Ritiro Presbiteri Quaresima Libretto

A tutti i fedeli della Chiesa che è in Verona, vogliamo
fare omaggio, della meditazione che il nostro Vescovo
Giuseppe, ha dettato ai presbiteri, ai diaconi e ai
seminaristi, nella mattinata di giovedì 6 marzo 2014, in
Cattedrale, all’inizio dell’itinerario quaresimale, mettendo
in evidenza il dono che è il Papa nel cammino della
Chiesa universale: il Papa giusto al tempo giusto.
In questo modo vogliamo ricordare anche con la
preghiera, il compleanno e l’onomastico del nostro
Vescovo.
Carissimi presbiteri e diaconi, all’inizio dell’itinerario quaresimale che
già da ieri avete avviato con le vostre comunità cristiane, desidero
proporvi qualche riflessione sullo stile di papa Francesco come mappa
per il nostro ministero pastorale. Non sarei però corretto se mi
permettessi di isolarlo dall’insieme dei suoi predecessori e di astrarlo
dal tempo che caratterizza il suo pontificato. Compirei una operazione
fuorviante e antistorica.
Di fatto, solo per stare entro i confini che vanno dalla modernità, agli
inizi degli Anni sessanta del secolo scorso, fino all’oggi, non si può non
riconoscere che tutti i Papi che si sono susseguiti sono stati davvero
Papi della Provvidenza. Senza retorica, si può affermare che ognuno è
stato il Papa giusto al tempo giusto.
Esemplifichiamo, per flash. Papa Giovanni XXIII: il Papa del passaggio
dalla cristianità alla modernità (preceduto da papa Pacelli, Pio XII:
personificazione alta della cristianità!). Fu per la Chiesa, alle prese con
la novità della secolarizzazione, un uomo di prestigio internazionale.
Grazie alla sua ricca umanità dal tocco paterno, un’ondata di simpatia si
riversò su di lui. E, attraverso l’amabilità della sua persona, anche la
Chiesa da lui guidata acquistò credibilità. Proprio agli albori di una
cultura che stava tentando l’avventura assai rischiosa di una
autoreferenzialità dell’uomo e di una concomitante emarginazione di
Dio dalle vicende umane, non tolse la fiducia all’uomo, nel cui cuore
era convinto che Dio comunque agisse, nel dono del suo Spirito. Al
contrario, fu lui che accentuò l’importanza di puntare i fari su ciò che
avvicina e unisce piuttosto che su ciò che allontana e divide e di non
credere ai profeti di sventura. E fu di lui che la Provvidenza si servì per
dare avvio a quell’evento mirabile dello Spirito di cui l’uomo della
modernità aveva bisogno: il Concilio Vaticano II. Per quel segmento di
storia della Chiesa occorreva appunto un Papa come lui.
Paolo VI. Il Papa che personificò il dramma di una Chiesa alle prese
sempre più impegnative con la cultura della modernità. Aperto e
guardingo, appassionato e trepidante nei confronti dell’uomo moderno,
gli toccò in sorte di portare a compimento, con rara lucidità e ferma
determinazione, il Concilio Vaticano II. Occorreva proprio lui. Uomo
del dialogo su tutti i fronti, entrò all’ONU e si recò in parecchi paesi del
mondo avviando la stagione dei viaggi missionari dei Papi. Il suo
pensiero, di straordinaria acutezza, espresso in forme anche
linguisticamente pregevoli, fu di grande conforto e di luce rispetto alle
problematiche che hanno caratterizzato i quindici anni del suo
pontificato: dalla secolarizzazione radicale che ha predisposto gli esiti
negativi dei referendum sul divorzio e sull’aborto, alla contestazione, al
terrorismo. Proprio il Papa giusto al tempo giusto.
Nemmeno Giovanni Paolo I fu inutile. I trentatré giorni del suo
pontificato furono come un raggio di luce che preludeva l’alba di un
nuovo giorno. Questa volta della durata di ben ventisette anni: Giovanni
Paolo II. Dire che fu il Papa giusto al tempo giusto è persino scontato.
Con lui si è passati dalla modernità alla postmodernità. Della modernità
ha vissuto l’ultima fase, per un decennio. Ne affrontò le sfide con la sua
personalità riconosciuta a livello mondiale. E con un coraggio e un
entusiasmo travolgente, capace di essere significativo per le folle,
specialmente per i giovani. Con una serie di encicliche ha affrontato
tutte le grosse tematiche problematiche provocate appunto
dall’evolversi della modernità. Ed è il Papa che più di ogni altro ha dato
una spallata decisiva al Muro di Berlino. Di conseguenza, per un
quindicennio è stato il Papa della postmodernità che sempre più stava
prendendo il volto della globalizzazione. Punto di riferimento di forte
credibilità per tutti, nel travaglio dell’evolversi sempre più complesso
delle situazioni internazionali a livello politico, sociale, economico e
finanziario. Anch’egli uomo di dialogo convinto sulle frontiere
dell’ecumenismo e delle espressioni culturali della postmodernità,
soprattutto nei riguardi dei rapporti fede e cultura-scienza.
Alla sua pia morte, la Provvidenza ha fatto dono alla Chiesa di papa
Benedetto XVI. Dovette prendere sulle sue spalle un carico assai
pesante e nodoso. Ebbe il compito di riportare luce sapienziale su
questioni culturali, filosofiche e teologiche, in travaglio veritativo, che
rischiavano di prendere il sopravvento. Non ebbe timore di
stigmatizzare “la dittatura del relativismo”, il vero cancro della cultura
che si respirava, quella del pensiero debole e della società liquida. Le
sue posizioni, lucide oltre ogni sospetto e ferme, anche se espresse con
il cuore di un padre che, dovendo operare da medico, doveva
contemperare intervento chirurgico di salvezza con l’amabilità
connaturale del suo animo, gli attirarono le ire di chi sul pensiero
debole e sul soggettivismo aveva fondato il proprio impero culturale ed
economico. Le hanno tentate tutte. Colpendolo con la valanga di accuse
mosse alla Chiesa: quelle riguardanti la pedofilia (con radici
decennali!), e poi lo sperpero di soldi e la mala gestione amministrativa,
soprattutto dello JOR. Amatissimo dalle persone che lo capivano e con
lui soffrivano per i mali della Chiesa che egli stesso non ha esitato a
palesare, è stato soggetto di diffidenze e di vilipendi mediatici oltre la
misura del buon senso, senza godere il conforto, almeno aperto, lui
anche Capo di Stato, dei Capi di Stato. Papa martire del suo ministero
petrino, portato avanti fino alla croce! Papa senza il quale non avremmo
avuto Papa Francesco. Grazie soprattutto al suo gesto, ispirato,
rivoluzionario e sconvolgente, di consegnare il timone della Chiesa ad
un altro, dopo aver portato a compimento, in modo eroico, il suo
compito storico. Gesto che vale una enciclica sul tema: “Il servo non
insostituibile”. Ed ora, nell’assoluto nascondimento, sta sostenendo il
ministero di Papa Francesco con il dono delle sue sofferenze, delle sue
preghiere, della sua vita.
Da notare che nessuno dei Papi citati è il clone dell’altro o il
vice dell’altro o la perfetta continuazione dell’altro. Al contrario.
Ognuno ha rivelato una personalità stagliata e inconfondibile. Ed è stato
collocato dalla Provvidenza nel tempo che esigeva quella specifica
personalità.
Per l’oggi la Provvidenza ha disposto Papa Francesco. Verrebbe
subito da osservare: se nel conclave del 2005 al posto di Joseph
Ratzinger fosse stato eletto, ed era possibile, Mario Bergoglio, gli
sarebbe stato possibile esprimersi fin da allora, mentre l’ondata
mediatica di anticattolicesimo si stava raggrumando ed estendendo, con
quella immediatezza che lo connota, o sarebbe stato costretto a
contenerla?
Il collegio dei Cardinali, sotto l’ispirazione dello Spirito, ha
eletto Ratzinger, perché per la Chiesa di allora occorreva un martire
della verità.
Per il tempo attuale della Chiesa, che ha bisogno di ricuperare
credibilità e fiducia a livello popolare e anche a livello mediatico
culturale, Papa Bergoglio è il dono della Provvidenza, grazie alla sua
personalità, alla sua storia e alle indicazioni fornite con autorevolezza
dal collegio cardinalizio durante le sessioni preparatorie al conclave,
che hanno aperto alcune porte e hanno affidato al nuovo Pontefice
alcune linee di intervento ormai maturate durante il pontificato di Papa
Benedetto XVI.
La Chiesa proveniva da un periodo di turbolenze. Era stata
infangata per i peccati, anche di antica data, dei suoi membri, venuti alla
luce magari per vendetta o per determinazione di farla tacere su
questioni etiche di grossa portata. E Papa Benedetto se li è portati sulle
spalle come un capro espiatorio. Si respirava un’aria pesante come una
cappa di piombo. Nel travaglio di una sofferenza umiliante, da venerdì e
da sabato santo, lo Spirito stava predisponendo i tempi del
rinnovamento.
Papa Francesco sta incarnando questa sorta di “palingenesi”,
cioè del rinnovamento sognato e invocato. Con uno stile inedito che
diventa profezia per la Chiesa per vocazione città sul monte, luce di
verità per l’umanità, lievito della storia.
Fatte queste opportune premesse, ci viene spontaneo chiederci:
Quali sono i tratti caratteristici di tale stile che denotano il volto
nuovo della Chiesa, quello credibile e simpatico all’uomo di oggi, al
punto da diventare esemplare per la Chiesa, a partire dagli “ordinati”?
Quali sono cioè gli aspetti significativi dell’agire di Papa
Francesco, per i quali potrebbe in tutta verità dire a noi, come già Paolo
ai suoi cristiani: “Diventate miei imitatori come io lo sono di Gesù
Cristo” (1 Cor 11,1)?
1) Anzitutto, Papa Francesco ama stare in mezzo alla gente. Ci sta a
pieno suo agio. È il suo habitat. E in quel momento, per così dire, si
dimentica di essere in pubblico, sotto i riflettori dei media. Non si
atteggia a idolo, nemmeno quando a Piazza S. Pietro traboccante lo
acclamano con ovazioni a ripetizione o si permettono il vezzeggiativo
confidenziale “Francy!”. Significativo ed emblematico quel grido, da
me udito: “Francesco, sei uno di noi!”. Immerso nella folla come un
pesce nell’acqua, mai accetterebbe l’isolamento tipico del leader,
nemmeno quello dell’abitazione. Preferisce lo stile del pastore che si
lascia intridere vesti e pelle dell’odore del gregge. E questo in un tempo
nel quale i grandi della terra, i governanti e quanti sono rivestiti di
autorità vengono blindati dal contatto diretto con la gente. È la sua vita
stare con la gente.
2) E alla gente fa il dono della sua straordinaria umanità, carica di
empatia, di affettuosità, di passione per l’uomo nelle sue condizioni di
fragilità. Guarda negli occhi. Sorride. Come riuscisse ad entrare
nell’animo di ognuno. Ha forte il senso della carne umana come luogo
di incontro. Perciò bacia e abbraccia e a sua volta si lascia toccare,
baciare e abbracciare. Il tutto con una naturalezza che commuove. Non
esita a compromettersi, schierandosi dalla parte dei poveri e cercando di
coinvolgere anche altri in questa sua predilezione.
3) Fa il possibile per farsi capire. Di conseguenza i suoi interventi non
sono mai magniloquenti. Il suo è un eloquio semplice, colloquiale,
carico di immagini plastiche che colpiscono e rimangono come sintesi
di un discorso, immediatamente comprensibile e capace di quella
confidenza che si permette anche qualche battuta.
4) Nel dono della sua umanità si riscontra pura autenticità, nel senso più
pregnante della parola, cioè trasparenza di Vangelo, anzi, di Gesù stesso
di cui è un innamorato, fuor di misura. Gesù è la parola da lui più usata,
come lo è stato per Paolo. A tutti vuole mostrare il Gesù che è in lui. E
gli sta facendo fare bella figura. Gli sta facendo ricuperare simpatia
persino mediatica. Al punto che invece di fare un percorso a gincana per
arrivare a proporre l’esempio di Gesù, parte dal suo esempio e ne fa
inondare la vita di ognuno.
5) Il tutto avvolto da un’umiltà sincera che non teme di esporre anche le
proprie fragilità bisognose della Misericordia di Dio e di chiedere,
ovunque e da tutti, il dono della preghiera. Ed è quanto ha fatto fin dalla
suo primo impatto con la folla che gremiva Piazza S. Pietro la sera della
sua elezione a pontefice.
6) Umiltà tuttavia non significa nemmeno per lui annacquamento della
propria identità. Papa Francesco infatti non nasconde mai la sua forte
identità di appartenenza. Proprio questa sua marcata identità gli
consente di dialogare con chiunque, manifestando per tutti sommo e
incondizionato rispetto, cogliendo in ognuno ciò che ritiene
condivisibile.
7) Consequenziale allora appare l’altra qualità del suo stile: si muove da
uomo libero, non condizionato e non condizionabile, né dai
paludamenti sfarzosi, né da rigidi protocolli propri del cerimoniale che
lo rendono visibilmente impacciato, né dalle convenienze attribuite ad
un’alta personalità come è quella di un Papa. Si muove dove lo porta il
cuore. Con immediatezza.
8) Aggiungiamo un altro tassello al mosaico dello stile di Papa
Francesco: egli proclama all’infinito, e ce la fa rispecchiare nel suo
comportamento, la tenerezza misericordiosa del Vangelo, anche se i
suoi interventi non sono tutta tenerezza e morbidezza. All’occorrenza
affonda il bisturi. A tale riguardo è opportuno un chiarimento, benché
sia tutto da discutere. Papa Francesco infinite volte fa appello alla
Misericordia di Dio che non viene negata a nessuno. Non si tratta
tuttavia di una Misericordia da carta da apparati che copre un muro
fatiscente, ma di un intervento di restauro divino in chi ne è predisposto,
anche se la sua condizione interiore è diroccata. Dio cioè risana nella
verità, per riportare l’uomo ad essere verità nella Verità. Certo, papa
Francesco preferisce partire dalla persona umana, uomo o donna, dalla
sua situazione concreta per farle balenare la grande opportunità di
aprirsi alla Misericordia di Dio, più che dalla verità in sé. In altre
parole, il binomio paolino “Verità nella Carità” (Ef 4,15) viene da lui
pensato come “Carità nella Verità”, senza sconvolgerne il prodotto che
è l’incontro con il Dio Amore-Verità. Cerco di chiarire ulteriormente
questa precisazione. Il Dio dell’Amore ama a tal punto l’uomo da fargli
dono del suo Figlio Crocifisso ed Eucaristia. Non è il Dio giudice che
misura l’uomo in prima istanza sui parametri della fredda verità, bensì il
Dio che si offre come Amore misericordioso risanante. Proprio perché
ama l’uomo, attraverso l’elargizione assolutamente gratuita della sua
Misericordia, lo riporta allo splendore della verità del suo essere. In
effetti, solo l’amore di Dio è in grado di fare vero l’uomo. In definitiva,
papa Francesco, sembra orientato a ricercare le vie efficaci perché la
Verità raggiunga l’uomo, sotto il volto della Misericordia risanatrice e
veritativa. Esattamente come fa un medico, al quale non basta aver
assicurato ad un moribondo che sta guarendo. La dichiarazione in sé è
assolutamente insufficiente. Lo deve risanare, con interventi adeguati,
per poterlo dichiarare fuori pericolo, in via di guarigione e, finalmente,
guarito. È questa la più gratificante delle soddisfazioni per un medico.
Come lo è per Dio quando è riuscito a risanare il malato nello spirito,
secondo l’aforisma di Gesù: “Non sono i sani che hanno bisogno del
medico, ma i malati … Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i
peccatori” (Mt 9,12-13). Sotto questo profilo si comprende anche la sua
presa di posizione nei confronti degli omosessuali, rilasciata
nell’intervista: “Chi sono io per giudicare i gay?”. Lasciando in
penombra la questione culturale che distingue gay da omosessuali (gli
omosessuali sarebbero coloro che avvertono la tendenza
all’omosessualità e magari la praticano, mentre i gay sarebbero gli
omosessuali che ostentano la loro omosessualità), sta di fatto che il
Papa non esclude dal suo amore nessuno. Sull’esempio di Gesù.
Accoglie qualsiasi persona per quello che è, senza sottoporla a giudizio.
Del resto, chi può conoscere a fondo la storia delle persone, le ragioni
che le hanno portate anche a sbagliare? Le persone non vanno mai
giudicate e condannate. È il loro comportamento semmai che va
giudicato: se conforme o no all’etica universale e alla morale rivelata,
specialmente cristiana. Da questo punto di vista, se nessuno ha il diritto
di giudicare un omosessuale, chiunque si appella all’etica e, in
particolare, alla morale cristiana non può esimersi dal ritenere
l’omosessualità come discordante e difforme dal progetto originario di
Dio sull’uomo (cfr soprattutto primo capitolo della lettera ai Romani).
Con tutto ciò, nessuna intolleranza e offesa nei confronti degli
omosessuali.
9) Va da sé che, come i Gesuiti doc, non è un debole e facilmente
manovrabile. È capace di decisioni nette e irreversibili. Sa dove vuole
arrivare e quali strade percorrere, pur con la prudenza necessaria. Anche
nell’ambito della riforma della Curia Vaticana, dalla Segreteria di Stato
ai vari Dicasteri. Ci mette del suo. Si mette in prima fila. Vuol mostrare
che la riforma della Chiesa può e deve partire dall’alto. E lui stesso si
mette in gioco. Al punto che di fatto si presenta al naturale come l’icona
di una Chiesa riformata. Cosa, del resto, che, salvo le doverose
distinzioni, si è verificata anche per i papi suoi predecessori, la cui
santità di vita è indiscussa. Tuttavia, e in ciò sta la vera novità, anche in
forza degli impegni presi prima del Conclave e con l’aiuto degli otto
Consiglieri, papa Francesco è seriamente intenzionato a riformare
simultaneamente pure la Curia Vaticana. Impresa assai ardua se si pensa
che i suoi responsabili, i suoi officiali, i suoi funzionari, risentono di un
sistema più burocratico che pastorale, anche se molti di loro sono ottime
persone. Con papa Francesco dunque la riforma della Chiesa parte “in
capite”, dalle stesse strutture chiamate a cambiare anima, da burocratica
a pastorale appunto, per discendere poi “in membris”. Lui ne è il
protagonista. Ed è seriamente intenzionato di portare a compimento
questo obiettivo. Fa parte dei suoi convincimenti che tutto nell’ambito
istituzionale deve essere al servizio del bene della Chiesa. Anche lo
IOR che non può che essere trasparente e fedele al suo statuto
epistemologico.
10) Bisogna riconoscere che il suo stile è gradito alla gente che lo
approva plebiscitariamente. Eccetto strane, anche se comprensibili,
eccezioni e le lobby che poggiano il proprio impero sull’antivangelo
della gioia, cioè sull’egoismo disumanizzante.
In tal modo la Chiesa, impegnata con il suo Papa a prendere le distanze
dalla mondanizzazione e a testimoniare uno stile di sobrietà solidale con
le povertà, sta ritornando ad essere guida di un umanesimo nuovo in
Cristo, faro di civiltà in un tempo drammatico per l’umanità
sostanzialmente senza punti di riferimento universalmente significativi,
non solo con il suo alto magistero, che mai è venuto a mancare, ma
soprattutto con l’esemplarità di vita, coerente con il Vangelo
proclamato. Proprio l’esemplarità di vita evangelica di Papa Francesco,
nel cui cono di luce intende trascinare l’intera Curia, sta interpellando e
intercettando i ricercatori di verità e di senso del vivere umano, mentre
sta riaprendo le menti e i cuori anche dei lontani, sensibili, comunque, e
non allergici alle testimonianze di autenticità. Davvero Papa Francesco
in questi dodici mesi di pontificato sta segnalandosi come il Papa della
Provvidenza. Per la Chiesa e per l’umanità del nostro tempo. Con uno
stile che un po’ alla volta sta interessando e coinvolgendo anche la
Chiesa, nei suoi laici, nei suoi consacrati e nei suoi ordinati.
Ne va della credibilità della nuova evangelizzazione.
Mons. Giuseppe Zenti