DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww musica An no 010 VI • 2 o n. 47 • gn Mercoledì, 30 giu & il pentagramma De suppliciis Purgatorii et de longa, calida aestate di Patrizia Venucci Merdžo Gentilissimi, la passata stagione all’Ivan de Zajc è trascorsa all’insegna del risparmio della corrente elettrica. Possiamo ben comprenderlo; mettici i tagli al budget del teatro, mettici il costo dell’energia elettrica... a questo punto, zacchete!, un bel taglio ai cavi dei riflettori del palcoscenico – principale fonte di spreco - era l’unica, più saggia ed economica decisione da prendere. E chi s’è visto, s’è visto! Siccome gli artisti hanno molto intuito - e la cosa stava per aria – la strategia dell’“austerity“ ha avuto inizio già l’anno scorso; ed è questo il motivo per cui abbiamo potuto gustare una Traviata tutta noir, un’ Adriana demi-noir, una Lucia in versione azteka che tutta angosciata e avvolta nelle tenebre passeggiava su e giù per la piramide in attesa del suo Nesahualcoyotl; ma soprattutto abbiamo potuto “deliziarci“ di “Dafni e Cloè, ovvero il Purgatorio“ in cui le effusioni dei due illividiti pastorelli cosmico-galattici and company parevano le contorsioni angosciate di anime in pena. “Per gli artigli di Cerbero! - mi son detta -, se il purgatorio è una cosa del genere mi conviene rigar diritto“. Neanche Gustave Doré avrebbe fatto di meglio. Peccato però che questi del Teatro non sappiano lucrare come si deve. Qui ci vorrebbe un “pacchetto” obbligatorio da acquistare assieme al biglietto: libretto-candela-cannocchiale e, gratis!, aspirina o antidepressivo, a scelta (il fischietto ve lo portate da casa), da prendere a fine spettacolo. E così tutti sarebbero felici e contenti: la gente, perché finalmente ci “vedrebbe chiaro”, e l’administration del Teatro perché con i soldini dell’inghippo potrebbe aggiustare il bilancio. Tuttavia bisogna ammettere che il finale della “season” è stato semplicemente luminoso e all’insegna del futuro, dei giovani e dell’eccellenza con i concerti del pianista Goran Filipec, che giustamente rifulge sui podi importanti, e dei giovani concertisti della Scuola di musica, il violoncellista connazionale Fabio Jurić, il violinista Edi Šiljak e il pianista Stipe Bilić. Tre fuoriserie, tre giovani di alta qualità musicale, aureolati di quella freschezza e pulizia interiore che hanno il potere di risvegliare in ognuno di noi il nostro “bessres ich”, il nostro io migliore, spesso offuscato e stanco. Ed ora eccoci qui, immersi nelle “Notti estive fiumane”, una manifestazione dal carattere molto eterogeneo, fin dall’inizio, al punto da chiederci se ciò non pregiudichi una sua unitarietà e chiarezza concettuali. Quest’anno poi, il mosaico si è trasformato in un vero e proprio vestito d’Arlecchino. C’è di tutto e di più; perfino – novità da tempi di crisi – la serata per l’infanzia e le proiezioni cinematografiche. (Non ci manca che il corso di ricamo). In questo modo la fisionomia della manifestazione si va, purtroppo, stemperando e alterando in maniera preoccupante. Sì, la crisi, d’accordo. Però, a quanto pare, gli spalatini la crisi la stanno snobbando alla grande, altrimenti come si spiega quel po’ po’ di cartellone dell’Estate di Spalato? O si son messi a stampare soldi falsi? Dodici, dico dodici serate di musica, contro le nostre sei. Bisogna prendere atto della qualità dei concerti da camera (o se vogliamo da spiaggia) con interpreti giovani concertisti quali Milenkovich, Graziani, Hauser, Kovačić; ammetto, compiaciuta, la notevole fantasia nel valorizzare i tanti punti della bella città di Fiume, ma dico e ripeto: non era proprio possibile mettere in piedi almeno ancora uno spettacolo lirico e una serata di danza? Giusto per non far fare al balletto la parte di Cenerentola, come spesso accade. Festivalafosamente Vostra 2 musica Mercoledì, 30 giugno 2010 Il gruppo dei minicantanti a “Voci nostre” 2008 Il coro misto “Haliaetum” in concerto VITA NOSTRA L’articolata attività della CI «Pasquale Besenghi degli Ughi» Tra mini, maxi e chitarre... Patrizia Chiepolo Mihočić ISOLA - Frequentare la Comunità degli Italiani non è solo un modo per confermare l’appartenenza al gruppo etnico, ma anche un’occasione d’incontro, di svago e divertimento, specialmente per i più giovani. Se poi i gruppi in questione hanno a che vedere con la musica, il successo è assicurato. Una delle Comunità che vantano un gran numero di attività musicali è sicuramente la CI “Pasquale Besenghi degli Ughi”di Isola, che vede a capo Astrid Brenko. Tra cori, gruppi di ballo, mini e midi cantanti l’allegria non manca, sia in sede che al di fuori di essa. E perché no, anche oltre il confine sloveno. Sono tutti gruppi che vantano una lunga tradizione e lusinghieri successi sia in ambito nazionale che in quello internazionale. L’eccellenza del Coro misto Haliaetum Uno dei gruppi musicali più „vecchi“ e importanti della Comunità, è sicuramente il coro misto Haliaetum, guidato dal prof.Giuliano Goruppi (prima guidato dal maestro Claudio Strudthoff) che prende il nome dall’antica denominazione latina della cittadina istriana. Colonna portante della CI in campo musicale, il coro è stato costituito il 2 ottobre 1975. Riunisce membri la cui età varia per lo più dai 30 ai 40 anni, ma anche persone più anziane. Il repertorio comprende brani che spaziano dalla polifonia sacra e profana del ‘500 al canto popolare e al folklore internazionale. L’attività dei membri è molto proficua: sostengono regolarmente concerti in Slovenia, ma anche all’estero: in Croazia, Austria e Italia. Ogni anno partecipano a numerosi concerti e rassegne musicali durante i quali il successo è assicurato, grazie alla loro bravura e „professionalità“. Dal 1986 il coro prende parte al “Concerto dell’Amicizia”, un incontro divenuto ormai tradizionale che vede a confronto tre cori provenienti da tre città diverse; il coro misto “Haliaetum”, il “Komorni pevski zbor” di Celje e il coro “Foltej Hartman” di Bleiburg (Austria). Ogni anno il concerto si svolge in un’altra città partendo da Celje, per poi proseguire l’anno dopo a Bleiburg e l’anno successivo ancora ad Isola. Ci sono poi altri due concerti divenuti ormai tradizionali e che vedono la partecipazione, in qualità di ospite di casa, il coro della Comunità: “L’Incontro Internazionale di Cori” e il “Concerto di Primavera” durante il quale si esibiscono con brani profani o popolari. Ultimamente il coro ha preso parte a due progetti importanti ideati dal loro direttore, il prof. Goruppi: il primo era dedicato alle musiche di Antonio Illersberg, uno dei massimi esponenti della cosiddetta scuola compositiva triestina, nell’ambito del quale è stato inciso pure un CD dal titolo “Omaggio ad Antonio Illersberg “. Il secondo I chitarristi del Gruppo musicale riguarda invece le musiche popolari di Giulio Viozzi (compositore, pianista, direttore d’orchestra e critico musicale italiano, tra l’altro allievo di Illersberg), dal titolo “Serata Viozzi”. I membri del coro sono molto attivi, e lo dimostra pure la carrellata di concerti tenuti negli ultimi dodici mesi. A Muggia hanno preso parte al concerto “Primorska povjest”, mentre nel mese di dicembre hanno partecipato alla Serata dedicata alla canzone promossa dal Comune di Isola. Presenti pure alla Rassegna annuale di musica sacra presso la chiesa di S. Mauro di Isola. Il coro ovviamente non si è limitato solamente al territorio sloveno, ma è stato ospite pure delle CI di Lussinpiccolo, Parenzo, Torre e Busolengo. Facendo un salto nel passato, veniamo a sapere che il coro ha tenuto pure un concerto presso la piccola chiesa di S.Maria di Allieto (nome usato in epoca romana per Isola), rimasta chiusa per anni e riaperta nel dicembre del 2008 dopo il restauro. Prima del riposo estivo, il coro parteciperà ancora, nel mese di luglio, al concerto a Trento, mentre a settembre si esibirà in provincia di Trento e poi ancora a San Ginesio (Macerata) nel mese di ottobre. Insomma, più attivi di così… Laboratori di canto e di chitarra La classe di canto istruita da Neven Stipanov Dal 2009 il Gruppo dei mini cantanti, il Gruppo dei giovani cantori e il Gruppo musicale vengono portati avanti dal valido e noto musicista Enzo Horvatin, subentrato al maestro Roberto Vatovec. Nell’ambito di questi gruppi vengono organizzati laboratori canori, di impostazione vocale e anche corsi di chitarra. Del Gruppo musicale, iniziato l’ottobre scorso, fanno parte allievi che hanno dagli otto ai 50 anni e che muovono i primi passi tra note e corde di chitarra. I giovani cantori, ragazze tra i 12 e i 15 anni, si sono esibite, assieme al Gruppo musicale, in occasione della festa di San Martino e durante il pomeriggio dedicato ai bambini, nel periodo più bello dell’anno, dal titolo “Natale non aspetta”. Gli allievi del Corso di canto, giovani e meno giovani, sotto la guida del mentore Neven Stipanov, non sono stati da meno per quanto riguarda la presenza sul palco. Durante la “Gara dei dolci”, manifestazione improntata alle tradizioni relative alla Pasqua, si sono esibiti riscuotendo un notevole successo. Per quanto riguarda i minicantati, le ultime esibizioni risalgono al festival “Voci nostre” 2008 durante il quale Tricha Pucer si è esibita con il brano “Yo-Yo” di Ondina ed Eleonora Matijašič, e in occasione dela manifestazione “Arriva Babbo Natale”, uno dei momenti più attesi dai piccolini. Da allora i pargoletti dall’ugola d’oro si sono presi, per così dire, un attimo di pausa e riprenderanno la loro attività a settembre, assieme ad un nuovo gruppo di giovanissimi, e verranno preparati secondo un nuovo programma canoro. Nell’attesa di vedere, anzi, sentire quanto siano bravi questi piccoli cantanti, auguriamo loro buone vacanze. E perché no, in vacanza ce ne andiamo pure noi. Fischiettando senz’ombra di dubbio “Sapore di mare”. Ce le saremo meritate? Credo proprio di sì! musica 3 Mercoledì, 30 giugno 2010 A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE La Scuola di musica compie 190 anni Un primato di cultura e civiltà Patrizia Venucci Merdžo FIUME – Ricorre quest’anno il centonovantesimo anniversario della fondazione della Scuola di musica di Fiume, primo istituto musicale municipale su tutto quel territorio che possiamo definire come ex Jugoslavia, e terzo in Europa, e con esso la nostra ammirazione per una temperie che aveva contraddistinto la Fiume del primo Ottocento. Gli atti di fondazione della Scuola di musica a noi pervenuti rivelano chiaramente una volontà di crescita, una mentalità organizzativa e uno spirito urbano, come pure una sensibilità democratica aperta alle necessità di tutti gli strati sociali, che per gli odierni cittadini del capoluogo quarnerino possono rappresentare una grande lezione di civiltà. Dunque - oltre al Teatro, al siluro, all’elettricità, alla ferrovia, al fenomeno industriale - , ancora un altro primato della città di Fiume che la delinea e consolida nella sua posizione di agglomerato urbano emancipato e pienamente europeo. Due insegnanti boemi per la prima Scuola di musica Con il decreto del 20 giugno 1820 emanato dal Magistrato Civico, la Pubblica Scuola di Musica vocale e strumentale – dopo varie controversie tra il Magistrato Civico di Fiume, il Capitaniato Circolare di Fiume e il Governo del Litorale di Trieste - veniva finalmente fondata. Come stabilito dall’atto di fondazione, l’ente musicale avrebbe avuto un professore principale (che al contempo avrebbe ricoperto la carica di organista del Duomo e di direttore dell’orchestra del Teatro Adamich), e un secondo insegnante, assistente-coadiuvatore. Entrambi avrebbero percepito un salario annuale, rispettivamente di 500 e 300 fiorini, erogato dalla Cassa pubblica. Lo stesso giorno dell’emanazione del decreto il Magistrato civico bandì il concorso per l’assunzione dei docenti che venne pubblicato nelle principali città dell’impero asburgico (Trieste, Lubiana, Graz, Venezia, Vienna e Praga), a testimonianza dell’alto livello di criteri, ai quali i fondatori si ispiravano. I primi due docenti della Scuola di musica di Fiume furono i boemi Venceslav Wenzel – insegnante di musica attivo a Lubiana - e Joseph Prohaska di Adelsberg. La sede della prima scuola di musica era ubicata in strada del Lido 490, l’odierna Riva, nell’edificio adiacente all’attuale chiesa ortodossa di S. Nicola. Lo spirito democratico dei padri cittadini Con lo statuto della neonata Scuola di musica del 1 aprile 1821, si stabiliva la divisione degli alunni in „regolari“ e „pre- parandi“. Questi ultimi venivano educati per l’insegnamento della musica nella scuola pubblica. All’educazione musicale, che era gratuita, avevano accesso i ragazzi di tutti gli strati sociali; i più indigenti potevano usufruire di un contributo da parte del Magistrato civico. Dai documenti del tempo risulta chiaramente la variegata estrazione sociale degli allievi; erano figli di patrizi, magistrati, commercianti, marittimi, proprietari terrieri, come pure figli di pescatori, artigiani e operai. Un tanto per mettere in luce lo spirito democratico ed estremamente evoluto che caratterizzava la mentalità dei padri cittadini di Fiume. L’articolato programma dell’istituto, della durata di quattro anni, prevedeva le sezione archi, fiati, canto, pianoforte e organo. Il primo direttore (onorario) della Scuola fu Andrea da Scherzer, e come testimonia l’elenco degli iscritti del 1821, erano ben 50 i ragazzi della prima generazione. Quella di Fiume fu la prima Il prof. Klobas nel suo saggio sulla Scuola di musica di Fiume, volendo argomentare il primato del detto ente musicale (in un contesto territoriale più ampio) in quanto istituzione musicale autonoma e municipale, precisa che le scuole di musica di Varaždin e Zagabria furono fondate rispettivamente nel 1828 e nel 1829 da società musicali (“Musikverein“), ossia da associazioni di cittadini che autofinanziavano i detti istituti; quindi si trattava di enti “privati“ che non usufruivano del contributo di un soggetto “statale“. A Lubiana operava dal 1816, nell’ambito della scuola normale, un indirizzo musicale finalizzato all’educazione musicale generale dei futuri maestri della scuola “dell’obbligo“; tuttavia questo tipo di istruzione era presente a Zagabria e Fiume rispettivamente sin dal 1788 e 1789. Quando nel 1821 la Società Filarmonica di Lubiana decise di istituire una scuola di musica a parte, appellandosi al Magistrato cittadino per un sostegno finanziario additò all’esempio della (già operante) Scuola di musica di Fiume. Il tutto sta ad indicare che la città di San Vito disponeva già di una Scuola di musica autonoma e indipendente da qualsiasi altro tipo di istituzione scolastica ed era supportata direttamente dalla municipalità; il che dimostra il suo primato cronologico nella geografia dell’istruzione musicale sul territorio dell’ exJugoslavia. Direttori, sedi, statuti Nel 1824 il ruolo di direttore era ricoperto da Lodovico de Lazzarini, patrizio e compositore fiumano, mentre l’anno dopo il Prohaska fu sostituito da Giovanni Knezaureck. Il Lazzarini, attivo a Lubiana negli anni 20 dell’Ottocento, viene menzionato come autore di musica “leggera“ (danze tedesche, laindler, cottillions), come compositore talentuoso e tecnicamente abile. Nel 1928 la scuola si trasferisce in casa Adamich e lo studio viene prolungato a cinque anni, suddivisi in dieci semestri. Direttore onorario dell’istituto è il patrizio e consigliere fiumano Carlo Antonio Pauer. Con lo statuto del 31 agosto 1831 si attualizza il diretto coinvolgimento degli allievi in tutte le manifestazioni musicali pubbliche, come pure il rilascio, a studi ultimati, di un attestato di frequenza. Dopo quindici anni di indefessa e pionieristica attività, nel 1835, Venceslao Wenzel, il primo maestro della Scuola di musica fiumana e costruttore delle basi della vita musicale fiumana, viene a mancare. Fondamentale era stato il suo contributo all’attività lirica del Teatro Adamich; basti ricordare che nella stagione del 1834, nell’ arco di tre mesi diresse ben 34 spettacoli d’opera. Facciamo notare che tale numero supera abbondantemente l’attuale attività lirica del Teatro fiumano nel corso di tutta stagione. Negli anni trenta la Scuola di musica si insedia nella casa di Iginio Scarpa e quindi in Casa Battaglierini, (in Piazza delle erbe) dove opererà a partire dal 1842. L’importante contributo di Zaytz padre A Wenzel successe Giovanni de Zaytz padre, già attivo a Fiume dal 1830 e noto per la sua attività di direttore d’orchestra al Teatro Adamich, maestro e organista al Duomo, solista agli archi e compositore fecondo. Protagonista di un ventennio musicale allestì ben 52 opere liriche 45 delle quali erano delle première e portavano la firma di Donizetti, Bellini, Rossini, Verdi. Rappresentate pochi anni dopo le loro prime italiane fecero sì che Fiume fosse annoverata tra le città europee più aggiornate nel campo dell’opera lirica italiana. Zaytz padre insegnò canto e archi alla Scuola di musica, assieme a Venceslao Leschetizky (canto e fiati); tra gli allievi figuravano pure, nel 1847/48, Giovanni junior e la sorella Albina, futura cantante lirica di successo sui palcoscenici italiani. Il ricco inventario della Scuola di musica Dopo un periodo di crisi organizzativa e materiale, con lo statuto del 1849 la Scuola vive un processo di riorganizzazione e rinnovamento. Nel 1853 la Municipalità eroga 1280 fiorini per materiali didattici e 2344 fiorini come sovvenzione annuale fissa. Nel ’54 gli insegnanti impiegati sono tre: Girolamo Francalucci di Firenze per gli strumenti ad arco, Wenzel Zawrtal di Praga per i fiati, e il fiorentino Giuseppe Maria Sborgi per il canto. I direttori sono ben tre e rispondono ai nomi dell’ ing. Primo de Adamich, del consigliere municipale Luigi Cornet e dell’avvocato Luigi dall’Asta. Da un inventario del ’55 risulta che la Scuola di musica possedeva un pianoforte, 16 strumenti Protocollo della commissione del Magistrato civico del 20 novembre 1819 inerente all’istituzione della Scuola di musica ad arco, 32 strumenti a fiato e 9 percussioni. La biblioteca consisteva in 461 partiture per orchestra, 112 brani di musica sacra e 35 per orchestra di fiati, un gran numero di composizioni da camera e per strumenti solisti, come pure parecchi libri didattico-pedagogici per lo studio del canto e di strumenti vari. Ricorderemo che la banda cittadina era stata fondata nel 1851 ed operava sotto l’ala della Scuola. Il Teatro Adamich a livelli europei Figura di fondamentale importanza per la vita musicale di Fiume fu Giovanni Zaytz figlio; reduce dagli studi al Conservatorio di Milano, compositore e concertista al pianoforte e al violino, dal 1855 fu insegnante alla Scuola di musica per gli archi e il canto. Oltre a ciò, come direttore d’orchestra al Teatro Adamich aveva l’obbligo di dirigere l’orchestra negli spettacoli d’opera (da 30 a 40 per stagione), e di prosa, come pure in tutte le solennità religiose, pubbliche e benefiche. Inoltre aveva il compito di comporre e copiare le musiche per orchestra per i vari spettacoli di prosa e per le altre occasioni. Maestro ed organista al Duomo, scrisse messe e brani sacri per l’ufficio divino. Nonostante l’intensissima attività Giovanni Zaytz riuscì a comporre durante il suo settenale periodo fiumano ben 70 composizioni di genere lirico, sinfonico, cameristico, sacro e profano. Con la Casa Battaglierini, sede della SM dal 1842 sua eccezionale e poliedrica cultura musicale e generale, con la sua rara personalità di uomo di teatro e di organizzatore impresse alla realtà musicale cittadina una svolta qualitativa e di aggiornamento unica su tutto il territorio che oggi possiamo designare come ex-Jugoslavia. Purtroppo, l’ambiente cittadino si dimostrò troppo ristretto per la sua personalità d’artista, e nel 1862 prese la via di Vienna dove si metterà in luce come autore d’operette di successo. La Scuola di musica continuerà il suo percorso fino al 1865, anno in cui, causa una crisi di tipo organizzativo che non troverà soluzione, interromperà la sua attività nei successivi decenni. 4 musica Mercoledì, 30 giugno 2010 Mercoledì, 30 giugno 2010 5 CINEMA E MUSICA Nella musica il regista reperì un mezzo efficace per influire sul ritmo dell’azione e per esprimere l’interiorità dei personaggi o le forze sotterranee attive in molte situazioni drammatiche Immagine, suono, relazione mentale in «The Man Who Knew Too Much» (1956) di Alfred Hitchcock Matteo Giuggioli Nella celebre intervista rilasciata a François Truffaut nel 1962, Hitchcock dichiara apertamente di non perseguire come obbiettivo, nel cinema, la rappresentazione naturalistica della realtà. Quale essenza della narrazione cinematografica, al tranche de vie egli oppone il principio drammatico, l’azione sfrondata dai dettagli inessenziali. Il dramma, sostiene, “è una vita dalla quale sono stati eliminati i momenti noiosi”. Di conseguenza, afferma che la sua maggiore preoccupazione consiste nel creare, con i mezzi espressivi del cinema, delle forme atte ad arricchire l’azione, che drammatizzino la storia fino a renderla “senza buchi né macchie”, in grado di coinvolgere ed emozionare lo spettatore evitando interruzioni o cali di tensione. Pregiudizi nei confronti di Hitchcock Per il suo modo di intendere il cinema, ma forse anche a causa di pregiudizi suscitati dal suo successo presso il pubblico, Hitchcock fu a lungo frainteso e denigrato dalla critica americana, restia a considerarlo un ‘autore’ alla stregua degli altri grandi registi dell’epoca. I suoi film venivano accusati di essere privi di sostanza, di presentare situazioni inverosimili e di abusare di uno strumento di drammatizzazione come la suspense, ritenuta una forma inferiore di spettacolo. I giovani critici dei “Cahiers du cinéma”, entusiasti sostenitori di Hitchcock, reagirono per primi contro le opinioni superficiali e tendenziose che si erano diffuse in America. Ribaltando i termini, dimostrarono innanzitutto quanto fosse assurdo, nel suo cinema, ricercare la sostanza al di fuori delle forme dello spettacolo. Eric Rohmer e Claude Chabrol (nel loro Hitchcock del 1957) riconoscono proprio nell’ineguagliabile capacità di inventare forme cinematografiche la peculiarità artistica del maestro inglese e sottolineano che nei suoi film la forma non interviene a ornare il contenuto, ma a crearlo. Livelli di senso di alta complessità A partire dalla nuova consapevolezza sul ruolo della forma espressa dai due colleghi, Truffaut, nell’introduzione all’intervista, chiarisce altri aspetti essenziali dell’universo creativo di Hitchcock. Soprattutto spiega come le sue costruzioni formali, accessibili a ogni tipo di pubblico e tese, in apparenza, soltanto a drammatizzare le vicende del racconto per captare l’attenzione dello spettatore, inneschino livelli di senso di alta complessità, assai diversi tra loro. Essi vanno dall’indagine profonda sui sentimenti, sulle pulsioni, sulle ossessioni umane, alla riflessione metalinguistica sull’arte cinematografica. L’esame della dimensione visiva permette inoltre a Truffaut di confutare l’accusa di inverosimiglianza che i critici americani muovevano ai film di Hitchcock e che egli sembrava avvalorare dichiarando di non essere interessato alla resa del vero. Truffaut osserva che, tramite l’eccezionale sensibilità nel filmare con le sole immagini i sentimenti e i più intimi rapporti tra gli individui, Hitchcock perviene a un realismo di grado superiore, che oltrepassa l’arbitrarietà dei materiali narrativi o degli stilizzati costrutti formali rivolti essenzialmente a intensificare la tensione drammatica. Sul piano tecnico, la concezione hitchcockiana del cinema implicava la padronanza assoluta di tutte le risorse. Il regista maturò straordinarie competenze in tale senso sin dall’inizio della carriera, ricoprendo vari ruoli professionali all’interno delle compagnie di produzione che operavano a Londra. Oltre a dedicare estrema cura alla realizzazione delle inquadrature, Hitchcock sovrintendeva a ogni altra fase di lavorazione del film, dalla stesura della sceneggiatura, alla fotografia, al montaggio, alla selezione e sincronizzazione del suono. Tra le materie dell’espressione predilesse sicuramente l’immagine; si era formato e aveva esordito alla regia nell’epoca del cinema muto, pertanto mantenne sempre salda la convinzione che i film muti fossero “la forma più pura del cinema” e che il “modo cinematografico” di presentare una storia consistesse nel saperla raccontare per immagini. Nei confronti dei significanti sonori Hitchcock mostrò un atteggiamento ambivalente. Sfasatura tra dialogo e immagine Fedele all’idea del cinema puro, che giunge a compiutezza nel racconto per inquadrature e sequenze, egli riteneva il dialogo una risorsa scarsamente espressiva. Ne deprecava anzi la pericolosa tendenza ad abbattere la tensione, a trasformare il cinema in “fotografia di gente che parla”. Nei suoi film è spesso presente una sfasatura tra dialogo e immagine, sbilanciata in favore dell’elemento visivo. Alla situazione contingente affidata al parlato, neutra sul piano emozionale, viene sovrapposta, evocata dall’immagine, una dimensione nascosta, portatrice dei nuclei drammatici. Diversamente, Hitchcock tenne in grande considerazione i rumori e la musica, per il loro alto potenziale espressivo. Nel valore aggiunto degli effetti sonori e della musica da buca sull’immagine reperì un mezzo efficace per influire sul ritmo dell’azione e per esprimere l’interiorità dei personaggi o le forze sotterranee attive in molte situazioni drammatiche. Si servì quindi della musica da schermo non solo per arricchire la narrazione, ma anche per incidere sull’equilibrio tematico. Agli effetti sonori e alla musica affidò, in molti casi, un ruolo centrale nella drammatizzazione e nella definizione delle forme. Una pellicola raccontata con la musica Un film completamente pervaso dalla musica è The Man Who Knew Too Much, nella seconda Fatti, come labirinti di possibilità Musica da schermo per “Whatever will be” versione, del 1956. Rispetto alla prima versione, girata nel 1934 in Inghilterra, Hitchcock arricchì con nuove immissioni la consistenza della componente musicale e ne perfezionò il rapporto con le altre dimensioni del testo filmico. La musica è presente nel film a vari gradi. C’è il commento musicale da buca composto da Bernard Herrmann; il compositore, che aveva iniziato a collaborare con Hitchcock dalla produzione precedente, A Trouble with Harry, dello stesso anno, in totale scriverà le musiche per sette suoi film, firmando capolavori quali Vertigo (1958) e Psycho (1960). Ci sono alcuni brani di musica da schermo; i principali, per il rilievo che assumono all’interno nella vicenda sono Storm Clouds Cantata di Arthur Benjamin, già al centro dell’intreccio nella prima versione, e la canzone Whatever will be di Jay Livingston e Ray Evans. Seguono la musica d’ambiente del ristorante di Marrakech, l’inno cantato dai fedeli nella Ambrose Chapel, la seconda canzone di Livingston e Evans, We’ll love again, eseguita da Doris Day all’ambasciata. La mia analisi si concentrerà sulle due sequenze in cui compare la canzone Whatever will be, uno degli elementi maggiori di musica da schermo. Sarà indirizzata a delineare le modalità di organizzazione delle forme attorno a essa e a rilevare gli esiti raggiunti sul piano tematico. Per sondare i livelli di senso impressi nelle strutture audiovisive mi riferirò in partenza ai concetti elaborati da Gilles Deleuze (nella prima parte del suo studio sul cinema, L’immagine-movimento) sulle caratteristiche dell’immagine nel cinema di Hitchcock. Deleuze individua all’interno della serie visiva un principio di fondo, che a mio avviso, in The Man Who Knew Too Much influenza anche le componenti sonore introdotte nell’intreccio. dei costumi locali e parlando arabo aveva in breve risolto la questione. Jo nutre dei sospetti su di lui dal momento che si è mostrato reticente nel rivelare la propria identità e poiché, all’arrivo dell’autobus, lo ha visto confabulare con l’uomo dell’incidente, come se tutto fosse stato architettato. Nella scena della camera d’albergo i sospetti della donna si infittiscono, per lo strano modo di comportarsi dell’ospite. Come apprenderemo nelle fasi successive del racconto, Bernard, che sarà assassinato di lì a poco, era l’agente segreto sulle tracce dell’organizzazione criminale che progetta l’uccisione del Primo Ministro. La relazione espressa nella frase d’apertura va oltre gli avvenimenti, mira al nucleo tematico profondo del film. Hitchcock, secondo consuetudine, ce lo propone avvalendosi di una trama avventurosa, ricca di azione e di situazioni forti. L’argomento, complesso, è quello dell’uomo in mano al proprio destino e viene sviluppato seguendo due aspetti complementari. Da una parte il labirinto delle possibilità che si apre di fronte a ogni scelta, dall’altra l’interferenza, che può unire all’improvviso dimensioni estranee, distanti, innescando coincidenze imprevedibili, a volte fatali. La relazione mentale contenuta nella dichiarazione iniziale pertanto risulta doppia: un labirinto di possibilità può portare un colpo di piatti a rovinare la vita di una famiglia soltanto se, a causa di una interferenza, esso si è a sua volta smarcato, trasformandosi nel colpo di pistola di un omicidio. Accanto al tema principale, Hitchcock svolge nel film alcuni motivi tipici della sua produzione cinematografica, quali la metamorfo- Whatever will be occupa, da elemento sonoro principale, le prime quattro inquadrature della sequenza, dalla dissolvenza che apre sull’interno della camera d’albergo, ai rintocchi sulla porta che interrompono Jo e Hank mentre cantano e ballano insieme. Hitchcock instaura tra suono e immagine un rapporto di fuori campo attivo. Esso si ha quando un suono off impone un’aspetta- si in personaggio eroico dell’uomo ordinario, indotta da una situazione eccezionale che egli si trova a fronteggiare, il male che si cela sotto le sembianze affabili di membri della buona società, l’incapacità delle forze dell’ordine nel risolvere i casi di crimine. Vediamo adesso come interagiscono, nelle sequenze in cui appare Whatever will be, forma audiovisiva, rappresentazione tematica, relazione mentale. La canzone compare per la prima volta nella sequenza della camera d’albergo a Marrakech. (I coniugi Jo e Ben McKenna, con il figlio, il piccolo Hank, sono da poco arrivati in Marocco per trascorrere una vacanza. È sera, Jo e Ben hanno invitato a prendere un cocktail nella loro stanza Louis Bernard, in previsione di uscire con lui a cena. I McKenna hanno conosciuto Bernard sull’autobus che li accompagnava in città, in seguito a un disguido occorso a Hank con un uomo del luogo. Il francese, dimostrandosi esperto tiva sul campo visivo, incitando lo sguardo ad andare a vedere che cosa succede alla sorgente sonora. Nella sequenza, le voci cantanti, quella di Jo che intona il ritornello, poi, a catena, quella di Hank che esegue la prima strofa, sono inseguite dalla macchina da presa, che in successione rivela le due fonti. La costruzione audiovisiva, come dimostra Murray Pomerance con un’analisi dettagliata dell’episodio, permette alla canzone di trascendere la propria natura e il proprio valore musicale, elevandosi a fulcro di significati. In termini deleuziani, il brano attiva una relazione mentale astratta, divenendo un simbolo delle dinamiche affettive tra i membri della famiglia McKenna. Per il suo tramite comprendiamo la forza del legame tra madre e figlio. Si pensi a come Jo e Hank, alternandosi con estrema precisione nell’intonazione delle sezioni, dialoghino in musica (inq. 2) o al perfetto affiatamento che esibiscono nel muovere assieme un pas- Un rapporto di fuori campo attivo Musica d’ambiente per la scena al ristorante di Marrakesch Il principio risiede nella relazione mentale, che dà luogo ad un tipo di immagine (immagine mentale), in cui l’azione non trova significato esclusivamente nella propria finalità o nei propri mezzi, ma appunto in una relazione che la fa rimandare a un terzo termine, rendendo palese un atto cognitivo. L’immagine mentale non coglie l’azione soltanto come rapporto che si instaura tra due termini, o forze, sulla base di una legge, ma introduce un’interpretazione. Relazione mentale naturale e relazione astratta Afferma Deleuze che “In Hitchcock le azioni, le affezioni, le percezioni, tutto è interpretazione, dall’inizio sino alla fine un’azione, essendo data (al presente, al futuro, o al passato), sarà letteralmente circondata da un insieme di relazioni, che ne fanno variare il soggetto, la natura la finalità eccetera. Ciò che conta non è l’autore dell’azione … e nemmeno l’azione stessa: è l’insieme delle relazioni in cui sono presi l’azione e il suo autore. Deleuze spiega che l’immagine mentale fa nascere due generi fondamentali di relazione, naturale o astratta. La relazione mentale naturale, che egli chiama ‘smarcatura’, è prodotta dall’uscita di un elemento dalla serie di pertinenza, in cui gli altri sono soliti riconoscerlo. L’effetto è tanto più forte quanto più comune è l’oggetto che fuoriesce dalla trama consueta. Il filosofo mostra diversi esempi tratti dai film di Hitchcock, gli uccelli, per natura innocui, in The Birds (1963), il mulino in Foreign Correspondent (1940), le cui pale girano in senso contrario al vento, l’aereo solforante in North by Northwest (1959), che compare sebbene non ci siano campi da solforare. La relazione mentale astratta si attua invece nel ‘simbolo’, inteso non come pura astrazione, ma come oggetto reale che porta in sé diverse relazioni. Secondo tale accezione, è un simbolo, ad esempio, la fede in Rear Window (1954). Talvolta le smarcature e i simboli possono convergere nei medesimi elementi. In The Man Who Knew Too Much gli estremi di una relazione mentale sono rintracciabili già nella frase che appare sullo schermo in apertura del film, in conclusione del passaggio orchestrale che ha accompagnato, con le sezioni di ottoni e percussioni inquadrate dalla macchina da presa, i titoli di testa. Sullo sfondo dei piatti, che il percussionista ha appena suonato nell’accordo finale del breve preludio strumentale, leggiamo: “A single crash of cymbals and how it rocked the lives of an American family”. Capiremo molto più avanti, retroattivamente, il significato dell’enunciato. In esso è condensato il nucleo concettuale del racconto. Hitchcock non espone semplicemente un fatto, ma esibisce un ragionamento, una relazione mentale che agisce a partire da un elemento sonoro e musicale al tempo stesso. L’azione (il colpo di piat- ti) rimanda a una conseguenza (la rovina di una famiglia) che non può essere implicata se non per mezzo di un atto interpretativo. Ovviamente, saranno gli eventi narrati nel film a mostrare il nesso tra i termini. Un’organizzazione criminale ha pianificato l’assassinio del Primo Ministro di una nazione (non specificata per motivi di censura), che dovrà avvenire a Londra durante l’esecuzione della Storm Clouds Cantata alla Royal Albert Hall. Il sicario, per occultare il rumore ha l’ordine di sparare in coincidenza del colpo di piatti che segna il culmine del brano. La famiglia americana dei McKenna, in vacanza a Marrakech, viene a conoscenza, per una serie di coincidenze, di alcuni particolari del piano e per questo subisce il rapimento figlio. Alla disperata ricerca del bambino, che infine avrà esito positivo, Jo e Ben McKenna saranno protagonisti di una concitata serie di vicende. Riusciranno, tra l’altro, a sventare l’omicidio durante il concerto. so di danza su quanto stanno cantando (inq. 4). “When I was just a little boy …” Quando sentono il bambino cantare poi, entrambi i genitori si scambiano un sorriso compiaciuto, che manifesta tutta la loro soddisfazione per la sua precoce sensibilità (inqq. 2-3). Pomerance nota che anche il testo poetico della canzone, in sé di scarso spessore, assume rilievo se considerato in questa ottica. Hank canta delle strofe nostalgiche, che rimandano in prima persona a momenti dell’infanzia e dell’adolescenza ormai lontani: “When I was just a little boy … / When I was just a child in school … / When I grew up and fell in love …”. Si tratta di esperienze e sensazioni che, per la sua età, non può avere vissuto. Esse potrebbero semmai essere ricondotte alla storia personale di Jo, che evidentemente ha insegnato il brano al figlio. Ascoltandole cantate dal bambino, per di più fuori campo, ossia in assenza della sua figura, ci fanno percepire una sfasatura temporale. Sembra che la voce provenga dall’interiorità della madre, che rivive nel figlio le emozioni di un tempo, a testimonianza della profonda reciprocità che intrattiene con lui. Sul fronte della rappresentazione tematica, la forma audiovisiva offre dei consistenti riferimenti ai due aspetti complementari del tema centrale del film, labirinto e interferenza. Le stanze separate da cui provengono le voci di Jo e Hank, congiuntamente al movimento della macchina da presa, che si muove alla loro ricerca imbattendosi di passaggio in molti altri elementi, rimandano all’idea del labirinto delle possibilità (inq. 2). Un labirinto acustico, come spiega ancora Pomerance è invece provocato dallo scarto temporale che si crea tra il passato degli avvenimenti raccontati nella canzone e l’anticipo che la canzone stessa gioca sull’immagine attraverso il fuori campo attivo. Si crea una sospensione del tempo, dominata da una sorta di doppia memoria. Una, lontana, è legata agli eventi evocati dal brano, l’altra, immediata, viene prodotta dal movimento della macchina da presa, che giunge a inquadrare la sorgente quando della voce, appena estinta, non è rimasto che il ricordo. L’interferenza è richiamata dai rintocchi sulla porta che, interrompendo l’esecuzione di Whatever will be, spezzano l’incanto del sereno quadretto familiare. Ben apre la porta una prima volta e si trova di fronte il cameriere con la cena per Hank (inq. 5). Poco dopo però, quando ad aprire va Jo, i coniugi si trovano a contatto diretto, ignorandolo, con il sicario Rien. Considerata a posteriori, quando saranno ormai definite le identità e le intenzioni di ogni personaggio, la comparsa del criminale sulla porta della camera d’albergo appare come il segno ineluttabile del destino sventurato che sta per travolgere i McKenna (inq. 20). Segue nelle pagine 6 e 7 6 musica Mercoledì, 30 giugno 2010 MUSICA SACRA Quel celebre mottetto mozartiano che continua a commuovere Amadè e le sue vette spirituali L ’Ave Verum Corpus, o semplicemente Ave Verum, è un testo eucaristico che viene fatto risalire a una poesia del XIV secolo. La poesia riguarda il credo cattolico della presenza del corpo di Gesù Cristo nel sacramento dell’Eucarestia; il significato italiano del titolo è Salve, Vero Corpo o Corpo di Verità. Questo testo è stato musicato da numerosi compositori, tra i quali Gounod, Liszt, Elgar, Jenkins; comunque la versione più celebre è certamente l’opera K.618 di Wolfgang Amadeus Mozart. Si tratta di un mottetto per coro misto, orchestra e organo in Re magg., composto dall’autore salisburghese a Baden, nei pressi di Vienna, fra il 17 e il 18 luglio del 1791. L’opera è dedicata all’amico Anton Stoll, Kapellmeister della chiesa parrocchiale di Baden. Nata per l’occasione della solennità del Corpus Domini, viene considerata uno dei momenti più alti del genio mozartiano. Pëtr Il’ič Čajkovskij rielaborò questo celebre mottetto nella preghiera che costituisce il terzo movimento della Suite n. 4, op. 61, nota - non a caso - come Mozartiana. L’Ave Verum Corpus nella musica moderna è legata al cantante rock Jon Anderson che interpreta tale brano nel proprio album solista Toltec del 1996 (il brano ha titolo Ave Verum). Tra la miriade di esecuzioni - in varie formazioni vocali, strumentali - spicca l’interpretazione, con organico originale, di Leonard Bernstein. All’Arena di Verona una stagione firmata Zeffirelli VERONA - Il Festival Lirico Arena di Verona dal 18 giugno al 29 agosto, raggiunge quest’anno la sua 88 esima edizione: Franco Zeffirelli e l’Arena, questo è il sottotitolo della stagione interamente dedicata al regista fiorentino che firma tutti i titoli in cartellone: Turandot di Giacomo Puccini, Aida di Giuseppe Verdi, Madama Butterfly di Giacomo Puccini, Carmen di Georges Bizet, Il Trovatore di Giuseppe Verdi. Completamente nuovo è l’allestimento di Turandot, ideato appositamente per quest’edizione del festival; le altre quattro mises en scène Aida, Madama Butterfly, Carmen, Il Trovatore sono riprese di già famose produzioni, che in passato portarono grande successo per il palcoscenico operistico più grande al mondo. Così lo stesso Franco Zeffirelli rammenta la sua prima Aida, allestita nel 2002: “Fu, forse, la più grandiosa Aida mai vista sul pianeta, come scrisse qualcuno, ma al tempo stesso molto diversa da tutto quello che avevo mai fatto fino ad allora. L’intero allestimento era una sorta di grandiosa macchina delle sorprese, realizzata interamente in metallo dorato, su cui le luci rimbalzavano in modo sempre sorprendente. Il pubblico ne fu sbalordito. Dopotutto ‘lo scopo del poeta è stimolare la fantasia, e suscitare meraviglia, sorpresa e so- gni’. Il pubblico è molto esigente e proviene da tutta Europa, in pellegrinaggio per portarsi a casa esperienze memorabili.” A esibirsi sarà un cast di fama internazionale: fra i direttori d’orchestra non mancheranno Plácido Domingo, Giuliano Carella, Daniel Oren, Antonio Pirolli, Julian Kovatchev, fra gli interpreti spiccano i nomi di Marcelo Álvarez, Maria Guleghina, Dmitri Hvorostovsky ed ancora Fiorenza Cedolins, Marianne Cornetti, Hui He, Kristin Lewis, Amarilli Nizza, Svetla Vassileva, Tichina Vaughn, Marco Berti, Carlo Ventre, Ambrogio Maestri, solo per menzionare alcuni significativi protagonisti della prossima stagione. to è quella tra Jo e Bernard, dovuta alle risposte evasive dell’agente che insospettiscono la donna. Sono le inquadrature, che ritraggono Bernard nell’ombra, spesso di spalle, in disparte ma vigile, a rendere in pieno l’idea del suo incombere sui McKenna e dell’alone di mistero che avvolge la sua figura. Così come spetta ancora all’immagine comunicare l’allarme procurato al francese dalla vista del sicario. La zoomata improvvisa sul volto di Rien, unita al codice iconografico cui risponde il volto dell’uomo, non ci fanno avere dubbi poi, sulla minaccia che egli rappresenta. Anche gli atteggiamenti dei due coniugi, la diffidenza di Jo, la tranquillità di Ben, sono espressi attraverso l’elemento visivo. Sulla domanda di Bernard, che riaccende i dubbi della donna (inq. 6), inizia la mu- Dalle pagine 4 e 5 Sbilanciamento caratteristico tra immagini e dialogo Nel resto della sequenza (inqq. 5-31) la narrazione è meno densa di implicazioni ed è basata sullo sbilanciamento, caratteristico del cinema di Hitchcock, tra immagini e dialogo. L’unica tensione che possiamo cogliere dal parla- sica da buca di Herrmann, caratterizzata da una melodia orientaleggiante, poco direzionata, che rimarrà sospesa su tutta la scena. La musica ben si adatta ed esternare i sospetti di Jo e a rivestire il clima di incertezza che cala sull’episodio. La canzone appare per la seconda volta nella sequenza dell’ambasciata, l’ultima scena d’azione del film. Sicuri che i rapitori trattengano Hank prigioniero nell’ambasciata, i McKenna vi si recano, sfruttando l’invito rivolto dal Primo Ministro a Jo, che gli ha salvato la vita all’Albert Hall. Jo chiede di poter cantare in omaggio agli invitati al ricevimento. In realtà la sua intenzione è quella di intonare a gran voce Whatever will be, in modo tale da farsi sentire da Hank, se si trova nell’edificio. Il bambino, musica 7 Mercoledì, 30 giugno 2010 LE GRANDI VOCI Giulietta Simionato, il mezzosoprano che incantò il mondo Quel timbro di voce incomparabile... S i è spenta nello scorso maggio, a Roma, all’età di 99 anni Giulietta Simionato, una delle massime voce di mezzosoprano del Novecento. Da ragazza studia in un collegio di suore che ne intuiscono le qualità e la invitano a studiare canto, ma incontra l’opposizione della famiglia, soprattutto della madre. Dopo la morte di quest’ultima, studia canto prima a Rovigo, poi a Padova. Il suo debutto risale al 1927, con la commedia musicale Nina, non far la stupida. L’anno successivo esordisce nella lirica a Montagnana. Nel 1933 vince il Primo Concorso di Bel Canto, tenutosi a Firenze, su 385 concorrenti, ed ottiene un’audizione al Teatro alla Scala. L’esito è positivo, ma il maestro Fabbroni, allora direttore artistico del teatro milanese, trova la sua voce an- cora immatura e la invita a tornare qualche anno più tardi. Due anni dopo viene messa sotto contratto alla Scala, ma a condizioni impossibili. La Simionato accetta, ma viene destinata unicamente a ruoli minori, sembra perché non sostenuta dal regime fascista, così che la sua carriera stenta a decollare. Solo nel 1947 giunge finalmente il suo primo ruolo da protagonista: Mignon, alla Scala, che le varrà un articolo elogiativo di Eugenio Gara: Laurea a Giulietta. Da quel momento la sua carriera prende una svolta, e Giulietta sale sui palcoscenici di tutto il mondo. Una voce molto estesa e notevoli qualità drammatiche la rendono adatta a un gran numero di ruoli (Carmen, Giovanna di Seymour, Leonora, Isabella, Cenerentola, Rosina, Azucena, Eboli, Preziosilla, Ulrica, Mrs Quickly, Amneris, Adalgisa, Santuzza, Principessa di Bouillon, La zia principessa). Importante è stato anche il suo ruolo nella riscoperta di partiture del passato, che rischiavano di cadere nell’oblio: Gli Orazi e i Curiazi di Domenico Cimarosa, Gli Ugonotti di Meyerbeer, Il Conte Ory e il Tancredi di Rossini. È stata la più grande amica e collega di Maria Callas: memorabile rimane il loro duetto del 1957 alla Scala in Anna Bolena di Donizetti, in cui le due cantanti vestirono i ruoli di Anna e Giovanna. Altrettanto rilevante è la sua Adalgisa nella Norma di Vincenzo Bellini, che interpretò accanto alla Callas dal 1950 al 1965. Nel 1966, dà l’addio al palcoscenico nella piccola parte di Servilia della Clemenza di Tito, alla Piccola Scala e si ritira a vita privata dopo il matrimonio con il noto clinico Cesare Frugoni. Dopo il ritiro dalle scene, la Simionato è stata attiva come insegnante e talent-scout. Con la Callas a Parigi nella “Norma” come Adalgisa (1965). La Simionato,che aveva un buonissimo carattere era molto amata dai suoi colleghi. La Callas la riteneva la sua unica amica Giovani cantanti rovinati da cattivi insegnanti Interprete della principessa di Bouillon in “Adriana Lecouvreur”. Mezzosoprano dalla voce di straordinaria limpidezza potenza e agilità rimarrà nella storia come una delle massime cantanti liriche in assoluto rinchiuso sotto stretta sorveglianza ai piani superiori, non tarderà a riconoscere la voce della madre e a rispondere, fischiando il motivo che gli è familiare. Anche nella sequenza dell’ambasciata, la canzone esce dalla serie di pertinenza per avviare una relazione mentale. Essa non abbandona il valore di simbolo dei legami familiari, in particolare di sigillo della profonda affinità tra madre e figlio. La situazione disperata però le fa assumere, in modo preponderante, le caratteristiche della smarcatura. Il brano si trasforma nel più efficace strumento d’azione, sia per il prigioniero che per il suo liberatore. “Que sera, sera” Nella sequenza, Hitchcock non si fa sfuggire l’occasione per proporre un’ultima, incisiva figura audiovisiva di labirinto. Egli la crea per mezzo delle inquadratu- In un’intervista di Adriano Bassi di qualche anno fa Giulietta Simionato si era confessata. “Non ho avuto nessun esempio o stimolo dalla famiglia, anzi i miei genitori ed in particolare la mamma, di origine sarda, non desideravano assolutamente che diventassi una cantante. Il destino, invece, ha voluto diversamente. L’idea del canto è partita dalle suore del collegio dove studiai, le quali, sentendomi cantare, scoprirono la mia innata vocalità e quindi fecero di tutto per convincere la mia famiglia a farmi studiare musica. Dopo la morte di mia madre, papà cedette alle continue insistenze delle suore ed io, senza rendermi conto dell’importanza della scelta, iniziai questa esperienza. Debuttai nel 1927, con la commedia musicale ‘Nina non far la stupida’; ma quegli anni, per me, erano ancora di preparazione. Studiavo a Padova prima con il maestro Locatello e poi con Palumbo, maestro di coro. Nel 1933 si tenne a Firenze il Primo Concorso Italiano di canto ed io volevo assolutamente parteciparvi, anche se il maestro Palumbo mi diceva che senza raccomandazione era tutto inutile. Al Concorso eravamo in 385 e rimanemmo solo in 18, di cui 3 mezzosoprano ed io fui la vincitrice. Il maestro Serafin, che faceva parte della giuria, mi racco- re di scale e corridoi del palazzo che vengono attraversati dalla voce Jo per raggiungere la stanza in cui è segregato il piccolo Hank (inqq. 12-17). Se di solito, in un costrutto audiovisivo, spetta al suono vettorializzare l’immagine, in questo caso ci troviamo di fronte a un’inversione, con la serie visiva che idealmente guida l’elemento sonoro verso la sua meta. Intanto, il motivo dell’ineluttabilità del destino, terzo aspetto mandò al maestro Fabbroni, allora Direttore artistico della Scala, per un’audizione che ottenni, anche se mi dissero che per la Scala ero ancora immatura e che avrei dovuto ripresentarmi dopo due anni. Così feci; dopo un intenso studio con il mio primo maestro, fui accettata nell’organico del Teatro scaligero. Il contratto aveva delle condizioni impossibili, che io però accettai sino a dopo la guerra, poi nel 1947 mi affidarono il ruolo di protagonista nella ‘Mignon’ che creò il primo successo. Interessante l’approccio molto personale della cantante nella creazione dei vari ruoli.”...lo studio dei miei personaggi è sempre stato molto individuale, nel senso che non ho mai chiesto consigli a nessuno. Era tutta una mia preparazione mentale, unita nel caso di personaggi storici allo studio dell’epoca, dei costumi e della figura che dovevo interpretare. “ A proposito dei giovani cantanti aveva dichiarato: “ Non è vero che tra le nuove voci non ce ne siano di belle, il fatto è che quelle interessanti vengono rovinate da un insegnamento sbagliato. Oggi esistono prevalentemente voci tremule ed anche ciò non so bene da cosa dipenda, se dalla scuola, dal diaframma, dalle corde vocali o da altro. Non credo che si possa insegnare a cantare. E’ un dono del tema centrale del film, appare ormai completamente sviluppato dal racconto, quando la canzone risuona per la seconda volta. Apparentemente contraddittorio rispetto agli altri due, esso si pone in realtà come loro coronamento: nel labirinto delle possibilità, il destino sceglie la via da far seguire e l’interferenza può essere una delle sue logiche. Nel semplice ritornello della canzone, suggerisce acutamente Pomerance, è Giulietta Simionato (a destra), con Renata Tebaldi di natura. Ciò che invece si può trasmettere ad un allievo è l’educazione al canto, l’impostazione della voce, l’ atteggiamento. Proprio per motivi esclusivamente naturali, oggi le voci sono piccole, ci sono mezzosoprano e tenori che non riescono a reggere certe opere che per questa ragione non vengono rappresentate”. Riguardo la moda o dell’uso di reinserire nella partitura quelle parti che l’autore stesso aveva sottolineato: “Io sono una tradizionalista e quindi credo che si debba continuare come la tradizione ci ha insegnato e questo non vuol dire che non ci si debba evolvere, tutt’altro, ma ciò va fatto senza intaccare lo spirito del melodramma, che non si può rimodernare”. contenuta una chiave interpretativa di tale aspetto. Se nella camera d’albergo di Marrakech “Que sera, sera” sembrava dire che non si può sapere in anticipo ciò che deve succedere, finché non sarà successo, nell’esecuzione all’ambasciata, alla luce degli avvenimenti del film, “Que sera sera”, letto senza la virgola, ci ammonisce sull’ineluttabilità del destino, che farà sicuramente accadere ciò che vuole che accada. 8 musica Mercoledì, 30 giugno 2010 MUSICA LEGGERA La Pantera di Goro e l’Aquila di Ligonchio Fasti e destini di due miti della canzone italiana P er “arrivare” bisogna combattere; chi mira in alto ha da vedersela con i suoi simili, “assetati” di vittoria. Si, sembra proprio si stia parlando di un campo di battaglia, di una giungla dove il pericolo è sempre in agguato. In realtà è nient’altro che l’approccio al mondo della musica leggera, delle mitiche veterane della canzone italiana che da buon principio si sono viste affibbiare soprannomi “animaleschi”: Mina, detta la Tigre di Cremona, Milva, soprannominata la Pantera di Goro, Iva Zanicchi, ribattezzata l’Aquila di Ligonchio; è questo il “tris zoologico” delle cantanti che hanno fatto la storia della musica italiana dagli anni 60 in poi e che col tempo si sono cimentate anche in altri generi artistici e non. E dopo di loro Orietta Berti, detta l’Usignolo di Cavriago, e le più giovani Nada, il Pulcino del Gabbro, per la giovane età che aveva al suo esordio, Alice, la Cerbiatta di Forlì, dati i suoi grandi occhi. Iva Zanicchi, soprannominata anche l’Aquila di Ligonchio (Ligonchio/Reggio Emilia, 18 gennaio 1940), è una delle poche cantanti italiane la cui fama ha varcato i confini italiani. Il suo esordio ufficiale avviene nel 1961 con un festival per dilettanti nel quale si classifica prima. Nel 1962 il Festival di Castrocaro: non vince per una laringite, ma la sua voce “nera” colpisce i discografici della nuova etichetta Ri-Fi, che le fanno sottoscrivere un contratto. Nel frattempo sposa Tonino Ansoldi, figlio del proprietario della Ri-Fi e si trova così ad essere una degli artisti di punta di un’importante casa discografica. Nel 1964 incide la sua prima canzone di successo “Come ti vorrei”. Il 1967 si apre con la vittoria al Festival di Sanremo con “Non pensare a me” con Claudio Villa, nel 1969 altra vittoria sanremese con “Zingara” in coppia con Bobby Solo. Nel 1970 conquista il terzo posto insieme all’autore polese Sergio Endrigo, con “L’arca di Noè”, uno dei primi brani “ermetici” della storia musicale italiana. In seguito la consacrazione con ”Un fiume amaro”, di Mikis Theodorakis,nel 1971 “La riva bianca, la riva nera”, un inno pacifista che diviene uno dei suoi più celebri cavalli di battaglia e vende circa tre milioni di copie nel mondo. Tra tour al Madison Square Garden di New York, tappe negli Stati Uniti ed in Canada, concerti all’Olympia di Parigi, un servizio su “Playboy”, che propone un’inedita Zanicchi in versione sexy, arrivano gli anni 80 e la sua avventura televisiva come conduttrice e interattenitrice. Iva Zanicchi si cimenta anche come scrittrice: nel 2001 pubblica il libro autobiografico “Polenta di castagne” e nel 2005 il romanzo “I prati di Sara”. L’aquila di Ligonchio non disdegna nemmono la carriera politica: si candida alle elezioni europee, nel 2008 si insedia al Parlamento europeo e diviene l’europarlamentare italiana più assenteista (45 % di assenze!). Detiene, però, anche altri “primati”: è la donna nella storia della canzone italiana che ha vinto più edizioni del Festival di Sanremo, ben 3; è stata la prima cantante italiana ad attraversare l’Unione Sovietica in tour (1981), ad aver tenuto un concerto di musica leggera nel Teatro Regio di Parma (1973), ad aver tenuto un concerto al Madison Square Garden di New York (1973), ad aver cantato le canzoni di Charles Aznavour. Maria Ilva Biolcati, detta Milva e ribattezzata la Pantera di Goro (nata a Goro/Ferrara, 17 luglio 1939), viene lanciata come l’anti-Mina al Festival di Sanremo nel 1961. Ha all’attivo 15 partecipazioni al Festival della canzone italiana, diversi piazzamenti ma nessuna vittoria. Vince, invece, nel 1971 la Gondola d’oro con la canzone “La filanda” (cover di Amalia Rodriguez), che rimane la sua canzone più venduta. Ben presto varca i confini italiani: dopo i trionfi all’Olympia di Parigi negli anni 60, porta al successo in lingua italiana molte canzoni di Edith Piaf e tra queste la celebre “Milord”; risale a quegli anni la pluridecennale collaborazione con Giorgio Strehler a teatro, con il quale approfondirà il repertorio di Bertolt Bre- La Pantera rossa cht, diventandone una delle migliori interpreti in tutto il mondo. Ma non disdegna la televisione italiana, partecipa a numerosi spettacoli, si immerge sempre più in produzioni teatrali. Personaggio poliedrico, passa dalla canzone leggera alle opere liriche, dal teatro leggero a quello impegnato (è famosissima come Jenny dei Pirati nell’allestimento de “L’Opera da tre soldi”,1973) e qualche incursione nel cinema (“La bellezza di Ippolita” con Gina Lollobrigida). Il teatro le dà soddisfazioni importanti, soprattutto in Germania, dove gode ancor oggi di grandissima popolarità. Nel 2006 è stata invitata dal Berliner Ensemble per il Brecht-Fest nel 50° della morte di Brecht ed ha ricevuto dal presidente tedesco Horst Köhler l’importante onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale di Germania; nel 2008 è stata insignita dal Presidente della Repubblica Italiana del titolo onorifico di Commendatore; nel novembre del 2009 a Parigi ha ricevuto l’onorificenza francese di Cavaliere della Legione d’Onore. Il mese scorso la Pantera di Goro è stata ricoverata per non meglio precisati improvvisi problemi di salute durante le prove del nuovo lavoro, la fabula in musica “La Variante di Luneburg”, prevista nell’ambito del Festival Internazionale della Cultura a Bergamo. Secondo voci che circolano, pare che Milva la Rossa rossa non potrà tornare in scena prima di autunno. Il direttore artistico del Festival intende realizzare appositamente per Milva un fuori programma del Festival, nel mese di ottobre. Con i migliori auguri di pronta guarigione. Ardea Stanišić Ottimo saggio del Coro giovanile «Josip Kaplan» Slancio, musicalità, impegno La grintosa Iva Zanicchi AFORISMI AFORISMI AFORISMI FRANZ LISZT WOLFANG AMADEUS “Noi dobbiamo riconosce- MOZART re due categorie di artisti, cioè “Tre cose sono necessarie quelli che producono e quel- per un buon pianista: la testa, il li che interpretano, e convenire cuore e le dita.” Biografia che non passa fra essi che questa differenza materiale.” ERIK SATIE Un vero musicista deve sotROBERT SCHUMANN tomettersi alla sua Arte; ... deve “Guardati dal suonare tra- porsi al disopra delle miserie scuratamente. Ogni pezzo sia da umane;... deve trovarne il cote eseguito colla massima cura e raggio in se stesso,... solo in se non mai monco o dimezzato.” stesso. A. BAZZINI “Nel vero artista la sete di conoscere e di apprendere non cessa che con la vita. E uno dei mezzi più efficaci per ampliare la cerchia delle proprie cognizioni è quello di studiare i sommi compositori e di comprendere i grandi interpreti.” GIUSEPPE VERDI “Torniamo all’antico e sarà un progresso..” A. MARMONTEL L’anima di un vero artista deve esaltarsi davanti a tutto ciò che è grande e bello, nell’ordine morale come nell’ordine fisico.” W. SHAKESPEARE “Val meglio di meritare il suffragio di un sol uomo di gusto, che di suscitare, con mezzi indegni dell’arte, gli applausi di una sala piena di spettatori volgari.” FIUME – Ha offerto un’eccellente prova delle sue qualità musicali e canore il Coro giovanile “Josip Kaplan“ diretto da Doris Kovačić con il concerto di lunedì scorso alla Filodrammatica di Fiume. Impegnativo e stilisticamente vario il nutrito programma che comprendeva brani del grande Palestrina (“ Jesu! Rex admirabilis“), W. A. Mozart (“ Luci care, luci belle“), S. Mokranjac (“Tebe pojem“), T. Caplin (“Agnus Dei“), J. Kaplan (“Dobrinj je bili grad“, “Pejzaž“, “Gajardo”, “Dugo u noć”, “Brazda“), una serie di spirituals (“Just a closer walk with Thee”, “Ride the Charriot”); quindi, dei Gueen “Crazy little thing called love”, e di D. Paich, J. Porcaro “Africa”. L’esecuzione ha fatto emergere la serietà d’approccio, l’unità d’intenti musicali, il buon equilibrio e dosaggio delle singole voci come pure nei loro rapporti d’insieme, Il Coro giovanile “Josip Kaplan” i pregevoli impasti timbrici come pure l’affiatamento e la comprensione del carattere dei singoli brani, restituiti con freschezza e partecipazione. Guida autorevole ed energica la direttrice Kovačić. Voci soliste Valerija Jurasić, Veronika Kamenar e Maja Šajatović. Il concerto ha segnato pure il debutto del neonato Gruppo vo- cale composto da dieci ragazzine (fino ai 14 anni d’età) che con molto impegno e coinvolgimento hanno eseguito lo spiritual “The Storm is passing over”, e un brano di J. Kaplan. I giovani cantori degni della più alta lode per il loro impegno sono stati applauditi a lungo. Un pezzo fuori programma. (pvm) Anno VI / n. 47 del 30 giugno 2010 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Željka Kovačić Collaboratori: Patrizia Chiepolo Mihočić e Ardea Stanišić Foto: Archivio e Doris Kovačić La pubblicazione del presente supplemento, sostenuta dall’Unione Italiana di Fiume / Capodistria e dall’Università Popolare di Trieste, viene supportata dal Governo italiano all’interno del progetto EDITPIÙ in esecuzione della Convenzione MAE-UPT N° 1868 del 22 dicembre 8, Contratto 248a del 18/10/2006 con Novazione oggettiva del 7 luglio 2009