Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

1 INTRODUZIONE
1.1 BIOSENSORI: LE NUOVE PROSPETTIVE TRA BIOLOGIA MOLECOLARE E
Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
NANOTECNOLOGIE
pag. 4
1.2 SCOPO DELLA TESI
pag. 15
Proteine ingegnerizzate per immobilizzazioni particolari
Cyst-tag
Immunoliposomi
Ponti streptavidina-biotina
Immunosensori con anticorpi ingegnerizzati
Biosensori con enzimi ingegnerizzati
Biosensori con microrganismi ingegnerizzati
Biosensori a DNA
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Corso di laurea in Chimica Industriale
Tesi sperimentale:
2 LE MOLECOLE INGEGNERIZZATE CON HIS6X-TAG
2.1 IL SCFV DELL’ANTICORPO PER IL VIRUS DEL MOSAICO DEL CETRIOLO pag. 16
Il virus del mosaico del cetriolo
scFv-AP-(His)6x contro il CMV
2.2 IL FOTOSISTEMA II DA THERMOSYNECHOCOCCUS ELONGATUS
pag. 19
Il fotosistema II
PSII-(His)6x core complex da Synechococcus elongatus
Immobilizzazione di biomolecole ingegnerizzate per la
realizzazione di biosensori di nuova generazione
3 SINTESI DEI CHELANTI
Relatori:
3.1 IMAC IMMOBILIZED-METAL AFFINITY CHROMATOGRAPHY
3.2 IL COMPLESSO Ni-NTA
3.3 CODE DI ISTIDINA
3.4 SELF ASSEMBLED MONOLAYERS
Prof. Luigi Campanella
pag. 27
pag. 29
pag. 31
pag. 32
Laureanda:
Dott. Roberto Pilloton
PARTE SPERIMENTALE
Chiara Di Meo
Matricola N 11106620
4 MATERIALI E METODI
4.1 MATERIALI
4.2 METODI
Metodi di deposizione per sputtering
Metodi di deposizione serigrafica
Metodi elettrochimici
Cronoamperometria
Voltammetria ciclica
Polarografia per la determinazione del Ni(II)
Metodi spettrometrici
Assorbimento atomico per la determinazione del Ni(II)
Anno Accademico 2001-2002
1
pag. 37
pag. 39
2
1 INTRODUZIONE
Spettrometria di massa con sorgente a plasma accoppiato
induttivamente (ICP- MS)
Spettroscopia di fluorescenza
Spettroscopia di assorbimento molecolare nel Visibile
e nell’Ultravioletto
Microscopia elettronica
1.1 BIOSENSORI:
5 DEPOSIZIONE DEI MATERIALI ELETTRODICI
5.1 DEPOSIZIONE DI INCHIOSTRI SERIGRAFICI
pag. 58
5.2 DEPOSIZIONE DI Au PER SPUTTERING
pag. 59
5.3 DEPOSIZIONE GALVANICA DI Au SU PISTE DI Cu
pag. 59
Preparazione del bagno di doratura
Preparazione dei campioni di rame
Doratura delle piste di Cu
Preparazione di elettrodi stampati e doratura
Misura della superficie reale dell’elettrodo tramite cronocoulometria
Riproducibilità del comportamento degli elettrodi di Au ottenuti per
deposizione galvanica
6 SINTESI DEL COMPLESSO Ni-NTA
6.1 SINTESI DEL COMPLESSO NI-NTA SU SUPERFICIE DI GRAFITE
6.2 SINTESI DEL COMPLESSO NI-NTA SU SUPERFICI DI ORO
6.3 SINTESI DI UN BRACCIO SPAZIATORE SU AU OTTENUTO PER
LE
NUOVE
PROSPETTIVE
TRA
BIOLOGIA
MOLECOLARE
E
NANOTECNOLOGIE
Lo sviluppo della tecnologia dei biosensori negli ultimi decenni si è avvalso di un
progresso interdisciplinare della ricerca che riguarda l’integrazione di biomateriali con
trasduttori elettronici (Willner, 2001).
La strategia di tale ricerca consiste da un lato nell’applicazione di tecnologie avanzate
nel campo della microelettronica, dell’elettrochimica, dell’ottica, dell’acustica, della
meccanica; dall’altro, nell’utilizzo di migliorate tecniche di sintesi chimica e di nuove
importanti tecnologie quali le ingegnerie molecolare, proteica e genetica per
l’ottenimento di “biosensing materials” con molteplici proprietà e applicazioni.
pag. 72
pag. 74
La sensibilità e la selettività di un biosensore dipendono in larga misura dalle
SPUTTERING
6.4 DETERMINAZIONE DELLA DENSITÀ SUPERFICIALE DI NI(II)
pag. 76
pag. 77
importanza rivestono l’immobilizzazione sulla superficie del sensore, la corretta
6.5 SINTESI ELETTROCHIMICA DEL SAM SU AU
pag. 79
Assorbimento atomico
Analisi polarografica
7 IMMOBILIZZAZIONE DELLE MOLECOLE INGEGNERIZZATE
7.1 PROCEDURA DI IMMOBILIZZAZIONE DELLA PROTEINA
7.2 VERIFICA DELL’IMMOBILIZZAZIONE DI HIS6X-AP-SCFV:
REALIZZAZIONE DI UN BIOSENSORE AD ALCALIN FOSFATASI
7.3 VERIFICA DELL’IMMOBILIZZAZIONE DI HIS6X-PSII
7.4 ADSORBIMENTO ASPECIFICO DELLA PROTEINA
7.5 PURIFICAZIONE/CONCENTRAZIONE DELLA PROTEINA (HIS6X-AP-SCFV)
“ON CHIP”
caratteristiche strutturali e funzionali
della biomolecola utilizzata; altrettanta
orientazione e omogeneità (Hock et al., 2001).
La superficie del sensore deve presentarsi omogenea in modo che lo strato del
materiale biologico risulti compatto e ordinato; la tecnica di immobilizzazione deve
inoltre permettere di poter orientare la biomolecole nel modo giusto per poter poi
pag. 85
pag. 86
pag. 87
pag. 89
pag. 90
reagire con l’analita. Questo discorso, valido in generale per tutte le proteine, diventa
essenziale quando si utilizzano anticorpi e enzimi: in entrambi i casi è necessaria una
corretta esposizione del sito di riconoscimento nel primo caso e del sito catalitico nel
secondo.
A tal proposito sono state individuate ed elaborate molteplici tecniche di
immobilizzazione di molecole biologiche su svariati materiali, tra cui grafite e oro, che
si basano sostanzialmente sull’utilizzo di composti bifunzionali quali glutaraldeide,
8 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
8.1 CONCLUSIONI
8.2 SVILUPPI FUTURI
pag. 93
pag. 95
lisina, carbodiimmide, in grado di reagire specificamente sia con la superficie
BIBLIOGRAFIA
pag. 99
Tra le metodiche più recenti si devono citare, per l’importanza che vanno man mano
elettrodica opportunamente attivata che con un gruppo funzionale della biomolecola.
rivestendo, la produzione di films monomolecolari di proteine (Langmuir films) e la
3
4
creazione di immunoliposomi, ossia di strutture fosfolipidiche sferiche sulla cui
Con la manipolazione del gene si aprono possibilità pressoché illimitate nel creare
superficie sono immobilizzati anticorpi o parti degli stessi.
“biosensing materials” con caratteristiche intrinseche migliorate e/o dotati di proprietà
Una biomolecola adatta all’utilizzo in un biosensore deve possedere due importanti
completamente aggiunte.
caratteristiche: una specificità di legame nei confronti di un analita e un appropriato
I traguardi che si possono raggiungere con l’introduzione di tecniche di ingegneria
sistema di trasduzione del segnale al suo interno.
genetica nella ricerca nel campo dei biosensori sono molteplici:
•
Negli ultimi anni le ingegnerie molecolare e proteica hanno dato un notevole impulso
la creazione di proteine con specificità nuove per la determinazione di
al miglioramento e all’ampliamento del “material design” muovendosi proprio su
particolari analiti o classi di analiti, tra cui molecole di notevole
questi due fronti, ossia cercando di introdurre lì dove fosse necessario a seconda dei
importanza come pesticidi, inquinanti in genere o sostanze di interesse
casi particolari siti di legame o funzioni caratteristiche di trasduzione del segnale.
clinico;
Attraverso sintesi chimica o funzionalizzazione con tioli, ad esempio, possono essere
•
inseriti gruppi prostetici all’interno della proteina; o ancora, ottenere l’accoppiamento
la funzionalizzazione di proteine al fine di conferire alle stesse maggiore
processabilità;
con sistemi fluorofori come la green fluorescent protein (GFP), approccio utilizzato
•
con successo nella realizzazione di sensori ottici.
la sintesi di proteine con proprietà elettroniche per la trasduzione di
segnali elettrochimici;
Per quanto riguarda i sensori elettrochimici in particolare si può ricordare la
•
α-haemolysin, una proteina transmembrana batterica molto particolare in quanto può
l’ottenimento di proteine maggiormente resistenti a diverse condizioni
ambientali e ad agenti denaturanti;
fornire una corrente elettrica derivante dall’apertura/chiusura dei pori transmembrana.
•
la modificazione volta al miglioramento dell’immobilizzazione della
Inserendo all’estremità del canale tre residui di istidine si costruisce facilmente un sito
stessa proteina e alla possibilità di assemblaggio per la creazione di
di coordinazione e dunque un rivelatore di metalli, la cui presenza cambia la
networks molecolari.
conformazione del poro e di conseguenza il passaggio di corrente attraverso lo stesso
(Braha O. et al, 1997).
Tutto questo ha determinato la nascita di una “nuova generazione” di biosensori il cui
Un approccio utilizzato è anche quello di creare proteine redox artificiali per un facile
sviluppo e le cui potenzialità sono strettamente correlate ad un progresso più ampio di
trasferimento degli elettroni alla superficie elettrodica: come esempi si possono citare
diverse discipline scientifiche.
esperimenti fatti sull’albumina serica bovina (BSA) modificata chimicamente con
acido ferrocenoilpropionico e la creazione di una streptavidina mutante in cui la Tyr 83
è sostituita con antrachinonilalanina (Shinohara H. et al., 2000).
Proteine ingegnerizzate per immobilizzazioni particolari
Un altro valido metodo è l’assemblaggio di proteine con differenti caratteristiche per
formare una struttura macromolecolare con varie proprietà.
Cyst-tag
Ingegnerie molecolare e proteica si avvalgono oggi dei progressi di una disciplina
Un metodo per ottenere il self-assembling di una proteina su una superficie sfrutta
moderna e potente quale l’ingegneria genetica.
l’interazione dell’oro con i tioli.
In effetti, la modificazione o la funzionalizzazione di una proteina tramite pura sintesi
A questo proposito la Proteina A, componente della parete cellulare dello
chimica risultano processi alquanto limitati perché complessi e laboriosi, quando non
Staphilococcus aureus, è stata ingegnerizzata inserendo geneticamente una cisteina
risultino completamente impraticabili.
all’estremità C -terminale del peptide.
5
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In questo modo, la proteina risultante può ancorarsi orientatamente su una superficie di
L’anticorpo ingegnerizzato mantiene intatta la sua capacità di legare l’antigene;
oro grazie all’ossidazione dei gruppi –SH della cisteina e alla conseguente formazione
l’immunoliposoma così ottenuto presenta inoltre una struttura alt amente ordinata delle
di un legame covalente -S-Au.
proteine in superficie, proprietà che lo rende valido strumento per l’applicazione allo
La ProtA, inoltre, presenta una specifica affinità per la parte Fc delle immunoglobuline
sviluppo di biosensori (Laukkanen et al., 1993).
G (IgG); il legame con l’a nticorpo non interferisce affatto sulla capacità di quest’ultimo
di legare l’antigene. In un secondo passaggio, dunque, si può ottenere il self -
Ponti streptavidina-biotina
assembling ordinato delle IgG sullo strato di Proteine A immobilizzate sull’oro e
Un ulteriore metodo di immobilizzazione sfrutta la capacità della biotina (vitamina H)
quindi la possibile realizzazione di un immunosensore (Aizawa M., 1998).
di interagire con la streptavidina (proteina) con un legame non-covalente molto forte
(costante di associazione Kass=1015 ).
Immunoliposomi
Un frammento dell’immunoglobulina IgA McPC603 che lega la fosforilcolina è stato
In passato per legare stabilmente molecole di anticorpi a superfici lipidiche come
geneticamente ingegnerizzato inserendo all’estremità C -terminale un particolare
liposomi o membrane al fine di conferire minore solubilità in solventi acquosi si
peptide di 10 nucleotidi che imita la capacità della biotina di legare la streptavidina. In
procedeva per sintesi chimica: i gruppi acilici dei lipidi erano legati a gruppi solfidrilici
questo modo sono stati ottenuti frammenti di anticorpi capaci di legarsi in maniera
opportunamente esposti sulla superficie proteica. Questo però comportava una notevole
controllata ad uno strato di streptavidina; tale risultato non era stato invece raggiunto
varietà di punti di attacco con conseguente disordine della struttura formata. Inoltre
tramite modificazione chimica della proteina con derivati della biotina, poiché viene
spesso con tale trattamento l’anticorpo perdeva o peggiorava la capacità di binding
persa la capacità di binding nei confronti della fosforilcolina (Piervincenzi et al., 1997).
verso l’antigene.
Oggi attraverso tecniche di DNA ricombinante sono state ottenute una serie di proteine
Immunosensori con anticorpi ingegnerizzati
modificate con una coda lipidica in un sito specifico per la costituzione di
immunoliposomi stabili e funzionali.
Oltre agli anticorpi ingegnerizzati già citati nell’illustrazione delle varie tecniche di
Frammenti ricombinanti VH e VL di Fv, la più piccola unità funzionale di un anticorpo,
immobilizzazione, alcuni altri sono utilizzati nella costruzione di biosensori.
della singola catena dell’anti 2 -phenyloxazolone sono stati espressi in E.coli come
Una tecnica molto utilizzata per ottenere anticorpi ricombinanti è quella di clonare i
unica catena legandoli insieme con un peptide linker al fine di renderli maggiormente
relativi geni in un fago utilizzato come vettore (phage display).
maneggiabili. Successivamente il gene è stato fuso con il gene della maggiore
lipoproteina di E.coli ed espresso, ottenendo un anticorpo ancorato al glicerolipide
tramite un singolo legame con un residuo di Cys all’estremità N -terminale. Dopo
trattamento con un detergente e successiva rimozione con dialisi la proteina risulta
stabilmente incorporata al liposoma spontaneamente formatosi.
proteina
pI
I
genotipo
All’estremità C -terminale dell’immunoglobulina è stata anche inserita geneticamente
una coda di sei istidine che permette l’immobilizzazione dell’immunoliposoma su una
superficie trattata con ioni Ni2+.
Figura: Il fago contiene al suo interno il materiale genetico per la codifica della
proteina che viene invece espressa insieme alle sue funzionalità sulla superficie.
7
8
Da una libreria di anticorpi espressi su fago è possibile isolare quelli con le specificità
desiderate attraverso la tecnica del biopanning (figura).
In questo modo è stata ottenuta la scFv gal16 anti β-galattosidasi fusa con l’anti peptide
Antibody library
expressed
on phage surface
β-amiloide dell’Alzheimer che poi è stata utilizzata per la determinazione
amperometrica del lattosio in vari campioni immobilizzandola su elettrodi stampati
modificati. La rivelazione della concentrazione di lattosio nel latte e derivati diventa
importante nei numerosi casi di intolleranza a questo disaccaride.
Ancora la scFv dell’anti L. monocytogenes e la scFvs anti MtKatG (M. tubercolosis
KatG catalasi-perossidasi) ricombinanti sono state testate amperometricamente
saggiando la rivelazione di L. monocytogenes per il primo anticorpo e l’attività
Biopanning
perossidasica con H2O2 per il secondo. In entrambi i casi la costruzione di
immunosensori permette la rivelazione di microrganismi patogeni altamente pericolosi
quali la Listeria, presente nel cibo congelato, e il Mycobacterium della tubercolosi
(Benhar et al, 2001).
Anticorpi geneticamente modificati diretti contro s-triazine sono stati ottenuti tramite
error-prone PCR, ossia mediante tecnica di amplificazione del DNA che induce nel
gene errori random; gli anticorpi espressi poi sono testati con saggi ELISA per
selezionare quelli con specificità e attività desiderata. Il successo di questo
procedimento è stato quello di trovare un rAb con affinità più bassa per l’atrazina e la
propazina e allo stesso tempo affinità migliorata per la deetilatrazina, il metabolita
principale dell’atrazina ( Hock et al., 2001).
Figura: Schema del processo di biopanning
Si è visto che il legame con l’anticorpo diretto contro tale peptide aumenta
incredibilmente l’attività enzimatica della β-galattosidasi. E’ possibile dunque,
attraverso il monitoraggio dell’attività dell’enzima modificato, rivelare nel siero di
Biosensori con enzimi ingegnerizzati
Tecniche di ingegneria genetica sono applicate anche ad enzimi al fine di migliorare o
modificare l’interazione con i substrati e quindi l’attività catalitica. Si è visto, ad
esempio, che se un enzima è modificato in modo da esporre sulla superficie esterna
particolari peptidi, la conseguente interazione con l’anticorpo anti -peptide comporta
una variazione dell’attività enzimatica. Su questa base si è cercato di lavorare per
l’applicazione biosensoristica. Il gene dell’enzima β-galattosidasi di E. coli è stato
ingegnerizzato in modo da esprimerlo insieme a quello di un peptide del virus della
malattia foot-and-mouth (FMDV), ottenendo due enzimi ricombinanti, uno con otto
animali la presenza dell’anticorpo e dunque del FMDV.
Analogamente l’enzima alcalinfosfatasi di E. coli è stato geneticamente modificato
inserendovi gli epitopi del virus dell’immunodeficienza umana o le proteine virali del
virus dell’epatite C. Dopo l’espressione della proteina ricombinante e il legame con
l’anticorpo diretto verso l’antigene utilizzato si verifica una diminuzione de ll’attività
enzimatica. Ma effettuando anche una mutazione sito-specifica nel gene dell’enzima si
ha un aumento della flessibilità della struttura proteica e si riscontra un’attività
migliorata dopo il legame con l’anticorpo.
copie del peptide esposte in superficie e l’altro con dodici.
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Un enzima molto utilizzato nella produzione di sensori ottici è la luciferasi, proteina
presente nelle lucciole che dà luminescenza per reazione del luminolo catalizzata da un
Biosensori con microrganismi ingegnerizzati
gruppo eme.
E’ stato realizzato un immunosensore utilizzando una proteina ricombinante costituita
I microrganismi sono una fonte insostituibile di enzimi, cofattori enzimatici e sistemi
da luciferasi fusa all’estremità N -terminale con l’estremità C -terminale della Proteina
multienzimatici; l’utilizzo di cellule intere al p osto di proteine purificate offre numerosi
A.
vantaggi: in primo luogo evita i processi di estrazione e purificazione, che sono spesso
Sono state quindi saggiate e confermate entrambe le attività della proteina, ossia quella
lunghi e costosi; in secondo luogo il sistema in vivo, complesso e completo, può
luciferasica e la capacità di legare IgG umane.
offrire attività migliori e maggiori delle stesse proteine. Per questo motivo i
E’ stato quindi realizzato un sensore che permette di rivelare immunoglobuline G (in
microorganismi nella forma wild-type o ingegnerizzati sono spesso usati come
un range di 10-3-10-7 M) tramite un segnale di bioluminescenza della proteina
biosensing materials .
ingegnerizzata rivelato da un semplice dispositivo conta-fotoni.
Un esempio di quest’ultimo caso è la realizzazione di un biosensore per il 6 -APA
Un’applicazione interessantissima della luciferasi è relativa al m onitoraggio
(acido 6-amminopenicillanico) che utilizza cellule di E.coli trasformate con un
ambientale:
plasmide recante il gene di una β-lattamasi ingegnerizzata. Le β-lattamasi wt, infatti,
il microrganismo Pseudomonas putida contiene al suo interno un plasmide particolare
non sono in grado di rivelare tale prodotto a causa della loro insufficiente selettività.
(TOL) che porta i geni per la degradazione di composti benzen-derivati. Il gene della
Misure effettuate con il biosensore descritto mostrano invece una selettività della forma
luciferasi è stato introdotto nel plasmide TOL dando vita ad un microrganismo
ricombinante dell’en zima verso il 6-APA rispetto alla penicillina G sei volte superiore
ricombinante capace di emettere luce nel momento in cui si trova a metabolizzare
a quella dell’enzima wt. L’applicazione di questo sensore può essere notevole
composti aromatici come il m-xilene (Aizawa M., 1998).
soprattutto nelle industrie farmaceutiche poiché il 6-APA è l’intermedio base di tutte le
Un ultimo esempio sull’applicazione di enzimi ricombinanti nei biosensori è quello
penicilline semisintetiche (Galindo E. et al.,1998).
relativo alla carboidrate-ossidasi da Microdochium nivale ingegnerizzata utilizzata su
Un altro caso riguarda invece l’individuazione di ioni Cu 2+ ad opera di un sensore
elettrodi di grafite per rivelazione amperometrica di diversi tipi di zuccheri, utilizzando
accoppiato ad un lievito ingegnerizzato: cellule di Saccharomyces cerevisiae sono state
come
trasformate con un plasmide recante il gene CUP-1 inducibile dal Cu2+ fuso assieme al
mediatori
1-(N,N-dimetilammina)-4-(4-morfolino)benzene
(AMB)
e
dimetilferrocene (DMFc).
gene lacZ di E. coli. L’intero costrutto genico può essere trascritto e tradotto solo in
La nuova ossidasi, che contiene una flavina come cofattore, risulta molto reattiva con
presenza di ioni rame e comporta un’acquisita capacità del lievito di utilizzare lattosio
accettori di singolo elettrone ma molto lenta nella reazione con ossigeno; è selettiva
come fonte di energia. Ciò determina un’alt erazione del consumo di ossigeno della
verso i D-aldosi, non rileva composti poliidrossilici come il D-mannitolo, il D-sorbitolo
cellula, che può essere monitorato amperometricamente tramite un elettrodo di Clark,
e l’inositolo e mostra il massimo di selettività per il D -glucosio con un ampio range di
rivelando in questo modo la presenza di ioni Cu2+ (Lehmann M. et al., 2000).
linearità.
Proprio per quest’ultima caratteristica e per la sua scarsa reazione con l’ossigeno
Un altro biosensore amperometrico microbico è utilizzato per la rivelazione di
questo biosensore con ossidasi ricombinante potrebbe essere utilizzato per la
composti organofosfati (neurotossici) utilizzati spesso come erbicidi, pesticidi e per
determinazione del glucosio nel sangue (Kulys et al., 2001).
armi chimiche. Sono state ingegnerizzate cellule di Moraxella in modo che
esprimessero sulla loro superficie l’enzima organofosforo idrolasi (OP H) e sono state
11
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inserite in elettrodi di pasta di grafite. L’OPH catalizza l’idrolisi degli organofosforici
come il paraoxon, il parathion ed il metilparathion a p-nitrofenolo, la cui successiva
ossidazione è rivelata dall’elettrodo di grafite con una corr ente proporzionale alla
quantità di pesticida presente.
Filamento di RNA
Il biosensore descritto mostra un’eccellente stabilità e un’ottima riproducibilità; inoltre,
a differenza del biosensore comunemente utilizzato basato sull’inibizione della
colinesterasi ad opera degli OP, questo non richiede step multipli di misura e può
Substrato
essere adattato a sistemi a flusso (Mulchandani P. et al., 2001) .
Sonda di rivelazione
Una serie di lieviti metilotrofici, principalmente ceppi di Hansenula polymorpha, sono
stati geneticamente ingegnerizzati e selezionati riguardo alla risposta fisiologica verso
Sonda di cattura immobilizzata
metanolo, etanolo e formaldeide; in particolare la selezione ha riguardato la capacità di
acidificazione, il consumo di ossigeno e la produzione di H2O2. La conversione
Elettrodo di oro
metabolica degli analiti (metanolo ed etanolo) nei corrispondenti acidi (formico o
acetico) è catalizzata da una alcool ossidasi (AO) e da una formaldeide deidrogenasi
(per metanolo e formaldeide) o alcool deidrogenasi (per l’etanolo).
Un esempio di genosensore è costituto da uno strumento di fluorescenza a fibre ottiche
Agendo sull’attivazione o disattivazione delle varie propriet à catalitiche di questi
sulle quali sono immobilizzate le sonde di DNA per diretto accoppiamento o tramite un
enzimi all’interno della cellula si sono ottenuti ceppi ricombinanti selettivi per i singoli
ponte avidina; il sistema è atto a rivelare target di DNA in seguito all’accoppiamento
analiti. Accoppiando tali microrganismi con trasduttori potenziometrici (sensibili al
con il probe e alla conseguente reazione di fluorescenza dovuta all’aggiunta un
pH) o amperometrici (costituiti da elettrodi di platino sensibili ad O2 o H2O2) si sono
fluorocromo intercalante nelle fibre di acido nucleico.
ottenuti biosensori adatti all’analisi quantitativa delle suddette sostanze ( Gonchar et
Sistemi simili possono essere realizzati anche utilizzando trasduttori elettrochimici
al., 2002).
(immobilizzazione dei probes su elettrodi d’oro combinati con bisbenzimmide) o
sistemi piezoelettrici (Kleinjung et al., 1997).
Biosensori a DNA
Un altro biosensore a DNA è quello per la rivelazione di particolari popolazioni
Un cenno va fatto ad una particolare classe di biosensori che utilizza materiale genico
A tal proposito il segmento del gene lacZ di E. coli è stato separato, amplificato e
per il riconoscimento di oligomeri di DNA o RNA. I probes di acido nucleico,
derivatizzato con tioli per essere successivamente immobilizzato su una microbilancia
oligonucleotidi complementari alla sequenza che si desidera determinare, sono
ai cristalli di quarzo. Il sistema mira a legare il target di DNA contenuto nel
sintetizzati e poi amplificati tramite PCR (Polymerase Chain Reaction), e quindi
microrganismo e si è rivelato un metodo altamente sensibile per individuare e
accoppiati con diversi trasduttori quali sistemi elettrochimici, piezoelettrici o ottici.
quantificare la presenza di batteri che portano il gene lacZ in campioni ambientali
microbiche, specialmente quelle patogene come E. coli.
(Deng et al., 2001).
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1.2 SCOPO DELLA TESI
2 LE MOLECOLE INGEGNERIZZATE CON HIS6X-TAG
Scopo di questa tesi è proporre una nuova procedura per l’immobilizzazione di
biomolecole ingegnerizzate su superfici elettrodiche o ottiche.
Punto di partenza di tale studio è stata l’osservazione che molte proteine ricombinanti
sono dotate di una coda di 6 istidine (His6x-tag) introdotta geneticamente al fine di
semplificarne il processo di purificazione. Si sfrutta infatti la capacità di
complessazione degli ioni metallici (Ni2+) da parte delle istidine e la possibilità di
separare cromatograficamente le proteine per mezzo di matrici funzionalizzate con NiNTA (acido nitrilotriacetico).
Si è pensato di trasferire tale procedura all’immobilizzazione di biomolecole su
In questo capitolo sono presentate le molecole modello impiegate in questa tesi per
studiare la procedura di immobilizzazione attraverso il complesso Ni-NTA con le code
di sei istidine inserite geneticamente. Le procedure per ottenere le molecole
ingegnerizzate descritte in questo capitolo sono state condotte dai seguenti gruppi di
ricerca che hanno gentilmente fornito le proteine ingegnerizzate:
− dr. R.Franconi, Enea, BioTec-Gen - Centro Ricerche della Casaccia - Roma
− dr. M.Sugiura, Osaka Prefecture University, Osaka – Japan
superfici di oro ottenute con diverse tecniche (serigrafia, sputtering, deposizione
galvanica) o di grafite serigrafata attraverso la formazione di SAM (Self Assembled
Monolayers) di tioli o silani e successiva introduzione di una catena carboniosa
Ni-NTA terminale.
Sono state utilizzate due proteine come modelli: un frammento scFv dell’antico rpo
2.1 IL scFv DELL’ ANTICORPO PER IL VIRUS DEL MOSAICO DEL CETRIOLO
Il virus del mosaico del cetriolo
contro il virus del mosaico del cetriolo ingegnerizzato con una His6x-tag e con
Il virus del mosaico del cetriolo (cucumber mosaic virus, CMV) è il tipico componente
un’attività enzimatica alcalin fosfatasica (AP) ( dr. R.Franconi) e un fotosistema II
dei cucumovirus. Il CMV infetta un enorme numero di prodotti vegetali, circa un
(PSII) da Thermosynechococcus elongatus geneticamente modificato con His6x-tag (dr.
migliaio di specie, tra cui molte coltivazioni destinate all’alimentazione, svariate piante
M.Sugiura).
ornamentali e semplici erbacce.
Sono state studiate le caratteristiche peculiari della tecnica messa a punto, quali la
La struttura virale consiste in un guscio proteico che racchiude il materiale genetico
possibilità di rimozione delle proteine per l’ottenimento di superfici rinnovabili o la
costituito da tre diverse catene di RNA a singolo filamento incapsulate separatamente
possibilità di patterning spaziale delle biomolecole a livello microscopico.
nelle particelle virali. I tre RNA genomici svolgono diverse funzioni e per avere
infezione sistemica occorre la loro compresenza: l’ RNA 1 codifica per una proteina
coinvolta nel complesso della replicasi; l’ RNA 2 fornisce una proteina collegata alla
replicazione e una seconda proteina che influenza i movimenti di lunga distanza del
virus e che determina lo spettro dei possibili ospiti; l’RNA 3 infine codifica per un’altra
proteina coinvolta nel movimento e per la proteina del capside.
Il CMV si trasmette agli ospiti attraverso diversi tipi di afidi utilizzati come vettori
comportando così molteplici strategie di infezione e ciò è reso possibile dalla variazione
di un piccolo numero di aminoacidi del capside virale. Per questo motivo i tradizionali
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sistemi di controllo dei prodotti vegetali, tra cui l’estirpazione delle piante malate o la
soppressione dei vettori, non sono efficienti come in altri tipi di infezioni.
Gli approcci recentemente utilizzati consistono
nella selezione di ceppi di piante
resistenti al virus o nell’impiego di piante transgeniche basate sull’espressione di una
proteina virale nel genoma vegetale che conduca ad una resistenza indotta alla malattia
o al ritardo della manifestazione dei sintomi dell’infezione. Le proteine virali usate in
questa strategia sono quella del capside e la proteina replicasi che portano alla
soppressione della replicazione del virus e del movimento dello stesso da cellula a
cellula. Altri tipi di piante transgeniche portano il gene di una ribonucleasi da lievito che
attacca frammenti di RNA a doppia elica che si formano temporaneamente durante la
duplicazione del virus, o ancora esprimono i geni
dei principali componenti
dell’interferone di mammifero che inducono una risp osta antivirale.
Parallelamente a queste strategie di prevenzione si sono sviluppati metodi di rivelazione
della presenza del virus nei prodotti vegetali che si basano fondamentalmente
sull’utilizzo di anticorpi monoclonali ottenuti contro il capside viral e di CMV (Gough et
al., 1999).
Figura: parti costitutive di un anticorpo IgG: Fab, Fv e scFv
Si possono ottenere phage display libraries di anticorpi ingegnerizzati (specificamente
nella forma scFv) attraverso la tecnica del biopanning: il gene relativo alla proteina di
interesse è amplificato tramite PCR e mutato in maniera random; le sequenze ottenute
sono quindi inserite in un genoma fagico. Le proteine vengono sintetizzate durante i
cicli di replicazione del virus e sono espresse sulla superficie del capside: si può quindi
procedere con uno screening dei peptidi ricombinanti ottenuti per selezionare e isolare
quello con specificità desiderata tramite reazione con l’opportuno antige ne.
scFv-AP-(His)6 contro il CMV
Per poter visualizzare l’avvenuto legame con l’antigene è spesso utilizzata una coda
Una valida alternativa all’utilizzo di molecole intere di anticorpo nei saggi
peptidica fusa con il scFv riconosciuta da un anticorpo specifico.
immunologici come l’ ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay) o il western blot è
Molto più pratico è l’utilizzo di coniugati scFv -enzima ottenuti geneticamente fondendo
la loro sostituzione con singole catene di frammenti Fv (scFv) che si possono ottenere
i relativi geni poiché si ottengono con minori passaggi e in maniera più controllata
molto più facilmente e rapidamente rispetto agli anticorpi monoclonali o policlonali
rispetto a quelli che risultano dalla sintesi chimica; si ottengono poi molecole
ottenuti rispettivamente da colture cellulari e da antisieri di animali immunizzati.
monosostituite in siti specifici e non prodotti di polisostituzione.
Tali frammenti consistono i domini variabili VH e VL legate insieme da un polipeptide
Inoltre spesso si fornisce il peptide di una coda di istidine per facilitarne la
linker flessibile (v. figura); mancano delle parti relative alle regioni costanti della
purificazione, che si può ottenere così tramite cromatografia di affinità per metalli in un
catena peptidica dell’anticorpo e sono dunque di dimensioni nettamente inferi ori;
solo passaggio.
svolgono comunque la loro funzione di binding dell’antigene anche se con rendimento
Un prodotto di questo tipo è il scFv-AP-(His)6x utilizzato come una delle biomolecole
diminuito.
modello nella nuova procedura di immobilizzazione studiata in questa tesi.
Il gene del scFv contro CMV è stato fuso all’estremità C -terminale con il gene di alcalin
fosfatasi (AP) di E. coli clonando il costrutto genico nel vettore pDAP2 appositamente
17
18
disegnato per la semplice e rapida realizzazione della proteina di fusione; è stata
aggiunta inoltre la sequenza codificante per l’oligonucleotide di sei istidine
nell’estremità C -terminale dell’ AP (Kerschbaumer et al., 1996).
Colonie di E. coli TG1 sono state trasformate con questo costrutto genico e fatte
crescere per 16 ore a 37°C in un apposito terreno di coltura. Le singole colonie sono
state quindi sottoposte ad una prima verifica della capacità della proteina di legare
l’antigene tramite test ELISA e del la presenza dell’attività fosfatasica, quindi i cloni
positivi sono stati coltivati per una notte a 30°C. Le cellule batteriche sono state
centrifugate e in vari passaggi di risospensione dei pellets in appositi mezzi è stata
ottenuta la frazione contenente la proteina.
La sospensione è stata concentrata tramite ultrafiltrazione e la proteina è stata separata
tramite cromatografia di affinità usando supporti funzionalizzati con complessi Ni-NTA
(QIAgen); le frazioni eluite raccolte sono state poi sottoposte a dialisi in PBS.
La quantità di proteina ottenuta è stata rivelata spettrofotometricamente leggendo
l’assorbanza a 280 nm (circa 360 µg per 1 litro di coltura batterica ) mentre la purezza è
Figura: il flusso di elettroni nel fotosistema II
stata saggiata tramite SDS-PAGE (polyacrylamide gel electrophoresis) seguita da
colorazione con Coomassie (R. Franconi).
Il fotosistema II è costituito da tre complessi fondamentali: un complesso antenna per la
cattura della luce, uno con un centro di reazione e un complesso che libera ossigeno.
L’ antenna principale del sistema è la LHC-II (light harvesting complex): la sua subunità
2.2 IL FOTOSISTEMA II DA THERMOSYNECHOCOCCUS ELONGATUS
principale di 26 kd è
la proteina più abbondante dei cloroplasti e contiene sette
molecole di clorofilla a, sei di clorofilla b e due carotenoidi. L’LHC -II è adibita al
Il fotosistema II
trasferimento dell’energia dalla clorofilla b alla clorofilla a e al suo incanalamento verso
Il fotosistema II (PSII) è una proteina trasmembrana di oltre 600 kd che si trova
il centro di reazione.
all’interno dei tilacoidi di alghe e piante superiori produttrici di ossigeno. E ’ l’un ico tra i
L’unità funzionale minima del PSII capace della produzione di ossigeno, costituita da
vari sistemi fotosintetici a produrre un elevato potenziale redox tale da poter ossidare
circa 10 subunità di proteine di membrana e da tre proteine estrinseche, è chiamata PSII
l’acqua: il PSII è infatti responsabile del trasferimento degli elettroni indotto dalla luce
core complex. Le proteine di membrana del PSII core complex sono costituite da una
dall’acqua al plastochinone secondo la reazione globale:
coppia di proteine D1 e D2, subunità di 32 kd inserite nella membrana tilacoide che
contengono il centro di reazione e la catena per il trasferimento elettronico, una coppia
2H2O + 4 fotoni + 2 Q + 4H+ → O2 + 4H+ + 2QH2
Il plastochinone passa dalla forma ossidata Q alla forma ridotta QH2 (plastochinolo),
che ha elettroni ad un potenziale superiore a quello dell’ acqua, in maniera ciclica
attraverso una forma intermedia di riduzione a 1 elettrone, l’anione semichinoide Q· • .
19
di proteine antenna interne CP47 e CP43 che contengono clorofilla, una emoproteina
(citocromo b-559) e diverse altre proteine a basso peso molecolare 33 kd, 17 kd
(citocromo c-550) e 12 kd associate al centro Mn, il complesso adibito alla generazione
di ossigeno.
20
La luce catturata dalla clorofilla delle antenne CP43 e CP47 è incanalata verso la
L’importanza del fotosistema II per scopi analiti ci è dovuta al fatto che molte sostanze
clorofilla P680 del centro di reazione, pigmento che presenta il massimo di eccitazione
usate come erbicidi inibiscono la fotosintesi bloccano proprio siti specifici nei
alla lunghezza d’onda di 680 nm. Dallo stato eccitato P 680* in un tempo dell’ordine dei
cloroplasti, dunque la stessa reazione di inibizione può essere sfruttata per determinare
picosecondi un elettrone è trasferito alla feofitina (Ph), molecola porfirinica uguale alla
l’eventuale presenza di erbicidi residui nel le acque.
+
clorofilla a ma priva di magnesio, lasciando un radicale cationico P680 .
Sono inibitori della fotosintesi le triazine, le feniluree, gli uracili, i benzotiodiazoli, i
Nel sito QA della subunità D2 è legato in maniera permanente un plastochinone che
nitrili, i carbammati e gli acidi carbossilici; in particolare i derivati della triazina
accetta l’elettrone dalla feofitina e lo trasferisce ad un plastochinone che occupa
(es: atrazina) e dell’urea (es: diuron) si legano al si to QB della subunità D1 del PSII core
temporaneamente il sito QB di D1 generando il radicale Q· •. Acquisendo un secondo
complex e impediscono l’accesso alla molecola di chinone accettrice di elettroni
elettrone da QA, la specie ridotta QH2 lascia il sito QB conservando nel suo potere
bloccando dunque la reazione di Hill di evoluzione di ossigeno:
riducente l’energia di due fotoni.
2H2O + A
→ AH2 + O2
hν
ν•••
Contemporaneamente nel core complex del PSII avviene l’ossidazione dell’acqua: il
Il PSII accoppiato ad un opportuno sistema di trasduzione può essere quindi utilizzato
radicale P680+ ha un forte potere ossidante e toglie elettroni all’acqua generando O 2,
per la rivelazione della concentrazione residua di erbicida in campioni ambientali
riportando così il centro di reazione nello stato non eccitato. Questa ossidoriduzione
tramite una semplice misura di ossigeno.
coinvolge quattro elettroni ed è catalizzata da un complesso di quattro ioni manganese
cha passa attraverso cinque stati di ossidazione, da S0 a S4, liberando per ogni ciclo una
PSII-(His)6x core complex da Synechococcus elongatus
molecola di O2 da due molecole di acqua; questo sistema di controllo fa in modo che
non si formino durante la reazione intermedi di parziale riduzione potenzialmente
Il PSII core complex è un sistema che riveste una notevole importanza per le potenziali
dannosi.
applicazioni in molteplici studi sulla struttura e funzione del complesso di catalisi
Il ciclo fotosintetico prosegue poi con il trasferimento degli elettroni dal QH2 del
dell’ossidazione dell’acqua, e ne possono essere isola ti diversi tipi da piante, alghe verdi
fotosistema II al fotosistema I attraverso il complesso del citocromo bf
o cianobatteri con la solubilizzazione dei tilacoidi in vari detergenti seguita da
(o citocromo
2+
b6f ) che sfrutta la riduzione dello ione Cu coordinato nella plastocianina (PC).
ultrafiltrazione e cromatografia a scambio ionico o su gel.
Figura: Schema del processo fotosintetico globale
21
22
La metodologia (His)6x-tag è stata impiegata nella preparazione di PSII core complex
da Chlamydomonas (Sugiura et al. 1998,1999) e da Synechocystis (Bricker et al. 1998)
raggiungendo notevoli miglioramenti del livello di purezza e omogeneità della proteina
rispetto a quelle ottenute con procedure tradizionali. Ma l’attività di produzione di
ossigeno da parte di queste PSII ricombinanti si è rivelata troppo instabile per poter
effettuare studi sul sistema di ossidazione dell’acqua.
Si è cercato allora di ottenere un PSII-(His)6x più stabile dal cianobatterio termofilico
Synechococcus elongatus.
Per questo scopo è stato amplificata tramite PCR la regione 3’ del gene psbC
codificante l’estremità C -terminale del CP43 del PSII e vi è stata legata una sequenza
relativa ad un sito di riconoscimento della trombina (5 aa) e alla coda di istidine (6 aa);
il costrutto genico è stato poi inserito nel plasmide pUCLF nel sito della resistenza alla
kanamicina dopo digestione con apposite endonucleasi.
Struttura del PSII con (His)6x-tag
Colonie purificate di S. elongatus sono state trasformate con questo plasmide pUC43-H
costruito per l’espressione della proteina ricombinante attraverso elettroporazione delle
Il PSII-(His)6x ottenuto in questo modo da S. elongatus termofilico è risultato
cellule; le colonie sono state fatte crescere per 5 gg in un apposito mezzo e quindi
estremamente stabile in termini strutturali e funzionali, non ha mostrato cambiamenti
sottoposte ad uno screening con kanamicina per selezionare le cellule mutanti. Queste
nell’attività ossidante duran te incubazione a 20°C per otto e più giorni (diminuzione
(43-H) sono state poi rotte per centrifugazione e dopo varie separazioni e risospensioni
dell’attività inferiore al 10%) ed è stato utilizzato in molteplici studi biochimici e
del materiale cellulare, il pellet contenente i tilacoidi è stato ripreso con un tampone
spettroscopici.
MES/NaOH (pH=6.5) contenente CaCl2, MgCl2 e glicerolo e congelato in azoto liquido.
La composizione del PSII core complex purificato è stata analizzata tramite SDS-PAGE
E’ stata testata l’attività di evoluzione di ossigeno da parte dei tilacoidi del mutante
e immunoblotting confrontandola con quella del core complex estratto da S. vulcanus:
Synechococcus elongatus 43-H a 25°C in presenza di 2,6-DCBQ (diclorobenzochinone)
ben visibili risultano le bande relative al CP47, ai centri di reazione D1 e D2, al
e ferricianuro come accettori di elettroni e si è rivelata circa uguale a quella delle cellule
citocromo c-550 e alla subunità L del cyt b-559, alle proteine estrinseche 33-kDa e 12-
-1
-1
kDa; la banda relativa all’ antenna CP43 di S. elongatus è chiaramente spostata rispetto a
intatte [300-400 µmol (mg Chl) h ].
La separazione del PSII core complex con (His)6x-tag è stata condotta in un solo
passaggio su una colonna cromatografica per affinità al Ni
2+
dopo solubilizzazione dei
quelle di riferimento per gli undici residui aminoacidici in più relativi al sito di
riconoscimento della trombina e alla coda di istidine (v.figura).
tilacoidi con DM (dodecilmaltoside) all’1% in MES/NaOH (pH=6.5) con NaCl, CaCl 2,
MgCl2 e glicerolo per circa 30 min.
La proteina è stata quindi eluita con un tampone contenente imidazolo 15 mM e
precipitata per centrifugazione; dopo risospensione con MES buffer della stessa
composizione descritta è stata quindi congelata in azoto liquido.
23
24
Molteplici altri studi sono stati effettuati sulla proteina, da misure di termoluminescenza
a spettroscopia EPR, a cristallizzazione, confermando il successo raggiunto con
l’applicazione della metodologia (His) 6x-tag al cianobatterio termofilico S. elongatus
per la purificazione di un PSII core complex ricombinante estremamente stabile ed
efficiente per studi sull’ossidazione del l’ acqua per l’evoluzione fotosintetica di ossigeno
(Sugiura et al.,1999).
Figura: SDS-Page di PSII core complex incubato a 20°C (Sugiura et al.,1999)
La velocità di evoluzione di ossigeno del core complex purificato è risultata molto
elevata e ne è stata analizzata la dipendenza dalla temperatura e dalla specie utilizzata
come accettare di elettroni: i valori vanno da 2200 µmol (mg Chl)-1 h-1 per misure nelle
stesse condizioni esposte per i tilacoidi interi fino a massimi di 3400 µmol(mg Chl)-1 h-1
a 45°C con ferricianuro come unico accettore di elettroni.
100
Relative Activity [%]
PS II Core
80
Thylakoids
60
40
BBY
20
0
0
5
10
15
20
Incubation Time [Days]
Figura: Evoluzione di ossigeno nel tempo del PSII core complex (T. elongatus) delle
membrane tilacoidi e di BBY di spinacio incubati a 20°C (Sugiura et al.,1999).
25
26
3 SINTESI DEI CHELANTI
delle proteine per lo ione e dunque il loro tempo di ritenzione è nell’ordine: Cu(II) >
Ni(II) > Zn(II) • Co(II) (v. tabella 2).
3.1 IMAC IMMOBILIZED-METAL AFFINITY CHROMATOGRAPHY
Più di recente sono stati utilizzati diversi ligandi quali l’NTA (acido nitrilotriacetico) o
il TALON (acido aspartico carbossimetilato, CM-Asp) che essendo tetradentati hanno
La strategia della funzionalizzazione di superfici solide con chelanti che complessano
una maggiore affinità per lo ione metallico rispetto all’IDA ma allo stesso tempo una
parzialmente ioni metallici è stata inizialmente utilizzata con notevole successo per la
capacità di ritenzione della proteina inferiore in quanto c’è un sito di coordinazione
realizzazione di supporti per cromatografia di affinità (IMAC, Immobilized-Metal
libero in meno. Ciò è accentuato ancora di più per chelanti pentadentati come il TED
Affinity Chromatography). L’obiettivo è stato quello di poter sfruttare l’affinit à per gli
(N,N,N’ - tris carbossimetil etilendiammina), che lasciano un solo sito disponibile per
ioni e la formazione di legami di coordinazione da parte di particolari aminoacidi
l’interazione con i biopolimeri.
esposti sulla superficie di proteine di cui si necessitava separazione e purificazione: il
La selezione delle proteine da separare è quindi condotta con la scelta opportuna dei
meccanismo su cui si basa questa tecnica è infatti la coordinazione allo ione di gruppi
metalli, dei composti di chelazione, nell’eventuale utilizzo di bracci spaziatori, nonché
elettrondonatori sulla superficie proteica.
nell’ottimizz azione delle condizioni di densità, di concentrazione salina.
I metalli maggiormente utilizzati a tale scopo sono quelli di transizione come Cu(II),
Ni(II), Zn(II), Co(II), Fe(III) data la loro proprietà di acidi di Lewis di poter essere
coordinati da atomi elettrondonatori come N, S, O presenti sui chelanti legati
covalentemente al supporto cromatografico; altri metalli meno utilizzati, classificabili
come acidi forti di Lewis, quali Al(III), Ca(II), Fe(III), Yb(III), all’azoto preferiscono
gruppi ricchi di ossigeno come aspartato, glutammato e fosfato.
Questi chelanti possono quindi formare complessi bi-, tri- tetra- o pentadentati a
seconda dei siti di coordinazione dello ione impegnati; i restanti, di solito occupati da
molecole di acqua, sono a disposizione per eventuali legami con gli aminoacidi che
dispongono di atomi con coppie di elettroni disponibili, come Glu, Asp, Tyr, Cys, Arg,
Lys, Met e soprattutto residui di His, sui quali principalmente è basata la ritenzione
delle proteine.
Questo processo è condotto nel range di pH in cui l’ anello imidazolico delle istidine è
nella forma neutra non protonata e in presenza di tampone ad alta forza ionica per
Tabella 2: valori delle costanti di stabilità a Tamb riportate in letteratura per alcuni
complessi dell’IDA e dell’NTA .
Cu(II)-IDA
Ni(II)-IDA
Zn(II)-IDA
Co(II)-IDA
Log K
ridurre le interazioni elettrostatiche aspecifiche; l’eluizione delle proteine può essere
invece effettuata tramite protonazione, o scambio di ligando, o ancora con un forte
Log K
10.6
8.2
7.3
7.0
Cu(II)-NTA
Ni(II)-NTA
Fe(II)-NTA
Co(II)-NTA
12.7
11.5
8.9
10.6
chelante come EDTA che estragga i metalli.
Sono diversi i chelanti utilizzati: uno dei primi è stato l’ IDA (acido imminodiacetico),
che forma complessi tridentati con il metallo; l’ID A è il chelante più utilizzato, essendo
commercialmente disponibile da vari produttori. Con questo tipo di chelante l’affinità
27
28
Il risultato è una resina attivata con il chelante NTA con la quale è stata impaccata una
colonna cromatografica in cui è stata pompata poi una soluzione acquosa di CuSO4 o
NiSO4 all’1% in peso.
Sul prodotto ottenuto sono state effettuate delle analisi, come la determinazione della
densità del ligando nella fase stazionaria: questa è stata condotta tramite analisi di azoto
elementare secondo la formula:
[L] = (W· %N / V· 2· 14)· 10
in cui W (mg) è il peso secco del campione, V il volume del gel, %N è la percentuale di
azoto determinata e [L] la densità del ligando espressa in µequiv/ml di gel umido.
Eluendo il metallo con disodioEDTA 0.1 M si è proceduto anche alla determinazione
Figura: strutture ipotizzate dei chelanti nei complessi con gli ioni generalmente usati:
IDA-Me(II), NTA-Ni (II), CM-Asp-Co(II), TED-Me(II), dove Me(II) sta per Cu(II),
Ni(II), Zn(II) o Co(II).
Le molecole di acqua possono essere sostituite da altri ligandi, soprattutto da residui di
istidine esposti sulla superficie proteica.
della densità del Cu2+ o del Ni2+ complessati dall’NTA tramite spettroscopia di
assorbimento atomico.
I risultati, [L] = 9.5 µequiv/ml, [Cu2+] = 9.4 µequiv/ml e [Ni2+] = 7.1 µequiv/ml,
mostrano
un ottimo accordo con l’ipotesi che s ulla fase stazionaria si formi un
complesso Me-NTA 1:1.
E’ stato condotto un paragone tra i chelanti IDA e NTA in merito alla stabilità degli ioni
3.2 IL COMPLESSO Ni-NTA
metallici dopo eluizione con soluzione acquosa 0.1 M di acido iminodiacetico a pH = 7,
Il chelante tetradentato NTA (acido nitrilotriacetico) è stato introdotto dal lavoro di
verificando che sia per quanto riguarda il rame che il nichel la capacità di ritenzione
Hochuli, Döbeli e Schacher nel 1987 nello studio di nuove fasi stazionarie da impiegare
dell’NTA è superiore a quella dell’IDA.
in cromatografia IMAC.
Per la purificazione di biomolecole il Ni2+ è preferito al Cu2+ in quanto ha un numero di
La sintesi è stata condotta a partire da Nε-benzilossicarbonil-L-lisina, disciolta in NaOH
coordinazione superiore, preferenzialmente 6 rispetto a 4 del rame.
2M e aggiunta ad una soluzione di acido bromoacetico in NaOH a 0°C.
Il complesso ottaedrico Ni-NTA ha quindi due valenze disponibili per l’interazione con
Dopo una nottata sotto agitazione la miscela riscaldata a 50°C è stata aggiunta ad acido
i biopolimeri secondo il principio già descritto; la sua capacità di ritenzione è stata
cloridrico 1 M, quindi raffreddata fino alla formazione di cristalli; questi sono stati poi
saggiata con oligopeptidi artificiali con un certo numero di istidine in particolari
sciolti in NaOH, riprecipitati con HCl e filtrati. Si sono ottenuti in questo modo cristalli
posizioni e con proteine naturali quali il citocromo c di cavallo, tripsina da pancreas
bianchi di acido N-(5-benzilossicarbonilamino-1-carbossipentil)iminodiacetico, che
bovino, interferone α-2a e lattato deidrogenasi, verificando che la capacità ritenzione
sono stati poi idrogenati utilizzando un catalizzatore Pd/C.
del Ni-NTA è selettiva per peptidi con residui di His adiacenti sulla superficie (Hochuli
Il prodotto acido N-(5-amino-1-carbossipentil)iminodiacetico è stato aggiunto ad una
et al., 1987).
soluzione di Sepharose CL-6B attivato con epibromoidrina e la miscela è stata tenuta
per una notte a 60°C sotto leggera agitazione, quindi filtrata e sciacquata.
29
30
3.3 CODE DI ISTIDINA
multi-stage, non è opportuna una forte ritenzione della biomolecola, che invece deve
poter essere eluita facilmente in condizioni non denaturanti. In questo caso, una coda di
Inizialmente la tecnica di separazione IMAC con complessi come Ni-NTA è stata
sole 2 istidine si è mostrata più adeguata.
utilizzata per separare proteine con un certo numero di istidine esposte sulla superficie;
Proteine con His-tags possono oggi essere ottenute facilmente in tutti i sistemi di
tali residui sono alquanto numerosi nella sequenza aminoacidica di molte proteine ma
espressione normalmente usati in organismi procarioti ed eucarioti; l’aggiunta
essendo parzialmente idrofobici tendono a disporsi preferenzialmente nella parte
all’estremità C - o N- terminale della proteina dipende dalla situazione specifica, anche
interna. Giocano quindi un ruolo fondamentale nella ritenzione della proteina il
se la maggior parte dei casi riportati indica l’estremità N -ter come preferenziale.
microenvironment, le interazioni con i residui circostanti e le conformazioni locali del
In quasi la totalità dei casi, la His-tag non varia la conformazione proteica e non
peptide, nonché la densità del chelante e dello ione metallico e l’accessibilità della
interferisce significativamente con la sua funzionalità biologica (Gaberc-Porekan,
proteina al supporto.
Menart, 2001).
Alcuni esempi interessanti di applicazione dell’IMAC nella separazione di proteine che
La tabella che segue riporta alcuni sistemi di espressione commerciali che codificano
espongono naturalmente istidine sulla superficie sono quelli relativi alle proteine del
per diverse His-tags:
siero umano, all’interferone, alla mi oglobina, alla lattoferrina, nonché a vari anticorpi ed
enzimi.
La risoluzione della separazione di proteine con il metodo IMAC può essere
notevolmente migliorata con l’uso di tecniche di ingegneria genetica per l’introduzione
di code di affinità ai metalli (affinity tags) nell’ estremità C - o N-terminale del peptide.
Sono utilizzate a tal proposito soprattutto code di istidine fuse geneticamente con
proteine ricombinanti, di diversa composizione e lunghezza: da cortissime, come la
coda His-Trp usata per isolare la proinsulina, a lunghissime, come quella costituita da
otto
o più ripetizioni dell’oligonucleotide Ala -His-Gly-His-Arg-Pro utilizzata in
molteplici proteine.
Recentemente è diventata molto popolare la coda costituita da 6 istidine consecutive,
proprio in seguito alla pubblicazione del lavoro di Hochuli e all’introduzione della
nuova matrice chelante Ni-NTA nella tecnica cromatografica.
Sono molteplici gli esempi riportati in letteratura di proteine ingegnerizzate con la
(His)6x-tag, mentre molto meno interesse è stato rivolto alla (His)10x-tag, il cui gene,
come l’altro, è stato inserito geneticamente in molti vettori commerciali adibiti al
clonaggio.
L’utilizzo della coda di istidine è basata sul fatto che aumenta l’affinità del biopolimero
per superfici funzionalizzate con metalli; spesso però, ad es. nei processi cromatografici
31
3.4 SELF ASSEMBLED MONOLAYERS
La formazione di SAM (Self Assembled Monolayers) consiste nell’ auto-arrangiamento
di atomi o molecole in maniera ordinata o comunque funzionale su una superficie senza
alcun intervento esterno; ciò è reso possibile essenzialmente dall’organizzazione delle
32
molecole nell’interfaccia solido -liquido indotta da una forte interazione tra il substrato
e i gruppi di testa delle molecole.
− interazioni non covalenti di tipo polare, elettrostatico, o idrofobico tra
monolayer e biomolecole
La tecnologia SAM, sviluppata nel 1983 da Nuzzo e Allara, fornisce un eccezionale
− interazioni di affinità recettore-ligando o anticorpo-antigene.
strumento per funzionalizzare superfici metalliche e non con molecole organiche
alifatiche o aromatiche aventi gruppi àncora liberi come tioli, ammine, silani, acidi; si
I vantaggi dell’utilizzo di SAM per la realizzazione di biosensori ri spetto alle altre
ha una notevole possibilità di controllo sulla funzionalità del monolayer ottenuto tramite
tecniche di immobilizzazione delle biomolecole (diretto legame chimico, supporti
scelta delle proprietà dei gruppi di testa delle molecole (ad es: idrofiliche o idrofobiche),
polimerici ecc.) sono esposte di seguito:
o attraverso variazione della natura o lunghezza delle catene carboniose.
− facile formazione di strati monomolecolari ordinati, compatti e stabili;
− possibilità di variare le caratteristiche del SAM attraverso il controllo delle
proprietà delle molecole usate;
− similarità tra la struttura del monolayer e quella della membrana cellulare, che
rende favorevole l’immobilizzazione delle biomolecole ;
− utilizzo di una quantità minima di biomateriale per l’immobilizzazione sul
Figura: esempio di formazione di un monolayer misto
SAM;
− stabilità del biomateriale per lungo tempo quindi riproducibilità delle misure.
La finalità di questa metodologia è riuscire ad ottenere l’immobilizzazione di
biomolecole, (come enzimi, anticorpi, proteine) o sistemi biologici (recettori, cellule
In alcuni casi si possono verificare situazioni meno favorevoli, come l’ossidazione di
intere) sottoforma di film monomolecolari grazie all’interazione con i SAM su un
alcuni tipi di monolayer durante le misure, la rimozione delle molecole in presenza di
elevato numero di superfici; in particolare questo tipo di architettura può avere una
campi elettrici o l’accumulo di impurezze da parte della superficie che bloccano i siti di
grande applicazione nello sviluppo di biosensori elettrochimici, ottici o piezoelettrici.
ricognizione degli analiti.
Uno dei vantaggi dei SAM, rispetto ad esempio ai film Langmuir-Blodgett, è quello di
Ci sono molteplici esempi di biosensori prodotti con la metodologia SAM: tra questi,
poter essere preparati il laboratorio con procedure semplici; l’unica accortezza da avere
numerosi sono i sensori elettrochimici data la elevata compatibilità tra il processo di
è di disporre di superfici lisce e pulite, cosa che si può ottenere con un opportuno
formazione di SAM e i materiali comunemente usati per la realizzazione di elettrodi.
pretrattamento del substrato che si vuole impiegare. Inoltre la quantità di materiale da
Basta pensare agli innumerevoli esempi di formazione di monolayer di alchiltioli o
utilizzare è minima: si consideri infatti che la densità media di sostanza in un monolayer
disolfuri su oro, secondo le reazioni:
è di circa 1013 molecole/cm2.
R-S-H + Aun0 → R-S-Au+⋅Aun0 + ½ H2
Sono possibili diverse modalità di interazione delle biomolecole con il SAM:
R-S-S-R + Aun0 → 2 R-S-Au+⋅Aun0 + H2
− legame covalente di gruppi funzionali delle proteine (es: ammine) con
Per citarne alcuni, si può ricordare il sensore amperometrico a glucosio ossidasi, in cui
l’estremità libera delle molecole del monolayer o tramite cross -linking con
l’enzima è immobilizzato tramite un monolayer di cisteamina, o u no in cui il citocromo
molecole bifunzionali (es: glutaraldeide)
c è legato ad un SAM con acidi carbossilici terminali attraverso una reazione con
33
34
carbodiimmide, o ancora il biosensore per la rivelazione della dopamina in presenza di
acido ascorbico che utilizza un SAM carico negativamente con dei carbossili che
respinge le molecole di acido e permette la determinazione della dopamina (carica
positivamente) senza alcuna interferenza.
Tra le realizzazioni più recenti, biosensori con SAM di singoli filamenti di DNA per la
rivelazione di sequenze specifiche di acidi nucleici.
Nella tabella seguente è
riportata una serie di biosensori enzimatici che utilizzano
SAM per l’immobilizzazione su diversi materiali elettrodici:
Parte Sperimentale
35
36
4 MATERIALI E METODI
Frammento sc-Fv dell’anticorpo contro il virus del mosaico del cetriolo
ingegnerizzato con (His6x-tag) ed un attività alcalin fosfatasica gentilmente
4.1 MATERIALI
fornito dalla dr. R.Franconi, Enea, BioTec-Gen
- Centro Ricerche della
Casaccia - Roma
Preparazione di superfici ed elettrodi
Reattivi d’uso specifico
Inchiostro di grafite non sinterizzabile, Acheson.
2,6-diclorofenolindofenolo (DCPIP)
Fogli di PVC (spessore 0.3 mm)
Acido L-Ascorbico, Carlo Erba
Supporti di poliacetato
Ferricianuro di potassio, Carlo Erba
Filo di oro metallico
p-nitrofenilfosfato
Lastrine di vetroresina ramate per circuiti stampati
Durochinone
Cianuro di potassio
Soda caustica , Ashland
Reattivi d’uso generale
Solfito di sodio, Ashland
Acetone, Baker
Dischi in CSi 4000, 1000 mesh, Struers
Sodio fosfato bibasico dodecaidrato, Ashland
Paste di diamante 6µ, 3µ, 1µ, Struers
Sodio fosfato monobasico monoidrato, Carlo Erba
Etanolo, Baker
Immobilizzazione delle proteine
Tricloroetilene, Rudi Pont
Glutaraldeide 25% in acqua, Fluka
Acido nitrico, Carlo Erba
Cisteamina idrocloruro, Fluka
Ipoclorito di sodio, commerciale
Solfato di nichel, Carlo Erba
Cloruro di potassio, Carlo Erba
Nα-Nα-bis(carbossimetil)-L-lisina idrata, Fluka
Perossido di Idrogeno 30% Ashland
3-aminopropil-trietossisilano 98% (APTES), Sigma
Acido Cloridrico, Baker
Albumina di siero bovino, Fluka
Acido solforico, Carlo Erba
Sodio cloruro, Carlo Erba
Magnesio cloruro, Rudi Pont
Mannitolo, Carlo Erba
Acido 2-(N-Morfolino)etansolfonico (MES, pH=5.5-6.7), ICM
Imidazolo, BDH
Piastre ELISA, QIAgen
Estratto di PSII (300µgChl/ml) ingegnerizzato con (His6x-tag) gentilmente donato
dalla dr. M.Sugiura, Osaka Prefecture University, Osaka – Japan
37
38
4.2 METODI
Un circuito a strato spesso è composto da strati di speciali paste o inchiostri depositati
su un substrato isolante. L’attrezzatura di base del processo serigrafico è costituita da
Metodi di deposizione per sputtering
uno schermo, che definisce la matrice di stampa, ed una spatola (racla) con cui il mezzo
Lo strumento utilizzato per la deposizione di oro per sputtering è lo SPUTTER
di stampa viene forzato, attraverso lo schermo, sulla superficie del substrato.
COATER S 150B.
All’interno dello strumento è presente un target di oro che viene colpito da argon
(P = 3,5-4 mbar) ionizzato tramite applicazione di un alto potenziale (V=1KV); gli ioni
di oro formatisi vanno quindi a colpire perpendicolarmente il supporto formando uno
strato di rivestimento il cui spessore è determinato dal tempo di trattamento: si opera
normalmente per circa 18 min., che si riducono a 5-6 min. quando si vogliono ottenere
strati ultrasottili. La qualità della superficie di oro ottenuta dipende invece dal
potenziale applicato: se è troppo elevato, gli ioni collidono con l’argon, deviano il loro
percorso e incontrando altri ioni oro formano clusters che depositati rendono la
superficie rugosa.
Figura: Veduta laterale in sezione dei tre tipi più utilizzati di racla (squeegee): a
sezione quadrata, a lama trascinata, a lama smussata
Deposizione serigrafica di strati elettrodici
Superfici di grafite impiegate in questa tesi sono stati ottenute per via serigrafica. Si
possono ottenere elettrodi stampati depositando sequenzialmente strati spessi1 di
Per ottenere una precisa localizzazione dello schema stampato sul substrato e la
materiali conduttori o isolanti.
deposizione a registro degli strati successivi è impiegata una stampante serigrafica.
Nella macchina la posizione del supporto può essere regolata, con l’ausilio di
micromanipolatori, sia verticalmente che orizzontalmente, consentendo così di disporre
il substrato sempre parallelamente allo stampo.
Un tipico schermo serigrafico è costituito da una rete a maglie finemente intessute di
acciaio inossidabile, nylon o poliestere, montata in tensione su di una cornice metallica,
che viene rivestita da una emulsione sensibile all’ultraviole tto su cui può essere
impressa fotograficamente
Figura: elettrodi tradizionali planari, affiancati e concentrici realizzati in laboratorio
su supporti di PVC o allumina
l’immagine del circuito. La cornice degli schermi è
solitamente di alluminio e serve a mantenere tesa la rete e a permettere un corretto
posizionamento della sagoma da stampare sul substrato.
Durante il processo di stampa una lama flessibile o spatola con un bordo inclinato
scorre sulla superficie posteriore dello schermo esercitando una pressione che porta lo
schermo a contatto con il substrato e forza l’inchiostro viscoso attraverso lo schema
1
Per “film spesso” si intende uno spessore superiore ad 1µm ; per “film sottile” si intende uno spessore
inferiore ad 1µm fino a pochi nm.
39
40
aperto. Mentre la spatola passa, le maglie dello schermo si allargano e “dosano” la
Le stampe a strato spesso sono soggette ad un ciclo di essiccamento e di cottura durante
quantità di materiale che viene trasferita attraverso lo schermo.
il quale il veicolo organico viene rimosso ed avvengono una serie di reazioni chimiche e
fisiche che e sviluppano le proprietà elettriche delle paste. Lo stadio di essiccamento è
necessario per rimuovere i solventi organici volatili e per fare aderire lo strato spesso,
che ancora contiene leganti organici, al supporto; esso avviene a temperature piuttosto
basse (70°-150°C) e non è dipendente dalle condizioni di riscaldamento purché la
velocità del processo sia tale da non causare una evaporazione troppo violenta del
solvente che possa danneggiare l’uniformità della stampa.
Procedura: La rete dello stampo delle dimensioni 30 cm x 40 cm, è stata realizzata
(Screen Service s.a.s. Comeana, FI), in tessuto poliestere su nostro disegno ed è stata
montata sotto tensione su un telaio di alluminio. Come supporto per la stampa degli è
stato utilizzato un foglio commerciale di PVC (0.3 mm).
Normalmente elettrodi stampati di grafite sono realizzati depositando di una pasta
conduttiva di argento sul PVC e lasciando asciugare in stufa a 80°C per circa 20’;
successivamente un secondo strato di pasta contenente AgCl è stampato ad una
estremità di una delle due piste per realizzare l’elettrodo di riferim ento. Sull’altra pista
alla stessa estremità è stampata la pasta conduttiva di grafite per realizzare l’elettrodo di
lavoro. Nel nostro caso sono stati depositati serigraficamente solo strati di grafite su
PVC per ottenere superfici da funzionalizzare nei successivi passaggi.
Figura: Deposizione serigrafica di uno strato
Metodi elettrochimici
Le paste utilizzate per la stampa di elementi sensibili sono composte da almeno due
ingredienti: un veicolo organico ed un componente attivo o funzionale. Il “veicolo
Cronoamperometria
organico” è una miscela di solventi volatili e polimeri o resine che sono necessarie a
mantenere le particelle di materiale attivo in una sospensione omogenea e con proprietà
reologiche adatte alla stampa. Ad esempio i conduttori a base polimerica sono misture
di polimeri (resine fenoliche, poliesteri, resine acriliche e sempre più spesso poliammidi
che resistono a T più elevate) e di una polvere metallica; l’ argento la scelta più comune.
I substrati offrono principalmente un supporto meccanico e di isolamento elettrico alle
paste conduttive ma possono influenzare notevolmente le condizioni di processo e le
Nelle misure cronoamperometriche si misura l’andamento della corrente nel tempo per
un elettrodo di lavoro (W.E.) il cui potenziale è costante o è variato con legge nota.
Un potenziostato applica il potenziale stabilito all’elettrodo di lavoro e lo controlla
rispetto a quello di un elettrodo di riferimento (R.E.), mentre un amperometro misura le
variazioni dell’intensità di corrente; il segnale è quindi acquisito da un computer o un
registratore a carta.
caratteristiche finali del prodotto.
41
42
Il potenziale effettivo del W.E. è dato dalla seguente relazione:
EWE = EPOT - ERE - iR
dove EWE e ERE sono rispettivamente i potenziali dell’elettrodo di lavoro e di
riferimento, EPOT è il potenziale imposto e iR la caduta ohmica dovuta al passaggio di
corrente.
La dimensione ottimale dell’elettrodo di lavoro risulta dal bilancio di due contributi
opposti, ossia quello della superficie attiva che determina l’entità del segnale e il valore
della corrente i passante che aumenta la caduta ohmica; per quest’ultimo termine è
importante anche la resistenza R dell’elettrodo di riferimento, che deve essere piccola.
a)
L’impiego di microelettrodi consente di mantenere il valore della corrente nell’ordine
dei µA o nA e permette l’utilizzo di una cella di elettrolisi a due elettrodi; se invece le
dimensioni e quindi le correnti sono più elevate, e l’elettrodo di riferimento possiede
resistenza elevata, è più conveniente usare un sistema a tre elettrodi in cui il RE fornisce
solo un potenziale costante e stabile mentre la corrente circola tre il WE e il
controelettrodo. In questo modo i = 0 nel ramo del circuito e il termine iR non
contribuisce più al potenziale EWE.
L’amperometria non è considerata una tecnica molto selettiva soprattutto in sistemi
contenenti più specie elettroattive che a determinati valori di potenziale possono
b)
interferire scaricandosi all’elettrodo; ciò può essere ovviato ad esempio con l’impiego di
membrane semipermeabili selettive all’analita di interesse. Nel campo dei biosensori,
inoltre, la selettività è determinata in massima parte dal biomediatore specifico per la
sostanza desiderata.
Voltammetria ciclica
La voltammetria a scansione lineare o ciclica è una tecnica di analisi utilizzata per
ottenere informazioni su un sistema elettrolitico.
c)
Nella voltammetria ciclica il potenziale varia linearmente nel tempo da un valore
Figura: dettagli SEM di un elettrodo di grafite stampato: a) e b) superficie di grafite
serigrafata a 100 e 500 ingrandimenti; c) sezione di un elettrodo stampato nella quale
si può osservare il sandwich di strati di Ag, grafite e isolante depositati
sequenzialmente sul PVC
43
iniziale V1 ad uno finale V2 e viceversa con una velocità stabilita (scan rate, ∆V/sec); il
potenziale applicato all’elettrodo di lav oro può essere descritto da una forma d’onda
triangolare (v. figura).
44
La tecnica di analisi polarografica si basa sull’andamento delle curve di intensità di
Si
registra
l’andamento
della
corrente con la tensione applicata ad un particolare microelettrodo polarizzabile “a
corrente in funzione del potenziale
goccia di mercurio” rispetto ad un elettrodo di riferimento non polarizzabile.
applicato
un
L’elettrodo a goccia di mercurio è costituito da un sottile capillare di vetro dal quale
voltammogramma che ha in ascisse
viene fatto gocciolare mercurio; rispetto ai normali elettrodi solidi offre il vantaggio di
il V e in ordinate la i; le ampiezze
fornire una superficie elettrodica continuamente rinnovabile non influenzata o
della curva e le altezze max e min
contaminata da precedenti prodotti di elettrolisi, nonché una corrente limite controllata
dei picchi variano in funzione della
dalla diffusione.
scan rate e della concentrazione
Con questa tecnica è possibile ottenere curve i(V) altamente riproducibili e determinare
della specie in esame.
qualitativamente e quantitativamente un gran numero di cationi ed anioni, nonché
In particolare il picco massimo ottenuto corrisponde al potenziale ottimale a cui
sostanze organiche ossidabili o riducibili elettrochimicamente; data l’elevata
l’analita è ridotto o ossidato, mentre il potenziale e le dimensioni del picco nella
sovratensione di scarica dell’idrogeno su mercurio è inoltre possibile estendere
scansione di ritorno danno informazioni sulla reversibilità della reazione elettrodica (v.
notevolmente il campo catodico di lavoro e determinare tutti i cationi meno nobili
figura).
compresi i metalli alcalini.
acquisendo
La particolare curva i(V) ottenuta con un elettrodo a goccia di mercurio prende il nome
di onda polarografica catodica o anodica, la cui equazione ricavata da quella di Nerst è:
E = E0 + (RT/nF) ln(Krid/Koss) + (RT/nF) ln[(id – i)/i]
(1)
dove id è la corrente limite di diffusione proporzionale alla quantità di analita presente
in soluzione, Krid e Koss l’inverso delle costanti che tengono conto della progressiva
variazione delle concentrazioni all’elettrodo delle forme ossidata e ridotta della specie
in seguito alla reazione elettrochimica.
Quando l’intensità di corrente i assume il valore di i d/2, ossia metà della corrente limite,
l’equazione (1) diventa:
Attraverso la tecnica di voltammetria ciclica si possono ottenere dati utili per
ottimizzare i potenziali di lavoro per le misure amperometriche e variando la velocità di
E1/2 = E0 + (RT/nF) ln(Krid/Koss)
scansione si possono raccogliere informazioni sui tempi e sulle cinetiche delle reazioni
e prende il nome di potenziale di semionda.
all’elettrodo.
Si dimostra che il valore E1/2 è praticamente coincidente con E0 della reazione
elettrochimica ed è utilizzato per la determinazione qualitativa della specie in esame.
Polarografia
45
46
L’analisi polarogra fica quantitativa si basa invece sulla proporzionalità tra corrente di
L’analisi del nichel sui campioni di oro è stata effettuata polarograficamente utilizzando
diffusione id e concentrazione C della specie elettroattiva in soluzione attraverso
la tecnica AdCSV (Adsorptive Cathodic Stripping Voltammetry), ad impulsi
l’equazione di Ilkovic:
differenziali (differential pulse).
L’analisi è stata effettuata con un polarografo 757 -VA-COMPUTRACE della
1/2
2/3 1/6
id = 607 nD m t C
METROHM costituito da un elettrodo a goccia di mercurio, un elettrodo di riferimento
Ag/AgCl per la misura dell’intensità di corrente I dalla ddp, e da un elettrodo ausiliario
in cui m2/3t1/6 è la costante del capillare, n il numero di elettroni in gioco nella reazione,
di Pt per controllare in ogni momento la ddp applicata alla goccia di Hg.
D il coefficiente di diffusione dell’analita.
Un software regola il funzionamento dello strumento e registra i polarogrammi; la
Nella polarografia in derivata al posto della curva i(V) si rileva quella della derivata
concentrazione del campione incognito è ricavata con il metodo delle aggiunte standard.
della corrente rispetto al potenziale verso il potenziale stesso [di/dV(V)]; la posizione
Per l’analisi del nichel si sfrutta la formazione del complesso Ni-dimetilgliossima, che
del massimo dei picchi del polarogramma così ottenuto fornisce il valore di Ep = E1/2
nella prima parte della misura forma uno strato monomolecolare sulla goccia di Hg
mentre l’altezza (I p) è proporzionale alla concentrazione della specie che deve essere
senza dare ossidoriduzione; poi la DMG viene ossidata (DMG⇒DMG+++2e-) perdendo
determinata.
il suo potere complessante nei confronti del Ni2+ e facendo registrare passaggio di
Nelle figure a), b) e c) sono riportate le curve relative al potenziale applicato, al valore
corrente. Le misure possono essere ripetute più volte proprio perché il Ni2+ non
della superficie della goccia di mercurio e all’andamento dell’intensità di corrente
partecipa direttamente alla reazione elettrochimica e la DMG è presente in eccesso.
relative alla tecnica polarografica differenziale ad impulsi:
Non si può utilizzare in questo caso la voltammetria di stripping anodico perché il
nichel non dà una voltammetria ciclica esattamente reversibile.
La DMG è sciolta in trietanolammina che complessa ioni Zn2+ eventualmente presenti
V
che interferiscono con l’analisi del Ni 2+ poiché competono con esso nella formazione
del complesso con la DMG.
(a
)
S
La misura consiste in una prima fase di 600 secondi in cui è fatto gorgogliare N2 per
I
t
togliere ossigeno dalla soluzione, in 30 sec. di “depositing”, 5 sec di stabilizzazione e
p
infine nello "sweeping” con l’acquisizione dei polarogrammi; quindi si procede con 3
aggiunte di 50 µl di uno standard di Ni 500 ppb. Lo standard, più in generale, deve
essere della concentrazione tale da aumentare il segnale dovuto al solo campione da 2 a
(b
)
t
Figura: Polarografia differenziale ad impulsi: a)
E
p
rampa
(c
)
5 volte. Ogni misura è replicata automaticamente 4 volte.
La sensibilità (teorica) dello strumento è di 0.1 µg/l (ppb).
di potenziale, b) superficie
della goccia di mercurio, c) tipico segnale
47
48
Metodi Spettroscopici e Spettrometrici
Non è necessaria la nebulizzazione del campione che può essere introdotto sottoforma
di soluzione in quantità molto piccola: circa 0.1-0.05 ml, corrispondenti a pochi
Assorbimento atomico per la determinazione del Ni(II)
milligrammi di solido; ma poiché tutto il campione è atomizzato e mantenuto lungo il
La spettroscopia assorbimento atomico è un metodo che misura l’assorbimento da parte
del campione di una radiazione monocromatica di lunghezza d’onda corrispondente ad
una eccitazione che parta dallo stato fondamentale (E1-E0).
cammino del raggio incidente, la sensibilità risulta notevolmente aumentata.
La sorgente di radiazione più utilizzata in uno spettroscopio di assorbimento atomico è
la lampada a catodo cavo, costituta da un tubo a scarica a gas rarefatto (neon o argon)
avente un catodo con una cavità cilindrica dello stesso materiale da determinare. Se
La tecnica consiste dunque nelle linee essenziali nel creare un plasma contenente atomi
l’elemento in questione non è metallico, può essere posto nella cavità.
liberi dell’elemento da analizzare, irraggiarlo con una radiazione di appr opriata
Il metallo del catodo per effetto termico e per bombardamento degli ioni del gas
lunghezza d’onda e valutarne la quantità assorbita, registrando l’ Assorbanza:
vaporizza, gli atomi sono eccitati nel plasma della scarica ed emettono uno spettro a
A = log10 P0/P = 0.434kνb
righe che, per le piccole correnti elettriche utilizzate, risultano abbastanza strette e di
In cui P0 e P sono rispettivamente le intensità della luce assorbita e trasmessa, b il
intensità costante.
cammino ottico e kν il coefficiente di assorbimento che caratterizza l’intensità della riga
Questa caratteristica delle sorgenti a catodo cavo ha permesso lo sviluppo dell’analisi
di assorbimento.
quantitativa per assorbimento atomico.
Il numero di atomi presenti nello stato fondamentale (N0), in accordo con la legge di
La quantità di Ni2+ immobilizzata sulle superfici di grafite è stata determinata tramite
Boltzmann:
Ni/N0 = exp[-(E1-E0)/kt]
spettroscopia di assorbimento atomico con atomizzazione con fornetto di grafite.
corrisponde in prima approssimazione al numero totale degli atomi presenti, anche a
E’ stato utilizz ato lo SPECTRA FS 220 VARIAN con lampada a catodo cavo di nichel
temperature elevate.
(VARIAN).
Il processo di atomizzazione del campione può avvenire tramite una fiamma, dove la
Le condizioni operative sono riportate di seguito:
soluzione è introdotta sottoforma di sospensione nebulizzata e sottoposta ad un processo
− lunghezza d’onda: 232.0 nm
di dissociazione termica.
− banda passante: 0.2 nm
Altri strumenti, come quello adoperato per la determinazione del nichel in questa tesi,
− corrente della lampada: 4.0 mA
sfruttano processi di atomizzazione senza fiamma come il fornetto di grafite.
− calibrazione diretta dello strumento con standard acquosi di Ni2+ 12.50, 25.00 e
I fornetti di grafite sono costruiti in maniera tale da formare una piccola camera
coassiale con il cammino ottico del raggio incidente; la camera, tenuta in atmosfera
inerte, è sottoposta ad un programma di riscaldamento elettrico che aumenta
progressivamente la temperatura: generalmente un primo stadio a 100°C per seccare, un
37,50 µg/l.
Il limite di rivelabilità di questa tecnica per il nichel è di 0.2 ppb (µg/l).
Spettrometria di massa con sorgente a plasma accoppiato induttivamente (ICP- MS)
secondo tra i 400 e i 1200°C per decomporre e volatilizzare, un ultimo tra i 2500 e
3100 °C per atomizzare, ciascuno della durata necessaria a seconda della natura del
Si definisce plasma una miscela gassosa conduttrice di elettricità, in cui vi sono
campione.
significative concentrazioni di cationi ed anioni ma tali che la carica netta sia pressoché
nulla.
49
50
Sorgenti a plasma (ICP, DCP a corrente continua) sono utilizzate in spettroscopia in
quando il campione si espande in questa regione intermedia attraversando il primo
alternativa ai metodi di atomizzazione a fiamma o termoelettrici in quanto presentano
orifizio di circa 1 mm forma un jet supersonico la cui parte centrale fluisce nel secondo
numerosi vantaggi, come la possibilità di minimizzare le interferenze tra gli elementi in
orifizio.
conseguenza dell’utilizzo di temperature più elevate, la possibilità di determinare basse
Dietro ai coni è posto un elettrodo caricato negativamente che attrae gli ioni positivi e li
concentrazioni di campioni che formano composti refrattari e di non-metalli, quali il
accelera dirigendoli verso una serie di lenti di focalizzazione che, oltre a restringere
cloro, bromo, iodio, zolfo, di consentire un intervallo operativo di concentrazione di
l’intervallo di energia degli stessi prima che arrivino all’analizzatore di massa,
parecchi ordini di grandezza, di permettere un’elevata riproducibilità di misura.
impedisce l’accesso ai fotoni emessi dal plasma allo spettrometro in quanto
Sorgenti a plasma sono state accoppiate anche con strumenti piezoelettrici e analizzatori
comporterebbero l’aumento del rumore di fondo.
di massa.
Per ICP si intende un plasma di argon ad una temperatura di 8000 K in cui viene
Spettroscopia di fluorescenza
introdotto il campione per nebulizzazione a pressione ambiente; il plasma si forma per
scarica priva di elettrodi in un gas e viene mantenuta dall’energia accoppiata ad esso da
La fluorescenza è un fenomeno di fotoluminescenza ossia di emissione di energia
parte di un generatore di radiofrequenze.
radiante (generalmente visibile) da parte di una molecola, atomo o ione che torna allo
La sorgente a plasma accoppiato induttivamente è chiamata torcia: è costituita da tre
stato stazionario dopo essere stato eccitato mediante assorbimento di energia radiante
tubi di quarzo concentrici nei quali scorre argo con un flusso tra gli 11 e i 17 l/min;
generalmente di natura ultravioletta:
all’estremità del tubo maggiore è avvolta la bobina di induzione raffreddata ad acqua e
X + hν → X* → X + hν’
alimentata da un generatore di radiofrequenze.
Generalmente l’energia della radiazione emessa è inferiore a quella della radiazione
La ionizzazione dell’argon è innescata da una scintilla prodotta da una bobina Tesla: gli
ultravioletta assorbita (ν’ < ν), dunque la fluorescenza si trova a lunghezze
ioni e gli elettroni formatisi interagiscono quindi con il campo magnetico fluttuante
d'ondamaggiori, nel vicino ultravioletto (λ > 300 nm), nel visibile (380-750 nm) o
prodotto dalla bobina di induzione e sono costretti a percorrere una traiettoria anulare;
perfino nel vicino infrarosso (λ > 750 nm).
in conseguenza della loro resistenza si ha un riscaldamento ohmico.
La fotoluminescenza è chiamata fluorescenza quando lo spin dell’elettrone eccitato non
La temperatura raggiunta dal plasma
può arrivare a 10000 K; il campione viene
cambia durante la disattivazione; più in generale per le molecole organiche si indica con
introdotto come gas o aerosol fine di particelle liquide o solide utilizzando un
fluorescenza l’emissio ne di energia radiante durante una transizione dallo stato eccitato
nebulizzatore che trasforma la soluzione del campione in goccioline finemente disperse,
più basso di singoletto (S1) allo stato fondamentale di singoletto (S0). Per quanto
delle quali solo quelle più piccole, circa l’1%, raggiungono il plasma.
riguarda i composti organici, solo le molecole planari e coniugate danno il fenomeno di
Superato il capillare di iniezione l’aerosol è rapidamente essiccato a microparticelle
fluorescenza; in pratica occorre la presenza di almeno un anello aromatico.
solide che nel tragitto lungo il plasma in qualche millisecondo vengono vaporizzate,
A causa della sua rapidità, l’emissione di fluorescenza viene generalmente misurata
atomizzate e ionizzate. Le temperature sono talmente elevate che quasi tutti gli elementi
durante il processo di eccitazione stesso tramite uno spettrofluorimetro.
della tavola periodica vengono completamente ionizzati, o comunque per oltre il 50%.
L’intensità della fluorescenza F è pro porzionale alla concentrazione C dell’emettitore
L’interfaccia tra sorgente ICP e spettrometro di massa è costituita da due coni con punte
secondo la relazione, valida alle basse concentrazioni:
rivolte verso il plasma; lo spazio tra i due coni è mantenuto ad una pressione di 2 mbar e
51
F = k φf P0 (1 – e-ε bc) ≅ k φf P0 (2.3εbc)
52
in cui P0 è la potenza radiante della radiazione eccitante, (2.3εbc) rappresenta la
I cromofori delle molecole organiche sono gruppi o legami insaturi responsabili
frazione di radiazione assorbita, k è la frazione registrata dei fotoni emessi (a causa
dell’assorbimento nel Vis/UV; le interazioni tra i diversi cromofori di una molecola
della geometria del fluorimentro) e φf è la resa quantica di fluorescenza, ossia il
genera effetti batocromici o ipsocromici a seconda che rispetto alla λ di assorbimento
rapporto fotoni emessi/ fotoni assorbiti.
del cromoforo isolato si abbia uno spostamento verso λ minori o maggiori, e
I componenti principali di uno spettrofluorimentro sono la sorgente, una lampada ad
ipercromici o ipocromici quando ciò comporti anche un aumento o diminuzione
arco al mercurio o allo xenon, il reticolo di eccitazione o filtro primario che trasmette
dell’intensità della banda di assorbimento.
solo una porzione della radiazione emessa dalla sorgente, il reticolo di fluorescenza o
Rientrano in questa categoria i sistemi coniugati, polieni o aromatici.
filtro secondario posto dopo la cella del campione perpendicolarmente al fascio
primario, e un rivelatore, fototubo o fotomoltiplicatore, che misura l’emissione
La quantità di radiazione assorbita è misurata in termini di Assorbanza
A = log (1/T) = εbc
fluorescente che attaversa il filtro.
Dove T, Trasmittanza, è il rapporto tra la potenza della radiazione trasmessa e quella
della radiazione incidente (T = P/P0), b lo strato di materiale attraversato, ε l'assorbività
Spettroscopia di assorbimento nel Visibile e nell’Ultravioletto
molare (detto anche coefficiente di estinzione molare) caratteristico per la determinata
La fotometria è la tecnica spettroscopica più utilizzata e riveste una grande importanza
lunghezza d’onda della radiazione e c la concentrazione della sostanza assorbente.
nelle analisi quantitative.
La spettroscopia di assorbimento quantitativa si basa essenzialmente sul confronto tra
La spettrofotometria si basa sulla misura del rapporto delle intensità dei raggi
l’assorbimento di una soluzione campione e quello di una serie di st andards sottoposti
(generalmente luce visibile o ultravioletta) di lunghezza d’onda specifica incidenti in
ad una radiazione monocromatica corrispondente ad un caratteristico assorbimento (se
una soluzione e trasmessi.
possibile, si sceglie la λMAX) della sostanza in esame.
Lo spettro di assorbimento del campione lo identifica univocamente in termini
Uno spettrofotometro, schematicamente, è composto da una sorgente, che può essere
qualitativi e dalla misura della dose di energia assorbita da una soluzione è possibile
una lampada a vapori di mercurio, a filamento di tungsteno, al quarzo-alogeno o a
risalire alla concentrazione della sostanza assorbente che risulta così determinata anche
scarica elettrica a idrogeno o deuterio a seconda della regione spettrale che interessa, un
quantitativamente.
monocromatore necessario a disperdere la radiazione emessa, un rivelatore (fototubo o
Il processo di assorbimento di una radiazione luminosa nella regione del
fotomoltiplicatore).
visibile/ultravioletto da parte di una molecola è un processo alquanto complesso che
dipende dalla struttura elettronica della sostanza: il passaggio degli elettroni da orbitali a
bassa energia ad uno stato eccitato, infatti, comporta anche
variazioni nei livelli
vibrazionali e rotazionali secondo regole di selezione quantomeccaniche che
determinano le transizioni permesse.
Gli spettri che risultano mostrano perciò un numero elevatissimo di righe di
assorbimento: in corrispondenza dell’assorbimento massimo si definisce una λmax che
identifica la radiazione monocromatica che lo genera.
Microscopia elettronica
Lo Scanning Electron Microscopy (SEM) è un microscopio che usa gli elettroni al
posto della luce per formare un’immagine. Ci sono molti vantaggi nell’usare il SEM
invece di un microscopio ottico.
Il SEM ha una elevata profondità di campo, cioè una larga differenza tra massima e
minima distanza di focalizzazione, adeguata alla messa a fuoco, in pochi istanti, di
superfici con elevate variazioni topografiche. Inoltre, l’analisi al microscopio a
scansione elettronica produce immagini ad alta risoluzione, il che significa che
53
54
materiali diversi, vicini o sovrapposti, possono essere esaminati con un alto
Se gli elettroni incidenti hanno energia sufficientemente elevata riescono a ionizzare i
ingrandimento (da 15 a 500000).
livelli energetici più interni degli atomi del materiale, i quali possono tornare allo stato
La preparazione del campione è relativamente semplice, poiché la maggior parte dei
fondamentale mediante l’emissione di un fotone. I raggi X prodotti possiedono energie
SEMs richiede solamente che il campione sia un conduttore. La combinazione di più
che sono caratteristiche degli atomi da cui provengono e possono, quindi, essere
alti ingrandimenti, più larghe profondità di campo, più grandi risoluzioni e la facilità di
sfruttati per ottenere informazioni sulla composizione chimica del campione. Mediante
osservazione del campione rendono il SEM uno degli strumenti più ampiamente usati
un trasduttore, che rivela i raggi X, si arriva ad avere uno spettro che riporta i picchi
nelle aree di ricerca ai giorni nostri.
relativi agli elementi. L’intensità della linea caratteristica di un elemento è direttamente
Nel SEM i diversi punti del campione vengono esplorati da un sottile fascio elettronico
proporzionale alla concentrazione dello stesso. Confrontando l’intensità con quella di un
di elevata energia. Tale fascio è prodotto da un cannone elettronico e focalizzato, per
campione standard, otteniamo informazioni quantitative.
mezzo di un sistema di lenti magnetiche, sul campione da analizzare (Figura).
In figura è mostrato un tipico setup per il SEM.
Figura: il fascio di elettroni è
prodotto da un filamento fatto
da diversi tipi di materiale. Il
più comune è il tungsteno. Il
filamento di tungsteno funziona
come catodo. Al filamento è
applicato un voltaggio, con
conseguente
aumento
di
temperatura. L’anodo, che è
positivo rispetto al filamento,
attrae gli elettroni emessi dal
catodo e quelli con la giusta
energia vengono deflessi sul
campione
tramite
lenti
magnetiche.
Appositi dispositivi consentono sia spostamenti del fascio, facendogli esplorare piccole
zone quadrate, sia spostamenti del campione rispetto al fascio, che permettono di
variare non solo la zona in esame ma anche l’inclinazione del campione rel ativamente al
fascio.
Figura: tutti questi segnali sono presenti in un esperimento di scansione elettronica, ma
per la rivelazione e l’acquisizione dell’informazione i più comunemente usati sono
elettroni secondari, elettroni retrodiffusi e raggi X.
Quando un fascio di elettroni colpisce la superficie di un materiale una parte di questi
Le misure in un SEM vengono realizzate in condizioni di vuoto, per impedire collisioni
elettroni incidenti (elettroni primari) conserva la sua energia e viene riflessa (elettroni
con le molecole di gas che renderebbero il fascio elettronico instabile.
retrodiffusi), mentre gli altri perdono la loro energia, trasferendola agli elettroni del
La trasmissione del fascio verso il campione, attraverso la colonna ottica, potrebbe
solido, ed infine, una frazione di essi, ad energia molto bassa, può sfuggire all’esterno
essere ostacolata dalla presenza di altre molecole. Tali molecole, che potrebbero
(elettroni secondari).
provenire dal campione o dal microscopio stesso, potrebbero formare dei composti e
delle condense sul campione. Questo provocherebbe un abbassamento del contrasto e
55
56
5 DEPOSIZIONE DEI MATERIALI ELETTRODICI
oscurerebbe i dettagli nell’immagine. Per ovviare al problema si ricorre ad un processo
di sputtering.
Le superfici sulle quali sono state immobilizzate le molecole ingegnerizzate sono i
comuni supporti (oro, grafite, vetro, quarzo) normalmente impiegati per la realizzazione
di biosensori ottici o elettrochimici tradizionali.
Alcuni di questi materiali (oro, grafite) sono stati depositati con diverse tecniche:
•
Serigrafia su PVC (grafite) e su ceramica (oro)
•
Sputtering di oro su entrambe le facce di supporti planari di plastica
(poliacetato)
•
Deposizione galvanica di Au su piste di Cu su vetroresina ottenute per hetching
con FeCl3.
5.1 DEPOSIZIONE DI INCHIOSTRI SERIGRAFICI
Sono stati depositati inchiostri a base di grafite (Acheson) su lastrine di PVC (spessore
= 0,3mm) con un lay-out rettangolare (1x5mm) mediante una stampante serigrafica da
laboratorio.
Sono stati impiegati anche elettrodi ceramici serigrafati commerciali (BVT Tisnov,
Czech Republic) con working e auxiliary di oro e reference di Ag/AgCl con il lay-out
(b) della figura sottostante.
(a)
57
(b)
(c)
(d)
(e)
58
5.2 DEPOSIZIONE DI Au PER SPUTTERING
Preparazione del bagno di doratura
L’oro è st ato depositato per sputtering su entrambe le facce di supporti planari di vetro o
Una procedura per la doratura del rame per immersione è riportata nel “Trattato di
plastica (poliacetato) utilizzando uno SPUTTER COATER S 150B.
galvanotecnica” di E. Bertorelle.
Si utilizza un bagno di doratura a base di cianuri d’oro (W. Pfanhauser) la cui
composizione è riportata di seguito:
•
cloruro d’oro (AuCl 3)
•
cianuro di potassio (KCN) 10.0 g/l
•
fosfato bisodico (Na2HPO4) 6.0 g/l
•
soda caustica (NaOH) 1.0 g/l
•
solfito di sodio (Na2SO3) 3.0 g/l
0.6 g/l
Il cloruro d’oro si prepara a partire da oro metallico con la seguente procedura:
•
Soluzione HCl/HNO3 3:1 (acqua regia)
•
Scaldare blandamente
•
Immergere il filo d’oro metallico che si solubilizza completamente nella
soluzione
Figura: un foglio di poliacetato durante lo sputtering di Au
I supporti di poliacetato prima della deposizione sono
stati sgrassati con alcool
isopropilico, quelli di vetro sono stati puliti con la soluzione “piranha” (acido
solforico/acqua ossigenata 1:2) a caldo, quindi asciugati in stufa a 80°C.
•
Scaldare a 70-80 °C per portare via il solvente
•
Portare a secco
•
Riprendere con HCl conc.
•
Riportare a secco
•
Riprendere con HCl dil. (1 M )
•
Si ottiene AuCl3 in soluzione
A questo punto si tratta il cloruro d’oro con cianuro di potassio: l’oro passa da trivalente
5.3 DEPOSIZIONE GALVANICA DI AU SU PISTE DI CU
a monovalente e si formano cianuro auroso e gas cianogeno, velenoso, secondo la
Mentre le tecniche serigrafiche e di sputtering sono comunemente impiegate nel nostro
laboratorio, la deposizione galvanica di oro su piste di rame di lastrine di vetroresina per
seguente reazione:
3 AuCl3 + 9 KCN → 3 AuCN + 3 (CN)2 + 9 KCl
circuiti stampati ha richiesto una fase di ottimizzazione che viene descritta in dettaglio
Aggiungendo KCN in eccesso si ha quindi la formazione del complesso AuK(CN)2 e la
con le prove sperimentali nei paragrafi successivi.
presenza di cianuri liberi in soluzione per stabilizzarlo.
59
60
sfrutta la
•
per lucidare più a fondo è stato usato un foglio di pasta di diamante 3 µm
solubilizzazione del rame e la riduzione dell’oro sulla lastrina, in seguito alla
•
infine, un disco di panno per concludere la lucidatura
La doratura per immersione è una doratura “per spostamento” che
formazione di una pila:
Le lastrine così ottenute sono state sgrassate effettuando due bagni in acetone; sono
state numerate e poste circa 20 min. in stufa.
Au(CN)2•aq + e → 2CN• aq + Au(s)
4CN• aq + Cu(s) → Cu(CN)42• aq + 2e
Doratura delle piste di Cu
______________________________________
2Au(CN)2• aq + Cu(s) → Cu(CN)42• aq + 2Au(s)
Per effettuare la prima prova di doratura di una lastrina sono stati messi 20 cc di
soluzione di cianuri
in una provetta di plastica con tappo (Falcon), posta in un
Quando non c’è più rame superficiale da aggredire la doratura si ferma, consentendo di
termostato a T=53°C, e la lastrina completamente immersa. Ogni 5 min. è stato
ottenere minimi spessori di oro, di circa 20 nm.
controllato l’aspetto della lastrina e della soluzione come riportato nella tabella:
I bagni di doratura sono molto sensibili alle impurezze, soprattutto di natura organica;
se vengono inquinati la deposizione risulta di brutto aspetto e priva di aderenza.
Fondamentale è inoltre la superficie del metallo base prima della doratura, sia per
l’aderenza che per la lucentezza dell’oro depositato.
Preparazione dei campioni di rame
Sono state preparate delle lastrine di rame di superficie di ca. 2 cm2 per procedere alle
Tabella: Osservazione dei campioni durante la deposizione di Au su Cu
t (min) T (°C)
Osservazioni
0’
53.0 -l’aspetto della superficie è inalterato e la soluzione resta limpida
5’
53.0 -l’aspetto della superficie è inalterato e la soluzione resta limpida
10’
53.0 -l’aspetto della superficie è inalterato e la soluzi one resta limpida
15’
55.0 -il rame sembra più opaco, segno che sta iniziando la deposizione
20’
59.0 -il rame è ancora più opaco
25’
61.5 -il rame è sempre più opaco,ma appaiono dei puntini più lucidi
-il rame si sta dorando,ma ci sono dei punti in cui l’oro non si deposita: è
30’
61.5
probabilmente un problema relativo alla cattiva pulizia della superficie.
-è stata estratta la lastrina, messa 2 min in NaClO e sciacquata
40’
61.5
abbondantemente con H2O dist.
prove di doratura. Il primo passaggio consiste nella lucidatura della superficie della
lastrina che deve essere dorata.
La LUCIDATURA A SPECCHIO di un metallo si verifica al microscopio ottico con
l’assenza di rigatu re. Per lucidare le lastrine di rame è stato utilizzato il PLANOPOL V,
dotato di un piatto girevole su cui si posizionano i fogli per la lucidatura:
•
per primo è stato utilizzato un foglio al carburo di silicio 4000 e H2O come
lubrificante; il numero del foglio indica i mesh del setaccio che ha selezionato le
polveri per fare la carta;
•
si è passati successivamente ad un foglio di pasta di diamante 6 µm, impiegando
All’osservazione al microscopio ottico , la superficie dorata appare uniforme, l’oro
depositato granulare, cristallino, complessivamente buono; le piccole zone tondeggianti
in cui l’oro non si è depositato sembrano essere bollicine formatesi sul rame durante
l’immersione nel bagno probabilmente per la presenza di impurezze sulla superficie.
E’ stata ripetuta la doratura utilizzando la stessa soluzione di cianuri.
La successiva doratura è stata eseguita su un pezzetto di circuito di rame stampato per
poter valutare anche la resistenza del supporto di vetroresina al bagno di doratura.
un lubrificante commerciale delicato in quanto l’acqua potrebbe rigare la
superficie; le lastrine diventano lucide, anche se restano visibili leggere rigature
61
62
Il campione (1) è stato immerso in HNO3 1M per eliminare gli ossidi superficiali e
Questa volta è stato prima pulito con carta smeriglio e lucidato leggermente con panno e
sciacquato; quindi è stato sgrassato con trielina bollente per 15 min, bagnato in acetone
pasta di diamante per ca. 40 min, poi sgrassato con vapori di trielina bollente
e quindi sciacquato di nuovo.
(immergendo il campione si ha il parziale scioglimento della resina di supporto) e
Sono stati utilizzati 20 cc di soluzione fresca di cianuri, poiché il bagno usato nelle
sciacquato con abbondante H2O dist. Non è stato utilizzato HNO3 per il sospetto che
precedenti dorature si è impoverito d’oro e presenta cianuri ormai ossidati.
aggredisca il rame rendendolo poroso e compromettendo così una doratura uniforme. E’
Il campione è stato tenuto nel bagno di doratura a T=61°C per 30 min, quindi estratto,
stato utilizzato il bagno a 70.5°C per 30 min.
immerso in NaClO e sciacquato: la superficie del rame appare ancora rosata, con riflessi
Il campione estratto è apparso completamente dorato e in maniera regolare, anche se
gialli, segno che lo strato d’oro depositato è molto sottile, e ’ stato quindi immerso di
presenta dei riflessi rosati; al microscopio ottico, però, la doratura è apparsa
nuovo nel bagno a 61°C per altri 30 min.
insufficiente perché la superficie non brilla e invece di gialla è rossastra con punti gialli
Quindi la lastrina è estratta, bagnata in NaClO allo scopo di ossidare i cianuri in
luminosi.
ambiente basico, secondo la reazione:
E’ stata quindi proseguita la doratura alla stessa T=70.5°C per altri 30 min.; il campione
estratto è stato sciacquato solo con H2O dist. per timore che l’ipoclorito aggredisse la
ClO• + CN• → Cl• + NCO•
superficie nel caso un’eventuale doratura non completa lasciasse rame scoperto.
La lastrina è stata quindi sciacquata ed osservata al microscopio ottico: lo strato di oro si
All’osservazione al microscopio ottico il rame appare completamente ricoperto di oro,
è ispessito, ma la doratura risulta irregolare; si notano punte dorate che riflettono la luce
non ci sono imperfezioni nella doratura; si vedono i profili delle righe del rame
e zone rosse che rivelano rame ancora scoperto. Il campione è stato nuovamente inserito
sottostante.
nel bagno di cianuri per 30 min. a 70.5°C.
Al microscopio metallografico l’oro ap pare compatto, cristallino, la doratura completa;
La superficie della lastrina appare gialla, dorata, ma in NaClO è aggredita e si ha la
si vedono i clusters di oro depositato, anche all’interno delle rigature del rame.
formazione di buchi di colore rosso-verde laddove il rame non è ricoperto secondo la
All’ossservazione al microscopio elettronico la doratura appare uniforme; l’oro
seguente reazione:
depositato forma dei clusters ben visibili. Piccole imperfezioni sono dovute alla
superficie del rame irregolare. Dopo leggera lucidatura dell’oro, l’aspetto della
•
ClO + H2O + 2e → Cl• + 2OH•
2+
Cu(s) → Cu + 2e
superficie non cambia molto. La figura, che rappresenta la superficie di oro depositata al
E° = 0.81 V
SEM, originalmente in scala di grigi, è stata elaborata e colorata per evidenziare meglio
E° = - 0.3419 V
i dettagli. Il campione (2) ottenuto risulta buono, inoltre la resina di supporto non è stata
_____________________________________________________
Cu(s) + ClO• + H2O → Cl• + Cu 2+ + 2OH•
aggredita durante il trattamento.
∆E° = 0.4681 V
All’osservazione al microscopio ottico il campione risulta irregolare: i tratti dorati sono
uniformi, ma sono presenti micropuntini rossi di diverse dimensioni; sui bordi e nelle
zone aggredite da NaClO ci sono buchi rosso-verdi.
Preparazione di elettrodi stampati e doratura
A questo punto sono stati realizzati degli elettrodi di rame per hetching con FeCl3 di
E’ stato preparato un secondo campione (2) dal circuito stampato.
lastrine di vetroresina con un sottile strato di rame metallico.
63
64
Misura della superficie reale dell’elettrodo tramite cronocoulometria
L’area reale dell ’ elettrodo non corrisponde a quella misurata geometricamente poiché
occorre tener conto della rugosità della superficie che ne aumenta il valore. Si definisce
appunto fattore di rugosità il rapporto tra l’area reale e quella geometrica.
Generalmente gli elettrodi di oro “lisci ” hanno una rugosità tra 1.2 e 1.5, mentre quelli
di platino tra 1.5 e 3; gli elettrodi di grafite hanno un fattore di rugosità molto variabile
a seconda della natura della superficie: se di glassy carbon sono pressoché lisci ( 1.5-3),
mentre se di grafite pirolitica hanno un fattore di rugosità elevato, da 10 fino a 100.
Misure
della
reale
superficie
di
un
elettrodo
possono
essere
condotte
elettrochimicamente mediante misure di deposizione di idrogeno o ossigeno, ma tale
procedura ha l’in conveniente di essere molto sensibile ad eventuali impurezze adsorbite
sulla superficie ed è quindi applicata solo nei casi in cui l’elettrodo non sia stato
sottoposto ad alcun trattamento.
Figura: Immagine SEM colorata elettronicamente della superficie di oro ottenuta
galvanicamente
Generalmente l’area reale di un elettrodo è determinata
tramite misure di
cronocoulometria .
Dopo aver lucidato il rame secondo il metodo descritto precedentemente, sulle lastrine è
stata stampata serigraficamente una vernice impermeabile che riproduce in positivo il
E’ stata determinata l a superficie di un elettrodo dorato prodotto secondo la
disegno delle piste e degli elettrodi che si vogliono ottenere.
metodologia descritta avente layout circolare con area geometrica di 12 mm2.
Lasciate asciugare bene, le lastrine sono state poste per circa 20 min. in FeCl3 in modo
E’ stat o usato come elettrodo di lavoro in
da sciogliere il rame non protetto dalla vernice. Dopo il trattamento con FeCl3 la vernice
3-
soluzione 0.1 mM di ferricianuro (Fe(CN)6 ) in KCl 0.1 M vs Ag/AgCl in NaCl 3M
è stata allontanata con acetone, ottenendo il lay-out desiderato. A questo punto è stato
(elettrodo ausiliario di Pt) registrando nel tempo l’andamento della carica Q. Sono stati
depositato un sottile strato di oro sul rame secondo la procedura precedentemente
applicati due impulsi di potenziale di 250 ms, il primo da 600 mV e il secondo da 0 mV,
ottimizzata.
in modo che praticamente tutto il ferricianuro venga ridotto a Fe(CN)64-; riportando i
una misura cronocoulometrica in una
dati ottenuti come Q in funzione di t1/2 si ha una relazione lineare e la pendenza del
grafico ottenuto è uguale a 2nAFCD1/2/π1/2 , in cui n è il numero di elettroni coinvolti
nella reazione redox (in questo caso n=1), F la costante di Faraday, C la concentrazione
e D il coefficiente di diffusione del Fe(CN)64- . Si può così determinare A, l’area reale
dell’elettrodo.
Sono riportati il grafico di linearizzazione Q vs t1/2 e i calcoli relativi alla
determinazione della superficie:
Figura: la lastrina di vetroresina ricoperta di rame prima e dopo la deposizione
serigrafica della vernice
65
66
400
Riproducibilità del comportamento degli elettrodi di Au ottenuti per deposizione
350
galvanica
Con il procedimento appena descritto sono stati preparati separatamente due serie (a e
Q/(mC)
300
b) di 5 elettrodi che sono stati provati in una cella a flusso (figura) a +600mV vs
250
Ag/AgCl con una soluzione di acido ascorbico. Lo strumento utilizzato per le misure
y = 4300.8x
2
R = 0.9883
200
150
cronoamperometriche è il METHROM 641 VA-DETECTOR con annesso un
registratore CHROMATOPAC C-R6A.
100
50
0
0
0.01
0.02
0.03
0.04
(t)
0.05
^0.5
/(s)
0.06
0.07
0.08
0.09
0.1
^0.5
Tabella: Dati e calcolo della rugosità degli elettrodi di lavoro (Au) ottenuti per
deposizione galvanica
Elettroni scambiati nella reazione
n
1E
Costante di Faraday
F
96,485.3415 C/mol
Concentrazione K3Fe(CN)6
C
0.0001 mol/l
Coefficiente di diffusione
K3Fe(CN)6
D
7.6x10-6 Cm2/s
P greco
3.1416
π
Coefficiente angolare
m
4.3x10-3 C/s
Raggio dell’elettrodo di lavoro
r
1.95 mm
Superficie reale
14.3 mm2
Ar =π1/2 m/2nFCD1/2
2
Area geometrica
12.6 mm2
Ag=π
πr
1/2 2
1/2
Fattore di rugosità (Ar /Ag)=m/2nπ
1.13
π r FCD
Figura: Elettrodo di Au depositato sulle piste di Cu di un circuito stampato di
vetroresina realizzato in laboratorio, inserito in una cella a flusso di plexiglass
Poiché l’area dell’elettrodo calcolata geometricamente (r=1,95mm) è pari a 12.6 mm2,
si ha un fattore di rugosità di 1.13 , ossia la superficie reale è circa il 113% di quella
geometrica.
La superficie elettrodica reale sarà impiegata in seguito per una stima geometrica
dell’immobilizzazione.
67
Si riporta a titolo di esempio la curva di taratura (figura) ottenuta con l’elettrodo 1 a
della 1a serie con concentrazioni crescenti di acido ascorbico mediante misure
cronoamperometriche:
68
sulla qualità del segnale ottenuto. La sensibilità, espressa in nA/µM, è calcolata per ogni
0.14
elettrodo secondo la formula:
0.12
I (uA)
0.1
0.08
0.06
Gli elettrodi che presentavano piccole zone di rame scoperte hanno mostrato correnti di
0.04
fondo molto elevate, tali da impedire la misura dei segnali dovuti all’acido ascorbico .
0.02
0
0.00E+00
2.00E-06
4.00E-06
6.00E-06
8.00E-06
[ac. Asc.]
Figura: curva di calibrazione dell’ elettrodo di oro su rame (1a) con ac.ascorbico
Analogamente per la seconda serie di elettrodi si riporta a titolo di esempio la curva di
calibrazione relativa all’elettrodo 5b:
Tabella: Sensibilità per l’ acido ascorbico
deposizione galvanica di Au su Cu
I F.S.
ICOMP [Ac.Asc.]
I (nA)
(nA)
(mol/l)
µA)
#
(µ
1b
2b
-6
0.1
1.20
3*10
3b
93.0
-6
0.1
1.95
3*10
4b
97.0
0.1
1.84
3*10-6 100.6
5b
RSD=
0.2
0.18
0.16
0.14
0.12
i(uA)
Tabella: Sensibilità per l’ acido ascorbico
deposizione galvanica di Au su Cu
I F.S.
ICOMP [Ac.Asc.]
I (nA)
(nA)
(mol/l)
#
µA)
(µ
-6
0.1
0.72
3*10
1a
62.2
0.1
1.22
3*10-6
2a
73.6
-6
0.1
1.95
3*10
3a
75.1
0.5
1.05
10-5 251.6
4a
0.1
1.17
3*10-6
5a
63.4
RSD=
0.1
0.08
degli elettrodi della serie A ottenuti per
Sensibilità
µM)
( nA/µ
20.7
24.5
25.0
25.2
21.1
9.8%
Rumore
Note
Pulito
Pulito
Pulito
Pulito
Pulito
Fuori scala a 0.1 µA
-
degli elettrodi della serie B ottenuti per
Sensibilità
µM)
( nA/µ
31.1
32.3
33.5
4.9%
Rumore
Note
Rumoroso
Pulito
Pulito
Fuori scala a 5 µA
Fuori scala a 5 µA
stabilizz. lenta
stabilizz. lenta
0.06
0.04
0.02
0
0.E+00
2.E-06
4.E-06
6.E-06
8.E-06
1.E-05
1.E-05
[ac. Asc]
Figura: curva di calibrazione dell’ elettrodo di oro su rame (5b) con ac.ascorbico
Nelle tabelle successive è riportata la sensibilità di ciascun elettrodo delle serie A e B, i
valori di RSD che tengono conto della riproducibilità delle misure, nonché alcune note
69
70