Riassunti di “Politica Economica di Roberto Cellini” CAP. 1 ‐La P.E. è una quella parte della scienza economica che studia una comunità riguardo l’individuazione di fini, il modo di perseguirli e l’esito di un eventuale intervento. ‐Per comunità intendiamo un aggregato di individui dagli obiettivi eterogenei e potenzialmente conflittuali. ‐La teorie delle scelte collettive studia come individuare obiettivi della collettività partendo dai singoli. ‐La P.E. gestisce i conflitti tra gli obiettivi che ci si è assegnati. ‐Individuati i fini, si passa al loro perseguimento in termini di intervento e non‐intervento. ‐La teoria della controllabilità studia le condizioni che vanno soddisfatte affinché un fine possa essere considerato raggiungibile. ‐Una volta individuati i fini e il modo per perseguirli ci si può trovare di fronte a un conflitto tra obiettivi previsti e obiettivi realizzati. I motivi per cui questo conflitto può essere spiegato possono essere: a) set informativo errato; b) tempi inappropriati; c) ecc. ‐I soggetti della P.E. possono essere di due categorie: 1) privati (consumatori, imprese); 2) Autorità di P.E. (aggregatore delle preferenze individuali). L’Autorità di P.E. può avere vari profili: a) Musgrave – “modello dei bureau”: 1) Allocation B., obiettivi di efficienza microeconomica; 2) Stabilization B., obiettivi macroeconomici; 3) Redistribution B., redistribuzione dei redditi; b) policy‐maker di livello nazionale o territoriale più limitato; c) politici (individuazione e modo per perseguire i fini) e burocrati (raggiungimento effettivo di tali fini). CAP. 2 ‐L’economia cerca di seguire un metodo scientifico, comprendente la costruzione di un modello. ‐Un modello può essere letto in modo positivo (o descrittivo, cioè spiegando cosa succede e perché) o in modo normativo (o prescrittivo, cioè spiegandoci cosa deve essere fatto affinché vengano raggiunti determinati obiettivi). ‐In ogni modello abbiamo variabili endogene (cioè spiegate all’interno del modello) ed esogene (il cui valore viene considerato dato e non spiegato all’interno del modello). ‐La P.E. è interessata a leggere i modelli in modo normativo e tratta come esogeno ciò che una lettura positiva del modello interpreta come endogeno. ‐La forma strutturale è data dall’insieme di equazioni che lo compongono e tutte le sue variabili (sia endogene che esogene), mentre nella forma ridotta ciascuna variabile endogena risulta funzione soltanto di variabili esogene. ‐Per obiettivi di P.E. intendiamo un traguardo o un fine dell’azione dell’Autorità di P.E. Si distingue tra fissi e flessibili. ‐Con obiettivo fisso si ricerca un valore puntuale, con flessibile si mira a raggiungere un valore minimo o massimo di una funzione. ‐Per strumenti di P.E. si intende una variabile usata dal policy‐maker come leva per raggiungere un fine. ‐Il teorema della regola aurea di Tinbergen dice che “condizione necessaria affinché un modello statico e deterministico di P.E. con obiettivi fissi sia controllabile è che il numero di strumenti a disposizione del policy‐maker sia almeno pari al numero degli obiettivi”. ‐Quando ci si è posti più obiettivi rispetto agli strumenti si può: a) lasciar perdere alcuni obiettivi; b) costruire nuovi strumenti; c) abbandonare l’obiettivo fisso e spostarci su di uno flessibile. ‐Critica di Robert Lucas: era contro la risolvibilità di un sistema attraverso equazioni matematiche; nel momento stesso nel quale l’azione di P.E. viene messa in atto, muta il quadro nel quale gli individui privati si muovono e quindi mutano pure i loro criteri comportamentali; l’effetto della P.E. sulle variabili obiettivo è imprevedibile perché non è prevedibile il modo in cui cambiano i parametri comportamentali; la P.E. ha effetto sulle variabili economiche ma in un modo che non può essere previsto sulla base dei comportamenti osservati in passato. CAP. 5 ‐Il modello teorico dell’equilibrio economico generale si basa su 5 postulati. Se soddisfatti, questi 5 postulati fanno valere il “primo teorema fondamentale dell’economia del benessere” e cioè che ogni allocazione di equilibrio generale abbia efficienza paretiana: 1) i prezzi devono essere dati; 2) utilità – assenza di esternalità; 3) diritto di proprietà, consapevolezza di chi detiene il controllo di un bene (aria pulità); 4) completezza dei mercati, esiste un mercato per ogni bene; 5) completezza di informazione. Altrimenti fallimento microeconomico di mercato; condizione in cui il meccanismo produce esiti rispetto ai quali tutti potrebbero stare meglio (allocazione inefficiente). ‐Sul mercato dei beni sono presenti due categorie di soggetti: chi domanda e chi offre. http://unict.myblog.it 1 ‐Benessere dei consumatori, surplus netto che è la misura monetaria dell’utilità che i consumatori traggono per il fatto che pagano un bene a un prezzo che risulta inferiore a quello che sarebbero stati disposti a pagare. ‐Benessere degli offerenti: 1) profitto d’impresa (π=RIC‐CT, utilizzabile per qualunque sia la forma di mercato vigente); 2) surplus dei produttori (in contesto di perfetta concorrenza) misura monetaria dell’utilità (rif. surplus netto dei consumatori). ‐Benessere sociale: 1) SW1= CS+∑πi; 2) SW2= CS+FS; si dice efficiente in senso allocativo la configurazione che rende massimo il benessere sociale (quando il prezzo del bene eguaglia il costo marginale). ‐Teorema del Second best: se l’eguaglianza tra prezzo del bene e costo marginale non vale su tutti i mercati, non è necessariamente vero che il benessere sociale è funzione crescente del numero di mercati sui quali è soddisfatta l’eguaglianza tra prezzo e costo marginale. ‐Si giustifica un intervento di P.E. anche in mercati in senso allocativo se sono insoddisfacenti sulla base di valutazione aprioristiche (es. prezzo troppo basso e iniquo per classi sociali, prodotti agricoli). ‐Strumenti del policy‐maker: a) pavimenti al prezzo; b) interv. dir. sulle quantità ; c) interv. ind. sulle quantità (camp. pubbl.); d) inter. dir. sulle quantità domandate e offerte, tramite revisione delle imposte. Questi interventi comportano costi quindi bisogna valutare se il costo è maggiore del beneficio. ‐Teorema di Poole e Weitzman: in condizioni di certezza l’intervento diretto tramite vincolo su quantità conduce allo stesso risultato dell’intervento indiretto tramite imposizione sui prezzi. Circa l’efficienza non è possibile stabilire quale sia migliore tra i due. ‐ Si ha ottimo paretiano (detto anche efficienza allocativa) quando non è possibile alcuna riorganizzazione della produzione che migliori le condizioni di almeno una persona senza diminuire quelle degli altri. ‐Efficienza dinamica: a) in senso paretiano, si considerano le generazioni che si susseguono nel tempo; b) una configurazione che massimizza il tasso di crescita di una variabile. ‐Conflitto fra efficienza ed equità. ‐Obiettivi di efficienza perseguiti in ambito macroeconomico: 1) reddito di pieno impiego; 2) inflazione nulla o limitata; 3) equilibrio nei conti con l’estero (bilancia dei pagamenti in pareggio); 4) crescita economica; 5) stabilizzazione dei debiti. CAP. 6 ‐Inefficienza allocativa del monopolio: obiettivo dell’impresa monopolista è la massimizzazione della differenza tra ricavo e costo totale (π=Q*P(Q)‐c(Q), si ottiene quando il ricavo marginale è uguale al costo marginale). La differenza tra benessere sociale massimo e benessere sociale di monopolio è proprio la perdita netta o secca di monopolio. ‐Monopolio naturale: causato dalla configurazione del mercato che rende impossibile che più di un’impresa possa ottenere profitti positivi (quando il prezzo è uguale al costo marginale, il profitto d’impresa è negativo). ‐Inefficienza dinamica del monopolio, questione aperta: secondo Schumpeter la crescita economica associata a regimi di monopolio è più forte rispetto a quella di concorrenza perfetta, tramite investimenti più pesanti in R&S; secondo Arrow la concorrenza garantisce un tasso di crescita economica più elevato poiché chi gode di rendite monopolistiche non ha incentivo a compiere R&S e peggiore circolazione di informazioni. ‐Se l’Autorità di P.E. non tollera il monopolio, si liberalizza il mercato tramite politiche di tipo istituzionale o concessioni di sussidi per imprese entranti. ‐Se si tollera il monopolio: 1) statalizzare l’impresa, giustificazioni teoriche: a) se si hanno profitti positivi questi vanno allo Stato; b) altrimenti si rende massimo il benessere sociale; 2) influenzare il comportamento attraverso la regolamentazione (quantità o prezzo ‐ second best, prezzo=costo medio ‐). ‐Price cap: forma di regolamentazione che consente all’impresa di aumentare il prezzo, da un anno all’altro, non oltre un ammontare stabilito (Δpi=ΔP‐X). ‐Limite superiore al tasso di rendimento del capitale. ‐Asta alla Demsetz. –Teoria dei mercati contendibili. ‐Oligopolio alla Cournot: numero limitato di imprese che puntano al massimo profitto scegliendo la quantità da produrre, ciò incide sulla quantità immessa sul mercato e quindi sul prezzo, si ha interdipendenza strategica. In termini di efficienza allocativa ci si trova in una situazione tra monopolio e concorrenza perfetta. ‐Oligopolio alla Bertrand: la variabile di scelta è il prezzo da praticare. Le imprese hanno le stesse strutture di costi, il prezzo sarà pari al costo marginale e quindi equilibrio. Se non hanno la medesima struttura dei costi, l’impresa che ce l’ha più bassa si accaparra dell’intero mercato, quindi l’oligopolio alla Bertrand determina un equilibrio che replica la concorrenza perfetta (paradosso di Bertrand). http://unict.myblog.it 2 ‐Concorrenza monopolistica: forma di mercato in cui ogni impresa produce un bene differenziato rispetto a quello prodotto da tutti i concorrenti (monopolista di nicchia). ‐Il cartello: si configura come accordo di cartello ogni intesa tra imprese volta a modificare l’allocazione di mercato in favore delle imprese stesse e a danno del consumatore (ridurre la quantità determinando un incremento del prezzo). ‐Minore è il grado di sostituibilità fra i prodotti e più significativo risulterà l’allontanamento dalla concorrenza perfetta. CAP. 7 ‐Le politiche antitrust rappresentano l’insieme di norme e azioni di P.E. messe in atto al fine di impedire comportamenti che non rispettano la libera concorrenza. ‐In USA le normative antitrust sono nate in anticipo rispetto all’Europa, perché negli USA lo Stato non entra nel mercato ma lo sorveglia dall’esterno tramite l’attuazione di queste normative; in Europa si sceglie di far intervenire direttamente lo Stato nel mercato nel lato dell’offerta, quindi è lo Stato‐imprenditore a correggere le inefficienze allocative. L’Europa era aperta a scambi internazionali che garantivano una maggiore concorrenzialità, a differenza degli USA che aveva un economia chiusa. ‐Esperienza USA. 1890, Sherman Antitrust Act: sono vietate le collusioni a scapito dell’interesse pubblico, monopolizzazione e tentativi di monop. 1914, Clayton Act: più rigida, sanziona pratiche di discriminazione di prezzo, pratiche di contratti in esclusiva, impedisce fusioni, ecc. 1914, istituzione del Federal Trade Commission Act: garante della concorrenza. ‐Esperienza EUROPA (Italia). 1957, Trattato di Roma: si vieta la fissazione diretta o indir. di prezzi di acquisto o di vendita di beni, si limita o controlla la produzione, i mercati, gli investimenti, ecc. In Italia con la legge 287 del 1990 che si rifà al Trattato di Roma, viene anche creata l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. ‐Creazione di Authority di sorveglianza di specifici settori, che hanno compiti più specifici e ambiti di intervento più circoscritti. ‐Liberalizzazione: ingresso di nuove imprese su mercati serviti da monopolisti ‐Privatizzazione: passaggio di proprietà da soggetti pubblici a privati. ‐Discussione di ordine temporale tra i due processi. CAP. 12 ‐Come il reddito si distribuisce all’interno di un sistema economico e quale sia la relazione fra la distribuzione e il benessere sociale. ‐Distribuzione personale: come si distribuisce tra i soggetti della comunità. ‐Distribuzione funzionale: come si distribuisce tra i fattori produttivi. ‐Distribuzione sociale: come si distribuisce tra le classi sociali. ‐Distribuzione settoriale: come si distribuisce tra i settori che compongono l’economia. ‐Distribuzione spaziale: come si distribuisce nel territorio. ‐L’unità da considerare è la famiglia (OCSE – scale di equivalenza). ‐Al fine di determinare la condizione di vita bisogna considerare il modo in cui il reddito è distribuito. ‐Indicatori di dispersione o variazione: esprimono quanto una distribuzione sia dispersa intorno alla media (varianza, sqm, rapporto percentilico). ‐ Indicatori di concentrazione: forniscono una misura di quanta parte di un carattere misurabile sia posseduto da una data frazione della popolazione (curva di Lorenz, calcolare le distribuzioni cumulate del reddito per individuare quale percentuale del reddito è posseduta dall’n% della popolazione, in caso di distribuzione equa retta di 45°; indice di Gini, dato dal rapporto fra l’area H e l’area del triangolo rettangolo, poiché l’area è sempre ½ l’indice è sempre il doppio dell’area H, varia tra 0 e 1). ‐Povertà in senso assoluto: individuo che ha un reddito giornaliero non superiore a un dollaro. ‐Povertà relativa (dipende dal contesto): quando il reddito equivalente è inferiore rispetto al 50 % del reddito individuale medio della comunità di riferimento. ‐ A parità di reddito medio, come varia il benessere sociale al variare del modo in cui il reddito è distribuito tra i diversi individui? Teorema di Atkinson: date due distribuzioni di reddito, quella che ha reddito medio maggiore e una curva di Lorenz più equa, ha maggiore benessere sociale. “Se ogni individuo ha funzione di utilità crescente e concava nel livello del proprio reddito e se l’ammontare di reddito complessivamente disponibile di una comunità non dipende dal modo in cui è distribuito, allora una distribuzione più equa del reddito è associata a un elevato livello di benessere sociale”. Quindi se si http://unict.myblog.it 3 sottrae una unità a chi ha reddito elevato per trasferirlo a chi ce l’ha basso il decremento di utilità arrecato al ricco sarà minore dell’incremento di utilità che riceverà il più povero; si richiede inoltre che la redistribuzione non sia costosa. ‐Critica alle ipotesi: Okun, “metafora del secchio bucato”; le politiche di distribuzione disincentivano la produzione del reddito di chi ha maggiore capacità di generarlo. ‐Distribuzione funzionale del reddito: la quota distributiva che spetta al fattore lavoro è il rapporto tra l’insieme delle remunerazioni che vanno al lavoro rispetto al reddito complessivo (αL=WN/Py). Problemi di misurazione: a) difficile capire qual è la remunerazione di un imprenditore; b) se considerare il salario con i contributi sociali, previdenziali o meno; c) lavoro nero. ‐Curva di Kuznets: si basa sugli indici di Gini e il livello del reddito pro‐capite in un insieme di Paesi e prende la forma di una U rovesciata. Paesi con reddito medio molto basso e molto alto mostrano indici di diseguaglianza bassi; mentre Paesi con reddito medio delle diseguaglianze più marcate. ‐Politiche di redistribuzione del reddito: 1) espliciti trasferimenti di reddito tra individui diversi (imposte e trasferimenti); 2) in modo indiretto fornendo beni e servizi a individui diversi che pagheranno prezzi diversi per il consumo di questi beni (discriminazioni di prezzo). ‐Imposizione fiscale progressiva: se l’aliquota media di imposizione è crescente nel livello di reddito. ‐Imposizione fiscale proporzionale: se l’aliquota d’imposta è uguale per tutti e non varia al variare del reddito. ‐Imposizione fiscale regressiva: se l’aliquota d’imposta decresce all’aumentare del reddito (imposta a somma fissa). CAP. 13 ‐Per welfare state si intende l’insieme di istituti messi in atto dallo Stato allorché intervenga nella sfera economica per promuovere la qualità della vita dei cittadini e combattere povertà e indigenze. ‐In Italia nascita dell’INPS durante il periodo fascista. Negli anni successivi alla WW2 in tutte le economie occidentali si registra un’espansione dell’intervento pubblico nell’economia, aiutato anche dal boom economico (tra gli anni 50 e 70). A seguito dello shock petrolifero del 73‐74 e della conseguente crisi, si mise in dubbio la sostenibilità dello stato sociale. Dall’80 infatti vennero ridimensionati i trasferimenti verso lo stato sociale. ‐La spesa per lo stato sociale si articola in: a) previdenza; b) assistenza; c) sanità. ‐Previdenza: coincide con la spese per pensioni; indica che nella fase lavorativa della vita si versano contributi in modo da poter contare su una rendita futura. Le motivazioni per cui è obbligatorio sono che i privati non sono in grado di percepire l’importanza della costruzione di una rendita pensionistica e non considerano le probabilità di infortuni; inoltre ampie quote di popolazione non coperte da pensione rappresentano un’esternalità negativa. ‐Pensione di vecchiaia: percepita da coloro che hanno raggiunto l’età avanzata. ‐Pensione di anzianità: percepita da persone che decidono di ritirarsi dal lavoro e di percepire quanto possono in base a quanto hanno versato. ‐Pensione di reversibilità: percepita dal coniuge di chi ha pagato ed è venuto a mancare. ‐Pensione di invalidità: percepita da chi non è in grado di poter esercitare una normale attività lavorativa. ‐Pensione sociale: percepita da soggetti che sono privi di mezzi di sostentamento. ‐Sistema pensionistico a capitalizzazione: ciascun lavoratore versa contributi all’ente pensionistico che li investe e creano interessi che serviranno a coprire in parte la spesa per l’erogazione della pensione. ‐Sistema pensionistico a ripartizione: i contributi versati in ciascun periodo dai lavoratori vengono utilizzati per erogare le prestazioni pensionistiche a chi si trova nella seconda parte della propria vita [Nt+1*ht+1)/Nt]. ‐Il rendimento del sistema a ripartizione dipende dal tasso di crescita demografico n e dal tasso di crescita della produttività g (patto intergenerazionale). Mentre quello a capitalizzazione dipende dal tasso di interesse r (mercato). ‐Regime contributivo e regime retributivo: a seconda che il calcolo venga fatto in relazione ai contributi o alle retribuzioni percepite. ‐Indice di dipendenza: numero di pensionati in rapporto al numero di lavoratori. ‐Indice di gravosità della spesa pensionistica: rapporto tra spesa pensionistica e PIL che è uguale all’indice di dipendenza*S/W. ‐Assistenza: a) politiche di sostegno agli individui intese a combattere povertà e disagi, suddivise tra selettive e universali. Il dividendo sociale è un sussidio di entità prefissata concessa a tutti i cittadini; imposta sul reddito negativa, fissando una soglia di reddito y*, se il reddito dell’individuo è maggiore a questa soglia dovrà pagare le tasse, altrimenti avrà un sussidio; b) ammortizzatori sociali, istituti che mitigano il disagio legato all’interruzione del rapporto di lavoro, tra cui: Cassa http://unict.myblog.it 4 integrazione ordinaria, straordinaria, indennità di immobilità e di disoccupazione. Ammortizzatori sociali benevoli potrebbero disincentivare l’offerta di lavoro e stimolare il lavoro nero; c) politiche per la casa, tutte quelle misure che intendono favorire il reperimento di abitazioni. IACP (Istituti Autonomi di Case Popolari); d) politiche per il diritto allo studio, intendono rendere sostanziale il diritto allo studio attraverso tasse legate al reddito familiare, o concessione di contributi o esenzione al pagamento parziale o totale delle tasse. ‐Sanità: le spese per la sanità comprendono cure mediche di base, prestazioni specialistiche, ricoveri ospedalieri, interventi chirurgici e farmaci. I sistemi sanitari si distinguono in tre categorie: 1) il modello pubblico, tutti i cittadini hanno la possibilità di usufruire dei servizi sanitari il cui costo è coperto dalla fiscalità generale; 2) modello privato, tutti i beni e servizi siano scambiati tramite meccanismi di mercato; 3) modello misto, quello prevalente nei Paesi europei. CAP. 14 ‐Le politiche industriali sono l’insieme di politiche che mirano a governare la struttura produttiva e il potenziale produttivo dell’economia e influenzano le decisioni di produzione. ‐Il sistema economico prevede la distinzione in tre settori: a) agricoltura, attività legate alla produzione di beni agricoli, allevamento; b) industria, si scompone in manifattura, energia elettrica e costruzioni; c) servizi, comprende tutte le attività che hanno come output beni immateriali. (Clark). ‐Il processo di sviluppo economico coincide con un’espansione dell’industriale e una contrazione dell’agricolo poiché la produttività del lavoro cresce più velocemente nell’industriale, ciò porta a una più rapida crescita della produttività del lavoro a livello aggregato. Il mutamento strutturale è alla base del processo di sviluppo economico. Da qualche decennio il mutamento strutturale riguarda la contrazione dell’industria sui servizi; poiché la produttività del lavoro cresce meno nei servizi ciò porta ad abbassare il tasso di crescita della produttività del lavoro a livello aggregato. ‐Politiche industriali selettive (anni 50‐70): dopo la WW2 si pose come obiettivo la ricostruzione dell’apparato produttivo. Le prime istituzioni (CECA, EURATOM) sono nate per rafforzare la struttura produttiva dei Paesi della Comunità europea in specifici settori, ritenuti di particolare importanza strategica per i Paesi della Comunità, come ad esempio settori della meccanica e chimica, che producevano beni che servivano da input per altri settori. Gli strumenti utilizzati furono: protezione doganale, incentivazione fiscale, creazione di imprese pubbliche nazionali. ‐Politiche industriali generali rivolte ai fattori produttivi (anni 80): dopo la crisi degli anni 73‐74 (shock petrolifero) bisognava consentire a tutti i settori un recupero di flessibilità, riorganizzare i processi produttivi e di poter sostituire gli input produttivi. Sono chiamate generali perché rivolte all’intero sistema produttivo. Gli strumenti utilizzati furono: di tipo fiscale (incentivi e detassazioni; es. legge di incentivazione dell’imprenditorialità giovanile). Inoltre vennero adottate politiche istituzionali che conferivano al sistema produttivo una maggiore flessibilità interna (potendo impiegare gli input in modo meno vincolato) ed esterna (spostamento di risorse da un impresa all’altra). Queste politiche hanno determinato una maggiore competitività delle imprese. ‐Politiche industriali generali di tipo istituzionali: obiettivo della CE è quello di creare un clima favorevole all’affermazione di coalizioni progressive per trasformare la CE in un unione economica aperta. Il trattato di Maastricht elenca gli obiettivi di politica industriale da perseguire: a) promuovere lo sviluppo e la crescita in particolare delle piccole e medie imprese dell’UE; b) promuovere la cooperazione tra imprese agevolando la formazione di network; c) promuovere lo sfruttamento del potenziale industriale e delle attività di R&S. Queste politiche sono rivolte quindi alle istituzioni e riconoscono nell’aggregazione di diversi soggetti, quali i policy‐maker e le imprese, l’obiettivo esplicito dell’azione di P.E. ‐Distretti. CAP. 15 ‐Con politiche regionali si intende l’insieme di azioni che mirano alla redistribuzione geografica del reddito e mira a sostenere la crescita e lo sviluppo di zone specifiche. All’interno di una medesima economia possono esistere significative differenze di reddito pro‐capite. ‐Visione keynesiana: se le regioni possono essere considerate come economie chiuse allora vi è motivo di pensare che tutte non abbiano bisogno di avere gli stessi livelli di reddito (tesi della causazione cumulativa), poiché se vale il principio della domanda effettiva le imprese produrranno ciò che verrà loro domandato ragion per cui un insufficiente domanda causa una ridotta produzione e quindi ridotto reddito; le regioni in ritardo di sviluppo si ritroverebbero in una situazione di equilibrio di sottoccupazione, denominata “trappola della povertà”. Da questa situazione si potrebbe uscire attraverso uno shock positivo esogeno (aumento della domanda autonoma attraverso un incremento della domanda dall’esterno), considerato che la regione riesca a soddisfare la domanda addizionale richiesta. http://unict.myblog.it 5 ‐Visione neoclassica: in una situazione in cui la tecnologia è un bene pubblico, vi è libertà di movimento per i fattori e per i beni, e i rendimenti marginali dei fattori produttivi sono decrescenti, allora un qualsiasi fattore produttivo dovrebbe essere impiegato laddove il suo rendimento marginale sarà più elevato, ovvero dove vi è un minor volume del fattore stesso. ‐Critica di Vera Lutz: la mancata convergenza tra le regioni è da attribuire a fattori di natura istituzionale. ‐Inoltre vi sono validi motivi per ritenere che la produttività marginale di un fattore (es. capitale) non sia più elevata dove ne viene impiegato di meno, bensì dove ne viene impiegato di più. ‐Indice di ineguale distribuzione regionale: Sigma‐convergenza. Analizzando i livelli di reddito pro‐capite nelle 20 regioni italiane avremo un valore medio e una varianza. Se negli anni la varianza va diminuendo, le differenze si assottigliano e si ha Sigma‐convergenza. ‐Indice di ineguale distribuzione regionale: Beta‐convergenza. Vi è convergenza in senso “beta” se in un dato periodo di tempo si manifesta una correlazione negativa tra il livello di partenza del reddito pro‐capite e il suo successivo tasso di crescita (crescono in misura maggiore i redditi in quelle regioni nelle quali il livello di partenza era minore. CAP. 16 ‐Legge di Walras: non è possibile che in un sistema di N mercati, siano in equilibrio tutti tranne uno. Se vi è disequilibrio sui mercati, allora devono essere in disequilibrio un numero di mercati maggiore di uno. Per affrontare la correzione dei disequilibri di sistema occorre un APPROCCIO DI SISTEMA, o macroeconomico. ‐Modello macroeconomico 2X2: 2 soggetti (famiglie e imprese), 2 mercati (lavoro e beni); mercato della moneta in equilibrio. ‐Abbiamo 4 casi di disequilibrio: #1) Regime di disoccupazione keynesiana ‐ equilibrio stabile di sottoccupazione: eccesso di offerta sia sul mercato del lavoro (lavoratori razionati) che su quello dei beni (imprese razionate). L’eccesso di offerta di lavoro, causa disoccupazione del fattore lavoro. Le imprese producono più di quanto desiderato dai lavoratori. Risoluzione: incremento di domanda di beni da parte dell’Autorità di P.E. #2) Regime di disoccupazione classica: eccesso di offerta nel mercato del lavoro (lavoratori razionati), eccesso di domanda nel mercato dei beni. Le imprese producono meno di quando le famiglie desiderano. Risoluzione: aumento dei prezzi e riduzione dei salari. #3) Regime di inflazione repressa: eccesso di domanda sia sul mercato dei beni (famiglie razionate), sia su quello del lavoro (imprese razionate). Le famiglie non riescono a soddisfare tutti i loro desideri di beni, però riescono a soddisfare tutti i loro desideri circa il lavoro. Risoluzione: aumento dei prezzi e dei salari. #4) Quarto regime: eccesso di offerta sul mercato dei beni, eccesso di domanda sul mercato del lavoro. Curiosità teorica: le imprese desidererebbero avere più lavoratori di quanti possono averne e al tempo stesso non riescono a vendere tutto ciò che producono. ‐Equilibrio di sottoccupazione: i soggetti non riescono a soddisfare a pieno le loro esigenze, ma una volta che gli scambi sul mercato si realizzano (regola del lato corto) i soggetti ritengono che le scelte compiute siano ottimali e non vi sia motivo per cambiarle – equilibrio. Le scelte operate sono ottimali dati i vincoli rappresentati dall’operato altrui, ma se tutti si coordinassero per cambiare i proprio comportamenti si potrebbe pervenire a una situazione in cui tutti stanno meglio. CAP. 17 ‐D=C+I+G+NX. ‐Consumi: funzione crescente del reddito C=C0+cY; C0=componente autonoma (parte dei consumi non legati al reddito); c=propensione marginale al consumo. ‐Investimenti: funzione inversa del tasso di interesse; beni strumentali domandati dalle imprese al fine di incrementare o rimpiazzare il loro stock di capitale; I=I0‐hr; h=sensibilità della domanda di investimenti al tasso di interesse. ‐Spesa pubblica: considerata esogena G=G0. ‐Esportazioni nette: data dalla differenza tra X e M. NX=X0‐M0‐mY; m=propensione marginale alle importazioni. ‐Indicatore di competitività ε=Pf/(ePd); f=fuori, d=domestico, e=tasso di cambio. ‐La domanda aggregata è funzione del reddito. Condizione di equilibrio macroeconomico D=O; la produzione aggregata coincide col reddito O=Y quindi Reddito di equilibrio macroeconomico Yeq=D0*1/[1‐c(1‐t)+m]. D0=componente autonoma di domanda; 1/[1‐c(1‐t)+m]=moltiplicatore keynesiano; il reddito di equilibrio risulta multiplo della domanda autonoma. Nulla assicura che l’offerta aggregata sia quella che utilizza tutti i fattori produttivi disponibili quindi l’equilibrio economico http://unict.myblog.it 6 potrà essere un equilibrio di sottoccupazione. Se ciò avviene, non vi è nessun meccanismo automatico che lo sposti da esso quindi un equil. stabile. Keynes ha osservato che è possibile incrementare il reddito incrementando la domanda autonoma. ‐Scorte: se la produzione eccede la domanda ottimale avremo un aumento indesiderato delle scorte ‐ che fanno parte degli investimenti ‐ e questa convenzione fa in modo che sia sempre rispettata l’identità di contabilità nazionale in base alla quale D≈O ciò non vuol dire che la domanda ottimale coincide con la produzione ottimale. ‐Moltiplicatore keynesiano: poiché 1/[1‐c(1‐t)+m]>1 un incremento della domanda autonoma determina un maggiore incremento del reddito di equilibrio. Spiegazione: aumenta una componente della domanda autonoma, la domanda aggregata cresce dello stesso ammontare, le imprese vorranno produrre esattamente il nuovo quantitativo che viene loro domandato, questo aumento di produzione si traduce in una aumento del reddito distribuito che induce l’incremento della domanda e ciò fa nuovamente aumentare la produzione ecc. ecc. Affinchè ciò avvenga l’economia non si deve trovare in una situazione di pieno impiego delle risorse. Il processo converge perché in ognuno dei passaggi successivi l’incremento di domanda va a diminuire. ‐Il moltiplicatore sarà maggiore: a) quando è maggiore la propensione marginale al consumo; b) quando è minore l’imposizione fiscale; c) quando è minore la propensione marginale alle importazioni. L’effetto moltiplicatore della spesa pubblica è maggiore rispetto all’effetto moltiplicatore dei trasferimenti. ‐Modello a prezzi fissi con tasso d’interesse endogeno: ‐Curva IS: la relazione IS rappresenta le combinazioni tra tasso d’interesse e reddito compatibile con l’equilibrio sul mercato dei beni. A0=D0‐hr; 1/α = 1/[1‐c(1‐t)+m] quindi r=[1/h(A0)] – 1/[h(1/α)]Y corrisponde a una retta nello spazio (reddito\tasso di interesse); ha un’inclinazione negativa infatti valori maggiori del tasso di interesse corrispondono a minori investimenti. Maggiore è la sensibilità degli investimenti al tasso d’interesse, e il moltiplicatore keynesiano, più la curva IS sarà piatta. ‐Curva LM: L’offerta di moneta è rappresentata dall’insieme di tutti i mezzi di pagamento. La domanda di moneta viene effettuata per tre motivi: a) per scopo transattivo, ha luogo al fine di regolare gli scambi – è legata al reddito in modo diretto; b) a scopo speculativo, rappresenta un modo alternativo di impiegare la propria ricchezza invece dei titoli finanziari – è funzione inversa del tasso d’interesse; c) scopo precauzionale, necessità di far fronte a eventi imprevisti. La domanda di moneta complessiva MD è funzione crescente del reddito e decrescente del tasso d’interesse. I parametri l1 (moneta transattiva) e l2 (moneta speculativa) rappresentano la sensibilità alla domanda di moneta rispettivamente al reddito e al tasso d’interesse. Quando il tasso d’interesse è molto elevato nessuno detiene moneta per scopo speculativo; tuttavia pur essendo nulla la domanda speculativa, la domanda totale è positiva perché esiste la componente transattiva. Quando il tasso decresce la domanda totale cresce perché oltre alla transattiva si somma la speculativa. ‐Trappola della liquidità: se i tassi sono troppo bassi, la domanda tende a diventare infinita e la funzione infinitamente elastica. ‐Un aumento dell’offerta di moneta comporta un abbassamento del tasso di equilibrio. Spiegazione: maggiore offerta di moneta causa più acquisto di titoli finanziari, quindi eccesso di domanda di titoli che genera aumento del prezzo, dunque un minor rendimento, ossia un minore tasso d’interesse. ‐Un aumento del reddito comporta un aumento del tasso di interesse di equilibrio. Spiegazione: un aumento del reddito causa la necessita di maggiori quantità di moneta, si venderanno i titoli finanziari per soddisfare questa necessità, un eccesso di offerta di titoli ne riduce il prezzo quindi il tasso di interesse aumenta. ‐La curva LM rappresenta il luogo delle combinazioni di reddito e tasso di interesse che si assicurano l’equilibrio sul mercato della moneta per una data offerta di moneta. Ha inclinazione positiva (l1/l2) e, se aumenta il reddito, deve aumentare il tasso di interesse. ‐Sistema IS‐LM: le politiche fiscali hanno effetto sulla curva IS, le politiche monetarie determinano spostamenti della curva LM. ‐Effetti di una politica fiscale espansiva (rimanendo ferma la quantità di moneta): la P.F.E. causerà un nuovo equilibrio caratterizzato da reddito e tasso di interesse maggiore. Spiegazione: la domanda autonoma aumenta quindi aumenta la produzione e anche il reddito, ciò comporta un aumento della domanda di moneta transattiva che viene riassorbita con l’aumento del tasso di interesse. Questo incide sugli investimenti e determina una riduzione del reddito creando l’effetto spiazzamento. Quanto più sensibile è la domanda di moneta al tasso di interesse, tanto più efficace risulterà sul reddito una politica fiscale espansiva. http://unict.myblog.it 7 ‐Effetti di una politica monetaria espansiva: una P.M.E. comporta un aumento del reddito e un abbassamento dei tassi di interesse. Spiegazione: maggiore offerta di moneta, maggiore domanda di titoli finanziari, quindi abbassamento del tasso di interesse che comporta un incremento di domanda (investimenti), quindi maggiore produzione e maggiore reddito. L’effetto sul reddito sarà tanto maggiore quanto più la curva IS è piatta (perché i consumi aumentano di più nel sistema in cui il moltiplicatore è maggiore). ‐Effetti di una politica fiscale congiunta a politica monetaria: sistema IS‐LM. Un mix di politiche economiche espansive porta ad avere un deciso incremento di reddito con un ambiguo effetto sul tasso di interesse (comportamento accomodante – la politica monetaria punta ad evitare l’aumento dei tassi d’interesse ed evitare l’effetto spiazzamento). CAP. 18 ‐Per politica fiscale intendiamo l’insieme delle misure messe in atto dal policy‐maker concernenti le entrate e le spese del settore pubblico. ‐Il settore pubblico è composto dalle amministrazioni centrali dello Stato (settore statale) più le amministrazioni locali e gli enti pubblici di previdenza (settore pubblico). ‐Le entrate e le uscite del settore pubblico sono definite dal bilancio dello Stato. ‐Le entrate sono costituite da quattro categorie: a) entrate tributarie; b) extra‐tributarie; c) alienazione; d) accensione di prestiti. Indice di incidenza fiscale=(a)+(b)/PIL. ‐Le uscite sono costituite da tre titoli: a) spese correnti; b) spese in conto capitale; c) rimborso di prestiti. ‐Effetti macroeconomici dell’imposizione progressiva: 1) si configura come uno stabilizzatore automatico – a fronte di un aumento esogeno del reddito uno stabil. autom. tende a far diminuire il reddito e viceversa. Spiegazione: il reddito viene colpito da uno shock positivo, l’imposizione progressiva implica che il prelievo fiscale medio aumenti, ciò determina che il reddito disponibile aumenti in misura più contenuta rispetto al reddito lordo; 2) comporta drenaggio fiscale, consiste nel fatto che un aumento del reddito nominale a cui non corrisponde un aumento del reddito reale causa un aumento più che proporzionale dell’imposizione fiscale, quindi una riduzione del reddito disponibile reale; sarà tanto maggiore quanto è maggiore il tasso di inflazione. ‐Effetti delle diverse modalità di finanziamento della spesa pubblica: #1) finanziamento con imposte: caso in cui la spesa pubblica è finanziata con un pari aumento dell’imposizione (con bilancio in pareggio). Teorema di Haavelmo: in un economia chiusa e con aliquota marginale d’imposizione nulla, un aumento della spesa pubblica interamente finanziato con un pari aumento dell’imposizione fiscale autonoma, determina un aumento esattamente uguale al reddito di equilibrio. #2) spesa pubblica che genera deficit: caso in cui l’incremento di spesa pubblica viene finanziato da nuove imposte soltanto per la parte µ cioè ΔT0= µΔG0 si determina un fabbisogno pari a (1‐µ)ΔG0, il reddito di equilibrio sarà quindi ΔYeq=(1‐cµ)/(1‐c)*ΔG0. Il moltiplicatore della spesa pubblica finanziata con l’imposizione sarà tanto maggiore quanto minore è la parte finanziata con le imposte. ‐Il fabbisogno che la spesa pubblica ha generato può essere coperto con: 1) l’emissione di debito; 2) l’emissione di moneta. ‐Con l’emissione di debito si muove verso destra soltanto la curva IS, mentre con l’emissione di moneta si muovono entrambe. Si ha un ampliamento del reddito maggiore con l’emissione di moneta che consente di evitare l’aumento del tasso d’interesse e limita così lo spiazzamento. ‐Teorema di equivalenza ricardiana: “data una variazione della spesa pubblica, e imponendo il vincolo del pareggio intertemporale del bilancio pubblico, l’effetto della spesa pubblica sul reddito e sui consumi è uguale sia che sia finanziato con le imposte sia con l’emissione di debito pubblico”. CAP. 19 ‐Gli intermediari finanziari sono quei soggetti che mettono in collegamento le unità in surplus (risparmio famiglie) con le unità in deficit (investimenti imprese). ‐Si definisce Base Monetaria l’insieme della banconote e delle monete, definita “moneta legale”; viene invece definita moneta M la somma della moneta legale “circolante” più i depositi dei risparmiatori. ‐M0, rappresenta le monete e banconote in circolazione (BMP); M1, la somma tra M0 e l’insieme dei conti correnti (depositi bancari a vista); M2, la somma tra M1 e i depositi bancari a breve termine; M3, la somma tra M2 e tutto il resto (es. BOT, partecipazioni in fondi comuni monetari). ‐Creazione della base monetaria: è emessa dalle banche centrali come contropartita rispetto a quattro specifiche operazioni: http://unict.myblog.it 8 #1) finanziamenti al Tesoro, le banche centrali emettono carta moneta per coprire le spese dei rispettivi Governi (monetizzazione della spesa pubblica); #2) finanziamenti alle banche, le banche centrali emettono base monetaria per rispondere alle richieste di finanziamento delle banche e delle aziende di credito, le quali cedono alla banca centrale eventuali titoli di credito per ricevere in cambio moneta; #3) finanziamenti al settore estero, le banche centrali emettono base monetaria come contropartita dell’acquisto di valute estere. Un attivo della BP si traduce in creazione della BM mentre un deficit porta alla distruzione di BM; #4) operazioni di mercato aperto, le banche centrali possono decidere di emettere base monetaria in contropartita all’acquisto di titoli finanziari preesistenti sui mercati finanziari. Se acquista crea base monetaria, se vende la distrugge. ‐Modello dei moltiplicatori della base monetaria: BM=BMP+BMB; M=BMP+D; non tutta la base monetaria costituisce moneta (BMB=no moneta); BMP=hD, h è il parametro comportamentale dei privati. Le banche utilizzano i depositi dei risparmiatori per concedere crediti, la legislazione bancaria impone alle banche di trattenere una certa frazione dei depositi (coefficiente di riserva obbligatoria). BMB=jD, j=coeff. riserva obbligatoria+coeff. riserva libera, quindi BM=(h+j)*D. D=(1/h+j)BM; 1/(h+j) è il moltiplicatore dei depositi. I depositi risultano un multiplo della base monetaria. M=[(h+1)/(h+j)]BM; h+1/h+j=moltiplicatore della moneta. La moneta è un multiplo della base monetaria. ‐Determinanti del moltiplicatore della moneta: a parità di base monetaria, la quantità di moneta è tanto maggiore quanto minore è j (essendo al denominatore); quanto minore è h, essendo la propensione degli operatori a detenere base monetaria presso di se. CAP. 20 ‐L’inflazione misura il tasso percentuale di aumento dell’indice generale dei prezzi. L’inflazione comporta costi ed è quindi un inefficienza nell’aggregato dell’economia. Si può distinguere tra: a) costi di inflazione prevista; b) non prevista. ‐Teoria quantitativa della moneta, equazione degli scambi: Mv=Py dove “v” misura la velocità di circolazione della moneta (M) e “Py” esprime il valore nominale della produzione; è un identità che stabilisce che in un arco di tempo il valore degli acquisti è pari al valore delle vendite ed entrambi sono pari al valore degli scambi. ‐ΔP=ΔM‐Δy afferma che il tasso di inflazione è pari alla differenza fra il tasso di crescita della moneta e il tasso di crescita della produzione reale: a) quando il reddito è costante, cioè quando l’economia è in condizioni di piego impiego nel breve periodo la Δy=0 allora risulta ΔP=ΔM, vi può essere inflazione se vi è un aumento della quantità di moneta; b) nel lungo periodo l’aumento della quantità di moneta può essere compatibile con l’assenza di inflazione se essa avviene al tasso in cui aumenta la produzione reale ΔP=0 quindi ΔM=Δy. L’inflazione è da attribuire al fatto che la massa di moneta cresce più velocemente della crescita della produzione reale. ‐Questa teoria viene ripresa dai monetaristi che ritengono essere l’aumento dell’offerta di moneta l’unica causa dell’inflazione. Quando aumenta l’offerta di moneta si ha un eccesso di offerta, i privati si liberano della moneta che non vogliono e ciò causa un effetto di domanda su tutti gli altri mercati, la quale genera l’aumento del livello dei prezzi. I monetaristi contestano l’idea che l’eccesso di domanda non accompagnato da espansione monetaria possa causare inflazione (fenomeno dello spiazzamento). Spiegazione: si ha un incremento della spesa pubblica finanziata in deficit senza aumento di offerta di moneta. Ciò determina un aumento del tasso d’interesse di equilibrio il quale porterà le imprese private a ridurre la loro domanda di investimento – spiazzamento. Se invece la politica fiscale espansiva è accompagnata da un aumento di offerta di moneta quest’ultima contrasterà l’innalzamento del tasso d’interesse – niente spiazzamento – quindi inflazione. ‐Scuola della spinta da costi: parte da tre ipotesi fondamentali: a) i prezzi non vengono stabiliti dall’interazione di domanda e offerta ma fissati dalle imprese; b) i prezzi dei loro prodotti seguono regole soddisfacenti; c) le imprese fissano i prezzi dei prodotti calcolando il costo medio e maggiorandolo con un margine di profitto (mark‐up) P=gCMe dove g=1+m. ‐Le imprese possono essere spinte ad aumentare i prezzi o dall’aumento dei margini di profitto, o dei costi medi. I costi medi dipendono principalmente da due fattori produttivi: a) costo delle materie prime, per cui qualunque sia la ragione dell’aumento del prezzo, che le imprese nazionali debbono pagare, per l’acquisto di un input importato, si ripercuoterà sul livello dei prezzi interni, che aumenteranno (“inflazione importata”); b) costo del lavoro, poiché il Costo del Lavoro per Unità di Prodotto CLUP=WL/Y quindi CLUP=W/(Y/L); se π=(Y/L) allora CLUP=W/π (rapporto tra salario nominale e produttività media del lavoro) quindi il costo del lavoro aumenta se aumenta il salario nominale, mentre diminuisce quando aumenta la produttività media del lavoro. P=g+W‐π (variazioni) ossia la variazione percentuale del prezzo è data dalla somma del tasso di variazione percentuale dei margini di profitto più la variazione del salario nominale meno il tasso di http://unict.myblog.it 9 variazione della produttività media del lavoro. Se i margini di profitto delle imprese non variano (g=0) e se i salari nominali crescono allo stesso tasso al quale cresce la produttività media del lavoro (regola aurea di P.E. applicata ai contratti di lavoro) allora la quota di reddito che va al fattore lavoro rimane inalterata e non ci sarà inflazione. ‐Inflazione strutturale: aumenti salariali che sarebbero giustificati in un settore (poiché in questo settore la produttività del lavoro è cresciuta altrettanto) quando sono applicati ad altri settori (nei quali la produttività è cresciuta di meno) sono causa di inflazione. ‐Morbo dei costi di Baumol: riguarda la tendenza all’aumento dei salari in settori nei quali la produttività del lavoro è costante. ‐La politica dei redditi rappresenta un tentativo di influenzare – tramite accordo tra le parti sociali – la dinamica delle variabili macroeconomiche (prezzi, salari, investimenti, ecc.) accompagnando l’accordo con impegni da parte del Governo riguardo variabili che rappresentano strumenti di P.E.. Si suddividono in: a) politiche dirigiste, nel caso in cui il P.M. intervenga con atto autoritativo; b) politiche istituzionali, nel caso in cui il P.M. partecipa a incontri triangolari assieme ai rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori; c) politiche di mercato, in cui il P.M. rimane estraneo. ‐L’inflazione consente di conseguire rilevanti redistribuzioni di reddito. CAP. 21 ‐Arthur Phillips trovava la relazione tra tasso di disoccupazione e tasso di variazione del salario nominale, di segno negativo. Per valori di disoccupazione crescenti, la variazione dei salari è decrescente. La curva interseca l’asse orizzontale in corrispondenza di un valore di disoccupazione intorno al 5.5% (tasso di disoccupazione di equilibrio). Non si osserva mai un valore della disoccupazione inferiore allo 0.8% mentre il tasso di variazione del salario non è mai inferiore al ‐1%. Si può sostituire l’inflazione ai salari quindi alta inflazione comporta bassa disoccupazione e viceversa. ‐Disoccupazione frizionale: l’impossibilità di trovare immediatamente la corrispondenza tra posti vacanti e lavoratori in cerca di lavoro. ‐Critica di Friedman: l’errore risiede nel confondere il salario nominale con il salario reale e nel non considerare l’effetto che l’inflazione esercita sulle aspettative di inflazione. CAP. 23 ‐Bilancia dei pagamenti: è un documento contabile che registra gli scambi economici che intercorrono tra i residenti di un paese e il resto del mondo. E’ un conto che viene tenuto secondo le regole della partita doppia. Registra gli scambi economici durante un periodo di tempo e riguarda lo scambio tra residenti e non residenti. Le due sezioni principali sono: le partite correnti (beni e servizi) e la bilancia dei movimenti di capitale finanziario (attività e passività finanziarie) quindi BP=PC+SMK. Dall’esito della BdP dipende l’afflusso o il deflusso di valuta estera. ‐Tasso di cambio: il prezzo di una valuta nei confronti di un’altra valuta. Due modi differenti: a) incerto per certo, esprime quante unità della moneta domestica si scambiano contro un’unità di valuta estera; b) certo per incerto, un’unità di valuta domestica a quante unità di valuta estera corrisponde. ‐Sistemi di cambio: si intende un accordo fra due o più paesi con il quale vengono fissate regole per lo scambio tra le rispettive monete. ‐Cambio fisso: quando due o più paesi si accordano per stabilire in modo univoco il loro tasso di cambio. ‐Cambio flessibile: se non esiste nessun accordo e il tasso di cambio viene quindi stabilito dalle forze di mercato (domanda e offerta di valuta). ‐PPP (Parità del Potere d’Acquisto, PPA): il valore naturale del tasso di cambio sarebbe quello che garantisce la parità del potere d’acquisto, espresso in due valute diverse. ‐Effetti delle modificazioni del tasso di cambio: a) effetti sulle partite correnti (svalutazione o deprezzamento), diventa più costoso acquistare valuta estera; i beni e servizi risultano più a buon mercato e quindi più competitivi per chi acquista dall’estero; b) effetti sui movimenti di capitali finanziari, le decisioni finanziarie dipendono dal tasso d’interesse; l’equivalenza del rendimento fra titoli, uno in valuta domestica e l’altro in valuta estera, è rd=rf‐Δeexp (dove Δeexp indica la variazione attesa del tasso di cambio) quindi affinché vi sia parità nel rendimento dev’essere vero che il tasso d’interesse domestico sia pari al tasso d’interesse nominale estero decurtato del tasso di variazione del cambio. ‐I meccanismi economici di riequilibrio automatico della bilancia del pagamenti: una bilancia di pagamenti in deficit in un regime di cambi flessibili porta a un deprezzamento della moneta giacché defluiscono dal paese valuta domestica in ammontare superiore rispetto a quella che in esso affluiscono; il deprezzamento però comporta un aumento di competitività di prezzo del prodotto nazionale con effetti positivi sulle partite correnti. http://unict.myblog.it 10 ‐Meccanismo automatico di aggiustamento basato sui prezzi relativi: si tratta di uno stabilizzatore automatico. ‐In un sistema a cambi fissi gli squilibri della BdP si ripercuotono sull’offerta di moneta precisamente, un surplus della BdP si traduce in un aumento di offerta di moneta, mentre un deficit in una riduzione. Una politica volta a ridurre l’offerta di moneta per controbattere un suo naturale aumento dovuto al surplus dei conti con l’estero si chiama “operazione di sterilizzazione”. ‐L’Autorità di P.E. può ritenere opportuno intervenire per ripianare squilibri nei conti con l’estero attraverso variazioni nel tasso di cambio. Affinché ciò sia efficace esistono 5 precondizioni: 1) condizione di Marshall‐Lerner, le importazioni e le esportazioni siano sufficientemente reattive al tasso di cambio; 2) effetto J, per osservare i risultati dell’azione di P.E. può essere necessario del tempo; 3) assenza di strozzature nel lato dell’offerta, quando la produzione di fronte a una svalutazione della moneta non riesce a sostenere l’aumento della domanda; 4) effetto pass‐through, non sempre una svalutazione si traduce in maggiore competitività per i consumatori finali ma può tradursi in un maggiore profitto per gli intermediari commerciali; 5) aspettative di svalutazione, spesso una svalutazione della moneta induce aspettative di ulteriore svalutazione (e queste si realizzano). ‐La relazione BP esprime l’insieme delle combinazioni di reddito e tasso d’interesse di un economia che assicurano il pareggio della bilancia dei pagamenti, l’inclinazione è positiva e dipende da m/α. La pendenza è tanto maggiore quanto è maggiore la propensione a importare e quanto meno sensibile sono i movimenti di capitali finanziari rispetto al tasso di interesse. CAP. 24 ‐Modello IS‐LM‐BP: IS e LM raggiungono i loro equilibri nel breve periodo – grazie a modifiche endogene della produzione; questo equilibrio comporta conti con l’estero (BP) che possono essere in disequilibrio nel breve periodo, inoltre si mettono in moto processi di aggiustamento automatico di conti con l’estero che portano al lungo periodo all’equilibrio su tutti e tre i mercati. ‐Effetti di breve periodo: quando raggiungono la nuova posizione di equilibrio i mercati di beni e moneta, mentre si tollera il disequilibrio nella bilancia dei pagamenti ‐Effetti di lungo periodo: quando meccanismi di aggiustamento automatico dei conti con l’estero portano equilibrio su tutti e tre i mercati. ‐Curva IS: si sposta a destra a seguito di incrementi di domanda autonoma, in particolare politiche fiscali espansive, ma anche di svalutazioni o deprezzamento del tasso di cambio che attiva una maggiore domanda dovuta all’incremento di competitività della produzione. ‐Curva LM: si sposta a destra a seguito di incrementi dell’offerta di moneta, che possono essere determinati da politiche monetarie espansive o aumento della Base Monetaria (es. un attivo nella bilancia del pagamenti). ‐Curva BP: si sposta a destra per una svalutazione del tasso di cambio. ‐ Assumendo che i capitali siano poco mobili la curva BP sarà piuttosto ripida (più della LM), altrimenti sarà più piatta (più della LM). ‐Politica fiscale espansiva con cambi flessibili: *Si parte da una posizione di equilibrio su tutti i mercati. In seguito a una P.F.E. la IS si sposta a destra e il sistema trova equilibrio di breve periodo in un punto in cui si ha maggior reddito e tasso d’interesse. Ciò comporta un effetto ambiguo sulla BP: l’aumento di reddito fa peggiorare le partite correnti; l’aumento del tasso di interesse fa migliorare il saldo dei movimenti di capitali finanziari. Se i capitali finanziari sono poco mobili (1) prevalgono le partite correnti, altrimenti se molto mobili (2) prevale il movimento del saldo di capitale finanziario.* ‐In (1) l’equilibrio di breve periodo si viene a trovare al di sotto della curva BP, quindi si ha un deficit della bilancia dei pagamenti. Si mettono in atto meccanismi di aggiustamento automatico; il cambio si deprezza, ciò comporta un’ulteriore spostamento verso destra di IS grazie alla maggiore competitività e uno spostamento verso destra della curva BP, fino a quando il punto di intersezione IS‐LM non cade su BP (equilibrio di lungo periodo). Questi meccanismi hanno rafforzato gli effetti di aumento sul reddito e sul tasso di interesse della P.F.E. nel lungo periodo. ‐In (2) l’equilibrio di breve periodo si viene a trovare al di sopra della curva BP, quindi un surplus della bilancia dei pagamenti; ciò comporta un apprezzamento del cambio che farà spostare la BP verso sinistra, anche la IS si sposta verso sinistra a causa della perdita di competitività di prezzo della produzione nazionale, la domanda autonoma si contrae, questi spostamenti proseguono fino a quando non si raggiunge l’equilibrio, l’effetto della P.F.E. di innalzare reddito e tasso di interesse viene attenuato dai meccanismi di aggiustamento automatico. http://unict.myblog.it 11 ‐Gli effetti espansivi di P.F.E. vengono esaltati nel lungo periodo qualora i capitali finanziari siano poco mobili, altrimenti sarebbero attenuati. ‐Politica fiscale monetaria con cambi flessibili: ** in seguito a una P.M.E., la curva LM si sposta a destra, ciò determina un aumento del reddito di equilibrio e una diminuzione del tasso di interesse di equilibrio. Ciò comporta un peggioramento delle partite correnti e del saldo dei movimenti di capitale finanziario (tanto maggiore quanto più i capitali sono mobili). ‐Sia in (1) che in (2) il punto di equilibrio nel breve periodo si trova al di sotto di BP.** Il passivo dei conti con l’estero provoca un deprezzamento del tasso di cambio, e questo comporta uno spostamento verso destra sia della curva IS che di BP. Questi spostamenti proseguiranno fino a quando si troverà un equilibrio di lungo periodo sulla BP. Rispetto all’equilibrio di breve periodo i meccanismi di aggiustamento automatico esaltano l’effetto espansivo sul reddito della P.M.E. mentre riducono il decremento del tasso di interesse. ‐Politica fiscale espansiva con cambi fissi: * In (1) l’equilibrio di breve periodo si trova al di sotto di BP (deficit), ciò mette in atto mecc. di agg. aut. e essendo in regime a cambi fissi, si distrugge base monetaria e la LM si sposta verso sinistra (come una P.M.R.). Gli spostamenti continuano fino a che i conti con l’estero siano tornati in equilibrio sulla BP nel lungo periodo. Questi meccanismi portano a limitare gli effetti espansivi sul reddito della P.F.E. e ad aumentare il tasso d’interesse. ‐In (2) l’equilibrio di breve periodo si trova al di sopra di BP (surplus), quindi si genera base monetaria e la LM si sposta verso destra (come una P.M.E.). Ciò porta il reddito ad aumentare nel lungo periodo mentre il tasso di interesse diminuisce rispetto al breve. ‐Politica monetaria espansiva con cambi fissi: ** In un regime a cambi fissi ciò (deficit) si traduce in distruzione di base monetaria (come una P.M.R.) e comporta uno spostamento verso sinistra della LM fermo restando IS e BP. La curva LM inizia a tornare indietro fin quando non si torna fino al punto di partenza iniziale, ciò vale qualunque sia la mobilità dei capitali. ‐La P.M. con cambi fissi è totalmente inefficace nel lungo periodo e può avere effetti soltanto transitori. http://unict.myblog.it 12