Farmaci che agiscono sui recettori dell’acetilcolina I farmaci che agiscono sui recettori dell’acetilcolina si suddividono in quelli che agiscono sul recettore ionotropico nicotinico, e quelli che agiscono sul recettore metabotropo muscarinico. I farmaci che agiscono sul recettore nicotinico si suddividono in: a) Bloccanti della placca neuromuscolare; b) Farmaci stimolanti gangliari; c) Farmaci bloccanti gangliari; d) Farmaci anticolinesterasici. I farmaci che agiscono sul recettore muscarinico si suddividono in: a) Farmaci agonisti o prarasimpaticosimilisi; b) Farmaci antagonisti o parasimpaticolitici. BLOCCANTI DELLA PLACCA NEUROMUSCOLARE Il principale uso clinico dei bloccanti neuromuscolari consiste nell’indurre il rilasciamento della muscolatura striata come adiuvante dell’anestesia chirurgica. Il farmaco va scelto in base alle sue caratteristiche farmacocinetiche, con riferimento alla durata dell’intervento chirurgico e farmacodinamiche, per minimizzare gli effetti collaterali. Da un punto di vista funzionale è possibile dividere tali farmaci in: a) Bloccanti competitivi, tra cui citiamo la tubocuranina; b) Bloccanti depolarizzanti, tra cui citiamo il decametonio. Bloccanti competitivi Per quanto riguarda i bloccanti competitivi, è possibile suddividerli in due principali classi chimiche: a) Benzilisochinoline; b) Ammonio-steroidi. I singoli farmaci differiscono per proprietà farmaco cinetiche, tempo di insorgenza dell’effetto, durata clinica dell’effetto, e via di eliminazione. CARATTERISTICHE FARMACOCINETICHE: Le caratteristiche farmacocinetiche di tali composti sono: a) Sono somministrabili i.m. o i.v; b) Presentano uno scarso assorbimento per os; c) Non attraversano la barriera emato-encefalica (BBB), quindi non hanno effetti sul SNC; d) Gli ammonio-steroidi sono idrolizzati nel fegato ed eliminati per ultrafiltrazione renale; e) Le benzilisochinoline sono metabolizzate dalle butirrilcolinesterasi epatiche e plasmatiche. Nei soggetti con insufficienza renale è indicato il mivacurio, poiché viene maggiormente metabolizzato dal fegato e a livello plasmatico. EFFETTI FARMACOLOGICI: Gli effetti farmacologici di tali farmaci sono appunto dovuti al blocco del recettore nicotinico, soprattutto a livello della giunzione neuro-muscolare. Gli effetti farmacologici dei bloccanti neuromuscolari sono: a) Paralisi flaccida dei muscoli scheletrici, dapprima quelli a movimenti più rapidi e precisi, quindi muscoli dell’occhio, laringe, mascella, seguono poi i muscoli degli arti ed infine il diaframma e i muscoli intercostali. Il recupero funzionale avviene con ordine inverso; b) Si ha un parziale blocco dei gangli, questo perché anche a livello della sinapsi colinergica tra neurone pre e postgangliare del sistema nervoso autonomo sono presenti recettori nicotinici; c) Effetti parasimpaticolitici, che inducono tachicardia per inibizione del tono vagale sul cuore, ciò avviene soprattutto con la somministrazione di pancuronio; d) Solo le benzilisochinoline inducono il rilascio di istamina dai mastociti. INTERAZIONI FARMACOLOGICHE: Molto importanti sono le interazioni farmacologiche con gli anestetici locali, gli anestetici gassosi, gli amino glicosidi, le tetracicline, i bloccanti dei canali del calcio. Tutti questi farmaci, con meccanismi diversi, potenziano il blocco muscolare dei curarici. EFFETTI TOSSICI DEI BLOCCANTI COMPETITIVI: paralisi respiratoria, collasso cardiocircolatorio, effetti da rilascio di istamina (arrossamenti cutanei, broncospasmo, tachicardia), possibilità di reazioni allergiche crociate tra bloccanti neuromuscolari. INDICAZIONI CLINICHE: il principale uso clinico dei bloccanti neuromuscolari è il mio rilassamento, come adiuvante dell’anestesia chirurgica; frequente utilizzazione in ortopedia per correggere lussazioni o per allineare e ridurre fratture; i farmaci a breve durata di azione sono utilizzati per facilitare l’intubazione tracheale, laringoscopie, broncoscopie, esofago scopie. Questi farmaci vanno somministrati solo in ospedale da personale specializzato ed in presenza di opportune misure di rianimazione cardiovascolare e respiratoria. Rassegna dei composti principali Benzilisochinoline, assenza di attività vagolitica, ma presentano il rischio di rilascio di istamina: - Tubocuranina, non è in grado di attraversare la BEE; Ammonio-steroidi: - Pancuronio, non causa il rilascio di istamina, ma blocca i recettori muscarinici; - Vecuronio, rapidamente metabolizzato dal fegato; - Rocuronio, durata di azione intermedia, effetto immediato, viene utilizzato in anestesia al posto della succinilcolina, rapidamente metabolizzato dal fegato; - Atracurio, immediatamente metabolizzato dalle esterasi plasmatiche ed è indicato nei pazienti con insufficienza renale; - Mivacurio, breve durata di azione perché molto sensibile all’azione delle esterasi. Bloccanti depolarizzanti Sussametonio o succinilcolina, curarico depolarizzante a breve durata di azione (da 1-2 fino 5-8 minuti) è l’unica ad essere utilizzata in clinica, ma non è indicata nei bambini con età inferiore agli 8 anni. EFFETTI FARMACOLOGICI: Tale categoria di farmaci induce: a) Una depolarizzazione prolungata della placca neuromuscolare, segue un’intensa stimolazione con fascicolazioni e paralisi flaccida; b) Effetti parasimpatico simili, per la presenza del recettore nicotinico anche in altre sedi; c) Inducono una depolarizzazione prolungata, con massivo rilascio di ioni potassio dai depositi intracellulari e conseguente iperkaliemia (l’iperkaliemia è tossica per il cuore); d) Rilascio di istamina dai mastociti. EFFETTI TOSSICI: Paralisi respiratoria in soggetti con bassi livelli di butirrilcolinesterasi o con colinesterasi atipiche, effetti da stimolazione del parasimpatico (aritmie, arresto cardiaco, spasmi gastrointestinali, scialorrea), effetti da rilascio di istamina, mialgie da fascicolazioni, iperpotassiemia quindi da utilizzare con molta cautela nei pazienti in trattamento con digitale o diuretici ed in pazienti con lesioni dei tessuti molli, ipertermia maligna (in associazione con anestetici generali) dovuta ad eccessivo rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico (viene utilizzato il dantrolene come bloccante del rilascio di calcio).. CONTROINDICAZIONI: Anamnesi familiare positiva di ipertermia maligna, scompenso cardiaco trattato con digitali e diuretici, traumi ed ustioni gravi (dovuto all’eccessiva liberazione di potassio indotta dal danno tissutale), malattie neurologiche. USI CLINICI: Sono simili a quelli dei curarici competitivi a breve durata di azione. FARMACI AD AZIONE SUI GANGLI I farmaci di questa categoria si dividono in: a) Farmaci stimolanti gangliari, di cui la nicotina; b) Farmaci bloccanti gangliari, di cui esametonio (blocco fisico del canale ionico dopo la sua apertura), trimetafano (competizione per i siti recettoriali per l’acetilcolina), mecamilamina; Farmaci stimolanti gangliari La nicotina, un alcaloide, e composti derivanti da essa sono in grado di stimolare i recettori nicotinici gangliari. Tuttavia la nicotina ha un risvolto clinico non tanto per le sue azioni curative ma tanto più per la dipendenza che essa induce nei soggetti che consumano tabacco. La nicotina presenta effetti duplici: a basse dosi stimola i recettori nicotinici, mentre a dosi maggiori inibisce la trasmissione, molto probabilmente per insorgenza di desensitizzazione recettoriale. Viene utilizzata, in forma di cerotti e gomme, per mantenere costanti i livelli plasmatici di nicotina in soggetti fumatori che intendono smettere. Farmaci bloccanti gangliari I farmaci bloccanti gangliari di maggiore utilizzo clinico sono: - Trimetafano; - Mecamilamina, può essere poco assorbita a livello intestinale, determinando ileo paralitico, viene escreta lentamente in forma immodificata; - Esametonio. USI CLINICI DEI BLOCCANTI GANGLIARI: Tali composti sono utilizzati nell’induzione dell’ipotensione controllata in chirurgia e nel controllo della pressione arteriosa nei pazienti con aneurisma aortico disseccante acuto, in cui sono controindicati i β-bloccanti. EFFETTI INDESIDERATI: Gli effetti indesiderati sono dovuti alla inibizione della trasmissione gangliare, con perdita del normale tono sia del simpatico che del parasimpatico. Tra questi vi sono: ipotensione posturale; tachicardia riflessa (cadendo la pressione arteriosa aumenta la frequenza cardiaca, anche perché a livello cardiaco è presente un tono parasimpatico costante, quindi venendo a mancare la frequenza aumenta); stipsi; ritenzione urinaria; depressione respiratoria. USI CLINICI: Venivano utilizzati per il trattamento dell’ipertensione. FARMACI ANTICOLINESTERASICI I farmaci anticolinesterasici bloccano la degradazione dell’acetilcolina, favorendo la permanenza del neuro mediatore a livello recettoriale. Questa classe di farmaci si suddivide in: a) Inibitori reversibili o non covalenti, alcalodi derivati dalla fava del Calabar, seme maturo della Physostigma venenosum e derivati a struttura carbamica; b) Inibitori irreversibili, tra cui i composti organofosforici, di scarso impiego clinico. I composti a struttura carbamica funzionano da substrati alternativi portando alla formazione di enzima carbamilato reagendo con la serina 203. L’enzima carbamilato è più stabile rispetto all’enzima acetilato. Al contrario, i composti organo fosforici portano alla formazione di serina fosforilata o fosfonata che è estremamente stabile. EFFETTI FARMACOLOGICI: Sono dovuti all’accumulo del neurotrasmettitore a livello delle sinapsi, e comprendono: a) Stimolazione dei recettori muscarinici in organi effettori autonomi; b) Stimolazione seguita da paralisi dei gangli autonomi e dei muscoli scheletrici; c) Stimolazione seguita da depressione delle sinapsi colinergiche a livello del SNC (composti liposolubili). Quindi gli effetti dipenderanno dall’organo o dall’apparato: a) Occhio: miosi per contrazione del muscolo sfintere della pupilla, blocco dell’accomodazione per contrazione del muscolo ciliare, diminuzione della pressione intraoculare; b) Tratto gastrointestinale: aumento della contrazione gastrica e della peristalsi intestinale, aumento della secrezione acida; c) Giunzione neuromuscolare: accumulo di acetilcolina, con conseguente depolarizzazione della membrana post-sinaptica e paralisi flaccida; d) Ghiandole esocrine: aumento della secrezione; e) Apparato cardiovascolare: bradicardia con riduzione della gittata cardiaca, ipotensione; f) Apparato respiratorio: contrazione dei muscoli bronchiali, aumento della secrezione di muco. Ciò insieme alla depressione cardiaca determina ipossiemia e bassa perfusione a livello del SNC, con successiva depressione. USI CLINICI: Vengono innanzitutto utilizzati per il trattamento della miastenia gravis ( una patologia autoimmune che comporta la riduzione del numero dei recettori nicotinici a livello della placca neuromuscolare). La terapia prevede neostigmina, piridostigmina e distigmina (in associazione con antimuscarinico per limitare gli effetti collaterali). L’edrofonio viene utilizzato solo per la diagnosi poiché viene metabolizzato rapidamente. Ciò permette anche di discriminare tra varie patologie che presentano lo stesso quadro clinico. La dose va trovata per tentativi, iniziando con dosi di neostigmina di 7,5-15 mg per os e piridostigmina 30-60 mg per os. Se la risposta muscolare è insufficiente si aumento le dosi del 50% fino a trovare quella che soddisfi le richieste di una risposta ottimale. Questi farmaci sono utilizzati anche per altre patologie: glaucoma (farmaco non di prima scelta); ileo paralitico (neostigmina); atonia della vescica urinaria (neostigmina); antagonismo dei bloccanti neuromuscolari (neostigmina). La malattia di Alzheimer è caratterizzata dalla perdita progressiva di neuroni colinergici centrali, quindi la somministrazione di anticolinesterasici tenderebbe a rallentare la degenerazione cognitiva. Sono utilizzati composti liposolubili, in grado di attraversare la BBB: donepezil, rivastigmina, galantamina (gli effetti collaterali sono dovuti all’eccessiva stimolazione muscarinica). Rassegna dei composti principali Inibitori reversibili o non covalenti: 1) Edrofonio, si lega al sito dell’Ach, presenta una breve durata di azione, e viene rapidamente eliminato dal rene, utilizzato per la diagnosi di miastenia gravis; 2) Tacrina, si lega al sito dell’Ach, ha un’emivita più lunga, è più idrofobico e attraversa la BEB; 3) Donepezil, ha un’emivita più lunga, è più idrofobico e attraversa la BEE, utilizzato nel morbo di Alzheimer; 4) Propidium. Composti a struttura carbamica, presentano elevata solubilità nei lipidi, attraversano la BEE, utilizzati nel trattamento del m. di Parkinson: 1) Fisostigmina, è idrolizzata dall’AchE più lentamente con formazione dell’enzima carbamilato, facilmente assorbita dal tratto GI, tessuti sottocutanei e mucose, viene utilizzata per il trattamento dell’intossicazione da farmaci anticolinergici (2 mg e.v.); 2) Neostigmina, è idrolizzata dall’AchE più lentamente con formazione dell’enzima carbamilato, scarsamente assorbibile per os, viene utilizzata per il trattamento dell’ileo paralitico e atonia della vescica urinariai (15-30 mg), utilizzata per la terapia della miastenia gravis (7,5-15 mg, 2-4 h); 3) Piridostigmina, scarsamente assorbibile per os, utilizzata per la terapia della miastenia gravis (3060 mg, 3-6 h); 4) Ambenonio: viene utilizzato nella terapia della miastenia gravis (2,5-5 mg, 3-8 h); 5) Rivastigmina, attraversa la BEE, utilizzata nel m. di Alzheimer; 6) Galantamina, utilizzata nel m. di Alzheimer; 7) Tacrina, utilizzata nel m. di Alzheimer, presenta epatotossicità; Composti organofosforici: 1) Diisopropil-fluorofosfato (DFP), formazione dell’enzima con serina fosforilata o fosfonata, tale forma è molto più stabile, occorre più tempo per ripristinare le normali funzioni dovuto alla sintesi di nuovo enzima; i composti di questa classe devono essere attivati a livello epatico. FARMACI CHE AGISCONO SUL RECETTORE MUSCARINICO I farmaci che agiscono sul recettore muscarinico si suddividono in: a) Farmaci agonisti o parasimpaticosimili; b) Farmaci antagonisti o parasimpaticolitici. Farmaci agonisti (parasimpaticosimili) I farmaci parasimpatico simili riproducono le azioni dell’acetilcolina a livello della muscolatura liscia, muscolatura cardiaca, ghiandole esocrine. In natura alcuni organismi e piante contengono composti ad azione agonista come l’Areca catechu dalla quale si estrae l’arecolia, e l’Amanita muscaria, un fungo dal quale si estrae la muscarina. Si suddividono in: a) ACh e esteri sintetici della colina: - Betanecolo, completamente resistenti alla degradazione delle colinesterasi, si distribuiscono alle aree con basso flusso; - Carbacolo, completamente resistente alla degradazione delle colinesterasi, è attivo sui recettori nicotinici gangliari; - Metacolina o acetil-β-metilcolina, emivita più lunga data la presenza di un gruppo metilico che ne aumenta la resistenza all’idrolisi ad opera delle colinesterasi; b) Alcaloidi colino mimetici: - Arecolina, maggiore attività sui recettori nicotinici; - Muscarina, maggiore attività sui recettori muscarinici; - Pilocarpina, stimolante la salivazione e agente miotico. EFFETTI FARMACOLOGICI: Gli effetti farmacologici sono dovuti alla stimolazione dei recettori metabotropi muscarinici. Ricordiamo che i recettori M1,3,5 sono accoppiati a proteine Gq, mentre quelli M2,4 sono accoppiati a proteine Gi. Questa precisazione è importante poiché questi composti non presentano una affinità particolare per un sottotipo recettoriale. A livello del sistema cardiovascolare, per la presenza di recettori M2, si avrà: a) Inibizione della formazione di cAMP, con riduzione della velocità di conduzione dei nodi seno atriale ed atrioventricolare (effetto dromo tropo negativo); b) Attivazione dei canali del potassio/ inibizione dei canali del calcio. Ciò determina la riduzione della frequenza cardiaca (effetto cronotropo negativo) e riduzione della forza di contrazione cardiaca (effetto inotropo negativo); c) A livello dell’endotelio, sono presenti i recettori M3, che inducono la formazione di IP3, formazione del complesso calcio-calmodulina, stimolazione della NO-sintasi, con rilascio di NO e vasodilatazione. A livello dell’apparato respiratorio, per la presenza dei recettori M1,3 si ha: a) Stimolazione della muscolatura liscia bronchiale; b) Aumento della secrezione tracheo-bronchiale. A livello dell’apparato GI, per la presenza dei recettori M1,3 si ha: a) Aumento del tono e delle contrazioni della muscolatura liscia; b) Aumento delle secrezioni. A livello del tratto urinario, per la presenza dei recettori M2, 3 si ha: a) Contrazione del muscolo detrusore della vescica; b) Aumento della peristalsi degli ureteri; c) Rilasciamento degli sfinteri. A livello delle ghiandole esocrine, per la presenza dei recettori M3 si ha un aumento delle secrezioni. A livello dell’occhio, data la presenza dei recettori M1, 3 si ha: a) Miosi per contrazione del muscolo sfintere della pupilla; b) Blocco dell’accomodazione per contrazione del muscolo ciliare; c) Diminuizione della pressione intraoculare. USI CLINICI: L’utilizzo di tali composti è limitato data l’insorgenza degli effetti collaterali. Tra tutti si ricorda: - Betanecolo, utile nell’atonia gastrica postoperatoria, nella ritenzione urinaria postpartum e postoperatoria; - Carbacolo, utilizzato per il trattamento del glaucoma; - Pilocarpina, stimolante la salivazione e agente miotico, utilizzato nella xerostomia da terapia radiante testa/collo, xeroftalmia nella sindrome di Sjogren, glaucoma. EFFETTI COLLATERALI: Dovuti all’iperstimolazione del tono parasimpatico: diarrea, sudorazione o diaforesi, miosi, nausea, urgenza urinaria. CONTROINDICAZIONI: Asma bronchiale, insufficienza coronarica, ulcera gastrica, ipertiroidismo, gravidanza e allattamento. Farmaci antagonisti (parasimpaticolitici) Questa classe di farmaci antagonisti dei recettori muscarinici, antagonizzano gli effetti dell’acetilcolina bloccando il suo legame ai recettori muscarinici a livello della muscolatura liscia, della muscolatura cardiaca, delle ghiandole esocrine. Inoltre agiscono anche a livello dei gangli periferici e del SNC. In natura alcune piante producono composti con tale azione come l’Atropa belladonna, dalla quale si estrae l’atropina, e l’Hyoscyamus niger, dal quale si estrae la scopolamina. Da un punto di vista chimico, si suddividono in: a) Alcaloidi; b) Derivati quaternari. Sono farmaci poco selettivi e per questo presentano notevoli effetti tossici. EFFETTI FARMACOLOGICI: Gli effetti di tali composti sono del tutto opposti a quelli dei perasimpaticomimetici. Quindi questi composti determinano: a) Sistema cardiovascolare: tachicardia da blocco vagale, lieve vasodilatazione; b) Sistema respiratorio: inibizione delle secrezioni mucose, della bronco costrizione, prevenzione dello spasmo laringeo in corso di anestesia; c) SNC: allucinazioni (scopolamina soprattutto); d) Gangli e nervi autonomi: inibizione dei potenziali post-sinaptici lenti (pirenzepina), aumento del rilascio di acetilcolina per blocco dei recettori presinaptici; e) Occhio: midriasi e blocco dell’accomodazione; f) Tratto GI: inibizione della motilità e delle secrezioni; g) Tratto urinario: riduzione del tono e delle contrazioni della vescica e degli ureteri, ritenzione urinaria; h) Ghiandole esocrine: riduzione delle secrezioni. USI CLINICI: Sono farmaci poco selettivi e quindi molto tossici. Atropina, scopolamina, dicicloverina, propanteliana sono utilizzati in: - Spasmi della muscolatura liscia GI; - Bradicardia da eccessivo tono vagale in seguito ad infarto del miocardio; - Per ridurre le secrezioni broncopolmonari prima di interventi chirurgici; - Miastenia gravis (in associazione con anticoliesterasici); - Come antidoto negli avvelenamenti da organo fosforici e da funghi contenenti muscarina. Atropina, scopolamina, ciclopentolato, tropicamina sono utilizzati in: - Uso locale per indurre midriasi e cicloplegia. Atropina, scopolamina, benzotropina vengono utilizzati per il trattamento del morbo di Parkinson. La scopolamina viene utilizzata per la prevenzione delle cinetosi (tramite apposizione di cerotto retro- oculare, sulla regione mastoidea). La pirenzepina, selettivo per M1, è un farmaco di seconda scelta per il trattamento dell’ulcera peptica. Tolterodina e trospio sono utilizzati nella pollachiuria e nella incontinenza urinaria. Ipratropio e tiotropio sono utilizzati per aerosol nelle bronchiti croniche ostruttive e come coadiuvanti della terapia dell’asma e nella rinorrea associata a riniti allergiche e non. EFFETTI COLLATERALI: Gli effetti collaterali son molto frequenti poichè i parasimpaticolitici non hanno alta selettività recettoriale e comprendono: secchezza delle fauci, visione offuscata, stipsi, ritenzione urinaria aritmie, tachicardia, allucinazioni. CONTROINDICAZIONI: Miastenia gravis, ostruzione urinaria, colite ulcerosa, atonia gastrointestinale, gravidanza e allattamento. Rassegna dei principali composti Alcaloidi, utilizzati anche nella terapia del Parkinson: - Atropina, presenta effetti collaterali dose dipendenti (0,5-2 mg; 2-10 mg; > 10 mg), è utilizzata negli spasmi della muscolatura liscia GI, bradicardia da eccessivo tono vagale in seguito ad infarto del miocardio, per ridurre le secrezioni broncopolmonari prima di un intervento chirurgico, miastenia gravis (con associazione di anticolinesterasici), come antidoto in avvelenamenti da organo fosforici e da funghi contenenti muscarina, uso locale per indurre midriasi e ciclopegia, M. Parkinson; - Scopolamina, attraversa la BBB, efficace nel prevenire le cinetosi con applicazione di cerotto nella regione mastoidea, uso locale per indurre midriasi e cicloplegia, m. Parkinson; Derivati quaternari: - Ipratropio di bromuro, derivato dell’atropina con ammonio quaternario, utilizzato per aerosol nelle bronchiti croniche ostruttive e coadiuvanti nell’asma bronchiale, rinorrea associata a riniti allergiche e non; - Oxitropio di bromuro, derivato della scopolamina con ammonio quaternario; - Tiotropio di bromuro, broncoselettivo, selettivo per i recettori M1, M3, utilizzato per areosol nelle bronchiti croniche ostruttive e coadiuvanti nell’asma bronchiale, rinorrea associata a riniti allergiche e non; - Dicloverina, utile per gli spasmi della muscolatura GI; - Propantelina, utile per gli spasmi della muscolatura GI; - Ciclopentolato, uso locale per indurre midriasi e cicloplegia; - Tropicamina, uso locale per indurre midriasi e cicloplegia; - Benztropina mesilato, ha accesso al SNC, utile nel trattamento della sintomatologia extrapiramidale in corso di terapia anti-psicotica, m. Parkinson; - Pirenzepina, antagonista M1, utilizzato per il trattamento dell’ulcera peptica (II scelta); - Telenzepina, analogo della pirenzepina, ma più selettivo - Tolterodina utile nell’iperattività vescicale (pollachiuria), viene metabolizzata dal CYP2D6; - Trospio cloruro, utile nell’iperattività vescicale (pollachiuiria). Intossicazione da organofosforici Nell’intossicazione da organo fosforici bisogna: - Eliminare l’esposizione al tossico; - Provvedere immediatamente a misure di respirazione artificiale e somministrazione di ossigeno; - Controllo delle convulsione con benzodiazepine; - Iniziare, se è caso, la terapia antishock; - Somministrare atropina 2-3 mg i.v. ogni 10 minuti fino a 200 mg nelle 24 ore; - Somministrare pralidossina 1-2 g i.v. ripetuti fino a 12 g nelle 24 ore. FARMACI SIMPATICOMIMETICI Per simpaticomimetico si intende una sostanza che sia in grado di stimolare, con una certa forza, il sistema simpatico, innescando tutta una serie di risposte caratteristiche. Le catecolamine e i farmaci simpatico mimetici sono classificati in diretti, indiretti, misti. I farmaci simpatico mimetici diretti agiscono direttamente sui recettori. I farmaci che agiscono in modo indiretto aumentano la quantità disponibile delle catecolamine endogene. Farmaci invece che inducono sia il rilascio di noradrenalina che la stimolazione diretta del recettore vengono detti ad azione mista. In base ai recettori che vengono stimolati, questa classe di farmaci si suddivide in: a) Agonisti non selettivi; b) Agonisti β-adrenergici; c) Agonisti α1-adrenergici; d) Agonisti α2-adrenergici. La risposta di un dato organo alle catecolamine dipende dalla densità e dalla proporzione dei recettori α e β-adrenergici e da risposte omeostatiche organiche. I principali effetti delle catecolamine e dei farmaci simpatico mimetici sono: 1) Contrazione della muscolatura liscia vasale di cute, mucose e rene; 2) Rilassamento della muscolatura liscia vasale dei muscoli scheletrici, muscolatura liscia intestinale e bronchiale; 3) Aumento della frequenza e della forza di contrazione del cuore; 4) Aumento della glicogenolisi epatica e muscolare; 5) Modulazione della secrezione di insulina, renina, ormoni ipofisari; 6) Effetti sul SNC: stimolazione della respirazione e della attività psicomotoria, diminuzione dell’appetito (effetto anoressizzante); 7) Azione presinaptica con modulazione del rilascio di noradrenalina e acetilcolina. A seguito di somministrazione orale, le catecolamine hanno una breve durata di azione poiché vengono rapidamente metabolizzate sia dalle cellule intestinali che dal fegato. AGONISTI NON SELETTIVI Gli agonisti non selettivi sono: 1) Adrenalina; 2) Noradrenalina; 3) Amfetamina; 4) Efedrina; 5) Dopamina. Adrenalina L’adrenalina o epinefrina, una catecolamina endogena, è un potente stimolante di tutti i recettori adrenergici, che determina una serie di risposte riassumibili nel paradigma “combatti o fuggi”. EFFETTI DELL’ADRENALINA: L’adrenalina aumenta la pressione arteriosa sistolica con: aumento della forza di contrazione del miocardio e della frequenza cardiaca (β1-β2); vasocostrizione delle arteriole di cute, mucose e rene, costrizione venosa (α1-α2). L’adrenalina diminuisce la pressione arteriosa diastolica per diminuzione delle resistenze periferiche a seguito della dilatazione delle arteriole dei muscoli scheletrici (β2). I principali effetti cardiaci dell’adrenalina sono: 1) Accelerazione della depolarizzazione lenta delle cellule del nodo senoatriale; 2) Attivazione delle cellule pace-maker latenti; 3) Aumento della conduzione nelle fibre di Purkinje; 4) Riduzione del periodo refrattario del nodo atrioventricolare. Il rilascio di adrenalina o la sua somministrazione prolungata, possono causare perdita di tessuto muscolare cardiaco, in quanto induce apoptosi nei miocardiociti. L’adrenalina ha un duplice effetto legato alla dose somministrata: se questa è piccola si ha una caduta pressoria dovuta alla notevole affinità del recettore vasodilatatore β2 rispetto al recettore α vasocostrittore. Gli effetti dell’azione dell’adrenali sono diversi a seconda della modalità di somministrazione, sottocute o ie lenta. L’assorbimento dell’A dopo iniezione sc è lento a causa dell’azione vasocostrittrice locale. L’azione sul sistema vascolare dell’adrenalina viene mediata regolando il lume delle arteriole e degli sfinteri pre-capillari, in misura minore anche quello delle vene. A livello cutaneo si verifica vasocostrizione, con redistribuzione del flusso ematico al tessuto muscolare, dove appunto l’adrenalina innesca una forte vasodilatazione. Tuttavia situazioni metaboliche locali possono, col tempo, determinare una vasodilatazione in quei distretti dove il flusso ematico è stato limitato. Con ciò si vuole sottolineare come l’azione dell’adrenalina, venga, attenuata da risposte omeostatiche. A livello cerebrale, il flusso resta invariato, mentre a livello renale si verifica una riduzione del flusso, con aumento delle resistenze e diminuita escrezione di Na+, K+, Cl-. Inoltre l’adrenalina stimola il rilascio di renina legandosi al recettore β1 presente sulle cellule iuxtaglomerulari. A livello polmonare si verifica vasocostrizione delle grandi vene, con aumento delle resistenze. Dosi elevate di adrenalina potrebbero portare a edema polmonare. A livello della circolazione coronarica, questa subisce un aumento dovuto a due motivi: si verifica un aumento relativo della durata della diastole (il flusso coronarico è massimo durante la diastole) e l’aumento della richiesta di ossigeno dei miocardio citi determina vasodilatazione, mediata dal rilascio dell’adenosina, che contrasta l’azione vasocostrittrice dei recettori α nei vasi coronarici. I principali effetti dell’adrenalina sulla muscolatura liscia sono: 1) Rilasciamento della muscolatura liscia intestinale (α1-α2-β2), vasale e bronchiale (β2); 2) Contrazione dello sfintere vescicale (α1), rilasciamento del muscolo detrusore (β2), inducendo così ritenzione urinaria. A livello della prostata l’aumento della contrazione della muscolatura liscia promuove la ritenzione urinaria. Sull’apparato respiratorio, l’adrenalina determina rilassamento della muscolatura liscia bronchiale, agendo sui recettori β2. Ciò determina broncodilatazione, inoltra diminuisce le secrezioni e la congestione delle mucose, agendo sul recettore α, e stoppa il rilascio di sostanze infiammatorie da parte dei mastociti. Da ciò deriva il suo utilizzo nel trattamento dell’asma. L’adrenalina, essendo un composto polare, non è in grado di attraversare la BBB, quindi lo stato ansioso a seguito di somministrazione dell’adrenalina è dovuto all’azione sul sistema cardiovascolare piuttosto che ad un’azione diretta sul SNC. A livello metabolico l’adrenalina provoca: 1) Può sia inibire che stimolare (β2) il rilascio dell’insulina, ma l’inibizione è l’effetto che prevale; 2) Aumento della glicogenolisi (β2); 3) Lipolisi con aumento della concentrazione ematica di acidi grassi liberi (β). Inoltre si verifica un aumento del metabolismo del 20-30%, con aumento del consumo di ossigeno. Sul muscolo scheletrico, l’adrenalina facilita la trasmissione neuromuscolare per stimolazione del rilascio dell’acetilcolina dalle terminazioni presinaptiche (α1-presinaptici), determinando un aumento della forza della contrazione muscolare. FARMACOCINETICA: La somministrazione per os di adrenalina è inutile in quanto il farmaco viene rapidamente metabolizzato sia dal tratto GI che dal fegato. Se somministrata sc l’assorbimento è rallentato in quanto induce vasocostrizione locale. La via di somministrazione preferita è quella iv. Adrenalina sotto forma di aerosol presenta una bassa biodisponibilità, tuttavia fenomeni di assorbimento a livello della mucosa possono dar luogo ad effetti sistemici. L’adrenalina viene metabolizzata dal fegato, ricco in MAO e COMT. FORMULAZIONI: L’adrenalina va somministrata per via parenterale (intramuscolare, sottocutanea, endovenosa lenta). Essa è disponibile in forma iniettabile come soluzioni 1:1000 (1mg/ml) e 1-10000 (0,1 mg/ml). La dose s.c nell’adulto è di 0,3-0,5 mg. L’adrenalina è anche disponibile per via inalatoria come soluzione 1:100 (10 mg/ml). La sommistrazione iv di una tale dose è fatale. L’adrenalina non va somministrata in pazienti in trattamento con farmaci β-bloccanti, per via del rischio di grave ipertensione ed emorragia cerebrale. L’adrenalina è instabile in soluzione e esposta all’aria o alla luce diventa rosa, per ossidazione, formandosi dapprima adenocromo. Poi diventa marrone per la formazione di polimeri. Quindi nella formulazione deve essere aggiunto un antiossidante. PRINCIPALI USI TERAPEUTICI: Shock anafilattico, arresto cardiaco, shock cariogeno e come vasocostrittore in associazione ad anestetici locali (per due motivi: aumentare la durata dell’anestesia; impedire il passaggio a livello sistemico dell’anestetico). EFFETTI COLLATERALI: Ansia, tremori, tachicardia, aritmie, cefalee, dolore anginoso. Inoltre l’utilizzo di adrenalina è controindicato in soggetti che assumono β-bloccanti, in quanto aumenterebbe l’azione dell’ormone sui recettori α, determinando un aumento della pressione e possibile emorragia cerebrale. Noradrenalina La noradrenalina viene rilasciata dalle terminazioni postgangliari del simpatico e in mina parte anche dalla midollare del surrene. Stimola prevalentemente i recettori α e β1. È meno potente dell’adrenalina sui recettori α ed è scarsamente efficace sui recettori β2. La noradrenalina ha una validità terapeutica limitata poiché è possibile utilizzare altri farmaci più selettivi e maneggevoli. Può essere utilizzata nella ipotensione acuta che non risponde ad altri farmaci. La noradrenalina non influenza la gittata cardiaca ne altera il flusso ematico a livello splancnico e muscolare ne presenta effetti metabolici. Tuttavia aumenta la pressione arteriosa diastolica. Come per l’adrenalina, anche la noradrenalina se somministrata per os, non viene metabolizzata fortemente dal tratto GI e dal fegato. Gli enzimi addetti alla metabolizzazione sono le MAO e COMT. Piccole quantità immodificate si ritrovano nell’urina e la concentrazione aumenta in caso di feocromocitoma. Da un punto di vista clinico, la noradrenalina è scarsamente utilizzata. Amfetamina L’amfetamina è un simpaticomimetico indiretto, con azione principale a livello del SNC e stimolazione dei recettori sia α che β a livello periferico. Dopo somministrazione orale i suoi effetti si protraggono per ore. Gli effetti della sua azione sono appunto mediati dal rilascio massivo delle catecolamine a livello del SNC. Ciò si manifesta con: - Riduzione del senso della fatica ed aumento delle prestazioni fisiche; - Anoressia. Gli effetti avversi sono quindi legati all’azione di tale sostanza e sono riassumibili in una iperstimolazione simpatica. Inoltre possono comparire turbe del comportamento, depressioni, istinti suicidi. Gli effetti collaterali sono dovuti a sovradosaggio. Inoltre si può avere dipendenza psicologica a seguito di somministrazione cronica. L’amfetamina viene utilizzata per il trattamento della narcolessia e del disturbo da iperattività con deficit dell’attenzione. Efedrina L’efedrina è un simpaticomimetico ad azione mista, in quanto stimola sia il rilascio di catecolamine dalle terminazioni nervose sia i recettori α e β-adrenergici. Data l’assenza del gruppo catecolico, la sua somministrazione orale non è seguita dalla rapida metabolizzazione tipica dell’adrenali e della noradrenalina. Causa tachifilassi, per svuotamento delle vescicole presinaptiche, quindi il suo uso continuato determina un esaurimento del tono simpatico. È attiva per via orale ed è stata largamente utilizzata per il trattamento dell’asma bronchiale in passato. Viene utilizzata nell’ipotensione da anestesia spinale in infusione iv lenta, 3-6 mg ripetuta fino ad un massimo di 30 mg. Viene largamente utilizzata come decongestionante nasale. Gli effetti collaterali comprendono ipertensione e insonnia, tachicardia. In soggetti con patologia cardiaca sottostante, la somministrazione di efedrina aumenta il rischio di accidenti cardiovascolari. Dopamina La dopamina è il precursore dell’A e NA. Si ritrova al livello del SNC, importante nella regolazione dei movimenti. Anche questa viene metabolizzata dalle MAO e COMT e se somministrata oralmente non raggiunge la circolazione sistemica. La dopamina viene utilizzata soprattutto nel trattamento dell’insufficienza cardiaca congestizia grave. AGONISTI β-ADRENERGICI Gli agonisti β-adrenergici sono maggiormente utilizzati per il trattamento dell’asma e della BPCO. Quelli maggiormente utilizzata, a parte i SABA e LABA nel trattamento dell’asma, sono: - Isoproterenolo; - Dobutamina. Isoproterenolo (isoprenalina) L’isoprotenorolo è uno stimolante specifico dei recettori β, con scarsa o nulla attività sui recettori α. EFFETTI FARMACOLOGICI: Ha un effetto inotropo e cronotropo positivo, riduce le resistenze periferiche con abbassamento della pressione diastolica, indice il rilasciamento della muscolatura liscia intestinale e bronchiale. L’isoproterenolo viene somministrato per via parenterale ed è metabolizzato soprattutto dalle COMT. USI TERAPEUTICI: Viene utilizzato come stimolante cardiaco o come broncodilatatore. È caduto in disuso grazie ad altri farmaci più potenti e selettivi. Tra gli effetti collaterali: cefalea, tachicardia, palpitazioni e arrossamenti cutanei, in alcuni casi ischemia cardiaca e aritmie in pazienti con malattia coronarica. Dobutamina Gli effetti farmacologici della dobutamina sono mediati dall’interazione con i recettori α e β. Normalmente esistono due isomeri, con differenti proprietà farmacologiche: l’isomero “-“ è un agonista dei recettori α1 e provoca marcate risposte pressorie; l’isomero “+” è un potente antagonista del recettore α1. Entrambi gli isomeri sono agonisti dei recettori β. La dobutamina vien utilizzata nel trattamento a breve termine dello scompenso cardiaco post-chirurgico, insufficienza cardiaca congestizia, o infarto del miocardio. AGONISTI α1-ADRENERGICI Questi farmaci causano vasocostrizione ed aumento della pressione, stimolando i recettori α1 e possono essere utilizzati nelle sindromi ipotensive susseguenti ad anestesia spinale. Il loro uso più diffuso però è come decongestionanti nasali e come midriatici. In questa categoria ricordiamo: - Fenilefrina, agonista diretto, attiva i recettori β solo a concentrazioni più elevate. Le dosi sono 2-5 mg sc, 100-500 µg iv lenta; - Metaraminolo, agonista misto e induce anche il rilascio di noradrenalina (simpaticomimetico indiretto), 15-100 mg iv lenta; - Nafazolina cloridrato, ossimetazolina, xilometazolina sono utilizzati esclusivamente come decongestionanti nasali. EFFETTI COLLATERALI: Gli effetti collaterali di questi farmaci sono simili a quelli delle catecolamine, inoltre possono causare: congestione da rimbalzo (rinite medicamentosa) da vasodilatazione secondaria, crisi ipertensive in associazione con inibitori delle MAO. Bisogna fare molta attenzione perché questi farmaci sono di libera vendita. AGONISTI α2-ADRENERGICI Questi farmaci sono utilizzati principalmente nel trattamento della ipertensione arteriosa. La capacità di abbassare la pressione sanguigna deriva da effetti centrali e periferici: 1) Stimolazione dei recettori α2 postsinaptici nel tronco encefalico che inibiscono il tono simpatico periferico; 2) Stimolazione di recettori α2 presinaptici, che inibiscono il rilascio di noradrenalina dalle terminazioni adrenergiche. La somministrazione di questi farmaci può causare una iniziale ipertensione da stimolazione dei recettori α1-α2 postsinaptici vascolari. In questa categoria di ricorda: - Clonidina; - α-metildopa. Clonidina La clonidina è un farmaco anti-ipertensivo largamente usato, che stimola i recettori α2-adrenergici. EFFETTI FARMACOLOGICI: La clonidina, un agonista parziale, ha i seguenti effetti: - Ha un effetto anti-ipertensivo mediante l’innesco dei meccanismi precedenti; - Riduce le resistenze periferiche con conservazione del flusso ematico renale e miglioramento della circolazione coronarica e cerebrale; - Riduce il rilascio della renina; - Ha azione inotropa negativa per atonia simpatica e prevalente tono vagale, infatti l’azione della clonidina si esplica a livello centrale dove, legandosi ai recettori presinaptici α2 abbassa il rilascio delle catecolamine, determinando una diminuzione del tono del simpatico; - Inibizione della sintesi del fibrinogeno; - Stimolazione del rilascio del GABA, con successiva sedazione ed effetti anti-convulsionanti; - Aumento della concentrazione plasmatica di ACTH. FARMACOCINETICA: Ha un’ottima biodisponibilità orale, compresa tra il 70/100 %. Il picco di concentrazione plasmatica e il massimo effetto ipotensivo si ha dopo 1-3 ore per os, con una durata compresa tra 7-10 ore. L’emivita è di 6-24 ore con una media di 12 ore. Per il 70% viene escreta dal rene mentre la rimanente per via fecale. È bene assorbita per via trans dermica e può causare dermatite da contatto. USI TERAPEUTICI: Ipertensione, 50-100 µg per os per tre volte al giorno. USI OFF-LABEL: La clonidina viene anche utilizzata per: - Crisi da astinenza da oppioidi, 5 µg/kg iv, determinando un ripristino del danno di neuroni noradrenergici e riduzione della stimolazione del sistema simpatico; - Emicrania, profilassi con 50 µg per os due volte al giorno; - Vampate di calore in menopausa; - Disturbi da deficit dell’attenzione; - Stati maniacali; - Nevralgia post-erpetica. EFFETTI COLLATERALI: Secchezza delle fauci e sedazione scompaiono dopo un pò di tempo. In alcuni casi si sviluppa anche tachicardia e disfunzioni sessuali. Questi effetti sono dose-correlati. Nelle preparazioni cutanee di clonidina, alcuni soggetti possono sviluppare dermatite da contatto. PRECAUZIONI: La somministrazione del farmaco deve essere sospesa gradualmente, onde evitare un’ipertensione di rimbalzo, dovuta ad up-regulation dei recettori α. Il trattamento cronico con clonidina può portare a depressione del SNC, con pericolo di causare o di aggravare uno stato depressivo preesistente. α-METILDOPA L’α-metildopa, substrato della DOPA-decarbossilasi, riduce la sintesi di catecolamine e viene convertita in α-metilnoradrenalina, che rimpiazza la noradrenalina nelle vescicole presinaptiche. L’α-metilnoradrenalina stimola i recettori α2 adrenergici, come la noradrenalina, ma viene metabolizzata con più difficoltà dalla MAO e dalla COMT. EFFETTI FARMACOLOGICI: Questo farmaco: - Induce ipotensione, senza modificare i parametri cardiaci; - Non altera la funzionalità renale; - Riduce la concentrazione ematica di catecolamine e renina. FARMACOCINETICA: L’assorbimento per via orale è variabile (30-70%), il picco ematico viene raggiunto dopo 2-3 ore con un’emivita di 2 ore. L’effetto massimo si ha dopo 5-10 ore è la durata dell’effetto di una singola dose è di circa 24 ore. USI CLINICI: Tutti i tipi di ipertensione, anche in gravidanza. La dose orale è di 250 mg, 2 volte al giorno, con aumento fino alla dose media di 600 mg/die. EFFETTI COLLATERALI: Si può avere sonnolenza e sedazione, che sono effetti collaterali dosedipendenti; Depressione di grado medio-moderato; iperprolattinemia, con galattorrea e ginecomastia; tossicità epatica, da qui la necessità di controllare periodicamente la funzionalità epatica; anemia emolitica, da qui il bisogno di controlli periodi dell’emocromo. FARMACI ANTIIPERTENSIVI L’ipertensione è una condizione patologica che induce un sovraccarico dell’apparato cardiovascolare, determinando un aumento del rischio di accidenti cardiovascolari. Non essendo possibile eliminare la causa dell’ipertensione, il trattamento farmacologico è per lo più sintomatico: ovvero abbassare e mantenere costante la pressione agendo su diversi meccanismi. La terapia anti ipertensiva prevede: 1 Diuretici: a) Tiazidici e cogeneri; b) Diuretici dell’ansa; c) Diuretici risparmiatori di potassio; 2 Farmaci simpaticolitici: a) β-bloccanti; b) α-bloccanti; c) Antagonisti adrenergici misti; d) Agenti ad azione centrale; e) Bloccanti del neurone adrenergico; 3 Calcio-antagonisti; 4 Inibitori dell’enzima convertente l’angiotensina o ACE-inibitori; 5 Antagonisti del recettore dell’angiotensina II o sartani; 6 Vasodilatatori: a) Arteriosi; b) Arteriosi e venosi. ANTAGONISTI DEI RECETTORI ADRENERGICI Gli antagonisti dei recettori adrenergici inibiscono l’interazione di noradrenalina e adrenalina e degli altri farmaci simpaticomimetici con i recettori α e β. Gli antagonisti dei recettori adrenergici si suddividono in due grandi categorie: 1) Antagonisti α-adrenergici; 2) Antagonisti β-adrenergici Gli antagonisti α-adrenergici, a loro volta, vengono suddivisi in ulteriori sottoclassi a seconda dell’affinità per il sottotipo recettoriale: - Antagonisti α-adrenergici non selettivi; - α1-selettivi; - α2-selettivi. Anche per gli antagonisti β-adrenergici è possibile fare una simile catalogazione: - non selettivi o I generazione; - β1-selettivi o II generazione; - non selettivi o III generazione; - β2-selettivi o III generazione. Antagonisti dei recettori α-adrenergici Questi farmaci bloccano l’azione delle catecolamine a livello dei recettori α. Si possono distinguere in: - antagonisti non selettivi, suddivisibili a loro volta in agenti alchilanti come la fenossibenzamina e imidazoline come la fentolamina; - Antagonisti α1-selettivi: prazosina e cogeneri (doxazosina, terazosina, alfuzosina, tamsulosina, urapidil); - Antagonisti α2-selettivi: yohimbine. Antagonisti non selettivi Questi farmaci determina il blocca della trasmissione mediata dai recettori α. Quindi riducono la pressione arteriosa e l’entità di questo effetto dipende dall’attività del simpatico: è minore in posizione supina rispetto a quella eretta. La caduta della pressione può portare a stimolazione del simpatico con tachicardia riflessa ed aumentata secrezione di renina. Inoltre a livello vascolare, l’adrenalina, legandosi ai recettori β2 e siccome gli α sono occupati dal farmaco, si avrà una massiva vasodilatazione, fenomeno definito come “inversione” degli effetti dell’adrenalina. Gli agenti alchilanti, tra cui la fenossibenzamina, bloccano in maniera irreversibile i recettori α1,2 adrenergici, mentre le imidazoline, tra cui la fentolamina, sono antagonisti reversibili dei recettori α1,2 adrenergici. EFFETTI FARMACOLOGICI: Gli effetti farmacologici di questi composti sono legati, appunto, all’inibizione della trasmissione mediata dai recettori α. Questi farmaci determinano: - Riduzione delle resistenze periferiche; - Aumento della gittata cardiaca per stimolazione del riflesso nervoso simpatico e per stimolazione del rilascio e blocco della ricaptazione di noradrenalina (blocco α2-presinaptico); - Stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, con ritenzione di sodio e acqua; - Riduzione della ritenzione vescicale. USI TERAPEUTICI: Il principale utilizzo di fenossibenzamina e fentolamina è nella diagnosi e nella terapia del feocromocitoma, un tumore della midollare del surrene o di un ganglio del simpatico, che induce la liberazione eccessiva di catecolamine, con ipertensione. La fenossibenzamina è utilizzata offlabel per il trattamento dell’iperreflessia dei pazienti con sezione del midollo spinale. La fentolamina può essere utilizzata nelle ipertensioni da rimbalzo dovuta ad interruzione della somministrazione di clonidina. EFFETTI COLLATERALI: Sono farmaci molto poco maneggevoli (basso IT). Il principale effetto collaterale è l’ipotensione ortostatica. Inoltre possono comparire tachicardia riflessa, congestione nasale, angina, aritmie. ANTAGONISTI SELETTIVI DEI RECETTORI α1-ADRENERGICI Il blocco dei recettori α1 inibisce la vasocostrizione indotta dalle catecolamine endogene, con conseguente vasodilatazione arteriolare e venosa. Il risultato è la caduta della pressione arteriosa a causa delle diminuite resistenze periferiche. Questi farmaci non bloccano i recettori α2-presinaptici e pertanto non hanno effetto sul rilascio di catecolamine. Non causano una significativa tachicardia a causa di un non aumentato rilascio di catecolamine e del blocco di recettori α1 centrali, che modulano l’attività riflessa barorecettoriale. I singoli farmaci hanno un profilo farmacodinamico simile, ma differiscono per caratteristiche farmacocinetiche. EFFETTI FARMACOLOGICI: Questi farmaci inducono: - Ipotensione da caduta delle resistenze periferiche; - Riduzione del carico cardiaco e del consumo di ossigeno; - Diminuzione dell’ipertrofia ventricolare sinistra e della congestione polmonare; - Il flusso renale non è influenzato e pertanto non si verifica ritenzione di acqua e sodio; - Rilasciamento dei muscoli del trigono e dello sfintere vescicale e dei muscoli lisci prostatici, effetti che favoriscono il deflusso urinario; - Riduzione del colesterolo, trigliceridi e LDL; - Aumento delle HDL. Prazosin Il prazosin è il capostipite degli α-bloccanti chinazolinici. Il prazosin viene ben assorbito dopo somministrazione orale e la biodisponibilità è del 50-70 %. Le massime concentrazioni vengono raggiunte dopo 1-3 ore. Il farmaco si lega avidamente alla glicoproteina acida α1, viaggiando libero per solo il 5%. Situazioni che modifichino la concentrazione di tale proteina di trasporto possono influenzare la biodisponibilità del prazosin. Tale composto viene estesamente metabolizzato dal fegato con un’emivita di circa 1-3 ore, che può aumentare in corso di insufficienza cardiaca congestizia. La durata di azione del farmaco è di 7-10 ore. Il prazosin viene somministrato a 1 mg dose iniziale, fino a 20 mg/die per os in 2-3 somministrazioni. La dose va assunta prima di coricarsi, onde evitare sincope da ipotensione ortostatica. Il prazosin viene utilizzato anche per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna. Terazosin È un analogo strutturale del prazosin. Il terazosin è più solubile in acqua, di conseguenza la sua biodisponibilità è maggiore (90%). L’emivita è di circa 12 ore e può spingersi fino a 18, richiedendo una sola somministrazione giornaliera. Il terazosin e il doxazosin inducono apoptosi delle cellule muscolari lisce della prostata, essendo utile anche per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna. La terazosina viene somministrata a 1 mg dose iniziale fino a 10 mg/die per os in una somministrazione. Doxazosin Ha effetti simili al prazosin ma un diverso profilo farmacocinetico: l’emivita è più lunga e la durata di azione può arrivare fino alle 36 ore. Il metabolismo è simile a quelli precedenti e i metaboliti vengono eliminati con le feci. Il doxazosin viene sommistrato a 1 mg dose iniziale fino a 16 mg/die per os in una somministrazione. Alfuzosin e Tamsulosin Alfuzosin viene utilizzato nella terapia dell’ipertrofia prostatica benigna, così come il tamsulosin. Quest’ultimo viene somministrato alla dose di 0,4 mg. Il tamsulosin è ben assorbito, con un’emivita di 510 ore e viene ampiamente metabolizzato dai CYP. Tra gli effetti collaterali vi è l’eiaculazione retrograda. USI CLINICI: Questi farmaci vengono utilizzati per il trattamento: - Ipertensione arteriosa particolarmente in pazienti diabetici o iperlipidemici in associazione ad altri farmaci; - Insufficienza cardiaca congestizia; - Ipertrofia prostatica benigna (tamsulosina 0,4 mg). Da somministrare con cautela nei pazienti operati di cataratta. EFFETTI COLLATERALI: Gli effetti collaterali sono dovuti alla somministrazione della prima dose e comprende una grave ipotensione posturale. Tale effetto è dose-dipendendente, quindi basta ridurre la dose per avere la scomparsa della sintomatologia. Tra gli effetti aspecifici vi sono cefalea, vertigini e astenia. Urapidil È un antagonista dei recettori α1-adrenergici dotato anche di proprietà ipotensivanti centrali. Riduce le resistenze vascolari periferiche, senza modificare la gittata cardiaca e senza indurre tachicardia. Presenta una biodisponibilità orale del 70%, con un’emivita di 3 ore. La somministrazione avviene ogni 12 ore, 3090 mg. Il bolo iv prevede la somministrazione di 10-25 mg, soprattutto per il trattamento delle crisi ipertensive. È un farmaco ospedaliero. ANTAGONISTI SELETTIVI PER IL RECETTORE α2 Il blocco di tali recettori a livello presinaptico potenzia il rilascio delle catecolamine a livello del SNC, con un aumento del tono del simpatico. A questa categoria appartiene un unico composta: la yohimbina. Questo farmaco penetra direttamente nel SNC dove agisce aumentando la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. Aumenta anche l’attività motoria ed induce tremore. Tale farmaco viene utilizzato per il trattamento della neuropatia diabetica e nell’ipotensione ortostatica. Antagonisti dei recettori β-adrenergici Gli antagonisti dei recettori β-adrenergici o β-bloccanti sono farmaci molto importanti e largamente utilizzati per il trattamento di importanti patologie cardio-vascolari ad alto impatto sociale. Il blocco dei recettori β-adrenergici ha un effetto limitato sul cuore normale, ma ha effetti profondi in presenza di un elevato tono simpatico che si ha durante l’esercizio fisico o lo stress, o in determinate patologie. L’azione svolta da questi farmaci dipende dalla distribuzione dei recettori a livello dei tessuti. I β-bloccanti vengono suddivisi in: a) Non selettivi di prima generazione: propanololo, timololo; b) β1-selettivi di seconda generazioni: atenololo, metoprololo; c) non selettivi di terza generazione: carvedilolo; d) β1-selettivi di terza generazione. Da un punto di vista farmacodinamico, i β-bloccanti possono essere classificati in base alla selettività recettoriale ed alla attività simpatico mimetica intrinseca (ISA). I β-bloccanti ISA – inducono una iniziale riduzione della gittata cardiaca ed un aumento delle resistenze periferiche vascolari. I β-bloccanti ISA+ hanno un minor effetto sulla frequenza cardiaca e sulla gittata cardiaca e diminuiscono le resistenze vascolari periferiche per stimolazione dei recettori β2. I farmaci con ISA si comportano da agonisti parziali o antagonisti, a seconda del grado di attivazione del sistema simpatico. Il propanololo, il prototipo di questa classe di farmaci introdotto nel 1965, ha contribuito all’assegnazione del premio Nobel nel 1988 al suo ideatore, Sir James Black. La selettività β1 è una proprietà relativa e dose dipendente: ad alte dosi (atenololo > 100 mg/die) entrambi i recettori sono bloccati. Da un punto di vista farmacocinetico, i β-bloccanti possono essere classificati in base al grado di lipofilicità, che influenza tutti i parametri farmacocinetici del farmaco. I composto lipofili, come il propanololo, presentano un intenso metabolismo epatico, viaggiano altamente legati alle proteine plasmatiche, di conseguenza hanno una bassa biodisponibilità. I composti idrofili, come l’atenololo, presentano uno scarso metabolismo epatico, con un basso legame alle proteine plasmatiche, quindi un’alta biodisponibilità. Questi parametri sono da prendere in considerazione per la somministrazione di questa classe di farmaci in pazienti con particolari patologie. Alcuni farmaci recenti, i β-bloccanti di III generazione, sono provvisti di attività vasodilatatrice oltre al blocco β. Ciò sembra essere dovuto a più meccanismi come: - produzione di NO; - agonismo recettori β2; - antagonismo recettori α1; - blocco dell’entrata di calcio; - apertura dei canali del potassio; - attività antiossidante. Questi meccanismi potrebbero contribuire all’effetto antipertensivo aumentando l’ipotensione e il flusso ematico periferico e diminuendo il postcarico. Due di questi agenti (celiprololo e nebivololo) inducono vasodilatazione e quindi riducono il precarico. EFFETTI FARMACOLOGICI: I principali effetti terapeutici degli antagonisti dei recettori β vengono esercitati a livello del sistema cardiovascolare. È importante distinguere questi effetti in soggetti sani rispetto a soggetti con disfunzioni cardiovascolari. Gli effetti cardiovascolari dei β-bloccanti sono dovuti alla distribuzione dei recettori nei vari distretti vascolari dell’organismo. Comunque, la somministrazione di tali composti determina: - riduzione della frequenza cardiaca, della contrattilità del miocardio e della gittata cardiaca; - rallentamento della conduzione atrioventricolare e atriale; - aumento del periodo refrattario atrioventricolare; - aumento delle resistenze periferiche che scompare dopo somministrazione cronica; - riduzione della tolleranza allo sforzo fisico. Gli antagonisti dei recettori β generalmente non riducono la pressione arteriosa in pazienti normotesi, mentre la riducono in pazienti ipertesi. Per quanto riguarda gli effetti extravascolari, questi comprendono: - blocco dei recettori β2 della muscolatura bronchiale, soprattutto ad opera degli antagonisti non selettivi. Si ricordi che per il trattamento dell’asma si utilizzino gli agonisti β 2, da qui la necessità di non somministrare ad un soggetto asmatico un β-bloccante non selettivo; - inibizione del rilascio di renina dalle cellule dell’apparato juxta-glomerulare; - aumento delle VLDL e riduzione delle HDL per blocco di lecitina-colesterolo aciltransferasi. Da qui l’effetto pro-aterogeno dei bloccanti non selettivi; - prolungamento dell’ipoglicemia indotta da insulina, per blocco della glicogenolisi, ed anche mascheramento della sintomatologia di una crisi ipoglicemica; - effetti centrali come insonnia, allucinazioni e depressione, soprattutto per i composti lipofili; - riduzione dei tremori da eccessiva attività simpatergica centrale, soprattutto per i bloccanti lipofili. USI CLINICI DEI β-BLOCCANTI: Le indicazioni cardiovascolari dei β-bloccanti comprendono: - ipertensione; - angina pectoris; - aritmie cardiache; - cardiomiopatia ipertrofica; - prevenzione secondaria dell’infarto miocardico; - insufficienza cardiaca. I β-bloccanti sono altamente utilizzati come farmaci antipertensivi. Infatti tutti i β-bloccanti hanno effetti ipotensivi alle dosi terapeuticamente attive, anche se il meccanismo di azione è tuttora in discussione. L’effetto dei β-bloccanti vasodilatatori è dovuto al blocco dei recettori β associato ad altri meccanismi con riduzione delle resistenze periferiche. I β-bloccanti non vaso-dilatatori aumentano nel breve termine le resistenze periferiche, che poi diminuiscono, probabilmente per: - inibizione del rilascio di renina; - riduzione persistente della gittata cardiaca. Tutti i β-bloccanti sono utili nel trattamento della malattia coronarica, compresa l’angina instabile. L’efficacia è dovuta a una riduzione del consumo di ossigeno del cuore per riduzione della frequenza e della gittata e ad un aumento del tempo di diastole che è in grado di migliorare il flusso coronarico prolungandone la perfusione diastolica. Nelle aritmie cardiache i β-bloccanti sono indicati per: - aritmie ipercinetiche da alti livelli di catecolamine; - controllo della frequenza ventricolare nel flutter e nella fibrillazione atriale. L’efficacia è dovuta ad una diminuzione della conduzione atrioventricolare e ad un prolungamento del periodo refrattario del nodo atrioventricolare, particolarmente pronunciato con il sotalolo. La cardiomiopatia ipertrofica è caratterizzata da efflusso cardiaco ridotto per ostruzione e da aumento della pressione intracardiaca che viene ridotta significativamente dai β-bloccanti. I β-bloccanti sono utilizzati anche nella prevenzione della cardiopatia ischemica. Infatti è stato condotto uno studio su tre gruppi di pazienti: 1) pazienti trattati con β-bloccanti prima del primo episodio infartuale; 2) pazienti nei quali il trattamento era iniziato nel periodo peri-infatuale (72 ore); 3) pazienti nei quali il trattamento era iniziato nella fase tardiva post-infartuale (dopo 72 ore). Nei soggetti appartenenti al III gruppo, il trattamento prolungato con β-bloccanti privi di ISA ha ridotto del 25% le morti cardiache e le recidive infartuali e del 30% l’incidenza di morti improvvise. I β-bloccanti sono pertanto indicati nella prevenzione secondaria dell’infarto al miocardio in pazienti che non presentano controindicazioni. Sono da preferire i composti selettivi per i recettori β1 non agonisti parziali. I β-bloccanti per il trattamento dell’insufficienza cardiaca possono dar luogo ad un “paradosso terapeutico”. Infatti, lo scompenso cardiaco è caratterizzato da: - riduzione del numero e della efficienza del numero dei recettori β; - attivazione riflessa neuroumorale ed in particolare del sistema simpatergico. Il rapporto β1/β2 passa da 80:20, a 60:40, inoltre la stimolazione dell’adenilato ciclasi da parte di agonisti β2 è ridotta del 30%. È facile intuire come la somministrazione di un β-bloccante possa determinare una riacutizzazione dello scompenso. A partire dagli anni’80, numerosi studi hanno dimostrato che i βbloccanti privi di ISA sono in grado di stimolare (up-regulation) il numero di molecole recettoriali β a livello del tessuto cardiaco e dei leucociti circolanti. Successivi trial clinici hanno confermato che i composti β 1selettivi privi di ISA (metoprololo) e quelli con proprietà vasodilatanti (carvedilolo) riducono morbidità e mortalità nell’insufficienza cardiaca di grado lieve-moderato. Quindi gli effetti positivi dei β-bloccanti nello scompenso cardiaco di grado lieve-moderato sono: - up-regulation dei β-recettori; - protezione dei miociti da sovraccarico di catecolamine; - riduzione della frequenza e del consumo di ossigeno. Per il trattamento dello scompenso cardiaco bisogna iniziare con dosi basse ed aumentare progressivamente, monitorando gli effetti emodinamici che possono peggiorare dopo le dosi iniziali. Utilizzare i composti β1-selettivi privi di ISA (metoprololo) e quelli non selettivi con proprietà vasodilatanti (carvedilolo). L’utilizzo nel lungo periodo di metoprololo aumenta significativamente la frazione di eiezione cardiaca rispetto alla terapia standard. Per quanto riguarda patologie non cardiovascolari, l’uso dei β-bloccanti è limitato a: - ipertiroidismo, per controllo della tachicardia, tremori, palpitazioni e per ridurre la vascolarizzazione della ghiandola; - ansia; - glaucoma ad angolo aperto (timololo 0,25-0,5%); - profilassi dell’emicrania (propanololo, timololo, metoprololo). I β-bloccanti possono interferire con gli effetti compensatori delle catecolamine secrete durante l’ipoglicemia, attenuando la percezione di sintomi quali tremore, tachicardia e nervosismo. Pertanto, i βbloccanti dovrebbero essere utilizzati con molta cautela in pazienti diabetici inclini a frequenti reazioni ipoglicemiche. Se è necessario, utilizzare un β-bloccante selettivo per i recettori β1. CONTROINDICAZIONI: I β-bloccanti sono farmaci ragionevolmente sicuri se utilizzati alle dosi appropriate, tenendo conto delle seguenti controindicazioni: insufficienza cardiaca grave, bradicardia, blocco AV, asma, broncopneumopatie ostruttive. EFFETTI COLLATERALI: Tra gli effetti collaterali vi sono: - deficit circolatorio periferico; - prolungamento dell’ipoglicemia da insulina, quindi bisogna preferire i composti selettivi con ISA; - ridotta tolleranza allo sforzo, da preferire i bloccanti β1-selettivi; - effetti centrali come insonnia, allucinazioni, sono da preferire i composti meno lipofili; - impotenza sessuale, da preferire i composti con effetti anti-α1; - sindrome da sottrazione causata da bloccanti privi di ISA, probabilmente per up-regulation dei recettori. INTERAZIONI CON ALTRI FARMACI: I Sali di alluminio, la colestiramina e il colestipolo possono ridurre l’assorbimento dei β-bloccanti. La fenitoina, la rifampicina e il fenobarbital, così come il fumo, inducono gli enzimi metabolici a livello epatico e possono così diminuire le concentrazioni plasmatiche degli antagonisti dei recettori β soggetti ad un’ampia biotrasformazione. La cimetidina e l’idralazina possono aumentare la biodisponibilità del propranololo e del metoprololo poiché influenzano il flusso ematico a livello epatico. Gli antagonisti dei recettori β possono compromettere la clearence della lidocaina. Altre interazioni sono di tipo farmacodinamico. Gli antagonisti dei recettori β e i calcio-antagonisti hanno effetti addittivi sul sistema di conduzione del cuore. β-bloccanti non selettivi: propranololo, timololo Il propranololo interagisce con uguale intensità sia con i recettori β1 che con quelli β2, senza possedere ISA. Questo composto è altamente lipofilo ed è quasi completamente assorbito in seguito a somministrazione orale. Tuttavia, una notevole quantità di farmaco viene metabolizzata dal fegato durante il suo primo passaggio, riducendone la biodisponibilità. Le notevoli variazioni individuali nell’estrazione epatica di primo passaggio, contribuiscono al diverso profilo di concentrazioni plasmatiche in soggetti diversi. La biodisponibilità del propranololo aumenta con la somministrazione di cibo e a seguito di una prolungata somministrazione del farmaco. Il propranololo penetra rapidamente nel SNC. Il timololo è un potente antagonista non selettivo dei recettori β. Viene ben assorbito dal tratto GI, subendo un metabolismo di primo passaggio ad opera del CYP2D6. La formulazione oculare, utilizzata per il trattamento del glaucoma, può essere diffusamente assorbita nel circolo sistemico e può causare effetti avversi. β-bloccanti β1-selettivi: metoprololo, atenololo il metoprololo è un β-bloccante β1 selettivo, privo sia di ISA che di azione stabilizzante le membrane. Viene completamente assorbito dal tratto GI, ma ha una bassa biodisponibilità a causa del metabolismo di primo passaggio. Le concentrazioni del farmaco variano notevolmente per via dei polimorfismi del gene del CYP2D6. L’emivita del metoprololo è di circa 3-4 ore, ma aumento nei metabolizzatori lenti, che hanno un rischio maggiore di sviluppare effetti collaterali. L’atenololo è un antagonista β1-selettivo. Il farmaco viene escreto per lo più immodificato nelle urine, quindi si accumula nei pazienti affetti da insufficienza renale e il dosaggio dovrebbe essere ridotto se la clearence della creatinina è <35 ml/min. l’atenololo in combinazione con un diuretico è efficace in pazienti anziani con ipertensione sistolica isolata. β-bloccanti con effetti cardiovascolari aggiuntivi o β-bloccanti di III generazione: carvedilolo alcuni β-bloccanti possiedono anche attività vasodilatatrice. Il carvedilolo blocca i recettori β1,2 e α1, ma esercita tutta una serie di effetti cardiovascolari. Il carvedilolo induce vasodilatazione; i suoi effetti antiossidanti e antiproliferativi possono essere di beneficio nella terapia dell’insufficienza cardiaca congestizia. Non vi sono cambiamenti significativi della farmacocinetica nel paziente anziano iperteso. Poichè il carvedilolo viene metabolizzato dai CYP epatici, non è necessario modificare il dosaggio nei pazienti con insufficienza renale da moderata a grave. Inibitori del neurone adrenergico La Reserpina è un alcaloide derivato dalla Rauwolfia serpentina, utilizzato come antipertensivo. La reserpina determina l’inibizione del trasportatore vescicolare delle catecolamine. Il trasportatore vescicolare H+-dipendente è bloccato in maniera competitiva ed irreversibile dalla reserpina. Ciò determina la deplezione delle riserve intravescicolari di neurotrasmettitore, con successiva ipotensione, sintomi extrapiramidali parkinsoniani e grave depressione psichica. EFFETTI FARMACOLOGICI: La reserpina determina: - lo svuotamento delle vescicole contenenti noradrenalina; - inibizione della captazione della noradrenalina da parte della membrana neuronale; - stimolazione dell’attività delle MAO; - riduzione delle resistenze periferiche; - effetto inotropo e cronotropo negativo, anche per stimolazione vagale; - effetto tranquillante maggiore; - stimolazione del sistema extrapiramidale. FARMACOCINETICA: La reserpina presenta un alto volume di distribuzione, con attraversamento della BBB e della placenta. Viene metabolizzata a livello epatico ed è eliminata dal rene. L’emivita presenta il caratteristico andamento bifasico: l’emivita di fase α è di 4-5 ore, l’emivita di fare β è di 270 ore. In caso di insufficienza renale l’emivita è prolungata. USI CLINICI: La reserpina è indicata nell’ipertensione medio-moderata, somministrazione di 0,1-0,2 mg/die spesso in associazione con i diuretici. L’effetto antipertensivo compare lentamente, nell’arco di 3-6 giorni dopo la prima somministrazione. L’uso va limitato nel tempo per via degli effetti collaterali. Potenzia gli effetti degli anestetici generali (inducendo arresto cardiaco) e digitalici (aritmie e bradicardia). EFFETTI COLLATERALI GRAVI E FREQUENTI: Depressione del SNC, letargia, sintomi parkinsoniani, aumento della secrezione gastrica, ritenzione di sodio e acqua, stimolazione della produzione di prolattina. FARMACI DEL SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE Esistono varie classi di farmaci, in grado di influenzare il sistema renina-angiotensina-aldosterone, e sono: a) ACE-inibitori; b) Antagonisti del recettore dell’AII o ARB o sartani; c) Inibitore della renina: Aliskiren. ACE-INIBITORI I composti che inibiscono l’angiotensin converting enzyme (ACE), sono importanti farmaci utilizzati in varie patologie cardiovascolari. Sono farmaci efficaci ed in genere ben tollerati. Tutti gli ACE hanno le stesse indicazioni cliniche e gli stessi effetti collaterali. Possono differenziarsi per: - Potenza; - Se farmaco o profarmaco; - Parametri farmacocinetici. La storia degli ACE-inibitori risale agli anni tra il 1965-70, quando venne estratto dal veleno della vipera brasiliana Bothrops jaracaca il bradykinin-potentiating factor (BPF), che determina inibizione dell’ACE. Tra il 1970-75 venne identificata la sequenza inibitrice: fenilalanina-alanina-prolina interagisce con l’atomo di zinco dell’enzima, inibendone la funzione. Negli anni successivi furono studiati i primi analoghi non peptidici e nel 1981 si giunse all’approvazione del captopril come antipertensivo. I singoli ACE-inibitori differiscono per caratteristiche farmacocinetiche e condividono tutti lo stesso meccanismo di azione. Essi possono essere classificati in tre categorie: 1) ACE-inibitori con gruppo sulfidrilico: captopril; 2) ACE-inibitori con due gruppi carbossilici: enalapril, lisinopril, benazepril, quinapril, ramipril; 3) ACE-inibitori con un atomo di fosforo: fosinopril. I substrati dell’ACE sono molteplici e l’inibizione di questo enzima può determinare effetti indipendenti dalla riduzione dei livelli di AngII. Poichè gli ACE-inibitori inducono un aumento dei livelli di bradichinina, che stimola la biosintesi di prostaglandine, entrambe possono contribuire agli effetti farmacologici degli ACE-inibitori. Questi farmaci interferiscono anche nei cicli di feedback negativi del rilascio di renina. quindi, gli ACE-inibitori provocano un maggior rilascio di renina e un aumento della velocità della formazione di AngI. L’AngI prodotto in eccesso potrebbe essere metabolizzata in Ang(1-7). Non si sa ancora se questo peptide contribuisca alla risposta farmacologica degli ACE-inibitori. A eccezione di fosinapril e spirapril, che sono eliminati sia per via renale che epatica, gli ACE-inibitori hanno clearence prevalentemente renale. Per questo motivo, in caso di insufficienza renale, bisogna ridurre il dosaggio di questi farmaci. Captopril Il captopril è un potente ACE-inibitore. Se assunto per via orale, il captopril è assorbito rapidamente e presenta una biodisponibilità pari al 75%. Il suo picco plasmatico si verifica entro un’ora, viene eliminato velocemente, con un’emivita di circa 2 ore. Il farmaco viene escreto con l’urina, di cui circa la metà in forma immodificata e la parte rimanente come dimeri disolfuri di captopril o di captopril-cisteina. L’ingestione di cibo ne riduce la biodisponibilità e dovrebbe essere assunto un’ora prima dei pasti. Enalapril È un profarmaco e un potente inibitore. Viene assorbito rapidamente per via orale con una biodisponibilità del 60% non influenzata dall’ingestione di cibo. Le concentrazioni plasmatiche raggiungono il loro massimo entro 3-4 ore. Il farmaco viene eliminato per via renale sotto forma di enalapril immodificato oppure enalaprilato. Lisinopril È un analogo dell’enalapril, ma è già attivo, viene assorbito in modo variabile e incompleto e il suo assorbimento non è influenzato dal cibo. Il picco plasmatico è raggiunto dopo 7 ore. Viene eliminato in forma immodificata dal rene, con un’emivita di 12 ore. Benazepril È un profarmaco, molto potente una volta attivato. Viene assorbito rapidamente ma in modo incompleto. Viene metabolizzato dal fegato ed escreto sia con la bile che con l’urina. Tale farmaco non si accumula nell’organismo. Fosinopril È un profarmaco, somministrato per os presenta un assorbimento lento e incompleto. Viene metabolizzato dal fegato ed escreto sia nell’urina che nella bile. Il picco plasmatico viene raggiunto in circa 3 ore e l’emivita è di circa 12 ore, rimanendo immodificata in caso di insufficienza renale. Quinapril È un profarmaco, somministrato per os presenta un assorbimento veloce ed è influenzato dall’ingestione di cibo. Viene metabolizzato dal fegato ed escreto sia nell’urina che nella bile. La concentrazione del farmaco in forma attiva è ridotta nei soggetti con insuffcìicienza epatica. Ramipril Anche questo è un profarmaco, assorbito oralmente la cui velocità di assorbimento è influenzata dalla presenza di cibo. Viene escreto principalmente per via renale. Il picco plasmatico si osserva dopo 3 ore, ed ha una cinetica di eliminazione trifasica: 2-4 ore, 9-18 ore, più di 50 ore. Ciò è dovuto all’enorme volume di distribuzione, alla eliminazione del ramiprilato libero, e alla dissociazione del ramiprilato dall’enzima. USI CLINICI: Gli ACE-inibitori sono utilizzati per il trattamento di: - Ipertensione; - Scompenso cardiaco; - Infarto miocardico; - Nefropatia diabetica. L’ipertensione viene definita come un prolungato ed anomalo aumento della pressione sanguigna, causata da aumento delle resistenze vascolari periferiche. L’ipertensione è essenziale nel 90% dei casi ed è una condizione morbosa multifattoriale su base genetica. L’ipertensione secondaria (10%) ha una causa precisa: insufficienza renale, iperaldosteronismo, alterazioni ormonali, modificazioni dei recettori metabotropici. Gli ACE-inibitori attuano tutta una serie di meccanismi antipertensivi: - Inibiscono il SRA tissutale e vascolare; - Riducono il rilascio di catecolamine; - Aumentano la sintesi di bradichinina e prostaglandine, agenti vasodilatanti; - Viene ridotta la sintesi di aldosterone, con effetto diuretico, diminuita ritenzione di sodio e potenziamento degli effetti dei diuretici dell’ansa. Gli ACE-inibitori sono indicati come monoterapia nell’ipertensione lieve o moderata, in quanto assicurano una qualità della vita migliore rispetto ad altri farmaci. L’effetto antipertensivo dipende dai livelli plasmatici di renina: una dieta iposodica potenzia gli effetti degli ACE-inibitori. Il trattamento va iniziato con dosi basse per evitare effetti drammatici in caso di iperattività del SRA. L’insufficienza cardiaca congestizia è una condizione patologica caratterizzata dall’incapacità del cuore di far affluire ai vari organi quantità sufficienti di sangue. Il deficit di pompa attiva meccanismi neuroumorali che inducono importanti modifiche emodinamiche. La causa primaria è in genere un’alterazione della funzione contrattile del miocardio. In base alla gravità dei sintomi la New York Heart Association ha formulato quattro classi di scompenso cardiaco (NYHA I-IV). Il principale obiettivo della terapia è quello di ridurre la sintomatologia intervenendo sia sul cuore che sulla circolazione periferica. I principali farmaci utilizzato sono: cardiotonici, vasodilatatori, diuretici, ACE-inibitori, sartani, β-bloccanti. Gli ACE-inibitori vanno somministrati, in assenza di controindicazioni, in tutti i pazienti con ridotta funzionalità sistolica del ventricolo sinistro. Tutti gli studi clinici hanno dimostrato che gli ACE-inibitori aumentano la sopravvivenza di pazienti con scompenso cardiaco di grado NYHA I-IV. Nell’infarto al miocardio, gli ACE-inibitori vanno somministrati nella fase acuta, insieme a trombolitici, aspirina e β-bloccanti. Anche nei pazienti infartuati gli studi clinici hanno evidenziato un aumento della sopravvivenza. Gli ACE-inibitori riducono lo stress esercitato sulla parete di miocardio danneggiato, limitando così la dilatazione ventricolare e il remodelling. Ciò diminuisce lo scompenso cardiaco sinistro. La nefropatia diabetica è caratterizzata da: - Aumento della pressione e del volume e della permeabilità glomerulare; - Aumento delle dimensioni del rene; - Microalbuminuria. Gli ACE-inibitori bloccano l’effetto di AII, in particolare sulle arteriole efferenti, portando ad una diminuzione della pressione glomerulare e ritardando la progressione del danno renale. La vasocostrizione efferente mantiene un livello accettabile di filtrazione glomerulare in situazioni patologiche in cui si verifica una riduzione grave della pressione di perfusione renale come: grave scompenso cardiaco, stenosi aortica, stenosi bilaterale dell’arteria renale. In queste condizioni, l’inibizione dell’ACE può portare alla caduta della pressione di filtrazione glomerulare e precipitare una grave insufficienza renale acuta. Nei soggetti a rischio è necessario controllare la funzione renale prima della somministrazione di ACE-inibitori. CONTROINDICAZIONI: Gli ACE-inibitori sono controindicati in caso di: - Ipersensibilità; - Malattie renali ostruttive; - Stenosi aortica; - Gravidanza, il feto non è esposto a effetti tossici se i farmaci sono sospesi durante il primo trimestre di gravidanza. EFFETTI COLLATERALI: Gli effetti collaterali degli ACE-inibitori sono rari. La terapia a lungo termine è sicura. Tuttavia, in gruppi ristretti di soggetti, possono comparire: - Ipotensione marcata in pazienti con elevata attività reninica plasmatica; - Tosse secca nel 5-20% dei pazienti, dovuta all’accumulo di bradichinina e/o prostaglandine nel polmone; - Iperkaliemia (diuretici risparmiatori del potassio) e insufficienza renale (aggravamento della situazione); - Edema angioneurotico (reazione idiosincratica); - Neutropenia; - Epatotossicità. INTERAZIONI CON ALTRI FARMACI: Gli antiacidi possono ridurre la biodisponibilità. La capsaicina può peggiorare la tosse indotta da questi farmaci. I FANS possono ridurre la risposta ipotensiva e i diuretici risparmiatori di potassio e i supplementi di potassio possono aggravare l’iperkaliemia. Infine gli ACE- inibitori possono far aumentare i livelli plasmatici della digossina e del litio e potenziare le reazioni di ipersensibilità all’allopurinolo. ANTAGONISTI DEL RECETTORE DELL’AII O SARTANI I principali problemi derivanti dall’uso cronico degli ACE-inibitori sono: - Sviluppo di tosse secca in una alta percentuale di pazienti; - Presenza di vie alternative di sintesi dell’AII (catepsina G, chimasi). Ciò ha portato allo sviluppo di antagonisti del recettore AT1 dell’AII, i AII Receptor Blockers (ARB) o sartani. In questa categoria di farmaci ricordiamo: candesartan, irbesartan, telmisartan, valsartan, losartan. Il losartan è stato approvato come farmaco antipertensivo dalla FDA nel 1995. Questa classe di farmaci inibisce in modo potente e selettivo gli effetti biologici della stimolazione del recettore AT 1, ma lasciano inalterati gli effetti di AT2. Presentano differenti parametri farmacocinetici e la loro affinità per il recettore è diversa. In ordine di affinità decrescente vi sono: candesartan, irbesartan, telmisartan, valsartan, losartan. Numerosi studi clinici hanno confermato che gli ARB riducono l’ipertensione e l’ipertrofia ventricolare sinistra. A differenza degli ACE-inibitori, i sartani non hanno mostrato attività prevalente sulle arteriole glomerulari efferenti, quindi gli ARB potrebbero essere farmaci più sicuri in caso di riduzione della pressione di perfusione renale. I sartani differiscono dagli ACE-inibitori per diversi aspetti: 1) I sartani inibiscono l’attivazione del recettore AT1 in modo più efficace rispetto agli ACE-inibitori. Infatti gli ACE-inibitori inibiscono la biosintesi dell’AngII ma non inibiscono le vie alternative di sintesi, al contrario degli ARB, che bloccano il recettore impedendo l’azione dell’AngII a prescindere dalla via di formazione; 2) Gli ARB consentono l’attivazione dei recettori AT2, che inducono la sintesi di bradichinina e prostaglandine, con effetto vasodilatante; 3) Gli ARB non aumento in misura significativa la concentrazione di ang(1-7), al contrario degli ACEinibitori poichè l’ACE è coinvolta nell’eliminazione dell’ang(1-7); 4) Gli ACE-inibitori aumentano i livelli di alcuni substrati dell’ACE, come la bradichinina, al contrario degli ARS. USI CLINICI: I sartani sono utilizzati per il trattamento di: - Ipertensione; - Profilassi dell’ictus (losartan); - Nefropatia diabetica (irbesartan, losartan); - Insufficienza cardiaca (valsartan nei pazienti intolleranti agli ACE-inibitori). Candesartan cilexetil È un profarmaco che viene attivato durante l’assorbimento GI. Il picco plasmatico si raggiunge entro 3-4 ore e l’emivita è di circa 9 ore. Viene eliminato per i due terzi per via renale e attraverso la bile il rimanente, quindi la sua clearence è influenzata dall’insufficienza renale ma non in quella epatica. Irbesartan Viene somministrato oralmente, ed eliminato dal fegato e dal rene. La sua clearence non è influenzata ne nell’insufficienza epatica ne nell’isufficienza renale. Losartan Circa il 14 % della dose del losartan viene convertito nel metabolita attivo ad opera dei CYP2C9 e CYP3A4. Il farmaco viene eliminato soprattutto a livello renale e viene alterata durante l’insufficienza epatica. Oltre ad essere un ARB, il losartan è anche un antagonista competitivo del recettore del trombossano A2 e riduce l’aggregazione piastrinica. Telmisartan Il picco viene raggiunto nell’arco di mezz’ora e presenta un’emivita di circa 24 ore. Viene eliminato tramite la secrezione biliare in forma immodificata e la clearence è modificata dall’insufficienza epatica. Valsartan Il picco plasmatico si verifica entro 2-4 ore dall’assunzione con un’emivita di circa 9 ore. Il cibo ne riduce l’assorbimento in modo marcato. Il valsartan viene eliminato dal fegato e la clearence è influenzata nei soggetti con insufficienza epatica. EFFETTI COLLATERALI E CONTROINDICAZIONI: Normalmente, sono farmaci ben tollerati ma possono indurre cefalea, astenia, vertigini. Presentano una bassa incidenza di tosse secca e di angioedema. Possono causare una grave ipotensione in pazienti con alti tassi di renina ematica, dove appunto solo il sistema renina-angiotensina controlla la pressione. In questi casi si può avere oliguria, ipotensione ed insufficienza renale. Sono controindicati in gravidanza e dovrebbero essere sospesi prima del II trimestre. Gli ARB possono provocare iperkaliemia in soggetti che assumono supplementi di potassio o diuretici risparmiatori di potassio. Recenti evidenze suggeriscono un aumento del rischio di cancro associato all’utilizzo dei sartani. INTERAZIONI FARMACOLOGICHE: La terapia contemporanea con sartani o ACE-inibitori e cotrimossazolo aumenta il rischio di ipercalciemia, con gli effetti patologici correlati, soprattutto aritmie cardiache. L’azione degli ARB è sinergica con quella degli altri antipertensivi, quindi la dose dovrebbe essere ridotta a seguito di somministrazione di più farmaci. INIBITORE DELLA RENINA: ALISKIREN L’aliskiren è un inibitore della renina, interrompendo a monte l’attivazione del SRAA. È efficace nell’abbassare sia la pressione diastolica che la sistolica. Inoltre tale farmaco ha dimostrato di possedere un effetto reno-protettivo in soggetti affetti da nefropatia diabetica. Tale categoria di farmaci presenta inoltre un bassa incidenza di effetti collaterali, al momento. DIURETICI I diuretici sono farmaci utilizzati per aumentare il volume di urina e l’escrezione di sodio e cloro in casi di ritensione idrica. Esistono varie classi di diuretici, ciascuna caratterizzata da un particolare meccanismo di azione: a) Diuretici osmotici; b) Inibitori dell’anidrasi carbonica; c) Diuretici tiazidici e tiazido-simili; d) Diuretici dell’ansa; e) Diuretici risparmiatori di potassio. L’azione principale dei diuretici è quella di ridurre la volemia. Anche se la somministrazione di diuretici determini la perdita di sodio dal corpo, tale perdita non continua all’infinito, ma la natriuresi viene bloccata dal freno diuretico, una serie di meccanismi per cui l’organismo adegua l’escrezione di sodio in funzione al suo apporto. Questi meccanismi comprendono: attivazione del simaptico, attivazione del SRAA, alterazioni degli ormoni natriuretici. DIURETICI OSMOTICI I diuretici osmotici sono sostanze di basso peso molecolare, farmacologicamente inerti, filtrabili, non soggette a metabolismo, non diffusibili attraverso le membrane cellulari. Tra i diuretici osmotici, quelli di significativo utilizzo clinico sono: - Mannitolo; - Isosorbide; - Urea; - Glicerolo. Mannitolo ed urea vanno somministrati per i.v., mentre glicerolo e isosorbide vanno somministrati per os. EFFETTI FARMACOLOGICI: Generano una forza osmotica nel lume tubulare che si oppone al riassorbimento dell’ultrafiltrato glomerulare con un aumento dell’eliminazione renale di acqua e Sali. Viene eliminata fino al 25% dell’acqua ultrafiltrata e vengono escreti tutti i metaboliti. Agiscono soprattutto prossimale e dei dotti collettori. Aumentano il volume dei liquidi extracellulari e quindi il volume ematico, riducendo la viscosità del sangue e la secrezione di renina. Ciò determina un aumento del flusso ematico renale, anche a livello della midollare, con richiamo dei soluti dall’interstizio, con riduzione dell’osmolarità. . Vengono utilizzati per l’estrazione dell’acqua dall’occhio e dal cervello per aumento della pressione osmotica del plasma. I diuretici osmotici provocano un aumento dell’escrezione di tutti gli elettroliti. USI TERAPEUTICI: Il mannitolo viene utilizzato per il trattamento di: - Glaucoma, 50-200 g i.v. nelle 24 ore; - Edema cerebrale, 1 g/kg, somministrazione i.v. rapida; - Sindrome da squilibrio da dialisi, determinando ipoosmolarità dei fluidi extracellulari, con espansione del LIC, determinando ipotensione e sintomi centrali. PRECAUZIONI ED EFFETTI COLLATERALI: In genere sono ben tollerati, ma possono causare ipertermia con brividi. I diuretici osmotici si distribuiscono nei fluidi extra-cellulari, contribuendo a determinarne l’osmolarità. L’acqua viene richiamata dai compartimenti intracellulari e il volume extracellulare aumenta. Sono controindicati nell’insufficienza cardiaca congestizia, per via dell’aumento della volemia, provocando edema polmonare. Possono determinare iponatriemia per diluizione eccesiva del LEC, con insorgenza di cefalea, nausea e vomito. Sono controindicati nei pazienti con anuria e in quei soggetti che non manifestano alcun effetto alla somministrazione di una dose di prova. Stravasi di urea possono provocare trombosi con dolore e non deve essere somministrata in pazienti con alterata funzionalità epatica, per via dell’aumento dell’azotemia. Mannitolo e urea sono controindicati in soggetti con emorragia cranica in corso, inoltre il glicerolo, venendo metabolizzato, può dare iperglicemia. INIBITORI DELL’ANIDRASI CARBONICA L’anidrasi carbonica è un enzima zinco-dipendente che si trova in abbondanza sulle membrane luminali e basolaterali (anidrasi carbonica di tipo IV) e nel citoplasma (anidrasi carbonica di tipo II). L’anidrasi carbonica è espressa anche in tessuti extrarenali, come occhio, mucosa gastrica, SNC, globuli rossi. L’anidrasi carbonica intracellulare fornisce gli ioni H+ che vengono scambiati con il sodio proveniente da: a) Bicarbonato ultrafiltrato, l’acido carbonico luminale è scisso dall’anidrasi carbonica della membrana luminale; b) Fosfato bibasico con formazione di fosfato monobasico ed acidificazione dell’urina; c) NaCl con formazione di ione ammonio. L’anidrasi carbonica svolge un ruolo chiave del riassorbimento di NaHCO3 e nella secrezione degli acidi. Nel tubulo prossimale, l’energia libera del gradiente di sodio, determinata dalla pompa basolaterale del sodio, viene utilizzata da un antiporto Na+/H+ della membrana luminale, per trasportare idrogenioni nel lume e riassorbire il sodio. Nel lume, gli idrogenioni reagiscono con l’HCO 3- a formare H2CO3, e l’anidrasi carbonica scinde questi in anidride carbonica e acqua. L’anidride carbonica raggiunge l’interno della cellula, dove l’anidrasi carbonica citoplasmatica la ritrasmorma in H2CO3, che libera l’idrogenione mantenendo attivo il controtrasporto col sodio. A livello della membrana basolaterale vi è un cotrasportatore Na+/HCO3-, che estrude all’esterno il bicarbonato e il sodio, seguita dall’acqua (riassorbimento isotonico). La rimozione dell’acqua fa si che il cloro si concentri nel lume, e di conseguenza si muove nello spazio interstiziale per via paracellulare secondo gradiente. Gli inibitori dell’anidrasi carbonica bloccano tutto questo processo, che avviene a livello del tubulo contorto prossimale. Tuttavia, data l’abbondanza dell’enzima, per osservare qualche effetto bisogna aspettare del tempo. Gli inibitori dell’anidrasi carbonica sono: - Acetazolamide; - Metazolamide; - Diclorfenamide; Questi sono composti sulfamidici che agiscono prevalentemente a livello del tubulo contorto prossimale ed in parte sul nefrone distale. Inibiscono tutte le isoforme di anidrasi carbonica. Sono blandi diuretici utilizzati in associazione con altri o per differenti usi clinici. EFFETTI FARMACOLOGICI: Questi farmaci determinano a livello dell’escrezione urinaria: - Aumento dell’escrezione urinaria di bicarbonato; - Inibizione dell’escrezione di acidi ed ammoniaca; - Alcalinizzazione dell’urina, con innalzamento del pH fino a 8, in questo modo viene facilitata l’eliminazione di farmaci acidi; - Il cloro e il sodio sono scarsamente escreti a causa del riassorbimento nell’ansa di Henle. Il sodio è scambiato con il potassio che viene escreto; - Acidosi metabolica (non viene prodotto HCO3-) ipokaliemica (viene riassorbito il sodio e scambiato con il potassio), ipercloremica (il riassorbimento del cloro segue quello del sodio); - Azione autolimitante, per la scarsa ultrafiltrazione di bicarbonati; - Riduzione della pressione intraoculare per riduzione di formazione di umor acqueo. Questi farmaci presentano un legame molto forte con l’enzima e, di conseguenza, dopo somministrazione per via sistemica, nei tessuti in cui l’enzima è presente in elevata quantità viene riscontrata una grande concentrazione di farmaco. USI TERAPEUTICI: Questi farmaci sono utilizzati: - Come diuretici in associazione con altri diuretici in pazienti resistenti alla monoterapia; - Glaucoma ad angolo aperto, per os e per iv 0,25-1 g/die; - Epilessia, per acidosi metabolica. PRECAUZIONI ED EFFETTI COLLATERALI: Con questi farmaci raramente si verificano effetti tossici. La maggior parte degli effetti collaterali è dovuta all’alcalinizzazione dell’urina o all’acidosi metabolica. L’acetazolamide non va somministrata per via i.m. o per lunghi periodi. È controindicata nell’insufficienza epatica o renale e nelle acidosi metaboliche o respiratorie. Vi possono essere mielodepressione e ipersensibilità da sulfamidici. Vi può essere il rischio di encefalopatia di origine epatica da iperammoniemia. Infine possono generare calcoli renali per precipitazione di Sali di fosfato di calcio. DIURETICI TIAZIDICI E TIAZIDO-SIMILI I diuretici tiazidici sono composti contenenti un gruppo sulfamidico ed un alogeno in posizione 6. Il farmaco capostipite di questa classe era la benzotiadiazina, da cui poi è derivata il nome di questa categoria. Questi farmaci sono diuretici di media potenza che inibiscono il cotrasporto Na+/Cl- della membrana luminale nella parte iniziale del tubulo contorto distale. Sono anche dei deboli inibitori dell’anidrasi carbonica. Nel tubulo contorto distale, che è impermeabile all’acqua e costituisce il segmento diluente corticale, il sodio e il cloro sono riassorbiti attraverso il cotrasporto per gradiente. Il cloro entra all’interno della cellula contro gradiente, sfruttando il cotrasporto con il sodio. Il sodio passa nell’interstizio ad opera della Na+/K+ ATPasi, che mantiene il gradiente e di conseguenza il cloro esce passivamente tramite canali dalla membrana basolaterale. Il potassio e il cloro passano nell’interstizio mediante cotrasporto e canali specifici. Il calcio entra nella cellula attraverso canali specifici e viene scambiato con il sodio. I diuretici tiazidici inibiscono il trasportatore ENCC1, specifico del tubulo contorto distale. Mutazioni genetiche di questo canale causano la sindrome di Gitelman, caratterizzata da alcalosi ipokaliemica. I composti maggiormente utilizzati sono: - Clorotiazide; - Idroclorotiazide; - Clortalidone; - Chinetazone. EFFETTI FARMACOLOGICI: Questi farmaci si legano al cotrasportatore Na+/Cl-, competendo per il sito di legame per il cloro. In questo modo viene eliminato circa il 5% del sodio filtrato e cloro. Il sodio in eccesso nella zona del nefrone a valle è in parte scambiato con il K+ e H+. L’urina finale è più ricca di cloruro di sodio (saluresi), con più potassio e NH4+ come cloruri e bicarbonati. Inoltre, alcuni diuretici tiazidici sono dei deboli inibitori dell’anadrisa carbonica, portando all’escrezione urinaria di bicarbonati. La somministrazione acuta di questi farmaci favorisce l’escrezione di acido urico, ma l’escrezione di questa sostanza diminuisce col tempo. L’escrezione del calcio diminuisce e viene indotto uno stato di ipokaliemia ipocloremica. La ridotta escrezione di calcio è dovuta ad un aumento del riassorbimento nella porzione prossimale e ad una stimolazione diretta dei diuretici del riassorbimento nel tratto distale. Questi composti possono provocare magnesuria, i cui meccanismi sono sconosciuti. Siccome il tubulo contorto distale non partecipa all’ipertonia della midollare renale, i tiazidici non alterano la produzione di urina concentrata in situazione di carenza idrica. Infine questi farmaci possiedono effetti diretti vasodilatatori poichè inducono l’apertura dei canali del potassio delle cellule muscolari lisce. Questo determina iperpolarizzazione, con riduzione dell’ingresso di calcio dai canali VOCC e successiva vasodilatazione. CARATTERISTICHE FARMACODINAMICHE E FARMACOCINETICHE: La qualità e gli effetti natriuretici di questi farmaci sono equivalenti, differiscono solo per la potenza, cioè la dose da somministrare. Agiscono entro 1-2 ore e la biodisponibilità orale va dal 60-100%. L’emivita ne permette 1-2 somministrazioni al giorno e si preferisce la somministrazione di mattina, in modo tale che la diuresi non interferisca con il sonno. Questi farmaci sono acidi organici e vengono secreti a livello del tubolo contorto prossimale. Affinchè questi farmaci abbiano effetto, questi devono passare nel lume, quindi farmaci come il probenecid possono ridurre la risposta a questi farmaci competendo per l’escrezione. Il legame alle proteine plasmatiche è variabile per i singoli farmaci e ciò determina la quota filtrabile di farmaco. USI CLINICI: I diuretici tiazidici vengono utilizzati per: - Trattamento di edemi associati a insufficienza cardiaca congestizia, cirrosi epatica, sindrome nefrosica, insufficienza renale, glomerulonefrite acuta; - Ipertensione, da soli o in associazione con farmaci antipertensivi o con diuretici risparmiatori di potassio. In confronto ai diuretici dell’ansa, hanno emivita più lunga ed effetti vasali diretti; - Nefrolitiasi da calcio, vengono utilizzati i diuretici tiazidici che inibiscono l’escrezione di calcio; - Coadiuvanti dell’osteoporosi; - Riduzione della poliuria nel diabete insipido nefrogeno, con riduzione del volume di circa al 50%. - Siccome gli alogenuri vengono escreti tramite processi renali simili a quelli del cloro, i diuretici tiazidici vengono anche utilizzati nell’intossicazione da bromo. PRECAUZIONI ED EFFETTI COLLATERALI: Sono in genere farmaci ben tollerati, ma che possono precipitare disturbi metabolici per il loro effetto saluretico. Sono controindicati nell’insufficienza epatica e renale, iperuricemia e ipersensibilità ai sulfamidici. Possono causare ipokaliemia, iponatriemia, ipercalcemia, alcalosi ipocloremica. Ipokaliemia può determinare fibrillazione ventricolare che rappresenta la maggiore causa di morte in soggetti in trattamento antipertensivo. Possono determinare disturbi dell’erezione e riduzione della tolleranza al glucosio per apparente minore produzione di insulina. Inoltre vi è anche un aumento dei livelli plasmatici di colesterolo totale e LDL. I diuretici tiazidici possono ridurre gli effetti degli anticoagulanti, degli uricosurici e dell’insulina, mentre potenziano gli effetti degli anestetici, diazossido, dei glicosidi digitalici, del litio, dei diuretici dell’ansa e della vitamina D. l’efficacia viene ridotta dai FANS e dai sequestranti degli acidi biliari, che ne riducono l’assorbimento orale. L’amfotericina B e i glucocorticoidi aumentano il rischio di ipokaliemia associato ai diuretici tiazidici. Esiste infine un’interazione fatale tra i diuretici tiazidici e la chinidina, un antiaritmico. L’allungamento eccessivo del tratto QT può portare ad una tachicardia ventricolare polimorfica (torsione di punta) dovuta ad alterazioni elettriche della membrana. DIURETICI DELL’ANSA I diuretici dell’ansa sono diuretici che inibiscono il cotrasporto Na+/K+/2Cl- nel ramo ascendente dell’anse di Henle. Questi farmaci sono anche definiti diuretici drastici e risultano essere molto efficaci per due motivi: 1) Circa il 25% del sodio filtrato viene riassorbito a questo livello; 2) I segmenti a valle non riescono a compensare il mancato riassorbimento del tratto ascendente dell’ansa. In questa parte del nefrone viene riassorbito il 15-25% del sodio per il gradiente generato dalla Na+/K+ ATPasi basolaterale. La fuoriuscita di potassio e di cloro causa una differenza di potenziale nel lume positiva, che determina il riassorbimento paracellulare di sodio, calcio e magnesio. Gli inibitori sono diversi dal punto di vista chimico. I farmaci di questa classe più utilizzati sono: - Furosemide; - Piretanide; - Torasemide; - Acido etacrinico; - Etozolina. Il trasportatore Na+/K+/2Cl- sfrutta il gradiente del sodio, creato dalla pompa Na+/K+, per permettere l’ingresso degli altri ioni. Inoltre viene generato anche un gradiente ellettrochimico, dovuto al riassorbimento del cloro, che permette il riassorbimento paracellulare di magnesio e calcio. I diuretici dell’ansa molto probabilmente inibiscono il trasporto legandosi al dito del cloro. Il trasportatore ENCC2 assorbente è espresso solo a livello renale, localizzato sulla membrana apicale delle cellule dell’ansa e regolato da PKA e AMP ciclico. Invece la proteina ENCC3 è una proteina house keeping, responsabile della secrezione. Mutazioni del simporto determinano la sindrome di Bartter (alcalosi ipokaliemica ereditaria con perdita di sale e ipotensione. EFFETTI FARMACOLOGICI: Questi farmaci determinano: - Diminuzione della concentrazione intracellulare di sodio e cloro seguita da riduzione dell’attività dell’ATPasi e caduta del potenziale luminale positivo; - Forte riduzione del riassorbimento di sodio e cloro che non è validamente compensata dai segmenti a valle; - Stimolazione del rilascio di renina; - Stimolazione del rilascio di prostaglandine, con aumento della capacitanza venosa. Quindi, verrà escreta un’urina contenente elevate quantità di sodio fino al 20-25% dello ione ultrafiltrato e di cloro; una maggiore quantità di potassio e di idrogenioni per scambio cationico distale, con il sodio per aumentata produzione di aldosterone da contrazione della volemia e da stimolazione del SRAA; una maggiore quantità di calcio e magnesio per inibizione del riassorbimento; alcalosi metabolica ipokaliemica e ipocloremica. La furosemide, essendo un debole inibitore dell’anidrasi carbonica, determina l’escrezione anche di una certa quantità di bicarbonato. In fase acuta, i diuretici dell’ansa provocano un aumento dell’escrezione di acido urico, cosa che non accade a seguito di una somministrazione cronica. I diuretici dell’ansa impediscono la creazione di un gradiente di soluti tra il lume del tubulo e la midollare, in questo modo non sarà possibile concentrare l’urina ne di espellere un’urina diluita. I FANS riducono l’efficacia dei diuretici dell’ansa, poichè tendono a diminuire il flusso ematico al rene, inoltre i diuretici dell’ansa, bloccando i trasportatori, blocca anche quelli della macula densa, in questo modo viene meno il feed-back tubulo-glomerulare perchè la macula densa non è più sensibile alla concentrazione di NaCl luminale. Per questa ragione, i diuretici dell’ansa, al contrario degli inibitori dell’anidrasi carbonica, non determinano una variazione della GFR (glomerular filtration rate), tuttavia stimolano il rilascio di renina determinando ritenzione di liquidi e attivazione del sistema nervoso simpatico. La furosemide aumenta la capacitanza venosa e riduce la pressione di riempimento del ventricolo sinistro. Queste azioni sono benefiche nei soggetti con edema polmonare. CARATTERISTICHE FARMACOCINETICHE: Sono molto legati alle proteine plasmatiche, > 95%, pertanto arrivano a livello dell’epitelio tubulare principalmente per secrezione tubulare, grazie al sistema di secrezione degli acidi, e in minor misura per filtrazione glomerulare. Possono essere somministrati sia per via orale che i.v. per avere effetti rapidi. L’emivita è compresa tra 1-4 ore, l’effetto è completo in 6 ore, pertanto è possibile somministrarli due volte al giorno. L’escrezione è principalmente renale dopo biotrasformazione, quindi l’eliminazione è compromessa nell’insufficienza epatica e renale. Circa il 65% della furosemide viene escreta immodificata e il rimanente viene coniugato con acido glucuronico nel rene, quindi l’emivita di tale farmaco è aumentata nei pazienti con modificazioni dell’attività renale. Bumetanide e torasamide sono metabolizzati dal fegato, così la loro emivita aumenta a seguito di insufficienza epatica. Tutti i diuretici dell’ansa hanno una breve emivita, quindi le somministrazioni devono essere effettuate ad intervalli frequenti. La torasamide presenta un’emivita più lunga. Inoltre non appena la concentrazione di diuretico si abbassa, il nefrone inizia a riassorbire avidamente sodio, portando ad un annullamento dell’effetto diuretico. In questa fase si consiglia una dieta a basso contenuto di sodio. USI CLINICI: I diuretici dell’ansa sono utilizzati: - Edema polmonare acuto; - Scompenso cardiaco cronico; - Edema da sindrome nefrosica; - Edema da cirrosi epatica; - Oliguria da insufficienza renale, ma sono controindicati nell’insufficienza renale con anuria; - Ipertensione, con un profilo di efficacia pari ai tiazidici. Tuttavia data la loro breve emivita non vengono utilizzati per una terapia cronica; - Ipercalcemia. PRECAUZIONI ED EFFETTI COLLATERALI: Sono farmaci potenti che possono causare alterazioni metaboliche collegate all’attività diuretica, iponatriemia e alcalosi ipocloremica. A causa dell’attivazione del sistema RAA, può insorgere ipokaliemia, con l’insorgere di aritmie cardiache. Inoltre possono determinare ipomagnesiemia (predisponente alle aritmie) e ipocalcemia (predisponente a tetania). Si sconsiglia la somministrazione di questi farmaci in donne in menopausa. Possono indurre ototossicità, per alterazione della composizione elettrolitica dell’endolinfa. Tuttavia tale fenomeno è reversibile. Quello più ototossico è l’acido etacrinico. Possono indurre iperuricemia e raramente iperglicemia, con alterazioni del metabolismo del colesterolo. I diuretici hanno importanti interazioni farmacodinamiche e farmacocinetiche con altri farmaci. In alcuni casi può svilupparsi resistenza ai diuretici dell’ansa. Affinchè la classe svolga i suoi effetti: - Vi deve essere sufficiente concentrazione del farmaco a livello della membrana luminale dell’epitelio del tratto ascendente dell’ansa di Henle; - Grado di filtrazione glomerulare che assicuri un sufficiente apporto di sodio al sito di azione; - Non vi deve essere il riassorbimento del sodio nei segmenti distali del nefrone. Inoltre alcune condizioni morbose possono alterare il profilo farmacocinetico di questa classe di farmaci. In questo caso bisogna: - Aumentare la dose e/o ridurre l’intervallo di somministrazione; - Deve essere assicurata una perfusione venosa continua per mantenere nel tempo una concentrazione efficace; - Associare un diuretico tiazidico. INTERAZIONI FARMACOLOGICHE: Le controindicazioni per questa classe di diuretici comprendono la possibilità di iponatriemia, disidratazione, ipersensibilità ai sulfamidici e anuria non sensibile a test con diuretico. Tra le interazioni farmacologiche, si ricordano: - Antibiotici aminoglicosidici, aumentano il rischio di ototossicità; - Anticoagulanti, aumento dell’attività anticoagulante (per fenomeni di spiazzamento di legame con le proteine plasmatiche); - Glicosidi digitalici, aumento del rischio di aritmie cardiache; - Litio, aumento della concentrazione plasmatica; - Propranololo, aumento della concentrazione plasmatica; - Sulfaniluree, iperglicemia; - Cisplatino, aumento del rischio di ototossicità; - FANS, con riduzione dell’effetto diuretico; - Probenecid, riduzione dell’effetto antidiuretico; - Diuretici tiazidici, attività sinergica e forte stimolazione della diuresi; - Amfotericina B, aumento del rischio di nefrotossicità e squilibrio elettrolitico; - ACE-inibitori, aumento dell’effetto ipotensivo. DIURETICI RISPARMIATORI DI POTASSIO:INIBITORI DEL CANALE PER IL SODIO Questi farmaci sono blandi diuretici, che agiscono sul nefrone distale (segmento di connessione e dotto collettore) con differenti meccanismi di azione. In questa parte del nefrone la quota di sodio riassorbita è del 2-3% della quota filtrata. A questo livello esistono due popolazioni cellulari differenti: le cellule principali e le cellule intercalate. Nelle cellule principali, il sodio entra per un canale apicale non voltaggio dipendente, inibito dall’amiloride e dal triamterene, generando una differenza di potenziale negativa nel lume. Tale differenza causa il passaggio nel lume di: - Potassio attraverso un canale specifico; - Idrogenioni generati dall’anidrasi carbonica della cellula intercalare e secreti da un’ATPasi specifica. I canali per il sodio che vengono inibiti da questa classe sono formati da tre subunità, α, β, γ. Queste tre subunità si associano a formare il canale ENaC. Mutazioni, con aumento di funzione, delle subunità β e γ portano alla sindrome di Liddle (ipervolemia ed ipertensione, con bassi livelli di renina). L’amiloride è molto efficace per il trattamento di questi pazienti. L’aldosterone, legandosi al suo recettore citosolico stimola l’espressione di AIP (aldosterone-induced protein), tra cui canali e pompe per il sodio. Gli inibitori dei canali per il sodio più utilizzati sono: a) Amiloride; b) Triamterene. EFFETTI FARMACOLOGICI: Gli effetti farmacologici di questa classe di farmaci sono: - Inibizione del canale del sodio; - Riduzione della differenza negativa di potenziale; - Riduzione del passaggio di potassio e idrogenioni nel lume. L’urina contiene un lieve eccesso di NaCl, ma una minore quantità di potassio, idrogenioni, calcio e magnesio. Quindi questi farmaci sono usati in associazione con i diuretici tiazidici o dell’ansa per ridurre l’escrezione di potassio in edemi di varia origine, e possono essere somministrati per os. L’amiloride viene escreto perlopiù immodificato, invece il triamterene viene escreto nella sua forma attiva come 4-idrossitriamterene solfato. La tossicità del triamterene aumenta nell’insufficienza renale ed epatica. PRECAUZIONI ED EFFETTI COLLATERALI: Questi farmaci possono causare un’iperkaliemia potenzialmente fatale. Sono controindicati in pazienti con insufficienza renale o in trattamento con gli ACE-inibitori o che assumono supplementi di potassio. I FANS possono aumentare il rischio di iperkaliemia. La pentamidina e il trimetoprim sono utilizzati nel trattamento dell’infezione di Pneumocystis carinii in soggetti con AIDS, questi composti sono dei deboli inibitori del canale e possono dare iperkaliemia. Il triamterene è un’antagonista dell’acido folico, quindi in soggetti con cirrosi, può aumentare il rischio di megaloblastosi. Inoltre il triamterene può indurre tolleranza al glucosio, fotosensibilizzazione e calcoli renali. L’amiloride da nausea, vomito, diarrea e cefalea, mentre il triamterene da capogiri, crampi alle gambe, vomito e nausea. Entrambi possono causare anche ipotensione posturale e disturbi gastrointestinali. USI CLINICI: Sono utilizzati in combinazione con altri diuretici, mantenendo nella norma l’escrezione del potassio. La sindrome di Liddle viene trattata con questi farmaci. L’amiloride in forma di aerosol migliora la clearence mucociliare dei pazienti affetti da fibrosi cistica, inoltre è utile nel diabete renale indotto dal lito, poichè blocca il trasporto del litio nelle cellule del dotto collettore. DIURETICI RISPARMIATORI DEL POTASSIO: ANTAGONISTI DELL’ALDOSTERONE Legandosi ai loro recettori, i mineralcorticoidi provocano ritenzione idrica e salina, aumentando l’escrezione di K+ e H+. Le cellule della tubulo contorto distale e del dotto collettore contengono i recettori per l’aldosterone. Entrato dalla membrana baso-laterale, l’aldosterone porta all’espressione di AIPs (aldosterone induced proteins), che determinano un aumento della conduttanza al sodio della membrana luminale e dell’attività ATPasica della membrana baso-laterale. L’aumento del riassorbimento di sodio fa aumentare il voltaggio negativo transepiteliale nel lume che a sua volta attira potassio e idrogenioni, facilitandone l’escrezione. In questa categoria rientrano lo spirinolattone e l’eplerenone. Questi composti sono anche detti antagonisti dell’aldosterone. EFFETTI FARMACOLOGICI: Lo spirinolattone è un’antagonista del recettore dell’aldosterone. Quindi viene inibita l’espressione delle AIPs, con riduzione dell’assorbimento del sodio. L’effetto finale di tale farmaco è simile a quello degli altri farmaci risparmiatori di potassio. Tuttavia l’attività dello spirinolattone dipende dai livelli endogeni di aldosterone. Presenta infine una certa affinità per il recettore per il progesterone e degli androgeni, e può indurre ginecomastia, impotenza e irregolarità mestruali. L’eplerenone non presenta questa azione. Lo spirinolattone inibisce i canali del potassio ether-a-go-go, portando a rischio di aritmie, inoltre può intervenire nella metabolizzazione degli ormoni steroidei, bloccandola. Lo spirinolattone viene assorbito, in gran parte metabolizzato e sottoposto al ricircolo entero-epatico. Si lega alle proteine plasmatiche, con un’emivita di circa 1,6 ore. Il metabolita attivo dello spirinolattone, il canrenone ha un’emivita dieci volte più lunga. L’eplerenone ha una buona biodisponibilità orale e viene metabolizzato dal CYP3A4 nel suo metabolita inattivo. USI CLINICI: Lo spirinolattone viene utilizzato per il trattamento di: - Iperaldosteronismo primario; - Edemi associati ad iperaldosteronismo secondario, come cirrosi epatica (diuretico di elezione), sindrome nefrosica, insufficienza cardiaca, dove in genere è utilizzato associato con altri diuretici; - Scompenso cardiaco (classe III-IV NYHA). PRECAUZIONI ED EFFETTI COLLATERALI: Questi farmaci possono determinare un’iperkaliemia potenzialmente fatale e questi farmaci sono controindicati in pazienti a possibile rischio di sviluppare iperkaliemia. Inoltre possono causare acidosi metabolica nei pazienti cirrotici. Possono portare a impotenza, ginecomastia e dismenorrea. È controindicato in gravidanza e allattamento e anche per il trattamento del morbo di Addison. I salicilati riducono l’escrezione del canrenone, facendo diminuire l’effetto diuretico dello spirinolattone, mentre quest’ultimo può alterale la clearence renale dei glicosidi digitalici. Può anche provocare diarrea, emorraggie gastriche, pertanto è controindicato nei pazienti affetti da ulcera peptica. A livello del SNC può dare sonnolenza, letargia, atassia e cefalea. Gli inibitori del CYP3A4 possono determinare un aumento dell’emivita dell’eplerenone, quindi bisogna stare molto attenti in corso di terapie plurifarmacologiche. Avvertenze e precauzioni sull’uso dei diuretici Innanzitutto, la necessità e lo schema di somministrazione di diuretici dipendono dal quadro clinico. Nell’ipertensione si usano di preferenza i diuretici tiazidici per via orale. Nell’insufficienza cardiaca cronica si utilizzano i tiazidici o i diuretici dell’ansa per via orale anche in associazione. Nello scompenso cardiaco con edema polmonare acuto si utilizzano i diuretici dell’ansa per via endovenosa, eventualmente associati ai tiazidici o spirinolattone per via orale. I diuretici riducono la morbilità e mortalità in pazienti con scompenso cardiaco acuto e cronico. Le associazioni tra diuretici a diverso meccanismo causano forte sinergismo degli effetti diuretici ed ipotensivi (ipokaliemia), quindi iniziare il trattamento con bassi dosaggi. Le associazioni tra diuretici della stessa classe non causano sinergismo dell’azione diuretica e pertanto non sono clinicamente giustificabili. FARMACI AGONISTI ED ANTAGONISTI DELL’ADH L’omeostasi dell’osmolarità dei fluidi corporei è controlla da un sistema che è in grado di correggere sia l’assunzione dell’acqua che la velocità di escrezione. Un ormone presiede all’attività di tutto il sistema, rilasciato a livello della neuroipofisi: l’ormone antidiuretico o vasopressina. Nell’uomo la vasopressina va ad agire a livello del dotto collettore, facendo aumentare il riassorbimento dell’acqua. ADH La vasopressina è un ormone della neuroipofisi, un nonapeptide, che induce vasocostrizione e ritenzione idrica. La sua secrezione è regolata dall’osmolarità plasmatica, che viene mantenuta ad un valore costante intorno ai 280 mOsm/kg. Una volta secreta, la vasopressina va ad agire su tre differenti recettori accoppiati a proteina G: 1) Recettori V1a (vascolari e epatici) e V1b (ipofisari), accoppiati a proteina Gq, la loro attivazione induce vasocostrizione, aggregazione piastrinica e rilascio di ACTH; 2) Recettori V2, accoppiati a proteina Gs, determina la fosforilazione e traslocazione sulla membrana delle cellule principali dei dotti collettori renali di WCV (water channel-containg vescicles, aquaporin channels), che aumentano il riassorbimento dell’acqua portando a ritenzione idrica; 3) Recettori V2 endoteliali, extrarenali, che inducono la secrezione di fattore VIII e di von Willebrand dai depositi endoteliali, inducendone un aumento dei livelli circolanti. I FANS, tra cui l’indometacina, sopprimendo la sintesi di prostaglandine potenziano l’effetto antidiuretico dell’ADH, così come pure carbamazepina e clorpropamide. Altri farmaci invece annullano l’azione dell’ADH, come il litio che determina una ridotta stimolazione dell’adenilato ciclasi, stimolata dai recettori V2, quindi non avviene la traslocazione delle vescicole. Anche l’antibiotico demeclociclina attenua l’effetto antidiuretico della vasopressina. Agonisti dell’ADH: desmopressina L’ADH presenta un ponte disolfuro intramolecolare tra i residui di cisteina 1-6. Questo ponte è essenziale per l’attività agonista. La desmopressina o V2,1-deamino-8-D-arginino vasopressina è un agonista selettivo per i recettori V2, circa 3000 volte più potente, in senso antidiuretico, rispetto l’ADH. Inoltre non presenta effetto vasocostrittore. USI CLINICI: La desmopressina viene utilizzata per il trattamento di: - Diabete insipido centrale e nefrogeno; - Enuresi notturna primaria; - Emofilia; - Malattia di von Willebrand. Nel diabete insipido centrale vi è una insufficiente produzione di vasopressina. Le cause possono essere svariate: idiopatico, dovuto ad interventi chirurgici, traumi, tumori. L’attuale schema terapeutico prevede la somministrazione di desmopressina con varie modalità: - Per os, o,3 mg iniziali in 3 somministrazioni, fino ad un massimo di 0,2-1,2 mg/die; - Per via sublinguale, 180 µg iniziali in 3 somministrazioni, fino ad un massimo di 120-720 µg/die; - Per via nasale, 10-40 µg al giorno in due somministrazioni. Inoltre vengono somministrati come adiuvanti la clorpropamide (125-500 mg/die) e carbamazepina (800-1000 mg/die), che potenziano l’azione antidiuretica di vasopressina e desmopressina. Nel diabete insipido nefrogeno il deficit risiede al livello renale, e può essere congenito o acquisito: - Congenito, dovuto ad alterazioni o del recettore V2 (X-linked) o dell’acquaporina; - Acquisito, dovuto ad insufficienza renale, ostruzione, o da somministrazione di litio e carbamazepina. In questo caso la terapia prevede una corretta assunzione di acqua e la somministrazione di amiloride che blocca l’assorbimento del litio a livello dei trasportatori del sodio. In caso di diabete insipido non indotto da litio, si utilizzano i diuretici tiazidici associato ad una ridotta assunzione di sodio. Questo approccio terapeutico è molto utile nei bambini affetti da diabete insipido nefrogeno, nei quali non si riesce a compensare l’eccessiva perdita di acqua. FARMACOCINETICA: Quando la desmopressina viene somministrata per os, buona parte viene inattivata dalla tripsina. Una volta in circolo, peptidasi presenti in vari tessuti, determinano un’emivita di 17-35 minuti. Quando viene somministrata per via im o iv, l’emivita presenta un andamento bifasico, rispettivamente di 6-9 minuti e di 30-117 minuti. INTERAZIONI FARMACOLOGICHE: Farmaci che sono in grado di potenziare l’effetto antidiuretcico sono: - Morfina; - Antidepressivi triciclici; - FANS. Farmaci che sono in grado di ridurre l’effetto antidiuretico sono: - Litio; - Demeclociclina; - Etanolo. TRATTAMENTO DELL’IPONATREMIA Per iponatremia si intende la riduzione della concentrazione di sodio plasmatica a valori minori di 135 mEq/L. Questa situazione si presenta in circa il 25-30% dei pazienti ricoverati in ICU (intensive care unit). Nei pazienti con sodiemia inferiore ai 120 mEq/L, la mortalità è di circa il 60%. Tra le probabili cause di iposodiemia vi sono: insufficienza cardiaca, cirrosi epatica, SIADH (sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuratico). Per quanto riguarda il trattamento, bisogna differenziare tra le varie forme di iponatremia: - L’iponatremia ipovolemica è trattata con infusione di soluzione salina ipertonica; - L’iponatremia euvolemica ed ipervolemica sono trattate con farmaci antagonisti della vasopressina; - La SIADH è trattata con demeclociclina, una tetraciclina che inibisce l’azione della vasopressina. Antagonisti dell’ADH Gli antagonisti dell’ADH si suddividono in: - Antagonisti dei recettori V1A e V2: conivaptan; - Antagonisti del recettore V2: tolvaptan. Il conivaptan è un antagonista dei recettori V1A e V2 ed aumenta l’escrezione di acqua senza aumentare l’escrezione di sodio. Viene somministrato a dosi di 20 mg per infusione iv di 30 minuti. Una correzione rapida della iposodiemia può causare la sindrome da demielinizzazione osmotica (ODS). Viene metabolizzato dal CYP3A4, quindi è un inibitore metabolico competitivo, determinando l’aumento dell’AUC di simvastatina e digossina. Altri inibitori metabolici, invece, determina un aumento dell’AUC del conivaptan. È controindicato nei pazienti con iponatremia ipovolemica. Gli effetti collaterali sono per lo più reazioni al sito di inoculazione. Il tolvaptan è stato approvato dalla FDA nel 2009. È un antagonista del recettore V2. Aumenta l’escrezione di urina, portando ad un aumento della concentrazione di sodio plasmatica. Viene somministrato a dosi di 15 mg per os, fino a 60 mg nelle 24 ore. Le dosi vanno individualizzate. Viene metabolizzato dal CYP3A4, e anche qui vale lo stesso discorso fatto per il conivaptan. Tra gli effetti collaterali vi sono: astenia, costipazione e pollachiuria. CALCIO-ANATGONISTI I canali del calcio voltaggio-dipendenti, risultano essere un utile bersaglio terapeutico. Esistono vari tipi di canali del calcio: - Canali a bassa soglia, attivati da un potenziale di membrana superiore ai -50 mV e controllano l’eccitabilità e l’attività ritmica delle cellule cardiache e nervose; - Canali ad alta soglia, attivati da un potenziale di membrana superiore ai -40 mV, e controllano la concentrazione di calcio citosolico. I canali ad alta soglia, a loro volta si dividono in: - Canali L o a lunga durata, presenti a livello cardiaco, muscolare, cerebrale, responsabili della contrazione e della liberazione dei neurotrasmettitori, sensibili alle diidropiridine; - Canali N o neuronali, responsabili del signaling neuronale, insensibili alle diidropiridine. I calcio-antagonisti sono importanti farmaci utilizzati in patologie cardiovascolari. Essi bloccano i canali L voltaggio-dipendenti, riducendo così la concentrazione citosolica del calcio. Vengono suddivisi in: - composti di I generazione; - composti di II generazione. I composti di prima generazione si suddividono in: - diidropiridine: nifedipina; - benzotiazepine: diltiazem; - fenilalchelamine: verapamil. I composti di seconda generazione sono: - diidropiridine: amlodipina, lacidipina, felodipina, israpidina, ricardipina, rimodipina, risoldipina. MECCANISMO DI AZIONE: I calcio-antagonisti producono rilassamento dei muscoli lisci vasali ed extravasali. Inoltre il verapamil e il diltiazem hanno anche effetti negativi sulla contrattilità e conduzione cardiaca. Questi farmaci legandosi ai canali del calcio di tipo L, ne impediscono l’apertura, determinando il mancato ingresso dello ione e la non contrazione della fibra muscolare. I canali del calcio sono costituiti da più subunità e i singoli calcio-antagonisti si legano in punti differenti del canale: le diidropiridine e le benzotiazepine si legano a siti vicino sulla subunità α1, mentre le fenilalchelamine si legano all’interfaccia tra la subunità α1 e β. I segmenti transmembranari del canale sono molto ben conservati, l’alta variabilità risiede nelle estremità amminiche e carbossiliche e nelle anse extra e intra-cellulari, che può spiegare la selettività tissutale dei farmaci. Poichè ciascun farmaco presenta un particolare sito di adesione al canale, l’accesso a quest’ultimo sarà dovuto allo stato conformazionale del canale stesso. Il legame del fenilalchilamine (verapamil) è accelerato da stimoli depolarizzanti che aprono il canale, e per questo sono detti farmaci uso-dipendenti. Quindi vi sarà un blocco selettivo del canale in quei tessuti con alta frequenza di depolarizzazione. Da ciò deriva una maggiore affinità per il miocardio rispetto al muscolo liscio vascolare. Le diidropiridine si legano con alta affinità al canale inattivo, determinando un blocco selettivo della depolarizzazione indotta dai mediatori vasocostrittori. Quindi vi sarà una maggiore affinità per il muscolo liscio vascolare rispetto al miocardio. Infine, le benzotiazepine (diltiazem) hanno affinità intermedia. EFFETTI FARMACOLOGICI: Data la selettività specifica per particolari conformazioni del canale del calcio, i singoli farmaci saranno selettivi o per la muscolatura vasale o per il miocardio. Il diltiazem, ma molto di più il verapamil, bloccano l’ingresso del calcio a livello del nodo seno-atriale ed atri-ventricolare e nelle cellule muscolari lisce extravasali. Invece le diidropiridine hanno una spiccata vasoselettività e scarsi effetti cardiaci. I vantaggi della vasocelettività sono: - effetto selettivo a dosi minori rispetto ai farmaci di prima generazione; - sono molto utili nei pazienti con ridotta contrattilità miocardica; - riduzione degli effetti collaterali dovuta alla attivazione simpatica riflessa da vasodilatazione rapida. Felodipina, nisoldipina e nitrendipina sono molto efficaci nell’indurre vasodilatazione periferica, un pò meno per quanto riguarda il circolo coronarico e cerebrale. L’isradipina è un ottimo agente vasodilatante per il circolo coronarico e periferico. La nimodipina induce per lo più vasodilatazione a livello del circolo cerebrale, in minor misura periferico e coronarico. La nicardipina induce vasodilatazione periferica, in minor misura vasodilatazione del circolo cerebrale. FARMACOCINETICA: Quando assunti per os presentano un assorbimento completo, tuttavia sono farmaci soggetti ad intenso metabolismo di primo passaggio per ossidazione e i metaboliti inattivi vengono eliminati dal rene. La loro attività si esplica dopo 30-60 minuti dalla somministrazione. Quindi, l’insufficienza epatica riduce il metabolismo dei calcio antagonisti, mentre l’insufficienza renale non produce effetti significativi. Viaggiano legati a proteine plasmatiche e le loro emivite variano da farmaco a farmaco. Le normali dosi sono miscele racemiche, ad eccezione del diltiazem e della nifedipina. USI CLINICI: I calcio-antagonisti sono utilizzati per: - controllo dell’ipertensione lieve o moderata; - ischemia miocardica: sindromi anginose; - aritmie. Per quanto riguarda il controllo dell’ipertensione, questi farmaci possiedono tutta una serie di meccanismi antipertensivi: - antagonismo dei mediatori vasocostrittori, con vasodilatazione periferica, effetto prevalente sulle arterie; - riduzione del post-carico, con riduzione dell’ipertrofia ventricolare sinistra; - aumento della gittata sistolica, con aumento del circolo renale e un lieve effetto diuretico; - a livello dell’endotelio, vi è il rilascio di NO e inibizione della sintesi di endotelina-1; - effetti antiproliferativi e antiossidanti; - inibizione dell’aggregazione piastrinica. L’effetto antipertensivo dei calcio-antagonisti di I generazione ha insorgenza rapida e breve durata, dovuta soprattutto alla comparsa di effetti simpaticosimili di compensazione. Verapamil e diltiazem hanno effetti cardiaci. La rapida insorgenza di azione della nifedipina (10-20 mg sublinguale) può essere utile nelle emergenze ipertensive. I farmaci di II generazione hanno selettività di azione ed un migliore profilo farmacocinetico per la somministrazione cronica. Indicati solo nell’ipertensione sono: isradipina, lacidipina, lercanidipina. Amlodipina e lacidipina sono considerati di III generazione sulla base della loro lunga durata di azione. Infatti l’effetto dura nel tempo, senza oscillazioni che possono attivare il simpatico. Inoltre non hanno in pratica effetti cardiaci. Possono essere associati ad ACE-inibitori e β-bloccanti. Sono stati effettuati studi che hanno dimostrato che l’associazione di benazepril-amlodipina è superiore all’associazione con benazepril-idroclorotiazide, riducendo il rischio di accidenti vascolari in soggetti ipertesi. La formazione di placche aterosclerotiche può essere riassunta in tre fasi: a) nella I fase, l’eccesso delle LDL determina l’infiltrazione di questa nell’intima dell’endotelio. Le LDL vengono ossidate e vanno incontro a degradazione enzimatica. A seguito della digestione delle LDL, vengono rilasciato fosfolipidi, innescando un processo infiammatorio, con l’espressione di molecole di adesione sulle cellule endoteliali. I macrofagi, giunti nel sito, fagocitano le LDL, infarcendosi e formando le foam cells; b) nella II fase, la perenne risposta infiammatoria determina l’infiltrazione di altri macrofagi, con rilascio di citochine e chemochine. Queste determinano un’amplificazione del processo infiammatorio e del danno tissutale. Inizia la formazione della placca; c) nella III fase, l’infiammazione cronica causa l’infiltrazione dei linfociti T, che vengono attivati e rilasciano citochine. Queste amplificano il processo determinando anche rimodellamento tissutale con fibrosi e formazione della placca. La placca tende a ridurre il flusso ematico nelle regioni a valle della blacca, determinando ischemia. I calcio-antagonisti sono utilizzati anche nelle sindromi anginose. Esistono tre forme cliniche di sindromi anginose: - l’angina stabile: dovuta a placche aterosclerotiche nelle coronarie; - angina instabile: dovuta a placche aterosclerotiche instabili; - angina variante o di Prinzmetal: caratterizzate da vasospasmo. I calcio-antagonisti sono utili sia nella terapia che nella profilassi. Le diidropiridine vasoselettive hanno effetti simili con alcune differenze. I farmaci di II generazione possiedono un profilo farmacocinetico migliore rispetto ai nitroderivati. Sono in grado di dilatare tutti i vasi coronarici e stimolano la proliferazione vasale con la formazione di efficienti circoli collaterali. Il verapamil e il diltiazem hanno effetti inotropi e cronotropi negativi, che possono essere utili nel controbilanciare l’attivazione del sistema simpatico. Nell’angina i calcio antagonisti aumento l’apporto di ossigeno al miocardio con: - aumento del flusso sanguigno coronarico; - dilatazione coronarica, anche nel tratto leso; - miglioramento della perfusione subendocardica; - diminuzione della aggregabilità piastrinica. Inoltre, i calcio-antagonisti riducono al domanda di ossigeno del miocardio con: - diminuzione delle resistenze vascolari periferiche; - diminuzione della contrattilità cardiaca; - diminuzione della frequenza cardiaca; - diminuzione del metabolismo cellulare. Nell’angina instabile, solo se accompagnata da vasospasmo, sono attivi come vasodilatatori ed antiaggreganti, riducono la formazione di placche aterosclerotiche. Le diidropiridine possono essere associate a β-bloccanti e nitroderivati. Nell’angina variante o di Prinzmetal i calcio-antagonisti sono i farmaci di elezione e risolvono fino all’80% dei casi. In quelli più resistenti, possono essere associati ai nitroderivati. Per i suoi effetti sul circolo cerebrale la nimodipina è indicata nel deficit neurologico ischemico da emorragia subaracnoidea. Nell’angina da sforzo, il verapamil e il diltiazem sono particolarmente efficaci per il loro tropismo cardiaco. Le diidropiridine vanno associate con i β-bloccanti. Per quanto riguarda il trattamento delle aritmie, solo il verapamil è indicato nelle aritmie sopraventricolari in alternativa ai β-bloccanti. PRECAUZIONI: Gli studi clinici concordano sul fatto che i calcio-antagonisti non migliorano la morbidità e la mortalità nella prevenzione secondaria della cardiopatia ischemica dopo un infarto acuto del miocardio. Uso dei calcio antagonisti nell’infarto è giustificato solo in caso di angina persistente o in caso di aritmie sopraventricolari. I calcio-antagonisti possono essere associati ad altri farmaci nel trattamento di ipertensione e sindromi anginose. Le associazioni con i diuretici possono portare ad iponatremia ed ipotensione posturale. Verapamil e diltiazem non vanno associati ai β-bloccanti, con attenzione vanno associati alla digossina per il controllo delle tachicardie e tachiaritmie sopraventricolari. CONTROINDICAZIONI ED EFFETTI COLLATERALI: Verapamil e diltiazem sono controindicati nella bradicardia, nel blocco atrio-ventricolare e seno-atriale, e in anamnesi positiva di insufficienza cardiaca. Le diidropiridine sono controindicate nella stenosi aortica, nell’infarto al miocardio recente, in gravidanza e allattamento. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, questi differiscono a seconda del farmaco preso in considerazione, comunque sono dovuti all’azione espletata da questi composti. Infatti gli effetti colaterali più frequenti sono dovuti all’eccessiva vasodilatazione. Il verapamil induce cardiodepressione, ipotensione, blocco AV, edema periferico, cefalea e stipsi. La nifedipina comporta cefalea, ipotensione ed edema periferico mentre il diltiazem comporta ipotensione, edema periferico, blocco AV e cardiodepressione. INTERAZIONI: Un sacco di farmaci sono in grado di alterare la biodisponibilità dei calcio-antagonisti. Cimetidina, ketoconazolo e sulfinopirazone riducono la clearence del verapamil; rifampicina e difenildantoina riducono la clearence di questa classe farmacologica. Il succo di pompelmo induce un aumento della biodisponibilità. In corso di epatopatia vie è un aumento della biodisponibilità e una riduzione della clearence, così come l’età avanzata. I calcio antagonisti, a loro volta, sono in grado di modificare la biodisponibilità di altri farmaci: - il verapamil aumenta la concentrazione ematica della digossina; - verapamil e diltiazem riducono il metabolismo epatico di ciclosporina, statine benzodiazepine; - diltiazem, nicrodipina e nislodipina, aumentano la concentrazione ematica del propranololo. e FARMACI ATTIVATORI DEI CANALI DEL POTASSIO Anche i canali del potassio sono importanti target farmacologici. Vi sono vari tipi di canali per il potassio: - canali a controllo di potenziale; - canali attivati dal calcio; - canali accoppiati ai recettori; - canali attivati dal metabolismo. Tra i farmaci che sono in grado di attivare i canali del potassio vi sono: a) Diazossido; b) Idralazina; c) Minoxidil solfato. Questi farmaci vengono anche definiti come vasodilatatori diretii, poichè agiscono direttamente sulla muscolatura liscia delle arteriole, ma non delle venule. Sono farmaci ipotensivi molto potenti, ma con notevoli effetti collaterali. I canali a controllo del potenziale, si aprono in seguito a depolarizzazione della membrana, favorendo la fuoriuscita di potassio fino al ristabilimento del potenziale di riposo. Per effetto dei farmaci attivatori dei canali del potassio, la permeabilità della membrana al potassio diviene preponderante rispetto gli altri ioni. Quindi le fibrocellule muscolari assumono un valore di potenziale di membrana prossimo a quello di equilibrio del potassio. Ciò determina una iperpolarizzazione della membrana. EFFETTI FARMACOLOGICI: Questa classe di farmaci determina: - Riduzione delle resistenze vascolari nei distretti mesenterico, cutaneo, muscolare scheletrico e cardiaco; - Stimolazione simpatica riflessa con tachicardia e inotropismo positivo. Ciò aumenta la gittata cardiaca, con aumento della pressione di riempimento ventricolare nei pazienti con insufficienza ventricolare sinistra, portando ad ipertensione polmonare; - Riduzione della pressione di perfusione renale e stimolazione del sistema RAA, con aumento della ritenzione idrosalina. USI CLINICI: Il diazossido viene utilizzato per il trattamento delle emergenze ipertensive solo quando non sia disponibile una pompa per infusione precisa o qualora non sia possibile effettuare uno stretto monitoraggio della pressione. Per quanto riguarda l’idralazina, questa induce una potente vasodilatazione associata a stimolazione del simpatico. È ben assorbita per via orale, tuttavia presenta una bassa biodisponibilità. Nonostante venga metabolizzata anche in sedi extra-epatiche, e quindi possieda un’elevata clearence, l’idralazina presenta una durata di azione di circa 12 ore. Tra gli effetti collaterali vi sono nausea, vomito, tachicardia, ipotensione, tutti sintomi dovuti all’effetto vasodilatante del farmaco. Non sono infine da sottovalutare reazioni avverse al farmaco (sindromi simili alla malattia da siero). Un tempo era il farmaco di elezione per il trattamento dell’ipertensione, oggi viene utilizzato soltanto in casi eccezionali, come sindrome da preclampsia, a dosaggi inferiori ai 200 mg al giorno, per abbassare il rischio di una sindrome lupoide iatrogena. Il farmaco più utilizzato resta il minoxidil. Minoxidil Il minoxidil viene solfatato ad opera di una O-sulfotransferasi. Questa rappresenta la forma attiva del farmaco. È attivo per via orale, alle dosi di 10-40 mg e viene metabolizzato per glucuronazione, dando luogo ad un composto meno attivo. L’emivita plasmatica è di circa 4 ore, mentre gli effetti farmacologici perdurano fino a 3 giorni, poiché il composto si fissa alle pareti arteriose. Solo il 20% del farmaco assorbito viene escreto immodificato nelle urine. Viene utilizzato nelle forme gravi di ipertensione refrattaria, sempre in associazione con β-bloccanti e diuretico. Questo farmaco determina vasodilatazione arteriolare senza vasodilatazione venosa. In questo modo, per riflesso, aumenta la frequenza cardiaca e di conseguenza la gittata, con un aumento anche delle richieste metaboliche del miocardio. Il minoxidil aumenta la perfusione renale e, tramite l’attivazione del sistema simpatico, attiva il rilascio di renina con attivazione del sistema RAA. Gli effetti avversi del minoxidil possono essere divisi in tre categorie principali: 1) Ritenzione idrica salina; 2) Effetti cardiovascolari; 3) Ipertricosi. La ritenzione idrico salina genera l’edema periferico. Ciò è determinato non tanto dall’attivazione del SRAAA, quanto più dall’attivazione del simpatico, che riduce il flusso ematico al rene, determinando una riduzione del volume urinario e della eliminazione di sale. In questo caso, l’utilizzo di un diuretico dell’ansa è suggerito per alleviare l’edema. Anche gli effetti cardiovascolari sono mediati dall’attivazione del simpatico, con aumento della frequenza cardiaca, della forza di contrazione, con un aumento totale della gittata e aumento del consumo di ossigeno nel miocardio. Tale effetto collaterale è dannoso in soggetti con funzionalità cardiaca ridotta. All’inizio della terapia, si può assistere nell’ECG alla scomparsa dell’onda T, dovuta al minoxidil che accelera la ripolarizzazione miocardia, accorcia il periodo refrattario e abbassa la soglia della fibrillazione ventricolare in condizioni di ischemia miocardica. L’ipertricosi è dovuto ad aumentato flusso cutaneo, e tale fenomeno è particolarmente fastidioso nelle donne. Attualmente le preparazioni cutanee vengono utilizzate per il trattamento dell’alopecia androgenica. Queste condizioni determinano l’interruzione della terapia in circa il 70% dei soggetti È controindicato nell’angina pectoris e nello scompenso cardiaco. NITRODERIVATI L’ossido nitrico è in grado di indurre vasodilatazione. A livello fisiologico, la sintesi di NO avviene ad opera dell’enzima ossido nitrico sintasi, che esiste in tre isoforme: 1) NOS I neuronale, calcio dipendente, si trova nei neuroni, astrociti, muscolo scheletrico, epitelio gastrico e polmonare, macula densa renale; 2) NOS II inducibile, calcio indipendente, si trova in monociti, macrofagi, microglia, inducibile in endotelio, muscolo liscio e cardiaco, cheratinociti, epatociti e mastociti; 3) NOS III endoteliale, calcio dipendente, si trova a livello dell’endotelio, dell’epitelio renale, miociti cardiaci, linfociti T e B, epatociti. L’NO stimola un recettore accoppiato a guanilato ciclasi, con formazione di cGMP ed attivazione di protein chinasi cGMP-dipendenti (PKG). La PKG fosforila ed inibisce l’attività della fosfolipasi C e del recettore per IP3. Viene così inibito l’ingresso del calcio dai canali SMOC e VOCC, inoltre viene stimolata l’estrusione di calcio dal citosol per attivazione dello scambiatore Na+/Ca2+ e della Ca2+ATPasi. La concentrazione citosolica di calcio si riduce. Inoltre la PKG fosforila la fosfatasi della catena leggera della miosina, che a sua volta va a defosforilare la miosina, impedendone così l’interazione con l’actina. Il risultato finale è il rilasciamento della muscolatura liscia vasale, con vasodilatazione in tutti i distretti vascolari, con azione principale sul circolo coronarico. I nitroderivati più utilizzati sono: a) Isosorbide dinitrato; b) Isosorbide-5-mononitrato; c) Nitroglicerina. I nitroderivati sono farmaci vasodilatatori largamente utilizzati nelle sindromi anginose e nell’infarto miocardico. Gli effetti dei nitroderivati sono prevalentemente indipendenti dall’endotelio. I nitrati organici sono denitrificati a NO attraverso passaggi enzimatici che richiedono gruppi ridotti SH. NO può essere convertito in nitrosotiolo, R-S-NO2, in grado di generare direttamente NO, come pure di stimolare la guanilato ciclasi ed aumentare la produzione di cGMP. Il sodionitroprussiato non necessita di gruppi sulfidrilici per la genesi di NO. EFFETTI FARMACOLOGICI: I nitroderivati rilassano i muscoli lisci vasali di vene, arterie, arteriole di tutti i distretti vascolari, comprese le coronarie. Riducono il precarico ed il postcarico per riduzione delle resistenze periferiche, dilatazione delle arteriole, riduzione del ritorno venoso. Infine riducono il lavoro cardiaco ed il consumo di ossigeno, migliorando la perfusione cardiaca in diastole con aumento del flusso coronarico. I nitroderivati stimolano l’attività delle ciclossigenasi cGMP-indipendenti. In assenza di una adeguata attività della via L-arginina-NOS, la COX può essere attivata da farmaci donatori di NO. L’attivazione della COX porta anche alla sintesi di fattori ad azione vasocostrittrice. Inoltre gli endoperossidi, il trombossano A2 e l’ossigeno possono reagire con l’NO e dar luogo a perossinitrito ONOO. Isosorbide dinitrato e isosorbide-5 mononitrato Viene somministrato per via sublinguale con tempo di 6 minuti per raggiungere il picco plasmatico. Il farmaco viene metabolizzato e dapprima denitrato e poi trasformato in composto glucuronide. I metaboliti denitrati, l’isosobide-2 e l’isosorbide-5 mononitrato, hanno un’emivita più lunga. L’isosorbide-5 mononitrato è disponibile sotto forma di compresse, non va incontro a metabolismo di primo passaggio e presenta un’emivita più lunga. Nitroglicerina A seguito di somministrazione, il picco si osserva entro 4 minuti. Tuttavia tale composto va incontro ad esteso metabolismo di primo passaggio, ed è per questo che si preferisce la somministrazione sublinguale o per iv. La terapia deve essere iniziata prescrivendo sempre la dose minima efficace. Sono disponibili varie formulazioni, che ne prolungano l’effetto. USI CLINICI: I nitroderivati sono utilizzati per il trattamento della sintomatologia dell’angina. Nelle sindromi ischemiche, la nitroglicerina per via sublinguale o endovenosa è il farmaco di elezione per la crisi acuta. L’isosorbide dinitrato e 5-mononitrato, che non sono soggetti a metabolismo di primo passaggio, sono indicati per la profilassi per via orale o transdermica. Il meccanismo primario è la rapida diminuzione della pressione sistolica seguita da dilatazione delle coronarie. Nell’infarto al miocardio, i nitroderivati hanno un ruolo importante nelle sindromi anginose, ma anche nel post-infarto, dove riducono la dilatazione ventricolare sinistra ed il rimodellamento cardiaco. Sono particolarmente utili nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra ed insufficienza cardiaca congestizia in pazienti in cui la somministrazione di β-bloccanti o calcio-antagonisti è controindicata. Il range della posologia media di nitroglicerina per iv con pompa di infusione è di 30-140 µg/ml. La dose va individualizzata e titolata sui parametri emodinamici del singolo paziente. È valida l’associazione con ACE-inibitori. EFFETTI COLLATERALI E CONTROINDICAZIONI: I nitroderivati sono in genere farmaci ben tollerati, ma sono controindicati nell’ipotensione, nella cardiopatia ipertrofica ostruttiva, nella stenosi aortica, nelle gravi anemie e nell’ipertensione endocranica. Inoltre possono causare: - Ipotensione posturale; - Ipotensione grave se associati ad inibitori delle PDE5, come il sildenafil. Le PDE sono molto importanti nello stoppare la segnalazione ad opera dei nucleotidi ciclici. Siccome il sildenafil e composti analoghi le inibiscono, e siccome i nitroderivati abbassano la pressione incrementando la sintesi di cGMP, questa combinazione potrebbe determinare gravi crisi ipotensive; - Tachicardia riflessa; - Cefalea e vampate di calore, molto frequenti, dovute all’eccessiva vasodilatazione; - Infrequente, metaemoglobinemia. Infine, la somministrazione prolungata di nitroderivati produce tolleranza agli effetti vasodilatatori, con necessità di aumentare le dosi o di adottare un diverso regime di intervalli terapeutici. Sono stati proposti vari meccanismi per giustificare tale tolleranza: 1) Deplezione dei gruppi SH: inadeguata formazione di gruppi ridotti SH, necessari per la trasformazione dei nitrati organici a NO; 2) Attivazione neuro-ormonale contro-regolatrice: aumento della secrezione di catecolamine, aumento dell’attività della renina con attivazione del SRAA, con vasocostrizione e ritenzione idrica; 3) Variazione del volume plasmatico: aumento della volemia dovuto alla riduzione della pressione di filtrazione capillare; 4) Down-regulation del recettore dei nitrati: ossidazione dei gruppi SH, con formazione di ponti sulfidrilici con modificazione della conformazione del recettore; 5) Desensibilizzazione della guanilato ciclasi: mancata o inadeguata formazione di cGMP. FARMACOTERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE L’ipertensione polmonare è una grave patologia caratterizzata da ipertensione a livello della circolazione polmonare. Ciò è dovuta a proliferazione delle cellula muscolari lisce delle vene, con restringimento del lume, aumento della pressione, e rischio di trombosi. Sono varie le cause che danno luogo a questa patologia, tuttavia il risultato finale consiste in una iperproliferazione delle cellule muscolari lisce, con aumento delle resistenze. Partendo da ciò la terapia per l’ipertensione polmonare prevede: a) Inibitori della PDE5; b) Analoghi della prostaciclina; c) Antagonisti del recettore dell’endotelina-1. Inibitori della PDE5 Questi farmaci inibiscono con una certa selettività la PDE5, l’enzima che metabolizza il cGMP nei corpi cavernosi. Infatti questi farmaci sono nati per contrastare l’impotenza maschile dovuta alla non erezione. L’aumento del cGMP causa vasodilatazione ed erezione in presenza di stimolo sessuale. In questa categoria rientrano: - Sildenafil; - Tadalafil. Questi composti, oggi come oggi, vengono utilizzati anche per il trattamento dell’ipertensione polmonare. Infatti esercitano una duplice azione, su due fronti distinti: - A livello del ventricolo destro il cGMP, prodotto da NO, peptidi natriuretici, determina l’inibizione della PDE3, il cui substrato principale è il cAMP. In questo modo aumenta la concentrazione di cAMP, con attivazione della PKA e aumento della contrattilità. Il cGMP è il substrato della PDE 5. Gli inibitori della PDE5, potenziano questa attività, poiché inibendo la PDE5, la concentrazione di cGMP aumenta, con stimolazione della capacità contrattile; - A livello delle cellule muscolari lisce dei vasi polmonari, l’inibizione della PDE5 determina un aumento del cGMP. Questi a sua volta attiva protein chinasi G che inducono una riduzione della concentrazione del calcio e del potassio citosolico. In questo modo si verifica vasodilatazione, viene ridotta la capacità proliferante delle cellule muscolari lisce, anzi addirittura aumentano le apoptosi. Tutto ciò sfocia con una diminuzione del grado di rimodellamento delle arterie polmonari, abbassandone la resistenza. Il sildenafil è stato approvato dalla FDA e dall’EMEA nel 2005. La dose è di 20 mg per tre volte al giorno. In caso di insufficienza epatica o renale non è necessario ridurre la dose. Siccome viene metabolizzato del CYP3A4 bisogna tenere ben presenti le eventuali interazioni farmaco-metaboliche in corso di terapia. Il tadalafil è stato approvato dalla FDA ed EMEA nel 2009. La dose è di 40 mg al giorno e va ridotta a 20 mg in caso di insufficienza epatica o renale. Anche qui, siccome viene metabolizzato dal CYP3A4 bisogna prendere in considerazione le eventuali interazioni farmaco-metaboliche. EFFETTI COLLATERALI E PRECAUZIONI: Gli effetti collaterali sono dovuti al fatto che, la PDE5 e variamente distribuita nell’organismo. Tra i principali effetti collaterali si ricordano dolori ai muscoli delle gambe, erezione e priapismo, pirosi, cefalea, diminuzione della pressione media, visione blu. Questi farmaci sono da utilizzare con cautela nei pazienti con malattie cardiovascolari, con ulcera peptica, ipotensione e retinite pigmentosa. Infine sono controindicati: - In pazienti in trattamento con nitrati, per il rischio di grave ipotensione; - In pazienti con infarto miocardico recente, per via della tachicardia riflessa. Analoghi della prostaciclina La prociclina o PGI2 è una sostanza antiaggregante e vasodilatatrice prodotta principalmente dal tessuto vascolare, ad opera della PGI-sintasi. La prostaciclina prodotta dall’endotelio contribuisce alla trombo resistenza della superficie dell’intima e al controllo della muscolatura liscia vasale. Da qui deriva il suo utilizzo nell’ipertensione polmonare. Attualmente sono utilizzati come analoghi della prostaciclina: a) Iloprost; b) Epoprostenolo; c) Teprostinil. Per quanto riguarda l’iloprost viene somministrato per inalazione, 2,5-5 μg per 6-9 volte al giorno. Tra gli effetti collaterali vi sono: vampate, cefalea ipotensione, tosse e nausea. Tutti i farmaci di questa categoria, avendo alla base lo stesso meccanismo di funzionamento, avranno anche gli stessi effetti collaterali. L’epoprostenolo viene somministrato per infusione iv continua, alla dose di 500 mg, mentre il teprostinil viene somministrato per inalazione a dosi di 18 μg per 4 volte al giorno. Antagonisti recettoriali dell’endotelina-1 L’ultima categoria di farmaci utilizzati per il trattamento dell’ipertensione polmonare sono gli antagonisti del recettore per l’endotelina-1. L’endotelina-1 è un peptide formato da 21 amminoacidi, sintetizzato e secreto dalle cellule endoteliali. Agisce tramite due recettori: - ETA, presente sulle cellule muscolari lisce dei vasi; - ETB, presente sulle cellule muscolari lisce dei vasi, sulle cellule endoteliali e sui fibroblasti. L’endotelina-1 induce vasocostrizione, fibrosi, ipertrofia ed iperplasia, inoltre aumenta la permeabilità vascolare. Nei pazienti affetti da ipertensione polmonare familiare i livelli plasmatici di ET-1 sono aumentati, e l’aumento è direttamente correlabile con la gravità della malattia. Inoltre l’aumento dell’ET-1 induce risposte immuno-infiammatorie nel polmone, con la caratteristica formazione di lesioni plessiformi. Il blocco dei recettori per l’ET-1 ne ridurrebbe l’attività, rallentando l’avanzamento della patologia. Infatti, gli antagonisti recettoriali per l’ET si sono dimostrati efficaci in modelli animali di ipertensione polmonare familiare. Attualmente sono due i composti che agiscono in tal modo: - Bosentan; - Ambrisentan. Il bosentan è una molecola a basso peso molecolare, un antagonista specifico e competitivo per i recettori dell’ET. Infatti inibisce gli effetti dell’ET-1 legandosi ad entrambi ai suoi recettori. In studi preclinici, i principali effetti indotti dal bosentan sono: - Diminuzione della pressione nelle arterie polmonari; - Diminuzione del grado di ipertrofia vascolare nel polmone e di ipertrofia del ventricolo destro; - Diminuzione del grado di fibrosi polmonare e dell’infiammazione. Il bosentan è stato approvato nel 2001 dalla FDA, alla dose di 62,5 mg per os, due volte al giorno. Tra gli effetti collaterali vi sono: epatotossicità, da qui il controllo periodico della funzionalità epatica, disturbi del tratto GI, ipotensione, dolore toracico e cefalea. L’ambrisentan è stato approvato dalla FDA nel 2007, al dosaggio di 5-10 mg per os al giorno. Tra gli effetti collaterali si ricordano: edema periferico, vampate, palpitazioni, dolore addominale. FARMACOTERAPIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO L’insufficienza cardiaca congestizia è una condizione patologica caratterizzata dall’incapacità del cuore a far affluire ai vari organi quantità sufficienti di sangue. Il deficit di pompa va ad attivare tutta una serie di meccanismi neuro umorali, che inducono importanti modificazioni emodinamiche. La causa primaria generalmente è dovuta ad un’alterazione della funzione contrattile del miocardio. In base alla gravità dei sintomi la New York Health Association ha definito quattro classi di scompenso cardiaco. Il principale obiettivo della terapia è quello di ridurre la sintomatologia, intervenendo sia sul cuore che sulla circolazione periferica. I principali farmaci che vengono utilizzati sono: cardiotonici, vasodilatatori, diuretici, ACE-inibitori, sartani, β-bloccanti. Nel dettaglio, la farmacoterapia dello scompenso cardiaco prevede l’utilizzo di: a) Glicosidi cardioattivi; b) Farmaci simpatico mimetici, agonisti dei recettori β-adrenergici; c) Inibitori della fosfodiesterasi III; d) Agonisti del hBNP (human B-type natriuretic peptide). Glicosidi cardioattivi Nel 1785, William Withering, un medico inglese, descrisse per la prima volta gli effetti cardiaci delle foglie di digitale. Per poter comprendere l’azione di questa classe farmacologica bisogna ben conoscere il meccanismo alla base della contrazione del miocardio. Il calcio entra all’interno della cellula attraverso i canali VOCC e in parte anche tramite lo scambiatore Na+/Ca2+. Una volta che il calcio è entrato, è stesso questo elemento ad indurre il rilascio del calcio da parte del reticolo sarcoplasma tic, ovvero si parla di rilascio del calcio calcio-indotto. L’aumento massiccio della concentrazione del calcio intracellulare innesca la contrazione. Per poter porre fine al fenomeno, la concentrazione del calcio intracellulare deve ritornare ai valori basali. Il calcio viene quindi ad essere rimosso sia da una Ca2+-ATPasi, che lo pompa all’interno del reticolo sarcoplasmatico, sia dallo scambiatore Na+/Ca2+ e dalla Ca2+-ATPasi di membrana. L’attività dello scambiatore è influenzata dall’attività della Na+/K+-ATPasi, che mantiene costantemente bassa la concentrazione di sodio intracellulare. I glicosidi cardioattivi vanno ad agire sulla Na+/K+-ATPasi. Una debole inibizione della Na+/K+-ATPasi a concentrazioni terapeutiche aumenta la concentrazione di sodio intracellulare e quindi inibisce l’estrusione del calcio attraverso la membrana plasmatica. Il calcio tende quindi ad accumularsi maggiormente nel reticolo sarcoplasmatico e all’interno della cellula e a potenziare il rilascio di calcio calcio-indotto, determinando un prolungamento della sua azione (effetto inotropo positivo). Un’eccessiva inibizione è responsabile degli effetti tossici di questa categoria di farmaci. La Na+/K+-ATPasi è un antiporto, che accoppia l’idrolisi di una molecola di ATP al trasporto di 3 ioni sodio verso l’esterno e 2 ioni potassio all’interno. L’attività della pompa è regolata dalla concentrazione intracellulare del sodio e del potassio extracellulare. La pompa, durante il funzionamento assume varie conformazioni, e i glicosidi cardioattivi la bloccano in conformazione E2-P, inibendo così la traslocazione degli ioni potassio. Il legame glicoside-pompa è inibito dal potassio e stimolato dal sodio. I glicosidi cardioattivi maggiormente utilizzati in clinica sono: - Digossina, estratta dalla Digitalis lanata; - Digitossina, estratta dalla Digitalis purpurea. Gli effetti dei glicosidi digitalici nel trattamento dello scompenso cardiaco cronico sono: 1) Effetto inotropo positivo; 2) Capacità di controllare la velocità di risposta ventricolare alla fibrillazione atriale; 3) Modulazione del sistema nervoso simpatico e parasimpatico. Scambio di sodio e calcio nel sarcolemma durante le fasi di depolarizzazione e ripolarizzazione: Gli ioni sodio e calcio entrano nel muscolo cardiaco durante ogni ciclo di depolarizzazione della membrana, attraverso i canali del sodio e del calcio di tipo L e inducono il rilascio, attraverso i recettori della rianodina (RyR), di notevoli quantità di calcio dai depositi intracellulari del reticolo sarcoplasmatico. Ne consegue un aumento del calcio intracellulare, che interagisce con la troponina C e attiva le interazioni tra actina e miosina che comportano l’accorciamento del sarcomero. Il gradiente elettrochimico per il passaggio del sodio attraverso il sarcolemma viene mantenuto dal trasporto attivo di sodio ad opera della Na+/K+-ATPasi. La maggior parte del calcio presente nel citoplasma viene pompato nel reticolo sarcoplasmatico attraverso una Ca2+-ATPasi, la SERCA 2. La parte restante viene rimossa dalla cellula per mezzo di una Ca2+-ATPasi presente sul sarcolemma o attraverso uno scambiatore Na+-Ca2+ ad alta capacità, l’NCX. L’NCX scambia tre ioni sodio per ciascun ione calcio, utilizzando il potenziale elettrochimico del sodio per estrudere il calcio. La direzione dello scambio Na+-Ca2+ può essere invertita brevemente durante la fase di depolarizzazione, quando si inverte temporaneamente il gradiente elettrico lungo il sarcolemma. Gli antagonisti β-adrenergici e gli inibitori della fosfodiesterasi, attraverso l’aumento del cAMP, attivano la PKA, che fosforila alcune proteine bersaglio, tra cui il fosfolambano, la subunità α dei canali del calcio di tipo L e alcuni componenti regolatori del RyR, la sub unità TnI, la sub unità regolatrice della troponina. Il risultato di queste fosforilazioni è un effetto inotropo positivo: la tensione si sviluppa più velocemente ed è seguita da un rilassamento più rapido. EFFETTI FARMACOLOGICI: Questi farmaci determinano: - Un aumento della forza di contrazione del miocardio, effetto inotropo positivo. Possiedono un’efficacia a lungo termine, senza sviluppare tolleranza o tachifilassi. La risposta contrattile risulta essere maggiore sotto sforzo e l’entità dell’effetto è contenuta; - Prolungamento del periodo refrattario e diminuzione della velocità di conduzione atrioventricolare; - Riduzione della frequenza cardiaca per stimolazione vagale e riduzione dell’attività del simpatico (aumentando la contrattilità, aumenta il volume di eiezione, si abbassa la frequenza perché è la gittata che deve essere costante, prolungando inoltre il periodo di diastole, fase in cui il cuore è ossigenato); - Riduzione della secrezione di renina, noradrenalina e vasopressina, aumentata in seguito allo scompenso cardiaco. Quindi questi farmaci fungono anche da modulatori neuro umorali. FARMACOCINETICA: La digossina è più polare della digitossina (possiede un solo ossidrile sul carbonio 14). L’emivita di eliminazione della digossina è compresa tra 36-48 ore. Da ciò deriva la possibilità di un’unica somministrazione giornaliera. Lo stato stazionario viene raggiunto dopo una settimana di terapia. La digossina viene filtrata a livello del glomerulo e eliminata. Nei soggetti con scompenso cardiaco, un aumento della funzionalità cardiaca può determinare un aumento della clearence, quindi bisogna aggiustare le dosi in corso di terapia plurifarmacologica. L’emivita aumenta enormemente nei pazienti con insufficienza renale, negli anziani invece diminuisce il volume di distribuzione. Da qui estrema attenzione nel somministrare la digossina in queste due categorie di pazienti. La digitossina è soggetta ad un intenso circolo entero-epatico ed il tessuto di deposito è rappresentato dal muscolo striato. FARMACOLOGIA CLINICA: La digossina viene somministrata alla dose di 1,5 ng/ml, che corrisponde a 0,25 mg al giorno per os. La digitossina viene somministrata alla dose di 20 ng/ml che corrisponde ad una dose per os di 0,1 mg al giorno. All’inizio vengono somministrate dosi iniziali uguali a quelle di mantenimento, non è quindi prevista una dose di attacco. Questa procedura prende il nome di digitalizzazione lenta. La stabilizzazione dell’effetto digitali si ha dopo 4 emivite, ovvero circa una settimana per la digossina e circa un mese per la digitossina. La somministrazione iv in emergenza è usata meno frequentemente per la latenza di azione e per la disponibilità di farmaci più efficaci. La somministrazione im è sconsigliata. La dose di mantenimento va individualizzata sulla base delle condizioni fisiopatologiche del paziente. L’emivita di ciascun farmaco è direttamente proporzionale al volume di distribuzione, mentre è inversamente proporzionale al valore della clearence sistemica. Qualunque fenomeno in grado di modificare uno di questi parametri comporterà modifiche dell’emivita, con perdita dell’effetto o addirittura insorgenza di fenomeni tossici. I glicosidi cardiaci vanno utilizzati nello scompenso cardiaco cronico con fibrillazione atriale o nei pazienti con ritmo sinusale in presenza di sintomatologia cardiaca, nonostante il trattamento con ACE-inibitori e βbloccanti. Normalmente, vanno associati a diuretici ed ACE-inibitori. L’associazione con β-bloccanti può portare ad un’eccessiva depressione della conduzione atrio-ventricolare. I glicosidi digitalici presentano importanti interazioni farmacodinamiche e farmacocinetiche con altri farmaci. Le interazioni farmacodinamiche possono avere effetti sia negativi che positivi, mentre le interazioni farmacocinetiche sono sempre potenzialmente pericolose. I glicosidi digitalici non riducono la mortalità di pazienti con scompenso cardiaco. INTERAZIONI FARMACODINAMICHE: Questi farmaci interagiscono con: - ACE-inibitori, che determina un’inibizione del sistema RAA, con sinergismo degli effetti neuro umorali dei digitalici; - Diuretici risparmiatori di potassio, FANS, ACE-inibitori, iperkaliemia, con aumento del rischio di aritmie ipocinetiche; - Diuretici dell’ansia e tiazidici, ipokaliemia e ipomagnesiemia, con aumento del rischio di aritmie ipercinetiche. Sempre questi farmaci inducono iper-reninemia, con effetto antagonista dei digitalici; - Insulina, alcalinizzanti, β2-agonisti, corticosteroidi, amfotericina B, ipokaliemia, con aumento di aritmie ipercinetiche; - -bloccanti, verapamil, amiodarone, depressione della conduzione atrio-ventricolare, con aumentato rischio di aritmie ipocinetiche, bisogna controllare la frequenza ventricolare nella fibrillazione ventricolare cronica; - Chinidina, diidrochinidina, disopiramide, effetto parasimpaticolitico, antagonismo degli effetti vago mimetici dei digitalici; - Β-agonisti, teofillina, inibitori della fosfodiesterasi, glucagone, aumento dei livelli cellulari di cAMP, con aumento del rischio di aritmie ipercinetiche. INTERAZIONI FARMACOCINETICHE: Le interazioni farmacocinetiche possono aumentare o diminuire la biodisponibilità di questa classe di farmaci. In circa il 10% dei soggetti, nella loro flora batterica intestinale, è presente l’Eubacterium lentum, che metabolizza la digossina a livello pre-sistemico, determinando un abbassamento dell’AUC. L’assorbimento ed il metabolismo epatico viene impedito dalla glicoproteina-P. questa si trova espressa a livello del duodeno, degli epatociti, del tubulo renale prossimale, dell’endotelio e degli astrociti. La digossina è un substrato della P-gp, quindi gli induttori o gli inibitori di questa proteina possono alterare l’AUC della digossina. EFFETTI COLLATERALI: I glicosidi digitalici hanno un basso indice terapeutico e sono controindicati nel blocco cardiaco completo e in quello atrio-ventricolare. Gli effetti collaterali di questi farmaci possono essere raggruppati in: 1) Effetti collaterali cardiaci; 2) Effetti collaterali extra-cardiaci. Bisogna ricordare che, la digitale può causare tutte le aritmie, così come può curare tutte le aritmie. Negli effetti collaterali cardiaci si annoverano: - le aritmie cardiache, come aritmie ectopiche atriali e ventricolari; - disturbi della conduzione a livello del nodo seno-atriale e atrio-ventricolare. Il trattamento dell’intossicazione acuta da digitalici prevede: - atropina nelle aritmie ipocinetiche da stimolazione vagale; - lidocaina, Sali di magnesio e potassio, nelle aritmie ipercinetiche; - fragment antigen binding (Fab) da anticorpi bovini anti-digossina. Gli effetti collaterali extra-cardiaci sono: - psichiatrici, delirio, affaticamento, malessere, stato confusionale, vertigini, sogni strani; - visivi, con visione gialla o offuscata, aloni; - gastrointestinali, con anoressia, nausea, vomito (primo segno dell’intossicazione), dolore addominale; - respiratori, con aumento della risposta ventilatoria all’ipossia. Farmaci simpaticomimetici, agonisti dei recettori β-adrenergici L’adrenalina è in grado di esplicare le proprie azioni legandosi ai recettori. I recettori β–adrenergici sono accoppiati a proteina Gs. Gli effetti dell’aumento di cAMP a livello muscolare sono: - nel muscolo cardiaco si ha fosforilazione dei canali del calcio del sarcolemma, con aumento della concentrazione di calcio e stimolazione della contrazione; - nel muscolo liscio si ha inibizione della chinasi della catena leggera della miosina da parte del complesso calcio/calmodulina, che induce così rilasciamento. I farmaci che stimolano la sintesi del cAMP sono: a) agonisti dei recettori β-adrenergici; b) inibitori della fosfodiesterasi III. I farmaci simpatico-mimetici utilizzati nello scompenso cardiaco acuto sono: - Dopamina; - Dobutamina; - Dopexamina. Questi farmaci vengono utilizzati come agenti inotropi positivi, per aumentare la contrattilità miocardica e migliorare la gittata cardiaca, nei casi in cui il miocardio non sia fortemente compromesso ed in pazienti refrattari ai digitalici e ai vasodilatatori. Gli effetti cardiaci di questi farmaci sono dovuti a stimolazione dei recettori β cardiaci, che stimolano l’adenilato ciclasi: - L’aumento del cAMP stimola l’ingresso del calcio dai canali lenti del sarcolemma ed il rilascio del calcio dal reticolo sarcoplasmatico; - L’aumento della concentrazione di calcio stimola la formazione di complessi calcio-troponinatropomiosina, che favorisce l’interazione actina-miosina; - Non è possibile separare l’effetto inotropo da quello cronotropo; - L’effetto inotropo positivo è associato ad un aumento di consumo dell’ossigeno. Lo scompenso cardiaco è caratterizzato da: - riduzione del numero e della efficienza del numero dei recettori β; - attivazione riflessa neuroumorale ed in particolare del sistema simpatergico. Il rapporto β1/β2 passa da 80:20, nel miocardio normale, a 60:40, inoltre la stimolazione dell’adenilato ciclasi da parte di agonisti β2 è ridotta del 30%. L’uso di questi farmaci va limitato allo scompenso acuto e al trattamento a breve termine dello scompenso cronico. Questi farmaci vanno utilizzati solo nelle unità di terapia intensiva. Dopamina La dopamina è una catecolamina naturale, che stimola i recettori dopaminergici ed adrenergici. Inoltre stimola il rilascio di noradrenalina dalle terminazioni nervose, con effetto tiramino-simile. La sintesi della dopamina inizia a partire dall’aminoacido tirosina. Questa catecolamina è in grado di espletare la propria azione grazie all’esistenza di appositi recettori. Sono stati isolati 5 tipi di recettori, raggruppabili in due categorie: - D1, a cui appartengo D1 e D5, accoppiati a proteina Gs, che induce un’attivazione dell’adenilato ciclasi e della fosfolipasi C; - D2, a cui appartengono tutti gli altri, accoppiati ad una proteina Gi, che induce un’inibizione dell’attività dell’adenilato ciclasi, con aumento della permeabilità al potassio, e riduzione della permeabilità al calcio. Gli effetti cardiovascolari della dopamina sono mediati da diversi recettori, che presentano affinità diverse per la catecolamina. A basse dosi la dopamina interagisce per lo più con i recettori D1, mentre a dosi maggiori perde questa selettività. Infatti, gli effetti emodinamici sono dose-correlati: - A basse dosi, 0,5-2 μg/kg/min, l’effetto prevalente è dopaminergico, per stimolazione del recettore D1, con vasodilatazione renale, splancnica e mesenterica; - A dosi intermedie, 2-5 μg/kg/min, l’effetto prevalente è quello β-adrenergico, con effetto inotropo e cronotropo positivo; - A dosi alte, 5-10 μg/kg/min, l’effetto prevalente è α-adrenergico, con aumento delle resistenze vascolari periferiche. La dopamina è soggetta a metabolismo di primo passaggio, pertanto va somministrata per infusione iv. Viene metabolizzata dalle MAO, quindi va utilizzata con grande attenzione in soggetti trattati con MAOinibitori. La dopamina viene utilizzata soprattutto nello shock cariogeno o ipovolemico, per aumentare la pressione, la gittata cardiaca ed il flusso renale. È da utilizzare con cautela nei pazienti con angina instabile, nei quali può causare episodi ischemici. Dobutamina La dobutamina è una catecolamina sintetica che viene utilizzata come miscela racemica, con attività sui recettori adrenergici. Non ha attività sui recettori dopaminergici. La dopamina va a stimolare i recettori β1 e β2. L’enatiomero – è un agonista dei recettori α-adrenergici, mentre l’enantiomero + è un agonista parziale molto debole. Gli effetti emodinamici della dobutamina dipendono dalla dose: - A basse dosi, inferiore a 7 μg/kg/min, ha un effetto prevalente β1-adrenergico, con aumento della gittata cardiaca, senza aumento di frequenza; - A dosi intermedie, 7-10 μg/kg/min, ha un effetto prevalente sui recettori β1 che β2-adrenergico, con aumento della gittata cardiaca (effetto inotropo e cronotropo positivo) e vasodilatazione; - A dosi alte, superiori a 10 μg/kg/min, l’effetto prevalente è sui recettori β1, con aumento della gittata cardiaca ed effetto aritmogeno (aumentata conduzione atrio-ventricolare e tachicardia sinusale). La dobutamina è il farmaco di scelta per il trattamento dei pazienti con insufficienza sistolica acuta, ma con pressione arteriosa normale. Viene utilizzata in trattamenti a breve termine in pazienti con contrattilità miocardica compromessa da scompenso o chirurgia cardiaca. La dobutamina è somministrata in protocolli che prevedono infusioni endovenose di 6-48 ore alla settimana per evitare desensibilizzazione recettoriale. Presenta un’emivita di circa due minuti. Viene metabolizzata tramite coniugazione. Dopexamina La dopexamina stimola fortemente i recettori β2 ed è inattiva sui recettori α. È meno potente della dopamina sui recettori dopaminergici e inoltre inibisce fortemente la ricaptazione della noradrenalina. È efficace nello scompenso cardiaco, ma non va utilizzata negli stati di shock. Ha un’emivita di 7 minuti. Le dosi sono di 0,5-5 μg/kg/min e il trattamento deve essere limitato a 24 ore. EFFETTI COLLATERALI: Gli effetti collaterali di dopamina, dobutamina e dopexamina sono simili e comprendono: nausea, vomito, tremori, cefalea, aritmie, dolore anginoso. Inibitori delle fosfodiesterasi III Gli inibitori delle PDE3 sono efficaci come agenti inotropi positivi e vasodilatatori, ma a lungo termine i benefici non sono confermati da studi clinici. Inoltre la loro somministrazione cronica è accompagnata da gravi effetti collaterali. In clinica si utilizzano principalmente: a) Amrinone o inamrinone; b) Enoximone; c) Milrinone. Gli inibitori delle fosfodiesterasi del cAMP inibiscono l’inattivazione del cAMP intracellulare. Quindi, si verifica un aumento dei livelli di cAMP che a livello cardiaco si traduce in un effetto inotropo positivo. A livello vascolare periferico, il risultato è una vasodilatazione sia dei vasi di resistenza che dei vasi di capacitanza, con diminuzione sia del pre-carico che del post-carico. Per le loro funzioni questi farmaci sono anche detti ino-dilatatori. L’amrinone è quello che possiede una maggiore biodisponibilità, pari a circa il 93%. USI CLINICI: Gli inibitori delle PDE3 sono somministrati per via iv, e indicati nel trattamento a breve termine dello scompenso cardiaco in pazienti che non abbiano risposto ad altre terapie. L’uso prolungato può aggravare le aritmie ventricolari, causare ischemia del miocardio, accelerare la progressione dell’insufficienza cardiaca, aumentare l’incidenza della mortalità. EFFETTI COLLATERALI: Tra gli effetti collaterali vi sono: disturbi gastrointestinali, aritmie, trombocitopenia dose-dipendente, epatotossicità e ritenzione urinaria. Agonista del hBNP (human B-type natriuretic peptide) Un’ultima categoria di farmaci utilizzati per il trattamento dello scompenso cardiaco sono gli agonisti dello hBNP. In questa categoria rientra il Nesiritide. Il nesiritide è stato approvato dalla FDA nel trattamento iv dell’aggravamento dell’insufficienza cardiaca compensata. Il nesiritide è una forma ricombinante dello hBNP, un ormone che normalmente viene secreto dai ventricoli. Il BNP umano si lega ad una particolare guanilato ciclasi, che funge da recettore a livello delle cellule muscolari lisce dei vasi. Ciò determina un aumento del cGMP con rilassamento delle cellule muscolari lisce e quindi vasodilatazione. Il nesiritide mina l’azione del hBNP. Tra gli effetti collaterali vi sono: ipotensione, tachicardia ventricolare, angina pectoris, bradicardia, cefalea, dolore addominale, dolore al dorso, insonnia, ansia, nausea e vomito. FARMACI ANTIARITMICI CENNI DI ELETTROFISIOLOGIA CARDIACA:Il potenziale di membrana è la differenza tra il potenziale citoplasmatico e il potenziale extracellulare. Il valore del potenziale di riposo è dovuto alla particolare conduttanza della membrana alle singole specie ioniche. Nella cellula a riposo la conduttanza del potassio è superiore rispetto a quella degli altri ioni, quindi il potenziale di membrana a riposo è molto simile al potenziale di equilibrio del potassio, circa – 90 mV. L’attivazione di correnti entranti di cationi provoca depolarizzazione, mentre l’attivazione di correnti uscenti di cationi e/o anioni provoca ripolarizzazione o iperpolarizzazione. Nel miocardio, la cellula cardiaca a riposo presenta un potenziale trans membrana negativo di 80-90 mV. In questo contesto i canali al potassio sono aperti, per apertura dei canali inward rectifer, e i canali del sodio sono chiusi. Quindi, in questa situazione il potassio extracellulare è il principale fattore determinante il potenziale di riposo. Alla fase 0, si assiste ad una rapida depolarizzazione della membrana, di durata di 1-2-msec, caratterizzata dall’entrata del sodio. L’apertura dei canali del sodio voltaggio-dipendenti dà inizio al potenziale di azione. Questi canali si aprono quando il potenziale di membrana raggiunge un preciso valore, definito soglia. A questo valore, i canali del sodio cambiano conformazione, aprendosi e facendosi permeare dagli ioni sodio, che così entrano nella cellula. Il potenziale di membrana raggiunge valori positivi, molto prossimi al potenziale di equilibrio del sodio, circa +65 mV. Dopo circa un millisecondo i canali del sodio diventano inattivi, non essendo più permeabili ne stimolabili. Nella fase 1, invece vi è una parziale ripolarizzazione da corrente di potassio, dovuta all’apertura dei canali del potassio definiti transient outward, che determinano la ripolarizzazione. Anche questi canali si chiudono subito, come quelli per il sodio. Nella fase 2 inizia il plateu, determinato dall’entrata di ioni calcio tramite i canali VOCC e dall’uscita di potassio a carico dei canali deleyed rectifer. Durante questa fase il potenziale di membrana non subisce variazioni, poiché le due correnti, quella entrante del calcio e quella uscente del potassio, hanno intensità uguale ma direzione opposta, quindi si annullano. Nella fase 3, di ripolarizzazione vi è la progressiva inattivazione delle correnti entranti di calcio ed aumento delle correnti uscenti del potassio (outward delayed rectifer). La ripolarizzazione avviene dopo parecchie centinaia di millisecondi dopo la chiusura dei canali del sodio. Infine, nella fase 4, vi è un periodo refrattario dovuto al fatto che l’eccessiva perdita del potassio non viene inizialmente tamponata da una eguale entrata nella cellula, quindi il potenziale di membrana rimane per un periodo di tempo molto al di sotto di quello di riposo. Questo periodo è caratterizzato da correnti di potassio invar rectifer. In questa fase il potassio viene pompato all’interno della cellula ad opera della Na+K+-ATPasi, che pompa due ioni potassio all’interno e tre ioni sodio all’esterno. L’attività elettrica del cuore viene monitorata tramite l’elettrocardiogramma (ECG). L’impulso elettrico origina dal nodo seno-atriale. L’impulso, si propaga attraverso l’atrio, provocando la sistole atriale, che sull’ECG è rappresentata dall’onda P. La propagazione rallenta all’interno del nodo atrio-ventricolare, dove la corrente interna del calcio è notevolmente minore della corrente del sodio negli atri, nei ventricoli e nel sistema di conduzione. Questo rallentamento permette all’atrio di riempire il ventricolo. L’impulso, uscito dal nodo AV entra nel sistema di conduzione, qui la propagazione è molto veloce, e si verifica il tratto QRS sull’ECG, stimolando così la contrazione del ventricolo. La ripolarizzazione è resa visibile dalla presenza dell’onda T sull’ECG. L’analisi dell’ECG è una guida approssimativa di alcune proprieta del tessuto cardiaco: 1) La frequenza cardiaca riflette l’automaticità delnodo SA; 2) La durata dell’intervallo PR, indica il tempo di conduzione attraverso il nodo AV; 3) La durata del complesso QRS riflette il tempo di conduzione nel ventricolo; 4) L’intervallo QT è una misura della durata del potenziale d’azione ventricolare. MECCANISMI DELLE ARITMIE CARDIACHE: Quando la normale sequenza di inizio e propagazione dell’impulso è perturbata, si verifica un’aritmia. Il mancato inizio di un impulso può risultare o in una bradicardia, mentre la mancata propagazione dell’impulso dall’atrio al ventricolo causa un blocco. Queste anomalie potrebbero essere causate da farmaci o da anomalie anatomiche. Le tachiaritmie costituiscono i problemi clinici più rilevanti e sono stati identificati vari meccanismi alla base del loro inizio: a) Automatismo aumentato: tale fenomeno può verificarsi nelle cellula del nodo SA, AV e fibre di Purkinje a seguito di insufficienza cardiaca e dopo ischemia. La stimolazione β-adrenergica e l’ipokaliemia determinano un aumento della frequenza di scarica, aumentando la pendenza della depolarizzazione diastolica. Al contrario la stimolazione parasimpatica determina una riduzione della frequenza di scarica; b) Post-depolarizzazioni e automatismo indotto (triggered activity): in alcune condizioni fisiopatologiche, un potenziale di azione cardiaco potrebbe essere interrotto o seguito da una depolarizzazione anormale. Se questa depolarizzazione anormale raggiunge il livello soglia, possono originarsi potenziali secondari, che possono dar luogo ad un ritmo anomalo. Il ritmo alterato può presentarsi ad alta frequenza (delayed after depolarization, DAD), nel quale un normale potenziale di azione è seguito da una postdepolarizzazione tardiva, con uno o più battiti secondari, da aumento del calcio intracellulare, dovuta per lo più ad ischemia, stress adrenergico, intossicazione da digitali; bassa frequenza (early after depolarization, EAD), in cui il potenziale di azione viene interrotto durante la fase di ripolarizzazione, con postdepolarizzazione precoce, dovuta ad ipokaliemia e farmaci che prolungano la durata del potenziale di azione, generando torsioni di punta; c) Rientro: può avvenire quando l’impulso si propaga tra due punti nel cuore attraverso più di una via, con proprietà elettrofisiologiche differenti. L’impulso segue sia la via normale che quella accessoria, e generalmente la via accessoria è più veloce. Quindi, l’impulso per via normale può incontrare la parte ventricolare della via accessoria in condizioni di non refrattarietà. L’impulso può rientrare nell’atrio attraverso la via accessoria. I rientri si dividono in: anatomici, come nella sindrome di Wolff-Parminson-White, in cui vi è la presenza di un circuito anatomico definito e il rientro è dovuto a differenze di refrattarietà e della conduzione tra zone del circuito; rientri funzionali da alterazioni tissutali, in cui vie è l’assenza di una via anatomica definita e vi sono alterazioni della refrattarietà e della conduzione dovute ad ischemia miocardica. I FARMACI ANTIARITMICI: I farmaci antiaritmici sono in grado di combattere i disturbi del ritmo cardiaco. Sono farmaci importanti e potenzialmente pericolosi, con un basso indice terapeutico. Infatti possono a loro volta avere effetti pro-aritmogeni nel 5-10% dei pazienti. Vanno utilizzati dallo specialista, preferibilmente in ambito ospedaliero all’inizio della terapia. La classificazione dei farmaci antiaritmici avviene in base al meccanismo di azione, e si dividono in: - Classe I: Bloccanti del canale del sodio; - Classe II: Bloccanti β-adrenergici; - Classe III: Bloccanti del canale del potassio; - Classe IV: Bloccanti del canale del calcio. I farmaci in grado di bloccare i canali ionici si legano a siti specifici sulla proteina che costituisce il canale ionico, per modificarne la funzione. L’affinità del farmaco per il canale ionico varia in funzione dello stato conformazionale del canale, inducendo un blocco stato-dipendente. Classe I: Bloccanti dei canali del sodio Questi farmaci si legano in genere con elevata affinità ai canali aperti o in fase di ripolarizzazione (farmaci uso-dipendenti) e con bassa affinità ai canali in stato di riposo. I farmaci si legano durante il potenziale di azione e si dissociano durante ogni intervallo diastolico. Questa categoria si suddivide in altre sottoclassi: - Ia, blocco moderato marcato dei canali del sodio: chinidina, procainamide, disopiramide; - Ib, blocco moderato leggero dei canali del sodio: lidocaina, mexiletina, tocainide; - Ic, blocco marcato dei canali del sodio: propafenone, flecainide. I composti della classe Ia e Ic si dissociano lentamente (> 2 secondi), mentre i farmaci della classe Ib hanno una velocità di recupero di 0,5-1 secondo. Sono pertanto più efficaci a frequenza cardiache elevate. CLASSE Ia: Questa classe è particolarmente utile nel trattamento delle aritmie ventricolari e sopraventricolari. Chinidina La chinidina, un farmaco antimalarico, è stato utilizzato per mantenere il ritmo sinusale nei pazienti con flutter o fibrillazione atriale o per prevenire la ricaduta della tachicardia ventricolare o della fibrillazione ventricolare. La chinidina va a bloccare i canali del sodio nello stato aperto, inoltre blocca anche molti tipi di canili del potassio alle dosi di 2 μg/ml, con recupero dal blocco dopo 3 secondi. A dosi più alte determina il blocco dei canali del calcio e blocco dei recettori α-adrenergici ed effetto parsimpaticolitico. La chinidina determina una forte inibizione del CYP2D6, con riduzione della clearence di digossina e propafenone. EFFETTI COLLATERALI: Gli effetti collaterali si dividono in cardiaci e extracardiaci. Quelli cardiaci contemplano un prolungamento del tratto QT e torsioni di punta, mentre quelli extracardiaci sono: diarrea, cinconismo con cefalea e tintinnio, effetti su base immunologica (sono rari), trombocitopenia, depressione midollare, epatite. Procainamide e disopiramide sono farmaci simili alla chinidina, ma sprovvisti degli effetti antiadrenergici e vagolitici. FARMACOCINETICA CLINICA: La chinidina è ben assorbita e l’80% è legato alle proteine plasmatiche, quali albumina e α1-glicoproteina acida. La chinidina subisce un elevato metabolismo ossidativo epatico, e circa il 20 % viene escreto come tale dai reni. Un metabolita, la 3-idrossichinidina, è potente quasi quanto la chinidina nel bloccare i canali cardiaci del sodio o nel prolungare i potenziali di azione. Vi è una sostanziale variabilità individuale nell’intervallo di dosaggio richiesto per raggiungere concentrazioni plasmatiche terapeutiche di 2-5 μg/ml. Nei pazienti con insufficienza renale avanzata o scompenso cardiaco congestizio, la clearence della chinidina è ridotta solo in modo modesto. Per questo motivo non è necessario aggiustamento del dosaggio. INTERAZIONI TRA FARMACI: La chinidina è un potente inibitore del CYP2D6. L’inibizione del metabolismo del propafenone mediato dal CYP2D6 determina elevate concentrazioni plasmatiche di propafenone e aumenta il blocco del recettore β-adrenergico. La chinidina riduce la clearence della digossina e della digitossina; questi effetti sono dovuti all’inibizione del trasporto della digossina mediata dalla glicoproteina-P. il metabolismo della chinidina è indotto da farmaci quali il fenobarbital e la fenitoina. La cimetidina e il verapamil sono in grado di aumentare le concentrazioni plasmatiche di chinidina, ma questo effetto è solitamente modesto. Procainamide È un analogo dell’anestetico procaina. Presenta un’attività simile alla chinidina, mancando delle proprietà vago litica e bloccante α-adrenergica. La procainamide blocca i canali del sodio con un tempo intermedio di recupero e prolunga la durata del potenziale di azione. Il suo principale metabolita, l’N-acetilprocainamide, non blocca i canali del sodio, però è molto efficace nel prolungare la durata del potenziale di azione. È il farmaco progenitore che rallenta la conduzione e prolunga l’intervallo QRS. EFFETTI AVVERSI: Tra gli effetti avversi si annoverano: ipotensione, eccessivo rallentamento della conduzione, nausea (a dosi elevate), torsioni di punta, aplasia del midollo osseo. Nel 25-50% dei pazienti si ritrovano anticorpi anti-nucleo e sviluppano i sintomi di una sindrome lupoide. Tale sintomatologia si risolve alla sospensione del farmaco. FARMACOCINETICA CLINICA: La procainamide viene eliminata rapidamente sia per escrezione renale del farmaco intatto, sia per metabolismo epatico. La via principale del metabolismo epatico prevede la coniugazione da parte dell’N-acetil-transferasi, la cui attività è determinata geneticamente. L’N-acetil- procainamide è eliminata per via renale e non è significativamente convertita di nuovo a procainamide. In pazienti con insufficienza renale la procainamide e il suo metabolita possono accumularsi e dare tossicità. In questi casi bisogna ridurre la dose somministrata, la frequenza e monitorare costantemente la concentrazione plasmatica del farmaco. Negli acetilatori lenti, la sindrome lupoide indotta da procainamide si sviluppa più spesso e più rapidamente che negli acetilatori veloci. Disopiramide Esercita effetti molto simili a quelli della chinidina, con effetti collaterali differenti. Viene utilizzata per mantenere il ritmo sinusale nei pazienti con flutter o fibrillazione atriale, e prevenire le recidive di tachicardia ventricolare o di fibrillazione ventricolare. La disopiramide viene prescritta come racemo. L’enantiomero – produce blocco del canale del sodio, senza prolungamento del potenziale di azione, al contrario dell’enantiomero + che presenta azione simile alla chinidina. La disopiramide non è un antagonista α-adrenergico, ma esercita i suoi effetti vago litici, responsabili degli effetti collaterali. Questi includono: peggioramento del glaucoma, stipsi, secchezza delle fauci e ritenzione urinaria. La disopiramide deprime la contrattilità e questo può aggravare uno scompenso e causare torsioni di punta. FARMACOCINETICA CLINICA: La disopiramide è ben assorbita e il legame alle proteine plasmatiche è dipendente dalla concentrazione. La disopiramide viene eliminata sia per metabolismo epatico, sia per escrezione renale del farmaco non metabolizzato. La dose dovrebbe essere ridotta in pazienti con disfunzione renale. Dosi maggiori del solito sono richieste in pazienti che ricevono farmaci induttori del metabolismo epatico, come la fenitoina. CLASSE Ib: La classe Ib viene utilizzata per il trattamento delle aritmie ventricolari. Lidocaina La lidocaina è un anestetico locale che blocca i canali del sodio, sia nello stato attivato che inattivato. Il recupero dal blocco è molto rapido e quindi è efficace nei tessuti depolarizzati a seguito di ischemia. Questo farmaco non è indicato per le aritmie atriali, data la breve durata del potenziale di azione con i canali del sodio nello stato inattivo solo per breve periodo. La lidocaina può iperpolarizzare le fibre del Purkinje, rallentandone la velocità e bloccando il rientro. La lidocaina non altera i tratti PR o QRS. Il tratto QT rimane inalterato o leggermente diminuito. Viene somministrato per via iv. EFFETTI COLLATERALI: Un’alta dose endovenosa di lidocaina può dare convulsioni. Altri effetti collaterali comuni sono: tremore, disartria e alterazioni della stato di coscienza. Il nistagmo è un segno precoce di intossicazione da lidocaina.. La mexiletina e la locainide sono farmaci simili alla lidocaina utilizzabili per via orale. FARMACOCINETICA CLINICA: La lidocaina è ben assorbita, ma subisce un notevole metabolismo epatico di primo passaggio. I metaboliti della lidocaina sono: la glicil-xilidide (GX) e la mono-etil-GX. Questi composti sono meno potenti della lidocaina. La GX compete insieme alla lidocaina per il legame al canale del sodio, da qui potrebbe derivare la riduzione dell’efficacia della lidocaina durante somministrazioni prolungate, dovute all’accumulo del metabolita inattivo. L’efficacia del trattamento con lidocaina dipende dalle concentrazioni plasmatiche terapeutiche. In caso di scompenso cardiaco, la clearence della lidocaina è diminuita e sia la dose totale di carico che la velocità di infusione della dose di mantenimento dovrebbero essere ridotte. La clearence della lidocaina è ridotta anche in corso di insufficienza epatica e durante il trattamento con cimetidina e β-bloccanti.. per minimizzare la tossicità si richiede un continuo monitoraggio delle concentrazioni plasmatiche. La lidocaina è legata alla α1glicoproteina acida, una proteina che aumenta nella risposta infiammatoria acuta. Patologie come l’infarto sono associate all’aumento di legame con questa proteina e ciò determina una riduzione della forma libera del farmaco. Mexiletina La mexiletina è un analogo della lidocaina, modificata in modo tale da non subire un intenso metabolismo epatico di primo passaggio. Tremore e nausea possono essere minimizzati con la somministrazione contemporanea di cibo. La mexiletina subisce il metabolismo epatico indotto da farmaci, come la fenitoina. La mexiletina viene utilizzata per il trattamento delle aritmie ventricolari. Combinazioni di mexiletina e chinidina o sotalolo possono aumentarne l’efficacia, riducendone gli effetti collaterali. CLASSE Ic: Questi farmaci sono utilizzati nel trattamento delle aritmie ventricolari e sopraventricolari. Propafenone Il propafenone è un bloccante dei canali del sodio con un tempo di recupero abbastanza lento. Quindi, il propafenone blocca sia i canali del sodio (in forma attivata o inattivata) che quelli del potassio. La sua azione elettrofisiologica consiste nel rallentare la conduzione nei tessuti ad alta velocità. Viene somministrato come miscela racemica: entrambi gli enantiomeri bloccano il canale del sodio, tuttavia l’enantiomero + è anche un β-bloccante. La terapia cronica per via orale con propafenone viene utilizzata per il trattamento di tachicardie sopraventricolari, inclusa la fibrillazione atriale. Tra gli effetti collaterali si annoverano: effetti aritmogeni, aggravamento dell’insufficienza cardiaca, bradicardia e asma. FARMACOCINETICA CLINICA: Il propafenone è ben assorbito ed eliminato per via epatica e renale. L’attività del CYP2D6 è il principale fattore che determina la concentrazione plasmatica del propafenone. Nella maggior parte dei soggetti metabolizzatori veloci, il propafenone subisce un pronunciato metabolismo di primo passaggio a 5-idrossipropafenone, un metabolita equipotente ma privo di attività βbloccante. Un secondo metabolita, l’N-dealchil propafenone deriva da un metabolismo non mediato dal CYP2D6, ed è meno potente. Il metabolismo mediato dal CYP2D6 è saturabile. Nei metabolizzatori lenti il metabolismo di primo passaggio è ridotto e quindi le dosi ematiche di propafenone potrebbero essere più elevate rispetto ad altri soggetti metabolizzatori veloci, con una maggiore incidenza degli effetti collaterali. L’attività del CYP2D6 può essere inibita da un certo numero di farmaci. Inclusa chinidina e fluoxetina. Viene consigliato di ridurre il dosaggio del 20-30% nei pazienti affetti da patologie epatiche moderate o gravi e di effettuare un accurato monitoraggio della concentrazione plasmatica. Flecainide L’effetto terapeutico della flecainide sembra essere dovuto al lungo tempo di recupero del blocco dei canali del sodio. È approvata per il mantenimento del ritmo sinusale in pazienti con aritmie sopraventricolari. La flecainide blocca i canali del sodio, sia nella forma attiva che inattiva, e i canali del potassio delayed rectifier. La durata del potenziale di azione è diminuita, soprattutto nelle fibre del Purkinje. Gli effetti collaterali sono molto simili a quelli del propafenone. FARMACOCINETICA CLINICA: La flecainide è ben assorbita e l’eliminazione avviene per escrezione renale del farmaco integro, sia mediante metabolismo epatico a metaboliti inattivi. Il metabolismo epatico avviene a carico del CYP2D6. Comunque l’escrezione per via renale è sufficiente per prevenire l’accumulo del farmaco. Nei pazienti con disfunzione renale e mancanza del CYP2D6 potrebbero raggiungersi concentrazioni plasmatiche tossiche. Classe II: β-bloccanti L’utilizzo dei β-bloccanti è limitato al trattamento delle aritmie sopraventricolari. La stimolazione βadrenergica aumenta l’ampiezza delle correnti del calcio e rallenta la loro inattivazione, aumenta l’ampiezza delle correnti di ripolarizzazione di cloro e potassio, potenzia le correnti che creano il ritmo cardiaco e in alcuni casi possono anche favorire le aritmie. Gli effetti farmacologici dei β-bloccanti sono dovuti a: - Blocco della conduzione AV; - Prolungamento del periodo refrattario del nodo AV, particolarmente pronunciato nel sotalolo. Gli effetti collaterali del β-blocco comprendono affaticamento, broncospasmo, ipotensione, impotenza, depressione, aggravamento dello scompenso cardiaco, peggioramento dei sintomi dovuti a patologie vascolari periferiche e mascheramento dei sintomi dell’ipoglicemia in soggetti diabetici. In pazienti con eccessiva stimolazione simpatica il β-blocco potrebbe attivare i recettori α, con grave ipertensione e aritmie. In questi soggetti il trattamento delle aritmie andrebbe effettuato sia con α che β-antagonisti. Sotalolo Il sotalolo è un antagonista non selettivo del recettore β-adrenergico che prolunga i potenziali di azione cardiaci, inibendo i canali invar rectifier e probabilmente altre correnti del potassio. Il sotalolo è prescritto come miscela racemica: l’enantiomero L è un antagonista dei recettori β-adrenergici molto più potente rispetto all’enantiomero D, ma entrambi bloccano i canali del potassio. Il sotalolo può causare torsioni di punta, soprattutto in caso di ipokaliemia. In questo caso le torsioni di punta sono dose-dipendenti, al contrario della chinidina. Casi sporadici si verificano in pazienti con disfunzioni renali, poiché il sotalolo viene eliminato per via renale. Classe III: bloccanti dei canali per il potassio I farmaci antiaritmici che appartengono a questa classe sono: a) Amiodarone; b) Dronedarone. Questi farmaci sono utilizzati per il trattamento delle aritmie ventricolare e sopraventricolari. Il dronedarone è stato approvato dalla FDA nel luglio del 2009. Questi farmaci prolungano il potenziale di azione attraverso il blocco dei canali del potassio. Quindi il blocco dei canali del potassio determina un aumento della durata del potenziale di azione e riduce automatismo normale. L’aumento della durata del potenziale di azione, aumenta anche il periodo refrattario, e ciò potrebbe essere utile per il trattamento dei fenomeni di rientro. I bloccanti dei canali per il potassio producono una serie di effetti favorevoli: necessità di minore energia per la defibrillazione, inibizione della defibrillazione ventricolare dovuta a ischemia e aumento della contrattilità. Alcuni farmaci appartenenti a questa classe sono anche β-bloaccanti. Amiodarone L’amiodarone è un analogo strutturale dell’ormone tiroideo e alcune delle sue funzioni potrebbero essere dovute all’interazione con il recettore dell’ormone tiroideo. L’amiodarone è un farmaco altamente lipofilo, si concentra nei tessuti e viene eliminato molto lentamente. Quindi i suoi effetti collaterali sono molto difficili da contrastare. Oggi l’amiodarone è ampiamente utilizzato per il trattamento delle aritmie comuni, come la fibrillazione atriale. EFFETTI FARMACOLOGICI: L’amiodarone determina il blocco dei canali del potassio, del sodio e del calcio. Il recupero da blocco dei canali del sodio è rapida e riduce le correnti sia del calcio che del potassio, mediate dai canali outward delayed rectifier e invar delayed rectifier e svolge un effetto non competitivo del recettore adrenergico. L’amiodarone determina così un rallentamento della conduzione e un allungamento del periodo refrattario in tutti i tessuti cardiaci. L’interruzione del trattamento con amiodarone si ha nel 13-18% dei pazienti dopo un anno a causa degli effetti collaterali. EFFETTI AVVERSI: Gli effetti avversi dell’amiodarone sono molteplici: - A livello cardiaco induce bradicardia, prolungamento del tratto QT e torsione di punta; - Tossicità epatica; - Alterazioni della funzionalità tiroidea, sia iper che ipotiroidismo; - A livello polmonare si può avere fibrosi ingravescente e spesso fatale, dopo terapia cronica; - Effetti dermatologici; - Effetti neurologici; - Effetti oftalmologici, con depositi corneali e neurite ottica. Data la gravità degli effetti collaterali, la terapia con amiodarone deve essere sospesa. FARMACOCINETICA CLINICA: La biodisponibilità dell’amiodarone è di circa il 30%. Questo farmaco viene metabolizzato ad opera del CYP3A4, per formare il desetil-amiodarone, un metabolita con effetti farmacologici simili a quelli del farmaco progenitore. Il declino delle concentrazioni plasmatiche dell’amiodarone dopo sospensione della terapia richiede settimane. Siccome il farmaco è eliminato molto lentamente, viene somministrato solo una volta al giorno e la mancata somministrazione per una o due volte non determina aritmia. L’aggiustamento della dose non è richiesto a seguito di disfunzione epatica, renale e cardiaca. L’amiodarone inibisce nettamente il metabolismo epatico e l’eliminazione renale di molti farmaci. I meccanismi identificati rientrano nell’inibizione dei CYP3A4 e CYP2C9 e della glicoproteina-P. durante la terapia con amiodarone è necessaria la riduzione del dosaggio di farfari, di altri antiaritmici e della digossina. Dronedarone Nel luglio del 2009, la FDA ha approvato un nuovo agente antiaritmico, il dronedarone. Il meccanismo di azione di questo nuovo farmaco è uguale a quello dell’amiodarone, tuttavia la terapia con dronedarione presenta menno effetti collaterali, al contrario di quella con amiodarone. Classe IV: bloccanti dei canali del calcio Il principale effetto del blocco dei canali del calcio si verifica nei tessuti a risposta lenta, il nodo SA e il nodo AV. Questi farmaci sono utilizzati per il trattamento delle aritmie sopraventricolari. I farmaci che rientrano in questa categoria sono: 1) Calcio-antagonisti, come verapamil e diltiazem; 2) Adenosina. Calcio-antagonisti Il varapamil soprattutto, in minor misura il diltiazem, bloccano l’ingresso di calcio a livello dei nodi SA ed AV ed in cellule muscolari lisce di tessuti extravascolari. Solo il verapamil è indicato nelle aritmie sopraventricolari in alternativa ai β-bloccanti. Adenosina L’adenosina è un nucleoside purinico che agisce come mediatore intercellulare. L’adenosina intracellulare può derivare sia dal 5’-AMP che dall’S-adenosilcisteina. L’adenosina vien epoi degradata dall’adenosina deaminasi in inosina. Sulla membrana cellulare esistono dei specifici trasportatori per l’adenosina. Una volta libera nell’ambiente extracellulare l’adenosina può legarsi al suo recettore. L’adenosina extracellulare può derivare anche dalla metabolizzazione del 5’-AMP extracellulare ad opera dell’enzima ecto-5’-nucleotidasi. L’adenosina agisce su recettori accoppiati a proteine G, presenti in molti tessuti e organi. I recettori per l’adenosina sono: - A1, si trova in SNC, cuore, rene e polmone, accoppiato a Gi/G0; - A2a, si trova nel muscolo striato, nel cuore , rene e polmone, accoppiato a proteina Gs; - A2b, si trova a livello del SNC, cuore, polmone e intestino ed è accoppiato a Gs; - A3, si trova a livello del polmone, del cervello, aorta, cuore e testicoli, ed è accoppiato a Gi. EFFETTI FARMACOLOGICI: L’adenosina svolge per lo più effetti cardiovascolari, prevalentemente dovuti ad attivazione dei recettori A1. L’adenosina determina: - Nelle cellule cardiache, inibizione dei canali del caldio di tipo L, ed aumento della conduttanza al potassio; - Vasodilatazione coronarica; - Riduce la frequenza e la forza di contrazione cardiaca; - Inibisce la conduzione AV; - Riduce il rilascio di catecolamine dalle terminazioni nervose del simpatico. USI CLINICI: L’adenosina viene utilizzata per il trattamento di aritmie sopraventricolari. La somministrazione avviene per iv rapida di 3 mg, seguita da lavaggio con salina, poiché l’adenosina aderisce alle pareti dell’ago e della vena. L’adenosina presenta un emivita di 1-2 secondi, poiché viene metabolizzata rapidamente da eritrociti ed endotelio. Gli effetti dell’adenosina sono potenziati nei pazienti che ricevono dipirimadolo, un inibitore della ricaptazione dell’adenosina. Le metilxantine bloccano i recettori dell’adenosina. EFFETTI COLLATERALI: La somministrazione di adenosina comporta vasodilatazione cutanea, dolore toracico, dispnea. È controindicata nel blocco AV e nell’asma bronchiale. Principi per l’uso clinico dei farmaci antiaritmici Per un corretto utilizzo di questa categoria di farmaci, data la loro potenziale tossicità, bisogna: 1) Identificare e rimuovere i fattori precipitanti l’aritmia, come l’ipossia, i disturbi elettrolitici, l’ischemia ed eventuali farmaci proaritmigeni; 2) Stabilire l’utilità del trattamento, infatti non tutte le aritmie vanno curate. Non sono curate le aritmie sintomatiche. Inoltre lo studio CAST (cardiac arythmias soppressione trial) ha chiaramente dimostrato come la mortalità di soggetti post-infartuati trattati con flecainide o encainide per il controllo delle aritmie ventricolari, è risultata essere doppia rispetto ai soggetti trattati con placebo; 3) Bisogna minimizzare i rischi scegliendo il trattamento adatto. Nella fibrillazione atriale bisogna innanzitutto ridurre la risposta ventricolare (digitale, β-bloccanti, verapamil), bisogna poi restaurare il ritmo sinusale (chinidina, flecainide, amiodarone, dronedarone); non deve essere effettuato alcun trattamento antiaritmico ma solo terapia anticoagulante. Solo i β-bloccanti ed in misura minore l’amiodarone riducono la mortalità nelle terapie croniche. I farmaci antiaritmici possono causare aritmie e sono controindicati in una serie di patologie cardiache ed extracardiache. Bisogna attentamente monitorare la concentrazione plasmatica. Le controindicazioni alla somministrazione di farmaci antiaritmici si dividono in: - Cardiache: insufficienza cardiaca, disfunzione del nodo del seno o del nodo AV, sindrome di Wolff-Parkinson-White, malattie della conduzione internodale, stenosi aortica o subaortica, pregresso infarto al miocardio, intervallo QT prolungato, trapianto cardiaco; - Non cardiache: diarrea, prostatismo, glaucoma, artrite, malattie polmonari, tremore, stipsi, asma, vascolopatia periferica, ipoglicemia. TERAPIA DELL’IPERCOLESTEROLEMIA I lipidi sono insolubili in acqua e vengono trasportati nel sangue complessati con proteine. Gli acidi grassi possono anche legarsi all’albumina. Colesterolo, trigliceridi e fosfolipidi sono trasportati sotto forma di complessi macromolecolari definiti lipoproteine. Le lipoproteine sono formate da un nucleo centrale, costituito da lipidi idrofobici (trigliceridi e colesterolo esterificato), circondato da un monostrato di lipidi più polari (colesterolo libero e fosfolipidi) e da proteine specifiche dette apolipoproteine. Esistono vari tipi di lipoproteine plasmatiche: 1) I chilomicroni sono formati dai trigliceridi esogeni, complessati con l’APO B-48, A-I, A-II, A-IV, C-II, C-III, E, 2) VLDL, formati dai trigliceridi endogeni, complessati con APO B-100, E, C-II e C-III; 3) IDL, formati da colesterolo esterificato e trigliceridi, complessati con APO B-100, E, C-II e C-III; 4) LDL, contenenti colesterolo esterificato, complessato con APO B-100; 5) HDL, contenenti fosfolipidi e colesterolo esterificato, complessati con A-I, A-II, C-II, C-III, E; 6) Lp(a), contenente colesterolo esterificato, complessato a APO B-100 e (a). Il trasporto dei lipidi da intestino e fegato ai tessuti periferici è mediato da lipoproteine che contengono ApoB (chilomicroni, VLDL e LDL). Il trasporto inverso dei lipidi dai tessuti periferici al fegato è mediato dalle HDL. METABOLISMO DEI CHILOMICRONI: I chilomicroni vengono sintetizzati a partire dagli acidi grassi dei trigliceridi introdotti con la dieta e dal colesterolo assorbito a livello dell’intestino tenue. L’assorbimento del colesterolo intestinale e degli steroli vegetali è mediato dalla proteina Niemann-Pick C1-like 1 (NPC1L1), che rappresenta il bersaglio di azione dell’ezitimibe. Il colesterolo della dieta viene esterificato dall’isozima di tipo 2 dell’enzima acil coenzima A: colesterolaciltrasferasi (ACAT). I chilomicroni sono le lipoproteine plasmatiche più voluminose e a maggior contenuto di grasso. I trigliceridi dei chilomicroni, arrivati nella circolazione attraverso il dotto toracico, sono idrolizzati dalla lipoprotein lipasi (LPL) a livello dei capillari del tessuto adiposo e muscolare, con la liberazione di free fatty acids (FFA) e chilomicroni remants. Affinchè l’LPL funzioni correttamente è necessaria la Apo-CII come cofattore. L’insulina ha un effetto permissivo sull’idrolisi dei trigliceridi mediata dall’LPL. I chilomicroni remants sono captati dagli epatociti mediante specifici recettori che riconoscono l’ApoE. Qui ad opera della lipasi epatica i chilomicroni vengono ulteriormente alleggeriti del loro contenuto in trigliceridi. Il sequestro è reso possibile perché l’ApoE interagisce sia con il recettore delle LDL che con un recettore correlato, LRP. L’attività della LPL è modulata in senso positivo da ApoC-II e in senso negativo da ApoC-III. Mutazioni di LPL o ApoC-II determinano iperchilomicronemia, mentre polimorfismi di ApoE, associati con ipotiroidismo, obesità e diabete, determinano l’insorgenza di disbetalipoproteinemia. METABOLISMO DELLE VLDL-LDL: Le VLDL sono sintetizzate negli epatociti, assemblando i trigliceridi, colesterolo ed ApoB-100 ad opera di una MTTP, microsomal trigliceride transfer protein. L’ApoB-100 che non vien eincorporata nelle VLDL viene degradata immediatamente. Una volta immesse in circolo, le VLDL, con un’emivita di 30 minuti, sono scisse dalle LPL in FFa, formando IDL. Le IDL, a loro volta possono essere captate dagli epatociti mediante i recettori per le LDL o LRP. I recettori per le LDL sono in grado di riconoscere sia l’ApoB-100 che ApoE, invece i recettori LRP riconoscono solo le ApoE. Oltre il 50% delle IDL viene convertito dalla lipasi dei capillari epatici (HL) in LDL, che perde le Apo a basso peso molecolare e mantiene una molecola di ApoB-100. Le LDL hanno un’emivita di 36-48 ore, e trasportano circa il 70 % del colesterolo ematico. Il 50-75% delle LDL viene captato dal fegato tramite i recettori per le LDL. Le LDL rimanenti interagiscono con il recettore o, se ossidate, con il recettore scavengers (S-R) dei tessuti periferici e presente sui macrofagi. L’espressione di LDL-R, ma non quella dei S-R, è modulata dalla concentrazione intracellulare di colesterolo: aumento della concentrazione di colesterolo intracellulare, diminuzione dell’esposizione del recettore. L’aumento delle LDL ossidate o una down regulation del LDL-R portano ad un aumento del catabolismo da parte di S-R, con la formazione di foam cells. Alterazioni genetiche del recettore LDL portano ad ipercolesterolemia familiare, molto grave nei soggetti omozigoti. Alterazioni del gene dell’ApoB-100 portano alla sindrome ApoB difettiva, molto simile alla precedente. METABOLISMO DELLE HDL: Le HDL nascenti (HDLn) possono originarsi dal fegato, intestino o dal catabolismo dei chilomicroni e delle VLDL. Le HDLn captano il colesterolo non esterificato dai tessuti periferici, tramite il trasportatore ABCA1. L’enzima lecitina:colesterolo aciltransferasi (LCAT) esterifica il colesterolo, dando origine alle HDL. Il colesterolo esterificato è scambiato con trigliceridi, con apolipoproteine contenenti ApoB ad opera della cholesteryl ester transfer protein o CEPT. La captazione avviene ad opera degli epatociti che hanno il recettore per le LDL, mentre le HDL esprimenti ApoE possono direttamente trasportare il colesterolo esterificato al fegato mediante interazione con LRP. L’ipercolesterolemia, soprattutto bassi livelli di HDL sono un fattore di rischio per la malattia coronarica. L’obiettivo terapeutico è quello di ridurre la concentrazione di colesterolo LDL sotto i valori di 135 mg/dl in soggetti non a rischio e inferiore a 100 mg/dl in soggetti con altri fattori di rischio. Le attuali strategie terapeutiche sono: a) Sequestranti degli acidi biliari; b) Fibrati; c) Acido nicotinico o niacina; d) Statine; e) Agenti antisenso; f) Inibitori dell’assorbimento del colesterolo. Sequestranti degli acidi biliari I sequestranti degli acidi biliari sono resine a scambio ionico, ad elevato peso molecolare, insolubili in acqua e fortemente igroscopiche. Attualmente vengono utilizzate: - Colestiramina; - Colestipolo. Questi farmaci legano in maniera covalente gli acidi biliari, bloccandone il riassorbimento intestinale, aumentando così l’espressione dei recettori LDL epatici e stimolando il catabolismo delle LDL. Gli acidi biliari, per oltre il 95% sono riassorbiti a livello dell’ileo distale. Il blocco del riassorbimento determina un aumento della conversione del colesterolo intracellulare in acidi biliari nel fegato. Ciò determina una maggiore espressione dei recettori per le LDL, con riduzione della concentrazione plasmatica delle LDL. Tuttavia, si riduce la concentrazione intracellulare del colesterolo, che stimola l’attivazione dell’HMG-CoA reduttasi. Quindi aumenta la sintesi endogena di colesterolo e trigliceridi con aumentata secrezione di VLDL. Per quanto riguarda gli effetti sulle lipoproteine, questi farmaci riducono il colesterolo totale fino ad un massimo del 30% e le LDL fino al 40%. In molti pazienti aumenta anche la concentrazione delle HDL, tra il 5-10%. Tuttavia vi può essere un possibile aggravamento dell’ipertrigliceridemia. INDICAZIONI CLINICHE: Questi farmaci sono indicati in tutte le forme di ipercolesterolemia, tranne nell’ipercolesterolemia familiare omozigote, dove l’assenza del recettore delle LDL e l’aumento della sintesi del colesterolo endogeno porterebbero ad un effetto paradosso. Rappresentano il trattamento di elezione nie bambini con ipercolesterolemia familiare in eterozigosi. DOSAGGIO E PRECAUZIONI: Questi farmaci vengono assunti per 12-24 g al giorno, in 2-3 volte, lontano dai pasti o dalla somministrazione di altri farmaci per os. Non hanno effetti sistemici, ma possono causare sintomi gastrointestinali, nausea, vomito, stipsi, dolori addominali. Data l’alterazione dell’assorbimento dei lipidi, anche eventuali farmaci idrofobi non verranno assorbiti. Infatti i sequestranti degli acidi biliari riducono l’assorbimento di warfarina, tiazidi, glucosidi digitalici, tetracicline, propranololo, furosemide e vitamine liposolubili. I fibrati I fibrati riducono la trigliceridemia e la colesterolemia inibendo la secrezione epatica di VLDL, attivando la LPL ed accelerando il metabolismo delle VLDL. I fibrati maggiormente utilizzati in clinica sono: - Bezafibrato; - Ciprofibrato; - Gemfibrazil. I fibrati attivano i PPARα (peroxisome proliferators activated receptors), modulando la sintesi di specifiche proteine. I PPARα sono espressi particolarmente negli epatociti e nel tessuto adiposo, mentre l’espressione è minore a livello renale, cardiaco, muscolare e scheletrico. I PPARα sono recettori citoplasmatici, che una volta attivati migrano nel nucleo, dove riconoscono particolari sequenze, dette PPRE. Sequenze PPRE sono presenti in geni che codificano per lipoproteine (A-I, A-II, C-III) ed enzimi (LPL, enzimi mitocondriali e perossisomiali). EFFETTI FARMACOLOGICI: I fibrati inducono l’espressione di specifici enzimi, con un aumento dell’ossidazione degli acidi grassi. Inoltre riducono la sintesi epatica degli acidi grassi e trigliceridi e della secrezione di VLDL. I fibrati determinano aunche un aumento dell’espressione di LPL, con riduzione dell’espressione di ApoC-III (con ruolo inibitorio della LPL). Così, aumenta la lipolisi dei chilomicroni e delle VLDL. Infine si assiste anche ad un aumento della concentrazione ematica delle HDL. La concentrazione ematica delle VLDL può diminuire fino al 50-60%, mentre i livelli delle HDL aumentano anche del 10-20%. Inoltre determinano riduzione della trigliceridemia. Altri effetti molto importanti, al di là di quelli ipolipidemizzanti sono la riduzione della concentrazione plasmatica del fibrinogeno del 10-45% e riduzione dell’aggregazione piastrinica. ASSORBIMENTO, METABOLISMO ED ESCREZIONE: Tutti i fibrati vengono assorbiti in modo rapido ed efficiente quando sono assunti durante i pasti e in misura minore a digiuno. Nel plasma, oltre il 95% del farmaco viaggia legato alle proteine plasmatiche, dando luogo a fenomeni di spiazzamenti in caso di assunzione di altri farmaci ad elevato legame proteico. L’emivita dei vari fibrati differisce ampiamente, tuttavia tutti si distribuiscono in tutto l’organismo. Vengono escreti soprattutto come glucuronati, a livello delle urine, con piccole quantità anche nelle feci. In caso di insufficienza renale, l’escrezione di questi farmaci si riduce e l’impiego di fibrati è controindicato in soggetti con insufficienza renale. INDICAZIONI CLINICHE: I fibrati sono farmaci di prima scelta per il trattamento dell’ipertrigliceridemia, iperchilomicronemia ed iperlipidemie miste eventualmente in associazione con le statine. In questo caso bisogna fare attenzione agli effetti muscolari. CONTROINDICAZIONI, EFFETTI COLLATERALI ED INTERAZIONI CON ALTRI FARMACI: Il trattamento con fibrati è controindicato in: - Insufficienza renale grave; - Cirrosi; - Malattia nefrosica; - Gravidanza e allattamento. Gli effetti collaterali più comuni dovuti a somministrazione di fibrati sono: disturbi gastrointestinali (5%), disturbi della libido, reazioni cutanee, senso di affaticamento, anemia. Infine bisogna considerare le eventuali interazioni con altri farmaci. I fibrati possono potenziare l’azione degli anticoagulanti orali per fenomeni di spiazzamento. Quindi bisogna monitorare attentamente il tempo di protrombina ed eventualmente ridurre il dosaggio di anticoagulanti. Acido nicotinico o niacina In clinica, attualmente, viene utilizzato solo l’acipimox. L’acido nicotinico o niacina è molto efficace nell’abbassare i livelli dei lipidi, tuttavia il suo uso è associato a gravi effetti collaterali. A livello del tessuto adiposo determina l’inibizione della lipolisi dei trigliceridi. Viene ridotto il trasporto di FFA al fegato, con riduzione della sintesi epatica di trigliceridi e di VLDL. Tutto ciò determina un abbassamento dei livelli di LDL. La niacina abbassa la concentrazione di trigliceridi di circa il 35-50%, le LDL di circa il 25% e aumenta le HDL di circa il 15-30%. In Italia è in commercio un derivato dell’acido nicotinico, acipimox appunto, indicato a dosi di 500-750 mg al giorno in caso di ipertrigliceridemia e di elevati livelli di LDL, particolarmente nei soggetti con bassi livelli di HDL. ASSORBIMENTO, METABOLISMO ED ESCREZIONE: Somministrata per os, la niacina è sempre ben assorbita. A bassi dosaggi viene captata dal fegato e il suo metabolita principale, l’acido nicotinurico si ritrova nelle urine. A dosi più elevate una notevole quantità di farmaco si ritrova in forma immodificata nelle urine. EFFETTI COLLATERALI E PRECAUZIONI DI USO: L’acido nicotinico presenta una serie di effetti collaterali che ne limitano la compliance da parte del paziente. I vari effetti collaterali si dividono in: - Effetti cardiovascolari: vasodilatazione e aritmie sopraventricolari; - Effetti cutanei: vampate, prurito da liberazione di prostaglandine, secchezza della cute; - Effetti G.I.: dispepsia, nausea, vomito e diarrea; - Epatotossicità, da qui la necessità di effettuare un controllo periodico delle transaminasi; - Insulino-resistenza, con iperglicemia, relativamente controindicata in soggetti con diabete; - L’associazione con le statine può dar luogo a miopatia; - Può determinare la riattivazione della gotta, poiché innalza i livelli di acido urico; - Controindicata in gravidanza. Statine Le statine sono inibitori competitivi dell’enzima idrossimetilglutaril-CoA reduttasi, fondamentale per la sintesi del colesterolo endogeno. Nel 1976 fu isolata la mevastatina da colture di Penicillum. Michael Brown e Joseph Goldstein ricevettero il premio Nobel Nel 1985 per questa scoperta. Tra le statine maggiormente utilizzate si ricordano: - Atorvastatina; - Cerivastatina; - Fluvastatina; - Lovastatina; - Pravastatina; - Simvastatina; - Rosuvastatina. EFFETTI FARMACOLOGICI: Le statine inibiscono l’enzima HMG-CoA, enzima chiave nella sintesi del colesterolo endogeno. L’inibizione è di tipo competitivo reversibile. La diminuzione della sintesi di colesterolo endogeno, determina un aumento dell’espressione dei recettori per le LDL. Vine aumentato il catabolismo epatico delle IDL/LDL e viene anche inibita la sintesi degli isoprenoidi, con effetti antinfiammatori e stabilizzanti le placche ateroma tose. Le statine sono in grado di ridurre fino al 40-50% i livelli di colesterolo totale e di LDL. La concentrazione dei trigliceridi si riduce dal 10 al 20%. Mentre i livelli delle HDL aumentano del 5-10%. La atorvastatina e la rosuvastatina sono i farmaci più potenti della classe, con una emivita più lunga (circa 20 ore). ASSORBIMENTO, METABOLISMO ED ESCREZIONE: Dopo somministrazione per os, l’assorbimento delle statine varia tra il 30-85%. Tutte le statine, eccetto simvastatina e lovustatina, sono somministrate come idrossiacido. Tutte le statine hanno un metabolismo epatico di primo passaggio, ma differiscono per il meccanismo attraverso il quale entrano nel fegato. Per questo la biodisponibilità delle statine nel circolo sistemico è bassa, all’incirca compre tra il 5 e il 30%. Nel plasma oltre il 95% delle statine viaggiano legate alle proteine plasmatiche, con esclusione della pravastatina e dei suoi metaboliti. Il fegato biotrasforma tutte le statine, con eliminazione epatica e eliminazione fecale. INDICAZIONI CLINICHE E PRECAUZIONI DI USO: Le statine vengono utilizzate per il trattamento di tutte le forme di ipercolesterolemia familiare omozigote, con possibile eccezione della atorvastatina. Vanno somministrate di sera, per il ritmo circadiano della sintesi del colesterolo. Le statine e i sequestranti degli acidi biliari presentano effetti sinergici sull’espressione del recettore per le LDL nel fegato. Bisogna controllare ogni 6 mesi la funzionalità epatica e non bisogna sottovalutare le interazioni farmacometaboliche. Agenti induttori o inibitori del CYP3A4 o del CYP2C9 possono alterare l’AUC delle statine. CONTROINDICAZIONI ED EFFETTI COLLATERALI: Le statine sono controindicate in gravidanza e allattamento ed in corso di malattia epatica attiva. Le statine sono in genere ben tollerate, ma occasionalmente possono causare problemi muscolari (miopatia) fino a miosite e rabdomiolisi, che può essere più frequente in corso di terapia combinata con fibrati ed in associazione alla ciclosporina. Possono inoltre causare effetti gastrointestinali, tossicità epatica e insonnia. L’epatotossicità grave è un evento raro, tuttavia è sempre opportuno valutare la funzionalità epatica con test atti a misurare la concentrazione di ALT. L’assunzione delle statine è associato allo sviluppo di miopatia. Tutti i fattori che inibiscono il metabolismo delle statine aumentano il rischio di miopatia, tra questi: età avanzata, disfunzione epatica, patologie multisistemiche, ridotta taglia corporea e ipotiroidismo non trattato. Sono vari i meccanismi alla base del danno muscolare, tra cui anche l’eccessiva inibizione della sintesi del colesterolo endogeno. La miopatia è caratterizzata da intensa mialgia, con debolezza e affaticamento. Si elevano i livelli sierici degli enzimi da danno muscolare. L’uso singolo di statine non predispone alla rabdomiolisi, infatti sono le associazioni multi farmacologiche ad aumentare il rischio di insorgenza di rabdomiolisi. La sicurezza dell’assunzione di statine in gravidanza non è stata dimostrata. Si consiglia quindi di evitare l’assunzione di statine in corso di gravidanza e allattamento. ULTERIORI UTILIZZI CLINICI DELLE STATINE: Recenti studi hanno sottolineato i benefici dell’assunzione di statine in soggetti con patologie cardiovascolari sottostanti. Infatti la FDA ha approvato l’atorvastatina per l’utilizzo in pazienti con malattie cardiovascolari. L’efficacia delle statine anche in queste patologie è dovuta alla presenza di effetti antinfiammatori ed immunomodulatori. Gli isoprenoidi farnesilpirofosfato e geranilpirofosfato sono essenziali per la prenilazione che permette a proteine come le GTPasi RAS e RHO di associersi alle membrane per svolgere la loro funzione di attivatori molecolari. L’inibizione della HMG-CoA reduttasi, ad opera delle statine media gli effetti antiinfiammatori. Infatti per la sintesi del farnesilpirofosfato e del geranilpirofosfato è necessaria una buona attività dell’HMG-CoA reduttasi. Inoltre le statine: - Interferiscono con i segnali di trasduzione STAT e NFkB; - Inducono l’inibizione dell’espressione di molecole di adesione, citochine, chemochine e MMP; - Inducono l’inibizione della migrazione leucocitaria; - Inducono uno switch da Th1 a Th2; - Effetti antinfiammatori ed immunosoppressori in una varietà di modelli sperimentali. Ma le statine, presentano un’attività antinfiammatoria indipendente dall’inibizione dell’HMG-CoA reduttasi. Infatti le statine determina il blocco dell’interazione tra le integrine e le immunoglobuline, andando fisicamente ad occupare i siti di interazione, impedendone il legame. Tutti questi effetti hanno come risultato finale una riduzione della risposta infiammatoria, che è alla base di molte patologie cardiovascolari, come l’aterogenesi. Quindi le statine hanno un’azione stabilizzante la placca ateromasica. Agenti anti-senso: Mipomersen Un agente antisenso è in grado di ridurre i livelli di LDL in soggetti a rischio. Il mipomersen attualmente è in fase III di studio clinico. Mipomersen è un oligonucleotide sintetico che ha come bersaglio l’mRNA dell’apolipoproteina B-100. Siccome ogni singola particella di LDL contiene una ApoB-100, una riduzione della sintesi di ApoB-100 determina anche una riduzione delle LDL circolanti, con una riduzione del rischio di insorgenza di accidenti cardiovascolari. Inibitori dell’assorbimento del colesterolo: ezetimibe L’ezetimibe è il primo composto in grado di inibire l’assorbimento del colesterolo da parte degli enterociti dell’intestino tenue. Infatti va a bloccare il trasportatore NPC1L1. È stato approvato dalla FDA nel 2002. Viene anche utilizzato in associazione con la simvastatina. EFFETTI FARMACOLOGICI: L’ezetimibe determina una riduzione del 50% dell’assorbimento intestinale del colesterolo, con una riduzione del trasporto al fegato da parte dei chilomicroni. Inoltre viene stimolata la sintesi epatica di colesterolo, con stimolazione dell’espressione dei recettori per le LDL. Si assiste così ad una riduzione del 15-20% dei livelli di LDL circolanti e un aumento dell’1-2% dei livelli di HDL. Viene utilizzato in combinazione con le statine e molto rare sono le reazioni allergiche. ASSORBIMENTO, METABOLISMO ED ESCREZIONE: L’ezetimibe è altamente insolubile in solventi acquosi. Una volta ingerito il farmaco viene glucuronato a livello dell’epitelio intestinale, viene poi assorbito e va incontro a circolo enteroepatico. Il 70% viene escreto per via fecale, mentre il 10% viene eliminato per via renale. I sequestranti degli acidi biliari ne inibiscono l’assorbimento, quindi queste due classi non dovrebbero mai essere somministrate contemporaneamente. EFFETTI AVVERSI ED INTERAZIONI CON ALTRI FARMACI: L’ezetimibe può causare rare risposte allergiche. Il suo utilizzo è associato all’insorgenza di miopatie, soprattutto in associazione con le statine. La sicurezza dell’ezetimibe in gravidanza ancora non è stata testata. Siccome le statine sono controindicate sia in gravidanza che durante l’allattamento, prodotti contenenti statine e ezetimibe dovrebbero essere evitati. FARMACI ANTI - COAGULANTI E PRO - COAGULANTI La coagulazione è il processo responsabile che porta alla formazione del coagulo a partire dai precursori circolanti. È il meccanismo alla base della formazione del tappo emostatico e della trombo genesi. I farmaci anticoagulanti sono in grado di interrompere il processo a vari livelli, bloccando la trombo genesi. Pertando il loro uso principale è come farmaci anti-trombotici. La coagulazione comparta una serie di attivazione di zimogeni. In ciascuna tappa un precursore proteico, o zimogeno, è convertito in una proteasi attiva mediante la lisi di uno o più legami peptidici della molecola precursore. I componenti che possono essere interessati in ciascuna tappa comprendono una proteasi derivante dalla tappa precedente, uno zimogeno, un cofattore proteico non enzimatico, il calcio e una superficie organizzante, fornita dai fosfolipidi o, in vivo, dalle piastrine. La proteasi finale che viene generata è la trombina (fattore IIa). AVVIO DELLA COAGULAZIONE: La coagulazione viene innescata da due vie: - Via intrinseca; - Via estrinseca. Anche se i fattori coinvolti e gli stimoli inducenti sono diversi, entrambe queste vie convogliano sul complesso attivatore della protrombina in trombina. Nella via estrinseca, il fattore VIIa plasmatico si lega al fattore tissutale sub endoteliale, in seguito a danno vascolare. In questo modo viene accelerata enormemente la reazione di attivazione del fattore X da parte del fattore VIIa. Il fattore VIIa può anche attivare il fattore IX, fornendo così un punto di convergenza tra via intrinseca ed estrinseca. L’attivazione della via intrinseca è generalmente molto rapida, al contrario della via intrinseca. Nella via intrinseca, l’attivazione si ha quando il fattore XII, la precallicreina o il chininogeno ad alto peso molecolare interagiscono con il caolino, il vetro o qualunque altra superficie. Ciò porta all’attivazione del fattore XIIa, che attiva il fattore XI. Il Fattore XIa attiva a sua volta il fattore IX, e il fattore IXa attiva il fattore X. Questa reazione è amplificata grazie alla presenza del fattore VIIIa, dai fosfolipidi e dal calcio. È possibile monitorare lo stato di salute di entrambe le vie di attivazione valutando in laboratorio l’aPTT e il PT. L’aPTT, o activated partil thromboplastin time, è un test che valuta la funzionalità della via intrinseca. Viene valutato il tempo di coagulazione di plasma citrato ricalcificato in seguito all’aggiunta di fosfolipidi a carica elettrica negativa e caoilino. Normalmente tale test ha come valore un tempo compreso tra 26-33 secondi. Il PT, o prothromibin time, valuta la funzionalità della via estrinseca. Questo test misura il tempo di coagulazione di plasma ricalcificato dopo aggiunta di tromboplastina, estratto salino di cervello contenente fattore tissutale e fosfolipidi. Normalmente il tempo oscilla tra 12-14 secondi. I farmaci attualmente disponibili, in grado di modificare l’attivazione della coagulazione sono: - Eparina ed eparino-simili a basso peso molecolare (LMWH); - Inibitori diretti della trombina; - Inibitori del fattore Xa; - Anticoagulanti orali; - Vitamina K. Eparina ed eparino-simili a basso peso molecolare (LMWH) L’eparina è un glicosamminoglicano di peso molecolare di 15-30 kDa, estratto dalla mucosa intestinale porcina o dal polmone bovino. Si ritrova anche nei granuli secretori dei mastociti. Attualmente in commercio sono disponibili: - Enoxaparina; - Dalteparina; - Tinzaparina; - Nadroparina; - Ardeparina; - Reviparina. Le varie preparazioni sono biologicamente simili, 150 U/mg. Una U è uguale alla quantità di eparina che inibisce la coagulazione di 1 ml di plasma citrato di pecora per 60 minuti, dopo l’aggiunta di una soluzione di 0,2 ml all’1% di CaCl. L’eparina viene somministrata o per via sc o iv, per infusione o bolo. Ha una rapida insorgenza dell’effetto ed una breve emivita dipendente dalla dose (1-5 ore). Le eparine a basso peso molecolare (LMWH) sono ottenute mediante depolimerizzazione chimica o enzimatica. Presentano un peso molecolare medio di 4000-5000 daltons. Questi composti hanno una emivita plasmatica più lunga, 3-4 volte maggiore dell’eparina, poiché non si legano alle plasma proteine ne alle cellule endoteliali. MECCANISMO DI AZIONE: L’eparina catalizza l’inibizione di svariate proteasi della coagulazione da parte dell’antitrombina. L’antittrombina III è un polipeptide glicosilato di circa 58 kDa, sintetizzato dal fegato con una concentrazione ematica di 2,6 μM, che agisce da inibitore delle proteasi (trombina, fattore IXa, Xa, XIa e XIIa). L’eparina, agendo da substrato catalitico, favorisce l’interazione tra antitrombina III e trombina e fattore Xa, la cui attività è inibita. Inibisce anche, ma con meno efficacia i fattori IXa e XIa. L’eparina aumenta di mille volte la velocità della reazione trombina-antitrombina, funzionando da supporto catalitico. Il sito di legame dell’antitrombina sull’eparina è una sequenza pentasaccaridica specifica che contiene un residuo di glucosamina 3-o-solfatata. Questa struttura è presente in circa il 30% delle molecole di eparina e le molecole di eparina contenenti meno di 18 unità di monosaccaridi non catalizzano l’inibizione della trombina da parte dell’antitrombina. Le preparazioni di eparina a basso peso molecolare presentano effetto anticoagulante soprattutto attraverso l’inibizione del fattore Xa da parte dell’antitrombina. La trombina presenta due exosites. L’antitrombina III interagisce con l’exosite 2. Anche la fibrina si lega alla trombina mediante l’exosites 2. In questo modo, la trombina complessata con la fibrina non funge più da substrato per l’ATIII, quindi il complesso eparina-ATIII non è attivo sulla trombina legata alla fibrina. INDICAZIONI CLINICHE: L’eparina e le LMWH sono utilizzate per il trattamento della trombosi venosa profonda, che potrebbe sfociare in un’embolia polmonare. Viene somministrato un bolo iv di 5000 U, seguito da 1200-1600 U all’ora con una pompa di infusione. Oppure possono essere somministrate 15000 U per via s.c ogni 12 ore. Il trattamento va prolungato per 5-10 giorni, seguito dalla somministrazione di anticoagulanti orali con una sovrapposizione di 3-4 giorni. Questo perché mentre l’eparina ha un effetto rapido, gli anti-coagulanti orali presentano una fase di latenza prima della produzione di effetti. Bisogna monitorare il paziente mediante valutazione dell’aPTT, che deve essere 1,5-2,5 volte superiore al controllo. Tuttavia, in alcuni pazienti può verificarsi resistenza all’eparina. Ciò può essere dovuto a: - Alte concentrazioni plasmatiche di proteine leganti, come la vitronectina e PF4. Soprattutto il fattore piastrinico 4, PF4, si lega all’eparina, inibendone la funzione; - Aumentata clearence; - Deficit di antitrombina III, congenito o dovuto a cirrosi o nefrosi. In questi casi possono essere utilizzati le LMWH, come la dalteparina sodica, con dose singola giornaliera sc di 15000 U. Inoltre l’eparina e LMWH possono essre utilizzate nella profilassi i pazienti a rischio sottoposti ad interventi chirurgici (5000 U sc ogni 12 ore).; nella profilassi del reinfarto al miocardio (12500 U sc ogni 12 ore per almeno 10 giorni), in associazione ad aspirina e t-PA; profilassi dell’angina instabile, in associazione all’aspirina. ASSORBIMENTO E FARMACOCINETICA: L’eparina non viene assorbita a livello del tratto GI, quindi deve essere somministrata per via sc o iv. Con la somministrazione iv l’inizio dell’azione è immediato. Nelle somministrazioni sc, le eparine a basso peso molecolare sono assorbite più uniformemente. L’emivita nel plasma dipende dalla dose somministrata e presenta un’attività anticoagulante dosecorrelata. Sembra che l’eparina venga degradata dal sistema reticolo endoteliale, tuttavia una piccola quantità immodificata compare anche nelle urine. L’emivita dell’eparina può essere accorciata in soggetti con embolia polmonare e allungata nei pazienti con cirrosi epatica o insufficienza renale allo stadio terminale. Le eparine a basso peso molecolare hanno emivite più lunghe. EFFETTI COLLATERALI E PRECAUZIONI DI USO: Tra le complicanze della terapia con eparina vi è l’emorragia dose-dipendente. Gli eventuali sovradosaggi di eparina possono essere corretti con l’infusione lenta di solfato di protamina, 1 mg per ogni 100 U di eparina. Il solfato di protamina antagonizza l’effetto dell’eparina. Inoltre l’eparina può indurre una trombocitopenia reversibile. Infatti la conta piastrinica può scendere al di sotto delle 100000 unità per ml. In alcuni casi è anche possibile l’instaurazione di fenomeni trombotici. La formazione di trombi a seguito di terapia con eparina, sembra essere dovuta alla formazione di IgG contro l’eparina e il PF4. Le IgG si legano al recettore FcγRII, presente sulle piastrine. L’attivazione di questo recettore provoca l’attivazione delle piastrine, con ulteriore rilascio di PF4 ed inibizione dell’eparina. Altre manifestazioni tossiche della somministrazione di eparina è la tossicità epatica, l’osteoporosi e l’iperkaliemia dovuta all’inibizione della secrezione di aldosterone. Le LMWH non attraversano la barriera placentare e sono indicate nella terapia anticoagulante in gravidanza, da interrompere almeno 24-48 ore prima del parto, per evitare eventi emorragici. Inibitori diretti della trombina Questi farmaci presentano i seguenti vantaggi rispetto all’eparina: 1) Indipendenza degli effetti dalla antitrombina III; 2) Non sono neutralizzati dal PF4; 3) Basso peso molecolare; 4) Inibizione sia della trombina solubile che di quella legata alla fibrina. Questa categoria di framaci, da un punto di vista funzionale è possibile dividerli in: - Inibitori bivalenti: con blocco del sito attivo e dell’exosite 1 della trombina; - Inibitori monovalenti: con blocco del solo sito attivo della trombina. Gli inibitori bivalenti sono quelli maggiormente utilizzati e si ricorda: - Irudina; - Lepirudina; - Bavaliridina; - Dabigatran; - Rivaroxaban. Irudina L’irudina è un peptide di 65 aminoacidi prodotto dalle ghiandole salivari di una sanguisuga europea, l’Hirudo medicinalis. In terapia vengono però utilizzati la lepirudina che è irudina ricombinante, e la bivalirudina, che è una chimera tra il tetra peptide specifico per il sito catalitico ed il dodecapeptide che blocca il sito di legame del fibrinogeno alla trombina. Formano un complesso equimolare con la trombina, caratterizzato da una bassa costante di dissociazione. Non legano il PF4. Il peso molecolare di questi composti è inferiore a quello dell’eparina. Questi composti inibiscono selettivamente tutte le attività della trombina e non inibiscono altre proteasi. La lepirudina è un derivato ricombinante dell’irudina. La lepirudina è stata approvata dalla FDA per il trattamento di pazienti con trombocitopenia indotta da eparina. Questo composto si lega saldamente sia all’exosite 1 che al sito attivo della trombina. La via di somministrazione è iv. Il farmaco viene escreto dai reni con un’emivita di 1,3 ore. Tale farmaco va utilizzato con prudenza in soggetti con insufficienza renale poiché tende ad accumularsi e a causare emorragia. Alcuni pazienti sviluppano degli anticorpi antiirudina. Non esistono antidoti contro la lepirudina. La bivalirudina è un polipeptide sintetico che inibisce direttamente la trombina, con occupazione del sito attivo e dell’exosite 1. Tale composto viene somministrato per via iv nei pazienti che devono essere sottoposti ad angioplastica coronarica. L’emivita in pazienti con normale attività renale è di circa 25 minuti. Avvertenze nella somministrazione del composto in soggetti con insufficienza renale. INDICAZIONI E PRECAUZIONI: Questi farmaci sono utilizzati solo in ambiente ospedaliero e vanno somministrati iv con una emivita di circa 60 minuti. Sono indicati in patologie tromboemboliche e in pazienti con trombocitopenia da eparina. Sono più efficaci dell’eparina nell’angioplastica coronarica. Tutti questi farmaci possono causare emorragia e sono controindicati in gravidanza ed allattamento. Dabigatran Il dabigatran è il primo inibitore diretto della trombina somministrabile per via orale. La biodisponibilità è del 6-7%, con un’emivita di 12-15 ore. Viene escreto per circa l’80% dai reni e la dose consigliata è di 100-150 mg per due volte al giorno. Il rivaroxaban viene utilizzato per la prevenzione del tromboembolismo venoso nei pazienti adulti sottoposti a interventi di sostituzione elettiva di anca o di ginocchio. Inibitori del fattore Xa Tra gli inibitore del fattore Xa, il più importante è il Fondaparinux. Il fondaparinux è un derivato sintetico dell’eparina, precisamente un penta saccaride. Determina l’inibizione del fattore Xa tramite il legame con l’ATIII. Il complesso penta saccaride-ATIII si lega al fattore Xa. Il fondaparinux viene somministrato per via sc a dosi di 2,5 mg al giorno. Presenta un’emivita di 17 ore. Il fondaparinux è indicato nella profilassi delle trombo embolie venose, nei pazienti sottoposti ad interventi chirurgici e nella terapia della trombo embolia e della trombosi venosa profonda. Tra gli effetti collaterali si annoverano: sanguinamento, anemia, raramente si osservano disturbi del tratto GI, insufficienza epatica e trombocitopenia. Gli anticoagulanti orali Il dicumarolo è stato identificato come principio attivo emorragico del trifoglio dolce nel 1939. Successivamente, nel 1948, venne commercializzata la warfarina come topicida. Dagli anni ’50 in poi, questi composti sono stati largamente utilizzati come anticoagulanti. La warfarina è di sicuro l’antocoagulante orale più prescritto. Il nome deriva dall’istituzione dove lavoravano gli scopritori, il Wisconsin Alumni Research Foundation. I preparati commerciali di questi composti sono miscele racemiche, poiché gli enantiomeri differiscono per potenza, metabolismo, eliminazione ed interazione con altri farmaci. MECCANISMO DI AZIONE: Gli anticoagulanti orali sono antagonisti della vitamina K. I fattori della coagulazione II, VII, IX e X e le proteine C e S sono sintetizzati a livello epatico e contengono un certo numero di amminoacidi di glutammato, γ-carbossilati. La presenza di questi residui, permette alle proteine di interagire con il calcio e migliorare l’efficienza della loro funzione. Affinché vengano sintetizzati questi amminoacidi, è necessaria la vitamina K, che va incontro a continui cicli di ossidazione e riduzione. La reazione è catalizzata dalla γ-glutamil-carbossilasi, presente nel reticolo endoplasmatico rugoso. Questa reazione è accoppiata all’ossidazione della vitamina K. La Warfarina inibisce la reduttasi della vitamina K, quindi viene a mancare la forma ridotta della vitamina K, cofattore essenziale della γ-glutamil-carbossilasi. Inizieranno, così ad essere prodotti fattori mancanti dei residui di γ-carbossi-glutammato. Dato che ciascun fattore presenta una caratteristica emivita, la produzione dei fattori non funzionanti sarà completata in tempi diversi. L’inibizione completa del fattore II si avrà dopo 50 ore, fattore VII dopo 6 ore, Fattore IX dope 24 ore, Fattore X dopo 36 ore. Quindi, l’effetto anticoagulante della warfarina si instaura dopo alcuni giorni di somministrazione. FARMACOCINETICA: La biodisponibilità del farfari è pressocchè completa quando il farmaco è somministrato per os, iv o rettale. La presenza di cibo nel tratto GI può ridurre la velocità di assorbimento. Il picco della concentrazione ematica si ha dopo 2-8 ore. Il farfari si lega per il 99% alle proteine plasmatiche, soprattutto all’albumina, e si distribuisce in un volume che equivale allo spazio dell’albumina, circa 0,14 L/kg. Nel plasma fetale la concentrazione di avvicina a quella materna, ma nel latte non si trova farfari attivo. Gli effetti del farfari insorgono lentamente. Il composto viene metabolizzato a livello epatico. Il farfari viene somministrato come miscela racemica ed entrambi gli enantiomeri sono dotati di attività anticoagulante. Tuttavia l’enantiomero R ha un’attività più debole rispetto all’S. l’enantiomero S viene metabolizzato dal CYP2C9, mentre l’enantiomero R viene metabolizzato dal CYP1A2, CUP2C19, CYP3A4. I metaboliti sono inattivi e vengono escreti con l’urina e con le feci. L’emivita è di circa 40 ore, mentre l’efficacia dura per 2-5 giorni. La warfarina attraversa la BBB ed è genotossica. USI CLINICI: Gli anticoagulanti orali sono utilizzati per prevenire la progressione o la recidiva di trombosi venose acute profonde, o embolia polmonare dopo un iniziale trattamento con eparina. Sono anche utilizzati in quelle situazioni in cui vi è un rischio di trombosi: - Fibrillazione atriale; - Cardiopatia reumatica; - Protesi valvolari cardiache. La terapia prevede la somministrazione di una dose iniziale di warfarina di 5-10 mg al giorno, per 3-4 giorni, alla stessa ora. La dose deve essere, poi, aggiustata in base all’INR (International Normalized Ratio). L’INR è il rapporto tra il PT del paziente e il PT di un soggetto normale, moltiplicato per l’ISI. L’ISI è l’indice di sensibilità internazionale, che varia a seconda della tromboplastina utilizzata. L’INR deve essere mantenuto uguale a 2,5 nella profilassi della trombosi venosa profonda; mentre deve essere mantenuto intorno ai 3,5 nella profilassi dell’embolia polmonare ricorrente e nei pazienti con protesi valvolari cardiache. INTERAZIONI FARMACOLOGICHE: Numerosi farmaci possono influire sull’attività anticoagulante della Warfarina. Qualunque sostanza o situazione è potenzialmente pericolosa se modifica: 1) La captazione o il metabolismo dell’anticoagulante orale; 2) La sintesi, la funzione o la clearence di qualunque cellula implicata nei processi coagulativi; 3) L’integrità della superficie endoteliale. Alcuni fattori che alterano la farmacocinetica e la farmacodinamica della warfarina sono: - a livello del tratto GI, con l’assunzione contemporanea di sequestranti degli acidi biliari, ne viene inibito l’assorbimento; - alterazioni del volume di distribuzione, dovuta a ipoalbuminemia; - aumento della clearence metabolica, dovuta alla concomitante somministrazione di induttori metabolici, soprattutto del CYP2C9, come nel caso di barbiturici, carbamazepina, rifampicina e alcol. Oppure rallentamento della clearence metabolica dovuta alla concomitante somministrazione di amiodarone, fluoxetina, isoniazide, nonché spiazzamento ad opera di composti ad alta affinità per l’albumina; - assunzione di vitamina K o produzione da parte dei batteri della flora microbica di questo composto (l’assunzione di antibiotici ad ampio spettro può portare a deplezione di vitamina K con allungamento del PT). Tutti questi meccanismi sono in grado di modificare l’AUC della warfarina, con un incremento o un decremento dell’attività anticoagulante. In alcuni pazienti possono essere presenti più alleli polimorfici del CYP2C9, inattivi. Di conseguenza, in questi soggetti, è presente una notevole sensibilità all’azione della warfarina, richiedendo dosi minori per raggiungere lo stesso effetto. Anche varianti polimorfiche di componenti della vitamina K-reduttasi determinano una certa sensibilità alla warfarina. EFFETTI COLLATERALI: Gli effetti collaterali sono dovuti a sovradosaggio a ad interazioni farmacologiche. Tra quelli più importanti vi è l’emorragia, da essere immediatamente trattata con fitomenadione, un composto simile alla vitamina K, a dosi di 5-10 mg per os, sc o iv. Per un effetto rapido si consiglia la trasfusione. Un altro effetto collaterale, raro, è la necrosi cutanea. La warfarina somministrata durante la gravidanza può determinare malformazioni fetali a carico delle ossa, poiché viene inibita la carbossilasi del tessuto osseo, e del SNC. Inoltre può indurre emorragie fetali e neonatali. Quindi la warfarina non va mai somministrata in gravidanza. Vitamina K Il fabbisogno giornaliero della vitamina K si aggira intorno ai 0,5-1 μg per chilo. Esistono due forme di vitamina K: - la K1 è contenuta per lo più nella verdura, vien assorbita a livello dell’intestino prossimale. L’assorbimento avviene tramite trasporto attivo. Eventuali carenze possono essere dovute ad una dieta carente e a malassorbimento; - la K2 viene sintetizzata dalla flora batterica intestinale a livello dell’ileo terminale e del colon. L’assorbimento avviene per diffusione passiva e la causa principale di deficienza è una terapia antibiotica ad ampio spettro. Nella clinica sono utili: a) Fitomenadione; b) Menadiolo sodio fosfato. La vitamina K, nella forma dell’idrochinone ridotto, KH2, è un cofattore essenziale della γ-glutamil carbossilasi. Utilizzando KH2, ossigeno, anidride carbonica e il substrato contenente il residuo di glutammato, l’enzima forma una proteina con un residuo di γ-carbossi glutammato, e la forma ossidata della vitamina K, la 2, 3-epossido. Una 2, 3 epossido reduttasi cumarino-sensibile rigenera la forma ridotta della vitamina K. Entrambi questi due enzimi sono proteine integrali di membrana del reticolo endoplasmatico e operano come un sistema a multi compartimenti. Mutazioni della γ-glutamil carbossilasi determinano fenomeni emorragici. USI CLINICI: La vitamina K è molto utile per il trattamento della malattia emorragica del neonato. Tutti i neonati presentano bassi livelli di fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti, che si regolarizzano in seguito alla alimentazione e al formarsi della flora batterica intestinale. È raccomandata in tutti i neonati la somministrazione di vitamina K, fitomenadione, 0,5-1 mg per via parenterale. In alternativa possono essere somministrati alla madre in terapia anticoagulante 20 mg al giorno per os, nelle ultime due settimane di gravidanza. Nelle forme patologiche la posologia va aumentata a seconda dei casi. Inoltre la vitamina K vien utilizzata anche nelle sindromi da malassorbimento, in corso di ostruzione biliare, dovuta a riduzione dell’assorbimento dei grassi e quindi della vitamina K, che è idrofobica. Nell’uomo adulto la carenza della vitamina K è molto rara, tuttavia può essere somministrato il fitomenadione oppure il menadiolo sodio fosfato, in preparazione idrosolubile a dose di 10 mg al giorno. L’utilizzo di vitamina K è utile anche in corso di terapia anticoagulante, per via degli effetti tossici. Il fitomenadione può causare anemia emolitica, particolarmente nei soggetti con carenza di glucosio-6fosfato deidrogenasi. Farmaci antiaggreganti piastrinici Si distinguono due tipi di trombi: - Il trombo venoso o rosso, che si sviluppa in assenza di una lesione, ed è formato prevalentemente da fibrina e globuli rossi, in seguito a stasi ematica; - Trombo arterioso o bianco, che si sviluppa in presenza di una lesione dell’endotelio, soprattutto in vasi aterosclerotici. È formato prevalentemente da fibrina e piastrine. La terapia antiaggregante e anticoagulante sono combinate insieme nelle trombosi venose e arteriose. Nella formazione del coagulo, un ruolo molto importante è svolto dalla piastrina, poiché, attivandosi, rappresenta la supeficie sulla quale avviene l’organizzazione della componente proteica del coagulo. Sulla superficie della piastrina sono presenti GPIa/IIa e GPIb, due proteine di membrana che si legano al collagene e al fattore di von Willebrand, consentendo così alle piastrine di aderire al sub endotelio del vaso sanguigno danneggiato. Inoltre sono presenti anche PAR1 e PAR4, recettori attivati da proteasi che rispondono alla trombina. Sono presenti i recettori P2Y1 e P2Y12, recettori per ADP: quando sono stimolati questi recettori attivano la proteina di legame al fibrinogeno GPIIb/IIIa e la ciclossigenasi-1 o COX-1, promuovendo l’aggregazione e la secrezione piastrinica. Il trombossano A2 è il principale prodotto dell’azione della COX-1 coinvolto nell’attivazione piastrinica. La prostaciclina I2, sintetizzata dalle cellule endoteliali, inibisce l’attivazione piastrinica. Quindi i farmaci antiaggreganti piastrinici vanno ad interferire nei normali processi di attivazione della piastrina. I principali meccanismi di azione degli antiaggreganti piastrinici sono: 1) Inibizione della ciclossigenasi; 2) Inibizione della trombossano sintetasi; 3) Antagonismo del recettore TXA2; 4) Antagonismo del recettore dell’ADP; 5) Inibizione delle fosfodiesterasi; 6) Attivazione dell’adenilato ciclasi; 7) Antagonismo del complesso proteico IIaIIIb. Inibitori della ciclossigenasi o COX Vengono utilizzati due composti con questa attività: - L’acido acetilsalicilico; - Indobufene. La fosfolipasi A2, attivata da stimoli, libera dai fosfolipidi di membrana l’acido arachidonico. Quest’ultimo è il substrato sia delle COX che delle lipossigenasi. Vi sono due isoforme di COX, con una diversa espression. La COX -1 è quella costitutivamente attivata e vien inibita sia da alte che da basse dosi di aspirina, mentre la COX-2 è quella, per lo più, indotta dalla risposta infiammatoria, inibita solo da alte dosi di aspirina. In realtà la COX-2 è espressa anche a livello dell’endotelio, ad opera dello shear stress, e qui produce la prostaciclina I2, che inibisce l’attivazione piastrinica. Nelle piastrine, il metabolismo dell’acido arachidonico tramite la COX-1, è volto alla sintesi del trombossano A2, per mezzo della trombossano sintetasi, potente stimolatore dell’attività aggregante. L’acido acetilsalicilico determina l’acetilazione irreversibile della serina 529 della COX-1 piastrinica. Siccome le piastrine, non possiedono nucleo, non sono in grado di sintetizzare nuova COX-1, di conseguenza l’inibizione dura per tutta la vita della piastrina, ovvero 7-10 giorni. L’emivita plasmatica dell’acidoacetilsalicilico è di circa 30 minuti, tuttavia presenta un effetto cumulativo e saturabile, infatti 30 mg al giorno determinano l’inibizione totale della sintesi di TXA2 per una settimana. L’inibizione della sintesi del TXA2 non influenza l’adesione piastrinica. Quando viene somministrata per os, l’acido acetilsalicilico svolge un’azione presistemica, andando ad inibire già nella circolazione portale l’enzima. Ciò permette di ottenere l’effetto antiaggregante a dosi minori rispetto all’effetto anti-infiammatorio. A livelli sistemico, vengono inibite le COX-1 e 2. Gli effetti non dipendenti dall’inibizione della COX sono un aumento della fibrinolisi ed un’inibizione della coagulazione. L’effetto anti-aggregante non è dose-dipendente, al contrario degli effetti collaterali, che sono dosedipendenti. L’effetto anti-aggregante si ottiene a dosi inferiori rispetto a quelle anti-infiammatorie, quindi inferiori ai 100 mg al giorno. Basse dosi di aspirina sono efficaci per il trattamento di vari disordini trombo-embolici. L’utilizzo di una dose compresa tra 50-100 mg al giorno è efficace nel limitare l’insorgenza degli effetti collaterali. Ina percentuale compresa tra il 5-45% i soggetti sviluppano una resistenza clinica all’aspirina. Sono vari i meccanismi alla base della resistenza, riassumibili in: - Meccanismi clinici: mancata compliance, fumo di tabacco che aumenta la funzionalità piastrinica; - Farmacodinamici: in alcuni soggetti l’effetto antiaggregante poterebbe essere dose-dipendente (risposta alla dose), la terapia cronica potrebbe abbassare l’efficacia dell’aspirina (durata della terapia), altri FANS potrebbero inibirire l’azione dell’aspirina sulla COX (interazioni farmacologiche); - Meccanismi biologici: l’aspirina potrebbe indurre la sintesi di TXA2 anche dalla COX-2, aumentando la concentrazione totale di TXA2; presenza di vie alternative per l’attivazione delle piastrine; presenza di composti simil-prostaglandine, in grado di mimare l’azione del TXA2; patologia infiammatoria vascolare,con innesco di vie alternative per l’attivazione piastrinica; - Meccanismi genetici: presenza di polimorfismi della COX scarsamente predisposta all’acetilazione, polimorfismi per il recettore GPIIb/IIIa. Per quanto riguarda l’indobufene, viene utilizzato nei pazienti ipersensibili all’aspirina. Le dosi oscillano tra 100-200 mg. È un inibitore reversibile della COX-1, con un’emivita di 6-8 ore. La durata dell’effetto è di circa 12-24 ore. Inibitori della trombossano sintetasi Gli endoperossidi ciclici, tra cui il TXA2, hanno attività aggregante. Tuttavia, l’inibizione della COX determina anche un abbassamento della concentrazione di prostaciclina, che svolge invece un ruolo inibitorio nell’attivazione piastrinica. L’inibizione della trombossano sintetasi determinerebbe, invece, la sola inibizione della sintesi del trombossano, senza alterare quella della prostaciclina. Tra i farmaci utilizzati in clinica, che sfruttano questo meccanismo, vi è la picotamide. La picotamide, accanto all’inibizione della trombossano sintetasi, manifesta anche un’attività di antagonismo recettoriale per il recettore del TXA2. La picotamide è indicata nelle trombosi venose ed arteriose. Le dosi di attacco sono comprese tra 900-1200 mg al giorno, mentre le dosi di mantenimento sono di 300-600 mg al giorno. Tra gli effetti collaterali vi è il rischio di emorragie. Antagonisti del recettore per l’ADP L’ADP è stato uno dei primi agenti aggreganti piastrinici ad essere identificato. Infatti, elevate concentrazioni di ADP si ritrovano nei granuli piastrinici. Il rilascio dei granuli viene stimolato da trombina e collagene. L’ADP agisce su due differenti recettori metabotropici: a) Il recettore P2Y1, associato a Gq, determina la mobilizzazione del calcio e aggregazione reversibile; b) Il recettore P2Y12, associato a Gi, che determina un’amplificazione dell’aggregazione e della secrezione. L’aumento di calcio e l’inibizione del cAMP causano il cambiamento conformazionale della glicoproteina IIb/IIIa, che si lega a proteine adesive come il fibrinogeno e vWF. In clinica vengono utilizzati gli antagonisti del recettore P2Y12: - Ticlopidina; - Clopidogrel; - Prasugrel; - Ticagrelor; - Cangrelor. Questi sono pro farmaci, che agiscono solo in vivo, in seguito a metabolismo epatico, con una lenta insorgenza di azione. Sono antagonisti non competitivi e inibiscono il legame del fibrinogeno al complesso GpIIb/IIIa. Inoltre riducono i livelli plasmatici di fibrinogeno e sono indicati nella profilassi di eventi trombo embolici. Ticlopidina La ticlopidina è un pro farmaco, che richiede la conversione in un metabolita tiolico attivo, a opera di un CYP epatico. Viene rapidamente assorbito e possiede un’elevata biodisponibilità. Va ad inibire il recettore P2Y12 in modo permanente fomando un ponte disolfuro tra il gruppo tiolico del farmaco e un residuo libero di cisteina situato nella regione extracellulare del recettore. In questo modo l’effetto risulta essere prolungato, anche se l’emivita è breve. La massima inibizione dell’aggregazione si ha dopo 8-11 giorni dall’inizio della terapia. La dose abituale è di 250 mg per 2 volte al giorno. Eventuali effetti avversi sono: sanguinamento, tossicità epatica, neutropenia, rara porpora trombocitopenica. Clopidogrel È un analogo della ticlopidina e sembra essere meno tossico. Il farmaco è equivalente all’aspirina nella prevenzione dell’ictus e in combinazione con l’aspirina è efficace quanto l’aspirina e la ticlopidina. È un pro farmaco con un lento inizio di azione. Viene utilizzato, con l’aspirina, negli interventi di angioplastica. Il clopidogrel è stato approvato dalla FDA nel febbraio del 2002. La dose di attacco è di 300 mg al giorno, mentre la dose di mantenimento è di 75 mg al giorno. La risposta al clopidogrel è influenzata dalla variabilità biologica. L’assorbimento intestinale del clopidogrel è limitato dalla presenza della pompa di efflusso, la glicoproteina-P. quindi farmaci induttori di tale trasportatore inibiscono l’AUC del clopidogrel, viceversa per i farmaci inibitori. La risposta al clopidogrel è determinata dal CYP2C19. I portatori di CYP2C19 non funzionante sono soggetti ad eventi cardiovascolari con più frequenza, proprio perché il clopidogrel, essendo un pro farmaco deve essere attivato da tale enzima. Tra gli effetti collaterali, si segnalano: dispepsia, dolori addominali e sanguinamento. Infine, si segnala che la contemporanea somministrazione di clopidogrel ed inibitori di pompa protonica, i PPI, riduce gli effetti dell’antiaggregante, attenuandone i benefici in soggetti con sindrome coronarica. Questo perché i PPI determinano una inibizione del CYP2C19. Si consiglia di utilizzare il clopidogrel solo con l’omeprazolo, in quanto quest’ultimo non inibisce il CYP2C19. Prasugrel Il prasugrel è stato approvato dall’EMEA nel febbraio del 2009 e dalla FDA nel luglio dello stesso anno. Il prasugrel è un pro farmaco, 10 volte più potente del clopidogrel. Viene metabolizzato in maniera più efficiente e presenta una minore variabilità genetica della risposta terapeutica. Il prasugrel viene assunto per os, con dose di carico di 60 mg per una volta al giorno, e dosi di mantenimento di 10 mg per una volta al giorno. I pazienti che assumono il prasugrel possono anche assumere aspirina. Gli effetti avversi associati all’assunzione del prasugrel sono: sanguinamento, ipertensione, ipercolesterolemia ed iperlipidemia, cefalea, dolore alla schiena, dispnea, nausea e vertigini. Attualmente il prasugrel è indicato nelle sindromi coronariche, tuttavia bisogna prendere in considerazione il rischio di sanguinamento. Infine il ticagrelor e cangrelor sono farmaci antiaggreganti che non necessitano dell’attivazione epatica, quindi una volta somministrati per os, presentano già una biodisponibilità elevata. Gli inibitori della fosfodiesterasi Gli inibitori della fosfodiesterasi, con effetto antiaggregante sono: - Dipiridamolo; - Cilostazolo. Il dipiridamolo è un agente vasodilatatore che, con la warfarina, inibisce l’embolizzazione da protesi valvolari cardiache. Il dipiridamolo aumenta la concentrazione dell’cAMP poiché va ad inibire la fosfodiesterasi. Il cAMP in eccesso va anche ad agire sui recettori A2 per l’adenosina, stimolando l’adenilato ciclasi piastrinica. Tale effetto è mediato anche dalla prostaciclina. Inoltre viene favorito il rilascio di NO. Il dipiridamolo è indicato da solo oppure in associazione ad aspirina per il trattamento delle sindromi anginose, tromboemboliche, etc… il dosaggio è di 300-400 mg al giorno in 3-4 dosi orali. Può causare vasodilatazione cerebrale, con emicrania, disturbi GI e reazioni di ipersensibilità. Il cilostazolo, invece, va ad inibire la fosfodiesterasi 3. Risulta essere un inibitore reversibile dell’aggregazione piastrinica. È stato approvato nel 2008 per aumentare la distanza percorsa a piedi senza dolore e la distanza massima in pazienti con claudicatio intermittentis, senza dolore a riposo e senza necrosi dei tessuti periferici. Viene somministrato alle dosi di 100 mg per due volte al giorno, per os 30 minuti prima o due ore dopo la colazione e il pasto serale. Deve essere utilizzato con cautela nei pazienti con nota predisposizione alle emorragie. Viene metabolizzato dal CYP3A4, quindi vi è la possibilità di interazioni con gli induttori o inibitori metabolici. Tra gli effetti collaterali vi sono: emorragia, ecchimosi, edema periferico, diarrea, cefalea, palpitazioni, pan citopenia. Per questo motivo, la terapia con cilostazolo viene interrotta in circa il 15% dei pazienti. Gli attivatori dell’adenilato ciclasi Gli attivatori dell’adenilato ciclasi maggiormente utilizzati sono la prostaciclina e l’iloprost. L’iloprost viene utilizzato in ambiente ospedaliero, per infusione lenta iv. Questi farmaci sono utilizzati per il trattamento di: malattie vascolari periferiche, angiopatia diabetica, morbo di Raynaud; in circolazione extra-corporea per limitare l’uso di eparina. Esiste un’alta variabilità individuale all’effetto e tra gli effetti collaterali vi sono eccessiva vasodilatazione ed emicrania. Antagonisti del complesso glicoproteico IIb/IIIa La GPIIbIIIa è un’integrina, presente sulla superficie della piastrina (circa 50000 per cellula). L’ADP e la trombina inducono una variazione conformazionale che stimola il legame al fibrinogeno. I farmaci che sono in grado di inibire questo meccanismo sono: - Abciximab; - Eptifibatide; - Tirofiban. Abiciximab Biciximab è un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega contro la GPIIbIIIa. Tale farmaco viene utilizzato in combinazione con l’angioplastica percutanea per la trombosi coronariche con l’aspirina o eparina è molto efficace nella prevenzione delle ristenosi, dell’infarto del miocardio e della morte dovuta all’infarto. L’anticorpo non legato ha un’emivita di circa 30 minuti, ma quando è legato inibisce l’aggregazione piastrinica per 18-24 ore. Viene utilizzato nella prevenzione di complicanze ischemiche in pazienti sottoposti ad interventi coronarici e nella prevenzione a breve termine dell’infarto miocardico in pazienti resistenti ad altre terapie. Vengono somministrati 250 μg/kg un’ora prima dell’intervento. Vi è il rischio di sanguinamento dovuto a terapia prolungata e il rischio di immunogenicità e reazioni di ipersensibilità. Eptifibatide e Tirofiban Questi sono dei peptidi sintetici contenenti la sequenza Arg-Gly-Asp 8RGD), che interferiscono con il legame del GPIIbIIIa al fibrinogeno. L’eptifibatide o integrelina è un peptide ciclico con una potente attività antiaggregante. Viene somministrato iv, con bolo di 180 μg/kg, seguito da 2 Mg/kg al minuto. Presenta però un effetto anticoagulante trascurabile. Il principale effetto collaterale è l’emorragia. Il tirofiban è un peptidomimetico, con una potente attività antiaggregante. Viene somministrato per infusione iv alla dose di 400 ng/kg al minuto per 30 minuti. Sono indicati nella prevenzione dell’infarto miocardico in pazienti con angina instabile in ambito ospedaliero. Possono causare sanguinamento e trombocitopenia reversibile. Questi farmaci sono controindicati in pazienti con anamnesi positiva di sanguinamento anomalo, ictus emorragico, ipertensione, trombocitopenia e insufficienza epatica grave. FARMACI FIBRINOLITICI Il sistema fibrinolitico dissolve i coaguli intravascolari tramite la plasmina. Il plasminogeno, il precursore inattivo, viene convertito in plasmina a seguito del taglio proteolitico. La plasmina è una proteasi poco selettiva, quindi è in grado di agire sia sul coagulo che su altri fattori della coagulazione. Il sistema fibrinolitico è controllato in modo tale che possa essere attivato laddove vi sia effettivamente bisogno. L’attivatore tissutale del plasminogeno (tissue plasminogen activator o t-PA) viene rilasciato dalle cellule endoteliali in risposta a diversi segnali, tra cui la stessa occlusione vasale. Tuttavia il t-PA viene rapidamente degradato o bloccato dagli inibitori presenti nel plasma: PAI-1 e PAI-2. Il t-PA si lega alla fibrina e converte il plasminogeno in plasmina. Il plasminogeno e la plasmina riconoscono residui di lisina sull’estremità ammino-terminale della fibrina. La plasmina viene inibita, nel sito di interazione con la fibrina, dall’α1-antiplasmaina. Però questo inibitore non ha effetto sulla plasmina già legata alla fibrina. Tuttavia, una piccola quota di α1-antiplasmina è già legata alla fibrina, impedendo l’azione della plasmina. I farmaci che vengono utilizzati come agenti fibrinolitici sono: - Plasminogeno; - Alteplasi; - Rateplase; - Streptochinasi (SK). Plasminogeno Il plasminogeno è una glicoproteina di 791 amminoacidi. È convertito nell’enzima attivo a livello dell’Arg 560. Si lega ai residui di lisina presenti all’estremità ammino terminale della fibrina, che agisce come cofattore per la trasformazione in plasmina. Quindi solo il plasminogeno legato alla fibrina viene attivato. La fibrinolisi viene iniziata da attivatori del plasminogeno, che lo trasformano in plasmina, e questi si dividono in: - Attivatori endogeni: tPA ; - Attivatori esogeni: urochinasi e streptochinasi. Il t-PA è una serina proteasi ed è un attivatore debole del plasminogeno in assenza di fibrina. Alteplasi e rateplase L’alteplasi non è altro che il t-PA ricombinante. È una serina proteasi formata da 527 amminoacidi. È in grado di attivare fortemente il plasminogeno in presenza di fibrina. L’emivita è di circa 4-5 minuti dopo bolo iv. Il rateplase è una proteina mutante a singola catena del t-PA, con una potenza di azione circa 5 volte maggiore. L’emivita è di circa 100 minuti. Streptochinasi La streptochinasi è una proteina di 47 kDa, prodotta dallo streptococco β-emolitico. Tale proteina non presenta attività enzimatica di per se, ma legandosi al plasminogeno forma un complesso stabile non covalente. Ciò induce un cambio conformazionale che porta a mostrare il sito attivo dell’azione mediata dalla plasmina, con formazione del complesso streptochinasi-plasmina. Questo complesso mostra un’efficacia doppia rispetto alla plasmina singola ed inoltre è molto resistente agli inibitori della plasmina. L’emivita biologica oscilla tra 80-180 minuti. USI CLINICI: Questi farmaci sono utilizzati: - Infarto al miocardio, intervento precoce; - Trombosi venosa, trattamento per 5-7 giorni, con possibili complicanze emorragiche; - Embolia polmonare; - Occlusione arteriosa periferica, con somministrazione locale mediante catetere. CONTROINDICAZIONI: Questi farmaci sono controindicati in caso di intervento chirurgico recente, anamnesi positiva per emorragie GI o di fenomeni emorragici cerabrali, in pazienti con età superiore ai 75 anni, ipertensione. EFFETTI COLLATERALI: Tra gli effetti collaterali si ricordano le manifestazioni emorragiche, soprattutto se questi farmaci vengono somministrati in associazione con eparina (rischio di emorragia cerebrale dell’1%). Tali effetti sono meno frequenti nel trattamento dell’infarto miocardico in seguito alla breve durata del trattamento. Tuttavia, in casi particolari, soprattutto in situazioni ischemiche, bisogna prendere in considerazione l’eventuale danno da riperfusione, che può precipitare la situazione clinica del paziente. FARMACI OPPIACEI Gli analgesici oppioidi sono generalmente utilizzati per alleviare il dolore da moderato a grave, soprattutto di origine viscerale. Questi farmaci agiscono direttamente causando analgesia ed indirettamente sulla componente emotiva dell’esperienza dolorosa. I farmaci oppioidi agiscono mimando l’effetto dei peptidi oppioidi endogeni su recettori specifici. PEPTIDI OPPIODI ENDOGENI: Sono state identificate tre diverse famiglie di peptidi oppiodi classici: le encefaline, le dinorfine e le endorfine. Ogni famiglia deriva da un precursore proteico diverso, chiamato pre-propiomelanocortina, pre-prodinorfina, pre-proencefalina. Queste tre proteine vengono espresse da tre geni differenti, ed in seguito a taglio proteolitico vengono sintetizzati i vari frammenti. I peptidi oppioidi condividono la sequenza amino-terminale comune, definita anche motivo oppioide. Il principale peptide oppioide derivante dalla POMC è la β-endorfina. Ma la POMC viene processata anche per formare peptidi non oppioidi come l’ACTH, α-MSH e B-LPH. La pro encefalina contiene molte copie di met-encefalina e una sola di leu-encefalina. La prodinorfina contiene tre peptidi che iniziano tutti con la sequenza della leuencefalina: dinorfina A, dinorfina B e neoendorfina. Inoltre è stato scoperto un nuovo peptide oppioide, detto orfanina FQ o nocicettina. RECETTORI PER GLI OPPIODI: I recettori per gli oppioidi sono di tre tipi: μ, κ e δ. Questi sono recettori metabotropici accoppiati a proteina Gi/0. L’attivazione di Gαi è associata con l’inibizione dell’adenilato ciclasi e modulazione dei canali ionici (stimolazione acuta). L’attivazione delle sub unità G βγ è associata a stimolazione dell’adenilato ciclasi e PLC (stimolazione cronica). I recettori μ, κ e δ sono accoppiati, mediante proteine G sensibili alla tossina della pertosse, all’inibizione dell’attività dell’adenilato ciclasi, all’attivazione di correnti del potassio recettori-dipendente e la limitazione dell’afflusso di calcio voltaggio-dipendente. In questo modo la membrana si iperpolarizza, e gli oppioidi vanno a bloccare il rilascio del neurotrasmettitore e la trasmissione del dolore. I recettori degli oppioidi sono accoppiati anche a MAP chinasi e alla cascata mediata dalla fosfolipasi C. un esposizione prolungata agli oppioidi produce un adattamento di questa cascata di segnali a molti livelli, che potrebbe essere correlato ai fenomeni della tolleranza, sensibilizzazione e astinenza. Il termine tolleranza si riferisce semplicemente ad una diminuzione dell’efficacia del farmaco in seguito a somministrazioni ripetute. La somministrazione degli oppioidi porta alla tolleranza acuta, mentre la somministrazione prolungata determina la tolleranza classica o cronica. La desensibilizzazione del recettore a breve termine può portare allo sviluppo di tolleranza, e coinvolge probabilmente la fosforilazione dei recettori μ e δ tramite la proteinchinasi C (PKC). La tolleranza a lungo termine può essere associata ad aumenti dell’attività dell’adenilato ciclasi. Il trattamento cronico degli oppioidi che legano il recettore μ determina un’iperattivazione dell’adenilato ciclasi. I recettori μ sono i più diffusi ed abbondanti e mediano la maggior parte degli effetti farmacologici degli analgesici oppioidi. I tre recettori cooperano nell’azione analgesica a livello spinale e sovraspinale. Gli agonisti κ possono antagonizzare gli effetti degli agonisti µ. Al di fuori del SNC, i recettori sono presenti a livello del tratto GI, delle vie urogenitali, apparato circolatorio e respiratorio. EFFETTI FARMACOLOGICI: I farmaci oppioidi hanno potenti effetti analgesici, dovuti alla capacità di inibire direttamente la trasmissione ascendente degli impulsi nocicettivi dalle corna dorsali del midollo spinale e di attivare i circuiti di controllo del dolore che scendono dal talamo alle corna dorsali. I farmaci oppioidi quindi vanno ad influenzare il sistema analgesico endogeno. La corteccia svolge una duplice azione, di stimolazione o inibizione, della sostanza grigia periacqueduttale. Questa stimola il nucleo del rafe magno, che rilascia una serie di sostanze, come serotonina ed encefalina. Queste a livello delle corna dorsali del midollo inibiscono la trasmissione degli impulsi nocicettivi. Il talamo e il nucleo reticolare paragantocellulare modulano positivamente la funzione di questo sistema. I farmaci oppioidi esercitano un effetto inibitorio a livello del nocicettore e a livello delle corna dorsali del midollo. In questo modo viene impedita la trasmissione del dolore. Inoltre hanno un effetto eccitatorio sulla sostanza grigia periacqueduttale, potenziando il tono del sistema analgesico endogeno. Gli oppioidi inducono anche una modificazione dell’umore e possiedono proprietà di gratificazione. Quest’ultimo meccanismo non è chiaro. I farmaci oppioidi esercitano anche altri effetti sul SNC, soprattutto quei composti in grado di oltrepassare la BBB. A livello dell’ipotalamo, gli oppioidi alterano il termostato interno, portando ad una lieve diminuzione della temperatura corporea. A livello dell’ipotalamo, la morfina inibisce il rilascio del GnRH e del CRH, diminuendo così i livelli circolanti di LH, FSH e ACTH, con successiva diminuzione degli steroidi sessuali e del cortisolo. La concentrazione della tireotropina rimane inalterata. Gli agonisti µ aumentano il rilascio di prolattina, poichè inibiscono il tono dopaminergico. Con la somministrazione cronica si sviluppa tolleranza agli effetti della morfina sui fattori di rilascio ipotalamici. Per quanto riguarda gli effetti sull’apparato respiratorio e cardiocircolatorio, questi composti inducono una forte depressione dei centri respiratori bulbari, incluso anche il centro della tosse. Questi effetti si verificano a dosi basse. Questa soppressione avviene poichè anche in questi centri nervosi si rinvengono i recettori per gli oppioidi. Determinano una riduzione dei parametri cardiaci, con fenomeni di ipotensione ortostatica dovuta a: - Vasodilatazione periferica; - Inibizione dei riflessi dai barorecettori; - Liberazione di istamina dai mastociti. Questi agenti svolgono notevole azione anche sulla muscolatura liscia, determinando una riduzione della motilità gastrointestinale, con contrazione degli sfinteri, ritardato svuotamento gastrico e stipsi. A livello dello stomaco, l’attivazione dei recettori per gli oppioidi, presenti sulle cellule parietali gastriche aumenta la secrezione, però prevalgono gli effetti inibitori indiretti, con rilascio di somatostatina e riduzione del rilascio dell’acetilcolina. Riducono la motilità gastrica con possibile sviluppo di reflusso gastroesofageo. La contrazione di tutti gli sfinteri determina un rallentamento dello svotamento gastrico, con ritardi persino di 12 ore. Nell’intestino tenue, la morfina riduce la secrezione di bile, pancreas e intestino. Aumentano le contrazioni di tipo non propulsivo. L’acqua, a causa del rallentato transito, viene assorbita con più facilità, determinando aumento della viscosità del contenuto luminale. Nell’intestino crasso vengono abolite le onde peristaltiche, mentre aumenta il tono degli sfinteri, fino allo spasmo. Il transito delle feci è nettamente diminuito, e la mancata attivazione del rilassamento degli sfinteri induce una riduzione della normale sensibilità per il riflesso della defecazione, con stipsi. Lo sfintere di Oddi subisce un’eccessiva contrazione, con ristagno nel coledoco di bile e succhi pancreatici. Tutti gli oppioidi inducono spasmi delle vie biliari. Altri effetti sono: - Nausea e vomito, dovuti alla stimolazione della trigger zone del vomito. Gli antagonisti dei recettori serotoninergici 5-HT3, come la metoclopramide, hanno sostituito le fenotiazine per il trattamento della nausea e del vomito, indotto da oppioidi; - Prurito, indotto dall’eccessivo rilascio di istamina, inoltre a livello cutaneo si osserva anche vasodilatazione dei vasi, soprattutto per la cute del viso, collo e tronco. Il prurito è una complicanza comune ed invalidante per la somministrazione di oppioidi; - Miosi, dovuta ad eccessiva stimolazione del parasimpatico, provocata soprattutto dalla morfina e dagli agonisti µ e κ. La miosi è pronunciata e le pupille puntiformi rappresentano un segno patognomonico. Tuttavia, in casi di asfissia, per depressione dell’apparato respiratorio, si può avere midriasi. Dosi terapeutiche di morfina aumentano il potere di accomodazione e abbassano la tensione intraoculare sia in occhi normali che glaucomatosi; - L’attivazione dei recettori µ induce anoressia, invece la stimolazione dei recettori κ induce appetito; - Immunosoppressione; - Amenorrea, impotenza e diminuzione della libido, dovuti alla riduzione del rilascio di GnRH. TOLLERANZA E DIPENDENZA FISICA: La somministrazione cronica di oppiacei determina tolleranza e dipendenza fisica. Per tolleranza si intende il fenomeno di perdita dell’efficacia del farmaco nel tempo e per ottenere le stesse risposte è necessario aumentare le dosi. La somministrazione cronica di oppiacei causa alterazione dell’espressione delle proteine G, che risulta in desensitizzazione recettoriale ed aumento eccessivo dell’attività dell’adenilato ciclasi (fenomeno compensativo). La somministrazione nel breve periodo, determina un’inibizione dell’adenilato ciclasi, con inibizione dell’attività della PKA. La PKA svolge anche un ruolo nell’espressione di particolari geni, che quindi nel breve periodo risultano essere inibiti. Inoltre modula positivamente l’attività della tirosina idrossilasi, con aumento della sintesi di catecolamine. L’inibizione dell’attivazione della PKA, indotta dagli oppiodi, determina anche una riduzione della sintesi delle catecolamine. L’assunzione cronica di oppiacei, determina invece un’iperattività dell’adenilato ciclasi, con attivazione della PKA, e aumento dell’espressione di specifici geni. Inoltre viene potenziata l’attività della tirosina idrossilasi, con aumento della sintesi di catecolamine (con effetti simpaticomimetici). Gli effetti dell’aumento di adenilato ciclasi sono alla base della sindrome di astinenza da interruzione brusca della somministrazione o da somministrazione di un antagonista recettoriale. Per dipendenza si intende un insieme molto complesso e poco compreso di cambiamento dell’omeostasi dell’organismo che causano un’alterazione del normale set point omeostatico quando la somministrazione del farmaco è interrotta. Questa alterazione si verifica in seguito all’astinenza dal farmaco. L’assuefazione o addiction è uno schema comportamentale caratterizzato dall’uso compulsivo di un farmaco e dall’opprimente necessità di procurarselo. Tolleranza e dipendenda si osservano in seguito alla somministrazione di questi farmaci, ma non sono fattori predittivi di assuefazione. I sintomi dell’astinenza sono: - Craving, ovvero la necessità di assumere il farmaco; - Disforia, ovvero rapido cambiamento dell’umore; - Agitazione, dovuti all’eccessiva stimolazione simpatica indotta dall’astinenza; - Nausea e vomito; - Dolori e crampi muscolari; - Insonnia; - Diarrea; - Sudorazione, per intensa stimolazione simpatica; - Convulsioni, per l’eccitazione di alcuni gruppi neuronali a livello dell’ippocampo. I FARMACI OPPIACEI: I composti che venivano estratti dal papavero, oltre all’attività analgesica, possedevano anche un effetto antispastico, mentre gli oppioidi puri non presentano o hanno scarso effetto antispastico. Infatti nell’estratto del papavero, l’oppio, vi erano anche alcaloidi benzilisochinolini, responsabili dell’attività antispastica. I farmaci oppiacei possono essere classificati in base alla loro struttura chimica e in base alla loro attività. In funzione della struttura chimica si avranno: - Analoghi della morfina: a) Agonisti: morfina, eroina, codeina; b) Agonisti parziali: nalorfina, levallorfano; c) Antagonisti: naloxone, naltrexone; - Analoghi della tebaina: buprenorfina, etorfina; - Derivati sintetici: a) Fenilpiperidine: fentanil, petidina; b) Serie del metadone: metadone, destropropossifene; c) Benzomorfani: pentazocina, cilazocina. In funzione della loro attività sui recettori, possono essere suddivisi in: - Agonisti puri: morfina, metadone; - Agonisti parziali: Codeina, buprenorfina, fentanil, destropropossifene; - Antagonisti oppioidi: naloxone, naltrexone; - Agonisti κ e antegonisti µ: nalorfina e pentazocina; - Agonisti µ: meperidina e pentazocina. Morfina e agonisti oppioidi correlati La morfina è il farmaco di scelta per via orale nel trattamento del dolore grave e nella cura palliativa. Gli oppioidi vengono ben assorbiti anche attraverso la mucosa rettale. La durata di azione della morfina è breve a causa della distribuzione del farmaco a livello sistemico. Viene somministrata per os alle dosi di 30 mg ogni 4 ore e presenta un notevole metabolismo di primo passaggio. Viene somministrata anche per sc o iv, alla dose di 10 mg. La somministrazione per via intratecale o epidurale prevede dosi di 3-5 mg. Tuttavia, in questo caso, bisogna considerare l’insorgenza di depressione respiratoria ritardata, indotta dalla lenta diffusione rostrale del farmaco. Il grado di analgesia indotto può essere controllato anche dal paziente stesso, mediante pompe di infusione regolabili, collegate a cateteri in vena o nello spazio subaracnoideo o peridurale. La morfina viene metabolizzata dal fegato con un’emivita di 2-3 ore, mediante glucuronazione a metaboliti attivi, che vanno incontro a circolo entero-epatico. Infatti la morfina-6 e la morfina-e glucuronide presentano una certa attività anche perchè sono ancora in grado di attraversare la BBB. L’attività della morfina-6-glucuroniide è indistinguibile da quella della morfina. L’escrezione avviene attraverso i reni. Nei pazienti anziani si consiglia una riduzione delle dosi, dovuta a volume di distribuzione minore e declino della funzionalità renale. La N-dealchilazione è importante nel metabolismo di alcuni cogeneri della morfina. La morfina è indicata per il trattamento del dolore grave acuto o cronico, nell’edema polmonare acuto per iv, nell’infarto del miocardio sempre iv. Codeina La codeina possiede un effetto analgesico e antitussivo, ma non è utilizzata in Italia. La codeina è molto efficace se somministrata per os poichè non va incontro a metaboloismo di primo passaggio. Viene metabolizzata dal fegato e i suoi metaboliti sono escreti nelle urine, soprattutto nella forma inattiva. La codeina ha una bassa affinità verso i recettori per gli oppioidi, e la sua efficacia è legata alla conversione in morfina tramite O-demetilazione. L’emivita è di circa 2-4 ore. La conversione della codeina in morfina viene effettuata dal CYP2D6. Un polimorfismo genetico determina l’incapacità della conversione, rendendo così la codeina inefficace come analgesico. Altri polimorfismi, invece, possono incrementare la funzionalità con aumento degli effetti della codeina. Tramadolo Il tramadolo è un derivato sintetico della codeina. Ha una potenza simile alla morfina, ma è meno attivo sul dolore cronico. Inibisce inoltre la ricaptazione della noradrenalina e della serotonina. Possiede degli effetti collaterali ridotti. Il tramadolo è un agonista dei recettori µ. È efficace come la meperidina nel travaglio del parto ed è meno probabile che causi depressione respiratoria nel neonato. Destrometorfano Il destrometorfano è l’isomero destrogiro del metorfano (analogo della codeina). Inibisce il riflesso della tosse, poichè innalza la soglia di attivazione del centro bulbare della tosse, senza stimolare i recettori µ. Presneta una scarsa tossicità. I suoi effetti perdurano per 5-6 ore. EFFETTI INDESIDERATI E PRECAUZIONI: La morfina e gli oppioidi correlati possiedono un’ampia varietà di effetti collaterali. Alla scomparsa dell’analgesia può anche manifestarsi un aumento della sensibilità al dolore. Tutta una serie di fattori può modificare la risposta a questi farmaci, inclusa l’integrità della BBB. Tutti gli analgesici oppioidi vengono metabolizzati dal fegato e devono quindi essere utilizzati con cautela nei pazienti con problemi epatici. Anche le nefropatie alterano la farmacocinetica di questi composti. Inoltre, questi composti devono impiegarsi con cautela nei soggetti con ridotta capacità respiratoria dovuta ai fattori più svariati (malattie polmonari, traumi cranici). Meperidina e cogeneri: agonisti del recettore µ La meperidina è un agonista del recettore µ e agisce soprattutto sul SNC e sugli elementi nervosi dell’apparato GI. La meperidina viene raccomandata per il trattamento del dolore cronico a causa della tossicità dei sui metaboliti. La meperidina causa meno stipsi rispetto alla morfina, ciò è correlato alla sua principale attività sul SNC. Questo composto viene metabolizzato dal fegato con un’emivita di circa 3 ore. Nel plasma circa il 60% viaggia legato all’albumina. Solo una piccola quantità viene escreta in forma immodificata nell’urina. La normeperidina, il metabolita demetilato, presenta un’emivita più lunga, dando luogo a fenomeni di accumulo con effetti tossici. La meperidina può causare una sindrome eccitatoria con allucinazioni, tremori, pupille dilatate, riflessi iperattivi e convulsione. Per il trattamento delle convulsioni si possono utilizzare antagonisti recettoriali. Nel neonato, la meperidina attraversa la BBB determinando problemi nell’inizio dei primi atti respiratori. La somministrazione di meperidina in pazienti in trattamento con inibitori delle MAO può determinare una grave reazione. Una sindrome seratoninergica può essere innescata, poichè la meperidina blocca il reuptake della serotonina, detrminando cefalea, ipo o ipertensione, rigidità, convulsioni, coma e morte. Gli antidepressivi triciclici e la clorpromazina aumentano gli effetti della meperidina. Il fenobarbital aumenta la clearence sistemica è diminuisce l’AUC della meperidina. Loperamide La loperamide è un derivato della meperidina ed è un agonista dei recettori µ. Inibisce la motilità GI, agendo sui recettori µ oppioidi intestinali. Presenta scarsi effetti centrali. È indicata per il trattamento del diarrea alle dosi di 4-8 mg al giorno. Tra gli effetti collaterali vi sono: crampi addominali, sonnolenza e reazioni cutanee. Fentanil e cogeneri Il fentanil è un oppioide sintetico correlato alle fenilpiperidine, circa 100 volte più potente della morfina. È molto liposolubile è viene somministrato per via iv per avere un effetto rapido. Viene metabolizzato dal fegato con un’emivita di 3-4 ore ed è escreto dai reni. Il fentanil è un agonista dei recettori µ. Il fentanil ed analoghi, come l’Alfentanil e il remifentanil, sono ampiamente utilizzati per infusione endovenosa nell’analgesia operatoria come coadiuvanti dell’anestesia generale. È utilizzato per via epidurale ed intratecale nel dolore cronico maligno. Sono inoltre disponibili cerotti transdermici per il rilascio prolungato fino a 48 ore. È stata approvata anche una formulazione transmucosale orale, per il rapido sollievo dalla riacutizzazione del dolore maligno. Il fentanil e cogeneri non inducono il rilascio di istamina ed hanno scarsi effetti cardiovascolari. Può provocare nausea, vomito, rigidità muscolare. Si può osservare depressione respiratoria ritardata a causa del circolo enteroepatico. Alfentanil e remifentanil hanno un’insorgenza di azione ed una metabolizzazione più rapida e sono pertanto utilizzati per avere un recupero rapido post-anestesia. Metadone e cogeneri Il metadone è un’agonista dei recettori µ a lunga durata di azione con proprietà farmacologiche simili a quelle della morfina. Presenta un’attività analgesica inferiore alla morfina, attivo per via orale, viene metabolizzato dal fegato per N-demetilazione. L’emivita del metadone è compresa tra 15-40 ore. Viene escreto per via renale e l’acidificazione delle urine ne aumenta l’escrezione. Il metadone da minore dipendenza e tolleranza rispetto alla morfina. In diversi tessuti, il metadone sembra essere fortemente legato alle proteine e in seguito a somministrazioni ripetute tende ad accumularsi. Data la sua lunga emivita la sua sospensione è seguita da una sindrome di astinenza lieve ma prolungata. Rifampicina e fenitoina accelerano il metabolismo del metadone e possono aggravare i sintomi dell’astinenza. Il metadone viene utilizzato come analgesico di lunga durata, alle dosi di 2,5-15 mg al giorno, per il trattamento delle sindromi da astinenza e per il divezzamento da oppiacei alle dosi di 10-20 mg al giorno. Destropropossifene È un analogo del metadone e viene utilizzato per il trattamento del dolore di grado lieve-moderato, spesso in associazione con i FANS. Svolge anche un’azione antitussiva. Come il metadone è un’agonista dei recettori µ. Agonisti/antagonisti e agonisti parziali La nalorfina e il butorfanolo sono antagonisti competitivi dei recettori µ ed esercitano la loro azione analgesica attivando i recettori κ. La pentazocina ha un’azione simile a questi farmaci, ma si comporta come un antagonista più debole o come un’agonista parziale dei recettori µ, sebbene mantenga la sua attività κ-agonista. La buprenorfina è un’agonista parziale dei recettori µ. L’impiego clinico di questi farmaci è limitato alla notevole entità di effetti collaterali e alla scarsa attività analgesica. La somministrazione di questi farmaci con un’agonista del recettore µ può detrminare una perdita di efficacia dell’analgesico. Antagonisti oppioidi Questi agenti sono molto utili per il trattamento del sovradosaggio da oppioidi. In questa categoria rientrano il naloxone e il naltrexone. Il naloxone è un composto antagonista dei recettori µ utilizzato per antagonizzare la depressione respiratoria da sovradossaggio di farmaci oppioidi. Può causare una sindrome da astinenza acuta. Viene somministrato per via iv o im poichè per os viene fortemente metabolizzato dal fegato per glicuronazione. Il naltrexone è un composto antagonista utilizzato nella tossicodipendenza da oppiacei, per prevenire recidive in pazienti disintossicati. Questi composti sono utilizzati per limitare gli effetti collaterali indotti dalla somministrazione di oppioidi. Principi generali dell’uso degli oppioidi Nella risposta agli oppioidi c’è una sostanziale variabilità individuale. Bisogna quindi selezionare il farmaco adatto in base a proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche. Bisogna sempre associare agli oppioidi un FANS, in modo tale da ridurre le dosi di entrambi. Tuttavia, il sollievo del dolore non deve far dimenticare che la patologia di base resta immodificata. Nel dolore cronico intenso è preferibile una somministrazione ad intervalli regolari a basso dosaggio rispetto ad una somministrazione al bisogno. È necessario meno farmaco per prevenire la ricorrenza del dolore di quanto non ne serva per alleviarlo. In presenza di dolore, gli oppioidi tendono a dare meno assuefazione e dipendenza. In caso di sviluppo di tolleranza ad un farmaco è possibile passare ad un altro farmaco, poichè la tolleranza crociata a livello dei recettori µ non è completa. BENZODIAZEPINE Un farmaco sedativo determina una riduzione dell’attività, modera l’eccitazione e calma il paziente, mentre un farmaco ipnotico produce sonnolenza e facilita l’instaurarsi e il mantenimento di uno stato di sonno che assomiglia a quello naturale, dal quale il paziente può essere facilmente risvegliato. Lo stato di sonno indotto dai farmaci ipnotici non assomiglia allo stato passivo di suggestione, indotto artificialmente, detto ipnosi. Le benzodiazepine sono farmaci largamente utilizzati per i loro principali effetti farmacologici: - Effetto ansiolitico; - Effetto anticonvulsionante; - Effetto sedativo/ipnotico. Tutte le benzodiazepine hanno la capacità di promuovere il legame del GABA ai recettori GABA A, potenziando l’inibizione indotta da questo neurotrasmettitore. Nel 1960 venne introdotto il librium o clordiazepossido e nel 1961 segui l’immissione in commercio del valium, alias diazepam. Le benzodiazepine sono costituite da un anello benzenico condensato con un anello diazepinico (5 atomi di carbonio più 2 di azoto) che contiene un sostituto arilico in posizione 5. In base alla composizione chimica si distinguono: - 1, 4-benzodiazepine; - 1, 5-benzodiazepine; - Triazolobenzodiazepine. Le benzodiazepine agiscono come agonisti allosterici del recettore GABAA, facilitando l’apertura del canale e l’ingresso di ioni cloro. Il recettore GABAA è una struttura pentamerica, formata da differenti subunità polipeptidiche: - Sei subunità α; - Tre subunità β; - Tre subunità γ; le benzodiazepine si legano ad un sito allosterico sulla subunità α, ma la loro azione dipende dalla subunità γ. Le diverse combinazioni delle subunità possono spiegare la differente affinità recettoriale ed efficacia dei vari farmaci. Da un punto di vista farmacodinamico, le benzodiazepine si dividono in: - Agonisti completi: flunitrazepam, diazepam; - Agonisti parziali: clonazepam, imidazenil; - Antagonisti: flumazenil. FARMACOCINETICA: Le caratteristiche farmacocinetiche delle varie benzodiazepine sono importanti per la scelta del farmaco. Le bezodiazepine sono ben assorbite dal tratto GI, con l’eccezione del clorazepato, e metabolizzate per ossidazione e glucuronazione epatica. Il clorazepato viene decarbossilato rapidamente nel succo gastrico a N-desmetildiazepam o nordazepam, che successivamente viene assorbito. Presentano un elevato legame alle proteine plasmatiche e sono composti liposolubili, in questo modo attraversano la BBB e la concentrazione nel liquido cefalo-rachidiano è la stessa di quella plasmatica. Il volume di distribuzione delle benzodiazepine è elevato, e in molti casi, risulta aumentato nell’anziano (maggiore presenza di tessuto adiposo). Questi farmaci attraversano la barriera placentare e vengono secreti nel latte materno. Le reazioni di ossidoriduzione danno origine a metaboliti attivi, spesso con emivita più lunga del composto di partenza. Le reazioni di glicuronazione producono, invece, metaboliti inattivi, che vengono eliminati per via epatica o renale. La somministrazione cronica di benzodiazepine può dare origine a fenomeni di accumulo, soprattutto per i farmaci a lunga durata di azione. Le benzodiazepine sono metabolizzate dal CYP3A4 e dal CYP2C19. Quindi bisogna sempre tenere ben presenti meccanismi di farmacoinduzione o inibizione del metabolismo delle benzodiazepine, in grado di modificarne l’AUC. Siccome i metaboliti attivi vengono metabolizzati più lentamente, la durata dell’effetto non può essere correlata con l’emivita di eliminazione del farmaco somministrato. Il metabolismo delle benzodiazepine avviene in tre stadi: 1) Il sostituente della posizione 1 o 2 dell’anello diazepinico viene rapidamente rimosso o modificato, con formazione di metaboliti che spesso sono attivi; 2) Ha luogo una lenta idrossilazione in posizione 3 che produce metaboliti attivi; 3) I composti 3-idrossilati vengono coniugati con acido glucuronico, e i metaboliti inattivi vengono escreti. Tutte le benzodiazepine vanno incontro a processi di glicuronazione e vengono poi escrete. In funzione della loro durata di azione, le benzodiazepine vengono divise in: 1 Composti pronordiazepam simili, lunga emivita: a) Diazepam; b) Flurazepam; c) Quazepam; d) Bromazepam; 2 Nitrobenzodiazepine, emivita intermedia: a) Nitrazepam; b) Flunitrazepam; c) Clonazepam; 3 Composti oxazepam-simili, breve emivita: a) Oxazepam; b) Lorazepam; 4 Triazolobenzodiazepine, emivita brevissima: a) Alprazolam; b) Triazolam. Il farmaco ipnotico ideale dovrebbe avere una rapida insorgenza di azione quando assunto prima di coricarsi, un’azione sufficientemente prolungata e non presentare reazioni residue al mattino. EFFETTI FARMACOLOGICI: A livello del SNC, le benzodiazepine inducono uno stato di soppressione dell’attività elettrica. I vari farmaci, pur avendo lo stesso effetto, differiscono per parametri farmacocinetici, il che influenza la scelta. Aumentando le dosi, la sedazione progredisce ad ipnosi fino allo stato stuporoso. È molto difficile separare l’effetto ansiolitco da quelli sedativo/ipnotici. Nei soggetti sani, le benzodiazepine sono prive di effetti sulla respirazione, tuttavia bisogna fare attenzione nella somministrazione in bambini e in soggetti con disfunzioni epatiche. All’aumentare delle dosi, si innesca la depressione respiratoria, con acidosi respiratoria, dovuta alla mancata risposta dello stimolo ipossico. Quindi in soggetti con problemi respiratori compensati, dosi terapeutiche di benzodiazepine possono portare all’insorgenza di un’insufficienza respiratoria. Gli effetti cardiovascolari delle benzodiazepine sono minimi nei soggetti sani, eccetto che nell’intossicazione. A dosi preanestetiche, tutte le benzodiazepine abbassano la pressione arteriosa e aumentano la frequenza cardiaca di riflesso. A livello del tratto GI, il diazepam influenza la secrezione gastrica notturna, mentre altri farmaci sono particolarmente efficaci nella patologia acido-peptica. PROBLEMI ALL’USO: Nell’utilizzare le benzodiazepine bisogna prendere in considerazione: - Gli effetti paradosso; - La tolleranza; - La dipendenza fisica; - Gli effetti collaterali; - Le interazioni farmacologiche. Gli effetti paradossi sono stati descritti soprattutto nei pazienti anziani e sono: - Ansia; - Disturbi percettivi; - Logorrea; - Agitazione; - Aumento dell’aggressività; - Allucinazioni. Per quanto riguarda la tolleranza, è stato dimostrato clinicamente che in corso di somministrazione prolungata si sviluppa tolleranza agli effetti ipnotici ed anticonvulsionanti, ma non agli effetti ansiolitici. La sospensione brusca della somministrazione di benzodiazepine, seguita da almeno un mese di terapia, può causare una sindrome di astinenza caratterizzata da agitazione psicomotoria, insonnia, ansia, tremori, cardiopalmo, sudorazione, disturbi della percezione sensoriale. Il tempo di insorgenza della sindrome di astinenza dipende dall’emivita del farmaco: più breve è l’emivita tanto più rapidamente si sviluppa la sindrome. L’entità dei sintomi dipende dall’attività intrinseca del farmaco. I farmaci più pericolosi sono i composti a breve emivita e con elevata attività intrinseca. I meccanismi molecolari alla base non sono noti: negli animali da laboratorio, una prolungata somministrazione di benzodiazepine causa inibizione del recettore GABAA. Per evitare l’insorgenza della crisi da sospensione bisogna seguire un protocollo di riduzione della somministrazione. In primis, bisogna sostituire la dose di benzodiazepina con una dose diazepam-equivalente. Bisogna successivamente scalare la dose di diazepam di 2-2,5 mg ad intervalli di 15 giorni. Se non si verificano sintomi di astinenza, scalare ulteriormente la dose. È meglio procedere lentamente e il tempo necessario alla sospensione può variare da 4 settimane ad alcuni mesi. EFFETTI COLLATERALI: Le benzodiazepine sono farmaci in genere ben tollerati. Gli effetti indesiderati sono una accentuazione degli effetti farmacologici: eccessiva sedazione, astenia, ridotta attività psicomotoria. Nei pazienti anziani è possibile osservare confusione mentale, turbe della memoria con amnesia anterograda e ridotta capacità di apprendere nuove informazioni. È controindicato l’uso nel primo trimestre di gravidanza. L’uso prolungato in gravidanza è associato alla comparsa nel neonato di una sindrome caratterizzata da tremori, ipereccitabilità, disturbi GI. L’intossicazione acuta è caratterizzata da profonda sedazione, sonno, astenia muscolare, ipotensione ortostatica, stato confusionale. INTERAZIONI FARMACOLOGICHE: Le benzodiazepine potenziano fortemente l’azione di altre sostanze che agiscono a livello del recettore GABAA, come alcol e barbiturici, con effetti potenzialmente letali. L’ingestione acuta di elevati livelli di alcol inibisce il metabolismo delle benzodiazepine, mentre negli alcolisti cronici il metabolismo è aumentato dall’induzione degli enzimi CYP. Il metabolismo per ossidazione delle benzodiazepine è inibito da cimetidina, isoniazide, propanolo, ma viene stimolato dalla rifampicina. Composti pronordiazepam-simili Questi composti presentano una lunga emivita, tra le 30-40 ore, così come i loro metaboliti attivi e danno luogo a fenomeni di accumulo. Ricordiamo: a) Diazepam; b) Flurazepam; c) Quazepam; d) Bromazepam. Il diazepam (5-10 mg) possiede un gruppo metilico in posizione 1, viene metabolizzato per desmetilazione ed idrossilazione ad oxazepam. L’emivita è di 30 ore, dando luogo a fenomeni di accumulo in pazienti anziani e con insufficienza epatica. È liposolubile, con una rapida insorgenza di azione e attraversa la BBB. È un farmaco ad ampio spettro di azione ansiolitica, ipnotica e anticonvulsionante. Tuttavia, viene utilizzato ampiamente come ansiolitico. È il farmaco di scelta per via iv nel trattamento di emergenza di attacchi epilettici acuti. Viene utilizzato come miorilassante per il controllo dell’ipertonia e della spasticità muscolare. Il flurazepam (15-30 mg) ha un’emivita di 40-100 ore e da fenomeni di accumulo e hangover. Viene utilizzato come ipnotico a lunga durata nell’insonnia di addormentamento, intermedia e di risveglio. È stata la primo benzodiazepina approvata dalla FDA come ipnotico. Il quazepam (7,5-15 mg) viene metabolizzato per ossidazione e dealchilazione, con un’emivita di 40-100 ore. È utilizzato come ipnotico a lunga azione, con minori effetti di hangover. Il bromazepam (1,5-3 mg) ha un’emivita di 12 ore e viene utilizzato come ansiolitico e nei disturbi ossessivo-compulsivi. Nitrobenzodiazepine Questi composti possiedono un gruppo nitroso in posizione 7, con un’emivita intermedia tra 20-40 ore. Vengono metabolizzati per dealchilazione e riduzione del nitro-gruppo. In questa categoria rientrano: a) Nitrazepam; b) Flunitrazepam; c) Clonazepam. Il nitrazepam (5-10 mg) ha un’emivita di 25-30 ore e presenta fenomeni di accumulo in pazienti anziani. È indicato come ipnotico. Il flunitrazepam (0,5-1 mg) ha un’emivita di 15-30 ore e viene metabolizzato in composti attivi. Presenta un’elevata affinità recettoriale con un’alta attività intrinseca. Tende ad accumularsi nei soggetti anziani e con insufficienza epatica. Induce un marcato rilassamento muscolare. È indicato come ipnotico nelle insonnie intermedie e di risveglio precoce e nella preanestesia. Viene utilizzato come farmaco di abuso nei tossicodipendenti. Il clonazepam (1 mg) ha un’emivita di 24-48 ore, è un’agonista parziale ed viene utilizzato nell’epilessia infantile. Recentemente è stato utilizzato anche in patologie psichiatriche (attacchi di panico, disturbi ossessivo-compulsivi) a causa di effetti modulanti il sistema serotoninergico. Composti oxazepam-simili Questi composti hanno una breve emivita, inferiore alle 24 ore e sono metabolizzati per glicuronazione diretta. I metaboliti sono inattivi. Si ricorda: a) Oxazepam; b) Lorazepam. L’oxazepam (15-30 mg) ha un’emivita di 15-30 ore ed è indicato come ansiolitico in pazienti anziani poichè non da fenomeni di accumulo. Il lorazepam (2-4 mg) ha un’emivita di 10-16 ore, i suoi metaboliti sono inattivi e non da luogo a fenomeni ansiolitico, soprattutto nei pazienti anziani o con insufficienza epatica. È il farmaco più utilizzati in Italia. Triazolobenzodiazepine Possiedono un anello triazolico in posizione 1-2, hanno un’emivita brevissima. Si ricorda: a) Alprazolam; b) Triazolam. L’alprazolam (0,25-0,5 mg) ha un’emivita di circa 12 ore ed è indicato nei disturbi di ansia associati a depressione e negli attacchi di panico. Il triazolam (0,125-0,25 mg) ha un’emivita di 2,5-3 ore. È un farmaco ad alta affinità recettoriale e notevole attività intrinseca. È indicato nelle insonnie di addormentamento. Può causare alterazioni della memoria e stato confusionale, soprattutto in soggetti anziani. Agonisti parziali Questi composti in sperimentazione clinica mostrano una buona attività ansiolitica ed anticonvulsionante con minori effetti di sedazione, dipendenza e tolleranza. A causa della loro ridotta attività intrinseca, sono in grado di favorire l’attività GABA in presenza di un’attività sinaptica ridotta, ma non potenziano la trasmissione GABA su sinapsi normalmente funzionanti. In questa categoria di ricorda: imidazenil e bretazenil. Antagonisti Il flumazenil si lega con alta affinità al sito di legame delle benzodiazepine nel recettore GABA A, ma è sprovvisto di attività intrinseca. Viene utilizzato iv, alle dosi di 0,5-1 mg, in anestesia generale per antagonizzare gli effetti sedativi centrali delle benzodiazepine. Possiede una breve emivita di circa 1 ora e ha una rapida insorgenza di azione. Può causare vomito e agitazione psicomotoria. L’uso di flumazenil ha permesso di dimostrare che la somministrazione prolungata di benzodiazepine causa dipendenza fisica. IPNOTICI NON BENZODIAZEPINICI Questa classe di farmaci sono agonisti sul sito benzodiazepinico del recettore GABAA. i più utilizzati sono: a) Imidazopiridine: zolpidem; b) Pirazolopirimidine: zaleplon; c) Ciclopirroloni: zopiclone. Lo zolpidem ha effetti simili alle benzodiazepine, ma ha effetto ipnotico a dosi inferiori a quelle necessarie per gli effetti anticonvulsivante e miorilassante. Ha un’alta affinità per recettori GABAA contenenti unità α1, affinità intermedia per α2, bassa affinità per α3. La dose consigliata è di 10-20 mg, l’assorbimento per os è rapido, con una biodisponibilità del 70%, ed un’emivita di circa 2 ore. Va incontro a metabolismo per ossidazione, e i metaboliti sono poco attivi. In genere è ben tollerato, non dà effetti sulle capacità cognitive e/o mnesiche, può dare vertigini, cefalea, sonnolenza. Non sembra dare dipendenza dopo trattamento di alcuni mesi. È indicato nel trattamento dell’insonnia da addormentamento ed intermedia con utilizzo a breve termine. Lo zaleplon è un farmaco simile allo zolpidem, con un’alta affinità per i recettori GABAA contenenti la subunità α1. La dose consigliata è di 10-20 mg, l’assorbimento per os è rapido, con una biodisponibilità del 30%. Possiede un alto metabolismo presistemico con un’emivita di circa un’ora. È efficace nel ridurre i tempi dell’addormentamento e presenta effetti collaterali simili allo zolpidem. Lo zoplicone ha effetti simili alle benzodiazepine, con particolare effetto sedativo. La dose consigliata è di 3,75-7,5 mg, con una biodisponibilità orale dell’80% ed un’emivita di 2-4 ore. Possiede effetti collaterali simili alle benzodiazepine. È indicato nel trattamento dell’insonnia da addormentamento ed intermedia con utilizzo a breve termine. LINEE GUIDA NEL TRATTAMENTO DELL’INSONNIA: Tutti questi farmaci, benzodiazepine e simili, sono molto utili nel trattamento dell’insonnia. La scelta di una benzodiazepina si basa principalmente sulle caratteristiche farmacocinetiche. Vi sono notevoli differenze interindividuali nel metabolismo. Le benzodiazepine a breve emivita sono indicate nei pazienti con difficoltà ad addormentarsi e che non presentano stati di ansia durante il giorno e che svolgono attività lavorative che richiedono attenzione e prontezza di riflessi. Possono dare insonnia da rimbalzo da sospensione dopo uso prolungato. Questi farmaci sono indicati nei pazienti anziani con possibilità di risvegli precoci ed episodi amnesici. Le benzodiazepine a lunga emivita sono preferibili nei pazienti con ansia diurna o con depressione maggiore. Raramente causano insonnia da rimbalzo a causa della loro lenta eliminazione. Nei pazienti anziani l’emivita tende ad aumentare. I composti non benzodiazepinici possono essere un’alternativa terapeutica nei pazienti resistenti. FARMACI CHE AGISCONO SULLA TRASMISSIONE SEROTONINERGICA E FARMACOTERAPIA DELL’EMICRANIA Agonisti dei recettori per la serotonina I farmaci che sono in grado di stimolare i recettori per la serotonina hanno struttura chimica diversa. Tra questi vi è l’agonista dei recettori 5-HT1A, il buspirone. Il buspirone è un’agonista del recettore 5-HT1A pre e post-sinaptico. Questo recettore determina l’inibizione dell’attività dell’adenilato ciclasi. L’interazione con i recettori a livello corticale riduce l’eccessiva attività serotoninergica presente negli stati di ansia. Infatti determina un’inibizione dell’attività del rafe e stimolazione dell’attività della sustantia nigra e del locus coeruleus. Il buspirone presenta effetti ansiolitici, senza produrre sedazione. Non presenta effetti sulla trasmissione GABAergica e presenta un periodo di latenza di azione di circa 2-4 settimane. Ha un elevato metabolismo di primo passaggio con un’emivita di 1-5 ore. Studi clinici hanno dimostrato che l’attività ansiolitica del buspirone è significativamente inferiore a quella delle benzodiazepine. Non allevia l’atinenza da benzodiazepine, pertanto, un eventuale trattamento con benzodiazepine va sospeso gradualmente prima di iniziare la terapia con il buspirone. Il buspirone è indicato nel trattamento dell’ansia a breve termine, con una posologia di 15-30 mg al giorno in 2-3 somministrazioni. Presenta effetti collaterali minori rispetto alle benzodiazepine. I principali effetti collaterali sono: cefalea, vertigini, eccitazione nervosa. Il cisapride è un agonista del recettore 5-HT4, attivante l’adenilato ciclasi. La cisapride è stata utilizzata per il trattamento del reflusso gastro-esofageo, poichè è un farmaco procinetico. Tuttavia è stata ritirata dal commercio per i suoi gravi effetti collaterali a livello cardiaco. Antagonisti del recettore della serotonina La ketanserina determina il blocco dei recettori 5-HT2A, che induce un’attivazione della fosfolipasi C, a livello bulbare, inducendo anche un blocco dei recettori α1-adrenergici. Inoltre possiede anche una certa affinità per i recettori istaminici H1. La ketanserina determina una riduzione delle resistenze periferiche ed una inibizione dell’aggregazione piastrinica mediata dalla serotonina. Da un punto di vista farmacocinetico, la ketanserina presenta una biodisponibilità orale di circa il 50%, con un’emivita di 12-25 ore. Va incontro a metabolizzazione epatica. Viene utilizzata per il trattamento dell’ipertensione lieve/moderata, specie nei pazienti anziani con problemi coagulativi, alle dosi di 40-80 mg al giorno per os. Normalmente è ben tollerata, però può causare vertigini, stanchezza, edema ed xerostomia. A dosi superiori i 40 mg può causare allungamento dell’intervallo QT, pertanto va evitata l’associazione con diuretici, per l’ipokaliemia. L’ondasentron invece blocca il recettore ionico 5-HT3, localizzato a livello dell’area postrema. Viene utilizzato come antiemetico. Farmacoterapia dell’emicrania L’emicrania dipende probabilmente da variazioni del tono vascolare cerebrale a livello delle anastomosi arterovenose carotidee. La vasodilatazione di tali anastomosi produce la deviazione di circa l’80% del flusso arterioso carotideo, causando ischemia cerebrale ed ipossia. La vasodilatazione è causata dal rilascio di peptidi vasoattivi dai terminali nervosi sensoriali che innervano i vasi meningei. Fu osservato che gli alcaloidi della segale cornuta, producendo vasocostrizione, alleviano la cefalea. La concentrazione plasmatica e piastrinica della serotonina varia durante le varie fasi dell’attacco di emicrania. Per la terapia dell’emicrania si utilizzano: - Agonisti dei recettori 5-HT1: triptani; - Alcaloidi della segale cornuta; - Tossina botulinica: botox. Agonisti dei recettori 5-HT1: triptani I triptani sono derivati dell’indolo con sostituenti in posizione 3 e 5. Questi composti sono agonisti relativamente selettivi dei recettori 5-HT1B e 5-HT1D. Questi due recettori inducono una diminuzione dell’attività dell’adenilato ciclasi. Infatti inducono vasocostrizione delle anastomosi carotidee, regolando il flusso ematico cerebrale (5-HT1B post-sinaptici). Inoltre bloccano il rilascio di peptidi vasoattivi e di neurotrasmettitori , agendo sui recettori 5-HT1D pre-sinaptici. I triptani maggiormente utilizzati in clinica sono: - Sumatriptan; - Naratriptan; - Rizatriptan; - Zolmitriptan. ASSORBIMENTO, METABOLISMO ED ESCREZIONE: Il sumatriptan viene somministrato per via sc e raggiunge velocemente elvate concentrazioni plasmatiche. L’emivita è di circa 1-2 ore, viene metabolizzato dalla MAO-A e i suoi metaboliti escreti con le urine. Il zolmitriptan viene assunto per os, con una biodisponibilità del 40%. Viene N-demetilato, formando il metabolita attivo con alta affinità per i recettori 5-HT1B e 5-HT1D. sia il farmaco originario che il suo metabolita hanno un’emivita di 2-3 ore. Il naratriptan viene assunto per os, con una biodisponibilità del 70%. Presenta una lunga durata di azione, con un’emivita di circa 6 ore. Viene ossidato dai CYP per il 30%. Il farmaco viene escreto nelle urine. Il rizatriptan ha una biodisponibilità orale del 45%. Viene metabolizzato dalle MAO-A. FARMACOLOGIA CLINICA: I triptani sono indicati negli attacchi acuti di emicrania, ma non nella profilassi. Presentano un’efficacia maggiore se somministrati all’inizio dell’attacco di emicrania. La scelta del farmaco va effettuata in funzione delle caratteristiche farmacocinetiche ed alla elevata variabilità interindividuale. Infatti la terapia con triptani è inefficace nel 30% dei pazienti. I triptani vanno utilizzati per un massimo di 3-4 attacchi di emicrania al mese e non più di due giorni a settimana. In caso di scarso effetto si può: - Aumentare la dose secondo le linee guida; - Somministrare sumatriptan per via sc; - Associare con un antemetico o un FANS. CONTROINDICAZIONI E AVVERTENZE: I triptani sono controindicati in soggetti con: - Cardiopatia ischemica; - Sindrome anginosa; - Ipertensione non controllata. Non ci sono dati definitivi sulla sicurezza dell’utilizzo dei triptani in gravidanza. Tuttavia si suggerisce di non utilizzare routinariamente o nei primi tre mesi. Infine molto importanti sono da tenere presenti le interazioni farmacologiche, soprattutto nei soggetti che fanno uso di inibitori delle MAO. Tra gli effetti collaterali si annoverano effetti lievi come parestesie, astenia, sensazione di pressione toracica, rigidità dei muscoli del collo, sonnolenza. Molto grave può essere la sindrome serotoninergica. In soggetti predisposti si possono avere effetti collaterali gravi come vasospasmo coronarico, ischemie e aritmie. La sindrome serotoninergica o sindrome da serotonina è una sindrome iatrogena causata da un eccesso di serotonina a livello cerebrale, generalmente in seguito ad un trattamento antidepressivo. I principali sintomi sono: agitazione, diaforesi, diarrea, febbre, iperreflessia, incordinazione, cambiamento dello stato mentale, mioclono e tremore. Le complicanze possono essere gravi e portare convulsione, coma e coagulazione intravascolare disseminata. Questa sindrome è dovuta a stimolazione recettoriale, con un ruolo particolare mediato dai recettori 5-HT2A. Alcaloidi della segale cornuta La segale cornuta è il prodotto di un fundo, Claviceps purpurea, che cresce sulla segale ed altre graminacee, responsabile dell’ergotismo. Gli alcaloidi sono composti ad azione agonista parziale o antagonista sui recettori serotoninergici, dopaminergici, adrenergici. Questi composti contraggono generalmente la muscolatura liscia. I derivati diidrogenati sono meno potenti. In clinica vengono utilizzati: - Ergocristina; - Ergometrina; - Ergotamina tartarato; - Diidroergotossina, composti diidrogenati. ASSORBIMENTO, METABOLISMO ED ESCREZIONE: La somministrazione orale di questi composti produce una bassa concentrazione sistemica poichè vanno incontro ad intenso metabolismo di primo passaggio. Questa classe di farmaci vengono metabolizzati dal fegato e quantità variabili si ritrovano nelle feci e nelle urine. USI CLINICI: L’ergotamina tartarato è indicata negli attacchi di emicrania a dosi di 2 mg per os o sublinguale, fino a 6 mg al giorno. Il trattamento non va ripetuto ad intervalli inferiori ai 4 giorni. Questo composto è controindicato in gravidanza, in corso di vasculopatie periferiche, coronaropatia, insufficienza epatica e renale, ipertensione. Gli effetti collaterali più importanti sono: nausea e vomito nel 10% dei csi, crampi muscolari e dolore precordiale. La diidroergotossina è una miscela di diidroergocornina, diidroergocristina e diidroergocriptina. Viene utilizzata come vasodilatatore cerebrale, ma senza prove definitive della sua efficacia. L’ergonovina o ergometrina è utilizzata insieme all’ossitocina nelle emorragie post-partum. Tossina botulinica: botox Il botox blocca la trasmissione neuromuscolare a livello del nervo motore o della giunzione neuromuscolare. Agisce inibendo il rilascio dell’acetilcolina. Il botox cliva la proteina SNAP-25, impedendo così la fusione delle vescicole contenenti acetilcolina con la membrana presinaptica. Il botox viene utilizzato soprattutto per la prevenzione degli attacchi di emicrania. FARMACI ANTIDEPRESSIVI I farmaci antidepressivi inducono un aumento della disponibilità sinaptica dei neurotrasmettitori con meccanismi differenti di azione: - Inibizione del metabolismo; - Rimozione del tono inibitorio del rilascio; - Blocco della ricaptazione. L’azione antidepressiva non è correlata all’effetto del farmaco sulla disponibilità di un singolo neurotrasmettitore, ma è il risultato di complesse interazioni tra strutture neuronali diverse con profonde modificazioni dell’equilibrio neurotrasmettitoriale. I farmaci che vengono utilizzati nella terapia antidepressiva sono: - Inibitori delle monoammino-ossidasi (I-MAO); - Antidepressivi triciclici (TCA); - Inibitori selettivi del reuptake della serotonina; - Antidepressivi atipici. Inibitori delle monoaminossidasi o I-MAO Le MAO sono due enzimi strutturalmente correlati, contenenti un gruppo flavinico, denominati MAO-A e MAO-B. questi enzimi si trovano localizzati a livello della membrana mitocondriale. La MAO-A è espressa soprattutto a livello dei neuroni noradrenergici del SNC, mentre la MAO-B è espressa nei neuroni serotoninergici e istaminergici. La funzione delle MAO è strettamente correlata con la funzione di un’aldeide reduttasi o deidrogenasi, in funzione del substrato e del tessuto. Questi enzimi hanno un ruolo molto importante nel metabolizzare le catecolamine e la serotonina. L’iproniazide è stato il primo farmaco antidepressivo ad essere utilizzato in terapia. Il suo uso è stato soppiantato dall’uso dei farmaci più recenti. Molto importanti sono le interazioni farmacologiche e con gli alimenti. Inoltre possono scatenare crisi ipertensive. I farmaci che appartengono a questa classe di dividono in: - Inibitori irreversibili: Tanilcipromina, Fenelzina, con molti ed importanti effetti collaterali; - Inibitori reversibili (RIMA): Moclobemide, Toloxatone, presentano interazioni con gli alimenti meno importanti, con effetti collaterali meno gravi, ma frequentemente inducono sindrome seroroninergica, edemi periferici, neuropatie periferiche, cefalea. Questi farmaci vengono utilizzati per il trattamento dei pazienti non responsivi agli antidepressivi triciclici. Gli inibitori delle MAO sono prontamente assorbiti una volta somministrati per os. Antidepressivi triciclici o TCA Gli TCA presentano tutta una serie di azioni, comprendenti l’inibizione dell’uptake della noradrenalina attraverso il NET e il blocco variabile del trasporto della serotonina. Gli inibitori N-demetilati inibiscono con maggiore selettività il reuptake della noradrenalina. Questi farmaci non bloccano il trasporto della dopamina, differendo così dai farmaci stimolanti il SNC. Da un punto di vista chimico, questi composti vengono suddivisi in: - Composti con un gruppo aminico terziario: Amitriptilina, Imipramina; - Composti con un gruppo aminico secondario: Desipramina (inibizione NET), Nortriptilina. Questi composti bloccano con varia potenza la ricaptazione della noradrenalina e della serotonina. Sono molto meno efficaci sulla ricaptazione della dopamina. Sono in grado di bloccare con diversa potenza i recettori muscarinici, gli istaminici H1 ed α1-adrenergici post-sinaptici. Per questo motivi inducono una miriade di effetti collaterali. Inoltre stimolano i recettori α2-adrenergici presinaptici, con inibizione del rilascio della noradrenalina ed alterazione dell’omeostasi corporea. La somministrazione cronica di questi composti è seguita da fenomeni di adattamento. Infatti il rilascio di noradrenalina tende a ritornare ai livelli basali. Ciò è dovuto all’attenuazione dell’attività della tirosina idrossilasi da parte del cAMP-PKA per mezzo dell’inibizione dell’adenilato ciclasi ad opera del recettore α2-adrenergico. L’attivazione di questo recettore media la riduzione dell’esocitosi di altri neurotrasmettitori. I recettori α1-adrenergici, inizialmente bloccati, recuperano la sensibilità alla noradrenalina, con aumento degli effetti cardiovascolari. Inoltre si verifica anche una riduzione dei recettori GABAB ed NMDA. La stimolazione indotta dal cAMP, determina attivazione della PKA, con la fosforilazione di CREB, che aumenta l’espressione del BDNF. L’emivita prolungata di questi composti ne permette una sola somministrazione quotidiana. Gli effetti collaterali compaiono prima degli effetti antidepressivi, che cominciano ad essere presentii dopo 2-3 settimane. Per questo motivo i TCA presentano difficoltà nella compliance. I TCA sono controindicati nei pazienti con ipertrofia prostatica, glaucoma e cardiopatie. Tra i TCA, quelli più selettivi per il trasportatore NET sono in misura maggiore la desipiramina, e in misura minore la mitrazazina. Quelli che invece possiedono una selettività mista per il NET e il SERT sono soprattutto la oxaprotilina, e in minor misura la maprotilina. Dosi elevate di TCA ad attività anticolinergica possono rallentare la motilità GI e aumentare il tempo di svuotamento gastrico, determinando un assorbimento più lento ed imprevedibile del farmaco. I TCA, una volta assorbiti, siccome sono composti altamente lipofili e fortemente legati alle proteine plasmatiche e ai costituenti dei tessuti, presentano un elevato volume di distribuzione. La particolare struttura dei TCA e dei loro metaboliti, fa si che questi tendano ad accumularsi a livello del tessuto cardiaco, determinando una certa tossicità. I TCA vengono metabolizzati dai CYP epatici e successivamente coniugati con acido glicuronico. I metaboliti idrossilati conservano una certa attività, mentre più attivi sono i metaboliti N-demetilati. La successiva glucoconiugazione con i metaboliti attivi ne determina la totale inattività. Il metabolita 8idrossilato è farmacologicamente attivo e determina anche interazioni di tipo antagonista con i recettori D2. Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) Alte dosi terapeutiche di SSRI bloccano selettivamente il trasportatore SERT, con scarsi effetti sui trasportatori della noradrenalina e dopamina. Questi composti determinano una maggiore disponibilità della serotonina che stimola i recettori. Tuttavia, l’iperstimolazione serotoninergica è anche responsabile degli effetti collaterali a livello del tratto GI, con nausea e vomito, e sulla sfera sessuale, con ritardo dell’orgasmo o sua alterazione. Hanno effetti meno importanti su altri recettori rispetto ai TCA. La somministrazione cronica di SSRI determina fenomeni di adattamento, dovuti a: - Down-regulation e desensitizzazione degli auto recettori presinaptici 5-HT1A e 5-HT1D, che inibiscono la trasmissione serotininergica; - Down-regulation dei recettori 5-HT2A post-sinaptici eccitatori. Questi farmaci inducono iponatriemia dovuta all’alterata secrezione di ADH più frequente che con i triciclici. Devono essere utilizzati con cautela nei soggetti anziani poiché danno luogo a sonnolenza e confusione mentale. Tra i composti che appartengono a questa classe si ricordano: - Citalopram (inibizione SERT); - Paroxetina (selettività SERT/NET); - Fluoxetina; - Sertralina. La paroxetina inibisce soprattutto il SERT, al contrario del buspirone che induce anche inibizione del DAT. Il citalopram presenta una selettività mista sia per il SERT che per il NET. FARMACOCINETICA E MODALITA’ DI SOMMINISTRAZIONE: Questi composti vanno incontro a metabolizzazione epatica, con la formazione di metaboliti attivi (fluoxetina, sertralina e citalopram). Presentano diverse emivite, tanto è che la fluoxetina viene somministrata a giorni alterni. Questi composti determinano inibizione con varia potenza delle isoforme del CYP da cui vengono metabolizzati, con un aumento dell’emivita e delle concentrazioni plasmatiche. Bisogna sempre valutare la possibilità di un aggiustamento delle dosi. Nei soggetti con età superiore ai 65 anni, la biodisponibilità di citalopram e paroxetina è aumentata, quindi bisogna ridurre la dose di somministrazione. Infine molto importanti sono le interazioni farmacocinetiche, dovute all’inibizione del metabolismo di altri farmaci come i TCA e i neurolettici. Siccome la paroxetina è un inibitore del CYP2D6 determina un aumento dell’emivita del tamoxifene, aumentando il rischio di cancro alla mammella in popolazione di donne che fanno uso di entrambi i composti. Antidepressivi atipici Gli antidepressivi di seconda generazione sono detti anche "atipici" perché hanno una struttura molecolare eterogenea e comunque non triciclica, pur avendo un meccanismo d’azione grossolanamente sovrapponibile a quello dei TCA. Agiscono prevalentemente sulla noradrenalina (NA), meno o per niente sulla serotonina (5-HT). Gli antidepressivi di seconda generazione sono nati per l’esigenza di avere presidi terapeutici più efficaci e più maneggevoli, ad azione più rapida, con minori effetti collaterali, capaci di agire sui pazienti resistenti ai TCA o appartenenti a categorie per le quali i TCA erano controindicati. In linea di massima queste sostanze si sono dimostrate meglio tollerate, ma spesso non sono risultate più efficaci dei TCA. Questa classe farmacologica si suddivide in: - Antagonisti α2-adrenergici presinaptici: Mianserina, Mirtazapina; - Inibitori selettivi della ricaptazione di NA e 5-HT (SNRI): Venlafaxina, Duloxetina; - Antidepressivi serotoninergici: Trazodone, Nefazodone; - Inibitori selettivi della ricaptazione di NA e DA: Bupropione; - Inibitori selettivi della ricaptazione di NA (NRI): Viloxazina, Reboxetina. Gli antagonisti α1-adrenergici agiscono sui terminali presinaptici sia delle terminazioni adrenergiche che serotoninergiche, determinando: - la stimolazione del rilascio di serotonina e noradrenalina; - un ridotto blocco dei recettori istaminergici ed adrenergici post-sinaptici; - aumento del peso ponderale. Gli SNRI non presentano nessuna affinità con i recettori adrenergici, muscarinici ed istaminergici. Presentano effetti collaterali simili agli SSRI. La loro somministrazione è stata seguita da ipertensione, quindi sono controindicati in pazienti con cardiopatie. Gli antidepressivi serotoninergici determinano: - blocco della ricaptazione della serotonina, un antagonismo dei recettori 5-HT2. Questo induce una stimolazione della trasmissione serotoninergica; - presentano scarsi effetti sugli altri recettori. Gli inibitori selettivi del reuptake di NA e DA possiedono meno effetti collaterali rispetto agli SSRI e sono una valida alternativa terapeutica in pazienti non responsivi agli SSRI. Infine, gli NRI sono selettivi per il NET. Non hanno alcuna affinità con i recettori istaminergici, adrenergici e muscarinici e sono una valida alternativa terapeutica ai pazienti non responsivi agli SSRI. I composti con una attività anti-muscarinica, con potenza decrescente, sono: amitriprilina, clomipramina, trimipramina e paroxetina. I composti con attività anti-H1, con potenza decrescente, sono: mirtazapina, doxepina, trimipramina e amitriptilina. I composti con attività anti-α1, con potenza decrescente, sono: doxepina e trimipramina, amitriptilina, clomipramina e imipramina. La maggior parte degli antidepressivi atipici, presenta una buona biodisponibilità orale. Un’eccezione è il nefazodone, che presenta una bassa biodisponibilità per os. Principali effetti collaterali Le singole classi di antidepressivi, presentano una svariata gamma di effetti collaterali. I principali sono: - effetti antimuscarinici, soprattutto per i TCA: secchezza delle fauci, stipsi, ritenzione urinaria, visione offuscata, disturbi cognitivi, peggioramento della discinesia tardiva, tachicardia; - blocco dei recettori H1, soprattutto TCA: sedazione, disturbi cognitivi, cadute; - blocco dei recettori α1-adrenergici, soprattutto TCA: ipotensione posturale, problemi eiaculatori; - inibizione del reuptake della serotonina, soprattutto SSRI: nausea, diarrea, riduzione dell’appetito, acatisia, anorgasmia, sindrome serotoninergica; - blocco dei recettori per la serotonina, soprattutto composti tricilcici e mianserina: aumento del peso; - stabilizzazione della membrana, soprattutto TCA: disritmia cardiaca, asistolia; - effetti complessi, soprattutto TCA: tremore, sudorazione, mioclono, epilessia, disturbo bipolare rapid cycling. Antidepressivi melatoninergici: Agomelatina L’agomelatina è il primo farmaco antidepressivo melatoninergico. È stato approvato dall’EMA nel 2009, per il trattamento della depressione moderata-grave. L’agomelatina è un’agonista dei recettori della melatonina, che sono recettori metabotropi accoppiati a Gi. La melatonina regola il ritmo circadiano. Agomelatina è un’antagonista dei recettori 5-HT2C, andando così a modulare la trasmissione dopaminergica ed adrenergica. Agomelatina viene somministrata a dosi di 25 mg per os al giorno prima di dormire, per non alterare il ciclo sonno-veglia. La dose viene aumentata fino a 50 mg se non si osservano miglioramenti nelle 2 settimane successive. Dato il suo metabolismo, bisogna controllare la funzionalità epatica ogni sei mesi. L’agomelatina sembra non dare sindrome a seguito della sua interruzione di trattamento, ne disturbi sessuali. Gli effetti collaterali sono moderati e in genere scompaiono dopo le prime settimane. Tra questi vi sono: emicrania, sonnolenza, nausea e diarrea. La somministrazione di agomelatina è controindicata nei pazienti con insufficienza epatica. Il metabolismo dell’agomelatina viene inibito dalla fluvoxamina e dalla ciprofloxacina. Linee guida per una terapia antidepressiva Il trattamento del disturbo depressivo deve essere iniziato con una farmaco antidepressivo. Il medico che effettua la terapia deve avere esperienza clinica nell’utilizzo di almeno 2-3 farmaci. Il trattamento va iniziato a basso dosaggio, per minimizzare gli effetti collaterali, e portato a dose piena in una settimana circa. Vi sono intense variazioni individuali della concentrazione plasmatica, causate da differenze genetiche del metabolismo. Se non c’è una risposta clinica entro 2-3 settimana di trattamento, si può valutare il cambiamento del farmaco, il trattamento con due farmaci con diverso meccanismo di azione oppure l’aggiunta di farmaci come il litio o antipsicotici atipici. I potenziali effetti collaterali vanno discussi con il paziente prima dell’inizio della terapia. Inoltre bisogna valutare la possibile comparsa di ideazione suicida per il precoce miglioramento della fase psicomotoria rispetto ai sintomi umorali. Le dosi vanno ridotte gradualmente per evitare la sindrome da interruzione del trattamento. La scelta del farmaco è dettata da tutta una serie di fattori come la storia clinica del paziente, le caratteristiche della depressione, la coesistenza di altre patologie e gli effetti collaterali concernenti la terapia. La durata del trattamento è varia. La fase acuta va trattata per 6-10 settimane. La fase di continuazione per 6-9 mesi dalla remissione sintomatologica. L’eventuale cessazione della terapia va fatta gradatamente. La fase di mantenimento deve essere effettuata con lo stesso farmaco e deve protrarsi per 1-3 anni, con una riduzione delle ricadute del 60-70%. Gli antidepressivi sono indicati anche per il trattamento di: - disturbi ossessivo-compulsivo; - disturbo post-traumatico da stress; - disturbo di panico, fobia sociale e agorafobia; - enuresi notturna del bambino e dell’anziano; - disturbo da deficit dell’attenzione nel bambino e nell’adulto; - disturbi psicosomatici associati a patologie internistiche. ANTIPSICOTICI (NEUROLETTICI, TRANQUILLANTI MAGGIORI) La schizofrenia è una malattia mentale psicotica, presente all’incirca nell’1% della popolazione. L’esordio è in genere tra l’adolescenza e l’età adulta. Fattori ereditari incidono per circa il 70%, mentre fattori ambientali per il rimanente 30%. La schizofrenia è una patologia tipicamente umana. Attualmente non si sa se la visione della realtà sia una visione obiettiva oppure una costruzione della nostra mente. Vi sono persone che durante tutto l’arco della loro vita vivono con questo struggente dubbio, non essendo in grado di discriminare le informazioni che provengono dall’ambiente esterno e quelle che sono frutto della loro mente. La diagnosi della schizofrenia si basa sulla ricerca sia di sintomi positivi, che di sintomi negativi. Nella patogenesi della schizofrenia sono coinvolti tutti i principali sistemi di trasmissione cerebrale. Le trasmissioni eccitatorie sono responsabili dei sintomi positivi, mentre quelle inibitorie dei sintomi negativi. In base alla teoria dopaminergica, nei soggetti schizofrenici vi è un’aumentata espressione dei recettori D2 e D4, entrambi accoppiati a proteine di tipo Gi. I farmaci di I generazione svolgono a questi livelli la loro azione. Questa alterazione dell’espressione, induce un’ipoattività dopaminergica a livello della corteccia frontale, dovuta anche a polimorfismi delle COMT, e responsabile dei sintomi negativi. Inoltre si ha iperattività dopaminergica a livello dello striato, responsabile dei sintomi positivi. Si ha quindi l’inibizione dell’attività inibitoria della corteccia prefrontale sul tono dopaminergico straitale. Per la teoria serotoninergica, vi è una iperattività delle sinapsi a serotonina a livello della corteccia prefrontale. È appunto in queste zone che hanno effetto i farmaci di II generazione, che bloccano i canali 5-HT2A. Per la teoria glutammatergica, l’ipofinzionalità del recettore NMDA determina la presenza dei sintomi negativi, quindi antagonisti del recettore NMDA determinano un aumento del rilascio di dopamina nei gangli della base, e riduzione del rilascio nella corteccia prefrontale. Infine, per la teoria GABAergica vi è una riduzione della densità e del numero degli interneuroni GABAergici a livello della corteccia, con una riduzione totale del tono inibitorio. I farmaci antipsicotici vengono utilizzati nel controllo dei sintomi della schizofrenia e delle psicosi associate. In associazione con gli antidepressivi, sono anche utilizzati nella terapia aggiuntiva della depressione maggiore e della demenza senile. Negli anni ’50 fu dimostrata l’attività antipsicotica della reserpina, utilizzata come antipertensivo. Nello stesso periodo l’attività antipsicotica della clorpromazina, primo farmaco ad essere utilizzato in larga scala, fu scoperta per caso, in pazienti schizofrenici nei quali era stata somministrata come antistaminico. Attualmente sono impiegati come antipsicotici molte sostanze a diversa struttura e con differente meccanismo di azione. I farmaci antipsicotici vengono suddivisi in due generazioni: - I generazione: Clorpromazina, Perfenazina, Trifluoperazina,Tiotixene, Aloperidolo; - II generazione: Clozapina, Risperidone, Olanzapina, Quetrapina, Ziprasidone, Aripiprazolo, Amisulpride, Asenapina, Lurasidone. Da un punto di vista chimico, gli antipsicotici appartengono a composti con nucleo fenotiazinico (clorpromazina), butirrofenoni (aloperidolo), benzamidi sostituite (sulpiride), dibenzoxazepine (clozapina). Fino all’introduzione della clozapina si è pensato che gli effetti antipsicotici e gli effetti extrapiramidali fossero direttamente proporzionali. Le caratteristiche di un antipsicotico atipico sono: - Minori effetti extrapiramidali; - Minore rialzo della prolattinemia; - Maggiore efficacia sui sintomi negativi. I farmaci di I generazione davano come effetto collaterale principale sintomi extrapiramidali, data l’affinità per i recettori dopaminergici, al contrario della clozapina (II generazione), che presenta un’affinità circa 50 volte inferiore. In base al loro meccanismo di azione, i farmaci antipsicotici vengono suddivisi in: - Antagonisti D2, tutti i farmaci di prima generazione; - Antagonisti D2 e 5-HT2A, seconda generazione; - Azione multipla, clozapina; - Azione agonista antagonista dopaminergica, aripiprazolo; - Antagonismo D2 e D3, amisulpride. L’asenapina è un’antagonista recettoriale D2, 5-HT2A, α2C. inoltre è un’agonista recettoriale per il 5-HT1A. Le dosi giornaliere sono di 5-10 mg per due volte al giorno. Il lurasidone viene utilizzato per il trattamento dei disturbi cognitivi e della memoria. Il lurasidone, al contrario degli altri antipsicotici non blocca i recettori muscarinici, che svolgono un ruolo particolare nei processi di memorizzazione. Ha una spiccata attività sui recettori per la serotonina 1A, 2A, 7 e α2C, che mediano i processi cognitivi. Il lurasidone, infine, non presenta come effetti collaterali quelli extrapiramidali. Il termine neurolettico è stato coniato per differenziare gli effetti dei farmaci come la clorpromazina da quelli prodotti da altri sedativi o deprimenti centrali. La sindrome da neurolettici comprende la soppressione dei movimenti spontanei e dei comportamenti complessi. Inoltre, i farmaci neurolettici inducono fenomeni neurologici caratteristici. ASSORBIMENTO, DISTRIBUZIONE, EMTABOLISMO ED ESCREZIONE: Alcuni antipsicotici sono caratterizzati dall’avere modalità di assorbimento bizzarre se somministrati per os. La somministrazione per via parenterale ne aumenta di molto la biodisponibilità. Questi farmaci sono altamente lipofili, con forte legame alle membrane e alle proteine plasmatiche. Questi farmaci si accumulano nel SNC ed in altri tessuti altamente perfusi. Sono in grado di raggiungere la circolazione fetale e vengono secreti nel latte materno. Questi farmaci non vengono rimossi attraverso dialisi. Le emivite di eliminazione sono comprese tra 20-40 ore, con una durata dell’effetto anche di 24 ore. Questi farmaci quindi possono essere somministrati una volta al giorno dopo che il paziente si è adattato agli effetti collaterali. Questi sono farmaci eliminati molto lentamente e ciò può contribuire alla tipica esacerbazione lenta della psicosi dopo interruzione della terapia. I farmaci antipsicotici vengono metabolizzati dai CYP. I metaboliti idrofili di questi farmaci sono eliminati nelle urine e nelle feci, e sono inattivi. I farmaci antipsicotici meno potenti potrebbero determinare un’induzione del loro metabolismo epatico. Il feto, il neonato e l’anziano possiedono una capacità ridotta di eliminare i farmaci antipsicotici, e i bambini tendono a metabolizzarli più in fretta. FARMACOLOGIA CLINICA: I farmaci di I generazione sono considerati equivalenti tra loro per efficacia ed effetti collaterali. Hanno un’efficacia nel 60-70% dei pazienti. I farmaci di II generazione sono più efficaci sui sintomi negativi, nei disturbi cognitivi e nei pazienti refrattari. Sono i farmaci di prima scelta, con eccezione della clozapina. La scelta del farmaco si basa sull’anamnesi familiare e sulla risposta individuale. Si inizia con dosi piene e somministrazioni frazionate nelle 24 ore. L’efficacia del trattamento va esaminata almeno dopo 6 settimane. I farmaci di I generazione provocano effetti collaterali extrapiramidali di vario grado. I farmaci di II generazione sono considerati meno tossici, in funzione degli effetti extra-piramidali. La clozapina non causa effetti extrapiramidali, ma può dare agranulocitosi. EFFETTI COLLATERALI: I farmaci antipsicotici presentano effetti collaterali diversi tra I e II generazione. Quelli di prima generazione presentano come effetti collaterali: - Disordini del movimento come distonia, tachicinesia, tremore, acatisia, coreoatetosi; - Anedonia; - Desazione; - Moderato aumento del peso corporeo; - Disregolazione della temperatura corporea, con poichilotermia; - Iperprolattinemia, con galattorrea nelle donne e ginecomastia nell’uomo, disordini della sfera sessuale; - Ipotensione posturale; - Eritema; - Prolungamento del tratto QT, con aumentato rischio di aritmie potenzialmente fatali. Gli antipsicotici di II generazione presentano come effetti collaterali: - Aumento del peso da moderato a severo; - Diabete mellito; - Ipercolesterolemia; - Sedazione; - Moderati disordini del movimento; - Ipotensione; - Iperprolattinemia; - Salivazione notturna; - Agranulocitosi; - Miocardite; - Opacità del cristallino. Sicuramente, spiccati sono gli effetti collaterali neurologici dei farmaci di I generazione, con: - Sindromi parkinsoniane nel 20-40% dei casi; - Acatisia, 25%; - Distonia, 2,5-5%; - Discinesia tardiva, nel 20-50% dei pazienti anziani. Compare frequentemente dopo la cessazione del trattamento. Le sindromi parkinsoniane sono caratterizzate da: - Acinesia, con fatica e debolezza muscolare, riduzione dell’attività fisica, dolore muscolare e articolare negli stadi avanzati; - Rigidità, con lentezza e rigidità di tutti i movimenti, disturbi della postura e dell’andatura, andatura festinante, eloquio monocorde, disartria; - Tremore, ritmico con 4-6 oscillazioni al secondo; tremore a riposo; - SNA, ptialismo (disturbi della salivazione), ipeidrosi, scialorrea, seborrea. Esordio di questa complessa sintomatologia si ha da giorni a settimane dopo l’introduzione o l’aumento della dose di neurolettico. L’acatisia è l’impossibilità a restare fermi. È caratterizzata da una componente soggettiva (incapacità a rilassarsi, irritabilità, non stare più nella pelle) e componente motoria (marcia sul posto, difficolta a rimanere in attesa). L’esordio va da ore a settimane dopo l’introduzione o l’aumento della dose di neurolettico. La distonia colpisce tutti i muscoli, causando blefarospasmo (costrizione della muscolatura orbitale dell’occhio), distonia laringea e degli arti e del tronco. Anche qui l’esordio va da ore a giorni dopo l’introduzione o l’aumento delle dosi di neurolettico, difficilmente perdura oltre le 96 ore. Infine vi è la discenesia tardiva, che può colpire tutti i muscoli del corpo. A seguito della presenza di questi gravi effetti collaterali bisogna immediatamente dar luogo alla terapia sintomatologica, che prevede la somministrazione di più farmaci, oltre la somministrazione di vitamina E e infiltrazioni di botox. Qualora vi sia la remissione sintomatologica degli effetti collaterali neurologici, bisogna continuare la terapia con il solo botox. Altri effetti collaterali comprendono: - Sintomi antimuscarinici da blocco recettoriale colinergico; - Aumento della secrezione di prolattina, dovuta al blocco dei recettori dopaminergici ipotalamici. Viene così eliminato il tono inibitorio della dopamina sulla sintesi della prolattina; - Effetti idiosincratici come ipertermia maligna, ittero colestatico (raro, indotto da clorpromazina); - Agranulocitosi, con clozapina nell’1% dei casi; - Miocardite e cardiomiopatia, rara con clozapina. INTERAZIONI CON ALTRI FARMACI: I farmaci antipsicotici possono potenziare l’effetto di sedativi ed analgesici, dell’alcol, degli antistamici e dei rimedi contro il raffreddore. La clorpromazina intensifica gli effetti degli miotici e sedativi della morfina e ne può accrescere l’azione analgesica. La clorpromazina aumenta la depressione respiratoria indotta dalla meperidina ed esercita effetti simili se somministrata con altri farmaci oppioidi. È chiaro che i neurolettici inibiscono l’azione degli agonisti dopaminergici e della levodopa, peggiorando i sintomi della malattia di Parkinson. L’azione antimuscarinica della clozapina e della tioridazina può provocare tachicardia e potenziare gli effetti periferici e centrali di altri farmaci anticolinergici. I farmaci induttori dei CYP epatici possono aumentare il metabolismo degli antipsicotici, invece gli SSRI, competendo per i CYP, inducono un aumento dei livelli plasmatici di neurolettici. USI CLINICI: Gli antipsicotici atipici sono da considerare come farmaci di prima scelta per la schizofrenia di nuova diagnosi e in soggetti con episodi acuti. Inoltre gli antipsicotici atipici vengono utilizzati quando la terapia convenzionale non è in grado di controllare la sintomatologia in modo adeguato. Non bisogna passare ad un antipsicotico atipico se la terapia convenzionale è sufficiente nel controllo della patologia e senza effetti collaterali inaccettabili. Infine, bisogna introdurre la clozapina se i sintomi della schizofrenia non sono controllati in modo adeguato dall’uso sequenziale di 2 o più antipsicotici (uno dei quali atipico), ognuno dei quali somministrato per almeno 6-8 settimane. Inoltre gli antipsicotici rappresentano la terapia aggiuntiva delle depressioni maggiori. Farmaci stimolanti il SNC I farmaci stimolanti i sistema nervoso centrale, vengono utilizzati per il trattamento del disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività (Attention Deficit-hyperactivity Disorder, ADHD). Questa è una tipica sindrome che colpisce i bambini e gli adolescenti, caratterizzat da iperattività motoria e incapacità di mantenere adeguati livelli di attenzione e concentrazione. Attualmente, i farmaci più utilizzati sono: - Metilfenidato; - Atomoxetina. Il metilfenidato è un simpaticomimetico ad azione centrale, che determina il rilascio di catecolamine e serotonina. È attivo per os, con una breve emivita di 2 ore. Le dosi sono di 5-60 mg al giorno, in più somministrazioni. Tra gli effetti collaterali vi sono: insonnia, dolori addominali, anoressia, perdita di peso. Per questo motivo bisogna tenere sempre sotto controllo il tasso di crescita corporea. L’atomoxetina è registrato in Gran Bretagna ed in Italia. È attivo per os, alle dosi di 40-100 mg al giorno. Può comportare anoressia, disturbi del sonno, depressione e ansia. Inoltre può indurre epatopatie. FARMACOTERAPIA DEL DISTURBO BIPOLARE Il Litio è il più leggero dei metalli alcalini: i Sali di questo metallo condividono alcune caratteristiche con quelli del sodio e del potassio. Il litio non è un sedativo, un deprimente o un euforizzante e questa caratteristica lo differenzia dagli altri farmaci antipsicotici. L’esatto meccanismo di azione del litio non è ancora ben chiaro. I Sali di litio venivano utilizzati per il trattamento della gotta nel XIX secolo, poichè portava alla formazione di urato di litio, un composto più solubile e facilmente eliminabile. Negli animali, la somministrazione del litio per solubilizzare gli urati determinava sedazione. Sempre nello stesso periodo il bromuro di litio veniva utilizzato come sedativo ed anticonvulsionante. Nel 1948 il carbonato di litio viene somministrato per la prima volta in soggetti agitati o maniacali e si raccolsero le prime prove cliniche convincenti dell’efficacia dei Sali di litio nel trattamento e nella profilassi della mania, del disturbo bipolare (disturbo maniaco-depressivo) e del disturbo unipolare (depressione). Il meccanismo di azione è sconosciuto. In Italia viene utilizzato il carbonato di litio. Non è un substrato delle pompe del sodio, quindi non è in grado di mantenere i potenziali di membrana. Di conseguenza presenta una certa tossicità. AZIONE FARMACOLOGICA: I possibili siti di azione del litio a livello neuronale sono: - potenziamento della ricaptazione nervosa della noradrenalina da parte della terminazione nervosa; - aumento del catabolismo interneuronale della noradrenalina; - inibizione dell’azione dei recettori legati all’adenilato ciclasi; - riduzione dell’idrolisi dei fosfoinisotidi; - riduzione della sintesi del cAMP; - alterazione della fosforilazione di proteine endogene. A livello del SNC, l’azione del litio consiste nell’inibizione dell’inositolo monofosfatasi e quindi nel metabolismo degli inisotidi. Questo effetto determina una riduzione dell’inositolo e ad un’interferenza con i meccanismi della neurotrasmissione, dovuta alla riduzione dell’attività della PKC, in particolare dell’isoforma α e β. Un importante substrato della PKC è la proteina MARCKS o substrato della PKC miristoilato e ricco di alanina, che è implicata nella plasticità sinaptica e neuronale. Il litio induce una inibizione del rilascio di dopamina e noradrenalina, ma non di serotonina. Inoltre la somministrazione di litio è seguita dall’aumento dell’espressione di bcl-2, una proteina ad attività antiapoptotica. FARMACOCINETICA E FARMACOLOGIA CLINICA: Il litio viene somministrato per os. La terapia prevede la somministrazione di 1-1,5 g al giorno, mentre la profilassi viene effettuata con dosi di 0,3-1 g al giorno. Presenta un buon assorbimento GI, con notevoli variazioni individuali. Il picco ematico viene raggiunto in 2-4 ore. Presenta un trascurabile legame alle proteine plasmatiche e un difficile passaggio transmembrana. Il suo volume di distribuzione è di 0,7-0,9 L/kg. Inizialmente tende a distribuirsi nel liquido extracellulare, poi si accumula in particolari tessuti, soprattutto il muscolo scheletrico striato, osso e tiroide. La concentrazione nel liquor è circa la metà di quella plasmatica. Non viene metabolizzato e viene escreto immodificato nelle urine, con una emivita di 20-24 ore. Viene filtrato a livello del glomerulo, l’80% è riassorbito a livello dei tubuli prossimale, mentre il rimanente 20% viene escreto. Il litio presenta un basso indice terapeutico, quindi occorre monitorare costantemente la concentrazione plasmatica, che è compresa tra 0,4-1 mmol/L. EFFETTI COLLATERALI: Il litio risulta essere tossico in numerosi organi: - nel rene, la somministrazione di litio si accompagna a poliuria, diminuzione della funzionalità renale, diminuzione della capacità di concentrazione renale; - al livello del SN, il litio determina tremore fine, astenia, debolezza muscolare, segni extrapiramidali, disturbi cognitivi e mnemonici; - sul piano metabolico, il litio determina ipotiroidismo, gozzo, diabete insipido, aumento di peso, alterazioni del metabolismo glucidico; - a livello dell’apparato cardio-vascolare, si avrà un all’allungamento del tratto QRS e una disfunzione del nodo del seno; - nel tratto GI, il litio determina pesantezza e gonfiore gastrico, nausea, diarrea; - a livello dermatologico, il litio induce acne, rash, discromie, papule, psoriasi, perdita dei capelli. La poliuria è dovuta alla ridotta risposte del rene all’ADH da inibizione dell’adenilato ciclasi renale. Si consiglia di assumere una quantità di liquidi adeguata e di non variare l’assunzione del sodio. Deve essere effettuato un controllo annuale della funzione renale e tiroidea. Induce tremore nel 40% dei pazienti, probabilmente dovuto ad alterazioni elettrolitiche. Deve essere utilizzato con molta cautela nei pazienti con problemi di conduzione cardiaca o con infarto recente. L’aumento di peso potrebbe essere legato ad interferenza con il metabolismo glucidico. CONTROINDICAZIONI: La somministrazione di litio è controindicato in pazienti con: ipofunzionalità renale, infarto del miocardio, miastenia gravis, durante il primo trimestre di gravidanza, in allattamento, grave squilibrio elettrolitico. Deve essere utilizzato sotto stretta sorveglianza medica e a dosaggio limitato in soggetti con: altre patologie cardiache, morbo di Parkinson, nel secondo trimestre di gravidanza, durante il parto, epilessia, malattie della tiroide. Infine va utilizzato con cautela e a dosaggio ridotto in soggetti con: disturbi cerebellari, demenza, altre patologie del SNC. Diabete mellito, colite ulcerosa, psoriasi, cataratta senile, concomitante assunzione di altri farmaci. INTERAZIONI FARMACOLOGICHE: Il litio va incontro a tutta una serie di interazioni con numerosi farmaci: - diuretici tiazidici: riduzione dell’eliminazione del litio con effetto sulla funzione tubulare; - FANS: possono aumentare il livello di litio interferendo con la sua eliminazione; - Antibiotici: possono aumentare il livello del litio per probabile effetto renale; - Antipertensivi: può aumentare il livello del litio, con neurotossicità, inoltre il litio può diminuire l’effetto antipertensivo; - Broncodilatatori: aumentano l’escrezione del litio, da utilizzare con cautela nei soggetti affetti da cardipatie; - Medicamenti cardiaci: rischio di aritmie, aumento della velocità di escrezione del litio; - Ipoglicemizzanti: il litio può aumentare la tolleranza al glucosio; - Neurolettici: neurotossicità, con discinesia tardiva; - Anticonvulsionanti: possibile neurotossicità e possibile diminuzione dei livelli di litio. USI TERAPEUTICI: Il litio viene utilizzato per il trattamento della mania acuta, nel trattamento e prevenzione a lungo termine delle ricadute nei disturbi bipolari, nel trattamento della depressione ricorrente grave in associazione con gli antidepressivi. Inoltre prima e durante la terapia con il litio devono essere valutate accuratamente la funzionalità renale e tiroidea del soggetto. Nel trattamento della mania acuta, il litio presenta un’efficacia del 70-80%. A seconda dei vari stadi della mania, cambia il quadro farmacoterapeutico: - Stadio 1 o ipomania: monoterapia con il litio, con una fase di latenza di 14-20 giorni, eventualmente associare una benzodiazepina; - Stadio 2 o mania conclamata: litio in associazione con un neurolettico fenotiazinico in caso di agitazione psicomotoria; - Stadio 3 o mania confusa: litio in associazione con aloperidolo o clozapina in caso di manifestazioni psicotiche. La terapia con il neurolettico va iniziata a basso dosaggio solo nel periodo di latenza del litio. Le associazioni litio-neurolettico sono potenzialmente molto pericolose, a causa dei gravi effetti tossici. Nei pazienti con controindicazioni è possibile l’utilizzo della carbamazepina. Il disturbo bipolare è caratterizzato da episodi maniacali alternati ad episodi depressivi. Circa l’80% dei pazienti va incontro a ricadute. I Sali di litio sono clinicamente efficaci nel ridurre le ricadute e l’intensità degli episodi. La terapia di mantenimento deve essere iniziata dopo il primo episodio. Durata dl trattamento è indefinita e vi sono elevati problemi di compliance. La riduzione della dose o la sospensione del trattamento vanno sempre decisi dal medico specialista. In caso di serie controindicazioni possono essere utilizzati gli anticonvulsionanti come la carbamazepina. FARMACOTERAPIA DELL’EPILESSIA Nel 1857 venne introdotto il primo farmaco antiepilettico: il bromuro di etidio. Nel 1912 si utilizzò per la prima volta il fenobarbtal, seguita, un pò di tempo dopo dall’utilizzo della fenitoina. Negli anni compresi tra 1935-1960 furono fatti grandi progressi nello sviluppo di modelli sperimentali e nei metodi di selezione e di prova dei nuovi farmaci antiepilettici. Una svolta fu segnata nel 1965 con l’introduzione in clinica dell’acido valproico e benzodiazepine. Attualmente, i farmaci che vengono utilizzati per il trattamento dell’epilessia sono: - Azione a livello del recettore GABAA; - Azione a livello dei canali del sodio e sulla trasmissione glutammatergica; - Azione a livello dei canali del calcio T; - Azione mista; - Meccanismo di azione sconosciuto. Farmaci antiepilettici che agiscono sulla trasmissione GABAergica L’epilessia è caratterizzat da una diminuzione del tono inibitorio esercitato dalle sinapsi GABAergiche. I farmaci che modulano l’attività della sinapsi GABAergica sono: a) Benzodiazepine; b) Barbiturici: Fenobarbital, Primidone; c) Vigabatrina; d) Tiagabina; e) Gabapentina. Barbiturici I barbiturici agiscono a livello del SNC. I meccanismi alla base dell’azione dei barbiturici sul recettore GABAA sembrano essere distinti da quelli del GABA e delle benzodiazepine: - I barbiturici facilitano, anzichè spiazzare il legame delle benzodiazepine al recettore; - I barbiturici aumentano le correnti del cloro indotte dall’attivazione del recettore del GABAA, prolungando i periodi in cui si ha l’apertura, anzichè della frequenza, come le benzodiazepine; - Soltanto le subunità α e β sono necessarie per l’azione dei barbiturici; - Gli aumenti della conduttanza al cloro, indotta dai barbiturici, non è influenzata da mutazioni sulla subunità β. I barbiturici possono produrre tutte le gradazioni di depressione sul SNC, e sono dotati di attività anticonvulsionante. I barbiturici possono dar luogo a tolleranza sia farmacodinamica o funzionale che farmacocinetica. La tolleranza funzionale è responsabile della perdita di efficacia dei barbiturici EFFETTI FARMACOLOGICI: Al livello del SNC i barbiturici aumentano il tono delle trasmissioni GABAergiche, con una riduzione dell’attività generale. A livello dell’apparato respiratorio inducono depressione respiratoria sia inibendo lo stimolo respiratorio che i meccanismi responsabili della ritmicità del respiro. A dosi maggiori riducono anche il riflesso innescato dall’ipossia e lo stimolo chemorecettoriale. Tuttavia i barbiturici non sopprimono completamente i riflessi protettivi, così, quando sono utilizzati in anestesia, all’intubazione può verificarsi laringospasmo. A livello cardiovascolare, quando somministrati per os non mostrato effetti marcati, tranne una lieve diminuzione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Tuttavia, l’anestesia indotta da barbiturici iv può aumentare il rischio di sviluppo di aritmie ventricolari, soprattutto in presenza di adrenalina e alotano. A dosaggi eccessivi si verifica anche una diminuzione della potenza contrattile. A livello dell’apparato GI, i barbiturici tendono a diminuire il tono della muscolatura e l’ampiezza delle contrazioni ritmiche. Tuttavia, gli effetti maggiormente evidenti, dovuti all’assunzione di questi composti, si hanno a livello epatico. I barbiturici si combinano con vari CYP, inibendo il metabolismo di una miriade di composti e altre sostanza possono inibire il metabolismo dei barbiturici. Di conseguenza bisogna valutare eventuali interazioni farmacometaboliche. Nell’intossicazione acuta, l’oliguria e l’anuria sono dovuti alla marcata ipotensione indotta dai barbiturici. EFFETTI COLLATERALI: A seguito dell’interruzione della terapia con barbiturici può non aversi l’immediato ristabilimento del soggetto, che presenterà effetti postumi, includendo diminuzione della capacità del giudizio, ma anche nausea e vomito, irritabilità e collera. In alcuni soggetti, i barbiturici piuttosto che produrre depressione, inducono eccitazione paradossa. Questo effetto collaterale è indotto per lo più dal fenobarbital. Inoltre possono causare reazioni di ipersensibilità in persone con asma, angioedema e condizioni simili. Il fenobarbital raramente causa dermatite esfoliativa e avere esiti fatali. Infine non va sottovalutata, la già citata, interazione farmacometabolica. Fenobarbital Il fenobarbital è stato il primo farmaco antiepilettico. È attivo già a dosi non sedativo-ipnotiche. Il fenobarbital stimola la trasmissione GABAergica. Infatti aumenta la durata del potenziale inibitorio, senza aumentarne la frequenza. È indicato in tutte le forme di epilessia, tranne le assenze. L’assorbimento per os del fenobarbital è completo ma lento. È legato per il 40-60% alle proteine plasmatiche e tissutali, tra cui il cervello. Circa un 25% della dose viene eliminata nelle urina in forma immodificata. Il restante viene metabolizzato dal fegato, ad opera dei CYP. Siccome il fenobarbital induce l’espressione dell’enzima uridina-difosfato-glucuroniltransferasi (UGT), così come diversi CYP, i farmaci metabolizzati da questi enzimi vengono degradati più rapidamente. Quindi molto importanti sono le interazioni farmacocinetiche, soprattutto per quei farmaci che vengono metabolizzati dai CYP. La somministrazione cronica di barbiturici determina un aumento dell’espressione dei CYP1A2, 2C9, 2C19 e 3A4. Data l’aumentata richiesta di citocromi per la sintesi aumentata di CYP, l’assunzione di fenobarbital può determinare attacchi di porfiria. L’assunzione contemporanea di acido valproico può aumentare le concentrazioni di fenobarbital di circa il 40%. Gli effetti collaterali sono: sedazione, depressione respiratoria, epatotossicità, iperattività paradossa negli anziani e nei bambini. Gli effetti idiosincratici sono allergia, anemia megaloblastica e leucopenia. Il primidone viene metabolizzato a fenobarbital. Il fenobarbital è un farmaco utile per il trattamento delle crisi generalizzate tonico-cloniche e parziali. È molto efficace, con bassa tossicità e costi contenuti. Tuttavia il suo uso è ridotto a causa degli effetti sedativi e dalla sua tendenza a provocare disturbi comportamentali nel bambino. Tiagabina La tiagabina è un derivato dell’acido nipecotico. La tiagabina inibisce il trasportatore del GABA, GAT-1, riducendo la velocità di ricaptazione del neurotrasmettitore nei neuroni e nella glia, ed aumentandone la concentrazione inter-sinaptica. La tiagabina viene rapidamente assorbita per os, si lega alle proteine plasmatiche, e viene metabolizzata dai CYP3A, con un’emivita di 8 ore. In presenza di composti induttori del metabolismo, come fenobarbital, fenitoina e carbamazepina, l’emivita si riduce a 2-3 ore. La tiagabina viene utilizzata come terapia aggiuntiva nelle crisi parziali refrattarie. Tuttavia può aggravare le crisi generalizzate miocloniche e le assenze. I principali effetti collaterali sono: vertigini, stanchezza, tremori, difficoltà di concentrazione e sonnolenza. Vigabatrin Il γ-vinil-GABA o vigabatrin è un inibitore irreversibile del GABA-T. presenta un’emivita di 5-8 ore, con una durata di azione di circa 24 ore, dovuta all’inibizione irreversibile e alla risentesi di nuovo trasportatore per permettere il ripristino della concentrazione intersinaptica del GABA. Presenta le stesse indicazioni e gli stessi effetti collaterali della tiagabina. Tuttavia può causare alterazioni del campo visivo. È stato approvato dalla FDA nel 2009 per il trattamento delle crisi epilettiche nei bambini con età compresa tra 1 mese e i 2 anni. Gabapentina La gabapentina è un farmaco anticonvulsionante, disegnato come agonista del GABA, tuttavia non ci sono evidenze di questa azione. Presenta un meccanismo di azione sconosciuto: in vitro aumenta la concentrazione del GABA e si lega ai canali del calcio voltaggio-dipendenti di tipo L. In vivo, la gabapentina potrebbe aumentare il rilascio del GABA interagendo con una proteina molto simile ad una subunità dei canali per il calcio, non influenzandone però la corrente. Viene assorbita a livello del tratto GI da un sistema di trasporto saturabile, quindi vi è una relazione non lineare tra dose e concentrazione plasmatica. Non si lega alle proteine plasmatiche e non viene metabolizzata. Ha un’emivita di 5-7 ore. È efficace nel trattamento delle crisi parziali tonico-cloniche, ma non in quelle generalizzate. È efficace nel trattamento del dolore neuropatico e viene utilizzata in associazione con altri farmaci nelle crisi parziali. Non sono state riportate interazioni farmacologiche. Il farmaco risulta essere ben tollerato, e i principali effetti collaterali sono: sonnolenza, vertigini, astenia. Farmaci antiepilettici che agiscono sui canali al sodio e sulla neurotrasmissione glutammatergica Il recettore NMDA è associato ad un canale ionico permeabile al sodio ed al calcio ed è associato a diversi siti modulatori. Numerosi farmaci interagiscono a livello dei siti modulatori alterando le cinetiche del recettore. Il canale del sodio, oltre alle normali conformazioni di resting ed open, possiede una serie di conformazioni intermedie, che questi assume ne ritornare dallo stato attivo allo stato di riposo. In questo stato inattivo il canale non viene aperto anche se la stimolazione persiste. Numerosi farmaci antiepilettici svolgono la loro azione bloccando il canale in questo stadio. I farmaci che appartengono a questa categoria sono: a) Fenitoina: Fosfenitoina; b) Carbamazepina: Oxacarbazepina; c) Lamotrigina; d) Topiramato; e) Zonisamide; f) Lacosamide. Fenitoina La fenitoina è efficace in tutti i tipi di epilessia, con eccezione per le assenze. La fenitoina viene somministrata per os e iv e risulta essere irritante per via im. Il suo precursore, la fosfofenitoina è solubile è può essere somministrata im e iv. Presenta un buon assorbimento orale e per il 90% viaggia nel plasma legata alle proteine plasmatiche. Viene metabolizzata dai CYP2C9 e CYP2C19. La fenitoina determina una saturazione degli enzimi metabolizzanti, quindi la velocità di eliminazione diminuisce all’aumentare della dose somministrata. Quindi vi è una relazione non lineare tra i livelli plasmatici e la dose somministrata. La fenitoina è un forte induttore metabolico. Importanti interazioni farmacocinetiche sono dovute allo spiazzamento dell’acido valproico e da metabolizzazione, estro-progestinici. La fenitoina riduce la velocità di recupero dei canali al sodio voltaggio-dipendenti dalla fase di inattivazione. Il blocco dei canali è dipendente dal voltaggio ed è più intenso se la membrana è depolarizzata. La normale trasmissione neuronale non viene alterata, ma sono bloccate le scariche parossistiche proprie delle crisi epilettiche. La fenitoina è indicata in tutte le forme epilettiche, tranne le assenza. È un farmaco con un basso indice terapeutico, non di prima scelta, e presenta fenomeni tossici. EFFETTI COLLATERALI: La tossicità della fenitoina dipende dalla modalità di somministrazione e dal tempo di infusione. Quando viene somministrata ev rapidamente gli effetti tossici più gravi sono a livello cardiaco, con aritmie. Quando dosi eccessive vengono somministrate per os, si verificano segni cerebellari e vestibolari. gli effetti collaterali, sul piano neurologico sono: vertigini, tremore, disturbi cognitivi, cefalea, aggravamento delle crisi generalizzate miocloniche e di assenza. La somministrazione di fenitoina è seguita anche da manifestazioni idiosincratiche: l’irsutismo con effetti antiestetici nelle donne, iperplasia gengivale dovuta ad alterazione del collagene, leucopenia, anemia megaloblastica, neuropatie periferiche e immunodepressione. Inoltre altera lomeostasi del calcio con osteomalacia, e siccome aumenta il metabolismo della vitamina K, vi può essere deficienza dei fattori vitamina Kdipendenti. In neonati di madri che assumono la fenitoina vi può essere un’insufficienza dei fattori della coagulazione. In questi casi si consiglia la somministrazione di vitamina K. La fenitoina è controindicata nei soggetti affetti da porfiria acuta, per via dell’aumentata richiesta di gruppi EME legata alla sintesi dei CYP epatici, e nel diabete. Carbamazepina La carbamazepina appartiene alla classe degli iminostilbeni ed è strutturalmente correlata agli antidepressivi triciclici. Presenta un meccanismo di azione simile alla fenitoina. L’assorbimento per os è variabile, legato per il 75% alle proteine plasmatiche, con un’emivita da prima dose di 20-55 ore. Viene metabolizzata soprattutto dal CYP3A4 a 10,11-epossido, il metabolita attivo. La carbamazepina è un induttore enzimatico del proprio metabolismo, con una riduzione dell’emivita a 5-26 ore, e di altri farmaci. Molto importanti sono le interazioni farmacocinetiche. Il metabolismo della carbamazepina è stimolato dai barbiturici e dalla fenitoina. La carbamazepina è considerato il farmaco di prima scelta nelle crisi parziali semplici e complesse e nelle crisi generalizzate tonico cloniche. EFFETTI COLLATERALI: L’intossicazione acuta da carbamazepina può indurre uno stato stuporoso, coma, iperirritabilità, convulsioni e depressione respiratoria. I principali effetti collaterali neurologici sono vertigini, sonnolenza, confusione, agitazione e visione offuscata. Come la fenitoina può aggravare crisi generalizzate miocloniche e di assenza. Gli effetti collaterali non neurologici sono: disturbi al tratto GI, effetto antidiuretico da ridotta concentrazione plasmatica di ADH, disturbi della conduzione cardiaca. Gli effetti idiosincratici comprendono discrasie ematiche, reazioni cutanee ed epatotossicità La carbamazepina è controindicata in soggetti con disturbi della conduzione atrio-ventricolare, storia di mielodepressione, e porfiria. Altre indicazioni terapeutiche per la carbamazepina sono la nevralgia del trigemino, disturbo bipolare in pazienti resistenti ai Sali di litio (uno stabilizzante dell’umore). L’oxacarbamazepina è il 10-cheto analogo della carbamazepina a cui è simile farmacologicamente. Tuttavia è un induttore metabolico meno potente e rappresenta una alternativa terapeutica come prima scelta nelle crisi parziali, soprattutto nei soggetti tra 4-16 anni. Lamotrigina La lamotrigina fu sviluppata come un agente antifolato, sull’idea che la riduzione dei folati potesse combattere gli attacchi epilettici. È un farmaco equivalente alla fenitoina e alla carbamazepina, che agisce sui canali del sodio voltaggio-dopendenti. Viene utilizzato come monoterapia oppure in aggiunta ad altri farmaci. Presenta uno spettro di azione più ampio rispetto alla fenotoina e alla carbamazepina, molto probabilmente perchè inibisce il rilascio del glutammato. Ciò è stato chiaramente dimostrato in vitro. La biodisponibilità orale è completa, per il 55% viaggia legata alle proteine plasmatiche. Viene metabolizzata attraverso la glicuronazione e presenta emivita variabile a seconda se venga somministrata singolarmente oppure in associazione con altri composti. L’emivita è di: - 25 ore, se in monoterapia; - 8-16, con fenitoina o barbiturici; - 50 ore, con acido valproico. È efficace su tutte le forme tonico-cloniche generali e parziali, una valida alternativa terapeutica sia in monoterapia che in associazione. Inoltre è efficace nella profilassi del disturbo dell’umore, in quanto agente stabilizzante dell’umore. Tra gli effetti collaterali neurologici vi sono: insonnia, astenia, sonnolenza, diplopia e visione offuscata. Tra gli effetti idiosincratici si ricordano le eruzioni cutanee anche gravi. Infine va somministrata con cautela nei pazienti con una storia di ipersensibilità ai farmaci. Topiramato Il topiramato è un monosaccaride sulfamato sostituito. presenta un meccanismo di azione analogo a quello della fenitoina. Il topiramato è un’antagonista dei recettori NMDA e determina la stimolazione dei recettori GABAA, con una riduzione della frequenza di attivazione dei canali AMPA. Inoltre è anche un debole inibitore dell’anidrasi carbonica. Viene somministrato per os e presenta un basso legame alle proteine plasmatiche. Ha una scarsa metabolizzazione con un’emivita di circa 24 ore. Viene utilizzato in monoterapia per le epilessie parziali e generalizzate, con efficacia pari alla carbamazepina e viene utilizzato anche nella profilassi dell’emicrania. Nei soggetti a rischio di nefrolitiasi, deve essere assicurata una corretta idratazione. Normalmente è ben tollerato e tra gli effetti collaterali presenta: sonnolenza, affaticamento, anoressia e perdita di peso. Zonisamide La zonisamide è un derivato sulfonamidico. Esplica i suoi effetti farmacologici tramite: - Blocco del firing neuronale, con blocco dei canali del sodio voltaggio-dipendenti; - Inibizione dei canali T del calcio a bassa soglia dei neuroni talamici. La zonisamide viene assorbita per os e circa il 40% è legato alle proteine plasmatiche. Ha un’emivita di 50-70 ore, che può essere accorciata dalla cosomministrazione di farmaci induttori del metabolismo a 2535 ore. Infatti a livello epatico viene metabolizzato dal CYP3A4. È indicato nella terapia aggiuntiva nelle crisi parziali refrattarie. Risulta essere un farmaco ben tollerato e può causare: sonnolenza, astenia, confusione e disturbi della memoria. La zonisamide è in grado di inibire l’anidrasi carbonica e in circa l’1% dei soggetti si ha calcolosi renali, soprattutto nei pazienti anziani e acidosi metabolica. Lacosamide La lacosamide è efficace nei modelli animali di epilessia. Aumenta l’inattivazione lenta dei canali del sodio voltaggio-dipendenti. Inoltre la lacosamide si lega al CRMP2, un fattore che è coinvolto nella differenzazione neuronale, nel controllo della crescita neuronale e probabilmente anche nell’epilettogenesi. È stata approvata dall’EMEA e dalla FDA nel 2008 per il trattamento adiuvante delle crisi parziali con o senza generalizzazione nei pazienti di età inferiore ai 16 anni. È efficacie alle dosi di 400-600 mg al giorno. Può essere utilizzato anche nelle epilessie refrattarie e contro il dolore neuropatico. È un farmaco meno soggetto ad interazioni farmacocinetiche. Tuttavia può avere effetti dromotropi ed inotropi negativi. Farmaci antiepilettici che agiscono sui canali del calcio: etosuccimide L’etosuccimide è il farmaco di scelta nella terapia delle assenze. Determina la riduzione delle correnti del calcio, con inibizione dei canali T del calcio a bassa soglia dei neuroni talamici. Presenta una biodisponibilità orale completa e una legame alle proteine plasmatiche trascurabile. Viene metabolizzato soprattutto dal CYP3A4, con un’emivita di 50-60 ore nell’adulto e di circa 30 ore nel bambino. Rappresenta il farmaco di scelta nelle crisi di assenza, soprattutto nei bambini resistenti all’acido valproico. Non possiede alcun effetto sulle crisi tonico-cloniche. Gli effetti collaterali neurologici e non neurologici sono simili a quelli dell’acido valproico. Può indurre reazioni idiosincratiche come discrasie ematiche. Farmaci antiepilettici ad azione mista: acido valproico L’azione antiepilettica dell’acido valproico venne scoperta per caso, poichè veniva utilizzato come eccipiente per studiare l’azione di altri farmaci antiepilettici. L’acido valproico è un acido carbossilico. Gli effetti farmacologici mediati dall’acido valproico sono dovuti a: - Blocco del firing neuronale mediante blocco dei canali al sodio voltaggio-dipendenti; - Inibizione dei canali T del calcio a bassa soglia dei neuroni talamici; - Aumento della concentrazione del GABA, con stimolazione dell’attività della GAD, con aumento della sintesi, e inibizione del GABA-T, con accumulo sinaptico. L’assorbimento per os è pressochè completo, con un volume di distribuzione di 0,2 L/kg. Per il 90% viaggia legato alle proteine plasmatiche. La maggior parte dell’acido valproico viene metabolizzato dal fegato ad opera di CYP2C9 e CYP2C19, tramite processi di ossidazione e glucuronazione. Una piccola quota del farmaco in forma attiva viene escreta nelle urine. L’emivita è di circa 15 ore. Il metabolismo dell’acido valproico viene stimolato dalla fenitoina e dai barbiturici. L’acido valproico è considerato farmaco di prima scelta nelle crisi generalizzate ed è un’alternativa terapeutica alla carbamazepina nelle crisi parziali. Risulta essere efficace anche nelle crisi di assenza. I principali effetti collaterali neurologici sono: sedazione, sonnolenza, letargia e tremori. Invece, i principali effetti collaterali non neurologici sono: anoressia, vomito, nausea e aumento di peso. Gli effeti idiosincratici legati alla somministrazione di acido valproico sono epatiti e pancreatiti fulminanti. Quindi occorre controllare periodicamente sia la funzionalità epatica che la crasi ematica in corso di trattamento. L’acido valproico viene anche utilizzato per la profilassi dell’emicrania e del disturbo bipolare, in quanto è uno stabilizzante dell’umore. Farmaci antiepilettici a meccanismo di azione sconosciuto: levitiracetam Il levitiracetam è l’S-enantiomero dell’α-etil-2-oxo-1-pirrolidinacetamide. Il meccanismo di azione farmacologica di questo composto è sconosciuto. Viene rapidamente assorbito quando somministrato per os e quasi tutto il farmaco viene escreto nelle urine in forma immodificata. Non va incontro a metabolizzazione epatica, in quanto non è substrato dei CYP. È indicato in monoterapia o in associazione per le crisi parziali con o senza generalizzazione e per le crisi generalizzate miocloniche. Presenta numerosi effetti collaterali, come sonnolenza, astenia e capogiri. Criteri per una corretta terapia antiepilettica Tutti i farmaci antiepilettici, ad eccezione del levitiracetam, sono induttori metabolici e vanno incontro a metabolismo e epatico. Di conseguenza bisogna sempre tenere presente le eventuali interazioni farmacometaboliche induttrici o inibenti. La scelta di un determinato farmaco è dettato da una serie di fattori, comprendenti: - Tipo di crisi e forma sindromica di epilessia: i farmaci antiepilettici differiscono tra loro per lo spettro di efficacia nelle varie forme; - Profilo di tollerabilità: a parità di efficacia, viene scelto sempre il farmaco più tollerabile da parte del paziente; - Caratteristiche del paziente: diverse reazioni avverse sono legate al sesso, all’eta e a patologie associate del paziente; - Comorbidità: alcuni farmaci antiepilettici sono controindicati in soggetti con alcune patologie; - Interazioni tra farmaci: interazioni farmacocinetiche possono dar luogo ad effetti collaterali; - Manegevolezza: a parità di efficacia e tollerabilità, deve essere scelto il farmaco con manegevolezza clinica più ampia, permettendo così un aggiustamento delle dosi all’occorrenza senza incorrere in effetti collaterali o inefficacia della terapia; - Formulazioni disponibili: non tutti i farmaci, per modalità di somministrazione possono essere utilizzati in età pediatrica; - Costo: i farmaci più recenti, generalmente, hanno costi più elevati rispetto a quelli di vecchia generazione. L’obiettivo del trattamento è quello di migliorare la qualità della vita e il controllo completo delle crisi epilettiche in presenza di effetti collaterali accettabili. Tale obbiettivo viene raggiunto nel 70% dei pazienti. Innanzitutto deve essere effettuata una diagnosi corretta e normalmente il trattamento viene iniziato a seguito di due crisi epilettiche in un soggetto senza storia familiare o una crisi in un soggetto con anamnesi familiare positiva. Bisogna informare il paziente sulla necessità di una compliance rigorosa ai fini di una terapia efficace. Conviene iniziare con un solo farmaco a dosi basse a seconda delle indicazioni. Se è necessario, aumentare gradatamente le dosi fino alla dose minima di mantenimento. Se le crisi non sono controllate, bisogna cambiare farmaco. Se anche il nuovo farmaco non è efficace si possono utilizzare due farmaci in associazione, tenendo ben presenti le eventuali interazioni. Dopo un periodo di due anni senza crisi, si può prendere in considerazione l’idea di sospensione del trattamento, che deve essere effettuato gradualmente. I farmaci antiepilettici sono genotossici, in maggior misura l’acido valproico, segue la carbamazepina e la lamotrigina. Infine i farmaci antiepilettici possono causare neurodepressione, con istinti suicidi. FARMACOTERAPIA DELLA MORBO DI PARKINSON I farmaci che attualmente vengono utilizzati per il trattamento del PD sono: - Levodopa; - Antagonisti dopaminergici; - Inibitori COMT; - Inibitori MAO-B; - Anti-muscarinici. Le terapie disponibili sono in grado di ridurre efficacemente i sintomi parkinsoniani per un certo tempo, ma non hanno effetto sulla progressione della patologia, con la possibile eccezione dei nuovi farmaci agonisti dopaminergici. Al contrario, il metabolismo della dopamina stimolato dalla somministrazione di levodopa porta alla formazione di radicali liberi che possono aggravare la patologia. Levodopa La levodopa è il precursore metabolico della dopamina, in grado di attraversare la BBB. La somministrazione è orale, lontano dai pasti per evitare la competizione nell’assorbimento con gli amminoacidi. Il picco di plasmatico viene raggiunto dopo 0,5-2 ore dall’assunzione. La levodopa presenta un’emivita di circa 1-3 ore. Determina la riduzione progressiva dei sintomi parkinsoniani. Gli effetti collaterali sono dovuti alla stimolazione dei recettori dopaminergici periferici, portando ad ipotensione ortostatica, vasodilatazione, stimolazione cardiaca, nausea e vomito. FARMACOLOGIA CLINICA: Soltanto l’1% della levodopa somministrata raggiunge il cervello. Per aumentarne l’efficacia, la levodopa viene somministrata con inibitori della decarbossilasi degli amminoacidi L-aromatici presente a livello dei tessuti periferici, come la carbidopa e la benserazide. Questi composti non penetrano a livello del SNC. Questa associazione determina: - Aumento della biodisponibilità cerebrale della levodopa; - Riduzione degli effetti collaterali periferici; - Riduzione della dose di levodopa. L’inibizione della decarbossilasi riduce la sintesi di dopamina a livello periferico, ma fa aumentare la frazione di levodopa metabolizzata dalle COMT periferiche. Col tempo, l’efficacia terapeutica della levodopa si riduce, fenomeno che è detto wearing off. Per aumentarne l’efficacia bisogna aumentare la dose e la frequenza di somministrazione, ma ciò determina complicanze di tipo tardivo. Tra queste vi sono discenesie e fenomeni di on/off, fenomeni nei quali in alcuni periodi la sintomatologia regredisce alla somministrazione della levodopa, seguita da periodi in cui tale composto non presenta alcun effetto. I fenomeni on/off molto probabilmente sarebbero dovuti alla breve emivita della levodopa e all’aumento dello stress ossidativo indotto dalla somministrazione stessa del composto. La dose totale giornaliera, 100 mg di levodopa e 25 mg di carbidopa, va somministrata in dosi divise ogni 2-3 ore. Inoltre esistono delle forme farmaceutiche a prolungato rilascio. La somministrazione di levodopa può causare effetti cardiovascolari dovuti alla stimolazione dei recettori dopaminergici periferici, e comprendono ipotensione ortostatica e aritmie cardiache. Quando viene somministrata con gli inibitori della MAO-A vi è il rischio di gravi crisi ipertensive. Infine nei pazienti anziani può causare disturbi psichici quali allucinazioni, ansia, paranoia ed episodi di mania. Gli agonisti dopaminergici Gli agonisti dopaminergici utilizzati nel PD sono: - Derivati dell’ergot; - Farmaci più recenti; - Apomorfina. Questi composti hanno una serie di vantaggi rispetto alla somministrazione della levodopa: - Non necessitano di attivazione metabolica; - Hanno un’emivita più lunga, circa 8-24 ore; - Non inducono stress ossidativo. DERIVATI DELL’ERGOT: Tra i derivati dell’ergot quelli maggiormente utilizzati sono: - Bromocriptina, agonista D2, antagonista parziale D1; - Lisuride, agonista D2, antagonista D1; - Pergolide, agonista D1 e D2. Questi composti presentano un buon assorbimento a livello GI. Tuttavia causano disturbi psichici, come sonnolenza ed allucinazioni, ipotensione e disturbi GI. Infine possono dar luogo a gravi reazioni idiosincratiche, come fibrosi polmonare, retroperitoneale e cardiaca. Bisogna controllare periodicamente la funzionalità polmonare e cardiaca. FARMACI PIU’ RECENTI: Questi composti possiedono attività agonista D2 con scarsa attività D1. In questa categoria rientrano: - Ropinirolo; - Pramipexolo. Questi farmaci sono meglio tollerati e possono essere utilizzati come monoterapia nelle fasi iniziali. Ciò porta ad utilizzare la levodopa in fasi successive, con minori complicanze motorie. Questi composti, inoltre, hanno una durata di azione più lunga, avendo così minori effetti del tipo on/off. Infine questi farmaci agiscono anche sui recettori dopaminergici presinaptici, con una riduzione del rilascio di dopamina. Ciò determina anche una riduzione dello stress ossidativo con possibili effetti ritardanti sulla progressione della malattia. APOMORFINA: L’apomorfina è un’agonista D4, agonista parziale D2,3,5, con una scarsa efficacia sul D1. Viene somministrata sc, alle dosi di 3-30 mg al giorno in dosi divise. Viene utilizzato soprattutto sotto osservazione medica per episodi “off”, non controllati da levodopa o da agonisti dopaminergici. Presenta gli stessi effetti collaterali degli altri agonisti dopaminergici. L’apomorfina risulta essere un forte emetico, quindi la sua somministrazione richiede l’aggiunta di domperidone, un antagonista D2 periferico per due giorni. L’utilizzo di antiemetici antiserotoninergici è controindicato per la possibilità di perdita della coscienza, ipotensione e disturbi cardiaci. Inibitori delle COMT Questo enzima metabolizza sia la dopamina che la levodopa. Quando la levodopa viene somministrata, circa il 99% va incontro a metabolismo ad opera della decarbossilasi degli amminoacidi L-aromatici. La somministrazione di inibitori di questo enzima, determina un aumento della metabolizzazione da parte delle COMT. Gli inibitori delle COMT bloccano la conversione periferica della levodopa, aumentandone la biodisponibilità a livello del SNC. In questa categoria vi sono: - Entacapone; - Tolcapone. L’entacapone inibisce la COMT periferica, mentre il tolcapone inibisce sia quelle periferiche che centrali. Viene così bloccata la conversione della levodopa a 3-ossi-metil-DOPA, con un aumento dell’emivita della levodopa, ed un aumento della frazione che raggiunge il SNC. La somministrazione degli i-COMT avviene sempre con levodopa ed inibitore della decarbossilasi nelle situazioni di wearing off e fenomeni di on/off. Gli effetti collaterali sono simili a quelli della levodopa con nausea, ipotensione ortostatica, confusione mentale ed allucinazioni. Il tolcapone può causare tossicità epatica anche fatale. Quindi la somministrazione avviene solo in pazienti che non hanno risposto ad altre terapie sotto controllo specialistico. Inibitori della MAO-B La MAO-B si trova soprattutto a livello dello striato, mentre entrambe le isoforme, sia la A che la B, si ritrovano a livello periferico e a livello dell’apparato GI. In questa classe rientrano: - Selegilina; - Rasagilina. Questi composti vanno ad inibire la MAO-B, bloccando il metabolismo della dopamina nello striato. Questi composti hanno un’azione centrale, non periferica, in quanto non sono inibitori della MAO-A. hanno effetti anti-parkinsoniani lievi, utilizzati in combinazione con il levodopa in PD lieve o moderato. Non presentano effetti neurotrofici e nei pazienti con PD grave possono aggravare i sintomi neurologici e motori di levodopa. La selegilina può essere metabolizzata ad amfetamina, dando come effetti collaterali insonnia ed ansia. Molto frequente è l’associazione con SSRI, tuttavia tale associazione deve essere effettuata con cautela. Antagonisti dei recettori muscarinici Questi farmaci un tempo erano largamente utilizzati per il trattamento del PD. I composti utilizzati sono: - Benzatropina; - Triensifenidile; - Orfenadrina; - Amantidina. Benzotropina, triesifenidile (5-15 mg al giorno) e orfenadrina (150-300 mg al giorno) riducono il tono colinergico centrale aumentato nel PD, con modesti effetti sul tremore e la rigidità. Vengono utilizzati nelle sindromi parkinsoniane indotte da farmaci, nel PD iniziale e lieve insieme ad altri farmaci. Sono controindicati in soggetti affetti da miastenia gravis ed ostruzione gastrointestinale, cautela nei pazienti con problemi cardiovascolari, disturbi psicotici ed ipertrofia prostatica. Presentano effetti collaterali anticolinergici periferici e centrali, con stitichezza, secchezza delle fauci, tachicardia, ritenzione urinaria, sedazione, allucinazioni, alterazioni della memoria. Amantidina è un farmaco antivirale, con deboli effetti dopaminergici ed anticolinergici. Il meccanismo di azione è incerto. Determina un blocco dei recettori NMDA e viene utilizzata nel PD iniziale e lieve, insieme a levodopa nelle discinesie tardive. Presenta modesti effetti collaterali: disturbi del sonno, agitazione, nausea, vomito, effetti anticolinergici. Strategie terapeutiche per la malattia di Parkinson Nell’iniziare il trattamento devono essere valutate le caratteristiche del paziente e il grado della malattia: - Per il trattamento in soggetti con età superiore 70 anni, senza comorbidità si può iniziare il trattamento con levodopa ed inibitori delle COMT; - Per il trattamento della forma moderata/severa senza problemi cognitivi, può essere attuata la terapia con agonisti della dopamina; - Nella forma lieve e senza problemi cognitivi, può essere intrapresa la sola terapia con inibitori delle MAO-B. Nel caso in cui la terapia con la levodopa non funzioni, aggiungere dapprima gli inibitori della COMT, successivamente gli agonisti della dopamina e gli inibitori delle MAO-B. Nel caso in cui questi trattamenti non abbiano effetto, ricorrere alla apomorfina. Infine, in extremis, è possibile l’intervento chirurgico. FARMACOTERAPIA DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER La farmacoterapia per l’AD è una terapia sintomatica, che non arresta la progressione della malattia. Tale terapia comporta l’uso di: - Inibitori delle colinesterasi centrali; - Antagonisti dei recettori NMDA; - Altre strategie. Tra gli inibitori delle colinesterasi quelli più utilizzati sono: - Donepezil; - Rivastigmina; - Galantamina. L’unico antagonista dei recettori per l’NMDA disponibile è la memantina. Donepezil e galantamina vanno incontro a metabolizzazione epatica ad opera dei CYP2D6 e CYP3A4. Tutti questi composti sono in gado di oltrepassare la BBB. INIBITORI DELLE COLINESTERASI CENTRALI: Gli inibitori delle colinesterasi centrali sono considerati i farmaci di prima scelta. Riducono la sintomatologia nei soggetti affetti da AD lieve/moderato. Bisogna iniziare con dosi moderate da aumentare nel tempo. La terapia combinata prevede anche la somministrazione di memantina e vitamina E. gli effetti collaterali sono dovuti ad ipertono colinergico centrale e periferico, con: nausea, vomito, diarrea, insonnia e bradicardia. Gli effetti collaterali tendono a diminuire col tempo. Dato il metabolismo epatico di donepezil e galantamnina bisogna sempre tener presenti interazioni farmacocinetiche con gli induttori/inibitori del metabolismo. Questi composti devono essere utilizzati con cautela nei pazienti con insufficienza cardiaca, asma, ulcera gastrica ed anamnesi positiva per l’epilessia. ANTAGONISTI DEL RECETTORE NMDA: La memantina è un’antagonista del recettore NMDA, approvato per il trattamento dell’AD dalla FDA nel 2003. In associazione con il donepezil migliora lievemente, ma significativamente la sintomatologia, anche in AD in stadio avanzato. Deve essere utilizzato con cautela in caso di insufficienza renale. Normalmente è ben tollerata. Gli effetti collaterali principali sono: agitazione, confusione mentale ed emicrania. Infine, nella terapia di AD vengono utilizzati anche altri farmaci per il trattamento dei disturbi dell’umore, come: antipsicotici atipici, neurolettici, stabilizzanti dell’umore, SSRI, Antidepressivi triciclici, SNRI, antidepressivi noradrenergici e serotoninergici specifici. ALTRE STRATEGIE: Le strategie farmacologiche più recenti sono volte a bloccare la formazione delle placche di β-amiloide, andando ad inibire l’azione sia della β che della γ-secretasi, sia utilizzando anticorpi contro la Aβ. Questi composti modificano l’andamento dell’AD, e sono: - Semagacestat, inibitore della γ-secretasi; - Bapineuzumab e solanezumab, anticorpi monoclonali umanizzati contro l’Aβ. Infine, alcuni studi hanno posto l’attenzione su come il valsartan abbassi i livelli di Aβ ed aumenti le capacità cognitive in topi affetti da AD. Studi epidemiologici hanno anche dimostrato come la simvastatina è associata ad una riduzione dell’incidenza dell’AD e del PD. Inoltre alcuni studi sottolineano l’effetto preventivo dato dall’utilizzo dei FANS. FARMACOTERAPIA DELLA MALATTIA DI HUNTINGTON E DELLA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA Farmacoterapia della malattia di Huntington (HD) La terapia dell’HD è sintomatica sulle alterazioni motorie e psichici. Vengono utilizzati soprattutto: - Benzodiazepine nella fase iniziale; - Neurolettici, nella fase conclamata. Tra questi quella specifica per questa patologia è la tetrabenazina. La tetrabenazina viene utilizzata dagli anni ’70 come antipsicotico, ed è stata approvata dalla FDA nel 2008 per il trattamento del HD. Questo composto inibisce il VMAT-2, con deplezione dei depositi di monoamine. La somministrazione di tetrabenazina deve essere valutata sulla gravità dei movimenti coreici. Tra gli effetti collaterali vi sono: sonnolenza, acatisia, effetti extrapiramidali e depressione con istinti suicidari. Farmacoterapia della sclerosi laterale amiotrofica La SLA è una patologia dei neuroni motori del midollo spinale ad eziologia sconosciuta. È caratterizzata da progressiva debolezza muscolare, atrofia muscolare, spasticità, disartria, disfagia e compromissione respiratoria. È una malattia progressiva e fatale in 2-3 anni. Nel 10% dei casi viene ereditata come tratto autosomico dominante. Le alterazioni si hanno a livello della SOD1, tuttavia ancora non è stato chiarito il meccanismo patogenetico. Nelle forme non ereditarie si è evidenziata la difettosa ricaptazione del glutammato, che determina eccitotossicità. I composti che vengono utilizzati per il trattamento della SLA sono: - Riluzolo; - Baclofen; - Tizanidina. Il riluzolo è stato approvato dalla FDA nel 1995. Inibisce il rilascio del glutammato ed è un’antagonista recettoriale dei recettori NMDA e kainato. Inoltre determina l’inibizione dei canali del sodio voltaggiodipendenti. Viene somministrato per os, alle dosi di 50 mg ogni 12 ore. Viene metabolizzato per glicuronazione. Il riluzolo prolunga la sopravvivenza dei pazienti e ritarda la necessità di impiego di attrezzature per la respirazione artificiale. È un farmaco ben tollerato, che può causare nausea, vomito ed epatotossicità. Il baclofen viene utilizzato per il trattamento dei sintomi spastici della SLA. Questo è un composta con attività agonista sui recettori GABAB. La dose orale va da 5-10 mg, fino ad un massimo di 200 mg al giorno. Gli effetti collaterali comprendono sedazione, sonnolenza ed ipotonia muscolare. Il baclofen è controindicato nei soggetti con ulcera peptica. La tizanidina viene utilizzata per il trattamento della spasticità. È un agonista dei recettori α2-adrenergici centrali ed aumenta l’inibizione presinaptica dei neuroni motori. La dose orale è di 2 mg, fino ad un massimo di 36 mg al giorno. I principali effetti collaterali sono sonnolenza, astenia e vertigini. Deve essere utilizzata con cautela nei pazienti anziani e in soggetti con epatopatie gravi. ANESTETICI GENERALI Gli anestetici generali deprimono l’attività del SNC e sono farmaci con un ridotto indice terapeutico. I farmaci vengono selezionati sulla base degli effetti collaterali, delle proprietà farmacocinetiche relativamente alla procedura chirurgica ed alle caratteristiche del paziente. L’anestesia generale è una procedura ne terapeutica ne diagnostica. Queste sostanze inducono una depressione globale, ma reversibile, delle funzioni del SNC, con perdita della percezione e della risposta a tutti gli stimoli esterni. La somministrazione di anestetici è seguita da: perdita di coscienza o ipnosi, amnesia, analgesia e rilassamento muscolare. Gli obiettivi della procedura anestesiologica sono: - Minimizzare gli effetti indiretti e diretti potenzialmente deleteri; - Sostenere l’omeostasi; - Migliorare la risposta post operatoria. Le fasi in cui si svolge un’anestesia sono: - Premedicazione; - Induzione; - Curarizzazione; - Mantenimento; - Risveglio. Nella fase di premedicazione vengono utilizzati: farmaco oppiaceo (morfina o fentanil), benzodiazepina (diazepam, lorazepam, midazolam), antimuscarinico. L’induzione viene effettuata somministrando un ipnotico iv, come il tiopentale o il propofol. La curarizzazione avviene con la somministrazione di curarici depolarizzanti o stabilizzanti. Il mantenimento (anestesia bilanciata) viene effettuata con somministrazione iv o inalatoria di anestetici e farmaci oppiacei. Il risveglio si attua con la progressiva sospensione dei farmaci e l’utilizzo di anticolinesterasici. Gli effetti generali dell’anestesia si suddividono in quelli nella fase intraoperatoria e in quelli della fase postoperatioria. Nella fase intraoperatoria, l’anestesia determina: - ipotensione arteriosa sistemica, da vasodilatazione diretta, depressione del miocardio e riduzione del tono simpatico centrale; - perdita di funzione dei muscoli respiratori, del riflesso del vomito e della tosse, del tono dello sfintere esofageo. Ciò permette l’intubazione tracheale e l’avvio della respirazione assistita; - ipotermia, con temperatura inferiore ai 36 °C, dovuta all’esposizione delle cavità corporee, alla somministrazione di fluidi freddi iv, riduzione del metabolismo e vasodilatazione periferica. Nella fase postoperatoria, l’anestesia determina: - nausea e vomito da meccanismi centrali; - ipertensione e tachicardia da ripristino del tono simpatico; - dolore. Prima dell’inizio della procedura anestesiologica vi sono farmaci da sospendere e farmaci da non sospendere. Tra i farmaci che non devono essere sospesi vi sono: glucocorticoidi, antiepilettici, antiparkinsoniani, broncodilatatori, ansiolitici, immunosoppressivi, antipertensivi (con eccezioni) e da valutare la sospensione di antiaggreganti ed anticoagulanti. I farmaci, che invece, devono essere sospesi sono: estro-progestinici (per il rischio di complicanze trombotiche), inibitori delle MAO (gradatamente, per il rischio di ipertensioni al risveglio), diuretici risparmiatori di potassio (per iperpotassiemia dovuta a danno renale), ACE-inibitori e sartani (per grave ipotensione a seguito dell’induzione). Gli anestetici generali si classificano in base alla loro modalità di somministrazione in: - anestetici generali per via parenterale; - anestetici generali per via inalatoria. Anestetici generali per via parenterale I composti più utilizzati sono: - tiopentale; - propofol; - ketamina; - etomidato. Questi farmaci sono utilizzati per l’induzione ed il mantenimento dell’anestesia. I farmaci più utilizzati sono il tiopentale e il propofol. La ketamina viene utilizzata soprattutto in età pediatrica. I barbiturici, il propofol e l’etomidato agiscono a livello del recettore GABAA. questi farmaci non competono con il GABA per il legame al recettore, ma aumentano la sensibilità del recettore al GABA. Invece la ketamina agisce andando ad inibire il recettore NMDA per il glutammato. FARMACOCINETICA E SOMMINISTRAZIONE: Questi sono composti altamente idrofobici e tendono ad accumularsi rapidamente nei tessuti molto vascolarizzati e lipofili, come il cervello ed il midollo spinale. Data la loro rapida distribuzione in questi tessuti è possibile l’induzione dell’anestesia già alla prima somministrazione in un singolo tempo di circolazione. Si redistribuiscono rapidamente nei tessuti lipofili meno vascolarizzati (emivita α), simile per tutti i farmaci e presentano una lenta eliminazione per metabolizzazione (emivita β). Dato i processi di redistribuzione e di metabolizzazione lenta, l’emivita di questi composti dopo infusioni prolungate è contesto-dipendente. Per il mantenimento dell’anestesia vengono somministrati per infusione iv e l’emivita contesto-dipendente varia per i signoli farmaci. L’emivita contesto-dipendente è data dall’interazione tra velocità di redistribuzione, quantità di farmaco accumulata nel tessuto adiposo e velocità di metabolizzazione. L’emivita più breve è quella del propofol ed etomidato rispetto al tiopentale. Ciò riflette il rapporto tra alta clearence e lenta diffusione dal tessuto adiposo. Il tiopentale presenta un’emivita di circa 12 ore, mentre per tutti gli altri è di circa 3 ore. Tiopentale I tre barbiturici utilizzati per l’anestesia sono il tiopentale sodico, il tiaminale e il metoesitale. Quello maggiormente utilizzato per l’induzione ed il mantenimento è il tiopentale. Presenta un elevato legame alle proteine plasmatiche e viene eliminato per metabolismo epatico ed escrezione renale dei metaboliti inattivi. Poichè riduce il metabolismo cerebrale può essere utile nel ridurre il danno indotto da ischemia. Inoltre è anche un potente antiepilettico e viene utilizzato anche nei pazienti con coronaropatia. Per via iv causa un grave vasospasmo periferico, per liberazione locale di adrenalina associato ad un aumento dell’aggregazione piastrinica. Ciò può causare una necrosi tissutale. I principali effetti collaterali sono: ipotensione, aumento della frequenza cardiaca, riduzione della contrattilità del miocardio, depressione del sistema respiratorio ed attacchi acuti di porfiria. Deve essere utilizzato con cautela nei: - pazienti con miocardiopatie e malattie vascolari, particolarmente sensibili all’azione ipotensiva; - bisogna ridurre la dose nei soggetti con gravi patologie epatiche; - i pazienti con miastenia grave sono particolarmente sensibili alla depressione respiratoria. Propofol È l’anestetico più utilizzato e presenta caratteristiche simili al tiopentale, con un’emivita più breve, quindi più maneggevole. Anche il propofol viene utilizzato per l’induzione ed il mantenimento, inoltre da un risveglio rapido senza malessere. Tuttavia può causare dolore nella sede di iniezione e per questo è disponibile in associazione con la lidocaina. Il propofol presenta un elevato legame alle proteine plasmatiche e viene eliminato per metabolismo epatico ed escrezione renale dei metaboliti inattivi. Inoltre è un potente antiemetico ed è considerato sicuro se somministrato in gravidanza. I principali effetti collaterali sono: ipotensione e bradicardia, depressione del sistema respiratorio e reazioni anafilattoidi con rash cutanei. Etomidato La somministrazione di etomidato è associata a dolore nel sito di iniezione e movimenti mioclonici involontari. Ha un effetto molto breve, dovuto all’emivita breve. Viene escreto sia dal fegato che dal rene. Causa modesti effetti cardiovascolari, quindi è indicato nell’induzione dell’anestesia in pazienti a rischio ipotensivo. Causa una depressione respiratoria di grado inferiore al tiopentale. L’etomidato riduce la risposta corticosurrenale allo stress, poichè inibisce gli enzimi biosintetici degli ormoni corticosurrenalici, quindi non viene utilizzato per il mantenimento dell’anestesia. Ketamina La ketamina causa anestesia dissociativa, caratterizzata da amnesia ed analgesia, con movimenti involontari degli arti e respirazione spontanea. Viene utilizzata per brevi anestesie, in pazienti a rischio di ipotensione o broncospasmo ed in anestesia pediatrica data l’efficacia per via intramuscolare. Tra gli effetti collaterali vi sono: - aumento del flusso ematico cerebrale e della pressione endocranica; - allucinazioni e delirio al risveglio; - effetti simpaticomimetici indiretti, dovuti all’inibizione della ricaptazione della catecolamine, con ipertensione, aumento della frequenza e della gittata cardiaca, con broncodilatazione. Anestetici generali per via inalatoria Questi composti sono i più tossici tra i farmaci impiegati in clinica, con un indice terapeutico di 2-4. Vengono utilizzati per il mantenimento dell’anestesia e per l’induzione nei bambini. Possiedono molti effetti collaterali. La scelta si basa sul profilo degli effetti collaterali e sul quadro fisiopatologico del paziente. I gas anestetici maggiormente utilizzati sono: - Alotano; - Enflurano; - Isoflurano; - Desflurano; - Sevoflurano; - Protossido di azoto. Tutti i gas anestetici, eccetto il protossido di azoto e l’alotano, sono eteri e il floruro progressivamente sostituisce gli altri alogeni nello sviluppo dei composti alogenati. Tutte le differenze strutturali sono associate a importanti differenze nelle proprietà farmacologiche. FARMACODINAMICA E FARMACOCINETICA: La potenza degli anestetici inalatori si misura in MAC o minimal alveolar concentration. 1 MAC è uguale alla concentrazione alveolare di gas che impedisce il movimento in risposta alla stimolazione chirurgica nel 50% dei pazienti. Questi composti presentano una elevata pendenza della curva dose risposta, tonto è vero che a concentrazioni di 1,3 MAC viene anestetizzato il 99% dei soggetti. La MAC è un parametro molto attendibile per tutta una serie di considerazioni: - Vi è una scarsa variabilità individuale di risposta alla MAC; - Non è modificata dal sesso, peso, durata dell’anestesia; - Le MAC di diversi anestetici sono additive; - Vi è la possibilità di registrazione continua delle concentrazioni alveolari, facendo la differenza tra quantità di gas inspirato e gas espirato; - La concentrazione alveolare è direttamente correlata con al concentrazione a livello del SNC All’equilibrio, la pressione parziale del gas inspirato sarà uguale in tutti i tessuti. La concentrazione del gas in un tessuto dipende dalla sua solubilità e dalla vascolarizzazione dell’area. Quindi il coefficiente di ripartizione olio/acqua di questi composti varia. La concentrazione a livello dell’SNC è simile a quella alveolare a causa dell’estesa perfusione cerebrale, ed è per questo che la MAC è direttamente correlata alla concentrazione a livello dell’SNC. La solubilità influenza la velocità di captazione dell’anestetico, velocità maggiore per i composti meno solubili nel sangue, come protossido di azoto e desflurano. Per i composti più solubili, come l’alotano, è necessario aumentare la pressione parziale nell’aria inspirata per aumentarne la concentrazione a livello tissutale. L’eliminazione è un processo inverso alla captazione e il risveglio è prolungato con i composti più solubili nel tessuto adiposo. Questi composti hanno molteplici meccanismi di azione ed effetti farmacologici: - Stimolano la trasmissione GABAergica; - Attivano i canali del cloro glicina-dipendenti, con un potenziamento delle sinapsi inibitorie; - Attivano i canali per il potassio, determinando iperpolarizzazione neuronale ed inibizione delle sinapsi eccitatorie. Il protossido di azoto inibisce i recettori NMDA. Protossido di azoto Il protossido di azoto è un gas incolore ed inodore, utilizzato per la prima volta in odontoiatria nel 1844. È l’anestetico meno tossico utilizzato in associazione ad altri anestetici endovenosi ed inalatori. Presenta una scarsa solubilità nel sangue, quindi l’induzione ed il risveglio sono rapidi. La rapida captazione favorisce l’accumulo degli anestetici alogenati in co-somministrazione. Questo effetto, detto effetto da secondo gas accelera l’induzione dell’anestesia. Quando viene cessata la somministrazione, il protossido di azoto diffonde dal sangue all’alveolo, diluendo l’ossigeno in esso contenuto e causando ipossia. Per prevenire ciò, vengono somministrate miscele gassose di protossido di azoto ed ossigeno al 50-80%. Normalmente viene utilizzato in associazione ad altri anestetici per induzione e mantenimento. La somministrazione di protossido di azoto al 70%, comporta una riduzione del 60% della MAC di altri anestetici inalatori. Il protossido di azoto causa una significativa analgesia, ma non rilassamento della muscolatura scheletrica. Può determinare un aumento di volume e pressione all’interno di cavità contenenti aria, quindi non viene utilizzato in caso di pneumotorace, con possibilità di emboli gassosi, di ansa intestinale ostruita e bolla endocranica. La co-somministrazione con anestetici alogenati causa ipertensione ed aumento della frequenza e della gittata cardiaca. Determina un aumento delle resistenze vascolari polmonari, quindi non viene utilizzato nei pazienti con ipertensione polmonare. Deprime la risposta ventilatoria all’ipossia. Quando viene somministrato singolarmente causa un aumento del flusso cerebrale ed ipertensione endocranica, tuttavia non causa ipertermia maligna. Alotano L’alotano è un idrocarburo saturo introdotto nel 1956, un liquido volatile e fotosensibile, non infiammabile, utilizzato per il mantenimento negli adulti, nell’induzione e mantenimento nei bambini. Presenta coefficienti di ripartizione elevati, quindi l’induzione ed il risveglio saranno relativamente lenti. Il 60-80% viene eliminato immodificato attraverso i polmoni. Viene metabolizzato dal fegato, dai CYP, a trifluoroacetilcloruro. Questo composto determina trifluoroacetilazione di proteine epatiche, facendole diventare immunogene e scatenando una possibile attivazione del sistema immunitario. In questo modo, l’alotano induce un’epatite da alotano. I principali effetti collaterali di questo composto sono: - Depressione diretta a livello del miocardio; - Vasodilatazione di cute ed encefalo, con un aumento della pressione intracranica; - Induce una riduzione dose-dipendente della pressione arteriosa; - Determina bradicardia sinusale, con sensibilizzazione del miocardio alle catecolamine, ed aumento del rischio di aritmie atrioventricolari; - La depressione respiratoria induce un aumento della pressione dell’anidride carbonica, con inibizione della risposta ventilatoria alla CO2 e broncodilatazione; - Riduzione reversibile del volume urinario; - Epatite da alotano, caratterizzata da necrosi epatica fulminante con febbre, anoressia e vomito dopo qualche giorno dall’anestesia. Vi è la rapida progressione verso l’insufficienza epatica con una mortalità di circa il 50%; - Rilasciamento della muscolatura liscia ed uterina, con possibile manipolazione del feto in presentazione podalica e possibili emorragie post-partum; - Ipertermia maligna, in associazione con succinilcolina, dovuta all’aumento della concentrazione citoplasmatica di calcio. L’ipertermia maligna rappresenta una risposta idiosincratica ad eziologia ignota. Questa patologia è caratterizzata da tachicardia, aritmie, rigidità muscolare e febbre molto alta, fino a 43 °C. è rapidamente fatale, specie se la somministrazione di anestetici è associata a succinilcolina. Ha una frequenza di 1/15000 nei bambini e di 1/50000-100000 negli adulti. Alla base della sintomatologia vi sarebbe il rilascio incontrollato di ioni calcio dal reticolo sarcoplasmatico, ad opera del recettore mutato della rianodina, che presenta una mutazione con guadagno di funzione. All’innesco della sintomatologia, bisogna sospendere la somministrazione di anestetico e somministrare dantrolene, alla dose di 1 mg/kg, ripetibile fino a 10 mg/kg iv. Il dantrolene blocca il rilascio del calcio. Enflurano L’enflurano è un liquido volatile, di odore dolciastro, introdotto in clinica nel 1973. Il suo utilizzo è stato superato dagli anestetici più recenti. L’induzione e il risveglio sono relativamente lenti e viene utilizzato per il mantenimento ed induzione, in associazione con il protossido di azoto e gli oppioidi. Presenta effetti cardiaci e respiratori simili all’alotano, ma meno marcati, inoltre non ha effetti sulla frequenza cardiaca. Determina un aumento della pressione endocranica e può causare attività elettrica di tipo convulsivo. Quindi è controindicato nei pazienti epilettici. Ha effetti sulla muscolatura scheletrica, uterina con possibilità di ipertermia maligna, come l’alotano. Non è considerato nefrotossico o epatotossico, a meno di una prolungata esposizione. Isoflurano È un liquido volatile, introdotto nel 1981, molto utilizzato fino all’introduzione del sevoflurano. Viene utilizzato in genere per il mantenimento a causa del suo odore pungente, associato a protossido di azoto ed oppioidi. Riduce la pressione arteriosa indotta dalla riduzione delle resistenze periferiche e non influenza l’attività cardiaca. Determina inoltre vasodilatazione coronarica con riduzione del consumo di ossigeno del miocardio. Gli effetti respiratori sono simili all’enflurano. Causa una minore vasodilatazione cerebrale rispetto all’enflurano ed alotano. Ha effetti sulla muscolatura scheletrica, uterina ed è in grado di indurre l’ipertermia maligna. Non è considerato nefrotossico o epatotossico a meno di esposizione prolungata. Sevoflurano Il sevoflurano è un liquido volatile, attualmente molto utilizzato, soprattutto in anestesia ambulatoriale, per la sua relativa manegevolezza. L’induzione ed il risveglio sono rapidi, senza reliquati e non irrita le vie aeree. Viene utilizzato per il mantenimento associato a protossido di azoto ed oppioidi. Induce vasodilatazione periferica senza tachicardia, induce vasodilatazione coronarica con riduzione di consumo dell’ossigeno da parte del miocardio. Gli effetti respiratori sono simili agli altri alogenati, induce una potente broncodilatazione e non è irritante. Gli effetti sulla circolazione cerebrale sono simili all’isoflurano, così come gli effetti sulla muscolatura scheletrica ed uterina. Lo scatenamento dell’ipertermia maligna è meno frequente rispetto agli altri composti. Il sevoflurano può causare problemi data l’interazione con la calce sodata disseccata utilizzata per l’assorbimento dell’anidride carbonica. Questo fenomeno può dar luogo a reazioni esotermiche, con fiammate ed ustioni, viene prodotta CO e prodotti di decomposizione, come il composto A, pentafluoroisopropenil fluorometil etere, potenzialmente nefrotossico. Desflurano Il desflurano è un liquido volatile, di recente introduzione, con una manegevolezza maggiore rispetto al sevoflurano. Non viene utilizzato nell’induzione poichè irrita le vie aeree. Viene utilizzato per il mantenimento con protossido di azoto ed oppioidi. Induce una vasodilatazione periferica, con tachicardia da stimolazione simpatica. Gli effetti respiratori sono simili a quelli degli altri alogenati, però è più potente nell’inibire la ventilazione al minuto, con un aumento della pressione dell’anidride carbonica, inducendo apnea. Riduce le resistenze vascolari a livello cerebrale, riducendo il consumo cerebrale di ossigeno. Gli effetti sulla muscolatura scheletri ed uterina sono simili agli altri alogenati. ANESTETICI LOCALI L’anestesia loco-regionale è il blocco farmacologico reversibile della conduzione nervosa, sensitiva e motoria, dai siti recettoriali periferici alle strutture di integrazione centrale, senza interferire con lo stato di coscienza. Esistono varie forme di anestesia locale: - Anestesia di superficie: applicazione diretta di preparati per uso topico, come colliri, soluzioni, pomate, unguenti; - Anestesia per infiltrazione: iniezione dell’anestetico direttamente nel tessuto a diversi livelli di profondità; - Anestesia tronculare: iniezione dell’anestetico nelle vicinanza di nervi o plessi nervosi, viene utilizzata in odontoiatrica e per il plesso brachiale, cervicale e sciatico; - Anestesia epidurale/peridurale: iniezione dell’anestetico insieme ad analgesico oppioide nello spazio epidurale, al di sopra della dodicesima vertebra toracica, frequentemente vengono utilizzati cateteri per l’infusione continua o per la somministrazioni ripetuta di boli, viene utilizzata in ostetricia per il parto indolore o per interventi agli arti inferiori; - Anestesia spinale/subaracnoidea: iniezione dell’anestetico e/o analgesico oppioide al di sotto della seconda vertebra lombare, direttamente nel liquido cerebro-spinale. Viene utilizzata in ostetricia per il parto indolore e per interventi agli arti inferiori, perineo e prostata. Gli anestetici locali più utilizzati sono aminoamidi, e tra questi: - Lidocaina; - Mepivacaina; - Bupivacaina; - Ropivacaina; - Tetracaina. Gli anestetici locali si legano reversibilmente a specifici siti di legame all’interno del poro dei canali del sodio dei nervi periferici, bloccando i movimenti ionici durante la depolarizzazione delle membrane. Quindi questi composti impediscono la depolarizzazione della membrana, con blocco della conduzione del segnale. Il blocco aumenta all’aumentare della frequenza di stimolazione, fenomeno detto blocco usodipendente. Inoltre le singole classi di fibre nervose presentano una differente sensibilità a questi composti. In linea generale, vengono prima bloccate le fibre autonomiche e quella della percezione del dolore, fibre del tipo C e Aδ, e poi le grandi fibre Aγ, Aβ ed Aα. Il farmaco accede al suo sito di legame solo in presenza di canale aperto, inducendo un blocco voltaggiodipendente. Questi composti svolgono la loro azione preferenziale sulle fibre nervose dotate di più elevata frequenza di scarica, come quelle che veicolano la sensibilità dolorifica. I composti che appartengono a questa classe possiedono: - Un polo lipofilo, contenente un residuo aromatico; - Un polo idrofilo, contenente un’amina secondaria o terziaria; - Una catena intermedia esterea o amidica. L’idrofobicità aumenta la potenza e la durata di azione del composto, ma anche la tossicità. I composti a catena intermedia breve hanno maggiore potenza e durata di azione, mentre i composti a catena intermedia lunga sono in genere i più tossici. FARMACOCINETICA: Gli esteri vengono metabolizzati dalle esterasi plasmatiche, mentre le amidi sono metabolizzate da enzimi del citocromo P450. Presentano un legame alle proteine plasmatiche, soprattutto alla glicoproteina acida α1 variabile dal 55-95%. I livelli di questa proteina aumentano in corso di neoplasie, infarto al miocardio, traumi e fumatori. Di conseguenza questi fattori possono modificare l’AUC di questi composti. TOSSICITA’: La tossicità di questi composti dipende dal grado di assorbimento sistemico del farmaco e dal bilancio tra velocità di assorbimento e velocità di eliminazione. Non bisogna utilizzare i composti amidici in pazienti con insufficienza epatica grave. Il riassorbimento a livello sistemico è condizionato dal sito di iniezione e dalla vascolarizzazione distrettuale. Questo fenomeno è minimo nel blocco subaracnoidea, massimo nell’anestesia topica delle vie aeree. Gli anestetici locali interferiscono con la funzionalità di tutti i tessuti caratterizzati da conduzione e trasmissione di impulsi elettrici, quindi SNC, miocardio e muscolatura liscia. Questi composti determinano: - Stimolazione del SNC, da soppressione dei neuroni inibitori, determinando agitazione, tremori, convulsioni, seguiti da depressione, sedazione e sonnolenza; - Riduzione dell’eccitabilità, velocità di conduzione e forza di contrazione del miocardio, questi effetti sono successivi a quelli del SNC; - Depressione della contrazione della muscolatura GI, vascolare ebronchiale. Gli esteri possono dare reazioni di ipersensibilità. FARMACOLOGIA CLINICA: L’anestetico locale viene scelto in base a vari fattori relativi al farmaco ed al singolo paziente come: potenza, velocità di assorbimento ed eliminazione, età, peso, grado di vascolarizzazione della parte da anestetizzare. L’insorgenza e la durata di azione dipendono dalle caratteristiche farmacocinetiche (liposolubilità, coefficiente di ripartizione, riassorbimento sistemico) e farmacodinamiche (vasodilatazione). Gli anestetici locali vasodilatatori, come la lidocaina, vengono in genere associati ad adrenalina per ritardarne l’assorbimento sistemico e prolungarne il contatto con il tessuto nervoso. Inoltre il ritardo dell’assorbimento contribuisce ad evitare effetti collaterali. L’uso dell’adrenalina è controindicato in regioni anatomiche con limitato circolo collaterale, potendo indurre un danno ipossico e necrosi tissutale. Non sono associati ad adrenalina i farmaci più potenti ed idrosolubili, come la bupivacaina. Lidocaina La lidocaina è il prototipo degli anestetici locali a struttura amidica. Vi è la possibilità di somministrazione ev, con una rapida insorgenza dell’effetto e una durata media. Viene utilizzata in tutte le modalità di anestesia locale. Siccome induce vasodilatazione, viene utilizzata in associazione con l’adrenalina. Tra gli effetti collaterali vi sono: depressione del SNC, agitazione, convulsioni, arresto cardiocircolatorio. Mepivacaina Presenta una struttura amidica, con una rapida insorgenza di azione, e una durata maggiore a quella della lidocaina. Non è un vasodilatante, quindi è molto maneggievole e largamente utilizzata per l’infiltrazione locale. La mepivacaina è sostituita dalla bupivacaina per l’anestesia spinale in ostetricia a causa della tossicità neonatale. Può causare eccitazione corticale e depressione dei centri bulbari. Bupivacaina È un composto derivato dalla mepivacaina a struttura amidica, con un’insorgenza media e una lunga durata di azione. L’utilizzo è rivolto all’anestesia spinale nell’analgesia da parto ed in terapia antalgica. L’impiego di basse concentrazioni permette il controllo del dolore senza interferenze con l’attività motoria. Può, tuttavia, causare aritmie ventricolari e depressione miocardica per blocco dei canali del sodio cardiaci. Ropivacaina È un composto derivato dalla bupivacaina, a struttura amidica, con insorgenza dell’effetto rapida e durata molto lunga. Induce un blocco differenziato sensitivo/motorio dose-dipendente. Viene largamente utilizzata in anestesia epidurale e presenta una bassa tossicità cardiaca. Tetracaina La tetracaina è un composto amino-estere, ad insorgenza di effetto lenta e lunga durata di azione. Viene utilizzata soprattutto nelle preparazioni topiche. È stata superata dagli anestetici amidici per le anestesie spinali ed epidurali. AGENTI CHE INFLUENZANO IL METABOLISMO DEL CALCIO E FARMACOTERAPIA DELL’OSTEOPOROSI I farmaci che vengono utilizzati per la regolazione del metabolismo del calcio sono: - Paratormone: Teriparatide; - Farmaci in grado di interagire con RANK-ligand: Denosumab; - Vitamina D; - Calcitonina; - Bifosfonati; - Calcio-mimetici: Cinacalcet. Ormone paratoroideo o PTH Il paratormone, disponibile anche come prodotto sintetico, il teriparatide, è un ormone peptidico di 84 aminoacidi, con un peso di 9,5 kD. Viene rilasciato dalle ghiandole paratiroidee quando i livelli di calcemia di abbassano. Il calcio di lega a dei recettori presenti sulle cellule delle paratiroidi, CaSR, sensibili al calcio plasmatico. Questi sono recettori accoppiati a proteina Gi e Gq. La secrezione basale del paratormone non viene influenzata dalla calcemia. Infatti, nell’ipercalcemia, il calcio legandosi ai CaSR, determina l’attivazione di Gi, con diminuzione del cAMP ed inibizione della secrezione. Invece, nel caso della ipocalcemia, il calcio, attivando i recettori sensibili, induce l’attivazione di Gq, con attivazione della PKC ed aumento della secrezione di paratormone. Tutto ciò è volto a far mantenere la concentrazione del calcio costante a livello del liquido extracellulare. Una volta secreto, l’ormone paratiroideo agisce su recettori accoppiati a proteine Gs e Gq, presenti nei tessuti bersaglio, quali rene ed osso, ma anche nel fegato, cervello, muscolo liscio, milza, cute e testicoli. I recettori presenti in questi organi mediano le risposte dovute alla produzione locale del PTHrP. Gli effetti biologici del PTH sono dovuti agli amminoacidi presenti all’estremità aminoterminale, 1-34. Il PTH produce i suoi effetti soprattutto a livello: - Osso, con differenze tra secrezione basale e quella stimolata dall’ipercalcemia. Durante la secrezione basale, il PTH induce la proliferazione degli osteoblasti, con un aumento della produzione di collageno e osteocalcina, inducendo la formazione di matrice ossea. Durante la secrezione stimolata dall’ipocalcemia, il PTH determina l’attivazione degli osteoblasti, con il rilascio di fattori attivanti gli osteoclasti, quali M-CSF e RANKL. Quindi, nel complesso aumenta l’effetto catabolico con degradazione della matrice ossea e metabolizzazione dei costituenti minerali; - Rene: il PTH determina un aumento del riassorbimento del calcio a livello del tubulo contorto distale e stimolazione dell’enzima 1α-idrossilasi, che determina la formazione di calcitriolo, indispenabile per l’aumento dell’assorbimento del calcio a livello dell’apparato GI. USI CLINICI: La somministrazione intermittente di teriparatide, il frammento umano del PTH 1-34 è efficace nel trattamento dell’osteoporosi post-menopausale. È stato introdotto nel 2004. Vengono somministrati sc dosi di 20 µg al giorno, per un massimo di 18 mesi, seguito da somministrazione di bifosfonati. L’emivita del composto è di circa un’1 ora. Può causare nefrolitiasi, disturbi GI, ipotensione posturale e sintomi centrali. È controindicato in gravidanza, durante l’allattamento, nell’iperparatiroidismo e nel morbo di Paget, in quanto potrebbe indurre l’osteosarcoma. N.B.: Vengono utilizzati anche gli estrogeni e i SERM (raloxifene). Farmaci in grado di interagire con RANK-ligand: Denosumab L’ipocalcemia determina la secrezione del PTH. Questi stimola gli osteoblasti a produrre RANK-ligand, i cui recettori, RANK, sono espressi sugli osteoclasti. L’interazione del recettore RANK con il suo ligando, induce l’attivazione degli osteoclasti, con un aumento del riassorbimento osseo. Farmaci in grado di stoppare l’attivazione degli osteoclasti alterando questo meccanismo sono utili strumenti terapeutici per diminuire il riassorbimento osseo patologico. In questa classe farmaceutica rientra denosumab. Denosumab, approvato nel maggio del 2010, è un anticorpo monoclonale umano in grado di legarsi a RANK-L, impedendone la sua interazione con il recettore. Denosumab viene utilizzato per ridurre il riassorbimento osseo in donne in menopausa ed in uomini con cancro alla prostata e aumentato rischio di fratture. La somministrazione avviene sc, di 60 mg ogni 6 mesi. Vitamina D I metaboliti attivi della vitamina D favoriscono l’assorbimento intestinale di calcio e fosfato. L’attività dell’enzima 1α-idrossilasi è stimolata dal paratormone, dall’ipocalcemia e ipofosfatemia, ma è inibita dall’ipercalcemia e dall’iperfosfatemia. I precursori della forma attiva della vitamina D sono la provitamina D3 e la provitamina D2 o ergosterolo. A livello della cute, è presente il 7-deidrocolesterolo, il precursore della vitamina D attiva, che in seguito ad irradiazione UV, viene trasformato in colecalciferolo. Il colecalciferolo, a livello epatico viene ossidrilato in posizione 25, formando il 25-OH-colecalciferolo. Infine una seconda idrossilazione in posizione 1, a livello renale, catalizzata dall’1α-idrossilasi, induce la formazione del composto attivo, 1,25-diidrossicolecalciferolo o calcitriolo. La mancata esposizione ai raggi ultravioletti, insufficienza epatica e renale, determinano alterazione di questa serie di reazioni biosintetiche. I metaboliti attivi interagiscono con i recettori citosolici, in quanto sono composti idrofobici, e stimolano l’espressione a livello intestinale dei canali del calcio e di proteine leganti il calcio, come la calbindina-D9K. I recettori per la vitamina D o VDR sono presenti in varie cellula, come anche nelle cellula mononucleate, dove il calcitriolo regola la maturazione e la differenzazione. Gli effetti fisio-farmacologici indotti dal calcitriolo sono: - Aumento dell’assorbimento intestinale di calcio e fosforo; - Attivazione osteoclastica/osteoblastica, con un aumento del riassorbimento osseo; - Stimolazione dell’espressione dell’osteocalcina e dell’IGF-1. USI CLINICI: La vitamina D viene utilizzata in associazione con il calcio, alle dosi di 800 U (20 µg) più 11,5 g al giorno. Questa combinazione viene utilizzata per il trattaemento di rachitismo congenito ed acquisito, ipocalcemia da ipoparatiroidismo, osteoporosi postmenopausale. Per via cutanea il calcitriolo è utilizzato nella psoriasi a placche per i suoi effetti immunomodulanti. La ipervitaminosi può causare ipercalcemia, trattata con diuretici dell’ansa e glucocorticoidi. Calcitonina La calcitonina è un peptide di 32 aminoacidi, prodotto dalle cellule C parafollicolari della tiroide. La secrezione viene stimolata da aumentati livelli ematici di calcio e magnesio, mediante l’interazione del CaSR. La secrezione della calcitonina viene inibita dal calcitriolo. Una volta secreta la calcitonina agisce su recettori accoppiati a proteina Gs, presenti su osteoclasti ed osteoblasti. Viene così prodotta l’inibizione del riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti (effetto anti-PTH, soggetto a downregulation recettoriale), inibisce il riassorbimento renale di calcio e fosfato, ha effetti ipocalcemizzanti ed ipofosfatemizzanti. Infine la calcitonina stimola la neoformazione ossea. USI CLINICI: In Italia, viene utilizzata la calcitonina di salmone, che ha un effetto ipocalcemizzante 20-30 volte superiore alla calcitonina umana, poichè è più resistente alla metabolizzazione. La calcitonina è indicata per il trattamento dell’ipercalcemia, del morbo di Paget, nel dolore osseo di origine neoplastica e nell’osteoporosi post-menopausale. In questo ultimo caso viene somministrata sc o im 100 U al giorno, oppure per spray nasale 200 U al giorno. Le somministrazioni devono essere cicliche, per evitare fenomeni di resistenza clinica. Può causare nausea, vomito, diarrea e shock anafilattico. Bifosfonati I bifosfonati sono farmaci molto utili e con tutta una serie di effetti collaterali anche gravi. Vengono classificati in generazioni: - I generazione: etidronato, clodronato; - II generazione: pamidronato, alendronato; - III generazione tiludronato, risedronato. I bifosfonati si legano ai cristalli di idrossiapatite nei siti di rimodellamento osseo. Durante il rimodellamento osseo, l’ambiente acido che si crea determina il distacco dei bifosfonati dall’idrossiapatite. I bifosfonati vangono captati per endocitosi dagli osteoclasti e avviene l’inibizione dell’attività osteoclastica. I farmaci di I generazione determinano l’inibizione degli enzimi ATP-dipendenti, inducendo apoptosi osteoclastica. I farmaci di II e III generazione determinano: - Inibizione degli enzimi ATP-dipendenti; - Inibizione della via del mevalonato, con ridotta prenilazione di proteine come Rho e Rab. I bifosfonati vanno ad inibire la farnesil-pirofosfato sintasi, determinando una riduzione del farnesil difosfato, non più disponibile per la farnesilazione di alcune proteine, implicate in processi di attivazione cellulare come Rab e Rho. La farnesilazione è un processo importante mediante il quale le proteine vengono ancorate alla membrana plasmatica. Anche le statine, agendo più a monte, con l’inibizione della idrossi-metil-glutaril-CoA determinano una riduzione delle proteine farnesilate, questo perchè il mevalonato è il precursore per la sintesi del farnesil-difosfato. L’inibizione della sintesi di farnesil-difosfato, porta all’inibizione della prenilazione di proteine come le small GTPasi, con accumulo intracellulare di proteine non farnesilate. Ciò determina alterazione della trasduzione del segnale con apoptosi degli osteoclasti. Quindi i bifosfonati possiedono effetti antitumorali ed immunomodulatori. Il pamidronato è il composto meno potente nell’indurre questo effetto, al contrario del minodronato, molto più potente. FARMACOLOGIA CLINICA: I bifosfonati possiedono una bassa biodisponibilità orale, circa l’1-6%. Inoltre presentano notevoli problemi di compliance. Dopo al somministrazione orale, il paziente deve rimanre in posizione eretta per almeno 30 minuti per evitare il reflusso gastro-esofageo e non assumere cibi o altri farmaci. Presentano una breve emivita, ma il legame ai cristalli è duraturo. Per quanto riguarda la durata della terapia, attualmente oscilla tra 1-5 anni. EFFETTI COLLATERALI: Gli effetti collaterali a seguito di somministrazione per os sono: - Lesioni mucosali esofagee; - Sintomi GI; - Disturbi oculari, come congiuntivite; - Reazione di fase acuta, come il rilascio di citochine. Probabilmente dovuto ad accumulo di inositolo-pirofosfato; - Dolore muscolo-scheletrico; - Reazioni cutanee da ipersensibilità; - Discrasie ematiche; - Riassorbimento osseo a seguito di somministrazione prolungata a 5 anni, con aumento del rischio di fratture femorali; - Osteonecrosi della mandibola. Lo zoledronato può essere somministrato anche iv e gli effetti collaterali sono osteonecrosi della mandibola e fibrillazione atriale. Il rischio di osteonecrosi della mandibola è particolarmente alto nei soggetti oncologici trattati con bifosfonati per via iv, mentre il rischio è minore per quei soggetti che assumono bifosfonati per os. USI CLINICI: I farmaci di I generazione sono i meno potenti e possono causare demineralizzazione con l’uso prolungato. I farmaci di II generazione sono circa 100 volte più potenti, mentre quelli di III lo sono 1000 volte di più. I bifosfonati vengono utilizzati per il trattamento di: - Osteoporosi: alendronato, 5 mg al giorno, o 35 mg alla settimana. Nella prevenzione le dosi vanno raddoppiate; risedronato, 5 mg al giorno o 35 mg alla settimana sia nella profilassi che in corso di terapia; pamidronato 30 mg ogni 3 mesi per infusione iv di 3 ore ed è indicato solo per il trattamento della patologia; lo zelodronato iv può essere somministato anche una sola volta all’anno; - Morbo di Paget: risedronato 30 mg al giorno per 2 mesi; pamidronato 30 mg alla settimana per 6 settimane; - Neoplasie ed ipercalcemia neoplastica: zoledronato 4 mg infusione iv lenta ogni 3-4 settimane. Calcio-mimetici: cinacalcet Cinacalcet è un modulatore allosterico del CaSR. Determina un aumento della sensibilità al calcio extracellulare, riducendo così la concentrazione di calcio plasmatica necessaria per l’inibizione del rilascio del PTH. È stato approvato dalla FDA e dall’EMEA per il trattamento di: - Iperparatiroidismo secondario da insufficienza renale cronica; - Ipercalcemia da carcinoma delle paratiroidi. La dose consigliata è di 30-180 mg per os. Ha un’emivita di 30-40 ore, ed il picco di attività viene raggiunto dopo 2-4 ore dalla somministrazione. Va incontro a metabolizzazione epatica, ad opera dei CYP3A4 e CYP2D6, quindi da tenere ben presenti possibili interazioni. Può causare ipocalcemia e non deve essere somministrato se la calcemia è inferiore ai 8,4 mg/dl. FARMACI CHE AGISCONO SULLA TIROIDE Gli ormoni tiroidei hanno un ruolo fondamentale nella crescita, sviluppo e metabolismo energetico. Gli ormoni tiroidei sono sintetizzati come residui amminoacidici della tireoglobulina, una glicoproteina contenuta nella colloide dei follicoli tiroidei. La sintesi viene stimolata dal TSH prodotto dall’adenoipofisi, la cui sintesi è inibita a feedback da T3 e T4. La sintesi inizia con la captazione dello iodio a livello dei tireociti. Lo iodio è captato dalla cellula follicolare tramite un particolare trasportatore, il NIS o nitrogen iodide symport. L’espressione del NIS è regolata dal TSH. Tuttavia, lo iodio così captato, in quanto ioduro, non può essere utilizzato direttamente. Per l’organificazione dello iodio è catalizzata dalla perossidasi tiroidea (TPO), una glicoproteina contenente EME, che si trova ancorata alla membrana apicale della cellula. La perossidasi tiroidea viene ossidata da perossido di idrogeno e l’enzima ossidato reagisce con lo iodio, formando un intermedio iodinato. A questo punto, il composto iodinato reagisce con specifici residui di tirosina presenti nella struttura della tireoglobulina, formando MIT e DIT, rispettivamente monoiodiotirosina e diiodiotirosina. Successivamente, in presenza della TPO, una molecola di MIT ed una di DIT si condensano, formando T3, mentre dalla condensazione di due DIT viene sintetizzato il T4. I due ormoni tiroidei sono immagazzinati nella tireoglobulina, da cui vengono scissi per proteolisi stimolata dal TSH e successivamente riversati nel sangue, dove vengono trasportati dalla TBG o thyroxine-binding globulin. Il legame ormone-TBG è influenzato da farmaci e patologie. La forma attiva degli ormoni tiroidei è il solo T 3 e circa l’80% della T3 circolante deriva dalla monodeiodazione di T4, che avviene sia nella tiroide che nei tessuti periferici. L’enzima che catalizza questo processo è la deiodasi e ne esistono di due tipi: - Deiodasi di tipo I, espressa nel fegato, rene, tiroide viene inibita dal propiltiouracile, propranololo, amiodarone e glucorticoidi; - Deiodasi di tipo II, espressa nel cervello, ipofisi, muscolatura cardiaca e scheletrica. Questo enzima catalizza la formazione di T3 utilizzata in questi tessuti. I recettori per gli ormoni tiroidei sono recettori nucleari, che una volta attivati si legano a particolari sequenze responsive, le TRE, aumentando l’espressione dei geni a valle. Il TR si lega al recettore RXR, un recettore per i retinoidi già presente sul DNA, innescando gli effetti sull’espressione genica. Vi sono due isoforme del TR, dette α e β. Le due isoforme sono variamente espresse nei tessuti ed inoltre sono anche presenti ulteriori sottotipi. L’isoforma TRβ2 è espresso soltanto a livello dell’ipofisi anteriore. Alcuni farmaci antitiroidei inibiscono la sintesi degli ormoni andando ad inibire il processo di iodinazione, come il metimazolo. Il metimazolo compete con le tirosine per il composto intermedio, con la formazione di un composto instabile che spontaneamente si converte in metilimidazolo. Le patologie a carico della tiroide possono determinare due quadri di alterazione funzionale: ipertiroidismo ed ipotiroidismo. Le cause più frequenti di ipertiroidismo sono: - Tireopatia nodulare, che è l’endocrinopatia più comune; - Malattia o tireotossicosi di Graves-basedow, patologia autoimmune, caratterizzata da autoanticorpi che stimolano i recettori per il TSH; - Gozzo tossico; - Adenoma tossico ipersecerente; - Adenoma ipofisario TSH-secernente; - Tempesta tiroidea. Tra le cause più comuni di ipotiroidismo vi sono: - Ipotiroidismo primario, da deficit di iodi, ipotiroidismo secondario da deficit ipofisario; - Tiroidite autoimmune di Hashimoto; - Trattamento con amiodarone e litio. Farmaci utilizzati per l’ipertiroidismo I farmaci utilizzati per il trattamento dell’ipertiroidismo sono: - Inibitori della sintesi degli ormoni tiroidei: Propiltiouracile e Metimazolo; - Iodio radioattivo. INIBITORI DELLA SINTESI DEGLI ORMONI TIROIDEI: Il propiltiouracile o PTU ed il metimazolo inibiscono la sintesi degli ormoni tiroidei. Inoltre il PTU inibisce anche la deiodasi di tipo I, riducendo la conversione periferica da T4 a T3 nei tessuti che esprimono l’enzima. Vengono utilizzati per il trattamento del morbo di Graves-Basedow, il PTU 100 mg per os ogni 8 ore e il metimazolo 10-30 mg per os al giorno. Nel trattamento della tepesta tiroidea vengono utilizzati il PTU 600-1200 mg al giorno ed il metimazolo alle dosi di 60-120 mg al giorno. Entrambi i composti possono essere assunti per os, con un buon assorbimento. Il PTU inibisce anche la deiodasi di tipo I e non oltrepassa il filtro placentare ne viene escreto nel latte materno. Entrambi hanno emivite molto lunghe, di circa 24 ore. La risposta al trattamento va monitorata con test di funzionalità tiroidea e la durata del trattamento va dai 12-18 mesi. Il metimazolo è preferito al PTU per la sua durata di azione più lunga. Il PTU è preferito nella tempesta tiroidea per la sua azione a livello periferico. In gravidanza si utilizza il PTU. Bisogna monitorare l’attività ematopoietica, potendo dare agranulocitosi. IODIO RADIOATTIVO: Questo rappresenta il trattamento di elezione dell’ipertiroidismo nei pazienti anziani e dopo recidiva. Lo I131 emette particelle β e γ tossiche per il tessuto tiroideo. Lo iodio radioattivo viene ampiamente captato dalle area in intensa sintesi di ormoni tiroidei, e quindi svolge un’azione tossica solo in quelle cellule. La dose totale somministrata è di circa 15 mCi. Il trattamento è generalmente preceduto dalla somministrazione di un farmaco antitiroideo, da sospendere alcuni giorni prima, ed un βbloccante. Il miglioramento del quadro tiroideo si ha dopo 2-4 mesi, inoltre è previsto un trattamento successivo dopo 6-12 mesi. Questo trattamento è associato con un’elevata causa di ipotiroidismo, eventualmente da trattare con la terapia sostitutiva. Questo farmaco può aggravare un’oftalmopatia da morbo di Graves, che richiede il trattamento con cortisonici. Lo iodio radioattivo è controindicato in gravidanza ed allattamento. Farmaci utilizzati nell’ipotiroidismo I farmaci utilizzati per il trattamento dell’ipotiroidismo sono gli analoghi degli ormoni tiroidei, liotironina e levotiroxina. La liotironina è un isomero di T3, presenta un’insorgenza rapida ed ha un’emivita molto breve. Viene somministrato iv per il trattamento del coma ipotiroideo. La levotiroxina è un isomero di T4, preferito per il trattamento cronico e per la lunga emivita, di circa 1 settimana. Viene utilizzato anche per le donne in gravidanza con un TSH alto per prevenire l’ipotiroidismo nel bambino. In gravidanza si utilizzano dosi superiori del 25-40% a causa dell’aumento della TBG da estrogeni e passaggio transplacentare. La terapia viene iniziata a dosaggi più elevati nel bambino, per poi ridurli man mano nella crescita. Questo perchè il fabbisogno del bambino è nettamente maggiore rispetto all’indivisuo più grande.