molte di queste caratteristiche afferiscono direttamente allo zen rinzai che si è affermato in
questo modo dopo centinaia di anni di elaborazione, tuttavia l’apporto innovativo di E. Taino e la sua
fermezza nel mantenere fermi i punti “per una pratica che sia universale e deorientalizzata” sono
indiscutibili.
Dunque, perché diventare maestri zen rinzai e contribuire alla diffusione di questa pratica?
La prima riflessione è che, una volta compiuto il lungo percorso dei koan (dai 10 ai 15 anni in media), il
praticante, divenuto maestro di Dharma, ha in sé tutte le potenzialità per esprimere una totale
“compassione” verso tutti gli esseri senzienti. Quale modo migliore se non quello di praticare e creare
nuovi piccoli sangha con chi “vuole vedere e sentire”?
La seconda riflessione è che lo stesso percorso dei koan porta nella direzione della condivisione della
propria realizzazione.
Non a caso nella nostra scuola la successione dei “casi pubblici” prevede prima la risoluzione dei koan
kensho (quelli che portano il praticante a identificarsi nell’assoluto) a cui seguono tanti koan la cui
soluzione obbliga a misurarsi con il relativo in tutte le sue forme.
La terza riflessione è che il buddismo sembra proprio essere la risposta adeguata ai disagi esistenziali del
mondo attuale. La sua concretissima astrazione, il suo misticismo agnostico sono ossimori che danno
conto delle sue infinite possibilità di applicazione nella quotidianità , data una realtà (virtuale, diciamo
così) che chiede continuamente di essere “svelata”, pena la disperante fatica di vivere inseguendo infiniti
attaccamenti.
La quarta riflessione è che nella nostra tradizione, più che in altre, si valorizza il detto “se incontri il
buddha uccidilo, se incontri il tuo maestro uccidilo”
Per ogni praticante è motivo di grande tranquillità il sapere che il maestro a cui fa riferimento ha come
primo obbiettivo quello di “autoestinguersi”, facendo prevalere l’essere maestro dell’allievo. Le frequenti
esortazioni all’essere maestri a sé stessi possono arrivare anche a livelli di rudezza elevati, in omaggio
all’essere molto diretti dei maestri zen ma mai saranno occasioni di prevaricazione!
La quinta riflessione è che ogni praticante novizio può scegliersi il maestro che vuole e questo atto di
libertà non è solo a suo favore ma anche a favore del maestro.
Gli allievi potranno essere tanti o pochi o nessuno. Potranno andare e venire. Praticare assiduamente o
sporadicamente. Cambiare frequentemente maestro o non cambiarlo mai Basti la coscienza che ognuno
nei propri ruoli (maestro o allievo) sappia “bastare a sé stesso.”
La sesta riflessione è che ovunque si pratichi, almeno qui in Italia, il rapporto diretto con Scaramuccia è
sempre possibile (e augurabile) sia durante le sesshin che nei giorni normali così che anche chi pratica
lontano da Orvieto può andare a “respirare l’aria” del nostro luogo di pratica originario e conoscere “il
maestro del maestro.”
3! | P a g e
Latina, 23 gennaio 2014
Commento ai quattro voti: salvare tutti gli esseri.
✓ Anche beneficiare
Com’è possibile? E salvare come? E tutti ma tutti?
Il miglior fornaio non potrà mai fare pane per tutti!
Riceve un senso se lo applichiamo alla nostra mente come disponibilità ad accettare, essere
disponibili e patire con ogni essere senziente e anche non senziente;
✓ Il cristianesimo parla di amore, l’amore nell’accezione comune, non mistica, richiede in qualche
modo un ritorno, c’è richiesta di scambio anche se non detta;
✓ Compatire è identità con l’altro, vuol dire che non c’è richiesta di ricambiare perché non c’è nessuno
che possa ricambiare (si è l’altro!). Niente a che vedere con l’arroganza di chi vuole convertire ad
una verità!
Per noi una verità non c’è e per questo ci accostiamo al prossimo rispettandolo comunque, quali che
siano le sue convinzioni politiche sociali umane e quale che sia il colore della pelle.
✓ Se non c’è verità non c’è motivo per converti nessuno.
✓ No proselitismo si pratica con chi vuol sentire.
Latina, 30 gennaio 2014
✓ Volevo parlare del secondo voto, parlo invece di una cosa più cogente: nello zen non c’è verità
assoluta, né adorazione di alcunché né di alcuno.
Ognuno è maestro a se stesso, la ritualità è ridotta al minimo, però alcune cose sono importanti.
✓ Tra queste il silenzio: il silenzio è lo sfondo da cui nascono idee e parole ma anche intuizioni;
✓ Il silenzio è lo sfondo per l’irruzione dell’assoluto, precondizione al vuoto che cerchiamo di creare in
noi e’ la condizione per cogliere la nostra vera natura.
✓ Quindi nello zendo silenzio per permettere a tutti di esserci come uomo o donna originali.
Latina, 13 febbraio 2014
✓ Riprendiamo il 2° voto (bonno mujin etc…) abbiamo detto: estirpare tutte le brame ma forse meglio
dire: acquietamento di tutte le brame! Le brame non sono un dente!!
L’origine della sofferenza sta proprio negli attaccamenti a se stessi e alle cose e persone che ci
circondano, originati dalla mente discriminante e “dominante”.
✓ Si dice: distacco.
✓ Distacco come allontanamento o fuga?
✓ Vero il contrario: distacco come osservazione delle emozioni e degli eventi positivi o negativi che
viviamo, propedeutico e al tempo stesso contemporaneo alla nostra totale integrazione con questi
stessi eventi.
✓ Non dualità! Essere dolore, proprio e degli altri, riduce la sofferenza!!
Viene proposta nel Buddhismo la via di mezzo cioè i giusti comportamenti dell’ottuplice sentiero:
retta visione, retto pensiero, rette parole, retta azione, retta sussistenza, retto sforzo, retta
concentrazione, retta meditazione.
✓ Comportamenti che possono sicuramente aiutare ma l’ottuplice sentiero ha un senso solo se sono
comportamenti spontanei che sgorgano dalla consapevolezza dell’impermanente.
La semplicità e l’essenzialità come basi per l’acquietamento delle brame.
Latina, 20 febbraio 2014
✓ Due voti insieme: comprendere tutte le leggi e realizzare l’illuminazione.
Chiamiamola il “satori” che sa meno di lampadina a basso consumo.
✓ Ma che cosa è? È l’indicibile ma pure tentiamo di dirlo. E’ estasi? È senso di unità col mondo? È
comprensione profonda dell’assoluto (natura di Buddha) che siamo noi? È senso della realtà?
✓ È questo ma è anche altro appunto indicibile e per questo pratichiamo.
4! | P a g e
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In realtà siamo già tutti illuminati dobbiamo solo scoprire la nostra natura di Buddha (il vero uomo o
vera donna che è in noi), quella universale, eliminando tutte le scorze che si sono accumulate nel
tempo.
Il fatto che siamo qui con questo desiderio dimostra che il più è fatto.
Sapere che il nostro desiderio di illuminazione non è solo per noi ma per il mondo intero (ricordare:
salvare tutti gli esseri).
Quando sono illuminato è illuminato il mondo intero.
Questo è il nirvana! non dopo la morte ma adesso in questa vita!
Ma si deve tornare poi alla realtà: i Koan sono lo strumento per fermare la mente e dare risposte
intuitive, risposte “illuminate”.
Al tempo stesso sono strumenti per affinare le nostre capacità di applicare la consapevolezza
assoluta al contingente reale.
Entrare e uscire a piacimento dall’assoluto e dal relativo!
Diventare Bodhisattva!
Latina, 27 febbraio 2014
✓ Già ma alla illuminazione come ci si arriva?
I soliti paradossi zen: fare Zazen, fare Zazen e contemporaneamente sapere che non serve per
ottenere il Satori.
La nostra è la scuola della illuminazione improvvisa (es. il braccio tagliato, la bastonata, il fruscio
delle foglie, etc. ); il satori non è riservato a chi pratica perché tutti abbiamo la natura di Buddha e
possiamo scoprirla nei modi più impensati.
Sicuramente, più ci si sforza di raggiungerlo e meno lo si raggiunge; sicuramente, scuola della
trasmissione al di fuori della parola e delle scritture.
A che serve il Sangha? A che serve il maestro? A che serve zazen?
Banalmente l’unione (il sangha) fa la forza e il maestro è uno che ha fatto già l’esperienza del
percorso dei koan. Non è un guru in contatto con equivoche realtà trascendenti!
Zazen e le sue negazioni: per dire che neanche a zazen ( e nemmeno all’idea del satori!) ci si deve
attaccare!
Latina 6 marzo 2014
✓ Avere il desiderio di satori è già una scelta. Ma scelta implica libertà.
✓ Si sceglie una vita non dominata dagli istinti ma al tempo stesso piena di spontaneità; più libertà,
però, implica più responsabilità.
✓ Che vuol dire nello zen? Che si è responsabili di sé stessi e del mondo contemporaneamente.
Siamo noi stessi il mondo, quindi non c’è motivo per incolpare gli altri delle nostre “sfortune”, né di
giudicare gli altri né di prendersela con la realtà con atteggiamento “vittimista”.
Camminare nel mondo liberi e leggeri padroni di noi stessi!
Latina 13 marzo 2014
✓ Essere soli. Bastare a se stessi
Cerchiamo nella nostra vita di essere capiti, riconosciuti, stimati, amati;
✓ Senza questi riconoscimenti è facile che i livelli di autostima si abbassino. Domina il senso di
inadeguatezza.
✓ Eppure a ben guardare siamo sempre soli: malattie, morte, scelte fondamentali le dobbiamo
affrontare con le nostre forze e nessuno può aiutarci.
✓ Certo i riconoscimenti dati e avuti aiutano ma bisogna anche sapere accettare l’altro lato della
medaglia: la solitudine, l’abbandono, l’essere dimenticati e sconfitti.
Come comportarci? Imparare a bastare a se stessi. (DAITO KOKUSHI: basterà che uno solo di voi
cucinando radici di erbe selvatiche con una pentola dalle gambe rotte…); non avere aspettative,
condurre una vita di completa autonomia e al tempo stesso di grande dedizione!
Latina 20 marzo 2014
5! | P a g e
✓ Entrare e uscire a piacimento dall’assoluto al relativo e viceversa. Nello zen e nel buddismo si parla
spesso di assoluto e relativo: assoluto a-temporale, a-spaziale, vuoto, non regolato dalla legge di
causa ed effetto Relativo pieno di dharma (con la d minuscola: oggetti tra cui noi), impermanenti,
privi di sostanzialità propria, soggetti alla infinita catena di causa ed effetto.
✓ Non sono due cose distinte, non c’è dualità.
✓ Diciamo due facce della stessa moneta.Moneta a disposizione di tutti, senza segreti o esoterismi!
✓ Quale comportamento avere? Sapere quando ci si deve relazionare nell’assoluto e quando nel
relativo.
✓ Quando si fa meditazione si è alla ricerca dell’assoluto, usciti di qui bisogna sapersi confrontare con
il relativo.
✓ I koan!
E forse potremo entrare e uscire a nostro piacimento dal relativo all’assoluto e viceversa!
Latina 27 marzo 2014: i tre gioielli
✓ I tre gioielli sono: il budhha il dharma il sangha.
Si dice prendere rifugio nel.. nel..nel..
Quando ci inchiniamo, non lo facciamo ad entità esterne ma ai tre gioielli.
✓ Dove sono? Sbagliamo se li cerchiamo fuori di noi.
✓ Sono le menti erranti (nel senso che vagano e che sbagliano) che cercano in modo inconcludente
all’esterno la natura di buddha che è l’uomo originale in noi.
✓ Il Dharma (insostanzialità e impermanenza), il sangha, sono tutti dentro di noi (anzi noi siamo loro).
Dunque dirigiamo le nostre ricerche nella giusta direzione e non facciamo idoli.
Latina 3 aprile 2014: l’adorazione
✓ In tutte le religioni una parte delle energie viene posta in attività di adorazione; è possibile perché si
ritiene esserci qualcuno che ha in mano il nostro destino e in qualche modo bisogna ingraziarselo.
✓ I rituali sono la standardizzazione dell’adorazione; pare che l’uomo abbia bisogno di adorare sia per
delegare il proprio destino sia per protezione.
✓ Nella nostra pratica non c’è adorazione perché non c’è nessuno da adorare: il destino è nelle nostre
mani, l’assoluto siamo noi.
✓ Ciò non toglie che “al di là della pratica” si possa riporre fiducia in entità trascendenti. Il buddhismo
non nega né afferma alcuna verità!! Molti cristiani sono roshi. E’ però fondamentale non creare idoli,
né fuori né dentro di noi!!
Latina 10 aprile 2014: l’assoluto personale e non
✓ Si dice che lo zen sia difficile da accettare perchè ammette un assoluto non personale e non
progettuale
✓ E certo i progetti fuori dall’uomo e la protezione paterna garantita dal Dio di Abramo non hanno
molto spazio almeno da noi, perchè in oriente la religione popolare chiede aiuto e cacciata degli
spiriti cattivi! Nello zen non c’è spazio per una storia di redenzione dell’umanità. Il Buddha su
questo non si è pronunciato mai.
Eppure a ben vedere progetto e assoluto individuale ci sono eccome: cosa c’è di più individuale
della natura di buddha che è in noi? E non siamo forse noi ad essere padroni della nostra vita e
del nostro mondo per fare infiniti progetti? Proprio per questo il nostro è un compito delicato
che va svolto con grande concentrazione e responsabilità!
Latina 16 aprile 2014: reincarnazione
✓
✓
✓
✓
L’origine induista del buddismo ha portato con sé credenze varie;
Sono presenti soprattutto nell’hinayana e nel buddismo tibetano.
Tutti avete presente il libro tibetano dei morti con l’assistenza al trapasso dell’anima;
E’ nota la ricerca dei reincarnati nella tradizione vajnaiana. E lo zen che dice? Il passato non c’è più,
il futuro non c’è ancora. Esiste solo il presente. Per questo non ha senso sperare in un mondo
migliore o temere un mondo peggiore. Dunque non preoccupiamoci in quale animale e se saremo
reincarnati. Viviamo invece il presente che può essere il nostro inferno o il nostro nirvana
6! | P a g e
Latina 24 aprile 2014: “essere lievi”
Quali caratteristiche può avere l’uomo o la donna dello zen?
L’ottuplice sentiero è certamente un riferimento per i comportamenti ma una caratteristica non citata
ma pure di grande importanza è: “essere lievi”.
Essere lievi non ha nulla a che fare con la superficialità, profondità di cuore e leggerezza possono
benissimo stare insieme e permettono di non pesare sugli altri. Essere lievi significa non lamentarsi,
non caricare il prossimo dei nostri problemi vivere in autonomia e libertà.
Dunque muoviamoci su questa strada e staremo meglio!
Latina 8 maggio 2014: i ruoli nella vita
Tutti noi scegliamo delle attività:
✓ lavorative
✓ in famiglia
✓ nella società
che ci permettono di vivere riconoscendoci in esse. Purtroppo esse pian piano si impadroniscono di
noi. Senza quei ruoli che ci garantiscono gratificazione ci sentiamo persi. E’ il motivo per cui tanti
anziani vanno in depressione al momento della pensione.
Quale rimedio? Essere nei ruoli che ci siamo prescelti sapendo che non sono eterni. Vivere anche
senza di essi. Non usarli per gongolare delle nostre capacità o fortune!
E saremo liberi!!
Latina 29 maggio 2014: i benefici
La domanda che fanno tutti : “a che serve?”. Oppure “da quando pratichi stai meglio?”. Si
avvicinano persone con problemi psicologici.
Per loro c’è lo psicoterapeuta, non lo zazen. Vanno via spontaneamente dopo le prime volte. C’è
un’idea new age dello zen che non corrisponde al vero.
La nostra è la ricerca di svelamento del mondo, cioè di noi stessi.
Può essere utile? Certo aumenta la nostra consapevolezza. Ci fa essere “altro”.
Ma non ci sono “miracoli”, né misteriose “energie”, le buone fortune le facciamo solo noi con il
nostro agire!!
Latina 05 giugno 2014
Il mondo sembra peggiorare giorno dopo giorno: amici fratelli genitori o figli ci lasciano
inaspettatamente. Guerra torture sofferenza.
La domanda è “ma che ci siamo venuti a fare in questo mondo?”. La miglior risposta è quella del
maestro Taino: Siamo attori in una grande rappresentazione teatrale.
Perché e per come chi lo sa? Ma quello che conta è recitare bene, con concentrazione. Essere la
nostra vera natura senza infingimenti. Così forse soffriremo un po’ meno!!
Latina 4 settembre 2014: i suoni e il silenzio
Sentiamo suoni e rumori in circostanze particolari, più nitidi e definiti. Il rumore dei sassi in
montagna, della prua della barca che rompe l’acqua del mare. Anche nello zen: il kaian, i taku,
l’inkin e dalle persone il grido di Linchi o il Mu, tutti questi suoni emergono più chiari dal silenzio
che c’è intorno.
7! | P a g e
Silenzio del mare, della montagna, dello zendo, suono e silenzio si confondono fino ad essere la
stessa cosa. Come vuoto e pieno, l’uno è la manifestazione dell’altro. Cerchiamo di creare momenti
giornalieri di silenzio, facendo zazen e scopriremo il vuoto
ZEN E ILLUMINAZIONE IMPROVVISA
Lo zen è la via dell’illuminazione improvvisa. Huineng ebbe il satori sentendo recitare il sutra del
diamante; situazioni che portano al limite fisico e psichico possono aiutare. Le sesshin non a caso
prevedono periodi di sonno brevi.
L’attesa fuori dal monastero per essere ammessi poteva durare giorni interi
E cosa dire del braccio tagliato o del dito dell’allievo di Gutei?
E questo va bene per il satori.
I koan aiuteranno a portare il satori nella quotidianità. Ma comportamentalmente la via per vivere
“senza verità” è la via di mezzo,
l’ottuplice sentiero la delucida bene. In futuro quest’anno la commenteremo!
Intanto cerchiamo di attenerci ad essa.
Latina 2 ottobre 2014: La semplicità
Tutti si complicano la vita. Il Kozen Daito esemplifica bene un modo parco di vivere, fisicamente.
Ma la semplicità va praticata anche a livello di elaborazione mentale! Il buddismo è la pratica del
togliere gli orpelli del nostro pensiero, non dell’aggiungere e complicare. In questo la risposta ai
koan è un buon esercizio per portare il satori con la sua immediatezza nella vita quotidiana
Latina 9 ottobre 2014
Sempre nel Kozen Daito c’è una parte, quella degli spiriti del male e un’altra quella del vecchio che
concentrato cucina radici di erbe selvatiche.
La prima è espressione di credo religioso antico e popolare, è la rappresentazione di una religiosità
costituita che si difende usando il bene e il male. La seconda è quella che condividiamo ed è la
pratica di vivere nella natura di buddha.
Anche il buddismo come tale si è sviluppato a partire da una religiosità antica, quella induista, e si è
man mano affrancato dai lacci della superstizione, passando in Cina vicino al taoismo e
istituzionalizzandosi poi nella forma dello zen che conosciamo in Giappone.
La nostra scuola, pur legata ad un lignaggio preciso e ad una tradizione, ha fatto un ulteriore passo
avanti verso l’universalizzazione, de-orientalizzandosi e non ponendosi come obiettivo la propria
istituzionalizzazione. Su questa base noi pratichiamo e insegniamo, convinti che il nostro compito
sia accompagnare i praticanti verso il satori, piuttosto che costruire riti e adorazioni.
Latina 16 ottobre 2014: Opere d’arte
Spesso abbiamo detto che silenzio e vuoto sono il terreno retrostante il satori.
Tuttavia anche certe manifestazioni del relativo hanno la stessa capacità di unirci nell’assoluto.
Le opere d’arte, siano musica pittura o architettura fanno parte di questa categoria.
Possono considerarsi irruzioni dell’assoluto e per questo ci fanno sentire in uno con esse.
E’ quello che si dice il “kensho” che non è l’illuminazione ma ne è una traccia, così come nei 10 tori
sono tracce quelle che portano il pastore al suo bue.
Come buddhisti cosa dire? Che anche delle nostre vite dobbiamo fare delle opere d’arte. Non future
o passate ma esattamente in questo momento, qui ed ora essere opera d’arte.
Allora cammineremo liberi e impeccabili nel mondo!
Latina 23 ottobre 2014: Le verità
8! | P a g e
Si dice che lo zen e il buddismo siano relativisti. Si dice che “veneriamo” un assoluto senza
progettualità e senza verità. Si dice che siamo senzadio.
Non si tiene conto, in queste critiche, del terreno entro cui il buddismo si autolimita. Che è il vissuto
di ognuno di noi, quello concreto qui ed ora.
Al di fuori di questi limiti ognuno può immaginarsi ciò che gli pare ma la nostra pratica si occupa
del fisico non del metafisico.
E in ogni caso anche nell’ambito del nostro vissuto progettualità e verità esistono anche per noi.
Sono i progetti e le verità che derivano dalle nostre scelte quotidiane.
Esse quindi non sono solo relative ma anche assolute.
Per questo dobbiamo stare attenti e concentrati. Ogni nostro errore è un errore del relativo ma anche
dell’assoluto!
Latina 30 ottobre 14: le quattro nobili verità
Recitiamo la prajna paramita dentro cui c’è il riferimento alla non esistenza delle 4 verità. Esse sono:
sofferenza, causa della sofferenza, distruzione della sofferenza, ottuplice sentiero.
Per capire il perché della negazione dobbiamo tornare alla storia del buddismo.
Come sappiamo Siddharta citò la sofferenza come causa prima del malessere umano, identificò negli
attaccamenti (dovuti all’ignoranza) la causa della sofferenza, spiegò la possibilità di distruggere
questa sofferenza, espresse nell’ottuplice sentiero la “via di mezzo” che avrebbe portato al suo
superamento. E’ la via graduale all’illuminazione.
Dopo 800 anni Bodhidarma portò queste idee in Cina, dove il buddhismo entrò in contatto con il
taoismo. Con Huineng, nostro sesto patriarca, maturò la scintilla che avrebbe trasformato il
buddhismo gradualistico nel chan della illuminazione improvvisa.
Ebbe il satori da ragazzino analfabeta sentendo un artigiano che recitava il sutra del diamante!
Con il che cambiò la sua vita e diciamo anche le nostre!
La scoperta della nostra natura originale, assoluta, essere del mondo senza alcuno strumento
conoscitivo!
Alla luce di questo come interpretare l’ottuplice sentiero e la sua negazione?
Praticare la via di mezzo è certo sempre utile ma può diventare una costrizione, una armatura
pesante che ci mettiamo addosso se ci sforziamo di seguirla con la volontà e il raziocinio
Al contrario diventa spontanea e libera pratica di vita se si manifesta come corollario della
consapevolezza della nostra natura originale!
Dunque due strade apparentemente distanti? Capiamo meglio.
Possiamo paragonarle alle nostre attività durante lo zazen: si fa zazen e mentre respiriamo rettamente
concentrati siamo completamente liberi ma al tempo stesso come suona l’inkin ecco che all’unisono
ci inchiniamo e ci alziamo per fare kin-in, significa forse per questo che all’improvviso da liberi ci
trasformiamo in schiavi? Esattamente il contrario: significa che siamo capaci di passare liberamente
dall’assoluto al relativo e viceversa, consapevoli che l’uno e l’altro sono la stessa cosa!!
Alla luce di tutto ciò commenteremo dalle prossime volte la via di mezzo
Latina 13 novembre 2014: il perdono
-durante l’incontro con un gruppo di dialogo interreligioso mi è stato chiesto come vediamo il perdono
-nel buddismo in assoluto il perdono non c’è perchè esso prevede una persona che chiede il perdono e
una che perdona : dualità non compatibile con la nostra visione dell’unità
▪
a livello di perdono di Dio o dei peccati, a noi mancano sia l’uno che gli altri.
▪
Nel buddismo non si concepisce né un dio trascendente nei cui confronti siamo tutti peccatori, né
dei peccati intesi come “fare il male”,poichè i comportamenti sono ricondotti alla quantità di
attaccamento.
9! | P a g e
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D’altronde chiedere perdono dopo aver compiuto una azione sbagliata nei confronti di qualcuno è
un ulteriore ricatto : “se non mi perdoni sei cattivo”
▪
ed è un ricatto anche pretendere che qualcuno chieda perdono :”una specie di vendetta a posteriori!”
▪
come buddisti cosa dire? Che per noi non c’è un io ferito
▪
se subiamo un torto l’atteggiamento è quello di lasciar andare, senza rancore
▪
prendendo atto che siamo tutti sottoposti a questa eterna catena di cause ed effetti
▪
se, senza o con intenzione, il torto lo facciamo, prenderne atto e partecipare a chi l’ha subito che
cercheremo di evitare in futuro, assumendoci tutte le responsabilità delle conseguenze!
Latina 20 Novembre 2014: Retta visione
▪
E’ la prima rettitudine e comprende in realtà tutte le altre
▪
vedere l’impermanenza e la coproduzione condizionata come causa della sofferenza
▪
capire che l’ignoranza e gli attaccamenti sono alla base della sofferenza
▪
cogliere l’unità del tutto
▪
La mente come illusione, matrice di tutte le illusioni
▪
Avere una mente non attaccata
▪
anche la elaborazione personale della retta visione varia nel tempo
▪
In una prima fase è soggetta alla volontà
▪
man mano che aumentala nostra consapevolezza nasce e si sviluppa “senza sforzo”
▪ dunque zazen
Ma c’è anche un altro modo di vedere la retta visione: guardare con occhi di bambino
Non vuol dire essere ingenui o infantili
Vuol dire vivere senza preconcetti. Vedere la realtà così com’è senza sovrastrutture create a priori dai
nostri giudizi
Esortazione:
della retta visione fa parte il non pregiudizio.
Stare di fronte alla realtà senza preconcetti.
Avere la mente libera e sgombra
Evitare comunque di giudicare i comportamenti altrui
Essere pronti a cogliere i messaggi che ci invia la realtà e non interpretarli con le nostre chiavi spesso
persecutorie.
Come fare? Pensiero semplice e diretto
Pronti a rimettersi sempre in discussione.
Cogliere nelle affermazioni degli interlocutori il loro punto di vista
Evitare razzismo
Latina 27 Novembre 2014: Retta intenzione
▪
complementare alla retta visione
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10
▪
è la matrice delle successive retta azione, retta parola, retto forzo e retta sussistenza
▪
è pensiero compassionevole
▪
e qui ritorna l’idea di una volontà che per noi non c’è o meglio non è la matrice dei nostri progressi
spirituali
▪
non è con la volontà né con la ricerca che sviluppiamo retta intenzione o satori!
▪
È con la nostra vita così com’è, dove noi e la vita siamo la stessa cosa che possiamo realizzare il
nostro vero volto.
▪
E’ da questa realizzazione che scaturisce la retta intenzione
▪
Più si cerca il satori meno lo si trova
▪
Più si trattiene e ci si sforza, più si è schiavi
▪
più si “lascia andare” e più si è liberi
▪
La retta intenzione ora è qui nello zazen, nell’attenzione al nostro respiro, nel mu.
▪
Dunque facciamolo con attenzione e concentrazione e tutto verrà di conseguenza
Latina 4 dicembre 2014, Retto sforzo, retta concentrazione e retta meditazione
siamo abituati ad un modo occidentale di considerare lo sforzo
fisico o mentale ma sempre per raggiungere scopi e obiettivi
In tradizioni come quella vipassana viene considerato retto lo sforzo che impedisce l’insorgere di
condizioni negative e favorisce quelle positive
nello zen il retto sforzo non ha scopi ed è assimilabile in qualche modo all’inazione
Il vero retto sforzo insomma è acquietare la mente che si costruisce inesistenti castelli di desideri e
attaccamenti
Il retto sforzo si invera, nella quotidianità nell’attenzione a quello che facciamo.
Essere concentrati e conseguenti, quindi.
Il retto sforzo si invera nella quotidianità nel far vivere la meditazione ( lo zazen) in ogni cosa che
facciamo, non solo nel chiuso di questo zendo!
Latina 18 dicembre 2014, Doni e regali
-arriva Natale e nelle nostre tradizioni si fanno e si attendono regali
-bene, è fondamentalmente un modo per dimostrare affetto ed interesse
-anche se talvolta viene fato oppotunisticamente
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dal punto di vista buddhista c’è però qualcosa in più
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11
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c’è per noi il donare come generosità
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dunque non donare il sovrappiù ma donare parte di noi
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non necessariamente fisica, anche se c’è chi ha donato la vita (Salvo D’acquisto è un esempio)
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può riguardare il noi che è negli oggetti che usiamo quotidianamente.
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Nel denaro che riceviamo come compenso
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E qual’è il vantaggio buddisticamente parlando?
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Ci permette di essere capaci di ridurre i nostri attaccamenti!
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Dunque in queste festività pratichiamo il dono da questo punto di vista
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e tutto avrà più valore
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