1 INTRODUZIONE 1.1 BIOSENSORI: LE NUOVE PROSPETTIVE TRA BIOLOGIA MOLECOLARE E Università degli Studi di Roma “La Sapienza” NANOTECNOLOGIE pag. 4 1.2 SCOPO DELLA TESI pag. 15 Proteine ingegnerizzate per immobilizzazioni particolari Cyst-tag Immunoliposomi Ponti streptavidina-biotina Immunosensori con anticorpi ingegnerizzati Biosensori con enzimi ingegnerizzati Biosensori con microrganismi ingegnerizzati Biosensori a DNA Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di laurea in Chimica Industriale Tesi sperimentale: 2 LE MOLECOLE INGEGNERIZZATE CON HIS6X-TAG 2.1 IL SCFV DELL’ANTICORPO PER IL VIRUS DEL MOSAICO DEL CETRIOLO pag. 16 Il virus del mosaico del cetriolo scFv-AP-(His)6x contro il CMV 2.2 IL FOTOSISTEMA II DA THERMOSYNECHOCOCCUS ELONGATUS pag. 19 Il fotosistema II PSII-(His)6x core complex da Synechococcus elongatus Immobilizzazione di biomolecole ingegnerizzate per la realizzazione di biosensori di nuova generazione 3 SINTESI DEI CHELANTI Relatori: 3.1 IMAC IMMOBILIZED-METAL AFFINITY CHROMATOGRAPHY 3.2 IL COMPLESSO Ni-NTA 3.3 CODE DI ISTIDINA 3.4 SELF ASSEMBLED MONOLAYERS Prof. Luigi Campanella pag. 27 pag. 29 pag. 31 pag. 32 Laureanda: Dott. Roberto Pilloton PARTE SPERIMENTALE Chiara Di Meo Matricola N 11106620 4 MATERIALI E METODI 4.1 MATERIALI 4.2 METODI Metodi di deposizione per sputtering Metodi di deposizione serigrafica Metodi elettrochimici Cronoamperometria Voltammetria ciclica Polarografia per la determinazione del Ni(II) Metodi spettrometrici Assorbimento atomico per la determinazione del Ni(II) Anno Accademico 2001-2002 1 pag. 37 pag. 39 2 1 INTRODUZIONE Spettrometria di massa con sorgente a plasma accoppiato induttivamente (ICP- MS) Spettroscopia di fluorescenza Spettroscopia di assorbimento molecolare nel Visibile e nell’Ultravioletto Microscopia elettronica 1.1 BIOSENSORI: 5 DEPOSIZIONE DEI MATERIALI ELETTRODICI 5.1 DEPOSIZIONE DI INCHIOSTRI SERIGRAFICI pag. 58 5.2 DEPOSIZIONE DI Au PER SPUTTERING pag. 59 5.3 DEPOSIZIONE GALVANICA DI Au SU PISTE DI Cu pag. 59 Preparazione del bagno di doratura Preparazione dei campioni di rame Doratura delle piste di Cu Preparazione di elettrodi stampati e doratura Misura della superficie reale dell’elettrodo tramite cronocoulometria Riproducibilità del comportamento degli elettrodi di Au ottenuti per deposizione galvanica 6 SINTESI DEL COMPLESSO Ni-NTA 6.1 SINTESI DEL COMPLESSO NI-NTA SU SUPERFICIE DI GRAFITE 6.2 SINTESI DEL COMPLESSO NI-NTA SU SUPERFICI DI ORO 6.3 SINTESI DI UN BRACCIO SPAZIATORE SU AU OTTENUTO PER LE NUOVE PROSPETTIVE TRA BIOLOGIA MOLECOLARE E NANOTECNOLOGIE Lo sviluppo della tecnologia dei biosensori negli ultimi decenni si è avvalso di un progresso interdisciplinare della ricerca che riguarda l’integrazione di biomateriali con trasduttori elettronici (Willner, 2001). La strategia di tale ricerca consiste da un lato nell’applicazione di tecnologie avanzate nel campo della microelettronica, dell’elettrochimica, dell’ottica, dell’acustica, della meccanica; dall’altro, nell’utilizzo di migliorate tecniche di sintesi chimica e di nuove importanti tecnologie quali le ingegnerie molecolare, proteica e genetica per l’ottenimento di “biosensing materials” con molteplici proprietà e applicazioni. pag. 72 pag. 74 La sensibilità e la selettività di un biosensore dipendono in larga misura dalle SPUTTERING 6.4 DETERMINAZIONE DELLA DENSITÀ SUPERFICIALE DI NI(II) pag. 76 pag. 77 importanza rivestono l’immobilizzazione sulla superficie del sensore, la corretta 6.5 SINTESI ELETTROCHIMICA DEL SAM SU AU pag. 79 Assorbimento atomico Analisi polarografica 7 IMMOBILIZZAZIONE DELLE MOLECOLE INGEGNERIZZATE 7.1 PROCEDURA DI IMMOBILIZZAZIONE DELLA PROTEINA 7.2 VERIFICA DELL’IMMOBILIZZAZIONE DI HIS6X-AP-SCFV: REALIZZAZIONE DI UN BIOSENSORE AD ALCALIN FOSFATASI 7.3 VERIFICA DELL’IMMOBILIZZAZIONE DI HIS6X-PSII 7.4 ADSORBIMENTO ASPECIFICO DELLA PROTEINA 7.5 PURIFICAZIONE/CONCENTRAZIONE DELLA PROTEINA (HIS6X-AP-SCFV) “ON CHIP” caratteristiche strutturali e funzionali della biomolecola utilizzata; altrettanta orientazione e omogeneità (Hock et al., 2001). La superficie del sensore deve presentarsi omogenea in modo che lo strato del materiale biologico risulti compatto e ordinato; la tecnica di immobilizzazione deve inoltre permettere di poter orientare la biomolecole nel modo giusto per poter poi pag. 85 pag. 86 pag. 87 pag. 89 pag. 90 reagire con l’analita. Questo discorso, valido in generale per tutte le proteine, diventa essenziale quando si utilizzano anticorpi e enzimi: in entrambi i casi è necessaria una corretta esposizione del sito di riconoscimento nel primo caso e del sito catalitico nel secondo. A tal proposito sono state individuate ed elaborate molteplici tecniche di immobilizzazione di molecole biologiche su svariati materiali, tra cui grafite e oro, che si basano sostanzialmente sull’utilizzo di composti bifunzionali quali glutaraldeide, 8 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI 8.1 CONCLUSIONI 8.2 SVILUPPI FUTURI pag. 93 pag. 95 lisina, carbodiimmide, in grado di reagire specificamente sia con la superficie BIBLIOGRAFIA pag. 99 Tra le metodiche più recenti si devono citare, per l’importanza che vanno man mano elettrodica opportunamente attivata che con un gruppo funzionale della biomolecola. rivestendo, la produzione di films monomolecolari di proteine (Langmuir films) e la 3 4 creazione di immunoliposomi, ossia di strutture fosfolipidiche sferiche sulla cui Con la manipolazione del gene si aprono possibilità pressoché illimitate nel creare superficie sono immobilizzati anticorpi o parti degli stessi. “biosensing materials” con caratteristiche intrinseche migliorate e/o dotati di proprietà Una biomolecola adatta all’utilizzo in un biosensore deve possedere due importanti completamente aggiunte. caratteristiche: una specificità di legame nei confronti di un analita e un appropriato I traguardi che si possono raggiungere con l’introduzione di tecniche di ingegneria sistema di trasduzione del segnale al suo interno. genetica nella ricerca nel campo dei biosensori sono molteplici: • Negli ultimi anni le ingegnerie molecolare e proteica hanno dato un notevole impulso la creazione di proteine con specificità nuove per la determinazione di al miglioramento e all’ampliamento del “material design” muovendosi proprio su particolari analiti o classi di analiti, tra cui molecole di notevole questi due fronti, ossia cercando di introdurre lì dove fosse necessario a seconda dei importanza come pesticidi, inquinanti in genere o sostanze di interesse casi particolari siti di legame o funzioni caratteristiche di trasduzione del segnale. clinico; Attraverso sintesi chimica o funzionalizzazione con tioli, ad esempio, possono essere • inseriti gruppi prostetici all’interno della proteina; o ancora, ottenere l’accoppiamento la funzionalizzazione di proteine al fine di conferire alle stesse maggiore processabilità; con sistemi fluorofori come la green fluorescent protein (GFP), approccio utilizzato • con successo nella realizzazione di sensori ottici. la sintesi di proteine con proprietà elettroniche per la trasduzione di segnali elettrochimici; Per quanto riguarda i sensori elettrochimici in particolare si può ricordare la • α-haemolysin, una proteina transmembrana batterica molto particolare in quanto può l’ottenimento di proteine maggiormente resistenti a diverse condizioni ambientali e ad agenti denaturanti; fornire una corrente elettrica derivante dall’apertura/chiusura dei pori transmembrana. • la modificazione volta al miglioramento dell’immobilizzazione della Inserendo all’estremità del canale tre residui di istidine si costruisce facilmente un sito stessa proteina e alla possibilità di assemblaggio per la creazione di di coordinazione e dunque un rivelatore di metalli, la cui presenza cambia la networks molecolari. conformazione del poro e di conseguenza il passaggio di corrente attraverso lo stesso (Braha O. et al, 1997). Tutto questo ha determinato la nascita di una “nuova generazione” di biosensori il cui Un approccio utilizzato è anche quello di creare proteine redox artificiali per un facile sviluppo e le cui potenzialità sono strettamente correlate ad un progresso più ampio di trasferimento degli elettroni alla superficie elettrodica: come esempi si possono citare diverse discipline scientifiche. esperimenti fatti sull’albumina serica bovina (BSA) modificata chimicamente con acido ferrocenoilpropionico e la creazione di una streptavidina mutante in cui la Tyr 83 è sostituita con antrachinonilalanina (Shinohara H. et al., 2000). Proteine ingegnerizzate per immobilizzazioni particolari Un altro valido metodo è l’assemblaggio di proteine con differenti caratteristiche per formare una struttura macromolecolare con varie proprietà. Cyst-tag Ingegnerie molecolare e proteica si avvalgono oggi dei progressi di una disciplina Un metodo per ottenere il self-assembling di una proteina su una superficie sfrutta moderna e potente quale l’ingegneria genetica. l’interazione dell’oro con i tioli. In effetti, la modificazione o la funzionalizzazione di una proteina tramite pura sintesi A questo proposito la Proteina A, componente della parete cellulare dello chimica risultano processi alquanto limitati perché complessi e laboriosi, quando non Staphilococcus aureus, è stata ingegnerizzata inserendo geneticamente una cisteina risultino completamente impraticabili. all’estremità C -terminale del peptide. 5 6 In questo modo, la proteina risultante può ancorarsi orientatamente su una superficie di L’anticorpo ingegnerizzato mantiene intatta la sua capacità di legare l’antigene; oro grazie all’ossidazione dei gruppi –SH della cisteina e alla conseguente formazione l’immunoliposoma così ottenuto presenta inoltre una struttura alt amente ordinata delle di un legame covalente -S-Au. proteine in superficie, proprietà che lo rende valido strumento per l’applicazione allo La ProtA, inoltre, presenta una specifica affinità per la parte Fc delle immunoglobuline sviluppo di biosensori (Laukkanen et al., 1993). G (IgG); il legame con l’a nticorpo non interferisce affatto sulla capacità di quest’ultimo di legare l’antigene. In un secondo passaggio, dunque, si può ottenere il self - Ponti streptavidina-biotina assembling ordinato delle IgG sullo strato di Proteine A immobilizzate sull’oro e Un ulteriore metodo di immobilizzazione sfrutta la capacità della biotina (vitamina H) quindi la possibile realizzazione di un immunosensore (Aizawa M., 1998). di interagire con la streptavidina (proteina) con un legame non-covalente molto forte (costante di associazione Kass=1015 ). Immunoliposomi Un frammento dell’immunoglobulina IgA McPC603 che lega la fosforilcolina è stato In passato per legare stabilmente molecole di anticorpi a superfici lipidiche come geneticamente ingegnerizzato inserendo all’estremità C -terminale un particolare liposomi o membrane al fine di conferire minore solubilità in solventi acquosi si peptide di 10 nucleotidi che imita la capacità della biotina di legare la streptavidina. In procedeva per sintesi chimica: i gruppi acilici dei lipidi erano legati a gruppi solfidrilici questo modo sono stati ottenuti frammenti di anticorpi capaci di legarsi in maniera opportunamente esposti sulla superficie proteica. Questo però comportava una notevole controllata ad uno strato di streptavidina; tale risultato non era stato invece raggiunto varietà di punti di attacco con conseguente disordine della struttura formata. Inoltre tramite modificazione chimica della proteina con derivati della biotina, poiché viene spesso con tale trattamento l’anticorpo perdeva o peggiorava la capacità di binding persa la capacità di binding nei confronti della fosforilcolina (Piervincenzi et al., 1997). verso l’antigene. Oggi attraverso tecniche di DNA ricombinante sono state ottenute una serie di proteine Immunosensori con anticorpi ingegnerizzati modificate con una coda lipidica in un sito specifico per la costituzione di immunoliposomi stabili e funzionali. Oltre agli anticorpi ingegnerizzati già citati nell’illustrazione delle varie tecniche di Frammenti ricombinanti VH e VL di Fv, la più piccola unità funzionale di un anticorpo, immobilizzazione, alcuni altri sono utilizzati nella costruzione di biosensori. della singola catena dell’anti 2 -phenyloxazolone sono stati espressi in E.coli come Una tecnica molto utilizzata per ottenere anticorpi ricombinanti è quella di clonare i unica catena legandoli insieme con un peptide linker al fine di renderli maggiormente relativi geni in un fago utilizzato come vettore (phage display). maneggiabili. Successivamente il gene è stato fuso con il gene della maggiore lipoproteina di E.coli ed espresso, ottenendo un anticorpo ancorato al glicerolipide tramite un singolo legame con un residuo di Cys all’estremità N -terminale. Dopo trattamento con un detergente e successiva rimozione con dialisi la proteina risulta stabilmente incorporata al liposoma spontaneamente formatosi. proteina pI I genotipo All’estremità C -terminale dell’immunoglobulina è stata anche inserita geneticamente una coda di sei istidine che permette l’immobilizzazione dell’immunoliposoma su una superficie trattata con ioni Ni2+. Figura: Il fago contiene al suo interno il materiale genetico per la codifica della proteina che viene invece espressa insieme alle sue funzionalità sulla superficie. 7 8 Da una libreria di anticorpi espressi su fago è possibile isolare quelli con le specificità desiderate attraverso la tecnica del biopanning (figura). In questo modo è stata ottenuta la scFv gal16 anti β-galattosidasi fusa con l’anti peptide Antibody library expressed on phage surface β-amiloide dell’Alzheimer che poi è stata utilizzata per la determinazione amperometrica del lattosio in vari campioni immobilizzandola su elettrodi stampati modificati. La rivelazione della concentrazione di lattosio nel latte e derivati diventa importante nei numerosi casi di intolleranza a questo disaccaride. Ancora la scFv dell’anti L. monocytogenes e la scFvs anti MtKatG (M. tubercolosis KatG catalasi-perossidasi) ricombinanti sono state testate amperometricamente saggiando la rivelazione di L. monocytogenes per il primo anticorpo e l’attività Biopanning perossidasica con H2O2 per il secondo. In entrambi i casi la costruzione di immunosensori permette la rivelazione di microrganismi patogeni altamente pericolosi quali la Listeria, presente nel cibo congelato, e il Mycobacterium della tubercolosi (Benhar et al, 2001). Anticorpi geneticamente modificati diretti contro s-triazine sono stati ottenuti tramite error-prone PCR, ossia mediante tecnica di amplificazione del DNA che induce nel gene errori random; gli anticorpi espressi poi sono testati con saggi ELISA per selezionare quelli con specificità e attività desiderata. Il successo di questo procedimento è stato quello di trovare un rAb con affinità più bassa per l’atrazina e la propazina e allo stesso tempo affinità migliorata per la deetilatrazina, il metabolita principale dell’atrazina ( Hock et al., 2001). Figura: Schema del processo di biopanning Si è visto che il legame con l’anticorpo diretto contro tale peptide aumenta incredibilmente l’attività enzimatica della β-galattosidasi. E’ possibile dunque, attraverso il monitoraggio dell’attività dell’enzima modificato, rivelare nel siero di Biosensori con enzimi ingegnerizzati Tecniche di ingegneria genetica sono applicate anche ad enzimi al fine di migliorare o modificare l’interazione con i substrati e quindi l’attività catalitica. Si è visto, ad esempio, che se un enzima è modificato in modo da esporre sulla superficie esterna particolari peptidi, la conseguente interazione con l’anticorpo anti -peptide comporta una variazione dell’attività enzimatica. Su questa base si è cercato di lavorare per l’applicazione biosensoristica. Il gene dell’enzima β-galattosidasi di E. coli è stato ingegnerizzato in modo da esprimerlo insieme a quello di un peptide del virus della malattia foot-and-mouth (FMDV), ottenendo due enzimi ricombinanti, uno con otto animali la presenza dell’anticorpo e dunque del FMDV. Analogamente l’enzima alcalinfosfatasi di E. coli è stato geneticamente modificato inserendovi gli epitopi del virus dell’immunodeficienza umana o le proteine virali del virus dell’epatite C. Dopo l’espressione della proteina ricombinante e il legame con l’anticorpo diretto verso l’antigene utilizzato si verifica una diminuzione de ll’attività enzimatica. Ma effettuando anche una mutazione sito-specifica nel gene dell’enzima si ha un aumento della flessibilità della struttura proteica e si riscontra un’attività migliorata dopo il legame con l’anticorpo. copie del peptide esposte in superficie e l’altro con dodici. 9 10 Un enzima molto utilizzato nella produzione di sensori ottici è la luciferasi, proteina presente nelle lucciole che dà luminescenza per reazione del luminolo catalizzata da un Biosensori con microrganismi ingegnerizzati gruppo eme. E’ stato realizzato un immunosensore utilizzando una proteina ricombinante costituita I microrganismi sono una fonte insostituibile di enzimi, cofattori enzimatici e sistemi da luciferasi fusa all’estremità N -terminale con l’estremità C -terminale della Proteina multienzimatici; l’utilizzo di cellule intere al p osto di proteine purificate offre numerosi A. vantaggi: in primo luogo evita i processi di estrazione e purificazione, che sono spesso Sono state quindi saggiate e confermate entrambe le attività della proteina, ossia quella lunghi e costosi; in secondo luogo il sistema in vivo, complesso e completo, può luciferasica e la capacità di legare IgG umane. offrire attività migliori e maggiori delle stesse proteine. Per questo motivo i E’ stato quindi realizzato un sensore che permette di rivelare immunoglobuline G (in microorganismi nella forma wild-type o ingegnerizzati sono spesso usati come un range di 10-3-10-7 M) tramite un segnale di bioluminescenza della proteina biosensing materials . ingegnerizzata rivelato da un semplice dispositivo conta-fotoni. Un esempio di quest’ultimo caso è la realizzazione di un biosensore per il 6 -APA Un’applicazione interessantissima della luciferasi è relativa al m onitoraggio (acido 6-amminopenicillanico) che utilizza cellule di E.coli trasformate con un ambientale: plasmide recante il gene di una β-lattamasi ingegnerizzata. Le β-lattamasi wt, infatti, il microrganismo Pseudomonas putida contiene al suo interno un plasmide particolare non sono in grado di rivelare tale prodotto a causa della loro insufficiente selettività. (TOL) che porta i geni per la degradazione di composti benzen-derivati. Il gene della Misure effettuate con il biosensore descritto mostrano invece una selettività della forma luciferasi è stato introdotto nel plasmide TOL dando vita ad un microrganismo ricombinante dell’en zima verso il 6-APA rispetto alla penicillina G sei volte superiore ricombinante capace di emettere luce nel momento in cui si trova a metabolizzare a quella dell’enzima wt. L’applicazione di questo sensore può essere notevole composti aromatici come il m-xilene (Aizawa M., 1998). soprattutto nelle industrie farmaceutiche poiché il 6-APA è l’intermedio base di tutte le Un ultimo esempio sull’applicazione di enzimi ricombinanti nei biosensori è quello penicilline semisintetiche (Galindo E. et al.,1998). relativo alla carboidrate-ossidasi da Microdochium nivale ingegnerizzata utilizzata su Un altro caso riguarda invece l’individuazione di ioni Cu 2+ ad opera di un sensore elettrodi di grafite per rivelazione amperometrica di diversi tipi di zuccheri, utilizzando accoppiato ad un lievito ingegnerizzato: cellule di Saccharomyces cerevisiae sono state come trasformate con un plasmide recante il gene CUP-1 inducibile dal Cu2+ fuso assieme al mediatori 1-(N,N-dimetilammina)-4-(4-morfolino)benzene (AMB) e dimetilferrocene (DMFc). gene lacZ di E. coli. L’intero costrutto genico può essere trascritto e tradotto solo in La nuova ossidasi, che contiene una flavina come cofattore, risulta molto reattiva con presenza di ioni rame e comporta un’acquisita capacità del lievito di utilizzare lattosio accettori di singolo elettrone ma molto lenta nella reazione con ossigeno; è selettiva come fonte di energia. Ciò determina un’alt erazione del consumo di ossigeno della verso i D-aldosi, non rileva composti poliidrossilici come il D-mannitolo, il D-sorbitolo cellula, che può essere monitorato amperometricamente tramite un elettrodo di Clark, e l’inositolo e mostra il massimo di selettività per il D -glucosio con un ampio range di rivelando in questo modo la presenza di ioni Cu2+ (Lehmann M. et al., 2000). linearità. Proprio per quest’ultima caratteristica e per la sua scarsa reazione con l’ossigeno Un altro biosensore amperometrico microbico è utilizzato per la rivelazione di questo biosensore con ossidasi ricombinante potrebbe essere utilizzato per la composti organofosfati (neurotossici) utilizzati spesso come erbicidi, pesticidi e per determinazione del glucosio nel sangue (Kulys et al., 2001). armi chimiche. Sono state ingegnerizzate cellule di Moraxella in modo che esprimessero sulla loro superficie l’enzima organofosforo idrolasi (OP H) e sono state 11 12 inserite in elettrodi di pasta di grafite. L’OPH catalizza l’idrolisi degli organofosforici come il paraoxon, il parathion ed il metilparathion a p-nitrofenolo, la cui successiva ossidazione è rivelata dall’elettrodo di grafite con una corr ente proporzionale alla quantità di pesticida presente. Filamento di RNA Il biosensore descritto mostra un’eccellente stabilità e un’ottima riproducibilità; inoltre, a differenza del biosensore comunemente utilizzato basato sull’inibizione della colinesterasi ad opera degli OP, questo non richiede step multipli di misura e può Substrato essere adattato a sistemi a flusso (Mulchandani P. et al., 2001) . Sonda di rivelazione Una serie di lieviti metilotrofici, principalmente ceppi di Hansenula polymorpha, sono stati geneticamente ingegnerizzati e selezionati riguardo alla risposta fisiologica verso Sonda di cattura immobilizzata metanolo, etanolo e formaldeide; in particolare la selezione ha riguardato la capacità di acidificazione, il consumo di ossigeno e la produzione di H2O2. La conversione Elettrodo di oro metabolica degli analiti (metanolo ed etanolo) nei corrispondenti acidi (formico o acetico) è catalizzata da una alcool ossidasi (AO) e da una formaldeide deidrogenasi (per metanolo e formaldeide) o alcool deidrogenasi (per l’etanolo). Un esempio di genosensore è costituto da uno strumento di fluorescenza a fibre ottiche Agendo sull’attivazione o disattivazione delle varie propriet à catalitiche di questi sulle quali sono immobilizzate le sonde di DNA per diretto accoppiamento o tramite un enzimi all’interno della cellula si sono ottenuti ceppi ricombinanti selettivi per i singoli ponte avidina; il sistema è atto a rivelare target di DNA in seguito all’accoppiamento analiti. Accoppiando tali microrganismi con trasduttori potenziometrici (sensibili al con il probe e alla conseguente reazione di fluorescenza dovuta all’aggiunta un pH) o amperometrici (costituiti da elettrodi di platino sensibili ad O2 o H2O2) si sono fluorocromo intercalante nelle fibre di acido nucleico. ottenuti biosensori adatti all’analisi quantitativa delle suddette sostanze ( Gonchar et Sistemi simili possono essere realizzati anche utilizzando trasduttori elettrochimici al., 2002). (immobilizzazione dei probes su elettrodi d’oro combinati con bisbenzimmide) o sistemi piezoelettrici (Kleinjung et al., 1997). Biosensori a DNA Un altro biosensore a DNA è quello per la rivelazione di particolari popolazioni Un cenno va fatto ad una particolare classe di biosensori che utilizza materiale genico A tal proposito il segmento del gene lacZ di E. coli è stato separato, amplificato e per il riconoscimento di oligomeri di DNA o RNA. I probes di acido nucleico, derivatizzato con tioli per essere successivamente immobilizzato su una microbilancia oligonucleotidi complementari alla sequenza che si desidera determinare, sono ai cristalli di quarzo. Il sistema mira a legare il target di DNA contenuto nel sintetizzati e poi amplificati tramite PCR (Polymerase Chain Reaction), e quindi microrganismo e si è rivelato un metodo altamente sensibile per individuare e accoppiati con diversi trasduttori quali sistemi elettrochimici, piezoelettrici o ottici. quantificare la presenza di batteri che portano il gene lacZ in campioni ambientali microbiche, specialmente quelle patogene come E. coli. (Deng et al., 2001). 13 14 1.2 SCOPO DELLA TESI 2 LE MOLECOLE INGEGNERIZZATE CON HIS6X-TAG Scopo di questa tesi è proporre una nuova procedura per l’immobilizzazione di biomolecole ingegnerizzate su superfici elettrodiche o ottiche. Punto di partenza di tale studio è stata l’osservazione che molte proteine ricombinanti sono dotate di una coda di 6 istidine (His6x-tag) introdotta geneticamente al fine di semplificarne il processo di purificazione. Si sfrutta infatti la capacità di complessazione degli ioni metallici (Ni2+) da parte delle istidine e la possibilità di separare cromatograficamente le proteine per mezzo di matrici funzionalizzate con NiNTA (acido nitrilotriacetico). Si è pensato di trasferire tale procedura all’immobilizzazione di biomolecole su In questo capitolo sono presentate le molecole modello impiegate in questa tesi per studiare la procedura di immobilizzazione attraverso il complesso Ni-NTA con le code di sei istidine inserite geneticamente. Le procedure per ottenere le molecole ingegnerizzate descritte in questo capitolo sono state condotte dai seguenti gruppi di ricerca che hanno gentilmente fornito le proteine ingegnerizzate: − dr. R.Franconi, Enea, BioTec-Gen - Centro Ricerche della Casaccia - Roma − dr. M.Sugiura, Osaka Prefecture University, Osaka – Japan superfici di oro ottenute con diverse tecniche (serigrafia, sputtering, deposizione galvanica) o di grafite serigrafata attraverso la formazione di SAM (Self Assembled Monolayers) di tioli o silani e successiva introduzione di una catena carboniosa Ni-NTA terminale. Sono state utilizzate due proteine come modelli: un frammento scFv dell’antico rpo 2.1 IL scFv DELL’ ANTICORPO PER IL VIRUS DEL MOSAICO DEL CETRIOLO Il virus del mosaico del cetriolo contro il virus del mosaico del cetriolo ingegnerizzato con una His6x-tag e con Il virus del mosaico del cetriolo (cucumber mosaic virus, CMV) è il tipico componente un’attività enzimatica alcalin fosfatasica (AP) ( dr. R.Franconi) e un fotosistema II dei cucumovirus. Il CMV infetta un enorme numero di prodotti vegetali, circa un (PSII) da Thermosynechococcus elongatus geneticamente modificato con His6x-tag (dr. migliaio di specie, tra cui molte coltivazioni destinate all’alimentazione, svariate piante M.Sugiura). ornamentali e semplici erbacce. Sono state studiate le caratteristiche peculiari della tecnica messa a punto, quali la La struttura virale consiste in un guscio proteico che racchiude il materiale genetico possibilità di rimozione delle proteine per l’ottenimento di superfici rinnovabili o la costituito da tre diverse catene di RNA a singolo filamento incapsulate separatamente possibilità di patterning spaziale delle biomolecole a livello microscopico. nelle particelle virali. I tre RNA genomici svolgono diverse funzioni e per avere infezione sistemica occorre la loro compresenza: l’ RNA 1 codifica per una proteina coinvolta nel complesso della replicasi; l’ RNA 2 fornisce una proteina collegata alla replicazione e una seconda proteina che influenza i movimenti di lunga distanza del virus e che determina lo spettro dei possibili ospiti; l’RNA 3 infine codifica per un’altra proteina coinvolta nel movimento e per la proteina del capside. Il CMV si trasmette agli ospiti attraverso diversi tipi di afidi utilizzati come vettori comportando così molteplici strategie di infezione e ciò è reso possibile dalla variazione di un piccolo numero di aminoacidi del capside virale. Per questo motivo i tradizionali 15 16 sistemi di controllo dei prodotti vegetali, tra cui l’estirpazione delle piante malate o la soppressione dei vettori, non sono efficienti come in altri tipi di infezioni. Gli approcci recentemente utilizzati consistono nella selezione di ceppi di piante resistenti al virus o nell’impiego di piante transgeniche basate sull’espressione di una proteina virale nel genoma vegetale che conduca ad una resistenza indotta alla malattia o al ritardo della manifestazione dei sintomi dell’infezione. Le proteine virali usate in questa strategia sono quella del capside e la proteina replicasi che portano alla soppressione della replicazione del virus e del movimento dello stesso da cellula a cellula. Altri tipi di piante transgeniche portano il gene di una ribonucleasi da lievito che attacca frammenti di RNA a doppia elica che si formano temporaneamente durante la duplicazione del virus, o ancora esprimono i geni dei principali componenti dell’interferone di mammifero che inducono una risp osta antivirale. Parallelamente a queste strategie di prevenzione si sono sviluppati metodi di rivelazione della presenza del virus nei prodotti vegetali che si basano fondamentalmente sull’utilizzo di anticorpi monoclonali ottenuti contro il capside viral e di CMV (Gough et al., 1999). Figura: parti costitutive di un anticorpo IgG: Fab, Fv e scFv Si possono ottenere phage display libraries di anticorpi ingegnerizzati (specificamente nella forma scFv) attraverso la tecnica del biopanning: il gene relativo alla proteina di interesse è amplificato tramite PCR e mutato in maniera random; le sequenze ottenute sono quindi inserite in un genoma fagico. Le proteine vengono sintetizzate durante i cicli di replicazione del virus e sono espresse sulla superficie del capside: si può quindi procedere con uno screening dei peptidi ricombinanti ottenuti per selezionare e isolare quello con specificità desiderata tramite reazione con l’opportuno antige ne. scFv-AP-(His)6 contro il CMV Per poter visualizzare l’avvenuto legame con l’antigene è spesso utilizzata una coda Una valida alternativa all’utilizzo di molecole intere di anticorpo nei saggi peptidica fusa con il scFv riconosciuta da un anticorpo specifico. immunologici come l’ ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay) o il western blot è Molto più pratico è l’utilizzo di coniugati scFv -enzima ottenuti geneticamente fondendo la loro sostituzione con singole catene di frammenti Fv (scFv) che si possono ottenere i relativi geni poiché si ottengono con minori passaggi e in maniera più controllata molto più facilmente e rapidamente rispetto agli anticorpi monoclonali o policlonali rispetto a quelli che risultano dalla sintesi chimica; si ottengono poi molecole ottenuti rispettivamente da colture cellulari e da antisieri di animali immunizzati. monosostituite in siti specifici e non prodotti di polisostituzione. Tali frammenti consistono i domini variabili VH e VL legate insieme da un polipeptide Inoltre spesso si fornisce il peptide di una coda di istidine per facilitarne la linker flessibile (v. figura); mancano delle parti relative alle regioni costanti della purificazione, che si può ottenere così tramite cromatografia di affinità per metalli in un catena peptidica dell’anticorpo e sono dunque di dimensioni nettamente inferi ori; solo passaggio. svolgono comunque la loro funzione di binding dell’antigene anche se con rendimento Un prodotto di questo tipo è il scFv-AP-(His)6x utilizzato come una delle biomolecole diminuito. modello nella nuova procedura di immobilizzazione studiata in questa tesi. Il gene del scFv contro CMV è stato fuso all’estremità C -terminale con il gene di alcalin fosfatasi (AP) di E. coli clonando il costrutto genico nel vettore pDAP2 appositamente 17 18 disegnato per la semplice e rapida realizzazione della proteina di fusione; è stata aggiunta inoltre la sequenza codificante per l’oligonucleotide di sei istidine nell’estremità C -terminale dell’ AP (Kerschbaumer et al., 1996). Colonie di E. coli TG1 sono state trasformate con questo costrutto genico e fatte crescere per 16 ore a 37°C in un apposito terreno di coltura. Le singole colonie sono state quindi sottoposte ad una prima verifica della capacità della proteina di legare l’antigene tramite test ELISA e del la presenza dell’attività fosfatasica, quindi i cloni positivi sono stati coltivati per una notte a 30°C. Le cellule batteriche sono state centrifugate e in vari passaggi di risospensione dei pellets in appositi mezzi è stata ottenuta la frazione contenente la proteina. La sospensione è stata concentrata tramite ultrafiltrazione e la proteina è stata separata tramite cromatografia di affinità usando supporti funzionalizzati con complessi Ni-NTA (QIAgen); le frazioni eluite raccolte sono state poi sottoposte a dialisi in PBS. La quantità di proteina ottenuta è stata rivelata spettrofotometricamente leggendo l’assorbanza a 280 nm (circa 360 µg per 1 litro di coltura batterica ) mentre la purezza è Figura: il flusso di elettroni nel fotosistema II stata saggiata tramite SDS-PAGE (polyacrylamide gel electrophoresis) seguita da colorazione con Coomassie (R. Franconi). Il fotosistema II è costituito da tre complessi fondamentali: un complesso antenna per la cattura della luce, uno con un centro di reazione e un complesso che libera ossigeno. L’ antenna principale del sistema è la LHC-II (light harvesting complex): la sua subunità 2.2 IL FOTOSISTEMA II DA THERMOSYNECHOCOCCUS ELONGATUS principale di 26 kd è la proteina più abbondante dei cloroplasti e contiene sette molecole di clorofilla a, sei di clorofilla b e due carotenoidi. L’LHC -II è adibita al Il fotosistema II trasferimento dell’energia dalla clorofilla b alla clorofilla a e al suo incanalamento verso Il fotosistema II (PSII) è una proteina trasmembrana di oltre 600 kd che si trova il centro di reazione. all’interno dei tilacoidi di alghe e piante superiori produttrici di ossigeno. E ’ l’un ico tra i L’unità funzionale minima del PSII capace della produzione di ossigeno, costituita da vari sistemi fotosintetici a produrre un elevato potenziale redox tale da poter ossidare circa 10 subunità di proteine di membrana e da tre proteine estrinseche, è chiamata PSII l’acqua: il PSII è infatti responsabile del trasferimento degli elettroni indotto dalla luce core complex. Le proteine di membrana del PSII core complex sono costituite da una dall’acqua al plastochinone secondo la reazione globale: coppia di proteine D1 e D2, subunità di 32 kd inserite nella membrana tilacoide che contengono il centro di reazione e la catena per il trasferimento elettronico, una coppia 2H2O + 4 fotoni + 2 Q + 4H+ → O2 + 4H+ + 2QH2 Il plastochinone passa dalla forma ossidata Q alla forma ridotta QH2 (plastochinolo), che ha elettroni ad un potenziale superiore a quello dell’ acqua, in maniera ciclica attraverso una forma intermedia di riduzione a 1 elettrone, l’anione semichinoide Q· • . 19 di proteine antenna interne CP47 e CP43 che contengono clorofilla, una emoproteina (citocromo b-559) e diverse altre proteine a basso peso molecolare 33 kd, 17 kd (citocromo c-550) e 12 kd associate al centro Mn, il complesso adibito alla generazione di ossigeno. 20 La luce catturata dalla clorofilla delle antenne CP43 e CP47 è incanalata verso la L’importanza del fotosistema II per scopi analiti ci è dovuta al fatto che molte sostanze clorofilla P680 del centro di reazione, pigmento che presenta il massimo di eccitazione usate come erbicidi inibiscono la fotosintesi bloccano proprio siti specifici nei alla lunghezza d’onda di 680 nm. Dallo stato eccitato P 680* in un tempo dell’ordine dei cloroplasti, dunque la stessa reazione di inibizione può essere sfruttata per determinare picosecondi un elettrone è trasferito alla feofitina (Ph), molecola porfirinica uguale alla l’eventuale presenza di erbicidi residui nel le acque. + clorofilla a ma priva di magnesio, lasciando un radicale cationico P680 . Sono inibitori della fotosintesi le triazine, le feniluree, gli uracili, i benzotiodiazoli, i Nel sito QA della subunità D2 è legato in maniera permanente un plastochinone che nitrili, i carbammati e gli acidi carbossilici; in particolare i derivati della triazina accetta l’elettrone dalla feofitina e lo trasferisce ad un plastochinone che occupa (es: atrazina) e dell’urea (es: diuron) si legano al si to QB della subunità D1 del PSII core temporaneamente il sito QB di D1 generando il radicale Q· •. Acquisendo un secondo complex e impediscono l’accesso alla molecola di chinone accettrice di elettroni elettrone da QA, la specie ridotta QH2 lascia il sito QB conservando nel suo potere bloccando dunque la reazione di Hill di evoluzione di ossigeno: riducente l’energia di due fotoni. 2H2O + A → AH2 + O2 hν ν••• Contemporaneamente nel core complex del PSII avviene l’ossidazione dell’acqua: il Il PSII accoppiato ad un opportuno sistema di trasduzione può essere quindi utilizzato radicale P680+ ha un forte potere ossidante e toglie elettroni all’acqua generando O 2, per la rivelazione della concentrazione residua di erbicida in campioni ambientali riportando così il centro di reazione nello stato non eccitato. Questa ossidoriduzione tramite una semplice misura di ossigeno. coinvolge quattro elettroni ed è catalizzata da un complesso di quattro ioni manganese cha passa attraverso cinque stati di ossidazione, da S0 a S4, liberando per ogni ciclo una PSII-(His)6x core complex da Synechococcus elongatus molecola di O2 da due molecole di acqua; questo sistema di controllo fa in modo che non si formino durante la reazione intermedi di parziale riduzione potenzialmente Il PSII core complex è un sistema che riveste una notevole importanza per le potenziali dannosi. applicazioni in molteplici studi sulla struttura e funzione del complesso di catalisi Il ciclo fotosintetico prosegue poi con il trasferimento degli elettroni dal QH2 del dell’ossidazione dell’acqua, e ne possono essere isola ti diversi tipi da piante, alghe verdi fotosistema II al fotosistema I attraverso il complesso del citocromo bf o cianobatteri con la solubilizzazione dei tilacoidi in vari detergenti seguita da (o citocromo 2+ b6f ) che sfrutta la riduzione dello ione Cu coordinato nella plastocianina (PC). ultrafiltrazione e cromatografia a scambio ionico o su gel. Figura: Schema del processo fotosintetico globale 21 22 La metodologia (His)6x-tag è stata impiegata nella preparazione di PSII core complex da Chlamydomonas (Sugiura et al. 1998,1999) e da Synechocystis (Bricker et al. 1998) raggiungendo notevoli miglioramenti del livello di purezza e omogeneità della proteina rispetto a quelle ottenute con procedure tradizionali. Ma l’attività di produzione di ossigeno da parte di queste PSII ricombinanti si è rivelata troppo instabile per poter effettuare studi sul sistema di ossidazione dell’acqua. Si è cercato allora di ottenere un PSII-(His)6x più stabile dal cianobatterio termofilico Synechococcus elongatus. Per questo scopo è stato amplificata tramite PCR la regione 3’ del gene psbC codificante l’estremità C -terminale del CP43 del PSII e vi è stata legata una sequenza relativa ad un sito di riconoscimento della trombina (5 aa) e alla coda di istidine (6 aa); il costrutto genico è stato poi inserito nel plasmide pUCLF nel sito della resistenza alla kanamicina dopo digestione con apposite endonucleasi. Struttura del PSII con (His)6x-tag Colonie purificate di S. elongatus sono state trasformate con questo plasmide pUC43-H costruito per l’espressione della proteina ricombinante attraverso elettroporazione delle Il PSII-(His)6x ottenuto in questo modo da S. elongatus termofilico è risultato cellule; le colonie sono state fatte crescere per 5 gg in un apposito mezzo e quindi estremamente stabile in termini strutturali e funzionali, non ha mostrato cambiamenti sottoposte ad uno screening con kanamicina per selezionare le cellule mutanti. Queste nell’attività ossidante duran te incubazione a 20°C per otto e più giorni (diminuzione (43-H) sono state poi rotte per centrifugazione e dopo varie separazioni e risospensioni dell’attività inferiore al 10%) ed è stato utilizzato in molteplici studi biochimici e del materiale cellulare, il pellet contenente i tilacoidi è stato ripreso con un tampone spettroscopici. MES/NaOH (pH=6.5) contenente CaCl2, MgCl2 e glicerolo e congelato in azoto liquido. La composizione del PSII core complex purificato è stata analizzata tramite SDS-PAGE E’ stata testata l’attività di evoluzione di ossigeno da parte dei tilacoidi del mutante e immunoblotting confrontandola con quella del core complex estratto da S. vulcanus: Synechococcus elongatus 43-H a 25°C in presenza di 2,6-DCBQ (diclorobenzochinone) ben visibili risultano le bande relative al CP47, ai centri di reazione D1 e D2, al e ferricianuro come accettori di elettroni e si è rivelata circa uguale a quella delle cellule citocromo c-550 e alla subunità L del cyt b-559, alle proteine estrinseche 33-kDa e 12- -1 -1 kDa; la banda relativa all’ antenna CP43 di S. elongatus è chiaramente spostata rispetto a intatte [300-400 µmol (mg Chl) h ]. La separazione del PSII core complex con (His)6x-tag è stata condotta in un solo passaggio su una colonna cromatografica per affinità al Ni 2+ dopo solubilizzazione dei quelle di riferimento per gli undici residui aminoacidici in più relativi al sito di riconoscimento della trombina e alla coda di istidine (v.figura). tilacoidi con DM (dodecilmaltoside) all’1% in MES/NaOH (pH=6.5) con NaCl, CaCl 2, MgCl2 e glicerolo per circa 30 min. La proteina è stata quindi eluita con un tampone contenente imidazolo 15 mM e precipitata per centrifugazione; dopo risospensione con MES buffer della stessa composizione descritta è stata quindi congelata in azoto liquido. 23 24 Molteplici altri studi sono stati effettuati sulla proteina, da misure di termoluminescenza a spettroscopia EPR, a cristallizzazione, confermando il successo raggiunto con l’applicazione della metodologia (His) 6x-tag al cianobatterio termofilico S. elongatus per la purificazione di un PSII core complex ricombinante estremamente stabile ed efficiente per studi sull’ossidazione del l’ acqua per l’evoluzione fotosintetica di ossigeno (Sugiura et al.,1999). Figura: SDS-Page di PSII core complex incubato a 20°C (Sugiura et al.,1999) La velocità di evoluzione di ossigeno del core complex purificato è risultata molto elevata e ne è stata analizzata la dipendenza dalla temperatura e dalla specie utilizzata come accettare di elettroni: i valori vanno da 2200 µmol (mg Chl)-1 h-1 per misure nelle stesse condizioni esposte per i tilacoidi interi fino a massimi di 3400 µmol(mg Chl)-1 h-1 a 45°C con ferricianuro come unico accettore di elettroni. 100 Relative Activity [%] PS II Core 80 Thylakoids 60 40 BBY 20 0 0 5 10 15 20 Incubation Time [Days] Figura: Evoluzione di ossigeno nel tempo del PSII core complex (T. elongatus) delle membrane tilacoidi e di BBY di spinacio incubati a 20°C (Sugiura et al.,1999). 25 26 3 SINTESI DEI CHELANTI delle proteine per lo ione e dunque il loro tempo di ritenzione è nell’ordine: Cu(II) > Ni(II) > Zn(II) • Co(II) (v. tabella 2). 3.1 IMAC IMMOBILIZED-METAL AFFINITY CHROMATOGRAPHY Più di recente sono stati utilizzati diversi ligandi quali l’NTA (acido nitrilotriacetico) o il TALON (acido aspartico carbossimetilato, CM-Asp) che essendo tetradentati hanno La strategia della funzionalizzazione di superfici solide con chelanti che complessano una maggiore affinità per lo ione metallico rispetto all’IDA ma allo stesso tempo una parzialmente ioni metallici è stata inizialmente utilizzata con notevole successo per la capacità di ritenzione della proteina inferiore in quanto c’è un sito di coordinazione realizzazione di supporti per cromatografia di affinità (IMAC, Immobilized-Metal libero in meno. Ciò è accentuato ancora di più per chelanti pentadentati come il TED Affinity Chromatography). L’obiettivo è stato quello di poter sfruttare l’affinit à per gli (N,N,N’ - tris carbossimetil etilendiammina), che lasciano un solo sito disponibile per ioni e la formazione di legami di coordinazione da parte di particolari aminoacidi l’interazione con i biopolimeri. esposti sulla superficie di proteine di cui si necessitava separazione e purificazione: il La selezione delle proteine da separare è quindi condotta con la scelta opportuna dei meccanismo su cui si basa questa tecnica è infatti la coordinazione allo ione di gruppi metalli, dei composti di chelazione, nell’eventuale utilizzo di bracci spaziatori, nonché elettrondonatori sulla superficie proteica. nell’ottimizz azione delle condizioni di densità, di concentrazione salina. I metalli maggiormente utilizzati a tale scopo sono quelli di transizione come Cu(II), Ni(II), Zn(II), Co(II), Fe(III) data la loro proprietà di acidi di Lewis di poter essere coordinati da atomi elettrondonatori come N, S, O presenti sui chelanti legati covalentemente al supporto cromatografico; altri metalli meno utilizzati, classificabili come acidi forti di Lewis, quali Al(III), Ca(II), Fe(III), Yb(III), all’azoto preferiscono gruppi ricchi di ossigeno come aspartato, glutammato e fosfato. Questi chelanti possono quindi formare complessi bi-, tri- tetra- o pentadentati a seconda dei siti di coordinazione dello ione impegnati; i restanti, di solito occupati da molecole di acqua, sono a disposizione per eventuali legami con gli aminoacidi che dispongono di atomi con coppie di elettroni disponibili, come Glu, Asp, Tyr, Cys, Arg, Lys, Met e soprattutto residui di His, sui quali principalmente è basata la ritenzione delle proteine. Questo processo è condotto nel range di pH in cui l’ anello imidazolico delle istidine è nella forma neutra non protonata e in presenza di tampone ad alta forza ionica per Tabella 2: valori delle costanti di stabilità a Tamb riportate in letteratura per alcuni complessi dell’IDA e dell’NTA . Cu(II)-IDA Ni(II)-IDA Zn(II)-IDA Co(II)-IDA Log K ridurre le interazioni elettrostatiche aspecifiche; l’eluizione delle proteine può essere invece effettuata tramite protonazione, o scambio di ligando, o ancora con un forte Log K 10.6 8.2 7.3 7.0 Cu(II)-NTA Ni(II)-NTA Fe(II)-NTA Co(II)-NTA 12.7 11.5 8.9 10.6 chelante come EDTA che estragga i metalli. Sono diversi i chelanti utilizzati: uno dei primi è stato l’ IDA (acido imminodiacetico), che forma complessi tridentati con il metallo; l’ID A è il chelante più utilizzato, essendo commercialmente disponibile da vari produttori. Con questo tipo di chelante l’affinità 27 28 Il risultato è una resina attivata con il chelante NTA con la quale è stata impaccata una colonna cromatografica in cui è stata pompata poi una soluzione acquosa di CuSO4 o NiSO4 all’1% in peso. Sul prodotto ottenuto sono state effettuate delle analisi, come la determinazione della densità del ligando nella fase stazionaria: questa è stata condotta tramite analisi di azoto elementare secondo la formula: [L] = (W· %N / V· 2· 14)· 10 in cui W (mg) è il peso secco del campione, V il volume del gel, %N è la percentuale di azoto determinata e [L] la densità del ligando espressa in µequiv/ml di gel umido. Eluendo il metallo con disodioEDTA 0.1 M si è proceduto anche alla determinazione Figura: strutture ipotizzate dei chelanti nei complessi con gli ioni generalmente usati: IDA-Me(II), NTA-Ni (II), CM-Asp-Co(II), TED-Me(II), dove Me(II) sta per Cu(II), Ni(II), Zn(II) o Co(II). Le molecole di acqua possono essere sostituite da altri ligandi, soprattutto da residui di istidine esposti sulla superficie proteica. della densità del Cu2+ o del Ni2+ complessati dall’NTA tramite spettroscopia di assorbimento atomico. I risultati, [L] = 9.5 µequiv/ml, [Cu2+] = 9.4 µequiv/ml e [Ni2+] = 7.1 µequiv/ml, mostrano un ottimo accordo con l’ipotesi che s ulla fase stazionaria si formi un complesso Me-NTA 1:1. E’ stato condotto un paragone tra i chelanti IDA e NTA in merito alla stabilità degli ioni 3.2 IL COMPLESSO Ni-NTA metallici dopo eluizione con soluzione acquosa 0.1 M di acido iminodiacetico a pH = 7, Il chelante tetradentato NTA (acido nitrilotriacetico) è stato introdotto dal lavoro di verificando che sia per quanto riguarda il rame che il nichel la capacità di ritenzione Hochuli, Döbeli e Schacher nel 1987 nello studio di nuove fasi stazionarie da impiegare dell’NTA è superiore a quella dell’IDA. in cromatografia IMAC. Per la purificazione di biomolecole il Ni2+ è preferito al Cu2+ in quanto ha un numero di La sintesi è stata condotta a partire da Nε-benzilossicarbonil-L-lisina, disciolta in NaOH coordinazione superiore, preferenzialmente 6 rispetto a 4 del rame. 2M e aggiunta ad una soluzione di acido bromoacetico in NaOH a 0°C. Il complesso ottaedrico Ni-NTA ha quindi due valenze disponibili per l’interazione con Dopo una nottata sotto agitazione la miscela riscaldata a 50°C è stata aggiunta ad acido i biopolimeri secondo il principio già descritto; la sua capacità di ritenzione è stata cloridrico 1 M, quindi raffreddata fino alla formazione di cristalli; questi sono stati poi saggiata con oligopeptidi artificiali con un certo numero di istidine in particolari sciolti in NaOH, riprecipitati con HCl e filtrati. Si sono ottenuti in questo modo cristalli posizioni e con proteine naturali quali il citocromo c di cavallo, tripsina da pancreas bianchi di acido N-(5-benzilossicarbonilamino-1-carbossipentil)iminodiacetico, che bovino, interferone α-2a e lattato deidrogenasi, verificando che la capacità ritenzione sono stati poi idrogenati utilizzando un catalizzatore Pd/C. del Ni-NTA è selettiva per peptidi con residui di His adiacenti sulla superficie (Hochuli Il prodotto acido N-(5-amino-1-carbossipentil)iminodiacetico è stato aggiunto ad una et al., 1987). soluzione di Sepharose CL-6B attivato con epibromoidrina e la miscela è stata tenuta per una notte a 60°C sotto leggera agitazione, quindi filtrata e sciacquata. 29 30 3.3 CODE DI ISTIDINA multi-stage, non è opportuna una forte ritenzione della biomolecola, che invece deve poter essere eluita facilmente in condizioni non denaturanti. In questo caso, una coda di Inizialmente la tecnica di separazione IMAC con complessi come Ni-NTA è stata sole 2 istidine si è mostrata più adeguata. utilizzata per separare proteine con un certo numero di istidine esposte sulla superficie; Proteine con His-tags possono oggi essere ottenute facilmente in tutti i sistemi di tali residui sono alquanto numerosi nella sequenza aminoacidica di molte proteine ma espressione normalmente usati in organismi procarioti ed eucarioti; l’aggiunta essendo parzialmente idrofobici tendono a disporsi preferenzialmente nella parte all’estremità C - o N- terminale della proteina dipende dalla situazione specifica, anche interna. Giocano quindi un ruolo fondamentale nella ritenzione della proteina il se la maggior parte dei casi riportati indica l’estremità N -ter come preferenziale. microenvironment, le interazioni con i residui circostanti e le conformazioni locali del In quasi la totalità dei casi, la His-tag non varia la conformazione proteica e non peptide, nonché la densità del chelante e dello ione metallico e l’accessibilità della interferisce significativamente con la sua funzionalità biologica (Gaberc-Porekan, proteina al supporto. Menart, 2001). Alcuni esempi interessanti di applicazione dell’IMAC nella separazione di proteine che La tabella che segue riporta alcuni sistemi di espressione commerciali che codificano espongono naturalmente istidine sulla superficie sono quelli relativi alle proteine del per diverse His-tags: siero umano, all’interferone, alla mi oglobina, alla lattoferrina, nonché a vari anticorpi ed enzimi. La risoluzione della separazione di proteine con il metodo IMAC può essere notevolmente migliorata con l’uso di tecniche di ingegneria genetica per l’introduzione di code di affinità ai metalli (affinity tags) nell’ estremità C - o N-terminale del peptide. Sono utilizzate a tal proposito soprattutto code di istidine fuse geneticamente con proteine ricombinanti, di diversa composizione e lunghezza: da cortissime, come la coda His-Trp usata per isolare la proinsulina, a lunghissime, come quella costituita da otto o più ripetizioni dell’oligonucleotide Ala -His-Gly-His-Arg-Pro utilizzata in molteplici proteine. Recentemente è diventata molto popolare la coda costituita da 6 istidine consecutive, proprio in seguito alla pubblicazione del lavoro di Hochuli e all’introduzione della nuova matrice chelante Ni-NTA nella tecnica cromatografica. Sono molteplici gli esempi riportati in letteratura di proteine ingegnerizzate con la (His)6x-tag, mentre molto meno interesse è stato rivolto alla (His)10x-tag, il cui gene, come l’altro, è stato inserito geneticamente in molti vettori commerciali adibiti al clonaggio. L’utilizzo della coda di istidine è basata sul fatto che aumenta l’affinità del biopolimero per superfici funzionalizzate con metalli; spesso però, ad es. nei processi cromatografici 31 3.4 SELF ASSEMBLED MONOLAYERS La formazione di SAM (Self Assembled Monolayers) consiste nell’ auto-arrangiamento di atomi o molecole in maniera ordinata o comunque funzionale su una superficie senza alcun intervento esterno; ciò è reso possibile essenzialmente dall’organizzazione delle 32 molecole nell’interfaccia solido -liquido indotta da una forte interazione tra il substrato e i gruppi di testa delle molecole. − interazioni non covalenti di tipo polare, elettrostatico, o idrofobico tra monolayer e biomolecole La tecnologia SAM, sviluppata nel 1983 da Nuzzo e Allara, fornisce un eccezionale − interazioni di affinità recettore-ligando o anticorpo-antigene. strumento per funzionalizzare superfici metalliche e non con molecole organiche alifatiche o aromatiche aventi gruppi àncora liberi come tioli, ammine, silani, acidi; si I vantaggi dell’utilizzo di SAM per la realizzazione di biosensori ri spetto alle altre ha una notevole possibilità di controllo sulla funzionalità del monolayer ottenuto tramite tecniche di immobilizzazione delle biomolecole (diretto legame chimico, supporti scelta delle proprietà dei gruppi di testa delle molecole (ad es: idrofiliche o idrofobiche), polimerici ecc.) sono esposte di seguito: o attraverso variazione della natura o lunghezza delle catene carboniose. − facile formazione di strati monomolecolari ordinati, compatti e stabili; − possibilità di variare le caratteristiche del SAM attraverso il controllo delle proprietà delle molecole usate; − similarità tra la struttura del monolayer e quella della membrana cellulare, che rende favorevole l’immobilizzazione delle biomolecole ; − utilizzo di una quantità minima di biomateriale per l’immobilizzazione sul Figura: esempio di formazione di un monolayer misto SAM; − stabilità del biomateriale per lungo tempo quindi riproducibilità delle misure. La finalità di questa metodologia è riuscire ad ottenere l’immobilizzazione di biomolecole, (come enzimi, anticorpi, proteine) o sistemi biologici (recettori, cellule In alcuni casi si possono verificare situazioni meno favorevoli, come l’ossidazione di intere) sottoforma di film monomolecolari grazie all’interazione con i SAM su un alcuni tipi di monolayer durante le misure, la rimozione delle molecole in presenza di elevato numero di superfici; in particolare questo tipo di architettura può avere una campi elettrici o l’accumulo di impurezze da parte della superficie che bloccano i siti di grande applicazione nello sviluppo di biosensori elettrochimici, ottici o piezoelettrici. ricognizione degli analiti. Uno dei vantaggi dei SAM, rispetto ad esempio ai film Langmuir-Blodgett, è quello di Ci sono molteplici esempi di biosensori prodotti con la metodologia SAM: tra questi, poter essere preparati il laboratorio con procedure semplici; l’unica accortezza da avere numerosi sono i sensori elettrochimici data la elevata compatibilità tra il processo di è di disporre di superfici lisce e pulite, cosa che si può ottenere con un opportuno formazione di SAM e i materiali comunemente usati per la realizzazione di elettrodi. pretrattamento del substrato che si vuole impiegare. Inoltre la quantità di materiale da Basta pensare agli innumerevoli esempi di formazione di monolayer di alchiltioli o utilizzare è minima: si consideri infatti che la densità media di sostanza in un monolayer disolfuri su oro, secondo le reazioni: è di circa 1013 molecole/cm2. R-S-H + Aun0 → R-S-Au+⋅Aun0 + ½ H2 Sono possibili diverse modalità di interazione delle biomolecole con il SAM: R-S-S-R + Aun0 → 2 R-S-Au+⋅Aun0 + H2 − legame covalente di gruppi funzionali delle proteine (es: ammine) con Per citarne alcuni, si può ricordare il sensore amperometrico a glucosio ossidasi, in cui l’estremità libera delle molecole del monolayer o tramite cross -linking con l’enzima è immobilizzato tramite un monolayer di cisteamina, o u no in cui il citocromo molecole bifunzionali (es: glutaraldeide) c è legato ad un SAM con acidi carbossilici terminali attraverso una reazione con 33 34 carbodiimmide, o ancora il biosensore per la rivelazione della dopamina in presenza di acido ascorbico che utilizza un SAM carico negativamente con dei carbossili che respinge le molecole di acido e permette la determinazione della dopamina (carica positivamente) senza alcuna interferenza. Tra le realizzazioni più recenti, biosensori con SAM di singoli filamenti di DNA per la rivelazione di sequenze specifiche di acidi nucleici. Nella tabella seguente è riportata una serie di biosensori enzimatici che utilizzano SAM per l’immobilizzazione su diversi materiali elettrodici: Parte Sperimentale 35 36 4 MATERIALI E METODI Frammento sc-Fv dell’anticorpo contro il virus del mosaico del cetriolo ingegnerizzato con (His6x-tag) ed un attività alcalin fosfatasica gentilmente 4.1 MATERIALI fornito dalla dr. R.Franconi, Enea, BioTec-Gen - Centro Ricerche della Casaccia - Roma Preparazione di superfici ed elettrodi Reattivi d’uso specifico Inchiostro di grafite non sinterizzabile, Acheson. 2,6-diclorofenolindofenolo (DCPIP) Fogli di PVC (spessore 0.3 mm) Acido L-Ascorbico, Carlo Erba Supporti di poliacetato Ferricianuro di potassio, Carlo Erba Filo di oro metallico p-nitrofenilfosfato Lastrine di vetroresina ramate per circuiti stampati Durochinone Cianuro di potassio Soda caustica , Ashland Reattivi d’uso generale Solfito di sodio, Ashland Acetone, Baker Dischi in CSi 4000, 1000 mesh, Struers Sodio fosfato bibasico dodecaidrato, Ashland Paste di diamante 6µ, 3µ, 1µ, Struers Sodio fosfato monobasico monoidrato, Carlo Erba Etanolo, Baker Immobilizzazione delle proteine Tricloroetilene, Rudi Pont Glutaraldeide 25% in acqua, Fluka Acido nitrico, Carlo Erba Cisteamina idrocloruro, Fluka Ipoclorito di sodio, commerciale Solfato di nichel, Carlo Erba Cloruro di potassio, Carlo Erba Nα-Nα-bis(carbossimetil)-L-lisina idrata, Fluka Perossido di Idrogeno 30% Ashland 3-aminopropil-trietossisilano 98% (APTES), Sigma Acido Cloridrico, Baker Albumina di siero bovino, Fluka Acido solforico, Carlo Erba Sodio cloruro, Carlo Erba Magnesio cloruro, Rudi Pont Mannitolo, Carlo Erba Acido 2-(N-Morfolino)etansolfonico (MES, pH=5.5-6.7), ICM Imidazolo, BDH Piastre ELISA, QIAgen Estratto di PSII (300µgChl/ml) ingegnerizzato con (His6x-tag) gentilmente donato dalla dr. M.Sugiura, Osaka Prefecture University, Osaka – Japan 37 38 4.2 METODI Un circuito a strato spesso è composto da strati di speciali paste o inchiostri depositati su un substrato isolante. L’attrezzatura di base del processo serigrafico è costituita da Metodi di deposizione per sputtering uno schermo, che definisce la matrice di stampa, ed una spatola (racla) con cui il mezzo Lo strumento utilizzato per la deposizione di oro per sputtering è lo SPUTTER di stampa viene forzato, attraverso lo schermo, sulla superficie del substrato. COATER S 150B. All’interno dello strumento è presente un target di oro che viene colpito da argon (P = 3,5-4 mbar) ionizzato tramite applicazione di un alto potenziale (V=1KV); gli ioni di oro formatisi vanno quindi a colpire perpendicolarmente il supporto formando uno strato di rivestimento il cui spessore è determinato dal tempo di trattamento: si opera normalmente per circa 18 min., che si riducono a 5-6 min. quando si vogliono ottenere strati ultrasottili. La qualità della superficie di oro ottenuta dipende invece dal potenziale applicato: se è troppo elevato, gli ioni collidono con l’argon, deviano il loro percorso e incontrando altri ioni oro formano clusters che depositati rendono la superficie rugosa. Figura: Veduta laterale in sezione dei tre tipi più utilizzati di racla (squeegee): a sezione quadrata, a lama trascinata, a lama smussata Deposizione serigrafica di strati elettrodici Superfici di grafite impiegate in questa tesi sono stati ottenute per via serigrafica. Si possono ottenere elettrodi stampati depositando sequenzialmente strati spessi1 di Per ottenere una precisa localizzazione dello schema stampato sul substrato e la materiali conduttori o isolanti. deposizione a registro degli strati successivi è impiegata una stampante serigrafica. Nella macchina la posizione del supporto può essere regolata, con l’ausilio di micromanipolatori, sia verticalmente che orizzontalmente, consentendo così di disporre il substrato sempre parallelamente allo stampo. Un tipico schermo serigrafico è costituito da una rete a maglie finemente intessute di acciaio inossidabile, nylon o poliestere, montata in tensione su di una cornice metallica, che viene rivestita da una emulsione sensibile all’ultraviole tto su cui può essere impressa fotograficamente Figura: elettrodi tradizionali planari, affiancati e concentrici realizzati in laboratorio su supporti di PVC o allumina l’immagine del circuito. La cornice degli schermi è solitamente di alluminio e serve a mantenere tesa la rete e a permettere un corretto posizionamento della sagoma da stampare sul substrato. Durante il processo di stampa una lama flessibile o spatola con un bordo inclinato scorre sulla superficie posteriore dello schermo esercitando una pressione che porta lo schermo a contatto con il substrato e forza l’inchiostro viscoso attraverso lo schema 1 Per “film spesso” si intende uno spessore superiore ad 1µm ; per “film sottile” si intende uno spessore inferiore ad 1µm fino a pochi nm. 39 40 aperto. Mentre la spatola passa, le maglie dello schermo si allargano e “dosano” la Le stampe a strato spesso sono soggette ad un ciclo di essiccamento e di cottura durante quantità di materiale che viene trasferita attraverso lo schermo. il quale il veicolo organico viene rimosso ed avvengono una serie di reazioni chimiche e fisiche che e sviluppano le proprietà elettriche delle paste. Lo stadio di essiccamento è necessario per rimuovere i solventi organici volatili e per fare aderire lo strato spesso, che ancora contiene leganti organici, al supporto; esso avviene a temperature piuttosto basse (70°-150°C) e non è dipendente dalle condizioni di riscaldamento purché la velocità del processo sia tale da non causare una evaporazione troppo violenta del solvente che possa danneggiare l’uniformità della stampa. Procedura: La rete dello stampo delle dimensioni 30 cm x 40 cm, è stata realizzata (Screen Service s.a.s. Comeana, FI), in tessuto poliestere su nostro disegno ed è stata montata sotto tensione su un telaio di alluminio. Come supporto per la stampa degli è stato utilizzato un foglio commerciale di PVC (0.3 mm). Normalmente elettrodi stampati di grafite sono realizzati depositando di una pasta conduttiva di argento sul PVC e lasciando asciugare in stufa a 80°C per circa 20’; successivamente un secondo strato di pasta contenente AgCl è stampato ad una estremità di una delle due piste per realizzare l’elettrodo di riferim ento. Sull’altra pista alla stessa estremità è stampata la pasta conduttiva di grafite per realizzare l’elettrodo di lavoro. Nel nostro caso sono stati depositati serigraficamente solo strati di grafite su PVC per ottenere superfici da funzionalizzare nei successivi passaggi. Figura: Deposizione serigrafica di uno strato Metodi elettrochimici Le paste utilizzate per la stampa di elementi sensibili sono composte da almeno due ingredienti: un veicolo organico ed un componente attivo o funzionale. Il “veicolo Cronoamperometria organico” è una miscela di solventi volatili e polimeri o resine che sono necessarie a mantenere le particelle di materiale attivo in una sospensione omogenea e con proprietà reologiche adatte alla stampa. Ad esempio i conduttori a base polimerica sono misture di polimeri (resine fenoliche, poliesteri, resine acriliche e sempre più spesso poliammidi che resistono a T più elevate) e di una polvere metallica; l’ argento la scelta più comune. I substrati offrono principalmente un supporto meccanico e di isolamento elettrico alle paste conduttive ma possono influenzare notevolmente le condizioni di processo e le Nelle misure cronoamperometriche si misura l’andamento della corrente nel tempo per un elettrodo di lavoro (W.E.) il cui potenziale è costante o è variato con legge nota. Un potenziostato applica il potenziale stabilito all’elettrodo di lavoro e lo controlla rispetto a quello di un elettrodo di riferimento (R.E.), mentre un amperometro misura le variazioni dell’intensità di corrente; il segnale è quindi acquisito da un computer o un registratore a carta. caratteristiche finali del prodotto. 41 42 Il potenziale effettivo del W.E. è dato dalla seguente relazione: EWE = EPOT - ERE - iR dove EWE e ERE sono rispettivamente i potenziali dell’elettrodo di lavoro e di riferimento, EPOT è il potenziale imposto e iR la caduta ohmica dovuta al passaggio di corrente. La dimensione ottimale dell’elettrodo di lavoro risulta dal bilancio di due contributi opposti, ossia quello della superficie attiva che determina l’entità del segnale e il valore della corrente i passante che aumenta la caduta ohmica; per quest’ultimo termine è importante anche la resistenza R dell’elettrodo di riferimento, che deve essere piccola. a) L’impiego di microelettrodi consente di mantenere il valore della corrente nell’ordine dei µA o nA e permette l’utilizzo di una cella di elettrolisi a due elettrodi; se invece le dimensioni e quindi le correnti sono più elevate, e l’elettrodo di riferimento possiede resistenza elevata, è più conveniente usare un sistema a tre elettrodi in cui il RE fornisce solo un potenziale costante e stabile mentre la corrente circola tre il WE e il controelettrodo. In questo modo i = 0 nel ramo del circuito e il termine iR non contribuisce più al potenziale EWE. L’amperometria non è considerata una tecnica molto selettiva soprattutto in sistemi contenenti più specie elettroattive che a determinati valori di potenziale possono b) interferire scaricandosi all’elettrodo; ciò può essere ovviato ad esempio con l’impiego di membrane semipermeabili selettive all’analita di interesse. Nel campo dei biosensori, inoltre, la selettività è determinata in massima parte dal biomediatore specifico per la sostanza desiderata. Voltammetria ciclica La voltammetria a scansione lineare o ciclica è una tecnica di analisi utilizzata per ottenere informazioni su un sistema elettrolitico. c) Nella voltammetria ciclica il potenziale varia linearmente nel tempo da un valore Figura: dettagli SEM di un elettrodo di grafite stampato: a) e b) superficie di grafite serigrafata a 100 e 500 ingrandimenti; c) sezione di un elettrodo stampato nella quale si può osservare il sandwich di strati di Ag, grafite e isolante depositati sequenzialmente sul PVC 43 iniziale V1 ad uno finale V2 e viceversa con una velocità stabilita (scan rate, ∆V/sec); il potenziale applicato all’elettrodo di lav oro può essere descritto da una forma d’onda triangolare (v. figura). 44 La tecnica di analisi polarografica si basa sull’andamento delle curve di intensità di Si registra l’andamento della corrente con la tensione applicata ad un particolare microelettrodo polarizzabile “a corrente in funzione del potenziale goccia di mercurio” rispetto ad un elettrodo di riferimento non polarizzabile. applicato un L’elettrodo a goccia di mercurio è costituito da un sottile capillare di vetro dal quale voltammogramma che ha in ascisse viene fatto gocciolare mercurio; rispetto ai normali elettrodi solidi offre il vantaggio di il V e in ordinate la i; le ampiezze fornire una superficie elettrodica continuamente rinnovabile non influenzata o della curva e le altezze max e min contaminata da precedenti prodotti di elettrolisi, nonché una corrente limite controllata dei picchi variano in funzione della dalla diffusione. scan rate e della concentrazione Con questa tecnica è possibile ottenere curve i(V) altamente riproducibili e determinare della specie in esame. qualitativamente e quantitativamente un gran numero di cationi ed anioni, nonché In particolare il picco massimo ottenuto corrisponde al potenziale ottimale a cui sostanze organiche ossidabili o riducibili elettrochimicamente; data l’elevata l’analita è ridotto o ossidato, mentre il potenziale e le dimensioni del picco nella sovratensione di scarica dell’idrogeno su mercurio è inoltre possibile estendere scansione di ritorno danno informazioni sulla reversibilità della reazione elettrodica (v. notevolmente il campo catodico di lavoro e determinare tutti i cationi meno nobili figura). compresi i metalli alcalini. acquisendo La particolare curva i(V) ottenuta con un elettrodo a goccia di mercurio prende il nome di onda polarografica catodica o anodica, la cui equazione ricavata da quella di Nerst è: E = E0 + (RT/nF) ln(Krid/Koss) + (RT/nF) ln[(id – i)/i] (1) dove id è la corrente limite di diffusione proporzionale alla quantità di analita presente in soluzione, Krid e Koss l’inverso delle costanti che tengono conto della progressiva variazione delle concentrazioni all’elettrodo delle forme ossidata e ridotta della specie in seguito alla reazione elettrochimica. Quando l’intensità di corrente i assume il valore di i d/2, ossia metà della corrente limite, l’equazione (1) diventa: Attraverso la tecnica di voltammetria ciclica si possono ottenere dati utili per ottimizzare i potenziali di lavoro per le misure amperometriche e variando la velocità di E1/2 = E0 + (RT/nF) ln(Krid/Koss) scansione si possono raccogliere informazioni sui tempi e sulle cinetiche delle reazioni e prende il nome di potenziale di semionda. all’elettrodo. Si dimostra che il valore E1/2 è praticamente coincidente con E0 della reazione elettrochimica ed è utilizzato per la determinazione qualitativa della specie in esame. Polarografia 45 46 L’analisi polarogra fica quantitativa si basa invece sulla proporzionalità tra corrente di L’analisi del nichel sui campioni di oro è stata effettuata polarograficamente utilizzando diffusione id e concentrazione C della specie elettroattiva in soluzione attraverso la tecnica AdCSV (Adsorptive Cathodic Stripping Voltammetry), ad impulsi l’equazione di Ilkovic: differenziali (differential pulse). L’analisi è stata effettuata con un polarografo 757 -VA-COMPUTRACE della 1/2 2/3 1/6 id = 607 nD m t C METROHM costituito da un elettrodo a goccia di mercurio, un elettrodo di riferimento Ag/AgCl per la misura dell’intensità di corrente I dalla ddp, e da un elettrodo ausiliario in cui m2/3t1/6 è la costante del capillare, n il numero di elettroni in gioco nella reazione, di Pt per controllare in ogni momento la ddp applicata alla goccia di Hg. D il coefficiente di diffusione dell’analita. Un software regola il funzionamento dello strumento e registra i polarogrammi; la Nella polarografia in derivata al posto della curva i(V) si rileva quella della derivata concentrazione del campione incognito è ricavata con il metodo delle aggiunte standard. della corrente rispetto al potenziale verso il potenziale stesso [di/dV(V)]; la posizione Per l’analisi del nichel si sfrutta la formazione del complesso Ni-dimetilgliossima, che del massimo dei picchi del polarogramma così ottenuto fornisce il valore di Ep = E1/2 nella prima parte della misura forma uno strato monomolecolare sulla goccia di Hg mentre l’altezza (I p) è proporzionale alla concentrazione della specie che deve essere senza dare ossidoriduzione; poi la DMG viene ossidata (DMG⇒DMG+++2e-) perdendo determinata. il suo potere complessante nei confronti del Ni2+ e facendo registrare passaggio di Nelle figure a), b) e c) sono riportate le curve relative al potenziale applicato, al valore corrente. Le misure possono essere ripetute più volte proprio perché il Ni2+ non della superficie della goccia di mercurio e all’andamento dell’intensità di corrente partecipa direttamente alla reazione elettrochimica e la DMG è presente in eccesso. relative alla tecnica polarografica differenziale ad impulsi: Non si può utilizzare in questo caso la voltammetria di stripping anodico perché il nichel non dà una voltammetria ciclica esattamente reversibile. La DMG è sciolta in trietanolammina che complessa ioni Zn2+ eventualmente presenti V che interferiscono con l’analisi del Ni 2+ poiché competono con esso nella formazione del complesso con la DMG. (a ) S La misura consiste in una prima fase di 600 secondi in cui è fatto gorgogliare N2 per I t togliere ossigeno dalla soluzione, in 30 sec. di “depositing”, 5 sec di stabilizzazione e p infine nello "sweeping” con l’acquisizione dei polarogrammi; quindi si procede con 3 aggiunte di 50 µl di uno standard di Ni 500 ppb. Lo standard, più in generale, deve essere della concentrazione tale da aumentare il segnale dovuto al solo campione da 2 a (b ) t Figura: Polarografia differenziale ad impulsi: a) E p rampa (c ) 5 volte. Ogni misura è replicata automaticamente 4 volte. La sensibilità (teorica) dello strumento è di 0.1 µg/l (ppb). di potenziale, b) superficie della goccia di mercurio, c) tipico segnale 47 48 Metodi Spettroscopici e Spettrometrici Non è necessaria la nebulizzazione del campione che può essere introdotto sottoforma di soluzione in quantità molto piccola: circa 0.1-0.05 ml, corrispondenti a pochi Assorbimento atomico per la determinazione del Ni(II) milligrammi di solido; ma poiché tutto il campione è atomizzato e mantenuto lungo il La spettroscopia assorbimento atomico è un metodo che misura l’assorbimento da parte del campione di una radiazione monocromatica di lunghezza d’onda corrispondente ad una eccitazione che parta dallo stato fondamentale (E1-E0). cammino del raggio incidente, la sensibilità risulta notevolmente aumentata. La sorgente di radiazione più utilizzata in uno spettroscopio di assorbimento atomico è la lampada a catodo cavo, costituta da un tubo a scarica a gas rarefatto (neon o argon) avente un catodo con una cavità cilindrica dello stesso materiale da determinare. Se La tecnica consiste dunque nelle linee essenziali nel creare un plasma contenente atomi l’elemento in questione non è metallico, può essere posto nella cavità. liberi dell’elemento da analizzare, irraggiarlo con una radiazione di appr opriata Il metallo del catodo per effetto termico e per bombardamento degli ioni del gas lunghezza d’onda e valutarne la quantità assorbita, registrando l’ Assorbanza: vaporizza, gli atomi sono eccitati nel plasma della scarica ed emettono uno spettro a A = log10 P0/P = 0.434kνb righe che, per le piccole correnti elettriche utilizzate, risultano abbastanza strette e di In cui P0 e P sono rispettivamente le intensità della luce assorbita e trasmessa, b il intensità costante. cammino ottico e kν il coefficiente di assorbimento che caratterizza l’intensità della riga Questa caratteristica delle sorgenti a catodo cavo ha permesso lo sviluppo dell’analisi di assorbimento. quantitativa per assorbimento atomico. Il numero di atomi presenti nello stato fondamentale (N0), in accordo con la legge di La quantità di Ni2+ immobilizzata sulle superfici di grafite è stata determinata tramite Boltzmann: Ni/N0 = exp[-(E1-E0)/kt] spettroscopia di assorbimento atomico con atomizzazione con fornetto di grafite. corrisponde in prima approssimazione al numero totale degli atomi presenti, anche a E’ stato utilizz ato lo SPECTRA FS 220 VARIAN con lampada a catodo cavo di nichel temperature elevate. (VARIAN). Il processo di atomizzazione del campione può avvenire tramite una fiamma, dove la Le condizioni operative sono riportate di seguito: soluzione è introdotta sottoforma di sospensione nebulizzata e sottoposta ad un processo − lunghezza d’onda: 232.0 nm di dissociazione termica. − banda passante: 0.2 nm Altri strumenti, come quello adoperato per la determinazione del nichel in questa tesi, − corrente della lampada: 4.0 mA sfruttano processi di atomizzazione senza fiamma come il fornetto di grafite. − calibrazione diretta dello strumento con standard acquosi di Ni2+ 12.50, 25.00 e I fornetti di grafite sono costruiti in maniera tale da formare una piccola camera coassiale con il cammino ottico del raggio incidente; la camera, tenuta in atmosfera inerte, è sottoposta ad un programma di riscaldamento elettrico che aumenta progressivamente la temperatura: generalmente un primo stadio a 100°C per seccare, un 37,50 µg/l. Il limite di rivelabilità di questa tecnica per il nichel è di 0.2 ppb (µg/l). Spettrometria di massa con sorgente a plasma accoppiato induttivamente (ICP- MS) secondo tra i 400 e i 1200°C per decomporre e volatilizzare, un ultimo tra i 2500 e 3100 °C per atomizzare, ciascuno della durata necessaria a seconda della natura del Si definisce plasma una miscela gassosa conduttrice di elettricità, in cui vi sono campione. significative concentrazioni di cationi ed anioni ma tali che la carica netta sia pressoché nulla. 49 50 Sorgenti a plasma (ICP, DCP a corrente continua) sono utilizzate in spettroscopia in quando il campione si espande in questa regione intermedia attraversando il primo alternativa ai metodi di atomizzazione a fiamma o termoelettrici in quanto presentano orifizio di circa 1 mm forma un jet supersonico la cui parte centrale fluisce nel secondo numerosi vantaggi, come la possibilità di minimizzare le interferenze tra gli elementi in orifizio. conseguenza dell’utilizzo di temperature più elevate, la possibilità di determinare basse Dietro ai coni è posto un elettrodo caricato negativamente che attrae gli ioni positivi e li concentrazioni di campioni che formano composti refrattari e di non-metalli, quali il accelera dirigendoli verso una serie di lenti di focalizzazione che, oltre a restringere cloro, bromo, iodio, zolfo, di consentire un intervallo operativo di concentrazione di l’intervallo di energia degli stessi prima che arrivino all’analizzatore di massa, parecchi ordini di grandezza, di permettere un’elevata riproducibilità di misura. impedisce l’accesso ai fotoni emessi dal plasma allo spettrometro in quanto Sorgenti a plasma sono state accoppiate anche con strumenti piezoelettrici e analizzatori comporterebbero l’aumento del rumore di fondo. di massa. Per ICP si intende un plasma di argon ad una temperatura di 8000 K in cui viene Spettroscopia di fluorescenza introdotto il campione per nebulizzazione a pressione ambiente; il plasma si forma per scarica priva di elettrodi in un gas e viene mantenuta dall’energia accoppiata ad esso da La fluorescenza è un fenomeno di fotoluminescenza ossia di emissione di energia parte di un generatore di radiofrequenze. radiante (generalmente visibile) da parte di una molecola, atomo o ione che torna allo La sorgente a plasma accoppiato induttivamente è chiamata torcia: è costituita da tre stato stazionario dopo essere stato eccitato mediante assorbimento di energia radiante tubi di quarzo concentrici nei quali scorre argo con un flusso tra gli 11 e i 17 l/min; generalmente di natura ultravioletta: all’estremità del tubo maggiore è avvolta la bobina di induzione raffreddata ad acqua e X + hν → X* → X + hν’ alimentata da un generatore di radiofrequenze. Generalmente l’energia della radiazione emessa è inferiore a quella della radiazione La ionizzazione dell’argon è innescata da una scintilla prodotta da una bobina Tesla: gli ultravioletta assorbita (ν’ < ν), dunque la fluorescenza si trova a lunghezze ioni e gli elettroni formatisi interagiscono quindi con il campo magnetico fluttuante d'ondamaggiori, nel vicino ultravioletto (λ > 300 nm), nel visibile (380-750 nm) o prodotto dalla bobina di induzione e sono costretti a percorrere una traiettoria anulare; perfino nel vicino infrarosso (λ > 750 nm). in conseguenza della loro resistenza si ha un riscaldamento ohmico. La fotoluminescenza è chiamata fluorescenza quando lo spin dell’elettrone eccitato non La temperatura raggiunta dal plasma può arrivare a 10000 K; il campione viene cambia durante la disattivazione; più in generale per le molecole organiche si indica con introdotto come gas o aerosol fine di particelle liquide o solide utilizzando un fluorescenza l’emissio ne di energia radiante durante una transizione dallo stato eccitato nebulizzatore che trasforma la soluzione del campione in goccioline finemente disperse, più basso di singoletto (S1) allo stato fondamentale di singoletto (S0). Per quanto delle quali solo quelle più piccole, circa l’1%, raggiungono il plasma. riguarda i composti organici, solo le molecole planari e coniugate danno il fenomeno di Superato il capillare di iniezione l’aerosol è rapidamente essiccato a microparticelle fluorescenza; in pratica occorre la presenza di almeno un anello aromatico. solide che nel tragitto lungo il plasma in qualche millisecondo vengono vaporizzate, A causa della sua rapidità, l’emissione di fluorescenza viene generalmente misurata atomizzate e ionizzate. Le temperature sono talmente elevate che quasi tutti gli elementi durante il processo di eccitazione stesso tramite uno spettrofluorimetro. della tavola periodica vengono completamente ionizzati, o comunque per oltre il 50%. L’intensità della fluorescenza F è pro porzionale alla concentrazione C dell’emettitore L’interfaccia tra sorgente ICP e spettrometro di massa è costituita da due coni con punte secondo la relazione, valida alle basse concentrazioni: rivolte verso il plasma; lo spazio tra i due coni è mantenuto ad una pressione di 2 mbar e 51 F = k φf P0 (1 – e-ε bc) ≅ k φf P0 (2.3εbc) 52 in cui P0 è la potenza radiante della radiazione eccitante, (2.3εbc) rappresenta la I cromofori delle molecole organiche sono gruppi o legami insaturi responsabili frazione di radiazione assorbita, k è la frazione registrata dei fotoni emessi (a causa dell’assorbimento nel Vis/UV; le interazioni tra i diversi cromofori di una molecola della geometria del fluorimentro) e φf è la resa quantica di fluorescenza, ossia il genera effetti batocromici o ipsocromici a seconda che rispetto alla λ di assorbimento rapporto fotoni emessi/ fotoni assorbiti. del cromoforo isolato si abbia uno spostamento verso λ minori o maggiori, e I componenti principali di uno spettrofluorimentro sono la sorgente, una lampada ad ipercromici o ipocromici quando ciò comporti anche un aumento o diminuzione arco al mercurio o allo xenon, il reticolo di eccitazione o filtro primario che trasmette dell’intensità della banda di assorbimento. solo una porzione della radiazione emessa dalla sorgente, il reticolo di fluorescenza o Rientrano in questa categoria i sistemi coniugati, polieni o aromatici. filtro secondario posto dopo la cella del campione perpendicolarmente al fascio primario, e un rivelatore, fototubo o fotomoltiplicatore, che misura l’emissione La quantità di radiazione assorbita è misurata in termini di Assorbanza A = log (1/T) = εbc fluorescente che attaversa il filtro. Dove T, Trasmittanza, è il rapporto tra la potenza della radiazione trasmessa e quella della radiazione incidente (T = P/P0), b lo strato di materiale attraversato, ε l'assorbività Spettroscopia di assorbimento nel Visibile e nell’Ultravioletto molare (detto anche coefficiente di estinzione molare) caratteristico per la determinata La fotometria è la tecnica spettroscopica più utilizzata e riveste una grande importanza lunghezza d’onda della radiazione e c la concentrazione della sostanza assorbente. nelle analisi quantitative. La spettroscopia di assorbimento quantitativa si basa essenzialmente sul confronto tra La spettrofotometria si basa sulla misura del rapporto delle intensità dei raggi l’assorbimento di una soluzione campione e quello di una serie di st andards sottoposti (generalmente luce visibile o ultravioletta) di lunghezza d’onda specifica incidenti in ad una radiazione monocromatica corrispondente ad un caratteristico assorbimento (se una soluzione e trasmessi. possibile, si sceglie la λMAX) della sostanza in esame. Lo spettro di assorbimento del campione lo identifica univocamente in termini Uno spettrofotometro, schematicamente, è composto da una sorgente, che può essere qualitativi e dalla misura della dose di energia assorbita da una soluzione è possibile una lampada a vapori di mercurio, a filamento di tungsteno, al quarzo-alogeno o a risalire alla concentrazione della sostanza assorbente che risulta così determinata anche scarica elettrica a idrogeno o deuterio a seconda della regione spettrale che interessa, un quantitativamente. monocromatore necessario a disperdere la radiazione emessa, un rivelatore (fototubo o Il processo di assorbimento di una radiazione luminosa nella regione del fotomoltiplicatore). visibile/ultravioletto da parte di una molecola è un processo alquanto complesso che dipende dalla struttura elettronica della sostanza: il passaggio degli elettroni da orbitali a bassa energia ad uno stato eccitato, infatti, comporta anche variazioni nei livelli vibrazionali e rotazionali secondo regole di selezione quantomeccaniche che determinano le transizioni permesse. Gli spettri che risultano mostrano perciò un numero elevatissimo di righe di assorbimento: in corrispondenza dell’assorbimento massimo si definisce una λmax che identifica la radiazione monocromatica che lo genera. Microscopia elettronica Lo Scanning Electron Microscopy (SEM) è un microscopio che usa gli elettroni al posto della luce per formare un’immagine. Ci sono molti vantaggi nell’usare il SEM invece di un microscopio ottico. Il SEM ha una elevata profondità di campo, cioè una larga differenza tra massima e minima distanza di focalizzazione, adeguata alla messa a fuoco, in pochi istanti, di superfici con elevate variazioni topografiche. Inoltre, l’analisi al microscopio a scansione elettronica produce immagini ad alta risoluzione, il che significa che 53 54 materiali diversi, vicini o sovrapposti, possono essere esaminati con un alto Se gli elettroni incidenti hanno energia sufficientemente elevata riescono a ionizzare i ingrandimento (da 15 a 500000). livelli energetici più interni degli atomi del materiale, i quali possono tornare allo stato La preparazione del campione è relativamente semplice, poiché la maggior parte dei fondamentale mediante l’emissione di un fotone. I raggi X prodotti possiedono energie SEMs richiede solamente che il campione sia un conduttore. La combinazione di più che sono caratteristiche degli atomi da cui provengono e possono, quindi, essere alti ingrandimenti, più larghe profondità di campo, più grandi risoluzioni e la facilità di sfruttati per ottenere informazioni sulla composizione chimica del campione. Mediante osservazione del campione rendono il SEM uno degli strumenti più ampiamente usati un trasduttore, che rivela i raggi X, si arriva ad avere uno spettro che riporta i picchi nelle aree di ricerca ai giorni nostri. relativi agli elementi. L’intensità della linea caratteristica di un elemento è direttamente Nel SEM i diversi punti del campione vengono esplorati da un sottile fascio elettronico proporzionale alla concentrazione dello stesso. Confrontando l’intensità con quella di un di elevata energia. Tale fascio è prodotto da un cannone elettronico e focalizzato, per campione standard, otteniamo informazioni quantitative. mezzo di un sistema di lenti magnetiche, sul campione da analizzare (Figura). In figura è mostrato un tipico setup per il SEM. Figura: il fascio di elettroni è prodotto da un filamento fatto da diversi tipi di materiale. Il più comune è il tungsteno. Il filamento di tungsteno funziona come catodo. Al filamento è applicato un voltaggio, con conseguente aumento di temperatura. L’anodo, che è positivo rispetto al filamento, attrae gli elettroni emessi dal catodo e quelli con la giusta energia vengono deflessi sul campione tramite lenti magnetiche. Appositi dispositivi consentono sia spostamenti del fascio, facendogli esplorare piccole zone quadrate, sia spostamenti del campione rispetto al fascio, che permettono di variare non solo la zona in esame ma anche l’inclinazione del campione rel ativamente al fascio. Figura: tutti questi segnali sono presenti in un esperimento di scansione elettronica, ma per la rivelazione e l’acquisizione dell’informazione i più comunemente usati sono elettroni secondari, elettroni retrodiffusi e raggi X. Quando un fascio di elettroni colpisce la superficie di un materiale una parte di questi Le misure in un SEM vengono realizzate in condizioni di vuoto, per impedire collisioni elettroni incidenti (elettroni primari) conserva la sua energia e viene riflessa (elettroni con le molecole di gas che renderebbero il fascio elettronico instabile. retrodiffusi), mentre gli altri perdono la loro energia, trasferendola agli elettroni del La trasmissione del fascio verso il campione, attraverso la colonna ottica, potrebbe solido, ed infine, una frazione di essi, ad energia molto bassa, può sfuggire all’esterno essere ostacolata dalla presenza di altre molecole. Tali molecole, che potrebbero (elettroni secondari). provenire dal campione o dal microscopio stesso, potrebbero formare dei composti e delle condense sul campione. Questo provocherebbe un abbassamento del contrasto e 55 56 5 DEPOSIZIONE DEI MATERIALI ELETTRODICI oscurerebbe i dettagli nell’immagine. Per ovviare al problema si ricorre ad un processo di sputtering. Le superfici sulle quali sono state immobilizzate le molecole ingegnerizzate sono i comuni supporti (oro, grafite, vetro, quarzo) normalmente impiegati per la realizzazione di biosensori ottici o elettrochimici tradizionali. Alcuni di questi materiali (oro, grafite) sono stati depositati con diverse tecniche: • Serigrafia su PVC (grafite) e su ceramica (oro) • Sputtering di oro su entrambe le facce di supporti planari di plastica (poliacetato) • Deposizione galvanica di Au su piste di Cu su vetroresina ottenute per hetching con FeCl3. 5.1 DEPOSIZIONE DI INCHIOSTRI SERIGRAFICI Sono stati depositati inchiostri a base di grafite (Acheson) su lastrine di PVC (spessore = 0,3mm) con un lay-out rettangolare (1x5mm) mediante una stampante serigrafica da laboratorio. Sono stati impiegati anche elettrodi ceramici serigrafati commerciali (BVT Tisnov, Czech Republic) con working e auxiliary di oro e reference di Ag/AgCl con il lay-out (b) della figura sottostante. (a) 57 (b) (c) (d) (e) 58 5.2 DEPOSIZIONE DI Au PER SPUTTERING Preparazione del bagno di doratura L’oro è st ato depositato per sputtering su entrambe le facce di supporti planari di vetro o Una procedura per la doratura del rame per immersione è riportata nel “Trattato di plastica (poliacetato) utilizzando uno SPUTTER COATER S 150B. galvanotecnica” di E. Bertorelle. Si utilizza un bagno di doratura a base di cianuri d’oro (W. Pfanhauser) la cui composizione è riportata di seguito: • cloruro d’oro (AuCl 3) • cianuro di potassio (KCN) 10.0 g/l • fosfato bisodico (Na2HPO4) 6.0 g/l • soda caustica (NaOH) 1.0 g/l • solfito di sodio (Na2SO3) 3.0 g/l 0.6 g/l Il cloruro d’oro si prepara a partire da oro metallico con la seguente procedura: • Soluzione HCl/HNO3 3:1 (acqua regia) • Scaldare blandamente • Immergere il filo d’oro metallico che si solubilizza completamente nella soluzione Figura: un foglio di poliacetato durante lo sputtering di Au I supporti di poliacetato prima della deposizione sono stati sgrassati con alcool isopropilico, quelli di vetro sono stati puliti con la soluzione “piranha” (acido solforico/acqua ossigenata 1:2) a caldo, quindi asciugati in stufa a 80°C. • Scaldare a 70-80 °C per portare via il solvente • Portare a secco • Riprendere con HCl conc. • Riportare a secco • Riprendere con HCl dil. (1 M ) • Si ottiene AuCl3 in soluzione A questo punto si tratta il cloruro d’oro con cianuro di potassio: l’oro passa da trivalente 5.3 DEPOSIZIONE GALVANICA DI AU SU PISTE DI CU a monovalente e si formano cianuro auroso e gas cianogeno, velenoso, secondo la Mentre le tecniche serigrafiche e di sputtering sono comunemente impiegate nel nostro laboratorio, la deposizione galvanica di oro su piste di rame di lastrine di vetroresina per seguente reazione: 3 AuCl3 + 9 KCN → 3 AuCN + 3 (CN)2 + 9 KCl circuiti stampati ha richiesto una fase di ottimizzazione che viene descritta in dettaglio Aggiungendo KCN in eccesso si ha quindi la formazione del complesso AuK(CN)2 e la con le prove sperimentali nei paragrafi successivi. presenza di cianuri liberi in soluzione per stabilizzarlo. 59 60 sfrutta la • per lucidare più a fondo è stato usato un foglio di pasta di diamante 3 µm solubilizzazione del rame e la riduzione dell’oro sulla lastrina, in seguito alla • infine, un disco di panno per concludere la lucidatura La doratura per immersione è una doratura “per spostamento” che formazione di una pila: Le lastrine così ottenute sono state sgrassate effettuando due bagni in acetone; sono state numerate e poste circa 20 min. in stufa. Au(CN)2•aq + e → 2CN• aq + Au(s) 4CN• aq + Cu(s) → Cu(CN)42• aq + 2e Doratura delle piste di Cu ______________________________________ 2Au(CN)2• aq + Cu(s) → Cu(CN)42• aq + 2Au(s) Per effettuare la prima prova di doratura di una lastrina sono stati messi 20 cc di soluzione di cianuri in una provetta di plastica con tappo (Falcon), posta in un Quando non c’è più rame superficiale da aggredire la doratura si ferma, consentendo di termostato a T=53°C, e la lastrina completamente immersa. Ogni 5 min. è stato ottenere minimi spessori di oro, di circa 20 nm. controllato l’aspetto della lastrina e della soluzione come riportato nella tabella: I bagni di doratura sono molto sensibili alle impurezze, soprattutto di natura organica; se vengono inquinati la deposizione risulta di brutto aspetto e priva di aderenza. Fondamentale è inoltre la superficie del metallo base prima della doratura, sia per l’aderenza che per la lucentezza dell’oro depositato. Preparazione dei campioni di rame Sono state preparate delle lastrine di rame di superficie di ca. 2 cm2 per procedere alle Tabella: Osservazione dei campioni durante la deposizione di Au su Cu t (min) T (°C) Osservazioni 0’ 53.0 -l’aspetto della superficie è inalterato e la soluzione resta limpida 5’ 53.0 -l’aspetto della superficie è inalterato e la soluzione resta limpida 10’ 53.0 -l’aspetto della superficie è inalterato e la soluzi one resta limpida 15’ 55.0 -il rame sembra più opaco, segno che sta iniziando la deposizione 20’ 59.0 -il rame è ancora più opaco 25’ 61.5 -il rame è sempre più opaco,ma appaiono dei puntini più lucidi -il rame si sta dorando,ma ci sono dei punti in cui l’oro non si deposita: è 30’ 61.5 probabilmente un problema relativo alla cattiva pulizia della superficie. -è stata estratta la lastrina, messa 2 min in NaClO e sciacquata 40’ 61.5 abbondantemente con H2O dist. prove di doratura. Il primo passaggio consiste nella lucidatura della superficie della lastrina che deve essere dorata. La LUCIDATURA A SPECCHIO di un metallo si verifica al microscopio ottico con l’assenza di rigatu re. Per lucidare le lastrine di rame è stato utilizzato il PLANOPOL V, dotato di un piatto girevole su cui si posizionano i fogli per la lucidatura: • per primo è stato utilizzato un foglio al carburo di silicio 4000 e H2O come lubrificante; il numero del foglio indica i mesh del setaccio che ha selezionato le polveri per fare la carta; • si è passati successivamente ad un foglio di pasta di diamante 6 µm, impiegando All’osservazione al microscopio ottico , la superficie dorata appare uniforme, l’oro depositato granulare, cristallino, complessivamente buono; le piccole zone tondeggianti in cui l’oro non si è depositato sembrano essere bollicine formatesi sul rame durante l’immersione nel bagno probabilmente per la presenza di impurezze sulla superficie. E’ stata ripetuta la doratura utilizzando la stessa soluzione di cianuri. La successiva doratura è stata eseguita su un pezzetto di circuito di rame stampato per poter valutare anche la resistenza del supporto di vetroresina al bagno di doratura. un lubrificante commerciale delicato in quanto l’acqua potrebbe rigare la superficie; le lastrine diventano lucide, anche se restano visibili leggere rigature 61 62 Il campione (1) è stato immerso in HNO3 1M per eliminare gli ossidi superficiali e Questa volta è stato prima pulito con carta smeriglio e lucidato leggermente con panno e sciacquato; quindi è stato sgrassato con trielina bollente per 15 min, bagnato in acetone pasta di diamante per ca. 40 min, poi sgrassato con vapori di trielina bollente e quindi sciacquato di nuovo. (immergendo il campione si ha il parziale scioglimento della resina di supporto) e Sono stati utilizzati 20 cc di soluzione fresca di cianuri, poiché il bagno usato nelle sciacquato con abbondante H2O dist. Non è stato utilizzato HNO3 per il sospetto che precedenti dorature si è impoverito d’oro e presenta cianuri ormai ossidati. aggredisca il rame rendendolo poroso e compromettendo così una doratura uniforme. E’ Il campione è stato tenuto nel bagno di doratura a T=61°C per 30 min, quindi estratto, stato utilizzato il bagno a 70.5°C per 30 min. immerso in NaClO e sciacquato: la superficie del rame appare ancora rosata, con riflessi Il campione estratto è apparso completamente dorato e in maniera regolare, anche se gialli, segno che lo strato d’oro depositato è molto sottile, e ’ stato quindi immerso di presenta dei riflessi rosati; al microscopio ottico, però, la doratura è apparsa nuovo nel bagno a 61°C per altri 30 min. insufficiente perché la superficie non brilla e invece di gialla è rossastra con punti gialli Quindi la lastrina è estratta, bagnata in NaClO allo scopo di ossidare i cianuri in luminosi. ambiente basico, secondo la reazione: E’ stata quindi proseguita la doratura alla stessa T=70.5°C per altri 30 min.; il campione estratto è stato sciacquato solo con H2O dist. per timore che l’ipoclorito aggredisse la ClO• + CN• → Cl• + NCO• superficie nel caso un’eventuale doratura non completa lasciasse rame scoperto. La lastrina è stata quindi sciacquata ed osservata al microscopio ottico: lo strato di oro si All’osservazione al microscopio ottico il rame appare completamente ricoperto di oro, è ispessito, ma la doratura risulta irregolare; si notano punte dorate che riflettono la luce non ci sono imperfezioni nella doratura; si vedono i profili delle righe del rame e zone rosse che rivelano rame ancora scoperto. Il campione è stato nuovamente inserito sottostante. nel bagno di cianuri per 30 min. a 70.5°C. Al microscopio metallografico l’oro ap pare compatto, cristallino, la doratura completa; La superficie della lastrina appare gialla, dorata, ma in NaClO è aggredita e si ha la si vedono i clusters di oro depositato, anche all’interno delle rigature del rame. formazione di buchi di colore rosso-verde laddove il rame non è ricoperto secondo la All’ossservazione al microscopio elettronico la doratura appare uniforme; l’oro seguente reazione: depositato forma dei clusters ben visibili. Piccole imperfezioni sono dovute alla superficie del rame irregolare. Dopo leggera lucidatura dell’oro, l’aspetto della • ClO + H2O + 2e → Cl• + 2OH• 2+ Cu(s) → Cu + 2e superficie non cambia molto. La figura, che rappresenta la superficie di oro depositata al E° = 0.81 V SEM, originalmente in scala di grigi, è stata elaborata e colorata per evidenziare meglio E° = - 0.3419 V i dettagli. Il campione (2) ottenuto risulta buono, inoltre la resina di supporto non è stata _____________________________________________________ Cu(s) + ClO• + H2O → Cl• + Cu 2+ + 2OH• aggredita durante il trattamento. ∆E° = 0.4681 V All’osservazione al microscopio ottico il campione risulta irregolare: i tratti dorati sono uniformi, ma sono presenti micropuntini rossi di diverse dimensioni; sui bordi e nelle zone aggredite da NaClO ci sono buchi rosso-verdi. Preparazione di elettrodi stampati e doratura A questo punto sono stati realizzati degli elettrodi di rame per hetching con FeCl3 di E’ stato preparato un secondo campione (2) dal circuito stampato. lastrine di vetroresina con un sottile strato di rame metallico. 63 64 Misura della superficie reale dell’elettrodo tramite cronocoulometria L’area reale dell ’ elettrodo non corrisponde a quella misurata geometricamente poiché occorre tener conto della rugosità della superficie che ne aumenta il valore. Si definisce appunto fattore di rugosità il rapporto tra l’area reale e quella geometrica. Generalmente gli elettrodi di oro “lisci ” hanno una rugosità tra 1.2 e 1.5, mentre quelli di platino tra 1.5 e 3; gli elettrodi di grafite hanno un fattore di rugosità molto variabile a seconda della natura della superficie: se di glassy carbon sono pressoché lisci ( 1.5-3), mentre se di grafite pirolitica hanno un fattore di rugosità elevato, da 10 fino a 100. Misure della reale superficie di un elettrodo possono essere condotte elettrochimicamente mediante misure di deposizione di idrogeno o ossigeno, ma tale procedura ha l’in conveniente di essere molto sensibile ad eventuali impurezze adsorbite sulla superficie ed è quindi applicata solo nei casi in cui l’elettrodo non sia stato sottoposto ad alcun trattamento. Figura: Immagine SEM colorata elettronicamente della superficie di oro ottenuta galvanicamente Generalmente l’area reale di un elettrodo è determinata tramite misure di cronocoulometria . Dopo aver lucidato il rame secondo il metodo descritto precedentemente, sulle lastrine è stata stampata serigraficamente una vernice impermeabile che riproduce in positivo il E’ stata determinata l a superficie di un elettrodo dorato prodotto secondo la disegno delle piste e degli elettrodi che si vogliono ottenere. metodologia descritta avente layout circolare con area geometrica di 12 mm2. Lasciate asciugare bene, le lastrine sono state poste per circa 20 min. in FeCl3 in modo E’ stat o usato come elettrodo di lavoro in da sciogliere il rame non protetto dalla vernice. Dopo il trattamento con FeCl3 la vernice 3- soluzione 0.1 mM di ferricianuro (Fe(CN)6 ) in KCl 0.1 M vs Ag/AgCl in NaCl 3M è stata allontanata con acetone, ottenendo il lay-out desiderato. A questo punto è stato (elettrodo ausiliario di Pt) registrando nel tempo l’andamento della carica Q. Sono stati depositato un sottile strato di oro sul rame secondo la procedura precedentemente applicati due impulsi di potenziale di 250 ms, il primo da 600 mV e il secondo da 0 mV, ottimizzata. in modo che praticamente tutto il ferricianuro venga ridotto a Fe(CN)64-; riportando i una misura cronocoulometrica in una dati ottenuti come Q in funzione di t1/2 si ha una relazione lineare e la pendenza del grafico ottenuto è uguale a 2nAFCD1/2/π1/2 , in cui n è il numero di elettroni coinvolti nella reazione redox (in questo caso n=1), F la costante di Faraday, C la concentrazione e D il coefficiente di diffusione del Fe(CN)64- . Si può così determinare A, l’area reale dell’elettrodo. Sono riportati il grafico di linearizzazione Q vs t1/2 e i calcoli relativi alla determinazione della superficie: Figura: la lastrina di vetroresina ricoperta di rame prima e dopo la deposizione serigrafica della vernice 65 66 400 Riproducibilità del comportamento degli elettrodi di Au ottenuti per deposizione 350 galvanica Con il procedimento appena descritto sono stati preparati separatamente due serie (a e Q/(mC) 300 b) di 5 elettrodi che sono stati provati in una cella a flusso (figura) a +600mV vs 250 Ag/AgCl con una soluzione di acido ascorbico. Lo strumento utilizzato per le misure y = 4300.8x 2 R = 0.9883 200 150 cronoamperometriche è il METHROM 641 VA-DETECTOR con annesso un registratore CHROMATOPAC C-R6A. 100 50 0 0 0.01 0.02 0.03 0.04 (t) 0.05 ^0.5 /(s) 0.06 0.07 0.08 0.09 0.1 ^0.5 Tabella: Dati e calcolo della rugosità degli elettrodi di lavoro (Au) ottenuti per deposizione galvanica Elettroni scambiati nella reazione n 1E Costante di Faraday F 96,485.3415 C/mol Concentrazione K3Fe(CN)6 C 0.0001 mol/l Coefficiente di diffusione K3Fe(CN)6 D 7.6x10-6 Cm2/s P greco 3.1416 π Coefficiente angolare m 4.3x10-3 C/s Raggio dell’elettrodo di lavoro r 1.95 mm Superficie reale 14.3 mm2 Ar =π1/2 m/2nFCD1/2 2 Area geometrica 12.6 mm2 Ag=π πr 1/2 2 1/2 Fattore di rugosità (Ar /Ag)=m/2nπ 1.13 π r FCD Figura: Elettrodo di Au depositato sulle piste di Cu di un circuito stampato di vetroresina realizzato in laboratorio, inserito in una cella a flusso di plexiglass Poiché l’area dell’elettrodo calcolata geometricamente (r=1,95mm) è pari a 12.6 mm2, si ha un fattore di rugosità di 1.13 , ossia la superficie reale è circa il 113% di quella geometrica. La superficie elettrodica reale sarà impiegata in seguito per una stima geometrica dell’immobilizzazione. 67 Si riporta a titolo di esempio la curva di taratura (figura) ottenuta con l’elettrodo 1 a della 1a serie con concentrazioni crescenti di acido ascorbico mediante misure cronoamperometriche: 68 sulla qualità del segnale ottenuto. La sensibilità, espressa in nA/µM, è calcolata per ogni 0.14 elettrodo secondo la formula: 0.12 I (uA) 0.1 0.08 0.06 Gli elettrodi che presentavano piccole zone di rame scoperte hanno mostrato correnti di 0.04 fondo molto elevate, tali da impedire la misura dei segnali dovuti all’acido ascorbico . 0.02 0 0.00E+00 2.00E-06 4.00E-06 6.00E-06 8.00E-06 [ac. Asc.] Figura: curva di calibrazione dell’ elettrodo di oro su rame (1a) con ac.ascorbico Analogamente per la seconda serie di elettrodi si riporta a titolo di esempio la curva di calibrazione relativa all’elettrodo 5b: Tabella: Sensibilità per l’ acido ascorbico deposizione galvanica di Au su Cu I F.S. ICOMP [Ac.Asc.] I (nA) (nA) (mol/l) µA) # (µ 1b 2b -6 0.1 1.20 3*10 3b 93.0 -6 0.1 1.95 3*10 4b 97.0 0.1 1.84 3*10-6 100.6 5b RSD= 0.2 0.18 0.16 0.14 0.12 i(uA) Tabella: Sensibilità per l’ acido ascorbico deposizione galvanica di Au su Cu I F.S. ICOMP [Ac.Asc.] I (nA) (nA) (mol/l) # µA) (µ -6 0.1 0.72 3*10 1a 62.2 0.1 1.22 3*10-6 2a 73.6 -6 0.1 1.95 3*10 3a 75.1 0.5 1.05 10-5 251.6 4a 0.1 1.17 3*10-6 5a 63.4 RSD= 0.1 0.08 degli elettrodi della serie A ottenuti per Sensibilità µM) ( nA/µ 20.7 24.5 25.0 25.2 21.1 9.8% Rumore Note Pulito Pulito Pulito Pulito Pulito Fuori scala a 0.1 µA - degli elettrodi della serie B ottenuti per Sensibilità µM) ( nA/µ 31.1 32.3 33.5 4.9% Rumore Note Rumoroso Pulito Pulito Fuori scala a 5 µA Fuori scala a 5 µA stabilizz. lenta stabilizz. lenta 0.06 0.04 0.02 0 0.E+00 2.E-06 4.E-06 6.E-06 8.E-06 1.E-05 1.E-05 [ac. Asc] Figura: curva di calibrazione dell’ elettrodo di oro su rame (5b) con ac.ascorbico Nelle tabelle successive è riportata la sensibilità di ciascun elettrodo delle serie A e B, i valori di RSD che tengono conto della riproducibilità delle misure, nonché alcune note 69 70