leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it 45 © 2011 Fandango Libri s.r.l. Viale Gorizia 19 00198 Roma Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-6044-250-5 Copertina: immagine: grafica H-57 creative station progetto grafico Studio Jellici www.fandango.it Valentina Maran Premiata Macelleria Creativa Fine di un glamour Questo romanzo è liberamente ispirato a fatti di cronaca e vita vissuta. Ogni riferimento a persone o cose è da considerarsi puramente casuale. A Enzo Baldoni Tu che cosa fai alla fine? “Ma senti, adesso tu cos’è che fai?” Mi fissa con l’occhio bovino di chi sta facendo una domanda di rito dalla quale aspetta una risposta altrettanto generica. Questo è il grande dramma di chi lavora in pubblicità: spiegare esattamente che cosa fai. Qual è il tuo ruolo. In che cosa consiste la tua giornata. Cosa generano le tue ore di fatica. Perché c’è gente che ti paga per startene a inventare cose. “Ho fatto il nuovo spot che gira adesso, quello delle patatine col tizio nel distributore.” “Ah.” Mi guarda e annuisce. In realtà non ha capito. Temo che mia madre ancora non abbia messo a fuoco che cosa faccio per sopravvivere. Ma è da anni che non le chiedo soldi e tanto basta. L’importante è non influire sul bilancio. Lo so che avrebbe preferito facessi un lavoro come mia sorella. Di lei si può vantare con le amiche: ha la figlia infermiera che lavora in reparto, sa fare le inieTu che cosa fai alla fine? 7 zioni, le flebo, le medicazioni. È lei che corre quando qualcuno della famiglia ha bisogno di qualcosa che preveda più del semplice mercurocromo e di un cerotto flexor per il mal di schiena. “E l’altra figlia cosa fa?”, le chiedono le dirimpettaie che non mi vedono mai. “Fa la réclame.” E tanto vale per far dire loro un “OOOOHHH!” stupito. Poi tornano a parlare di mia sorella. Una che fa l’infermiera salva le vite. Tu al massimo salvi i budget. E se qualcuno in famiglia sviene o sta male, tu di solito sei la stronza che arriva per ultima in ospedale perché ha avuto una riunione. Dopo quattordici anni che faccio questo mestiere, mia madre non ha capito che io gli spot li invento. Ci prova ogni volta – lei e altri parenti di vario grado – a chiedermi se posso fare loro dei biglietti da visita o dei manifesti per le cose più disparate. Perché fai la pubblicità, o no? In realtà è vero che faccio la pubblicità, la réclame, come la chiamano loro, ma non mi occupo delle immagini. Mi occupo dei testi – di quelli radio, tv… dei titoli… insomma, della creatività dello spot. In gergo sarei una copywriter. Una creativa, tanto per dirla a parole nostre. Siamo davanti alla tv, passa il mio spot della piastra per capelli. Urlo trionfale: “Quello l’ho fatto io!”. 8 Premiata Macelleria Creativa “Ah”, dice mia madre. “Ma a te non ti si vede!” “No, mamma! Io l’ho pensato, l’ho inventato, è mia l’idea!” “Ah… Ma le scene?” “Eh! Le ho inventate io!” “Ma ti sei messa lì a girarlo?” No, non posso neanche dirle che ha la figlia regista, perché non lo sono. “No, le ho pensate… cioè, ho deciso come dovevano essere. Insomma, ho avuto l’IDEA!” “Mh”, annuisce e mastica l’insalata. Quando si comincia questo mestiere la vera difficoltà è far capire che noi siamo l’incipit. Che siamo quelli all’inizio della catena alimentare del marketing. Siamo quelli che danno il via alla macchina infernale. Il cliente ha bisogno di pubblicizzare il prodotto. Si rivolge all’agenzia, nella quale proliferano due specie di individui fondamentali: gli account e i creativi. Gli account fondamentalmente sono un reparto di contatto col cliente e gestiscono preventivi, costi, brief (ovvero quei documenti dove il cliente dice ciò che vuole e cosa deve vendere). Poi ci siamo noi, quelli che si palesano alle riunioni con le magliette dalle scritte sceme, quelli con la faccia sfatta dalle nottate: i creativi. È un termine che mi imbarazza usare in pubblico e che genericamente uso solo nei corridoi d’agenzia. È overpromise, come direbbe un account (ovvero Tu che cosa fai alla fine? 9 “una promessa al di sopra delle possibilità”. E quando dici che sei creativa, ci puoi giurare che sei abbondantemente al di sopra di quello che sono le possibilità di comprensione della gente). I creativi pascolano principalmente in coppia. Funzioniamo come i carabinieri, tra loro uno scrive e l’altro legge, da noi uno scrive e l’altro disegna. O si occupa maggiormente delle immagini. Il copy (io) scrive e si occupa di testi, l’altro – l’art, si occupa delle immagini. Le coppie nelle agenzie nascono nei modi più disparati. Di solito da piccoli si viene messi insieme un po’ dal caso, un po’ dalle esigenze. Capita che nascano coppie inossidabili che si amano tutta la vita, o quasi. Legami indelebili più forti dell’amicizia, che si trasformano in business e in successo. Coppie che si incontrano per caso, che scoprono un feeling incredibile e che cominciano a sfornare buone idee, budget, premi e clienti soddisfatti. Ci sono coppie che durano il tempo di un lavoro e poi cominciano a diventare insofferenti. E si lasciano. Questo succede fondamentalmente quando lavori fisso in un’agenzia, quando sei in un ingranaggio, in una routine. Ma io lavoro da sola da due anni a questa parte. Sono diventata una libera professionista. Una freelance, come si dice da noi. Già. E allora diventa ancora più difficile da spiegare. 10 Premiata Macelleria Creativa Cosa ci fa un copywriter spaiato? Aspetta la chiamata in agenzia per qualche lavoro. Magari per una sostituzione maternità. O per qualche gara. Oppure perché hanno un carico di lavoro importante e si devono smarcare. Già Va così. Magari finisci a scrivere i depliant del supermercato vicino. Quelli alla fine vanno sempre un casino. “Ma adesso stai lavorando?” “Sto facendo delle cosette, un giornale, un paio di spot in 3D…” “In tre cosa?” “3D mamma, animazione digitale, tutto al computer.” “Ah”, e mastica un pezzo della sua bistecca mentre fissa la puntata de La stangata. Mi avrebbe voluta commessa. O maestra. Oppure parrucchiera. Non credo che si sarebbe aspettata nessun altro futuro per me. Quando sono andata al primo colloquio a Milano ricordo che mi ha detto: “Ma non hai paura di perderti?”. Milano, a chi abita in provincia come noi, sembra sempre più grande di quello che è. No, non ho più paura di perdermi. Non ne ho avuta mai. Da anni ormai faccio la pendolare perché a Milano non ci sono mai voluta andare a vivere. Tu che cosa fai alla fine? 11 Ha rinunciato anche a considerarmi una scrittrice visto che l’unico libro che ho pubblicato era un libro di racconti erotici. Anche questa è la classica cosa di cui lei non può vantarsi con le amiche. Se l’è comprata una copia del libro quando è uscito. L’ha aperto, ha letto le prime righe e poi l’ha chiuso. E mi ha detto: “Sono sicura che è molto bello”. Tutto qui. “Vuoi una mozzarella?” “Ok.” I nostri dialoghi sono fatti di questo, semplici frasi brevi di pura cortesia. Unico territorio dove possiamo incontrarci. Non saprei dire di che target faccia parte mia madre. Perché ciascuno di noi, secondo delle precise statistiche di ricerca, è ascrivibile a un gruppo preciso, con delle caratteristiche determinate da età, ceto sociale, istruzione, luogo di nascita, abitudini di vita e di spesa. Mi sono capitate una volta per le mani e ho giurato di non leggerne mai più una, per la tristezza immonda che ne deriva. Perché in un bel po’ di cose ti ci ritrovi e vedersi classificati in una casella che definisce quello che sei e quello che fai è decisamente poco simpatico. Prende la mozzarella. La scarta, la scola, la mette in una tazza e me la porge. È fatta così: odia cucinare e riversa nel cibo la sua incomprensione universale. 12 Premiata Macelleria Creativa Come diavolo faccio a mangiare una mozzarella dentro a una tazza?! La tolgo da lì e la metto sul piatto. Lei va avanti a guardare la tv. Passa una pubblicità di calze con una specie di musical con gente che si gratta perché la biancheria pizzica. Lo spot è tremendo. Nessun messaggio chiaro. Nessuna creatività. La solita filastrocca in musica. Ride, si gira e mi chiede “E questa l’hai fatta tu?” Alle varie delusioni che le ho dato nella vita, si aggiunge anche questa. “Grazie a dio no, mamma.” “Ah.” Mastica un pezzo di pane e torna a fissare la tv. Valle a spiegare che il lascito di Carosello per un creativo è qualcosa da dimenticare. Canzoncine, storielle che nulla hanno a che vedere con il prodotto, slogan in rima. Il peggio che la creatività italiana potesse partorire mentre all’estero avevano Bernbach, quello della pubblicità della Volkswagen che ha fatto storia con i suoi annunci rivoluzionari. Sono quasi le dieci di sera. Mi alzo. Domani c’è una gara per l’acquisizione di un budget e probabilmente non ci sentiremo per almeno un mese. “Ciao mamma, vado.” Tu che cosa fai alla fine? 13 “Vai, ok. Quando ci vediamo?” “No so… quando capito.” Non ha indovinato la parola chiave de La stangata. Se ne fa una ragione, visto che neanche il concorrente c’è riuscito. Chissà quale pubblicità l’ha portata a comprare la mozzarella triste. Chissà che cosa la incuriosisce quando si divincola tra gli scaffali dell’Iper. Chissà se una mia pubblicità l’ha mai convinta a comprarsi qualcosa. Chissà se è fiera di me. Anche se non so fare le iniezioni. Mi accompagna alla porta e mi bacia sulla guancia. “Notte allora. E buon lavoro!” E tra le righe penserà: “Sì, qualsiasi cosa voglia dire”. 14 Premiata Macelleria Creativa La verità “Posso dire che annulla le irritazioni?” “No, non è esatto.” “Che annienta i batteri?” “No, non è corretto neanche questo, il legale non ce lo passa…” La ricercatrice è irremovibile. Più dei suoi dati statistici può solo l’opinione dell’avvocato. “Ma toglie i batteri.” “Sì, ma non al 100%. Se facciamo vedere una demo di prodotto alcuni li dobbiamo lasciare. E poi non abbiamo mai la certezza assoluta che i nostri concorrenti abbiano fatto di meglio: magari registrano le prestazioni del loro prodotto il giorno prima di noi e noi non lo sappiamo. Ci possono fare causa. Idem i clienti.” “Quindi cosa posso dire?” “Che abbassa il livello di irritabilità. Dovrebbe andare bene. O meglio, la sensazione di irritabilità. Così siamo ancora più al sicuro.” La verità è che in pubblicità non si dice la verità. O meglio: la si dice un po’ rarefatta. La verità 15 Cioè, non è che si dicano cose false, ma si dicono cose edulcorate. La pubblicità galleggia nei sinonimi, perché sono quelli che ti salvano dalle cause legali. La parte di offerte più promettenti passano sempre anche sulla scrivania di un avvocato che verifica e decide che parole si possono usare. Si, perché ci sono parole più o meno giuste. Più o meno corrette. Più o meno a rischio. Se usi la parola sbagliata sei a rischio deflagrazione. Può scoppiare un casino se qualcuno ti fa causa e la vince. È verità se devi usare parole precise invece di altre per raccontare una cosa? Sei davvero con la coscienza a posto quando lo fai? Un’auto non inquinante è così perché ha un “filtro antiparticolato che riduce le emissioni inquinanti a un livello strumentalmente non misurabile”. Non è proprio proprio che quell’auto non inquini. Vuol dire che non è ancora stato inventato un apparecchio scientifico in grado di misurare l’inquinamento prodotto da quella polvere sottile, e le macchine usate per misurare i fumi emessi registrano un valore vicino allo zero. È come se fossero dei setacci a maglia larga e l’auto producesse pagliuzze finissime. Loro ve l’hanno detto. Poi fate voi. Anche le creme anticellulite non vi fanno dimagrire. “Snelliscono la silhouette.” Ossia, vi spalmano il grasso un po’ in tutto il corpo. Se siete brave datevi da fare a 16 Premiata Macelleria Creativa spostare le masse grasse verso le tette. Così risolvete due problemi in uno. I prezzi sono sempre “a partire da”. Perché il modello base è quello che nessuno si compra. E non è neanche quello della fotografia. Quello è il modello superfigo “solo a scopo illustrativo”. Se volete, ordinatelo e aspettate. Quando qualcosa ha un effetto specifico, questo dura “a lungo”. Che è come dire da qui a lì. Qualcuno ha idea di quante ore compongano “a lungo”? No? Ecco. Allora va bene. I deodoranti non eliminano i batteri, al massimo li riducono, o meglio, li attenuano, anzi, aiutano a sentirsi meglio, oppure migliorano la sensazione di freschezza. Che è tutto e niente. Se notate infatti nelle pubblicità con la cosiddetta “demo di prodotto” dove si vede una sorta di schemino esemplificativo dell’azione del prodotto contro i batteri, questi non vengono mai tolti del tutto. Ne resta sempre qualcuno piccolo ai margini, altrimenti potrebbero accusarvi di dire il falso. E noi non lo vogliamo. Diciamo solo la verità. La nostra. Nessuno ti dà una brillantezza così, vale per tutti. L’importante è che io non faccia nomi e cognomi, ma spari a casaccio nel mucchio. I detersivi sono più piccoli e più concentrati e te ne basta meno. Uno ZIC. Ok. Ma io quando lavo i piatti faccio ZIC! con il flacone La verità 17 grosso, e lo faccio anche col flacone piccolo. Quindi o mi danno un misurino da riempire oppure il mio ZIC! è ZIC! col piccolo tanto quanto col grosso. E ne consumo uguale. Solo che poi il piccolo finisce drasticamente prima. I detersivi da bucato lavano più bianco. Di chi e di cosa non è dato sapere. I prodotti cucinati poi sono fantastici. A proposito, avete mai fatto caso alla pubblicità del celebre riso, quello declamato da un famoso presentatore corpacciuto? Ecco, lui finge di essere in una risaia. Peccato che il riso cresca in trenta centimetri d’acqua. E lui è all’asciutto. In un campo di altro genere. Forse frumento. Avete presente poi la fantastica colata di cioccolato fuso in quel cioccolatino tondo? Quello famoso nella carta rossa dall’irresistibile scioglievolezza? Ecco, il cioccolato fuso emette fumo. Lì no. Non è cioccolato. Però fa venire l’acquolina. Come i prosciutti, che spesso sono modellini di plastica, idem i gelati. Come potete pensare che un gelato resista sotto le luci dei riflettori mentre si gira? È tutta plastica. Tutto finto per ovvie ragioni di ripresa. Mentre altre volte si arriva al limite della paranoia: per un dado da brodo, sul set arriva l’esperto che misura la grandezza dell’occhio di grasso. 18 Premiata Macelleria Creativa Se non è abbastanza esteso, si deve ripreparare il brodo attendendo l’occhiata della giusta dimensione. Le strade dove si guidano le auto sono sempre vuote, e se si vedono altri marchi vanno cancellati per evitare cause legali. Le foto sono sempre ritoccate. Nessuna esclusa. Ci si arma di trucchi, un po’ per fare più bello quello che non lo è così tanto, un po’ perché ci sono degli oggettivi problemi nel girare uno spot. O nel fare una foto. Non tutti i prodotti sono fotogenici. E non tutti i prodotti sono fatti per mostrarsi davvero a nudo. Ma la vera parte forte di uno spot non è mai la “parte prodotto”: spesso quella è la più noiosa. La cosa più divertente da fare è assistere alla scelta dei casting in agenzia. Non so se avete mai partecipato a un casting, ma vi assicuro che, una volta visto quello che succede dall’altra parte, passa la voglia di stare lì a farsi riprendere. Alcuni ci credono proprio e lo vivono come un vero e proprio trampolino di lancio. Solitamente quando si cerca il protagonista di uno spot si dà alla casa di produzione una sorta di identikit del personaggio: età apparente, forma fisica, aspetto, capacità atletiche o recitative, se utili per l’economia dello spot. La casa di produzione si attiva e qualche giorno dopo torna con una serie di scelte. Nella mia agenzia rimase celebre un video di aspiLa verità 19 ranti attrici di uno spot per biscotti da prima colazione dedicati alla famiglia. Casting fatto in Cecoslovacchia. Il video tutt’ora è introvabile in agenzia: è finito tra le personalissime videocassette di qualche amante dell’hard. Motivo? Le aspiranti erano bellissime e abituate a presentarsi a casting per film porno. Si presentarono nel modo più succinto possibile. Si mormora tutt’oggi che alcune fossero a seno nudo. Da noi è rimasto un po’ come il Sacro Graal: tutti ne parlano ma nessuna sa dove sia. Lo spot comunque è stato girato. Ed è passato del tutto inosservato. Nell’economia normale del lavoro, quando il video col casting scorre, partono anche gli improperi più incredibili. Dovreste vedere cosa succede nelle riunioni dove si guardano questi filmati. Si sente di tutto: dai commenti più osceni a quelli davvero impossibili da riportare. Se siete tra quelli che vanno a fare i casting nella speranza di essere presi per uno spot, ricordatevi che la vostra immagine non sarà trattata bene, almeno durante le riunioni preliminari. Non cercate di fare troppo i brillanti, vi massacreranno. Non ci sono consigli da dare poi sul come farsi selezionare. Il segreto è piacere al cliente. E per quello davvero 20 Premiata Macelleria Creativa non c’è alcuna dritta valida. Solo incrociare le dita e sperare di essere la persona giusta. Certo, poi qualcuno è diventato famoso partendo dal Maxibon o dal proprio sedere scoperto per una pubblicità di perizomi. Ma sono davvero pochi. Ma la magia della pubblicità non è solo nelle immagini: anche le parole e soprattutto i neologismi hanno i loro perché. In anni di lavoro ho visto coniare: “La biscomerenda” che chiaramente fa riferimento al momento di consumo e alla tipologia di prodotto. Fare piazza pulita delle merendine, questa è la parola d’ordine. E allora via ogni dubbio sul fatto che i biscotti possano essere confusi con quelli per la colazione. No, c’è biscotto e biscotto. E c’è la biscomerenda. Che si mangia alle quattro del pomeriggio. C’è la “Morbistenza”, la resistenza che però è ricca di morbidezza. E “l’incredibile scioglievolezza”. Roba che se l’avessi scritta io in un tema in quinta elementare m’avrebbero bocciata. Ma la pubblicità può fare questo e altro. Ma da chi sono comandate queste grosse e grasse macchine che producono beni di consumo di ogni tipo? Di solito sono multinazionali. Oppure ditte famigliari cresciute a dismisura dove all’apice si trovano padre padrone, figli e cognate. O ancora società passate di mano in mano, che vantano un’italianità indefessa e fanno pessima comunicaLa verità 21 zione perché hanno pessimi direttori generali. Quasi mai c’è gente che capisce di comunicazione. Spesso ci sono persone molto capaci a livello di finanza. Talvolta neanche quello. Ma uno, soprattutto, è il più inquietante di tutti. La dovete sapere la verità sulla pubblicità. Dovete sapere chi vi manda in giro con le braccia alzate a urlare “fermo lì, sudore!”. Chi opera alle vostre spalle mentre vi rifila la cioccolata spalmabile che amate da quando siete bambini. Quelli che giurano che impastano ancora a mano i tortellini. Sono i Signori Burns della pubblicità italiana, o meglio, gli immortali delle grandi marche del mercato, che vi stanno accanto da quando siete nati. Dovete conoscere, in particolare, di una di queste aziende piramidali, che copre la maggior parte dei prodotti che usate. Un’azienda con i pavimenti in linoleum al primo piano, con parquet al secondo e col marmo al terzo, via via che si va più su. Dovete sapere che il piano dove sta il grande capo ha le porte insonorizzate e bisogna parlare bisbigliando. Dovete conoscere la corte dei miracoli di chi sta sotto: nane petulanti che stanno a capo del gruppo ricerche, donne grasse, brutte, insoddisfatte e cafone che vendono prodotti snellenti e per la bellezza del corpo. Codardi senza carattere dalla doppia faccia che ogni 22 Premiata Macelleria Creativa sera devono svuotare completamente la scrivania per evitare che quelli delle pulizie facciano spionaggio. Neanche fossero alla NASA. È gente che non può tenere niente di personale sulla scrivania, neanche la foto dei figli. Dovete sapere chi c’è dietro quelle pubblicità con la ragazzina che saltella felice vicino al bidet. Dovete sapere che dietro quegli spot dove annunciano che il deodorante è fatto apposta per voi c’è un uomo di novanta anni che si fa periodicamente pulire il sangue. Ci sono vecchi immortali che non sanno cos’è un computer, che danno dell’idiota alla figlia sessantenne dicendo che non sarà mai in grado di guidare l’azienda, e che pretendono che tutti si alzino in piedi quando fanno il loro ingresso in una riunione. Vengono chiamati “La Proprietà”, perché il nome non può essere pronunciato invano. E mai in pubblico. Lo decidono con le tabelle in mano e col cronometro nel palmo, se uno spot vi piacerà. Prima di fare una cosa qualsiasi, sappiate che vi hanno già incasellati, misurati, sondati. Ci sono uomini, anzi, vecchi, ottuagenari che ancora impastano la farina o il cioccolato e hanno accanto una schiera di dieci vecchi amici che devono assaggiare e votare. Ma nessun voto più basso di otto viene accettato. C’è gente di quaranta anni che viene presa a scappellotti dal capo, se sbaglia qualcosa. Ci sono persone che quando arrivano a una soglia La verità 23 minima di potere, tiranneggiano, urlando, imponendo decisioni a caso, entrando nelle riunioni distribuendo il proprio biglietto da visita e dicendo: “Così finalmente capirete chi sono io”. Impacchettano e scelgono prodotti da specialisti, perché solo loro vi capiscono veramente, ma poi non aprono un blog sul sito di quello che vi vendono per il terrore che la gente possa dare la propria obiettiva opinione sulle cose che non vanno. Insistono a spendere ottocentomila euro per girare quattro secondi di una nocciola che cade nel cioccolato, perché pensano che così facendo voi siate più invogliati a comprare. Siete in mano a della gente triste, che ogni tre mesi ha il terrore di vedersi cambiare di posto e di ruolo. Siete in mano a quelli che vogliono il super un po’ più grande perché si deve leggere meglio. Spesso vi credono stupidi, loro per primi. Ogni volta che prendete un deodorante neutro famoso, o un barattolo di cioccolata spalmabile, o una qualsiasi delle cose che raccattate ormai automaticamente dallo scaffale, pensate che lì dietro c’è una schiera di persone tristi, con a capo un vecchio dinosauro che si ostina a non morire. Oppure qualche Direttore Generale rampante che per aizzare i suoi dice che devono fare come la straordinaria vittoria di Napoleone a Waterloo, ignorando che quella fu l’inizio della fine. Quella gente andrà avanti a farvi vedere la famiglia fe24 Premiata Macelleria Creativa lice perché è nel loro immaginario. Sì, è vero, molti di loro “si sono fatti da soli” da quando avevano vent’anni e hanno costruito un impero. Ma è vero anche che i tempi cambiano e chi compra i loro prodotti non sono le stesse famiglie felici, ma sempre più spesso sono single o famiglie spaiate, fatte di padri a ore e madri in prestito per i week-end. La loro ricetta è sempre quella artigianale dell’inizio. Almeno nella loro testa. Voi no. Voi siete tutt’altra generazione. Pensateci ogni volta che comprate la stessa cosa che prendete ormai da anni, da quando siete piccoli. E fatemi una cortesia: quando c’è qualche ricerca di mercato, mentite. La verità 25 Indice Tu che cosa fai alla fine? La verità Non è sempre colpa dei creativi Negroni Cazzo, che campagna! Nomi in codice Bin Laden è un creativo della madonna Account Outlet Che cosa avrà voluto dire? Ma tu ci vai a Cannes? L’altra metà che ti può capitare Tutto il resto è noia® Biscotti italiani a Cuba Ci sarà figa a Baghdad? La birra da donne Shortlist, poca roba Tanto sono amiche di Fabio Va tutti benissimo Non mi ci riconosco Perché loro sì che sono il canale gggiovane Ce l’abbiamo nel culo L’utilizzatore finale Al nipote del capo non piace Puliti puliti “Puoi venire un attimo di là?” E graaaazie, neh? Eh?! Ovvero: Glossario 7 15 26 36 43 49 58 66 75 88 101 119 122 131 137 152 158 165 175 182 189 206 212 226 238 248 250