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© 2011 Fandango Libri s.r.l.
Viale Gorizia 19
00198 Roma
Tutti i diritti riservati
ISBN 978-88-6044-250-5
Copertina:
immagine: grafica H-57 creative station
progetto grafico Studio Jellici
www.fandango.it
Valentina Maran
Premiata Macelleria Creativa
Fine di un glamour
Questo romanzo è liberamente ispirato a fatti di cronaca e vita vissuta.
Ogni riferimento a persone o cose è da considerarsi puramente casuale.
A Enzo Baldoni
Tu che cosa fai alla fine?
“Ma senti, adesso tu cos’è che fai?”
Mi fissa con l’occhio bovino di chi sta facendo una
domanda di rito dalla quale aspetta una risposta altrettanto generica.
Questo è il grande dramma di chi lavora in pubblicità: spiegare esattamente che cosa fai.
Qual è il tuo ruolo. In che cosa consiste la tua giornata.
Cosa generano le tue ore di fatica.
Perché c’è gente che ti paga per startene a inventare
cose.
“Ho fatto il nuovo spot che gira adesso, quello delle
patatine col tizio nel distributore.”
“Ah.”
Mi guarda e annuisce. In realtà non ha capito.
Temo che mia madre ancora non abbia messo a
fuoco che cosa faccio per sopravvivere.
Ma è da anni che non le chiedo soldi e tanto basta.
L’importante è non influire sul bilancio.
Lo so che avrebbe preferito facessi un lavoro come
mia sorella. Di lei si può vantare con le amiche: ha la
figlia infermiera che lavora in reparto, sa fare le inieTu che cosa fai alla fine?
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zioni, le flebo, le medicazioni. È lei che corre quando
qualcuno della famiglia ha bisogno di qualcosa che preveda più del semplice mercurocromo e di un cerotto
flexor per il mal di schiena.
“E l’altra figlia cosa fa?”, le chiedono le dirimpettaie
che non mi vedono mai.
“Fa la réclame.” E tanto vale per far dire loro un
“OOOOHHH!” stupito.
Poi tornano a parlare di mia sorella.
Una che fa l’infermiera salva le vite. Tu al massimo
salvi i budget.
E se qualcuno in famiglia sviene o sta male, tu di solito sei la stronza che arriva per ultima in ospedale perché ha avuto una riunione.
Dopo quattordici anni che faccio questo mestiere,
mia madre non ha capito che io gli spot li invento.
Ci prova ogni volta – lei e altri parenti di vario
grado – a chiedermi se posso fare loro dei biglietti da
visita o dei manifesti per le cose più disparate.
Perché fai la pubblicità, o no?
In realtà è vero che faccio la pubblicità, la réclame,
come la chiamano loro, ma non mi occupo delle immagini.
Mi occupo dei testi – di quelli radio, tv… dei titoli… insomma, della creatività dello spot.
In gergo sarei una copywriter. Una creativa, tanto
per dirla a parole nostre.
Siamo davanti alla tv, passa il mio spot della piastra
per capelli.
Urlo trionfale: “Quello l’ho fatto io!”.
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Premiata Macelleria Creativa
“Ah”, dice mia madre. “Ma a te non ti si vede!”
“No, mamma! Io l’ho pensato, l’ho inventato, è mia
l’idea!”
“Ah… Ma le scene?”
“Eh! Le ho inventate io!”
“Ma ti sei messa lì a girarlo?”
No, non posso neanche dirle che ha la figlia regista,
perché non lo sono.
“No, le ho pensate… cioè, ho deciso come dovevano
essere. Insomma, ho avuto l’IDEA!”
“Mh”, annuisce e mastica l’insalata.
Quando si comincia questo mestiere la vera difficoltà
è far capire che noi siamo l’incipit.
Che siamo quelli all’inizio della catena alimentare
del marketing.
Siamo quelli che danno il via alla macchina infernale.
Il cliente ha bisogno di pubblicizzare il prodotto.
Si rivolge all’agenzia, nella quale proliferano due specie di individui fondamentali: gli account e i creativi.
Gli account fondamentalmente sono un reparto di
contatto col cliente e gestiscono preventivi, costi, brief
(ovvero quei documenti dove il cliente dice ciò che
vuole e cosa deve vendere).
Poi ci siamo noi, quelli che si palesano alle riunioni
con le magliette dalle scritte sceme, quelli con la faccia
sfatta dalle nottate: i creativi.
È un termine che mi imbarazza usare in pubblico e
che genericamente uso solo nei corridoi d’agenzia.
È overpromise, come direbbe un account (ovvero
Tu che cosa fai alla fine?
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“una promessa al di sopra delle possibilità”. E quando
dici che sei creativa, ci puoi giurare che sei abbondantemente al di sopra di quello che sono le possibilità di
comprensione della gente).
I creativi pascolano principalmente in coppia.
Funzioniamo come i carabinieri, tra loro uno scrive
e l’altro legge, da noi uno scrive e l’altro disegna. O si
occupa maggiormente delle immagini.
Il copy (io) scrive e si occupa di testi, l’altro – l’art, si
occupa delle immagini.
Le coppie nelle agenzie nascono nei modi più disparati. Di solito da piccoli si viene messi insieme un po’
dal caso, un po’ dalle esigenze.
Capita che nascano coppie inossidabili che si amano
tutta la vita, o quasi.
Legami indelebili più forti dell’amicizia, che si trasformano in business e in successo. Coppie che si incontrano per caso, che scoprono un feeling incredibile
e che cominciano a sfornare buone idee, budget, premi
e clienti soddisfatti.
Ci sono coppie che durano il tempo di un lavoro e
poi cominciano a diventare insofferenti. E si lasciano.
Questo succede fondamentalmente quando lavori
fisso in un’agenzia, quando sei in un ingranaggio, in
una routine.
Ma io lavoro da sola da due anni a questa parte.
Sono diventata una libera professionista. Una freelance,
come si dice da noi.
Già.
E allora diventa ancora più difficile da spiegare.
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Premiata Macelleria Creativa
Cosa ci fa un copywriter spaiato?
Aspetta la chiamata in agenzia per qualche lavoro.
Magari per una sostituzione maternità. O per qualche
gara. Oppure perché hanno un carico di lavoro importante e si devono smarcare.
Già
Va così.
Magari finisci a scrivere i depliant del supermercato
vicino.
Quelli alla fine vanno sempre un casino.
“Ma adesso stai lavorando?”
“Sto facendo delle cosette, un giornale, un paio di
spot in 3D…”
“In tre cosa?”
“3D mamma, animazione digitale, tutto al computer.”
“Ah”, e mastica un pezzo della sua bistecca mentre
fissa la puntata de La stangata.
Mi avrebbe voluta commessa.
O maestra.
Oppure parrucchiera.
Non credo che si sarebbe aspettata nessun altro futuro per me.
Quando sono andata al primo colloquio a Milano ricordo che mi ha detto: “Ma non hai paura di perderti?”.
Milano, a chi abita in provincia come noi, sembra
sempre più grande di quello che è.
No, non ho più paura di perdermi.
Non ne ho avuta mai. Da anni ormai faccio la pendolare perché a Milano non ci sono mai voluta andare
a vivere.
Tu che cosa fai alla fine?
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Ha rinunciato anche a considerarmi una scrittrice
visto che l’unico libro che ho pubblicato era un libro
di racconti erotici.
Anche questa è la classica cosa di cui lei non può
vantarsi con le amiche.
Se l’è comprata una copia del libro quando è uscito.
L’ha aperto, ha letto le prime righe e poi l’ha chiuso.
E mi ha detto: “Sono sicura che è molto bello”.
Tutto qui.
“Vuoi una mozzarella?”
“Ok.”
I nostri dialoghi sono fatti di questo, semplici frasi
brevi di pura cortesia.
Unico territorio dove possiamo incontrarci.
Non saprei dire di che target faccia parte mia madre.
Perché ciascuno di noi, secondo delle precise statistiche di ricerca, è ascrivibile a un gruppo preciso, con
delle caratteristiche determinate da età, ceto sociale,
istruzione, luogo di nascita, abitudini di vita e di spesa.
Mi sono capitate una volta per le mani e ho giurato
di non leggerne mai più una, per la tristezza immonda
che ne deriva.
Perché in un bel po’ di cose ti ci ritrovi e vedersi classificati in una casella che definisce quello che sei e
quello che fai è decisamente poco simpatico.
Prende la mozzarella.
La scarta, la scola, la mette in una tazza e me la
porge.
È fatta così: odia cucinare e riversa nel cibo la sua incomprensione universale.
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Premiata Macelleria Creativa
Come diavolo faccio a mangiare una mozzarella dentro a una tazza?!
La tolgo da lì e la metto sul piatto.
Lei va avanti a guardare la tv.
Passa una pubblicità di calze con una specie di musical con gente che si gratta perché la biancheria pizzica.
Lo spot è tremendo.
Nessun messaggio chiaro.
Nessuna creatività.
La solita filastrocca in musica.
Ride, si gira e mi chiede
“E questa l’hai fatta tu?”
Alle varie delusioni che le ho dato nella vita, si aggiunge anche questa.
“Grazie a dio no, mamma.”
“Ah.”
Mastica un pezzo di pane e torna a fissare la tv.
Valle a spiegare che il lascito di Carosello per un creativo è qualcosa da dimenticare.
Canzoncine, storielle che nulla hanno a che vedere
con il prodotto, slogan in rima.
Il peggio che la creatività italiana potesse partorire
mentre all’estero avevano Bernbach, quello della pubblicità della Volkswagen che ha fatto storia con i suoi
annunci rivoluzionari.
Sono quasi le dieci di sera.
Mi alzo.
Domani c’è una gara per l’acquisizione di un budget
e probabilmente non ci sentiremo per almeno un mese.
“Ciao mamma, vado.”
Tu che cosa fai alla fine?
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“Vai, ok. Quando ci vediamo?”
“No so… quando capito.”
Non ha indovinato la parola chiave de La stangata.
Se ne fa una ragione, visto che neanche il concorrente c’è riuscito.
Chissà quale pubblicità l’ha portata a comprare la
mozzarella triste.
Chissà che cosa la incuriosisce quando si divincola
tra gli scaffali dell’Iper.
Chissà se una mia pubblicità l’ha mai convinta a
comprarsi qualcosa.
Chissà se è fiera di me. Anche se non so fare le iniezioni.
Mi accompagna alla porta e mi bacia sulla guancia.
“Notte allora. E buon lavoro!”
E tra le righe penserà: “Sì, qualsiasi cosa voglia dire”.
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Premiata Macelleria Creativa
La verità
“Posso dire che annulla le irritazioni?”
“No, non è esatto.”
“Che annienta i batteri?”
“No, non è corretto neanche questo, il legale non ce
lo passa…”
La ricercatrice è irremovibile.
Più dei suoi dati statistici può solo l’opinione dell’avvocato.
“Ma toglie i batteri.”
“Sì, ma non al 100%. Se facciamo vedere una demo
di prodotto alcuni li dobbiamo lasciare. E poi non abbiamo mai la certezza assoluta che i nostri concorrenti
abbiano fatto di meglio: magari registrano le prestazioni del loro prodotto il giorno prima di noi e noi
non lo sappiamo. Ci possono fare causa. Idem i
clienti.”
“Quindi cosa posso dire?”
“Che abbassa il livello di irritabilità. Dovrebbe andare bene. O meglio, la sensazione di irritabilità. Così
siamo ancora più al sicuro.”
La verità è che in pubblicità non si dice la verità.
O meglio: la si dice un po’ rarefatta.
La verità
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Cioè, non è che si dicano cose false, ma si dicono
cose edulcorate.
La pubblicità galleggia nei sinonimi, perché sono
quelli che ti salvano dalle cause legali.
La parte di offerte più promettenti passano sempre
anche sulla scrivania di un avvocato che verifica e decide che parole si possono usare.
Si, perché ci sono parole più o meno giuste.
Più o meno corrette.
Più o meno a rischio.
Se usi la parola sbagliata sei a rischio deflagrazione.
Può scoppiare un casino se qualcuno ti fa causa e la
vince.
È verità se devi usare parole precise invece di altre
per raccontare una cosa?
Sei davvero con la coscienza a posto quando lo fai?
Un’auto non inquinante è così perché ha un “filtro
antiparticolato che riduce le emissioni inquinanti a un
livello strumentalmente non misurabile”. Non è proprio proprio che quell’auto non inquini. Vuol dire che
non è ancora stato inventato un apparecchio scientifico
in grado di misurare l’inquinamento prodotto da quella
polvere sottile, e le macchine usate per misurare i fumi
emessi registrano un valore vicino allo zero. È come se
fossero dei setacci a maglia larga e l’auto producesse pagliuzze finissime.
Loro ve l’hanno detto. Poi fate voi.
Anche le creme anticellulite non vi fanno dimagrire.
“Snelliscono la silhouette.” Ossia, vi spalmano il grasso
un po’ in tutto il corpo. Se siete brave datevi da fare a
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Premiata Macelleria Creativa
spostare le masse grasse verso le tette. Così risolvete due
problemi in uno.
I prezzi sono sempre “a partire da”. Perché il modello
base è quello che nessuno si compra. E non è neanche
quello della fotografia. Quello è il modello superfigo “solo
a scopo illustrativo”. Se volete, ordinatelo e aspettate.
Quando qualcosa ha un effetto specifico, questo
dura “a lungo”. Che è come dire da qui a lì. Qualcuno
ha idea di quante ore compongano “a lungo”? No?
Ecco. Allora va bene.
I deodoranti non eliminano i batteri, al massimo li
riducono, o meglio, li attenuano, anzi, aiutano a sentirsi meglio, oppure migliorano la sensazione di freschezza.
Che è tutto e niente.
Se notate infatti nelle pubblicità con la cosiddetta
“demo di prodotto” dove si vede una sorta di schemino
esemplificativo dell’azione del prodotto contro i batteri,
questi non vengono mai tolti del tutto. Ne resta sempre
qualcuno piccolo ai margini, altrimenti potrebbero accusarvi di dire il falso. E noi non lo vogliamo.
Diciamo solo la verità.
La nostra.
Nessuno ti dà una brillantezza così, vale per tutti.
L’importante è che io non faccia nomi e cognomi,
ma spari a casaccio nel mucchio.
I detersivi sono più piccoli e più concentrati e te ne
basta meno. Uno ZIC.
Ok.
Ma io quando lavo i piatti faccio ZIC! con il flacone
La verità
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grosso, e lo faccio anche col flacone piccolo.
Quindi o mi danno un misurino da riempire oppure
il mio ZIC! è ZIC! col piccolo tanto quanto col grosso.
E ne consumo uguale. Solo che poi il piccolo finisce
drasticamente prima.
I detersivi da bucato lavano più bianco. Di chi e di
cosa non è dato sapere.
I prodotti cucinati poi sono fantastici.
A proposito, avete mai fatto caso alla pubblicità del
celebre riso, quello declamato da un famoso presentatore corpacciuto?
Ecco, lui finge di essere in una risaia.
Peccato che il riso cresca in trenta centimetri d’acqua. E lui è all’asciutto.
In un campo di altro genere. Forse frumento.
Avete presente poi la fantastica colata di cioccolato
fuso in quel cioccolatino tondo? Quello famoso nella
carta rossa dall’irresistibile scioglievolezza?
Ecco, il cioccolato fuso emette fumo. Lì no. Non è
cioccolato.
Però fa venire l’acquolina.
Come i prosciutti, che spesso sono modellini di plastica, idem i gelati.
Come potete pensare che un gelato resista sotto le
luci dei riflettori mentre si gira?
È tutta plastica.
Tutto finto per ovvie ragioni di ripresa.
Mentre altre volte si arriva al limite della paranoia:
per un dado da brodo, sul set arriva l’esperto che misura la grandezza dell’occhio di grasso.
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Premiata Macelleria Creativa
Se non è abbastanza esteso, si deve ripreparare il
brodo attendendo l’occhiata della giusta dimensione.
Le strade dove si guidano le auto sono sempre vuote,
e se si vedono altri marchi vanno cancellati per evitare
cause legali.
Le foto sono sempre ritoccate.
Nessuna esclusa.
Ci si arma di trucchi, un po’ per fare più bello quello
che non lo è così tanto, un po’ perché ci sono degli oggettivi problemi nel girare uno spot. O nel fare una foto.
Non tutti i prodotti sono fotogenici.
E non tutti i prodotti sono fatti per mostrarsi davvero a nudo.
Ma la vera parte forte di uno spot non è mai la “parte
prodotto”: spesso quella è la più noiosa.
La cosa più divertente da fare è assistere alla scelta
dei casting in agenzia.
Non so se avete mai partecipato a un casting, ma vi
assicuro che, una volta visto quello che succede dall’altra parte, passa la voglia di stare lì a farsi riprendere.
Alcuni ci credono proprio e lo vivono come un vero
e proprio trampolino di lancio.
Solitamente quando si cerca il protagonista di uno
spot si dà alla casa di produzione una sorta di identikit
del personaggio:
età apparente, forma fisica, aspetto, capacità atletiche
o recitative, se utili per l’economia dello spot.
La casa di produzione si attiva e qualche giorno dopo
torna con una serie di scelte.
Nella mia agenzia rimase celebre un video di aspiLa verità
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ranti attrici di uno spot per biscotti da prima colazione
dedicati alla famiglia.
Casting fatto in Cecoslovacchia.
Il video tutt’ora è introvabile in agenzia: è finito tra
le personalissime videocassette di qualche amante dell’hard.
Motivo? Le aspiranti erano bellissime e abituate a
presentarsi a casting per film porno.
Si presentarono nel modo più succinto possibile.
Si mormora tutt’oggi che alcune fossero a seno nudo.
Da noi è rimasto un po’ come il Sacro Graal: tutti
ne parlano ma nessuna sa dove sia.
Lo spot comunque è stato girato.
Ed è passato del tutto inosservato.
Nell’economia normale del lavoro, quando il video
col casting scorre, partono anche gli improperi più incredibili.
Dovreste vedere cosa succede nelle riunioni dove si
guardano questi filmati.
Si sente di tutto: dai commenti più osceni a quelli
davvero impossibili da riportare.
Se siete tra quelli che vanno a fare i casting nella speranza di essere presi per uno spot, ricordatevi che la vostra immagine non sarà trattata bene, almeno durante
le riunioni preliminari.
Non cercate di fare troppo i brillanti, vi massacreranno.
Non ci sono consigli da dare poi sul come farsi selezionare.
Il segreto è piacere al cliente. E per quello davvero
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Premiata Macelleria Creativa
non c’è alcuna dritta valida.
Solo incrociare le dita e sperare di essere la persona
giusta.
Certo, poi qualcuno è diventato famoso partendo
dal Maxibon o dal proprio sedere scoperto per una
pubblicità di perizomi. Ma sono davvero pochi.
Ma la magia della pubblicità non è solo nelle immagini: anche le parole e soprattutto i neologismi hanno
i loro perché.
In anni di lavoro ho visto coniare: “La biscomerenda” che chiaramente fa riferimento al momento di
consumo e alla tipologia di prodotto.
Fare piazza pulita delle merendine, questa è la parola
d’ordine. E allora via ogni dubbio sul fatto che i biscotti
possano essere confusi con quelli per la colazione. No,
c’è biscotto e biscotto. E c’è la biscomerenda. Che si
mangia alle quattro del pomeriggio.
C’è la “Morbistenza”, la resistenza che però è ricca
di morbidezza.
E “l’incredibile scioglievolezza”. Roba che se l’avessi
scritta io in un tema in quinta elementare m’avrebbero
bocciata. Ma la pubblicità può fare questo e altro.
Ma da chi sono comandate queste grosse e grasse
macchine che producono beni di consumo di ogni
tipo?
Di solito sono multinazionali.
Oppure ditte famigliari cresciute a dismisura dove
all’apice si trovano padre padrone, figli e cognate.
O ancora società passate di mano in mano, che vantano un’italianità indefessa e fanno pessima comunicaLa verità
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zione perché hanno pessimi direttori generali.
Quasi mai c’è gente che capisce di comunicazione.
Spesso ci sono persone molto capaci a livello di finanza.
Talvolta neanche quello.
Ma uno, soprattutto, è il più inquietante di tutti.
La dovete sapere la verità sulla pubblicità.
Dovete sapere chi vi manda in giro con le braccia alzate a urlare “fermo lì, sudore!”.
Chi opera alle vostre spalle mentre vi rifila la cioccolata spalmabile che amate da quando siete bambini.
Quelli che giurano che impastano ancora a mano i tortellini.
Sono i Signori Burns della pubblicità italiana, o meglio, gli immortali delle grandi marche del mercato, che
vi stanno accanto da quando siete nati.
Dovete conoscere, in particolare, di una di queste
aziende piramidali, che copre la maggior parte dei prodotti che usate.
Un’azienda con i pavimenti in linoleum al primo
piano, con parquet al secondo e col marmo al terzo, via
via che si va più su.
Dovete sapere che il piano dove sta il grande capo
ha le porte insonorizzate e bisogna parlare bisbigliando.
Dovete conoscere la corte dei miracoli di chi sta
sotto:
nane petulanti che stanno a capo del gruppo ricerche, donne grasse, brutte, insoddisfatte e cafone che
vendono prodotti snellenti e per la bellezza del corpo.
Codardi senza carattere dalla doppia faccia che ogni
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Premiata Macelleria Creativa
sera devono svuotare completamente la scrivania per
evitare che quelli delle pulizie facciano spionaggio.
Neanche fossero alla NASA.
È gente che non può tenere niente di personale sulla
scrivania, neanche la foto dei figli.
Dovete sapere chi c’è dietro quelle pubblicità con la
ragazzina che saltella felice vicino al bidet.
Dovete sapere che dietro quegli spot dove annunciano che il deodorante è fatto apposta per voi c’è un
uomo di novanta anni che si fa periodicamente pulire
il sangue.
Ci sono vecchi immortali che non sanno cos’è un
computer, che danno dell’idiota alla figlia sessantenne
dicendo che non sarà mai in grado di guidare l’azienda,
e che pretendono che tutti si alzino in piedi quando
fanno il loro ingresso in una riunione.
Vengono chiamati “La Proprietà”, perché il nome
non può essere pronunciato invano. E mai in pubblico.
Lo decidono con le tabelle in mano e col cronometro
nel palmo, se uno spot vi piacerà.
Prima di fare una cosa qualsiasi, sappiate che vi
hanno già incasellati, misurati, sondati.
Ci sono uomini, anzi, vecchi, ottuagenari che ancora
impastano la farina o il cioccolato e hanno accanto una
schiera di dieci vecchi amici che devono assaggiare e
votare.
Ma nessun voto più basso di otto viene accettato.
C’è gente di quaranta anni che viene presa a scappellotti dal capo, se sbaglia qualcosa.
Ci sono persone che quando arrivano a una soglia
La verità
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minima di potere, tiranneggiano, urlando, imponendo
decisioni a caso, entrando nelle riunioni distribuendo
il proprio biglietto da visita e dicendo: “Così finalmente capirete chi sono io”.
Impacchettano e scelgono prodotti da specialisti,
perché solo loro vi capiscono veramente, ma poi non
aprono un blog sul sito di quello che vi vendono per il
terrore che la gente possa dare la propria obiettiva opinione sulle cose che non vanno.
Insistono a spendere ottocentomila euro per girare
quattro secondi di una nocciola che cade nel cioccolato,
perché pensano che così facendo voi siate più invogliati
a comprare.
Siete in mano a della gente triste, che ogni tre mesi
ha il terrore di vedersi cambiare di posto e di ruolo.
Siete in mano a quelli che vogliono il super un po’
più grande perché si deve leggere meglio.
Spesso vi credono stupidi, loro per primi.
Ogni volta che prendete un deodorante neutro famoso, o un barattolo di cioccolata spalmabile, o una
qualsiasi delle cose che raccattate ormai automaticamente dallo scaffale, pensate che lì dietro c’è una
schiera di persone tristi, con a capo un vecchio dinosauro che si ostina a non morire.
Oppure qualche Direttore Generale rampante che
per aizzare i suoi dice che devono fare come la straordinaria vittoria di Napoleone a Waterloo, ignorando
che quella fu l’inizio della fine.
Quella gente andrà avanti a farvi vedere la famiglia fe24
Premiata Macelleria Creativa
lice perché è nel loro immaginario.
Sì, è vero, molti di loro “si sono fatti da soli” da
quando avevano vent’anni e hanno costruito un impero. Ma è vero anche che i tempi cambiano e chi compra i loro prodotti non sono le stesse famiglie felici, ma
sempre più spesso sono single o famiglie spaiate, fatte
di padri a ore e madri in prestito per i week-end.
La loro ricetta è sempre quella artigianale dell’inizio.
Almeno nella loro testa.
Voi no.
Voi siete tutt’altra generazione.
Pensateci ogni volta che comprate la stessa cosa che
prendete ormai da anni, da quando siete piccoli.
E fatemi una cortesia: quando c’è qualche ricerca di
mercato, mentite.
La verità
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Indice
Tu che cosa fai alla fine?
La verità
Non è sempre colpa dei creativi
Negroni
Cazzo, che campagna!
Nomi in codice
Bin Laden è un creativo della madonna
Account Outlet
Che cosa avrà voluto dire?
Ma tu ci vai a Cannes?
L’altra metà che ti può capitare
Tutto il resto è noia®
Biscotti italiani a Cuba
Ci sarà figa a Baghdad?
La birra da donne
Shortlist, poca roba
Tanto sono amiche di Fabio
Va tutti benissimo
Non mi ci riconosco
Perché loro sì che sono il canale gggiovane
Ce l’abbiamo nel culo
L’utilizzatore finale
Al nipote del capo non piace
Puliti puliti
“Puoi venire un attimo di là?”
E graaaazie, neh?
Eh?! Ovvero: Glossario
7
15
26
36
43
49
58
66
75
88
101
119
122
131
137
152
158
165
175
182
189
206
212
226
238
248
250
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