http://unict.myblog.it 1 Riassunti di “Politica Economica di Roberto

Riassunti
di
“Politica
Economica
di
Roberto
Cellini”
CAP.
1
‐La
P.E.
è
una
quella
parte
della
scienza
economica
che
studia
una
comunità
riguardo
l’individuazione
di
fini,
il
modo
di
perseguirli
e
l’esito
di
un
eventuale
intervento.
‐Per
comunità
intendiamo
un
aggregato
di
individui
dagli
obiettivi
eterogenei
e
potenzialmente
conflittuali.
‐La
teorie
delle
scelte
collettive
studia
come
individuare
obiettivi
della
collettività
partendo
dai
singoli.
‐La
P.E.
gestisce
i
conflitti
tra
gli
obiettivi
che
ci
si
è
assegnati.
‐Individuati
i
fini,
si
passa
al
loro
perseguimento
in
termini
di
intervento
e
non‐intervento.
‐La
teoria
della
controllabilità
studia
le
condizioni
che
vanno
soddisfatte
affinché
un
fine
possa
essere
considerato
raggiungibile.
‐Una
volta
individuati
i
fini
e
il
modo
per
perseguirli
ci
si
può
trovare
di
fronte
a
un
conflitto
tra
obiettivi
previsti
e
obiettivi
realizzati.
I
motivi
per
cui
questo
conflitto
può
essere
spiegato
possono
essere:
a)
set
informativo
errato;
b)
tempi
inappropriati;
c)
ecc.
‐I
soggetti
della
P.E.
possono
essere
di
due
categorie:
1)
privati
(consumatori,
imprese);
2)
Autorità
di
P.E.
(aggregatore
delle
preferenze
individuali).
L’Autorità
di
P.E.
può
avere
vari
profili:
a)
Musgrave
–
“modello
dei
bureau”:
1)
Allocation
B.,
obiettivi
di
efficienza
microeconomica;
2)
Stabilization
B.,
obiettivi
macroeconomici;
3)
Redistribution
B.,
redistribuzione
dei
redditi;
b)
policy‐maker
di
livello
nazionale
o
territoriale
più
limitato;
c)
politici
(individuazione
e
modo
per
perseguire
i
fini)
e
burocrati
(raggiungimento
effettivo
di
tali
fini).
CAP.
2
‐L’economia
cerca
di
seguire
un
metodo
scientifico,
comprendente
la
costruzione
di
un
modello.
‐Un
modello
può
essere
letto
in
modo
positivo
(o
descrittivo,
cioè
spiegando
cosa
succede
e
perché)
o
in
modo
normativo
(o
prescrittivo,
cioè
spiegandoci
cosa
deve
essere
fatto
affinché
vengano
raggiunti
determinati
obiettivi).
‐In
ogni
modello
abbiamo
variabili
endogene
(cioè
spiegate
all’interno
del
modello)
ed
esogene
(il
cui
valore
viene
considerato
dato
e
non
spiegato
all’interno
del
modello).
‐La
P.E.
è
interessata
a
leggere
i
modelli
in
modo
normativo
e
tratta
come
esogeno
ciò
che
una
lettura
positiva
del
modello
interpreta
come
endogeno.
‐La
forma
strutturale
è
data
dall’insieme
di
equazioni
che
lo
compongono
e
tutte
le
sue
variabili
(sia
endogene
che
esogene),
mentre
nella
forma
ridotta
ciascuna
variabile
endogena
risulta
funzione
soltanto
di
variabili
esogene.
‐Per
obiettivi
di
P.E.
intendiamo
un
traguardo
o
un
fine
dell’azione
dell’Autorità
di
P.E.
Si
distingue
tra
fissi
e
flessibili.
‐Con
obiettivo
fisso
si
ricerca
un
valore
puntuale,
con
flessibile
si
mira
a
raggiungere
un
valore
minimo
o
massimo
di
una
funzione.
‐Per
strumenti
di
P.E.
si
intende
una
variabile
usata
dal
policy‐maker
come
leva
per
raggiungere
un
fine.
‐Il
teorema
della
regola
aurea
di
Tinbergen
dice
che
“condizione
necessaria
affinché
un
modello
statico
e
deterministico
di
P.E.
con
obiettivi
fissi
sia
controllabile
è
che
il
numero
di
strumenti
a
disposizione
del
policy‐maker
sia
almeno
pari
al
numero
degli
obiettivi”.
‐Quando
ci
si
è
posti
più
obiettivi
rispetto
agli
strumenti
si
può:
a)
lasciar
perdere
alcuni
obiettivi;
b)
costruire
nuovi
strumenti;
c)
abbandonare
l’obiettivo
fisso
e
spostarci
su
di
uno
flessibile.
‐Critica
di
Robert
Lucas:
era
contro
la
risolvibilità
di
un
sistema
attraverso
equazioni
matematiche;
nel
momento
stesso
nel
quale
l’azione
di
P.E.
viene
messa
in
atto,
muta
il
quadro
nel
quale
gli
individui
privati
si
muovono
e
quindi
mutano
pure
i
loro
criteri
comportamentali;
l’effetto
della
P.E.
sulle
variabili
obiettivo
è
imprevedibile
perché
non
è
prevedibile
il
modo
in
cui
cambiano
i
parametri
comportamentali;
la
P.E.
ha
effetto
sulle
variabili
economiche
ma
in
un
modo
che
non
può
essere
previsto
sulla
base
dei
comportamenti
osservati
in
passato.
CAP.
5
‐Il
modello
teorico
dell’equilibrio
economico
generale
si
basa
su
5
postulati.
Se
soddisfatti,
questi
5
postulati
fanno
valere
il
“primo
teorema
fondamentale
dell’economia
del
benessere”
e
cioè
che
ogni
allocazione
di
equilibrio
generale
abbia
efficienza
paretiana:
1)
i
prezzi
devono
essere
dati;
2)
utilità
–
assenza
di
esternalità;
3)
diritto
di
proprietà,
consapevolezza
di
chi
detiene
il
controllo
di
un
bene
(aria
pulità);
4)
completezza
dei
mercati,
esiste
un
mercato
per
ogni
bene;
5)
completezza
di
informazione.
Altrimenti
fallimento
microeconomico
di
mercato;
condizione
in
cui
il
meccanismo
produce
esiti
rispetto
ai
quali
tutti
potrebbero
stare
meglio
(allocazione
inefficiente).
‐Sul
mercato
dei
beni
sono
presenti
due
categorie
di
soggetti:
chi
domanda
e
chi
offre.
http://unict.myblog.it
1
‐Benessere
dei
consumatori,
surplus
netto
che
è
la
misura
monetaria
dell’utilità
che
i
consumatori
traggono
per
il
fatto
che
pagano
un
bene
a
un
prezzo
che
risulta
inferiore
a
quello
che
sarebbero
stati
disposti
a
pagare.
‐Benessere
degli
offerenti:
1)
profitto
d’impresa
(π=RIC‐CT,
utilizzabile
per
qualunque
sia
la
forma
di
mercato
vigente);
2)
surplus
dei
produttori
(in
contesto
di
perfetta
concorrenza)
misura
monetaria
dell’utilità
(rif.
surplus
netto
dei
consumatori).
‐Benessere
sociale:
1)
SW1=
CS+∑πi;
2)
SW2=
CS+FS;
si
dice
efficiente
in
senso
allocativo
la
configurazione
che
rende
massimo
il
benessere
sociale
(quando
il
prezzo
del
bene
eguaglia
il
costo
marginale).
‐Teorema
del
Second
best:
se
l’eguaglianza
tra
prezzo
del
bene
e
costo
marginale
non
vale
su
tutti
i
mercati,
non
è
necessariamente
vero
che
il
benessere
sociale
è
funzione
crescente
del
numero
di
mercati
sui
quali
è
soddisfatta
l’eguaglianza
tra
prezzo
e
costo
marginale.
‐Si
giustifica
un
intervento
di
P.E.
anche
in
mercati
in
senso
allocativo
se
sono
insoddisfacenti
sulla
base
di
valutazione
aprioristiche
(es.
prezzo
troppo
basso
e
iniquo
per
classi
sociali,
prodotti
agricoli).
‐Strumenti
del
policy‐maker:
a)
pavimenti
al
prezzo;
b)
interv.
dir.
sulle
quantità
;
c)
interv.
ind.
sulle
quantità
(camp.
pubbl.);
d)
inter.
dir.
sulle
quantità
domandate
e
offerte,
tramite
revisione
delle
imposte.
Questi
interventi
comportano
costi
quindi
bisogna
valutare
se
il
costo
è
maggiore
del
beneficio.
‐Teorema
di
Poole
e
Weitzman:
in
condizioni
di
certezza
l’intervento
diretto
tramite
vincolo
su
quantità
conduce
allo
stesso
risultato
dell’intervento
indiretto
tramite
imposizione
sui
prezzi.
Circa
l’efficienza
non
è
possibile
stabilire
quale
sia
migliore
tra
i
due.
‐
Si
ha
ottimo
paretiano
(detto
anche
efficienza
allocativa)
quando
non
è
possibile
alcuna
riorganizzazione
della
produzione
che
migliori
le
condizioni
di
almeno
una
persona
senza
diminuire
quelle
degli
altri.
‐Efficienza
dinamica:
a)
in
senso
paretiano,
si
considerano
le
generazioni
che
si
susseguono
nel
tempo;
b)
una
configurazione
che
massimizza
il
tasso
di
crescita
di
una
variabile.
‐Conflitto
fra
efficienza
ed
equità.
‐Obiettivi
di
efficienza
perseguiti
in
ambito
macroeconomico:
1)
reddito
di
pieno
impiego;
2)
inflazione
nulla
o
limitata;
3)
equilibrio
nei
conti
con
l’estero
(bilancia
dei
pagamenti
in
pareggio);
4)
crescita
economica;
5)
stabilizzazione
dei
debiti.
CAP.
6
‐Inefficienza
allocativa
del
monopolio:
obiettivo
dell’impresa
monopolista
è
la
massimizzazione
della
differenza
tra
ricavo
e
costo
totale
(π=Q*P(Q)‐c(Q),
si
ottiene
quando
il
ricavo
marginale
è
uguale
al
costo
marginale).
La
differenza
tra
benessere
sociale
massimo
e
benessere
sociale
di
monopolio
è
proprio
la
perdita
netta
o
secca
di
monopolio.
‐Monopolio
naturale:
causato
dalla
configurazione
del
mercato
che
rende
impossibile
che
più
di
un’impresa
possa
ottenere
profitti
positivi
(quando
il
prezzo
è
uguale
al
costo
marginale,
il
profitto
d’impresa
è
negativo).
‐Inefficienza
dinamica
del
monopolio,
questione
aperta:
secondo
Schumpeter
la
crescita
economica
associata
a
regimi
di
monopolio
è
più
forte
rispetto
a
quella
di
concorrenza
perfetta,
tramite
investimenti
più
pesanti
in
R&S;
secondo
Arrow
la
concorrenza
garantisce
un
tasso
di
crescita
economica
più
elevato
poiché
chi
gode
di
rendite
monopolistiche
non
ha
incentivo
a
compiere
R&S
e
peggiore
circolazione
di
informazioni.
‐Se
l’Autorità
di
P.E.
non
tollera
il
monopolio,
si
liberalizza
il
mercato
tramite
politiche
di
tipo
istituzionale
o
concessioni
di
sussidi
per
imprese
entranti.
‐Se
si
tollera
il
monopolio:
1)
statalizzare
l’impresa,
giustificazioni
teoriche:
a)
se
si
hanno
profitti
positivi
questi
vanno
allo
Stato;
b)
altrimenti
si
rende
massimo
il
benessere
sociale;
2)
influenzare
il
comportamento
attraverso
la
regolamentazione
(quantità
o
prezzo
‐
second
best,
prezzo=costo
medio
‐).
‐Price
cap:
forma
di
regolamentazione
che
consente
all’impresa
di
aumentare
il
prezzo,
da
un
anno
all’altro,
non
oltre
un
ammontare
stabilito
(Δpi=ΔP‐X).
‐Limite
superiore
al
tasso
di
rendimento
del
capitale.
‐Asta
alla
Demsetz.
–Teoria
dei
mercati
contendibili.
‐Oligopolio
alla
Cournot:
numero
limitato
di
imprese
che
puntano
al
massimo
profitto
scegliendo
la
quantità
da
produrre,
ciò
incide
sulla
quantità
immessa
sul
mercato
e
quindi
sul
prezzo,
si
ha
interdipendenza
strategica.
In
termini
di
efficienza
allocativa
ci
si
trova
in
una
situazione
tra
monopolio
e
concorrenza
perfetta.
‐Oligopolio
alla
Bertrand:
la
variabile
di
scelta
è
il
prezzo
da
praticare.
Le
imprese
hanno
le
stesse
strutture
di
costi,
il
prezzo
sarà
pari
al
costo
marginale
e
quindi
equilibrio.
Se
non
hanno
la
medesima
struttura
dei
costi,
l’impresa
che
ce
l’ha
più
bassa
si
accaparra
dell’intero
mercato,
quindi
l’oligopolio
alla
Bertrand
determina
un
equilibrio
che
replica
la
concorrenza
perfetta
(paradosso
di
Bertrand).
http://unict.myblog.it
2
‐Concorrenza
monopolistica:
forma
di
mercato
in
cui
ogni
impresa
produce
un
bene
differenziato
rispetto
a
quello
prodotto
da
tutti
i
concorrenti
(monopolista
di
nicchia).
‐Il
cartello:
si
configura
come
accordo
di
cartello
ogni
intesa
tra
imprese
volta
a
modificare
l’allocazione
di
mercato
in
favore
delle
imprese
stesse
e
a
danno
del
consumatore
(ridurre
la
quantità
determinando
un
incremento
del
prezzo).
‐Minore
è
il
grado
di
sostituibilità
fra
i
prodotti
e
più
significativo
risulterà
l’allontanamento
dalla
concorrenza
perfetta.
CAP.
7
‐Le
politiche
antitrust
rappresentano
l’insieme
di
norme
e
azioni
di
P.E.
messe
in
atto
al
fine
di
impedire
comportamenti
che
non
rispettano
la
libera
concorrenza.
‐In
USA
le
normative
antitrust
sono
nate
in
anticipo
rispetto
all’Europa,
perché
negli
USA
lo
Stato
non
entra
nel
mercato
ma
lo
sorveglia
dall’esterno
tramite
l’attuazione
di
queste
normative;
in
Europa
si
sceglie
di
far
intervenire
direttamente
lo
Stato
nel
mercato
nel
lato
dell’offerta,
quindi
è
lo
Stato‐imprenditore
a
correggere
le
inefficienze
allocative.
L’Europa
era
aperta
a
scambi
internazionali
che
garantivano
una
maggiore
concorrenzialità,
a
differenza
degli
USA
che
aveva
un
economia
chiusa.
‐Esperienza
USA.
1890,
Sherman
Antitrust
Act:
sono
vietate
le
collusioni
a
scapito
dell’interesse
pubblico,
monopolizzazione
e
tentativi
di
monop.
1914,
Clayton
Act:
più
rigida,
sanziona
pratiche
di
discriminazione
di
prezzo,
pratiche
di
contratti
in
esclusiva,
impedisce
fusioni,
ecc.
1914,
istituzione
del
Federal
Trade
Commission
Act:
garante
della
concorrenza.
‐Esperienza
EUROPA
(Italia).
1957,
Trattato
di
Roma:
si
vieta
la
fissazione
diretta
o
indir.
di
prezzi
di
acquisto
o
di
vendita
di
beni,
si
limita
o
controlla
la
produzione,
i
mercati,
gli
investimenti,
ecc.
In
Italia
con
la
legge
287
del
1990
che
si
rifà
al
Trattato
di
Roma,
viene
anche
creata
l’Autorità
garante
della
concorrenza
e
del
mercato.
‐Creazione
di
Authority
di
sorveglianza
di
specifici
settori,
che
hanno
compiti
più
specifici
e
ambiti
di
intervento
più
circoscritti.
‐Liberalizzazione:
ingresso
di
nuove
imprese
su
mercati
serviti
da
monopolisti
‐Privatizzazione:
passaggio
di
proprietà
da
soggetti
pubblici
a
privati.
‐Discussione
di
ordine
temporale
tra
i
due
processi.
CAP.
12
‐Come
il
reddito
si
distribuisce
all’interno
di
un
sistema
economico
e
quale
sia
la
relazione
fra
la
distribuzione
e
il
benessere
sociale.
‐Distribuzione
personale:
come
si
distribuisce
tra
i
soggetti
della
comunità.
‐Distribuzione
funzionale:
come
si
distribuisce
tra
i
fattori
produttivi.
‐Distribuzione
sociale:
come
si
distribuisce
tra
le
classi
sociali.
‐Distribuzione
settoriale:
come
si
distribuisce
tra
i
settori
che
compongono
l’economia.
‐Distribuzione
spaziale:
come
si
distribuisce
nel
territorio.
‐L’unità
da
considerare
è
la
famiglia
(OCSE
–
scale
di
equivalenza).
‐Al
fine
di
determinare
la
condizione
di
vita
bisogna
considerare
il
modo
in
cui
il
reddito
è
distribuito.
‐Indicatori
di
dispersione
o
variazione:
esprimono
quanto
una
distribuzione
sia
dispersa
intorno
alla
media
(varianza,
sqm,
rapporto
percentilico).
‐
Indicatori
di
concentrazione:
forniscono
una
misura
di
quanta
parte
di
un
carattere
misurabile
sia
posseduto
da
una
data
frazione
della
popolazione
(curva
di
Lorenz,
calcolare
le
distribuzioni
cumulate
del
reddito
per
individuare
quale
percentuale
del
reddito
è
posseduta
dall’n%
della
popolazione,
in
caso
di
distribuzione
equa
retta
di
45°;
indice
di
Gini,
dato
dal
rapporto
fra
l’area
H
e
l’area
del
triangolo
rettangolo,
poiché
l’area
è
sempre
½
l’indice
è
sempre
il
doppio
dell’area
H,
varia
tra
0
e
1).
‐Povertà
in
senso
assoluto:
individuo
che
ha
un
reddito
giornaliero
non
superiore
a
un
dollaro.
‐Povertà
relativa
(dipende
dal
contesto):
quando
il
reddito
equivalente
è
inferiore
rispetto
al
50
%
del
reddito
individuale
medio
della
comunità
di
riferimento.
‐
A
parità
di
reddito
medio,
come
varia
il
benessere
sociale
al
variare
del
modo
in
cui
il
reddito
è
distribuito
tra
i
diversi
individui?
Teorema
di
Atkinson:
date
due
distribuzioni
di
reddito,
quella
che
ha
reddito
medio
maggiore
e
una
curva
di
Lorenz
più
equa,
ha
maggiore
benessere
sociale.
“Se
ogni
individuo
ha
funzione
di
utilità
crescente
e
concava
nel
livello
del
proprio
reddito
e
se
l’ammontare
di
reddito
complessivamente
disponibile
di
una
comunità
non
dipende
dal
modo
in
cui
è
distribuito,
allora
una
distribuzione
più
equa
del
reddito
è
associata
a
un
elevato
livello
di
benessere
sociale”.
Quindi
se
si
http://unict.myblog.it
3
sottrae
una
unità
a
chi
ha
reddito
elevato
per
trasferirlo
a
chi
ce
l’ha
basso
il
decremento
di
utilità
arrecato
al
ricco
sarà
minore
dell’incremento
di
utilità
che
riceverà
il
più
povero;
si
richiede
inoltre
che
la
redistribuzione
non
sia
costosa.
‐Critica
alle
ipotesi:
Okun,
“metafora
del
secchio
bucato”;
le
politiche
di
distribuzione
disincentivano
la
produzione
del
reddito
di
chi
ha
maggiore
capacità
di
generarlo.
‐Distribuzione
funzionale
del
reddito:
la
quota
distributiva
che
spetta
al
fattore
lavoro
è
il
rapporto
tra
l’insieme
delle
remunerazioni
che
vanno
al
lavoro
rispetto
al
reddito
complessivo
(αL=WN/Py).
Problemi
di
misurazione:
a)
difficile
capire
qual
è
la
remunerazione
di
un
imprenditore;
b)
se
considerare
il
salario
con
i
contributi
sociali,
previdenziali
o
meno;
c)
lavoro
nero.
‐Curva
di
Kuznets:
si
basa
sugli
indici
di
Gini
e
il
livello
del
reddito
pro‐capite
in
un
insieme
di
Paesi
e
prende
la
forma
di
una
U
rovesciata.
Paesi
con
reddito
medio
molto
basso
e
molto
alto
mostrano
indici
di
diseguaglianza
bassi;
mentre
Paesi
con
reddito
medio
delle
diseguaglianze
più
marcate.
‐Politiche
di
redistribuzione
del
reddito:
1)
espliciti
trasferimenti
di
reddito
tra
individui
diversi
(imposte
e
trasferimenti);
2)
in
modo
indiretto
fornendo
beni
e
servizi
a
individui
diversi
che
pagheranno
prezzi
diversi
per
il
consumo
di
questi
beni
(discriminazioni
di
prezzo).
‐Imposizione
fiscale
progressiva:
se
l’aliquota
media
di
imposizione
è
crescente
nel
livello
di
reddito.
‐Imposizione
fiscale
proporzionale:
se
l’aliquota
d’imposta
è
uguale
per
tutti
e
non
varia
al
variare
del
reddito.
‐Imposizione
fiscale
regressiva:
se
l’aliquota
d’imposta
decresce
all’aumentare
del
reddito
(imposta
a
somma
fissa).
CAP.
13
‐Per
welfare
state
si
intende
l’insieme
di
istituti
messi
in
atto
dallo
Stato
allorché
intervenga
nella
sfera
economica
per
promuovere
la
qualità
della
vita
dei
cittadini
e
combattere
povertà
e
indigenze.
‐In
Italia
nascita
dell’INPS
durante
il
periodo
fascista.
Negli
anni
successivi
alla
WW2
in
tutte
le
economie
occidentali
si
registra
un’espansione
dell’intervento
pubblico
nell’economia,
aiutato
anche
dal
boom
economico
(tra
gli
anni
50
e
70).
A
seguito
dello
shock
petrolifero
del
73‐74
e
della
conseguente
crisi,
si
mise
in
dubbio
la
sostenibilità
dello
stato
sociale.
Dall’80
infatti
vennero
ridimensionati
i
trasferimenti
verso
lo
stato
sociale.
‐La
spesa
per
lo
stato
sociale
si
articola
in:
a)
previdenza;
b)
assistenza;
c)
sanità.
‐Previdenza:
coincide
con
la
spese
per
pensioni;
indica
che
nella
fase
lavorativa
della
vita
si
versano
contributi
in
modo
da
poter
contare
su
una
rendita
futura.
Le
motivazioni
per
cui
è
obbligatorio
sono
che
i
privati
non
sono
in
grado
di
percepire
l’importanza
della
costruzione
di
una
rendita
pensionistica
e
non
considerano
le
probabilità
di
infortuni;
inoltre
ampie
quote
di
popolazione
non
coperte
da
pensione
rappresentano
un’esternalità
negativa.
‐Pensione
di
vecchiaia:
percepita
da
coloro
che
hanno
raggiunto
l’età
avanzata.
‐Pensione
di
anzianità:
percepita
da
persone
che
decidono
di
ritirarsi
dal
lavoro
e
di
percepire
quanto
possono
in
base
a
quanto
hanno
versato.
‐Pensione
di
reversibilità:
percepita
dal
coniuge
di
chi
ha
pagato
ed
è
venuto
a
mancare.
‐Pensione
di
invalidità:
percepita
da
chi
non
è
in
grado
di
poter
esercitare
una
normale
attività
lavorativa.
‐Pensione
sociale:
percepita
da
soggetti
che
sono
privi
di
mezzi
di
sostentamento.
‐Sistema
pensionistico
a
capitalizzazione:
ciascun
lavoratore
versa
contributi
all’ente
pensionistico
che
li
investe
e
creano
interessi
che
serviranno
a
coprire
in
parte
la
spesa
per
l’erogazione
della
pensione.
‐Sistema
pensionistico
a
ripartizione:
i
contributi
versati
in
ciascun
periodo
dai
lavoratori
vengono
utilizzati
per
erogare
le
prestazioni
pensionistiche
a
chi
si
trova
nella
seconda
parte
della
propria
vita
[Nt+1*ht+1)/Nt].
‐Il
rendimento
del
sistema
a
ripartizione
dipende
dal
tasso
di
crescita
demografico
n
e
dal
tasso
di
crescita
della
produttività
g
(patto
intergenerazionale).
Mentre
quello
a
capitalizzazione
dipende
dal
tasso
di
interesse
r
(mercato).
‐Regime
contributivo
e
regime
retributivo:
a
seconda
che
il
calcolo
venga
fatto
in
relazione
ai
contributi
o
alle
retribuzioni
percepite.
‐Indice
di
dipendenza:
numero
di
pensionati
in
rapporto
al
numero
di
lavoratori.
‐Indice
di
gravosità
della
spesa
pensionistica:
rapporto
tra
spesa
pensionistica
e
PIL
che
è
uguale
all’indice
di
dipendenza*S/W.
‐Assistenza:
a)
politiche
di
sostegno
agli
individui
intese
a
combattere
povertà
e
disagi,
suddivise
tra
selettive
e
universali.
Il
dividendo
sociale
è
un
sussidio
di
entità
prefissata
concessa
a
tutti
i
cittadini;
imposta
sul
reddito
negativa,
fissando
una
soglia
di
reddito
y*,
se
il
reddito
dell’individuo
è
maggiore
a
questa
soglia
dovrà
pagare
le
tasse,
altrimenti
avrà
un
sussidio;
b)
ammortizzatori
sociali,
istituti
che
mitigano
il
disagio
legato
all’interruzione
del
rapporto
di
lavoro,
tra
cui:
Cassa
http://unict.myblog.it
4
integrazione
ordinaria,
straordinaria,
indennità
di
immobilità
e
di
disoccupazione.
Ammortizzatori
sociali
benevoli
potrebbero
disincentivare
l’offerta
di
lavoro
e
stimolare
il
lavoro
nero;
c)
politiche
per
la
casa,
tutte
quelle
misure
che
intendono
favorire
il
reperimento
di
abitazioni.
IACP
(Istituti
Autonomi
di
Case
Popolari);
d)
politiche
per
il
diritto
allo
studio,
intendono
rendere
sostanziale
il
diritto
allo
studio
attraverso
tasse
legate
al
reddito
familiare,
o
concessione
di
contributi
o
esenzione
al
pagamento
parziale
o
totale
delle
tasse.
‐Sanità:
le
spese
per
la
sanità
comprendono
cure
mediche
di
base,
prestazioni
specialistiche,
ricoveri
ospedalieri,
interventi
chirurgici
e
farmaci.
I
sistemi
sanitari
si
distinguono
in
tre
categorie:
1)
il
modello
pubblico,
tutti
i
cittadini
hanno
la
possibilità
di
usufruire
dei
servizi
sanitari
il
cui
costo
è
coperto
dalla
fiscalità
generale;
2)
modello
privato,
tutti
i
beni
e
servizi
siano
scambiati
tramite
meccanismi
di
mercato;
3)
modello
misto,
quello
prevalente
nei
Paesi
europei.
CAP.
14
‐Le
politiche
industriali
sono
l’insieme
di
politiche
che
mirano
a
governare
la
struttura
produttiva
e
il
potenziale
produttivo
dell’economia
e
influenzano
le
decisioni
di
produzione.
‐Il
sistema
economico
prevede
la
distinzione
in
tre
settori:
a)
agricoltura,
attività
legate
alla
produzione
di
beni
agricoli,
allevamento;
b)
industria,
si
scompone
in
manifattura,
energia
elettrica
e
costruzioni;
c)
servizi,
comprende
tutte
le
attività
che
hanno
come
output
beni
immateriali.
(Clark).
‐Il
processo
di
sviluppo
economico
coincide
con
un’espansione
dell’industriale
e
una
contrazione
dell’agricolo
poiché
la
produttività
del
lavoro
cresce
più
velocemente
nell’industriale,
ciò
porta
a
una
più
rapida
crescita
della
produttività
del
lavoro
a
livello
aggregato.
Il
mutamento
strutturale
è
alla
base
del
processo
di
sviluppo
economico.
Da
qualche
decennio
il
mutamento
strutturale
riguarda
la
contrazione
dell’industria
sui
servizi;
poiché
la
produttività
del
lavoro
cresce
meno
nei
servizi
ciò
porta
ad
abbassare
il
tasso
di
crescita
della
produttività
del
lavoro
a
livello
aggregato.
‐Politiche
industriali
selettive
(anni
50‐70):
dopo
la
WW2
si
pose
come
obiettivo
la
ricostruzione
dell’apparato
produttivo.
Le
prime
istituzioni
(CECA,
EURATOM)
sono
nate
per
rafforzare
la
struttura
produttiva
dei
Paesi
della
Comunità
europea
in
specifici
settori,
ritenuti
di
particolare
importanza
strategica
per
i
Paesi
della
Comunità,
come
ad
esempio
settori
della
meccanica
e
chimica,
che
producevano
beni
che
servivano
da
input
per
altri
settori.
Gli
strumenti
utilizzati
furono:
protezione
doganale,
incentivazione
fiscale,
creazione
di
imprese
pubbliche
nazionali.
‐Politiche
industriali
generali
rivolte
ai
fattori
produttivi
(anni
80):
dopo
la
crisi
degli
anni
73‐74
(shock
petrolifero)
bisognava
consentire
a
tutti
i
settori
un
recupero
di
flessibilità,
riorganizzare
i
processi
produttivi
e
di
poter
sostituire
gli
input
produttivi.
Sono
chiamate
generali
perché
rivolte
all’intero
sistema
produttivo.
Gli
strumenti
utilizzati
furono:
di
tipo
fiscale
(incentivi
e
detassazioni;
es.
legge
di
incentivazione
dell’imprenditorialità
giovanile).
Inoltre
vennero
adottate
politiche
istituzionali
che
conferivano
al
sistema
produttivo
una
maggiore
flessibilità
interna
(potendo
impiegare
gli
input
in
modo
meno
vincolato)
ed
esterna
(spostamento
di
risorse
da
un
impresa
all’altra).
Queste
politiche
hanno
determinato
una
maggiore
competitività
delle
imprese.
‐Politiche
industriali
generali
di
tipo
istituzionali:
obiettivo
della
CE
è
quello
di
creare
un
clima
favorevole
all’affermazione
di
coalizioni
progressive
per
trasformare
la
CE
in
un
unione
economica
aperta.
Il
trattato
di
Maastricht
elenca
gli
obiettivi
di
politica
industriale
da
perseguire:
a)
promuovere
lo
sviluppo
e
la
crescita
in
particolare
delle
piccole
e
medie
imprese
dell’UE;
b)
promuovere
la
cooperazione
tra
imprese
agevolando
la
formazione
di
network;
c)
promuovere
lo
sfruttamento
del
potenziale
industriale
e
delle
attività
di
R&S.
Queste
politiche
sono
rivolte
quindi
alle
istituzioni
e
riconoscono
nell’aggregazione
di
diversi
soggetti,
quali
i
policy‐maker
e
le
imprese,
l’obiettivo
esplicito
dell’azione
di
P.E.
‐Distretti.
CAP.
15
‐Con
politiche
regionali
si
intende
l’insieme
di
azioni
che
mirano
alla
redistribuzione
geografica
del
reddito
e
mira
a
sostenere
la
crescita
e
lo
sviluppo
di
zone
specifiche.
All’interno
di
una
medesima
economia
possono
esistere
significative
differenze
di
reddito
pro‐capite.
‐Visione
keynesiana:
se
le
regioni
possono
essere
considerate
come
economie
chiuse
allora
vi
è
motivo
di
pensare
che
tutte
non
abbiano
bisogno
di
avere
gli
stessi
livelli
di
reddito
(tesi
della
causazione
cumulativa),
poiché
se
vale
il
principio
della
domanda
effettiva
le
imprese
produrranno
ciò
che
verrà
loro
domandato
ragion
per
cui
un
insufficiente
domanda
causa
una
ridotta
produzione
e
quindi
ridotto
reddito;
le
regioni
in
ritardo
di
sviluppo
si
ritroverebbero
in
una
situazione
di
equilibrio
di
sottoccupazione,
denominata
“trappola
della
povertà”.
Da
questa
situazione
si
potrebbe
uscire
attraverso
uno
shock
positivo
esogeno
(aumento
della
domanda
autonoma
attraverso
un
incremento
della
domanda
dall’esterno),
considerato
che
la
regione
riesca
a
soddisfare
la
domanda
addizionale
richiesta.
http://unict.myblog.it
5
‐Visione
neoclassica:
in
una
situazione
in
cui
la
tecnologia
è
un
bene
pubblico,
vi
è
libertà
di
movimento
per
i
fattori
e
per
i
beni,
e
i
rendimenti
marginali
dei
fattori
produttivi
sono
decrescenti,
allora
un
qualsiasi
fattore
produttivo
dovrebbe
essere
impiegato
laddove
il
suo
rendimento
marginale
sarà
più
elevato,
ovvero
dove
vi
è
un
minor
volume
del
fattore
stesso.
‐Critica
di
Vera
Lutz:
la
mancata
convergenza
tra
le
regioni
è
da
attribuire
a
fattori
di
natura
istituzionale.
‐Inoltre
vi
sono
validi
motivi
per
ritenere
che
la
produttività
marginale
di
un
fattore
(es.
capitale)
non
sia
più
elevata
dove
ne
viene
impiegato
di
meno,
bensì
dove
ne
viene
impiegato
di
più.
‐Indice
di
ineguale
distribuzione
regionale:
Sigma‐convergenza.
Analizzando
i
livelli
di
reddito
pro‐capite
nelle
20
regioni
italiane
avremo
un
valore
medio
e
una
varianza.
Se
negli
anni
la
varianza
va
diminuendo,
le
differenze
si
assottigliano
e
si
ha
Sigma‐convergenza.
‐Indice
di
ineguale
distribuzione
regionale:
Beta‐convergenza.
Vi
è
convergenza
in
senso
“beta”
se
in
un
dato
periodo
di
tempo
si
manifesta
una
correlazione
negativa
tra
il
livello
di
partenza
del
reddito
pro‐capite
e
il
suo
successivo
tasso
di
crescita
(crescono
in
misura
maggiore
i
redditi
in
quelle
regioni
nelle
quali
il
livello
di
partenza
era
minore.
CAP.
16
‐Legge
di
Walras:
non
è
possibile
che
in
un
sistema
di
N
mercati,
siano
in
equilibrio
tutti
tranne
uno.
Se
vi
è
disequilibrio
sui
mercati,
allora
devono
essere
in
disequilibrio
un
numero
di
mercati
maggiore
di
uno.
Per
affrontare
la
correzione
dei
disequilibri
di
sistema
occorre
un
APPROCCIO
DI
SISTEMA,
o
macroeconomico.
‐Modello
macroeconomico
2X2:
2
soggetti
(famiglie
e
imprese),
2
mercati
(lavoro
e
beni);
mercato
della
moneta
in
equilibrio.
‐Abbiamo
4
casi
di
disequilibrio:
#1)
Regime
di
disoccupazione
keynesiana
‐
equilibrio
stabile
di
sottoccupazione:
eccesso
di
offerta
sia
sul
mercato
del
lavoro
(lavoratori
razionati)
che
su
quello
dei
beni
(imprese
razionate).
L’eccesso
di
offerta
di
lavoro,
causa
disoccupazione
del
fattore
lavoro.
Le
imprese
producono
più
di
quanto
desiderato
dai
lavoratori.
Risoluzione:
incremento
di
domanda
di
beni
da
parte
dell’Autorità
di
P.E.
#2)
Regime
di
disoccupazione
classica:
eccesso
di
offerta
nel
mercato
del
lavoro
(lavoratori
razionati),
eccesso
di
domanda
nel
mercato
dei
beni.
Le
imprese
producono
meno
di
quando
le
famiglie
desiderano.
Risoluzione:
aumento
dei
prezzi
e
riduzione
dei
salari.
#3)
Regime
di
inflazione
repressa:
eccesso
di
domanda
sia
sul
mercato
dei
beni
(famiglie
razionate),
sia
su
quello
del
lavoro
(imprese
razionate).
Le
famiglie
non
riescono
a
soddisfare
tutti
i
loro
desideri
di
beni,
però
riescono
a
soddisfare
tutti
i
loro
desideri
circa
il
lavoro.
Risoluzione:
aumento
dei
prezzi
e
dei
salari.
#4)
Quarto
regime:
eccesso
di
offerta
sul
mercato
dei
beni,
eccesso
di
domanda
sul
mercato
del
lavoro.
Curiosità
teorica:
le
imprese
desidererebbero
avere
più
lavoratori
di
quanti
possono
averne
e
al
tempo
stesso
non
riescono
a
vendere
tutto
ciò
che
producono.
‐Equilibrio
di
sottoccupazione:
i
soggetti
non
riescono
a
soddisfare
a
pieno
le
loro
esigenze,
ma
una
volta
che
gli
scambi
sul
mercato
si
realizzano
(regola
del
lato
corto)
i
soggetti
ritengono
che
le
scelte
compiute
siano
ottimali
e
non
vi
sia
motivo
per
cambiarle
–
equilibrio.
Le
scelte
operate
sono
ottimali
dati
i
vincoli
rappresentati
dall’operato
altrui,
ma
se
tutti
si
coordinassero
per
cambiare
i
proprio
comportamenti
si
potrebbe
pervenire
a
una
situazione
in
cui
tutti
stanno
meglio.
CAP.
17
‐D=C+I+G+NX.
‐Consumi:
funzione
crescente
del
reddito
C=C0+cY;
C0=componente
autonoma
(parte
dei
consumi
non
legati
al
reddito);
c=propensione
marginale
al
consumo.
‐Investimenti:
funzione
inversa
del
tasso
di
interesse;
beni
strumentali
domandati
dalle
imprese
al
fine
di
incrementare
o
rimpiazzare
il
loro
stock
di
capitale;
I=I0‐hr;
h=sensibilità
della
domanda
di
investimenti
al
tasso
di
interesse.
‐Spesa
pubblica:
considerata
esogena
G=G0.
‐Esportazioni
nette:
data
dalla
differenza
tra
X
e
M.
NX=X0‐M0‐mY;
m=propensione
marginale
alle
importazioni.
‐Indicatore
di
competitività
ε=Pf/(ePd);
f=fuori,
d=domestico,
e=tasso
di
cambio.
‐La
domanda
aggregata
è
funzione
del
reddito.
Condizione
di
equilibrio
macroeconomico
D=O;
la
produzione
aggregata
coincide
col
reddito
O=Y
quindi
Reddito
di
equilibrio
macroeconomico
Yeq=D0*1/[1‐c(1‐t)+m].
D0=componente
autonoma
di
domanda;
1/[1‐c(1‐t)+m]=moltiplicatore
keynesiano;
il
reddito
di
equilibrio
risulta
multiplo
della
domanda
autonoma.
Nulla
assicura
che
l’offerta
aggregata
sia
quella
che
utilizza
tutti
i
fattori
produttivi
disponibili
quindi
l’equilibrio
economico
http://unict.myblog.it
6
potrà
essere
un
equilibrio
di
sottoccupazione.
Se
ciò
avviene,
non
vi
è
nessun
meccanismo
automatico
che
lo
sposti
da
esso
quindi
un
equil.
stabile.
Keynes
ha
osservato
che
è
possibile
incrementare
il
reddito
incrementando
la
domanda
autonoma.
‐Scorte:
se
la
produzione
eccede
la
domanda
ottimale
avremo
un
aumento
indesiderato
delle
scorte
‐
che
fanno
parte
degli
investimenti
‐
e
questa
convenzione
fa
in
modo
che
sia
sempre
rispettata
l’identità
di
contabilità
nazionale
in
base
alla
quale
D≈O
ciò
non
vuol
dire
che
la
domanda
ottimale
coincide
con
la
produzione
ottimale.
‐Moltiplicatore
keynesiano:
poiché
1/[1‐c(1‐t)+m]>1
un
incremento
della
domanda
autonoma
determina
un
maggiore
incremento
del
reddito
di
equilibrio.
Spiegazione:
aumenta
una
componente
della
domanda
autonoma,
la
domanda
aggregata
cresce
dello
stesso
ammontare,
le
imprese
vorranno
produrre
esattamente
il
nuovo
quantitativo
che
viene
loro
domandato,
questo
aumento
di
produzione
si
traduce
in
una
aumento
del
reddito
distribuito
che
induce
l’incremento
della
domanda
e
ciò
fa
nuovamente
aumentare
la
produzione
ecc.
ecc.
Affinchè
ciò
avvenga
l’economia
non
si
deve
trovare
in
una
situazione
di
pieno
impiego
delle
risorse.
Il
processo
converge
perché
in
ognuno
dei
passaggi
successivi
l’incremento
di
domanda
va
a
diminuire.
‐Il
moltiplicatore
sarà
maggiore:
a)
quando
è
maggiore
la
propensione
marginale
al
consumo;
b)
quando
è
minore
l’imposizione
fiscale;
c)
quando
è
minore
la
propensione
marginale
alle
importazioni.
L’effetto
moltiplicatore
della
spesa
pubblica
è
maggiore
rispetto
all’effetto
moltiplicatore
dei
trasferimenti.
‐Modello
a
prezzi
fissi
con
tasso
d’interesse
endogeno:
‐Curva
IS:
la
relazione
IS
rappresenta
le
combinazioni
tra
tasso
d’interesse
e
reddito
compatibile
con
l’equilibrio
sul
mercato
dei
beni.
A0=D0‐hr;
1/α
=
1/[1‐c(1‐t)+m]
quindi
r=[1/h(A0)]
–
1/[h(1/α)]Y
corrisponde
a
una
retta
nello
spazio
(reddito\tasso
di
interesse);
ha
un’inclinazione
negativa
infatti
valori
maggiori
del
tasso
di
interesse
corrispondono
a
minori
investimenti.
Maggiore
è
la
sensibilità
degli
investimenti
al
tasso
d’interesse,
e
il
moltiplicatore
keynesiano,
più
la
curva
IS
sarà
piatta.
‐Curva
LM:
L’offerta
di
moneta
è
rappresentata
dall’insieme
di
tutti
i
mezzi
di
pagamento.
La
domanda
di
moneta
viene
effettuata
per
tre
motivi:
a)
per
scopo
transattivo,
ha
luogo
al
fine
di
regolare
gli
scambi
–
è
legata
al
reddito
in
modo
diretto;
b)
a
scopo
speculativo,
rappresenta
un
modo
alternativo
di
impiegare
la
propria
ricchezza
invece
dei
titoli
finanziari
–
è
funzione
inversa
del
tasso
d’interesse;
c)
scopo
precauzionale,
necessità
di
far
fronte
a
eventi
imprevisti.
La
domanda
di
moneta
complessiva
MD
è
funzione
crescente
del
reddito
e
decrescente
del
tasso
d’interesse.
I
parametri
l1
(moneta
transattiva)
e
l2
(moneta
speculativa)
rappresentano
la
sensibilità
alla
domanda
di
moneta
rispettivamente
al
reddito
e
al
tasso
d’interesse.
Quando
il
tasso
d’interesse
è
molto
elevato
nessuno
detiene
moneta
per
scopo
speculativo;
tuttavia
pur
essendo
nulla
la
domanda
speculativa,
la
domanda
totale
è
positiva
perché
esiste
la
componente
transattiva.
Quando
il
tasso
decresce
la
domanda
totale
cresce
perché
oltre
alla
transattiva
si
somma
la
speculativa.
‐Trappola
della
liquidità:
se
i
tassi
sono
troppo
bassi,
la
domanda
tende
a
diventare
infinita
e
la
funzione
infinitamente
elastica.
‐Un
aumento
dell’offerta
di
moneta
comporta
un
abbassamento
del
tasso
di
equilibrio.
Spiegazione:
maggiore
offerta
di
moneta
causa
più
acquisto
di
titoli
finanziari,
quindi
eccesso
di
domanda
di
titoli
che
genera
aumento
del
prezzo,
dunque
un
minor
rendimento,
ossia
un
minore
tasso
d’interesse.
‐Un
aumento
del
reddito
comporta
un
aumento
del
tasso
di
interesse
di
equilibrio.
Spiegazione:
un
aumento
del
reddito
causa
la
necessita
di
maggiori
quantità
di
moneta,
si
venderanno
i
titoli
finanziari
per
soddisfare
questa
necessità,
un
eccesso
di
offerta
di
titoli
ne
riduce
il
prezzo
quindi
il
tasso
di
interesse
aumenta.
‐La
curva
LM
rappresenta
il
luogo
delle
combinazioni
di
reddito
e
tasso
di
interesse
che
si
assicurano
l’equilibrio
sul
mercato
della
moneta
per
una
data
offerta
di
moneta.
Ha
inclinazione
positiva
(l1/l2)
e,
se
aumenta
il
reddito,
deve
aumentare
il
tasso
di
interesse.
‐Sistema
IS‐LM:
le
politiche
fiscali
hanno
effetto
sulla
curva
IS,
le
politiche
monetarie
determinano
spostamenti
della
curva
LM.
‐Effetti
di
una
politica
fiscale
espansiva
(rimanendo
ferma
la
quantità
di
moneta):
la
P.F.E.
causerà
un
nuovo
equilibrio
caratterizzato
da
reddito
e
tasso
di
interesse
maggiore.
Spiegazione:
la
domanda
autonoma
aumenta
quindi
aumenta
la
produzione
e
anche
il
reddito,
ciò
comporta
un
aumento
della
domanda
di
moneta
transattiva
che
viene
riassorbita
con
l’aumento
del
tasso
di
interesse.
Questo
incide
sugli
investimenti
e
determina
una
riduzione
del
reddito
creando
l’effetto
spiazzamento.
Quanto
più
sensibile
è
la
domanda
di
moneta
al
tasso
di
interesse,
tanto
più
efficace
risulterà
sul
reddito
una
politica
fiscale
espansiva.
http://unict.myblog.it
7
‐Effetti
di
una
politica
monetaria
espansiva:
una
P.M.E.
comporta
un
aumento
del
reddito
e
un
abbassamento
dei
tassi
di
interesse.
Spiegazione:
maggiore
offerta
di
moneta,
maggiore
domanda
di
titoli
finanziari,
quindi
abbassamento
del
tasso
di
interesse
che
comporta
un
incremento
di
domanda
(investimenti),
quindi
maggiore
produzione
e
maggiore
reddito.
L’effetto
sul
reddito
sarà
tanto
maggiore
quanto
più
la
curva
IS
è
piatta
(perché
i
consumi
aumentano
di
più
nel
sistema
in
cui
il
moltiplicatore
è
maggiore).
‐Effetti
di
una
politica
fiscale
congiunta
a
politica
monetaria:
sistema
IS‐LM.
Un
mix
di
politiche
economiche
espansive
porta
ad
avere
un
deciso
incremento
di
reddito
con
un
ambiguo
effetto
sul
tasso
di
interesse
(comportamento
accomodante
–
la
politica
monetaria
punta
ad
evitare
l’aumento
dei
tassi
d’interesse
ed
evitare
l’effetto
spiazzamento).
CAP.
18
‐Per
politica
fiscale
intendiamo
l’insieme
delle
misure
messe
in
atto
dal
policy‐maker
concernenti
le
entrate
e
le
spese
del
settore
pubblico.
‐Il
settore
pubblico
è
composto
dalle
amministrazioni
centrali
dello
Stato
(settore
statale)
più
le
amministrazioni
locali
e
gli
enti
pubblici
di
previdenza
(settore
pubblico).
‐Le
entrate
e
le
uscite
del
settore
pubblico
sono
definite
dal
bilancio
dello
Stato.
‐Le
entrate
sono
costituite
da
quattro
categorie:
a)
entrate
tributarie;
b)
extra‐tributarie;
c)
alienazione;
d)
accensione
di
prestiti.
Indice
di
incidenza
fiscale=(a)+(b)/PIL.
‐Le
uscite
sono
costituite
da
tre
titoli:
a)
spese
correnti;
b)
spese
in
conto
capitale;
c)
rimborso
di
prestiti.
‐Effetti
macroeconomici
dell’imposizione
progressiva:
1)
si
configura
come
uno
stabilizzatore
automatico
–
a
fronte
di
un
aumento
esogeno
del
reddito
uno
stabil.
autom.
tende
a
far
diminuire
il
reddito
e
viceversa.
Spiegazione:
il
reddito
viene
colpito
da
uno
shock
positivo,
l’imposizione
progressiva
implica
che
il
prelievo
fiscale
medio
aumenti,
ciò
determina
che
il
reddito
disponibile
aumenti
in
misura
più
contenuta
rispetto
al
reddito
lordo;
2)
comporta
drenaggio
fiscale,
consiste
nel
fatto
che
un
aumento
del
reddito
nominale
a
cui
non
corrisponde
un
aumento
del
reddito
reale
causa
un
aumento
più
che
proporzionale
dell’imposizione
fiscale,
quindi
una
riduzione
del
reddito
disponibile
reale;
sarà
tanto
maggiore
quanto
è
maggiore
il
tasso
di
inflazione.
‐Effetti
delle
diverse
modalità
di
finanziamento
della
spesa
pubblica:
#1)
finanziamento
con
imposte:
caso
in
cui
la
spesa
pubblica
è
finanziata
con
un
pari
aumento
dell’imposizione
(con
bilancio
in
pareggio).
Teorema
di
Haavelmo:
in
un
economia
chiusa
e
con
aliquota
marginale
d’imposizione
nulla,
un
aumento
della
spesa
pubblica
interamente
finanziato
con
un
pari
aumento
dell’imposizione
fiscale
autonoma,
determina
un
aumento
esattamente
uguale
al
reddito
di
equilibrio.
#2)
spesa
pubblica
che
genera
deficit:
caso
in
cui
l’incremento
di
spesa
pubblica
viene
finanziato
da
nuove
imposte
soltanto
per
la
parte
µ
cioè
ΔT0=
µΔG0
si
determina
un
fabbisogno
pari
a
(1‐µ)ΔG0,
il
reddito
di
equilibrio
sarà
quindi
ΔYeq=(1‐cµ)/(1‐c)*ΔG0.
Il
moltiplicatore
della
spesa
pubblica
finanziata
con
l’imposizione
sarà
tanto
maggiore
quanto
minore
è
la
parte
finanziata
con
le
imposte.
‐Il
fabbisogno
che
la
spesa
pubblica
ha
generato
può
essere
coperto
con:
1)
l’emissione
di
debito;
2)
l’emissione
di
moneta.
‐Con
l’emissione
di
debito
si
muove
verso
destra
soltanto
la
curva
IS,
mentre
con
l’emissione
di
moneta
si
muovono
entrambe.
Si
ha
un
ampliamento
del
reddito
maggiore
con
l’emissione
di
moneta
che
consente
di
evitare
l’aumento
del
tasso
d’interesse
e
limita
così
lo
spiazzamento.
‐Teorema
di
equivalenza
ricardiana:
“data
una
variazione
della
spesa
pubblica,
e
imponendo
il
vincolo
del
pareggio
intertemporale
del
bilancio
pubblico,
l’effetto
della
spesa
pubblica
sul
reddito
e
sui
consumi
è
uguale
sia
che
sia
finanziato
con
le
imposte
sia
con
l’emissione
di
debito
pubblico”.
CAP.
19
‐Gli
intermediari
finanziari
sono
quei
soggetti
che
mettono
in
collegamento
le
unità
in
surplus
(risparmio
famiglie)
con
le
unità
in
deficit
(investimenti
imprese).
‐Si
definisce
Base
Monetaria
l’insieme
della
banconote
e
delle
monete,
definita
“moneta
legale”;
viene
invece
definita
moneta
M
la
somma
della
moneta
legale
“circolante”
più
i
depositi
dei
risparmiatori.
‐M0,
rappresenta
le
monete
e
banconote
in
circolazione
(BMP);
M1,
la
somma
tra
M0
e
l’insieme
dei
conti
correnti
(depositi
bancari
a
vista);
M2,
la
somma
tra
M1
e
i
depositi
bancari
a
breve
termine;
M3,
la
somma
tra
M2
e
tutto
il
resto
(es.
BOT,
partecipazioni
in
fondi
comuni
monetari).
‐Creazione
della
base
monetaria:
è
emessa
dalle
banche
centrali
come
contropartita
rispetto
a
quattro
specifiche
operazioni:
http://unict.myblog.it
8
#1)
finanziamenti
al
Tesoro,
le
banche
centrali
emettono
carta
moneta
per
coprire
le
spese
dei
rispettivi
Governi
(monetizzazione
della
spesa
pubblica);
#2)
finanziamenti
alle
banche,
le
banche
centrali
emettono
base
monetaria
per
rispondere
alle
richieste
di
finanziamento
delle
banche
e
delle
aziende
di
credito,
le
quali
cedono
alla
banca
centrale
eventuali
titoli
di
credito
per
ricevere
in
cambio
moneta;
#3)
finanziamenti
al
settore
estero,
le
banche
centrali
emettono
base
monetaria
come
contropartita
dell’acquisto
di
valute
estere.
Un
attivo
della
BP
si
traduce
in
creazione
della
BM
mentre
un
deficit
porta
alla
distruzione
di
BM;
#4)
operazioni
di
mercato
aperto,
le
banche
centrali
possono
decidere
di
emettere
base
monetaria
in
contropartita
all’acquisto
di
titoli
finanziari
preesistenti
sui
mercati
finanziari.
Se
acquista
crea
base
monetaria,
se
vende
la
distrugge.
‐Modello
dei
moltiplicatori
della
base
monetaria:
BM=BMP+BMB;
M=BMP+D;
non
tutta
la
base
monetaria
costituisce
moneta
(BMB=no
moneta);
BMP=hD,
h
è
il
parametro
comportamentale
dei
privati.
Le
banche
utilizzano
i
depositi
dei
risparmiatori
per
concedere
crediti,
la
legislazione
bancaria
impone
alle
banche
di
trattenere
una
certa
frazione
dei
depositi
(coefficiente
di
riserva
obbligatoria).
BMB=jD,
j=coeff.
riserva
obbligatoria+coeff.
riserva
libera,
quindi
BM=(h+j)*D.
D=(1/h+j)BM;
1/(h+j)
è
il
moltiplicatore
dei
depositi.
I
depositi
risultano
un
multiplo
della
base
monetaria.
M=[(h+1)/(h+j)]BM;
h+1/h+j=moltiplicatore
della
moneta.
La
moneta
è
un
multiplo
della
base
monetaria.
‐Determinanti
del
moltiplicatore
della
moneta:
a
parità
di
base
monetaria,
la
quantità
di
moneta
è
tanto
maggiore
quanto
minore
è
j
(essendo
al
denominatore);
quanto
minore
è
h,
essendo
la
propensione
degli
operatori
a
detenere
base
monetaria
presso
di
se.
CAP.
20
‐L’inflazione
misura
il
tasso
percentuale
di
aumento
dell’indice
generale
dei
prezzi.
L’inflazione
comporta
costi
ed
è
quindi
un
inefficienza
nell’aggregato
dell’economia.
Si
può
distinguere
tra:
a)
costi
di
inflazione
prevista;
b)
non
prevista.
‐Teoria
quantitativa
della
moneta,
equazione
degli
scambi:
Mv=Py
dove
“v”
misura
la
velocità
di
circolazione
della
moneta
(M)
e
“Py”
esprime
il
valore
nominale
della
produzione;
è
un
identità
che
stabilisce
che
in
un
arco
di
tempo
il
valore
degli
acquisti
è
pari
al
valore
delle
vendite
ed
entrambi
sono
pari
al
valore
degli
scambi.
‐ΔP=ΔM‐Δy
afferma
che
il
tasso
di
inflazione
è
pari
alla
differenza
fra
il
tasso
di
crescita
della
moneta
e
il
tasso
di
crescita
della
produzione
reale:
a)
quando
il
reddito
è
costante,
cioè
quando
l’economia
è
in
condizioni
di
piego
impiego
nel
breve
periodo
la
Δy=0
allora
risulta
ΔP=ΔM,
vi
può
essere
inflazione
se
vi
è
un
aumento
della
quantità
di
moneta;
b)
nel
lungo
periodo
l’aumento
della
quantità
di
moneta
può
essere
compatibile
con
l’assenza
di
inflazione
se
essa
avviene
al
tasso
in
cui
aumenta
la
produzione
reale
ΔP=0
quindi
ΔM=Δy.
L’inflazione
è
da
attribuire
al
fatto
che
la
massa
di
moneta
cresce
più
velocemente
della
crescita
della
produzione
reale.
‐Questa
teoria
viene
ripresa
dai
monetaristi
che
ritengono
essere
l’aumento
dell’offerta
di
moneta
l’unica
causa
dell’inflazione.
Quando
aumenta
l’offerta
di
moneta
si
ha
un
eccesso
di
offerta,
i
privati
si
liberano
della
moneta
che
non
vogliono
e
ciò
causa
un
effetto
di
domanda
su
tutti
gli
altri
mercati,
la
quale
genera
l’aumento
del
livello
dei
prezzi.
I
monetaristi
contestano
l’idea
che
l’eccesso
di
domanda
non
accompagnato
da
espansione
monetaria
possa
causare
inflazione
(fenomeno
dello
spiazzamento).
Spiegazione:
si
ha
un
incremento
della
spesa
pubblica
finanziata
in
deficit
senza
aumento
di
offerta
di
moneta.
Ciò
determina
un
aumento
del
tasso
d’interesse
di
equilibrio
il
quale
porterà
le
imprese
private
a
ridurre
la
loro
domanda
di
investimento
–
spiazzamento.
Se
invece
la
politica
fiscale
espansiva
è
accompagnata
da
un
aumento
di
offerta
di
moneta
quest’ultima
contrasterà
l’innalzamento
del
tasso
d’interesse
–
niente
spiazzamento
–
quindi
inflazione.
‐Scuola
della
spinta
da
costi:
parte
da
tre
ipotesi
fondamentali:
a)
i
prezzi
non
vengono
stabiliti
dall’interazione
di
domanda
e
offerta
ma
fissati
dalle
imprese;
b)
i
prezzi
dei
loro
prodotti
seguono
regole
soddisfacenti;
c)
le
imprese
fissano
i
prezzi
dei
prodotti
calcolando
il
costo
medio
e
maggiorandolo
con
un
margine
di
profitto
(mark‐up)
P=gCMe
dove
g=1+m.
‐Le
imprese
possono
essere
spinte
ad
aumentare
i
prezzi
o
dall’aumento
dei
margini
di
profitto,
o
dei
costi
medi.
I
costi
medi
dipendono
principalmente
da
due
fattori
produttivi:
a)
costo
delle
materie
prime,
per
cui
qualunque
sia
la
ragione
dell’aumento
del
prezzo,
che
le
imprese
nazionali
debbono
pagare,
per
l’acquisto
di
un
input
importato,
si
ripercuoterà
sul
livello
dei
prezzi
interni,
che
aumenteranno
(“inflazione
importata”);
b)
costo
del
lavoro,
poiché
il
Costo
del
Lavoro
per
Unità
di
Prodotto
CLUP=WL/Y
quindi
CLUP=W/(Y/L);
se
π=(Y/L)
allora
CLUP=W/π
(rapporto
tra
salario
nominale
e
produttività
media
del
lavoro)
quindi
il
costo
del
lavoro
aumenta
se
aumenta
il
salario
nominale,
mentre
diminuisce
quando
aumenta
la
produttività
media
del
lavoro.
P=g+W‐π
(variazioni)
ossia
la
variazione
percentuale
del
prezzo
è
data
dalla
somma
del
tasso
di
variazione
percentuale
dei
margini
di
profitto
più
la
variazione
del
salario
nominale
meno
il
tasso
di
http://unict.myblog.it
9
variazione
della
produttività
media
del
lavoro.
Se
i
margini
di
profitto
delle
imprese
non
variano
(g=0)
e
se
i
salari
nominali
crescono
allo
stesso
tasso
al
quale
cresce
la
produttività
media
del
lavoro
(regola
aurea
di
P.E.
applicata
ai
contratti
di
lavoro)
allora
la
quota
di
reddito
che
va
al
fattore
lavoro
rimane
inalterata
e
non
ci
sarà
inflazione.
‐Inflazione
strutturale:
aumenti
salariali
che
sarebbero
giustificati
in
un
settore
(poiché
in
questo
settore
la
produttività
del
lavoro
è
cresciuta
altrettanto)
quando
sono
applicati
ad
altri
settori
(nei
quali
la
produttività
è
cresciuta
di
meno)
sono
causa
di
inflazione.
‐Morbo
dei
costi
di
Baumol:
riguarda
la
tendenza
all’aumento
dei
salari
in
settori
nei
quali
la
produttività
del
lavoro
è
costante.
‐La
politica
dei
redditi
rappresenta
un
tentativo
di
influenzare
–
tramite
accordo
tra
le
parti
sociali
–
la
dinamica
delle
variabili
macroeconomiche
(prezzi,
salari,
investimenti,
ecc.)
accompagnando
l’accordo
con
impegni
da
parte
del
Governo
riguardo
variabili
che
rappresentano
strumenti
di
P.E..
Si
suddividono
in:
a)
politiche
dirigiste,
nel
caso
in
cui
il
P.M.
intervenga
con
atto
autoritativo;
b)
politiche
istituzionali,
nel
caso
in
cui
il
P.M.
partecipa
a
incontri
triangolari
assieme
ai
rappresentanti
dei
lavoratori
e
degli
imprenditori;
c)
politiche
di
mercato,
in
cui
il
P.M.
rimane
estraneo.
‐L’inflazione
consente
di
conseguire
rilevanti
redistribuzioni
di
reddito.
CAP.
21
‐Arthur
Phillips
trovava
la
relazione
tra
tasso
di
disoccupazione
e
tasso
di
variazione
del
salario
nominale,
di
segno
negativo.
Per
valori
di
disoccupazione
crescenti,
la
variazione
dei
salari
è
decrescente.
La
curva
interseca
l’asse
orizzontale
in
corrispondenza
di
un
valore
di
disoccupazione
intorno
al
5.5%
(tasso
di
disoccupazione
di
equilibrio).
Non
si
osserva
mai
un
valore
della
disoccupazione
inferiore
allo
0.8%
mentre
il
tasso
di
variazione
del
salario
non
è
mai
inferiore
al
‐1%.
Si
può
sostituire
l’inflazione
ai
salari
quindi
alta
inflazione
comporta
bassa
disoccupazione
e
viceversa.
‐Disoccupazione
frizionale:
l’impossibilità
di
trovare
immediatamente
la
corrispondenza
tra
posti
vacanti
e
lavoratori
in
cerca
di
lavoro.
‐Critica
di
Friedman:
l’errore
risiede
nel
confondere
il
salario
nominale
con
il
salario
reale
e
nel
non
considerare
l’effetto
che
l’inflazione
esercita
sulle
aspettative
di
inflazione.
CAP.
23
‐Bilancia
dei
pagamenti:
è
un
documento
contabile
che
registra
gli
scambi
economici
che
intercorrono
tra
i
residenti
di
un
paese
e
il
resto
del
mondo.
E’
un
conto
che
viene
tenuto
secondo
le
regole
della
partita
doppia.
Registra
gli
scambi
economici
durante
un
periodo
di
tempo
e
riguarda
lo
scambio
tra
residenti
e
non
residenti.
Le
due
sezioni
principali
sono:
le
partite
correnti
(beni
e
servizi)
e
la
bilancia
dei
movimenti
di
capitale
finanziario
(attività
e
passività
finanziarie)
quindi
BP=PC+SMK.
Dall’esito
della
BdP
dipende
l’afflusso
o
il
deflusso
di
valuta
estera.
‐Tasso
di
cambio:
il
prezzo
di
una
valuta
nei
confronti
di
un’altra
valuta.
Due
modi
differenti:
a)
incerto
per
certo,
esprime
quante
unità
della
moneta
domestica
si
scambiano
contro
un’unità
di
valuta
estera;
b)
certo
per
incerto,
un’unità
di
valuta
domestica
a
quante
unità
di
valuta
estera
corrisponde.
‐Sistemi
di
cambio:
si
intende
un
accordo
fra
due
o
più
paesi
con
il
quale
vengono
fissate
regole
per
lo
scambio
tra
le
rispettive
monete.
‐Cambio
fisso:
quando
due
o
più
paesi
si
accordano
per
stabilire
in
modo
univoco
il
loro
tasso
di
cambio.
‐Cambio
flessibile:
se
non
esiste
nessun
accordo
e
il
tasso
di
cambio
viene
quindi
stabilito
dalle
forze
di
mercato
(domanda
e
offerta
di
valuta).
‐PPP
(Parità
del
Potere
d’Acquisto,
PPA):
il
valore
naturale
del
tasso
di
cambio
sarebbe
quello
che
garantisce
la
parità
del
potere
d’acquisto,
espresso
in
due
valute
diverse.
‐Effetti
delle
modificazioni
del
tasso
di
cambio:
a)
effetti
sulle
partite
correnti
(svalutazione
o
deprezzamento),
diventa
più
costoso
acquistare
valuta
estera;
i
beni
e
servizi
risultano
più
a
buon
mercato
e
quindi
più
competitivi
per
chi
acquista
dall’estero;
b)
effetti
sui
movimenti
di
capitali
finanziari,
le
decisioni
finanziarie
dipendono
dal
tasso
d’interesse;
l’equivalenza
del
rendimento
fra
titoli,
uno
in
valuta
domestica
e
l’altro
in
valuta
estera,
è
rd=rf‐Δeexp
(dove
Δeexp
indica
la
variazione
attesa
del
tasso
di
cambio)
quindi
affinché
vi
sia
parità
nel
rendimento
dev’essere
vero
che
il
tasso
d’interesse
domestico
sia
pari
al
tasso
d’interesse
nominale
estero
decurtato
del
tasso
di
variazione
del
cambio.
‐I
meccanismi
economici
di
riequilibrio
automatico
della
bilancia
del
pagamenti:
una
bilancia
di
pagamenti
in
deficit
in
un
regime
di
cambi
flessibili
porta
a
un
deprezzamento
della
moneta
giacché
defluiscono
dal
paese
valuta
domestica
in
ammontare
superiore
rispetto
a
quella
che
in
esso
affluiscono;
il
deprezzamento
però
comporta
un
aumento
di
competitività
di
prezzo
del
prodotto
nazionale
con
effetti
positivi
sulle
partite
correnti.
http://unict.myblog.it
10
‐Meccanismo
automatico
di
aggiustamento
basato
sui
prezzi
relativi:
si
tratta
di
uno
stabilizzatore
automatico.
‐In
un
sistema
a
cambi
fissi
gli
squilibri
della
BdP
si
ripercuotono
sull’offerta
di
moneta
precisamente,
un
surplus
della
BdP
si
traduce
in
un
aumento
di
offerta
di
moneta,
mentre
un
deficit
in
una
riduzione.
Una
politica
volta
a
ridurre
l’offerta
di
moneta
per
controbattere
un
suo
naturale
aumento
dovuto
al
surplus
dei
conti
con
l’estero
si
chiama
“operazione
di
sterilizzazione”.
‐L’Autorità
di
P.E.
può
ritenere
opportuno
intervenire
per
ripianare
squilibri
nei
conti
con
l’estero
attraverso
variazioni
nel
tasso
di
cambio.
Affinché
ciò
sia
efficace
esistono
5
precondizioni:
1)
condizione
di
Marshall‐Lerner,
le
importazioni
e
le
esportazioni
siano
sufficientemente
reattive
al
tasso
di
cambio;
2)
effetto
J,
per
osservare
i
risultati
dell’azione
di
P.E.
può
essere
necessario
del
tempo;
3)
assenza
di
strozzature
nel
lato
dell’offerta,
quando
la
produzione
di
fronte
a
una
svalutazione
della
moneta
non
riesce
a
sostenere
l’aumento
della
domanda;
4)
effetto
pass‐through,
non
sempre
una
svalutazione
si
traduce
in
maggiore
competitività
per
i
consumatori
finali
ma
può
tradursi
in
un
maggiore
profitto
per
gli
intermediari
commerciali;
5)
aspettative
di
svalutazione,
spesso
una
svalutazione
della
moneta
induce
aspettative
di
ulteriore
svalutazione
(e
queste
si
realizzano).
‐La
relazione
BP
esprime
l’insieme
delle
combinazioni
di
reddito
e
tasso
d’interesse
di
un
economia
che
assicurano
il
pareggio
della
bilancia
dei
pagamenti,
l’inclinazione
è
positiva
e
dipende
da
m/α.
La
pendenza
è
tanto
maggiore
quanto
è
maggiore
la
propensione
a
importare
e
quanto
meno
sensibile
sono
i
movimenti
di
capitali
finanziari
rispetto
al
tasso
di
interesse.
CAP.
24
‐Modello
IS‐LM‐BP:
IS
e
LM
raggiungono
i
loro
equilibri
nel
breve
periodo
–
grazie
a
modifiche
endogene
della
produzione;
questo
equilibrio
comporta
conti
con
l’estero
(BP)
che
possono
essere
in
disequilibrio
nel
breve
periodo,
inoltre
si
mettono
in
moto
processi
di
aggiustamento
automatico
di
conti
con
l’estero
che
portano
al
lungo
periodo
all’equilibrio
su
tutti
e
tre
i
mercati.
‐Effetti
di
breve
periodo:
quando
raggiungono
la
nuova
posizione
di
equilibrio
i
mercati
di
beni
e
moneta,
mentre
si
tollera
il
disequilibrio
nella
bilancia
dei
pagamenti
‐Effetti
di
lungo
periodo:
quando
meccanismi
di
aggiustamento
automatico
dei
conti
con
l’estero
portano
equilibrio
su
tutti
e
tre
i
mercati.
‐Curva
IS:
si
sposta
a
destra
a
seguito
di
incrementi
di
domanda
autonoma,
in
particolare
politiche
fiscali
espansive,
ma
anche
di
svalutazioni
o
deprezzamento
del
tasso
di
cambio
che
attiva
una
maggiore
domanda
dovuta
all’incremento
di
competitività
della
produzione.
‐Curva
LM:
si
sposta
a
destra
a
seguito
di
incrementi
dell’offerta
di
moneta,
che
possono
essere
determinati
da
politiche
monetarie
espansive
o
aumento
della
Base
Monetaria
(es.
un
attivo
nella
bilancia
del
pagamenti).
‐Curva
BP:
si
sposta
a
destra
per
una
svalutazione
del
tasso
di
cambio.
‐
Assumendo
che
i
capitali
siano
poco
mobili
la
curva
BP
sarà
piuttosto
ripida
(più
della
LM),
altrimenti
sarà
più
piatta
(più
della
LM).
‐Politica
fiscale
espansiva
con
cambi
flessibili:
*Si
parte
da
una
posizione
di
equilibrio
su
tutti
i
mercati.
In
seguito
a
una
P.F.E.
la
IS
si
sposta
a
destra
e
il
sistema
trova
equilibrio
di
breve
periodo
in
un
punto
in
cui
si
ha
maggior
reddito
e
tasso
d’interesse.
Ciò
comporta
un
effetto
ambiguo
sulla
BP:
l’aumento
di
reddito
fa
peggiorare
le
partite
correnti;
l’aumento
del
tasso
di
interesse
fa
migliorare
il
saldo
dei
movimenti
di
capitali
finanziari.
Se
i
capitali
finanziari
sono
poco
mobili
(1)
prevalgono
le
partite
correnti,
altrimenti
se
molto
mobili
(2)
prevale
il
movimento
del
saldo
di
capitale
finanziario.*
‐In
(1)
l’equilibrio
di
breve
periodo
si
viene
a
trovare
al
di
sotto
della
curva
BP,
quindi
si
ha
un
deficit
della
bilancia
dei
pagamenti.
Si
mettono
in
atto
meccanismi
di
aggiustamento
automatico;
il
cambio
si
deprezza,
ciò
comporta
un’ulteriore
spostamento
verso
destra
di
IS
grazie
alla
maggiore
competitività
e
uno
spostamento
verso
destra
della
curva
BP,
fino
a
quando
il
punto
di
intersezione
IS‐LM
non
cade
su
BP
(equilibrio
di
lungo
periodo).
Questi
meccanismi
hanno
rafforzato
gli
effetti
di
aumento
sul
reddito
e
sul
tasso
di
interesse
della
P.F.E.
nel
lungo
periodo.
‐In
(2)
l’equilibrio
di
breve
periodo
si
viene
a
trovare
al
di
sopra
della
curva
BP,
quindi
un
surplus
della
bilancia
dei
pagamenti;
ciò
comporta
un
apprezzamento
del
cambio
che
farà
spostare
la
BP
verso
sinistra,
anche
la
IS
si
sposta
verso
sinistra
a
causa
della
perdita
di
competitività
di
prezzo
della
produzione
nazionale,
la
domanda
autonoma
si
contrae,
questi
spostamenti
proseguono
fino
a
quando
non
si
raggiunge
l’equilibrio,
l’effetto
della
P.F.E.
di
innalzare
reddito
e
tasso
di
interesse
viene
attenuato
dai
meccanismi
di
aggiustamento
automatico.
http://unict.myblog.it
11
‐Gli
effetti
espansivi
di
P.F.E.
vengono
esaltati
nel
lungo
periodo
qualora
i
capitali
finanziari
siano
poco
mobili,
altrimenti
sarebbero
attenuati.
‐Politica
fiscale
monetaria
con
cambi
flessibili:
**
in
seguito
a
una
P.M.E.,
la
curva
LM
si
sposta
a
destra,
ciò
determina
un
aumento
del
reddito
di
equilibrio
e
una
diminuzione
del
tasso
di
interesse
di
equilibrio.
Ciò
comporta
un
peggioramento
delle
partite
correnti
e
del
saldo
dei
movimenti
di
capitale
finanziario
(tanto
maggiore
quanto
più
i
capitali
sono
mobili).
‐Sia
in
(1)
che
in
(2)
il
punto
di
equilibrio
nel
breve
periodo
si
trova
al
di
sotto
di
BP.**
Il
passivo
dei
conti
con
l’estero
provoca
un
deprezzamento
del
tasso
di
cambio,
e
questo
comporta
uno
spostamento
verso
destra
sia
della
curva
IS
che
di
BP.
Questi
spostamenti
proseguiranno
fino
a
quando
si
troverà
un
equilibrio
di
lungo
periodo
sulla
BP.
Rispetto
all’equilibrio
di
breve
periodo
i
meccanismi
di
aggiustamento
automatico
esaltano
l’effetto
espansivo
sul
reddito
della
P.M.E.
mentre
riducono
il
decremento
del
tasso
di
interesse.
‐Politica
fiscale
espansiva
con
cambi
fissi:
*
In
(1)
l’equilibrio
di
breve
periodo
si
trova
al
di
sotto
di
BP
(deficit),
ciò
mette
in
atto
mecc.
di
agg.
aut.
e
essendo
in
regime
a
cambi
fissi,
si
distrugge
base
monetaria
e
la
LM
si
sposta
verso
sinistra
(come
una
P.M.R.).
Gli
spostamenti
continuano
fino
a
che
i
conti
con
l’estero
siano
tornati
in
equilibrio
sulla
BP
nel
lungo
periodo.
Questi
meccanismi
portano
a
limitare
gli
effetti
espansivi
sul
reddito
della
P.F.E.
e
ad
aumentare
il
tasso
d’interesse.
‐In
(2)
l’equilibrio
di
breve
periodo
si
trova
al
di
sopra
di
BP
(surplus),
quindi
si
genera
base
monetaria
e
la
LM
si
sposta
verso
destra
(come
una
P.M.E.).
Ciò
porta
il
reddito
ad
aumentare
nel
lungo
periodo
mentre
il
tasso
di
interesse
diminuisce
rispetto
al
breve.
‐Politica
monetaria
espansiva
con
cambi
fissi:
**
In
un
regime
a
cambi
fissi
ciò
(deficit)
si
traduce
in
distruzione
di
base
monetaria
(come
una
P.M.R.)
e
comporta
uno
spostamento
verso
sinistra
della
LM
fermo
restando
IS
e
BP.
La
curva
LM
inizia
a
tornare
indietro
fin
quando
non
si
torna
fino
al
punto
di
partenza
iniziale,
ciò
vale
qualunque
sia
la
mobilità
dei
capitali.
‐La
P.M.
con
cambi
fissi
è
totalmente
inefficace
nel
lungo
periodo
e
può
avere
effetti
soltanto
transitori.
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