Wolfgang Amadeus Mozart: un bambino “particolare”

Gian Nicola Vessìa, scrittore e musicologo
Wolfgang Amadeus Mozart:
un bambino “particolare”
Un talento va formandosi nel silenzio,
un carattere nel fiume del mondo.
(Goethe)
La scelta di puntare l’attenzione su Wolfgang Amadeus Mozart,
per aprire un breve percorso di studi dedicato al bambino dotato,
non vuole avere nulla di retorico né riprodurre i segni di una ovvietà storica: Mozart è un soggetto “paradigmatico”, è un modello di riferimento, un “paradigma” alla greca, cioè un “esemplare”
da studiare.
Anzi, il termine paradigma dovrebbe riportarci al modello del
verbo latino: dalla voce fondamentale della prima persona del
presente indicativo, si dipanano le forme fondamentali per la coniugazione del verbo e per risalire ai diversi tempi verbali: come
per la vita di Mozart, come per i “tempi” esistenziali e artistici
del musicista, dalla sua infanzia misteriosamente miracolosa per
l’eccezionalità della sua rapida evoluzione, fino alla morte, misteriosa anch’essa per i cenni premonitori, fino ad una conclusione
ancora avvolta nel buio di alcuni dubbi irrisolti.
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L’approccio cognitivo verso un bimbo particolarmente dotato, il
suo passaggio dalla precoce attività infantile fino alla sfera del
genio inarrivabile, inimitabile, senza precursori e senza discepoli, porta il musicologo, o lo storico della musica, a confrontarsi comunque con il mondo dell’infanzia nella sua accezione più
comune, allo scopo di rintracciare i segni distintivi di un futuro
sviluppo della creatività, delle relazioni interpersonali, del compimento di un percorso creativo.
Ci è dunque d’obbligo cercare di capire il mondo di un bimbo
nato nel 1756, il 27 gennaio, alle ore 20, al terzo piano di una casa
al numero 9 di Getreidegasse in Salisburgo. Lì inizia la storia di
un bambino che, tra i tre e gli otto anni, evolve in maniera inaspettata, non solo musicalmente ma anche dal punto di vista di
una attività intellettuale che evidenzia una vivacissima capacità
di apprendimento trasversale.
Partiamo dal contesto familiare.
Il padre è Leopold Mozart: violinista di corte, un impiegato della musica. A metà ‘700 la musica in Europa era un’industria. La
musica si “faceva”, si componeva, si eseguiva, la si vendeva nelle
edizioni a stampa che producevano fatturato per le case editrici
in forte crescita aziendale.
In un mondo senza supporti audiovisivi, che per la nostra modernità sono acquisiti, la musica era permanentemente un’opera
dal vivo: dal salotto di casa, al salone di una corte, dalla tribuna
di un organo, al palcoscenico di un teatro. Leopold era un uomo
di buona cultura: ginnasio e liceo dai Gesuiti e corsi di filosofia
alla Università Benedettina di Salisburgo. Nell’anno in cui nasce
Mozart, 1756, Leopold edita un trattato sull’arte di suonare il vio8
lino. Il padre di Leopold, il nonno di Wolfgang, era un “maestro
rilegatore”, un fine artigiano dell’editoria capace di confezionare
opere di raffinato valore bibliotecario.
La mamma di Wolfgang, Anna Maria Pertl, figlia di un buon avvocato, vive la sua vita domestica in una zona d’ombra. Un ruolo
femminile tipico del tempo. La garanzia del buon andamento familiare. Una “comprimaria”. Salisburgo li definiva una bella coppia. Leopold fu in armonia con sua moglie. Ricordando il loro anniversario di matrimonio, le scrisse: «Oggi ricordiamo le nostre
nozze. Fu venticinque anni fa. Direi che avemmo l’ottima idea di
sposarci, ma ci stavamo pensando da un po’. Per le cose belle
vale la pena di aspettare!» Una coppia del ceto medio, della piccola borghesia settecentesca austriaca, con una forte attenzione
al decoro e alla possibilità di crescita economica.
Quindi il piccolo Mozart nasce e cresce in un contesto sereno.
Ma il rapporto “forte” è con il padre. L’immagine di autorevolezza
paterna la si potrebbe raccogliere dall’icona del segno filmico di
Milos Forman che “racconta” mirabilmente il “suo” Leopold in
“Amadeus” e molti anni dopo essa viene ripresa e rielaborata, in
altro contesto, da Mario Martone ne “Il giovane favoloso”, con
una descrizione di Monaldo Leopardi se possibile ancora più rigidamente inserito nell’ambiente di Recanati, tanto soffocante per
un altro giovane genio quale il figlio Giacomo.
Comunque, Wolfgang, il rigore, l’attaccamento al lavoro, lo prese
dall’ascendenza paterna. Quello con la mamma non si evidenzierà mai come rapporto fondamentale neppure davanti alla morte
della madre cui presenzierà, a Parigi, solo il giovane Mozart, in
un viaggio musicale finito senza successo e con la delusione di
non essere stato accolto dalla capitale francese. Ma dalla mamma prese il senso dell’umorismo, una certo gusto per la gioia di
vivere, l’ironia, il motto mordace e il sorriso. Decisamente diver9
so il rapporto del bimbo col padre: «Amava i genitori - ricorda la
sorella - e soprattutto suo padre, e lo amava così intensamente
che cantava a voce alta tutti i giorni prima di andare a letto, tant’è
che il padre doveva metterlo in piedi su una sedia. Leopold doveva sempre cantare la seconda parte [il controcanto, n.d.r.], e
quando questa cerimonia, che non si poteva mai tralasciare, era
finita, dava un bacio a suo padre con grande tenerezza e andava
a letto felice e contento. Il gioco andò avanti fino a che Wolfgang
ebbe dieci anni.»
Per cercare una fotografia più aderente al reale dell’infanzia di
un bambino precoce, abbiamo anche documenti di prima mano
e di chiara attendibilità, escludendo le testimonianze ottocentesche su una figura spesso “sacralizzata” di Mozart, frutto di una
campagna “pubblicitaria” cara al clima romantico che amava giocare sul mistero e sul miracolo del ragazzo di Salisburgo.
La testimone più attendibile è la sorella Nannerl (come la chiamavano in casa, diminutivo di Anna Maria), splendida pianista
anch’essa, valida musicalmente quanto il fratello minore (era più
anziana di quasi cinque anni).
Anticipo con uno scritto di Wolfgang Hildsheimer (1916-1991),
tra i più attendibili biografi della vicenda mozartiana, un “flash”
che sintetizza il vissuto infantile del musicista.
«Mozart conosceva poco altri bambini e nessun gioco al di fuori del
pianoforte e del violino. Responsabile di ciò non è però solo il padre Leopold, ma lui stesso ... Probabilmente a partire dai sei anni si
riusciva a fatica a distoglierlo dalla musica, ammesso che qualcuno
abbia tentato di farlo. Come autentico bambino prodigio, si rendeva
la vita difficile. Oltre a ciò fu istruito a comportarsi da adulto, secondo i principi educativi dell’epoca, e prese rapidamente le sembianze
di un adulto in miniatura: esteriormente un figurino.»
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Nannerl, la sorella legata a lui per tutta la vita, già anziana, rilascia in un’intervista la descrizione di alcuni aspetti della vita di
Wolfgang che possono stimolare la riflessione sul suo universo
di bimbo aperto alle cose del mondo. Vediamo come si dipana il
racconto sull’ideale palcoscenico di una casa salisburghese apparentemente simile a cento altre.
Wolfgang e il gioco
«Non si può rispondere alla domanda su passatempi preferiti da
mio fratello che non siano la passione per la musica. Non appena cominciò ad appassionarsi non provò più alcun interesse per
alcuna altra attività: per lui il resto era sepolto. Per attirare la
sua attenzione, perfino i trastulli infantili e i giochi con i balocchi dovevano avere un accompagnamento musicale. Quando noi
due spostavamo i suoi giocattoli e oggetti da una camera all’altra,
quello con le mani libere doveva cantare una marcia, o suonare
il violino, e così facevamo. Prima di allora, però, quando non si
era ancora accostato alla musica, apprezzava qualsiasi storiella,
purché fosse condita con un po’ di umorismo, e si dimenticava
di mangiare, bere e di tutto il resto ... Egli crebbe affezionandosi
a me. Talvolta mi domandava dieci volte al giorno se gli volevo
bene e se, per scherzo, alle volte gli dicevo di no, i suoi occhi luccicavano di lacrime ... Era sensibile e affettuoso.»
Wolfgang e la sua perizia musicale
«Come si comportava quando qualche adulto esprimeva il proprio stupore di fronte al suo talento e alla sua perizia musicale?
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Rispondo in tutta sincerità: dimostrava orgoglio e ambizione; per
soddisfarli, il modo più facile sarebbe stato farlo suonare davanti
a persone che capissero poco o niente di musica, ma egli non
voleva esibirsi se non per un pubblico molto competente; oppure
bisognava ingannarlo e fargli credere che lo fosse ...»
Tale sicurezza nel comunicare attraverso i suoni fu una della caratteristiche fondamentali dell’uomo Mozart, bilanciata dalla delusione di non essere compreso a fondo soprattutto nell’ultimo
scorcio di vita quando si sente abbandonato dal pubblico viennese che ne osservava anche una sempre più evidente sregolatezza
di vita.
Ma già da bambino la coscienza di sé come musicista è ben definita. A poco più di sei anni, durante una esibizione a Vienna alla
presenza dell’imperatore, Wolfgang chiese la presenza del compositore di corte Wagenseil: «Sto per suonare un suo concerto,
quindi penso che lei dovrebbe girare le pagine per me!» Non risulta che il piccolo risultasse antipatico, anzi la sua infantile professionalità lo rendeva accetto e coinvolgente. Certo l’apparente
sfrontatezza del piccolo mette in luce istanze del tutto personali
cui Mozart terrà fede per tutta la vita. «Caro papà, mi raccomando ... niente atteggiamenti servili, perché non li posso soffrire.»
Una intelligente spavalderia. Una costante che accompagnò il
compositore per tutta la vita.
Qualche volta il suo comportamento gli creò problemi: crescendo diventò un uomo complicato, con una personalità fortemente
articolata e complessa e con un’arte senza precedenti nel farsi
dei nemici. Di rado aveva da dir bene dei colleghi musicisti ma
essendo veramente il migliore sapeva altrettanto veramente ri12